NERONE...NERONE! "Era ancora semivivo quando ad un centurione che, fatta irruzione e fingendo di...

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NERONE "Era ancora semivivo quando ad un centurione che, fatta irruzione e fingendo di volerlo aiutare tamponando la ferita con un proprio mantello, rivolse soltanto queste parole: E' troppo tardi! , e : Questa è fedeltà!. E così dicendo morì, i suoi occhi stralunati si fecero così fissi da ispirare orrore e terrore in coloro che li videro." Svetonio

Transcript of NERONE...NERONE! "Era ancora semivivo quando ad un centurione che, fatta irruzione e fingendo di...

  • NERONE!

    "Era ancora semivivo quando ad un centurione che, fatta irruzione e fingendo di volerlo aiutare tamponando la ferita con un proprio mantello, rivolse soltanto queste parole: E' troppo tardi! , e : Questa è fedeltà!. E così dicendo morì, i suoi occhi stralunati si fecero così fissi da ispirare orrore e terrore in coloro che li videro." Svetonio!

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    Nerone (54-68) Lucio Domizio, figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, quindi discendente di Augusto, dopo un'adolescenza repressa, per le abili manovre della madre, venne adottato nel 50 dall'imperatore Claudio del quale sposò la figlia Ottavia. Tanto si adoperò Agrippina per lui presso Claudio che il figlio di questi, Britannico, fu escluso dalla successione.!

    La successione al padre adottivo Claudio, avvelenato dalla stessa Agrippina, avvenne senza contrasti: Nerone fu acclamato dalle coorti pretorie e il Senato accettò senza discussioni il fatto compiuto, concedendo il potere al giovane imperatore. Egli aveva infatti solo diciassette anni e governarono per lui durante i primi tempi la madre Agrippina e i maestri Lucio Anneo Seneca (il filosofo) e Sesto Afranio Burro (prefetto del pretorio). La sua crudeltà però si rivelò fin dal principio, quando fece avvelenare Britannico. Nerone si proponeva di attuare il programma di Augusto, riservandosi la politica estera e la cura dell'esercito e lasciando al Senato la politica interna, ma questo tentativo di diarchia urtò contro la realtà politica: se la tradizione di Roma repubblicana ancora forte impediva infatti l'instaurazione di un potere imperiale assoluto, si avvertiva sempre più, specie nelle province, la necessità di superare la divisione dei poteri pubblici fra Senato e imperatore.!

    Nerone, fornito di discreto ingegno e di cultura letteraria ma privo di affetti profondi, volle a poco a poco eliminare tutti coloro che potevano creargli opposizioni: dopo Britannico fece uccidere nell'anno 59 la madre, quindi allontanò Seneca dal governo per restare solo a capo dello Stato e nello stesso tempo fece uccidere la propria moglie Ottavia per sposare Poppea Sabina, sottraendola al marito Otone. Gli eccessi e le follie di Nerone non ebbero più limiti, mentre nuovi problemi urgevano ai confini e nelle province esasperate dalle imposte. In Oriente era ripresa la guerra col regno dei Parti per il possesso dell'Armenia; una ribellione era scoppiata in Britannia; nel 66 si ribellarono gli Ebrei di Palestina; agitazioni si ebbero anche in Gallia, sul Reno, nella Mesia, ecc. Ma di ciò poco si occupava Nerone, intento più che altro a esaltare se stesso con gli attributi della divinità. La persecuzione dei cristiani, ai quali l'imperatore attribuì l'incendio di Roma dell'anno 64, forse casuale, finì col suscitare orrore, mentre a screditare Nerone e ad accrescere l'animosità contro di lui contribuì il suo famoso viaggio in Grecia.!

