Nessun uomo è illegale

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  • 7/24/2019 Nessun uomo illegale

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    BUDDISMO e S

    Insieme (contempo

    BUDDISMO e SOCIET /17524

    Sei entrata in Un ponte per nel 2006. E

    prima?

    Come studentessa di dottorato in EconomiaPolitica facevo ricerca sulleconomia partecipa-tiva1in India. Nello stesso periodo co-dirigevola rivista di studi sul me todo nonviolento Qua-derni Satyagraha.In quegli anni ho rinunciato

    alla carriera accademica per fare la cooperantee lavorare sui progetti di pace e solidariet in-

    ternazionale. Nel 2005, insieme con lex presi-dente di Un ponte per Fabio Alberti, abbia-mo organizzato un programma di formazionesulla nonviolenza attiva per attivisti iracheni dietnie diverse che, per la prima volta, si ritrova-vano insieme ad Amman in Giordania, cio fuo-ri dal loro paese in guerra (la seconda guerra

    del Golfo era iniziata nel 2003), cercando in-nanzitutto di fidarsi luno dellaltro.

    PIANETA TERRA.

    NESSUN

    ESSERE UMANO

    ILLEGALEdi Monica Piccini

    Secondo lo psicologo evoluzionista Steven

    Pinker, autore de Il declino della violenza,

    stiamo vivendo probabilmente lepoca pi pa-

    cifica della storia. Lessere umano ha perfezio-

    nato le regole della convivenza pacifica?

    Personalmente non sono molto ottimista sulla ca-pacit, oggi, dellumanit di gestire i conflitti conmodalit nonviolente. Credo anzi che le popola-

    zioni continuino a essere vittime dei governi, dellelobby dellindustria bellica e comunque dellinca-pacit di visione della classe politica, che non saimmaginare un futuro di pace n mettere in piediun sistema di diplomazia internazionale allaltez-za dei propri compiti. Inoltre, le istituzioni nutro-no scarsa fiducia verso la societ civile nel costru-ire la pace. Da molto tempo Un ponte per stacercando invece di sostenere organizzazioni chemirano a mettere in piedi eserciti di pace, cheGandhi chiamava Shanti Sena, operatori che la-vorano in zone di conflitto con modalit nonvio-lente. Noi lo facciamo con interventi umanitari,campagne per i diritti umani e azioni di peace-buildingper la riconciliazione e la coesistenza.

    Qual stata la lungimiranza di Gandhi?Avere la certezza che semplicemente affermandola verit e la giustizia con modalit nonviolente sipu trasformare la situazione politica e la vita dimilioni di persone. Anche con gesti simbolici dipochi persuasi dalla nonviolenza che possono

    trascinare processi molto potenti. Tante trasfor-mazioni politiche, tanti momenti di svolta, dipen-dono da singole persone decise a cambiare puntidi vista, atteggiamenti e quindi interessi.

    E raramente queste persone sono i governanti

    Alcune volte sono anche i politici. Credo nellanecessit di spingere parlamentari e membri

    del governo a modificare i loro atteggiamenti.Sicuramente devono rispondere a logiche dipressione dei propri elettori e finanziatori mol-to pi potenti delle nostre; per anche veroche, come esseri umani, possono decidere diagire per fini di giustizia. Inoltre, spesso nonhanno accesso a uninformazione imparziale esul campo. Penso quindi che sia responsabili-t dei gruppi della societ civile continuare adavere fiducia nel dialogo con le istituzioni.

    Suona molto simile con quanto scrive Daisaku

    Ikeda: Solo dal dialogo, che non segue mai

    schemi prestabiliti e va oltre le definizioni ar-

    bitrarie e superficiali, pu nascere il nuovo. E

    pi avanti aggiunge: Il filosofo Gabriel Marcel

    utilizza il termine spirito di astrazione. Secon-do il suo pensiero si pu fare la guerra solo se

    prima si nega il carattere umano dellavversario

    e lo si riduce a un concetto astratto, come il fa-

    scista, il comunista, il sionista, il fondamentali-

    sta islamico.... Sei daccordo?

