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Davide, Nell’andare e venire per fuori Napoli Viaggiatori. Circolazioni scambi ed esilio, Anno 1, Numero 2, marzo 2018 ISSN 2532-7623 (online) – ISSN 2532–7364 (stampa) 493 Nell’andare e venire per fuori Napoli, per le fiere, e piazze di questo Regno: produzione e circolazione di ori e argenti nel Regno di Napoli nel XVIII secolo di Diego DAVIDE Università degli studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” DOI 10.26337/2532-7623/DAVIDE Riassunto: Nel XVIII secolo le botteghe orafe napoletane raggiungono un primato artistico e professionale che gli consente di espandere il loro mercato di riferimento alle province del Regno. A tal fine vengono costituite speci- fiche società per commerciare “fuori della capitale”. La varietà delle pro- duzioni offerte è accompagnata da molteplici livelli qualitativi, necessari per venire incontro alle esigenze di una clientela molto diversificata. Proprio in provincia, inoltre, gli orafi napoletani si rifornivano di ori vecchio o rotti da sciogliere e riutilizzare come materia prima per nuove produzioni. Abstract: During the XVIII century, the neapolitan goldsmith workshops at- tained a professional and artistic record, which allowed them to expand their target market to the provinces of the Kingdom. To reach the most distant lo- cations, they established companies to trade «outside the capital». The variety of jewels offered for sale is accompanied by multiple levels of quality capable of intercepting the preferences of different kind of consumers. Furthermore, in the provinces, the neapolitan goldsmiths supplied themselves with old or broken gold to be solved and reused as raw material for new productions. Keywords: Craft guilds, Pedlars, Goldsmiths Sommario: Introduzione – Il mercato orafo del Regno: un monopolio napo- letano? – Il commercio ambulante – Carriere orafe di successo: il sodalizio Ursi Milano – Conclusioni – Fonti – Bibliografia Versione definitiva ricevuta in data 30 gennaio 2018

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Nell’andare e venire per fuori Napoli, per le fiere, e piazze di questo Regno: produzione e circolazione di ori e argenti nel Regno di Napoli nel XVIII secolo di Diego DAVIDE Università degli studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”

DOI 10.26337/2532-7623/DAVIDE

Riassunto: Nel XVIII secolo le botteghe orafe napoletane raggiungono un primato artistico e professionale che gli consente di espandere il loro mercato di riferimento alle province del Regno. A tal fine vengono costituite speci-fiche società per commerciare “fuori della capitale”. La varietà delle pro-duzioni offerte è accompagnata da molteplici livelli qualitativi, necessari per venire incontro alle esigenze di una clientela molto diversificata. Proprio in provincia, inoltre, gli orafi napoletani si rifornivano di ori vecchio o rotti da sciogliere e riutilizzare come materia prima per nuove produzioni. Abstract: During the XVIII century, the neapolitan goldsmith workshops at-tained a professional and artistic record, which allowed them to expand their target market to the provinces of the Kingdom. To reach the most distant lo-cations, they established companies to trade «outside the capital». The variety of jewels offered for sale is accompanied by multiple levels of quality capable of intercepting the preferences of different kind of consumers. Furthermore, in the provinces, the neapolitan goldsmiths supplied themselves with old or broken gold to be solved and reused as raw material for new productions. Keywords: Craft guilds, Pedlars, Goldsmiths Sommario: Introduzione – Il mercato orafo del Regno: un monopolio napo-letano? – Il commercio ambulante – Carriere orafe di successo: il sodalizio Ursi Milano – Conclusioni – Fonti – Bibliografia Versione definitiva ricevuta in data 30 gennaio 2018

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Introduzione

Nelle società di Ancien Regime, in cui la comunicazione non verbale è una componente essenziale dell’interazione tra ceti, suppellettili e accessori in oro e argento, percepiti da un pubblico vasto ed eterogeneo come indicatori di benessere e ric-chezza, sono posizionati al vertice delle preferenze dei consu-matori1. La loro diffusione è stata documentata tra i ceti ege-moni, che vi affidano la rappresentazione del proprio status e della propria superiorità2, tra quelli medi che emulano i compor-tamenti ostentativi adottati dalla classe aristocratica3, presso la Chiesa che trova nello sfarzo lo strumento con il quale sollecitare la devozione4 e persino tra le classi subalterne5. Tutt’altro che secondaria è poi la loro funzione economica: in quanto denaro