  • Intanto, sulle rovine spianate al centro di Roma era iniziata la gigantesca costruzione della Domus Aurea che assorbiva ingenti ricchezze, aggravando la crisi del tesoro. Nell'anno 58 Nerone aveva tentato una riforma finanziaria, con l'abolizione delle imposte indirette e specialmente dei dazi tra provincia e provincia, sostituendovi un rimaneggiamento delle tasse dirette che colpivano i ceti più ricchi, i proprietari di beni fondiari; ma per l'opposizione suscitata nell'aristocrazia senatoria e l'ostilità dei cavalieri, la legge era stata respinta dal Senato. Più tardi, nel 63, compì una riforma di grande importanza nella storia dell'Impero, diminuendo il piede dell'aureus da 1/40 di libbra d'oro a 1/45, quello del denarius da 1/84 di libbra d'argento a 1/96, realizzando con ciò un buon profitto per lo Stato.!Grande era il malcontento a Roma, dove furono organizzate contro l'imperatore parecchie congiure: a una di queste, capeggiata da Calpurnio Pisone, partecipò forse anche Seneca, che fu costretto a uccidersi. Tuttavia lo scontento non bastò ad abbattere Nerone; furono le insurrezioni militari scoppiate in Gallia con Giulio Vindice, in Spagna con Sulpicio Galba, in Lusitania con Salvio Otone e infine in Africa con Clodio Macro, che costrinsero Nerone a fuggire da Roma; il Senato lo dichiarò nemico pubblico e, coll'appoggio dei pretoriani, proclamò imperatore Galba. A Nerone non restò che farsi uccidere dal liberto Epafrodito (9 giugno del 68).Per una valutazione d'insieme su Nerone occorre tener presente la giovane età in cui assunse il potere, dopo un'adolescenza repressa, e l'inevitabile tendenza a forme di dispotismo e tirannia quando, non più guidato da esperti consiglieri, si trovò solo a reggere l'impero senza adeguata preparazione, in balia di cortigiani che ne esaltarono l'estro poetico e artistico come strumento irresistibile di governo. !

  • La storia degli scavi della Domus Aurea inizia nel XVI secolo, quando artisti e appassionati di antichità si calano dall’alto dei giardini delle Terme di Traiano nelle "grotte" di Nerone, per copiare i motivi decorativi a fresco e a stucco delle volte. - Nel XVII secolo Pietro Sante Bartoli liberò dalla terra alcune stanze del complesso neroniano e pubblicò una serie di disegni tratti dalle decorazioni pittoriche antiche. - Negli anni compresi tra il 1758 e il 1769 papa Clemente XIII svolse i primi scavi regolari nella Domus Aurea, affidati alla direzione dell’architetto inglese O.Cameron. - Nel 1774 l’antiquario romano Mirri fece sgombrare dalla terra sedici stanze, pubblicando un album di sessanta incisioni tratte dai disegni delle decorazioni eseguite da vari artisti. - Negli anni 1811-1814 vennero effettuati gli scavi dall’architetto Antonio De Romanis, che esplorò e liberò dalla terra una cinquantina di stanze, pubblicando subito dopo una planimetria e una relazione delle scoperte. - Ad un secolo di distanza le ricerche vennero riprese da Antonio Muñoz, direttore della Regia Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e degli Abruzzi. Gli scavi nella Domus Aurea ripresero nel 1939, sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, e successivamente negli anni 1954-1957.

  • Nel 1969 la Soprintendenza Archeologica di Roma promosse l’esplorazione del piano superiore e avviò un programma di impermeabilizzazione delle volte. Agli inizi degli anni Ottanta, la Domus Aurea venne chiusa al pubblico per consentire i lavori di restauro e di conservazione delle strutture e degli affreschi. Urgeva, infatti, eseguire immediati e accurati controlli sulla sicurezza statica delle strutture murarie, sullo stato di degrado delle pitture e degli stucchi, sui pericoli derivanti dalle acque piovane. A ciò si aggiungeva l’eccezionale dimensione del complesso antico, formato da 150 stanze per la maggior parte coperte da volte a botte alte tra i 10 e gli 11 metri, che apparve straordinaria agli occhi dei contemporanei di Nerone e che appare straordinaria ancora oggi a noi..

  • La scoperta però, significò anche l'ingresso dell'umidità nelle sale, e questo avviò il processo di lento, inevitabile decadimento. Alla forte pioggia fu attribuito anche il crollo d’una parte del soffitto nel giugno/Luglio 2001.!La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento continua a soffrire di una situazione a rischio, dovuta al traffico, alle radici degli alberi del giardino e ad altri problemi riguardanti l'area, che impediscono di proseguire lo scavo e l'esplorazione.!Il 30 marzo 2010 crolla la volta di ingresso ad una galleria che portava alla Terme Traianee, costruite sopra la struttura neroniana dall'imperatore Traiano nel 104.!