    INTERVISTA A MARTINA PIGNATTI MORANO

    presidente dellassociazione pacifista Un ponte per...

    Piazza Vittorio, Roma. Sulle scale in ardesia nera (come solo i tetti di Parigi!) con lodore di curry

    nellandrone di un decaduto palazzo sotto i portici, Roma sembra il centro del mondo. Capace di

    attrarre unenergica ragazza di 36 anni che partita dal Friuli, dov nata, passando da Pisa (dove

    ha frequentato luniversit SantAnna e tuttora vive con due figli e un marito), Siena e Oxford

    (per il dottorato) e una serie di citt mediorientali, dal 2006 presiede lassociazione pacifista Un

    ponte per che ha sede appunto nella Capitale. Unorganizzazione presente in Iraq da 25 anni

    che, oltre ai progetti tipici delle O, si distingue per il sostegno agli attivisti locali. Che significa,

    per esempio, pagare avvocati e cauzioni di chi finisce in carcere, studiare insieme proposte e

    disegni di legge. Ma anche solo, semplicemente, esserci. Non lasciare sole le popolazioni colpite

    dalle guerre. Perch un altro mondo possibile solo rafforzando i legami di fiducia tra i popoli.

    Martina Pignatti MoranoNoi ci riteniamo prima di tutto unassociazione di volontariato spiega la presidente di

    Un Ponte per che poi ha deciso di registrarsi anche come O e di pagare dei coope-

    ranti per gestire in maniera professionale i progetti di cui ci occupiamo. Lassociazione,

    che attualmente conta quattrocento collaboratori (la maggior parte dei quali siriani,

    giordani, iracheni), considera imprescindibili gli interventi di solidariet a favore delle

    popolazioni colpite dalle guerre, limpegno politico per incidere sulle cause scatenanti

    dei conflitti e la costruzione di legami tra societ civili.

    Martina Pignatti Morano anche referente nazionale del Tavolo Interventi Civili di

    Pace ed attiva in Rete Italiana Disarmo, con cui organizza campagne per potenziare

    il peacebuildingcivile e sostenere politiche di disarmo. A livello internazionale gestiscela segreteria dellIraqi Civil Society Solidarity Initiative e partecipa al processo del Forum

    Sociale Mondiale. Fa parte del Board of Advisors di N (International Institute for Non-

    violent Action) e partecipa ai lavori dello European Peacebuilding Liaison Office.

    1) Leconomia partecipativa una visione sociale ed economica alternativa al capitalismo che mira a realiz-zare i valori della libert, della solidariet e dellequit (di reddito e di condizioni di lavoro) attraverso lauto-gestione partecipativa delle risorse e la remunerazione in base al criterio dellimpegno.

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    Assolutamente s, la prima immagine che mi vie-ne in mente il soldato che controlla un droneo unarma micidiale a distanza. Chi li pilota vie-ne indotto a pensare di star giocando a un vi-deogioco. E anche se sa benissimo che dallaltraparte ci sono esseri umani in carne e ossa, perproteggere la sua incolumit psicologica tenta diastrarsi dal contesto. Questo uno dei rischi del-le nuove guerre, uno dei motivi per cui dicevo

    non sono cos ottimista. Pensavo anche a unal-tra astrazione, quella del fondamentalista chevede il diverso come una persona che non hadiritto di vivere. Non parlo solo del fondamen-talista islamico ma anche del razzista xenofobo,una tipologia di persona che si sta diffondendoanche da noi in Italia. Mi fanno paura entrambe.