1 «L’acquisto di semiofori equivale - scrive Pomian - a quello del biglietto di ingresso in un ambiente chiuso e al quale non si può accedere senza aver riti-rato una parte di quello che si possiede dal circuito utilitario». K. POMIAN, Collezione, in AAVV, Enciclopedia Einaudi, vol.I, Torino, Einaudi 1978, p. 352. Per un maggiore approfondimento sul tema del valore simbolico e co-municativo del consumo si veda M. DOUGLAS, B. ISHERWOOD, Il mondo delle cose. Oggetti, valore, consumo, Bologna, Il Mulino, 1984. 2 Cfr. R. AGO, Costumi e ricchezze in età moderna, in A. ARRU, M. STELLA (eds.) I consumi. Una questione di genere, Roma, Carocci, 2003, p. 37. 3 Cfr. A. CLEMENTE, Note sulla legislazione suntuaria napoletana in età mo-derna, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», (1) 2011, p. 134. 4 M. PAONE, I lunghi secoli dell’argento, in A. CASSIANO (a cura di), Il ba-rocco a Lecce e nel Salento, Lecce, Galatina 1995, p. 174. 5 Secondo l’economista Ludovico Bianchini, già nel periodo normanno fede-riciano «molto argento ed oro lavorato […] possedettero quei popoli, talché non si ristanno quasi tutti gli scrittori dal ricordare che fin le donne nell’in-fimo volgo se ne ornavano la testa, il collo, il petto». L. BIANCHINI, Storia delle finanze nel Regno di Napoli, edizione a cura di L. De Rosa, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1971, p. 54.

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fungibili, i beni in metallo prezioso costituiscono, per il posses-sore, una riserva alla quale attingere nei momenti di particolare bisogno.

Con l’arrivo a Napoli di Carlo di Borbone (1734), il lusso diventa intrumentum regni6 e l’intera città, nelle sue varie com-ponenti, è chiamata a prendere parte a eventi pubblici di grande valenza simbolica, in cui abbondano l’ostentazione e lo sfarzo7. La politica di prestigio del nuovo sovrano si traduce in una straordinaria occasione di crescita per l’artigianato orafo citta-dino i cui esercenti sono riuniti, fin dal 1380, nella Nobile Arte degli Orefici che é, insieme con la Nobile Arte della Seta e la Nobile Arte della Lana, tra le più ricche e influenti del panorama cittadino8.

Fatta questa breve premessa, volta a inquadrare sia l’og-getto sia il contesto di riferimento del presente lavoro, nelle se-guenti pagine si illustrano le dinamiche di circolazione di oro e argento lavorati nel mercato orafo napoletano a cavallo della metà del Settecento9. La ricostruzione si è basata, quasi esclusi-

6 Cfr. A. CLEMENTE, Il lusso “cattivo”. Dinamiche del consumo nella Napoli del Settecento, Roma, Donzelli, 2011, pp. 52, 192-193. 7 E. PAPAGNA, La Corte di Carlo di Borbone il re “proprio e nazionale”, Napoli, Guida, 2011, pp. 12-13. 8 Indipendentemente dalla loro specializzazione, sono iscritti alla Nobile Arte degli Orefici di Napoli con la qualifica generica di “orefici”, orafi e argentieri, sia negozianti sia fabbricanti, gioiellieri, fabbricanti di galloni con esclusione dei tiratori d’oro e argento e dei battitori di oro e argento che afferiscono a corporazioni autonome. 9 Si veda a tal proposito B. BLONDE, E. BRIOT, N. COQUERY, L. VAN AERT (eds.), Retailers and consumer changes in Early Modern Europe. England, France, Italy and low countries, Tours, Presses Universitaires François Ra-belais, 2005, pp. 5-6, nonché il breve saggio sui consumi scritto da Renata Ago che sottolinea «sappiamo cosa la gente aveva in casa ma ignoriamo in che modo quegli oggetti siano stati acquistati». AGO, Consumi, pp. 35-36.

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vamente, sui documenti di due fondi archivistici: i catasti on-ciari, che contengono significativi elementi di conoscenza della struttura socioeconomica e professionale della popolazione del Regno10, e i registri del notaio Quirizio Ioele. La scelta del notaio non è casuale. Ioele roga a Napoli dal 1745 al 1787 in via della Loggia di Genova, adiacente piazza degli Orefici. Per circa qua-rant’anni è il riferimento della corporazione, di cui dal 1772 è anche cancelliere e segretario, e di alcune famiglie di negozianti orafi, gli Ursi e i Milano in particolare, per i quali stende nume-rosi atti di costituzioni di società, compravendita e fornitura. L’indagine condotta ci ha consentito di allargare le conoscenze relative ai luoghi delle vendite, alla tipologia delle merci ven-dute, all’estrazione sociale degli acquirenti. Il mercato orafo del Regno: un monopolio napoletano?