  • Gli impianto monumentali edificati sulla vasta area occupata dalla Domus Aurea sono stati in gran parte cancellati dalle successive edificazioni. La parte meglio conservata della Domus è il padiglione alle pendici del Colle Oppio, ritenuto l’edificio principale dell’impianto. danneggiato dall’incendio del 104 d.C. venne in parte demolito per costruire le terme di Traiano (106-109 d.C.). Si suppone che il palazzo fosse costituito da due grandi cortili poligonali, un’area centrale con all’interno la sala ottagona, un’ala orientale e una occidentale. L’edificio avrebbe avuto una lunghezza di 330 metri. !Nerone affidò la costruzione agli architetti Severo e Celere “...che avevano avuto l’ingegno e l’audacia di creare con l’artificio ciò che la natura aveva negato...” (Tacito, Annali, 15,42).!Per ridurre i tempi della costruzione essi avevano inglobato parte degli edifici risparmiati nell’incendio del 64 d.C.!I resti del piano superiore oggi perduti - due peristili con fontane e il lato breve di un bacino idrico decorato con colonne - mostrano che possiamo identificare il piano nobile del palazzo.!

  • Nei primi anni del suo regno, Nerone aveva fatto costruire la Domus Transitoria (Casa di passaggio), destinata a collegare i possessi imperiali del Palatino con gli Horti Maecenatis. I due grandi settori di proprietà imperiale erano infatti separati da edifici pubblici e dimore private. Nerone, secondo Svetonio avrebbe assistito all’incendio proprio da una torre dei Giardini di Mecenate. Nel corso del terribile incendio del 64 d.C., la casa bruciò interamente (alcuni resti sono stati rinvenuti al di sotto della Domus Flavia): di conseguenza Nerone si fece costruire la più ampia delle dimore imperiali, la Domus Aurea.

  • Svetonio ci narra che "una statua colossale alta 120 piedi (rappresentante Nerone) poteva entrare nel vestibolo della casa; l'ampiezza di questa era tale da includere tre portici lunghi un miglio e uno stagno, anzi quasi un mare, circondato da edifici grandi come città. Alle spalle ville con campi, vigneti e pascoli, boschi pieni di ogni genere di animali selvatici e domestici. Nelle altre parti tutto era coperto di oro, ornato di gemme e di conchiglie. Le sale da pranzo avevano soffitti coperti da lastre di avorio mobili e forate in modo da permettere la caduta di fiori e di profumi. La più importante di esse era circolare e ruotava continuamente, giorno e notte, come la terra. I bagni erano forniti di acqua marina e solforosa. Quando Nerone inaugurò la casa alla fine dei lavori, se ne mostrò soddisfatto e disse che finalmente cominciava ad abitare in una casa degna di un uomo".

  • Tutta questa maestosità occupava un'area immensa: dal Palatino e dalla Velia (dove era il vestibolo, più tardi occupato dal Tempio di Venere e Roma) si estendeva fino all'attuale chiesa di S. Pietro in Vincoli, seguiva via delle Sette Sale e, seguendo le Mura Serviane, arrivava fino al Celio, dove era il Tempio di Claudio, trasformato in ninfeo, per poi raggiungere nuovamente il Palatino. Architetti ne erano stati Severo e Celere, che compirono l'opera in soli quattro anni. Per poco tempo l'imperatore godette del lusso e della ricchezza della dimora da lui ideata; infatti, poco tempo dopo la conclusione dei lavori, Nerone fu condannato a morte ed i suoi successori, volendo cancellare il ricordo dell'odiato imperatore, secondo un rito pressoché identico nei secoli, distrussero le opere da lui volute. Il palazzo fu parzialmente demolito e ricoperto di macerie per fare da fondamenta a nuove costruzioni. Tito e Traiano diedero l'incarico di erigere delle terme sopra il palazzo.