    A proposito di razzismo xenofobo, su La Stam-

    paho letto che ci sono persone che organizza-

    no banglatour, azioni punitive nei confronti

    di negozianti del Bangladesh. Lincitamento

    allodio scrive ancora Ikeda (BS, 170) sta

    diventando un serio problema sociale in mol-

    te nazioni. [] Nessuno giudicherebbe accet-

    tabile la violenza o loppressione sulla base di

    un pregiudizio verso qualche persona o la suafamiglia. Ma quando sono dirette verso altre

    etnie o popolazioni, non insolito che le perso-

    ne le considerino giustificate in base a qualche

    difetto o mancanza da parte delle vittime.

    anche conseguenza di processi storici, non solodi attitudini individuali. In Iraq per esempio lavo-riamo contro quello che si chiama hate speech,il linguaggio dellodio. Organizziamo conferenzee festival sulle minoranze per superare i pregiu-dizi tra le persone, ma anche per convincere imedia a stare pi attenti al linguaggio. In Iraqlodio o il desiderio di vendetta che esiste tra co-munit sciita e sunnita stato costruito dal 2003in poi, da errori delloccupazione americana edai successivi governi locali. Secondo gli ame-ricani infatti fomentare questa divisione dovevaservire a gestire meglio il potere assegnandoneuna quota a ogni fazione e invece ha causato ildisastro. Dopo la seconda guerra del Golfo il po-tere stato messo in mano a partiti sciiti islamistiche hanno negato ogni diritto alla minoranza

    sunnita, che era quella che faceva capo primaa Saddam. Questultima, assistendo a tutta unaserie dingiustizie come luso della pena di morteda parte del governo per motivi politici, un poalla volta si rivolta alle milizie fondamentalistecome D. Che il nome con cui preferiamochiamare lo stato islamico, al posto del pi co-nosciuto I (Islamic State of Iraq and Syria) pernon innescare lislamofobia. Perch quando la

    gente sente dire stato islamico pensa allIslam.Invece D (adattamento di D, acroni-mo dellarabo Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq walSham) il termine usato nel mondo arabo, inrealt in senso dispregiativo (i miliziani di Dusano il termine arabo al-Dawla, ossia lo stato,ndr). Parole arabe come Al Qaeda o Boko Ha-ram non sono mai state tradotte. Perche Dinvece s? Titoli di giornale tipo Le guerre isla-miche fanno pensare che tutti gli islamici sianol pronti ad attaccarci. terribile.

    Presenti in Iraq da un quarto di secolo, pote-

    vate prevedere lavvento del Califfato?

    Quando nel febbraio di 25 anni fa nata la no-stra campagna di solidariet per la popolazione

    irachena Un ponte per Bagdad lIraq era unostato laico. Le ragazze alluniversit andavano tut-te senza velo e con le gonne al ginocchio. Adessosono quasi tutte coperte fino ai piedi. Il processodislamizzazione stato molto rapido dal 2003in poi. Lo immaginavano solo gli analisti dellaC che dal tempo dei talebani avevano decisodi appoggiare gruppi fondamentalisti jihadistiper combattere i loro avversari sul campo. Conlamministrazione Obama non c stato un cam-biamento significativo e i bombardamenti aereicontinuano a seminare odio, perch dovunque sicolpisca dallalto si fanno vittime civili senza riu-scire a sconfiggere la forza militare presente sulterritorio (14 anni di Afghanistan lo dimostrano!).

    Che tu sappia, il governo americano si rivolge

    mai a consulenti di pace o non ne tengono mi-

    nimamente conto?

    Di solito tengono conto dei centri di alti studidella difesa che per offrono il punto di vistadi chi ha sempre studiato strategia militare. Ci

    sono pochissimi paesi che si avvalgono di ricer-catori che studiano la trasformazione dei con-flitti con mezzi pacifici.