Secondo un orientamento storiografico ormai consolidato,

a partire dal XVII secolo Napoli diventa un grande centro di esportazione di opere d’arte e di manifatture di lusso. Le botte-ghe orafe della capitale, concentrate nella “piazza” degli Orefici, situata a ridosso della marina e delimitata a nord dalla Piazza Portanova e dalla Giudeca Grande e a sud dalla Loggia di Ge-nova11, in numero mai inferiore alle 200 unità12, conseguono nel Regno, un indiscusso primato professionale e mercantile13. 10 M. MAFRICI (ed.), Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari, Salerno, ESI, 1986. 11 Archivio di Stato di Napoli (da ora in avanti ASNa), Pandetta Corrente, F. 1008, f. 13 12 Archivio Notarile di Napoli (da ora in avanti ANNa), notaio Quirizio Ioele, registro anno 1776, atto 37.

13Cfr. V. PACE, Per la storia dell’oreficeria abruzzese, in «Bollettino d’Arte», 2 (1972), p. 84; E. MATTIOCCO, Gli antichi marchi dell’oreficeria abruzzese, in «Quaderni di Archeologia, storia e arte» 1 (1997), p. 6; R. MAVELLI, Oro, argento et pannamenti di lino, lana e seta-corredi dotali delle

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Al fine di scoprire se tale primazia si sia tradotta in una scomparsa delle botteghe di provincia o se, pure tra le enormi difficoltà dovute a condizioni ambientali sfavorevoli, all’isola-mento per inadeguatezza della rete viaria14, alla miseria delle po-polazioni, un artigianato autoctono era presente e si opponeva all’aggressiva invadenza dei prodotti provenienti dalla capitale, è stato effettuato un saggio dei registri del catasto carolino.

Nell’impossibilità di interrogare la fonte per tutte le uni-versità del Regno, più di un migliaio, si è cercato di individuare sulla base della letteratura secondaria, un certo numero di centri in cui più alta era la provabilità che si fossero insediate botteghe orafe15. Seguendo tali tracce sono stati individuate 58 università e per 42 di esse la documentazione ha dato un riscontro positivo. In ben 9 casi Rivello, Sulmona (9 addetti), Agnone, Pescoco-stanzo, Salerno (11 addetti), Bari (19 addetti), Chieti (23 ad-detti), Monteleone (50 addetti), Lecce (57 addetti) si può parlare di una presenza orafa molto significativa. Con l’eccezione di Te-ramo (7 addetti), Brindisi (6 addetti), Barletta e L’Aquila (5 ad-detti), le restanti 29 Università presentano un numero di orafi compreso tra 1 e 4 unità (Tabella 1). Il dato empirico dice però poco o nulla se non viene letto alla luce della particolare condi-zione in cui versa il Regno in pieno Settecento. Il primo aspetto che va considerato è quello demografico: a Napoli, capitale e spose montanare, in A.M. TRIPPUTI, R. MAVELLI (eds.), Ori del Gargano, Foggia, Grenzi, 2005, p. 85; S. DI SCIASCIO, Maestri argentieri napoletani nella diocesi di Bari (secc. XVII-XVIII) in «Napoli Nobilissima» vol. XXXI, fasc. I-II, (1992), p. 75. 14 G. CIRILLO, Protoindustrie mediterranee: città, verlagsystem nel Regno di Napoli nell'età moderna, Volume IV, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2012, p. 31. 15 Il termine bottega è qui utilizzato in accezione ampia e si riferisce, in gene-rale, alla presenza di attività connesse all’artigianato orafo. Sui molteplici si-gnificati della parola “bottega” si veda N. COQUERY, Tenir boutique a Paris au XVIIIe siècle. Luxe et demi-luxe, Paris, CTHS, 2011, pp. 23-29.

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metropoli europea vive circa 1/5 della popolazione regnicola16. Da un punto di vista economico e produttivo, poi, alla Napoli città di consumo e crocevia di scambi internazionali, fa da con-traltare un contesto provinciale in cui prevale un’economia di sussistenza e dove l’artigianato coinvolge una percentuale della popolazione attiva non superiore all’8%. Fatte tali considera-zioni ci sembra di poter affermare che il dato di maggiore evi-denza emerso dallo spoglio dei catasti, ossia l’abissale differenza esistente tra le duecento e oltre botteghe operative a Napoli e il resto del Regno, esca fortemente ridimensionato e il numero de-gli esercenti, per quanto esiguo, potrebbe costituire una presenza artigianale di quale peso. Dall’analisi abbiamo conferma della capacità dell’aggregato urbano di fare da sprone allo sviluppo delle attività secondarie oreficieria compresa. Ciò spiega come mai a Lecce, che ha una popolazione numerosa e dove le mani-festazioni mondane e religiose tengono alta la domanda, sia di generi di consumo sia di ornamenti, vi sia una ragguardevole presenza di orefici. Stesso discorso può essere fatto per Monte-leone e per Chieti che, sede di Regia Udienza dal 1520 e arcidio-cesi dal 1526, è la residenza di importanti famiglie aristocratiche non solo del patriziato chietino ma anche di importanti casate settentrionali17.