  • L'inglobamento della Domus Aurea nelle nuove costruzioni delle terme, con il conseguente interramento di molte delle sue parti, ne ha reso possibile la conservazione quasi intatta fino al Rinascimento, quando se ne fecero le prime scoperte. Vespasiano fece drenare lo stagno e vi costruì al suo posto l' Anfiteatro Flavio, che verrà in seguito denominato Colosseo proprio a causa del trasferimento, innanzi all'edificio, di quel Colosso in bronzo dorato, raffigurante Nerone, che si ergeva dinanzi al vestibolo della Domus Aurea. Di tutto questo enorme complesso, che aveva l'aspetto più di una villa che di un palazzo, resta soltanto uno dei padiglioni, quello sul Colle Oppio. Proprio questa zona è stata considerata come il punto focale del complesso, dal momento che una delle sale, la "sala ottagona", sarebbe stata orientata sulla posizione del sole al momento dell'equinozio dell'autunno del 64. Il settore occidentale si articola su un grande cortile porticato su tre lati mentre quello settentrionale prendeva l'aspetto di un criptoportico, dalla chiara funzione di sostegno per il retrostante terrapieno. Sul lato meridionale del cortile si aprivano gli ambienti più importanti, al centro dei quali si trovava una doppia sala con due alcove sui lati, nelle quali si sono voluti identificare i cubiculi, ossia le stanze da letto, della coppia imperiale; altri ambienti si disponevano a fianco delle alcove e due di essi dovevano essere ornati di statue, indicate dalla presenza di basi in mattoni nelle absidi. Tutto questo settore, chiaramente privato, si apriva con grandi porte su un portico che si affacciava sulla valle sottostante; oggi questa ricerca di punti di fuga visivi è completamente alterata dagli interventi di età traianea, che hanno murato le porte di queste stanze, così come il grande ninfeo sito a est risulta diviso a metà da un muro di fondazione delle terme. I nomi con cui sono in genere chiamate queste stanze traggono origine dagli elementi pittorici più significativi in esse contenuti, come la "sala della volta delle civette", così detta dai motivi decorativi della volta, riprodotta nei disegni e nelle incisioni del Settecento, la "sala della volta nera" e la famosa "sala della volta dorata", con la sua sfarzosa decorazione a stucchi policromi. Proprio a proposito di pittura, dobbiamo ricordare il livello altissimo della decorazione, fornitoci dagli scarsi frammenti di pittura conservati, che si possono integrare con i disegni degli artisti rinascimentali. Molti di questi venivano ad ispirarsi, infatti, in queste grotte (da qui nacque l'idea della pittura "grottesca") e vi hanno lasciato spesso la loro firma: artisti famosissimi, come Raffaello, Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine e altri, le cui firme graffite o tracciate a nerofumo sulle pareti della domus testimoniano ancora oggi il ricordo della visita, trassero ispirazione dalle pitture e dagli stucchi neroniani per decorare le logge e le stufette di cardinali e aristocratici romani

  • La planimetria del padiglione si suddivide in due grandi ale: quella orientale che si incentra sulla sala ottagonale (n. 128), nucleo di un corpo di fabbrica rettangolare, racchiuso tra due cortili pentagonali già aperti sul paesaggio, attorno ai quali sono disposte le varie stanze; quella occidentale, i cui ambienti circondavano un grande cortile a peristilio (n. 20, ora deturpato e nascosto dalle sostruzioni di Traiano). Nella zona posteriore, in prossimità del colle, vi erano due criptoportici (nn. 19 e 92) impiegati come disimpegno e come rapido passaggio tra le due ali della struttura.Dall’emiciclo di sostegno delle terme di Traiano: si attraversano alcune stanze dell’ala occidentale (nn. 36, 35, 47, 49) passando per l’angolo del portico-giardino, abbozzato da due o tre basamenti di colonne appoggiati per terra; mentre sono tutt’oggi chiuse al pubblico gli ambienti che si affacciavano sul portico stesso, una zona più appartata del padiglione, che alcuni studiosi ritengono fosse quella delle stanze private dell’imperatore. Dopo la stanza 49, ci si trova di fronte al corridoio “delle aquile” (n. 50) dove si può ammirare la raffinata decorazione della volta, conservata solo parzialmente, in cui si alternano aquile ad ali spiegate su clipei con cariatidi, pavoni, grifoni, candelabri entro campiture in blu e rosso. Nel riquadro centrale era affrescato, come tramanda un disegno del Settecento, l’abbandono di Arianna addormentata da parte di Teseo.

  • Le sale 44 e 45 costituiscono una delle costruzioni architettoniche più affascinanti del padiglione: il Ninfeo di Ulisse e Polifemo, al quale si giunge attraverso i corridoio delle Aquile. Non è più apprezzabile pienamente l’effetto prospettico che anticamente si doveva avere dal porticato, sul quale si apriva la vasta sala n. 44 (oggi divisa in due dal muro traianeo) decorata da un doppio colonnato sui lati corti. Da questa stanza si intravedeva, sul fondo, il grande ninfeo (n. 45), con giochi d’acqua e cascata, illuminato dalle tre finestre sui lati: i colori delle pareti, le vasche di marmo, le rifrangenze dell’acqua e il mosaico delle volte creato con tessere di pasta vitrea creavano una luminosità da grotta marina o da acquario. Il mosaico che rivestiva le pareti e la volta del ninfeo, rimastoci soltanto nel tondo centrale, raffigura Ulisse nell’atto di porgere a Polifemo semi sdraiato una coppa piena di vino, bevanda sconosciuta al Ciclope che gli sarà fatale, inebriandolo e permettendo all’astuto acheo di accecarlo.