    Mi viene in mente il sociologo norvegese Jo-

    han Galtung, fondatore dellInternational

    Peace Research Institute, che con Daisaku

    Ikeda ha scritto il libro Scegliere la pace

    Lo conosco. Spesso sono gli enti locali che tro-

    vandosi a gestire i conflitti tra comunit ascoltanopersone come Galtung. Ad esempio in Iraq orastiamo collaborando con il Consiglio del governa-torato di Ninive, la prima area occupata dai mili-ziani di D. Con loro, esperti dipeacebuildingstanno immaginando come superare le vendettetra le comunit per far rientrare gli sfollati, per-ch chi rientra accusa le comunit sunnite localidi aver appoggiato D. A livello istituzionale,paesi come la Norvegia e la Svezia finanzianostudi sulla pace, utilizzando poi i ricercatori performare il proprio corpo diplomatico. ci cheabbiamo chiesto alle istituzioni italiane con unaproposta di legge per la quale abbiamo gi con-segnato alla Camera pi di 50 mila firme. La pro-posta prevede listituzione di un Dipartimento di

    difesa civile non armata e nonviolenta e di un Isti-tuto nazionale di ricerche sulla pace e sul disarmoe corpi civili di pace.

    Composti da chi?

    Da professionisti volontari che si recano nellezone di conflitto a sostegno degli attori locali chesanno come trasformare i loro conflitti. Quindiportando non soluzioni bens idee creative,esempi di buone pratiche da altri paesi, prote-zione e visibilit. La nostra missionprincipale infatti rafforzare le associazioni locali.

    Qualche esempio pratico?

    Ne faccio tre. Nella provincia di Ninive, in Iraq,abbiamo appena terminato una formazione alleattiviste, giornaliste e funzionarie pubbliche sulruolo delle donne nella gestione della pace e del-la sicurezza. Spesso in materia di sicurezza non sichiede il loro parere. Mentre nelliconografia deimedia le donne di Mosul sono le schiave di D-, che una realt tristissima, nessuno andato

    a chiedere alle altre donne della provincia: comesconfiggiamo D? Dopo un training iniziale sucome le donne in Irlanda o in Ruanda abbianosvolto un ruolo chiave per la trasformazione deiloro conflitti, stiamo finanziando dei miniprogettidi coesistenza pacifica, come un centro giovani-le gestito da ragazzi e ragazze in uno dei distrettiappena liberato da D. Il secondo esempio in Palestina dove inviamo corpi civili di pace a

    sostegno dei comitati di resistenza popolare non-violenta palestinesi contro la presenza del murodellapartheid che Israele ha costruito per l85per cento dentro il territorio palestinese. Spessoquando i contadini vanno a raccogliere le olivenei propri campi a ridosso del muro vengono mi-nacciati e picchiati dai coloni israeliani degli inse-diamenti vicini. La presenza di volontari interna-zionali quindi fa s che diminuisca drasticamenteil livello di violenza. Un altro gruppo di volontari,poi terzo esempio allinizio di gennaio anda-to nellisola di Lesbo, in Grecia, a fare accoglienzaai migranti che arrivano sui gommoni.

    Con il progredire della globalizzazione

    scrive Ikeda nella proposta di pace 2015 un

    numero sempre maggiore di persone si spo-sta oltre frontiera e molti sono stati costretti

    a riconoscere quel tipo di sguardo discrimina-

    torio che avevano gettato inconsapevolmente

    su altri gruppi quando vivevano nel loro paese

    di origine. Questo rende ancora pi importan-

    te che le persone si allenino a comprendere gli

    altri e a vedere le cose attraverso i loro occhi.Che cosa dire a chi ritiene le migrazioni in atto

    una pericolosa minaccia?

    Io credo che solo chi ha vissuto vicino a personeche provengono da culture differenti pu senti-re il fascino di stare, per esempio, su un autobuscon gente di tutto il mondo. E invece c chi sisente minacciato. un peccato, frutto delligno-ranza e della povert. responsabilit dei nostrigovernanti che non dedicano abbastanza risorseal benessere della popolazione. Se la gente fos-se un po meno affogata dalle difficolt proba-bilmente avrebbe anche pi voglia di guardarsiintorno e capire che i migranti sono compagni diun destino comune che si pu cambiare insieme.