È opportuno chiedersi, a questo punto, quale sia il ruolo delle botteghe provinciali, in che rapporto siano con le omologhe della capitale, se è lecito parlare di antagonismo o è più giusto esprimersi nei termini di collaborazione.

Le indicazioni fornite dai documenti, sembrano suggerire che le botteghe di provincia operino come rivendite delle meglio 16 CIRILLO, Protoindustrie, p. 15. 17 Il dato napoletano va a corroborare la tesi di Daniel Roche per il quale: «l’urbanisation et sa capacité transformatrice ont précedé l’industrie créant l’espace d’une consommation plus vaste». D. ROCHE, Préface in COQUERY, Tenir boutique, p. 13.

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attrezzate botteghe della capitale. Facciamo qui alcuni esempi: Domenico e Antonio Autieri, con bottega nella città di Reggio, stipulano con il negoziante orefice18 Francesco Canonico, di Na-poli, un accordo in base al quale quest’ultimo si impegna a rifor-nirli di ori, argenti e gioie, “bollati con i marchi dei consoli dell’arte degli orefici della città di Napoli” per un totale di du-cati 2876,93. Tra le merci acquistate troviamo: calici, sotto-coppe, candelieri, caffettiere, incensiere, saliere, spade indorate, spade d’argento, orecchini ed anelli di varia fattura19. Canonico è anche il fornitore di Pasquale Iannucci, orefice di Campobasso “di passaggio in Napoli” che acquista ori e argenti lavorati per un totale complessivo di 2000 ducati20. A lui si rivolgono pure Gasparo e Francesco Ferro, “orefici commoranti nella città di San Severo, et al presente in Napoli per causa dell’infrascritto [negozio]” che acquistano per circa 1143 ducati “fioccagli, co-retti, catenaccelli, anelli, perle, abitelli, posate […] tutti mercati con bulli dei magnifici consoli”21.

Dall’orefice napoletano Giuseppe Fumo invece, nel luglio del 1787 Giuseppe Lombardi dell’università di S. Germano, in Terra di Lavoro, acquista 133 anelli d’argento, 134 anelli di ru-bini e altri piccoli oggetti per una spesa complessiva di 300 du-cati22. Il rapporto commerciale tra i due è ben consolidato. Il Lombardi dichiara, infatti, di essersi, negli anni, ripetutamente rivolto al Fumo per l’acquisto non solo di gioielli ma anche di

18 A differenza dei “fabbricanti” non si dedica alla realizzazione di oggetti in oro ed argento ma esclusivamente alla vendita. 19 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1778, atto 29. 20 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1781, atto 25. 21 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1783, atto 22. 22 ASNa, Sacro Regio Consiglio, Ordinamento Zeni, F. 134, anno 1787.

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“ferri per il mestiere” per una spesa complessiva di circa 6.200 ducati23.

Anche il catasto carolino fornisce interessanti indicazioni in tal senso. Nella bottega del leccese Domenicantonio Pascali, sita al Portaggio di San Martino, si trovano ori e argenti, lavorati e non lavorati, per un ammontare di 1200 ducati. La quasi totalità di queste merci è di proprietà del suo corrispondente napoletano l’orefice Nicola Innocenzio Viva. Ci sono poi Giuseppe Ranieli e suo figlio Rosario, di Monteleone, nella cui bottega sono in vendita gioie in oro e argento per un capitale complessivo di 1000 ducati, la metà dei quali sono, però, dell’orafo napoletano Andrea Cappuccio24.

Sarebbe tuttavia riduttivo pensare alla provincia esclusiva-mente nei termini di frontiera di espansione commerciale, poiché questa costituisce un ampio bacino di approvvigionamento della materia prima. Da un documento di bilancio fatto presentare alla Regia Corte di Trani dall’orefice negoziante Nicola Ursi a se-guito del decesso dell’orefice Mengia, suo partner commerciale, emerge che il defunto era solito ricevere da Napoli, tramite i pro-cacci, fibbie, anelli, collane, e a sua volta inviava nella capitale, cassette di ori e argenti vecchi destinati alla fusione e al riuti-lizzo25. A dimostrazione che la pratica fosse diffusa anche in altre province c’é la supplica inviata al Re Ferdinando IV da tale Fortunato de Felice; costui si oppone alla richiesta del ceto orafo, che sulla scorta di un aumento del prezzo delle monete estere chiede un adeguamento del prezzo di vendita dei preziosi, e sot-tolinea come la materia prima utilizzata per la creazione di nuovi lavori non sia costituita da monete forestiere, ma da ori vecchi o

23 ASNa, Sacro Regio Consiglio, Ordinamento Zeni, f. 134, “Maestro Giu-seppe Fumo cum Maestro Giuseppe Lombardi”, anno 1787. 24 ASNa, Catasti onciari, Monteleone, voll. 6622 a 6626. 25 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1777, atto 26.