    La decorazione delle sale però non si ispira soltanto al famoso episodio dell’Odissea, ma anche ad altri episodi tratti dai poemi omerici: il riconoscimento di Achille a Sciro e l’addio di Ettore e Andromaca sono riconoscibili sulle volte delle sale maggiori. D’altronde, altri palazzi imperiali possedevano una sala-ninfeo dove la decorazione scultorea si ispirava alle avventure di Ulisse: il ninfeo di Punta Epitaffio nel palazzo di Claudio a Baia o la grotta-triclinio di Tiberio a Sperlonga, o anche la villa di Adriano a Tivoli o quella di Domiziano a Castel Gandolfo. Questa particolare scelta presuppone una lunga tradizione di lettura dei capolavori epici greci da parte degli aristocratici romani e il piacere di circondarsi degli eroi preferiti, ai quali i potenti imperatori volevano assimilarsi.

    Il ninfeo venne trasformato in un secondo momento e perse il suo significato originario: i colonnati della sala antistante vennero sostituiti con un muro a tre porte e le finestre del ninfeo vennero chiuse per mutarle in nicchie. Probabilmente le nicchie ospitavano statue come quelle dei membri della famiglia di Claudio che decoravano il ninfeo di Punta Epitaffio: i genitori Druso e Antonia, i figli Ottavia e Britannico, entrambi vittime dell’odio e della pazzia di Nerone.

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  • La sala della “volta dorata” è uno degli ambienti più importanti della Domus Aurea per via della sua decorazione che durante il Rinascimento italiano ha determinato una svolta epocale nella pittura decorativa di interni. Difatti, questa sala venne ritrovata nel XV secolo e gli artisti poterono ammirare e copiare le sue decorazioni calandovisi con delle funi attraverso fori praticati nelle volte, essendo le sale interrate: Baldassarre Peruzzi, Giovanni da Udine, Pinturicchio, Taddeo Zuccari e anche Raffaello.

    Oggi, della fastosa decorazione restano soltanto i colori di fondo e le campiture a stucco, mentre le pitture dei riquadri sono totalmente cancellate. Le conosciamo parzialmente grazie ai disegni dei pittori, come l’acquerello realizzato da Francisco de Hollanda nel 1538 e conservato nella Biblioteca dell’Escorial e quello di L. Mirri del 1776, la cui riproduzione con coincide con il primo e testimonia il degrado in cui si trovavano già le pitture.

    In un riquadro centrale era affrescato il rapimento di Ganimede da parte di Zeus, oggi perduto, la volta a botte è divisa in una serie di figure geometriche – rettangoli e quadrati – incorniciati da stucco dorato di vario decoro e con fondi dipinti a colori vivaci, fra cui dominano il rosso e il blu. Nelle campiture erano inserite pitture con soggetti tratti dai miti più conosciuti, come quello di Fedra e Ippolito. Si pensa che l’autore di queste scene, dipinte in stile barocco e ridondanti negli effetti di colore, sia stato Fabullus, pittore di corte di Nerone ricordato da Plinio.

    La luce che riempiva la sala aperta sulla valle probabilmente faceva risplendere le dorature di cui era disseminata la volta e i marmi con i quali erano decorate le pareti: marmi che Traiano fece recuperare da pavimenti e muri prima di chiudere, interrandolo, il padiglione di Nerone.

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  • Dal corridoio 117, che una volta risultava aperto verso l’esterno, e oltrepassando la piccola sala 118 si giunge alla stanza 119 (simmetrica alla 129). La stanza ha forma rettangolare con abside a fondo e originariamente aveva le pareti rivestite di marmi, di cui rimangono gli allettamenti sulla malta; invece, la volta si chiudeva a conchiglia all’altezza dell’abside con lunghi candelabri affrescati sulle pareti e inframmezzati da stucchi ed era splendidamente decorata con sezioni separate dalle cornici di stucco dentro alle quali vi erano figure isolate, disegni ornamentali e quadretti con scene tratte dai miti.