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rotti inviati dalle province a Napoli affinché siano fusi e riutiliz-zati26. Una conferma arriva, infine, da Raffaele Pepe, studioso di economia e redattore, per il Molise, della statistica murattiana, che parla della capitale come del luogo gli orefici molisani prov-vedono a cambiare l’oro vecchio con il nuovo.

Il commercio ambulante

A contribuire alla diffusione dei prodotti partenopei in pro-

vincia, vi sono quei negozianti orafi napoletani che, riempiti i loro forzieri, raggiungono personalmente i luoghi di commercio. Nei registri del notaio Quirizio Ioele le società “di orefici nego-zianti, e ferianti” costituite nella capitale con il precipuo scopo di “andare e venire […] per le fiere e Piazze di questo Regno secondo gli ordini di lettere messive” sono numerose27. Tali ne-gozi “ambulanti” sono, sotto il profilo giuridico, delle societas in cui un socio finanziatore si lega a uno o più soci minoritari che si accollano l’onere di viaggiare con le merci e di commer-ciarle.

È il socio principale a decidere “il cammino [che] devono fare per fuori […] Napoli” gli altri soci, che investono nella so-cietà esclusivamente “le loro proprie persone, esercizij perso-nali, fatiche [per] vendere, comprare, barattare i lavori”28.

Il loro rapporto, destinato a concludersi generalmente dopo un anno, è regolato da una serie di “patti” che riguardano sia la gestione del negozio, sia quella del tempo libero. I soci minoritari devono “unitamente e non divisamente negoziare la dote di questa suddetta [società e] devono essere intesi in tutti li 26 ASNa, Pandetta Nuova II, F. 1008, f. 14, fol. 57 vº. 27 Sulle società per la vendita in provincia si veda anche A. MASSAFRA (ed.), Produzione, mercato e classi sociali nella Capitanata moderna e contempo-ranea, Foggia, Amministrazione centrale, 1984, pp. 82-84. 28 Ibidem.

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negozi […] restando con ciò proibito a ciascuno di essi di gio-care a qualunque sorta di gioco tanto in bottega quanto in casa terza, né tener conversazione, o pure andarci, anzi li medesimi s’obbligano a non partirsi dalla lor bottega così di giorno come di notte”29. Hanno inoltre l’onere di documentare tutte le vendite effettuate e, a richiesta, renderne conto al finanziatore. I frutti della società sono divisi tra i soci, in proporzione all’impegno profuso, all’atto di scioglimento della stessa. In allegato all’atto di costituzione troviamo l’elenco di tutti i lavori consegnati dal finanziatore agli orefici “ferianti”30. Vale la pena sottolineare la massiccia presenza di gioielli e accessori femminili (piogge, pioggini, ficocelle, cannacche, verghette, indirizzi con diamanti, croci ed orecchini), seguiti da suppellettili liturgiche (acquasan-tiere con e senza aspersore, candelieri, ostiere, reliquiari, croci-fissi, incensiere, pissidi), accessori da uomo (fibbie per cravat-tini, bastoni, spade e sciabole di varie dimensioni e fattura, le diffusissime tabacchiere), e ancora anelli “da creatura”, “da fi-gliola”, ciappe, bottoni, pettenesse, anelli con “fede, santi, serpe, cristi e morte” insieme a un gran numero di apparati quali sotto-coppe, giare per sorbetto, bicchieri “alla marocchina”, saliere “ad uso di Boemia” caffettiere, cucchiaroni nuovi e usati e gli immancabili “nettadenti”.

La varietà delle merci, non dissimili da quelle che tro-viamo nelle botteghe napoletane, fa pensare, oltre a un’unifor-mità di gusto, a una clientela che, proprio come quella parteno-pea, si presenta varia e composita: non solo famiglie aristocrati-che o classe media, ma anche cappelle, monasteri, e nelle aree manifatturiere piccoli artigiani e lavoratori alla giornata31. Basta dare una lettura alla lista dei debitori della società Milano-Ursi 29 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1776, atto 20. 30 Così vengono chiamati i negozianti orefici dediti alla vendita ambulante. 31 Sui salari dei lavoratori dei poli manifatturieri del Mezzogiorno, CIRILLO, Protoindustrie, p. 17.

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del 1756, per avere conferma di quanto appena affermato: ac-canto ai notai Francesco Antonio del Conte e Gervasio Pacileo di Foggia, al conte Angrissola di Trani, troviamo Diomede Va-lentino doganiere di Castel di Sangro, il “tavernaro” Michele Ga-rofalo di Foggia, il barbiere Pietro Pascale di Canosa, il coc-chiere Pietro Litterio, la serva del governatore di Canosa e il servo dell’abate Ciancarella.

Tra i committenti di maggiore prestigio troviamo invece il capitolo della chiesa di S. Cataldo della città di Barletta che af-fida all’orefice Saverio Manzone, per il tramite di Nicola Ursi, la realizzazione della statua del “glorioso San Cataldo”. L’argen-tiere si impegna a realizzare nella sua bottega, insieme con i suoi “mastri e lavoranti”, ed a consegnare nell’arco di un anno una statua in argento del peso di 65 libbre e del valore di 1383.62 ducati32. Il santo, a figura intera, sostenuta da uno scheletro in ferro, con “pastorale con sua mazza tutta indorata, ed alcuni fo-gliami d’argento framischiati”, doveva essere poggiato su una pedana con ossatura in legno rivestita di rame dorato33

Carriere orafe di successo: il sodalizio Ursi Milano

Il negoziante orefice Domenico Milano è, tra quelli pre-

senti nelle carte del Ioele, uno dei più attivi finanziatori di società per la vendita ambulante. Vi compare per la prima volta l’8 ot-tobre 1745 quando costituisce con Nicola Ursi34 una societas per

32 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1775, atti 37 e 63. 33 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1773, atto 56 e registro anno 1774, atto 12. 34 Nicola Ursi deriva le sue fortune dalla costituzione di società per la vendita a Napoli ed in provincia di ori, argenti e gioie. Alla morte del padre France-sco, anch’egli orefice, ne eredita insieme ai fratelli Carl’Antonio e Antonino

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la vendita di oro, argento e gioielli presso “le fiere e le piazze del Regno”35. Dei 10.137,28 ducati di cui è composto il capitale, 804,88 sono crediti concessi da Nicola in varie località della Terra d’Otranto e di Terra di Bari36 nell’ambito di una società tra loro costituita nell’anno precedente, per mano del notaio An-tonio Castellano. Le parti si accordano affinché i profitti ven-gano uniti a quelli realizzati da Gennaro Tortorella, finanziato dal Milano con un capitale di 10.315 ducati di cui 1.087, 25 in crediti da lui concessi nell’ambito di un’altra società stipulata pure questa l’anno precedente, sempre per mano del notaio Ca-stellano. Questa volta però le merci risultano essere state vendute tra la Capitanata, il Molise e l’Abruzzo, la qual cosa lascerebbe intendere che Milano, nel finanziare le due società abbia avuto un’unica strategia di vendita. Egli da un lato, facendo percorrere ai soci direttrici diverse, punta a non creare concorrenza tra loro e dall’altro tenta di raggiungere, nello stesso arco temporale, più luoghi del Regno. Un altro particolare interessante riguarda poi la dislocazione di questi centri che, pur con qualche eccezione, sono situati lungo due delle principali direttrici del Regno, la strada delle Puglie e la strada degli Abruzzi e ciò dimostrerebbe lo stretto legame esistente tra sviluppo della rete viaria e stato dei commerci. Le società sono rinnovate, nelle medesime forme, nel 1746 e nel 1747 mentre nel 1748 si stabilisce che i profitti dovranno essere prima uniti a quelli spettanti a Milano dalla so-cietà Miliano-Lisiano-Pino e poi divisi tra lui, Ursi e Tortorella.

l’attività: al primo dei tre, Carl’Antonio, è affidata la conduzione della bot-tega paterna, ma è insieme al secondo che Nicola realizza i primi “negozi”. ANN, notaio Quirizio Ioele, registro 1770, atto 47. 35 Vedi tabella 2, società stipulata in data 8. 10. 1745. 36 Risultano documentate vendite a Barletta, Bitonto, Altamura, Medugno, Minervino, Venosa, Andria, Corato, Terlizzi.