    La scena meglio conservata si trova in una parte laterale della volta e dà il nome alla stanza. Si tratta della scena dell’Illiade in cui Teti per salvare il figlio dai pericoli della guerra lo nasconde a Skyros, presso la reggia di Licomede, vestendolo con abiti femminili e confondendolo tra le figlie del sovrano. Ulisse, però, recatovisi sotto le false spoglie di un mercante, riuscì a smascherarlo offrendo insieme alle spille e ai nastri cari alle donne anche armi da guerriero, sulle quali si appuntarono immediatamente i desideri dell’eroe. L’affresco lo rappresenta mentre, toltosi gli abiti femminili, impugna l’asta e indossa lo scudo al braccio sinistro, mentre Teti cerca inutilmente di fermarlo. Sullo sfondo, è ritratto Ulisse, con il cimiero e l’elmo, circondato dalle donne, mentre alcune fanciulle accerchiano spaventate Achille. La suddivisione s più piani della scena crea un effetto di profondità, evidenziato dalla figura di spalle, dipinta in primo piano. La decorazione è giocata tutta sui colori preferiti da Fabullus, il rosso e il blu, su sfondo chiaro e stucchi dorati.

  • La stanza n. 128 ha forma ottagonale ed è circondata da altre cinque stanze a raggiera, di cui quella al centro (n. 124) è un ampio ninfeo con cascata d’acqua sul fondo che proveniva dal colle del Celio e arrivava attraverso un archetto del criptoportico 92. Le due stanze laterali (n. 123 e n. 125) hanno la pianta a croce e le nicchie hanno volte a botte che si ricongiungono con quella del rettangolo centrale. Le sale contigue, invece, hanno forma rettangolare e si affacciano sull’ottagono al centro che si apriva, a sua volta, sul panorama del lago artificiale e della vallata.

    La stanza ha una grande volta gettata a calcestruzzo che si inserisce sull’ottagono ma diventa emisferica nella parte superiore, senza l’utilizzo di pennacchi, sino al grosso occhio centrale da cui penetra la luce, e illumina, mediante le finestre strombate, anche le stanze laterali. Questa volta rappresenta, nell’architettura romana, uno dei primissimi esempi di volta gettata che diventerà in breve tempo la caratteristica più innovativa e audace della tecnica costruttiva: basti pensare alle coperture delle stanze di Villa Adriana (Tivoli) o alla cupola adrianea del Pantheon.

    Le pareti della stanza centrale e di quelle laterali erano rivestite di marmi, mentre le volte avevano una decorazione differente collegata alla funzione degli ambienti: difatti, le stanze laterali erano coperte di stucchi e pitture con lo stesso disegno, invece il ninfeo era decorato a mosaico come la stanza di Ulisse e Polifemo. Per quanto riguarda la volta della sala centrale, invece, pare non aver avuto alcuna decorazione: infatti si riconoscono tutt’ora i segni delle tavole in legno utilizzate per la gettata di calcestruzzo. Gli studiosi hanno ipotizzato un rivestimento temporaneo, fatto di legno o di un altro materiale asportabile: forse non fu mai ultimata o forse è identificabile con la celebre stanza da pranzo della Domus Aurea, ricordata da Svetonio, che ruotava incessantemente giorno e notte.

    È certo che tutte le stanze del settore orientale avevano funzione di rappresentanza e non strettamente abitativa: infatti, in nessuna di esse vi è un impianto di riscaldamento e non vi sono ambienti adibiti a servizi che possano far pensare ad appartamenti privati. Sembrano, invece, stanze di ricevimento e di apparato, dove ostentare le bellezze della statuaria greca, rubata avidamente da Nerone ai monumenti e ai templi della Grecia.

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  • La sala di Ettore e Andromaca fa pendant a quella di Achille, della quale riproduce la sintassi decorativa. Anche in questa stanza la volta si suddivide in splendide cornici a stucco che inquadrano decorazione a T, strisce a racemi e candelabri con riquadri figurati inseriti in un complicato schema geometrico e con animali fantastici affrontati come arpie, draghi alati, grifoni, pantere, figure floreali. Nel quadretto centrale, quasi del tutto mancante, c’era un tiaso marino, riconoscibile nella figura conservata di un tritone che naviga sul mare. Meglio conservati sono due riquadri laterali, quello che raffigura l’incontro tra Elena e Paride e quello che dà il nome alla stanza e riproduce l’addio di Ettore e Andromaca. Tornano anche in questa stanza, quindi, gli episodi dei poemi omerici a dimostrazione della spiccata preferenza del committente: d’altronde, Nerone era un poeta e un cantore egli stesso.