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Se nel 1749 e nel 1750 i tre negozianti si rivolgono, per il rin-novo delle società, al notaio Giovan Battista D’Aveta37, nel 1751 ritornano da Ioele per la firma di una conventio38 in base alla quale Domenico Milano si obbliga a rinnovare per sei anni con-tinui la società con Ursi e Tortorella, restando proibito a questi ultimi di associarsi con altri negozianti orefici o vendere lavori di altri. Nel 1756, alla morte di Gennaro Tortorella prende il suo posto Giovan Battista Milano, figlio di Domenico, che 14 anni più tardi suggella il sodalizio professionale sposando Gaetana Ursi, figlia di Nicola. Di grande interesse è anche il contratto prematrimoniale rogato in occasione di tale matrimonio. Ben 2000 ducati, dei 2500 che compongono la dote, sono rigirati da Giovan Battista a Nicola affinché li investa, per i successivi tre anni, nelle sue attività di orefice pagando semestralmente ai co-niugi un interesse del 5%39. Nell’agosto del 177240, del 1773, del 1774, suocero e genero si legano in nuove societas, fino a quando il 9 settembre 1775 fondano la “Ragion cantante Nicola Ursi e Giovan Battista Milano”, una tipica societas omnium bo-norum per la gestione della bottega napoletana e di quelle ambu-lanti41. Nella nuova società, Ursi investe le intere sue sostanze, circa 64.000 ducati mentre Giovan Battista vi pone un credito di 808 ducati che vanta nei confronti di Nicola, i 2.000 ducati por-tati in dote da sua moglie Gaetana, nonché il proprio impegno nel condurre personalmente le attività commerciali a Napoli e in provincia. Dal documento si evince anche che la famiglia gode di una condizione agiata: i due nuclei convivono in un apparta-mento al quarto piano di un palazzo di proprietà dell’Ursi sito

37 È questa la ragione per cui non sono presenti nella tabella 2. 38 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1751, atto 40. 39 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1770, atto 33. 40 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1773, atto 39. 41 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1775, atto 41.

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nel Largo degli Orefici, hanno a disposizione un cavallo, un ca-lesse, diversi servitori, facchini, donne di servizio, una nutrice. La società dura ben più a lungo dei due anni stabiliti ed è ancora operativa nel 1779, quando, poco prima di morire, Nicola Ursi fa testamento42 nominando la figlia come sua erede universale. Oltre agli investimenti paterni, Gaetana entra in possesso di un intero edificio situato nel Largo degli orefici e composto da 4 appartamenti grandi, 5 botteghe per uso di orefice e di un palazzo con giardino e cappella sita a Resina. La scomparsa di Nicola non muta le strategie commerciali della famiglia anzi l’attività resta florida e Gaetana partecipa attivamente ai negozi, facendo le veci del marito in sua assenza da Napoli43. Tra il 1786 ed il 1787 Giovan Battista Milano ricopre il ruolo di governatore e tesoriere del Conservatorio di Santa Maria della Purità e dei Monti gestiti all’Arte degli Orefici44.

Conclusioni

Dal XVI secolo il nuovo ruolo assunto da Napoli crea un indotto tale da fare da volano allo sviluppo delle botteghe cittadine che raggiungono una affermazione professionale e artistica che con-sente loro di monopolizzare il commercio regnicolo. La Napoli corpo privilegiato, mercato internazionale, centro politico am-ministrativo, “testa che esangua il corpo”, con il suo straordina-rio potere di attrazione chiama a sé uomini ma anche idee e com-petenze, privando la provincia di risorse economiche ma anche artistiche e di un notevole spirito di intraprendenza. Sono le stesse condizioni per cui Napoli fagocita e schiaccia il resto del

42 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1779, atto 90. 43 ANNa, notaio Quirizio Ioele, registro anno 1780, atti 25 e 26. 44 ASNa, Pandetta Prima Istanza, F. 6, f. 3.

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Regno a mettere il ceto nelle condizioni ideali per realizzare l’in-discusso primato. Tra Sei e Settecento le botteghe di provincia non solo non riescono a esprimere propri stilemi ma non sono né strutturalmente, né artisticamente attrezzate per competere o solo operare parallelamente con quelle della capitale. L’abilità dei maestri si giova, per le commesse più prestigiose, della col-laborazione di artisti del calibro del Vaccaro, del Sammartino, del Solimena che non disdegnano di realizzare modelli e seguire personalmente la realizzazione delle opere. L’abilità dei maestri si giova, per le commesse più prestigiose, della collaborazione di artisti del calibro del Vaccaro, del Sammartino, del Solimena che non disdegnano di realizzare modelli e seguire personal-mente la realizzazione delle opere45. A Napoli ogni officina è un cosmo sinergico di conoscenze, competenze ed è questo che manca in provincia e che segna inevitabilmente la fine “artistica” di quelle esperienze. A ciò si aggiunga una legislazione in mate-ria che, sin dall’epoca vicereale, al fine di controllare la circola-zione dei metalli preziosi, limita fortemente la lavorazione fuori dalla capitale. Ciò detto, se lontano da Napoli non troviamo mae-stri in grado di operare con la stessa perizia dei Guariniello e dei Manzone, non tutte le officine della capitale raggiungono livelli di eccellenza. Un folto gruppo opera allo stesso livello di quelle provinciali, come rivenditori di botteghe più ampie e fornite, o per la fattura di piccoli lavori per i quali è necessario un quanti-tativo non cospicuo di metallo fino, a volte fornito dallo stesso committente che richiede la fusione di oggetti o ornamenti non più al passo con la moda del tempo.

45 Sulla collaborazione tra il Solimena e alcune affermate botteghe napoletane si veda E. CATELLO, Francesco Solimena disegni e invenzioni per argentieri, in «Napoli Nobilissima», 24 (1985), 3-4.

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È poi necessario sottolineare come le botteghe di provin-cia, condotte da orafi del luogo, pur essendo la titolarità ascrivi-bile all’orafo napoletano, configurano un rapporto di “filia-zione” che va a frantumare gli obblighi di residenza nella “piazza”. Crolla l’immagine della bottega abitata da lavoratori rigidamente inquadrati nei tre gradi di maestro-lavorante-gar-zone, etichette queste che mal si adattano ai molteplici ruoli e mansioni dei lavoratori che popolano l’atelier. Una realtà quindi che non è contemplata nello statuto dell’Arte, ma che esiste e che attesta anche per la Nobile Arte degli Orefici di Napoli quella flessibilità, quella capacità di adattamento, che gli storici hanno oramai riconosciuto al mondo corporativo.46

Ben più ampio dei confini segnati dalle mura cittadine, il mercato di riferimento degli orefici napoletani è, quindi, per di-mensioni spaziali e per tipologie di consumatori, ampio e seg-mentato. Se da un lato, la gamma dei prodotti messi in vendita fa pensare a un’uniformità di gusto, dall’altra la notevole diffu-sione di preziosi di oro e argento di qualità inferiore a quella sta-bilita delle leggi del Regno, ci induce a credere che la vera di-scriminante di acquisto, tra una clientela facoltosa e una di scarse potenzialità economiche, sia nella quantità di metallo fino con-tenuto nell’oggetto acquistato e nell’accuratezza della manifat-tura. E’ stato accertato che i preziosi in circolazione nel Regno di Napoli nella seconda metà del secolo XVIII rispondano a più livelli qualitativi. Mentre nel caso di clienti facoltosi, che si ri-volgono a botteghe affermate, sono essi stessi a chiedere il ri-spetto delle norme di produzione, negli altri casi le botteghe sono costrette ad adattare la loro offerta a una domanda che, pur di contenere la spesa, si accontenta di una manifattura grossolana

46 F. TRIVELLATO, Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia e mercati a Ve-nezia tra Sei e Settecento, Roma, Donzelli, 2000, pp. 1-16.

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o di una qualità più bassa. Ciò dimostra che, nonostante la spe-cialità della merce oggetto della trattazione, le dinamiche di ven-dita e consumo non sono dissimili da quelle di molte altre mani-fatture di età moderna. Tab. 1: Sintesi riepilogativa catasti Carlo di Borbone47

Provincia Università Addetti Anno Abruzzo cit. Chieti 23 1754 Abruzzo cit. Ortona 4 1751 Abruzzo cit. Vasto 4 1747 Abruzzo cit. Pescara 2 1754 Abruzzo cit. Castiglione M.M. 1 1752 Abruzzo cit. Lanciano 3 1749 Abruzzo cit. Pescocostanzo 11 1748 Abruzzo cit. Sulmona 9 1754 Abruzzo cit. Teramo 7 1756 Totale provinciale 65 Abruzzo Ult. Penne 2 1754 Abruzzo Ult. L’Aquila 5 1747

Totale provinciale 8 Molise Campobasso 3 Molise Agnone 11 1753 Totale provinciale 14 Capitanata S.Marco Lamis 1 1753 Capitanata Troia 1 1745 Capitanata Foggia 2 1741 Totale provinciale 4 Basilicata Matera 2 1754 Basilicata Rivello 9 1753 Basilicata Potenza 3 1753 Basilicata Genzano 1 1748 Basilicata S. Chirico Raparo 1 1749 Basilicata Senise 1 1753 Totale provinciale 17

47 Rielaborazione da ASN, Regia Camera della Sommaria, Catasti Onciari.

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Terra di Bari Trani 1 1753 Terra di Bari Bari 19 1753 Terra di Bari Barletta 5 1754 Totale provinciale 25 Terra Otr. Lecce 57 1754 Terra Otr. Brindisi 6 1754 Terra Otr. Taranto 3 1755 Terra Otr. Otranto 3 1744 Totale provinciale 69 Principato cit Salerno 11 1755 Principato cit Padula 1 1749 Principato cit Agerola 1 1752 Principato cit Sanseverino 3 1755 Principato cit Cava 1 1755 Totale provinciale 15 Terra Lavoro Piano Sorrento 3 1754 Terra Lavoro Vico Equense 1 Totale provinciale 4 Calabria cit. Cosenza 11 1756 Calabria cit. Rossano 1 1743 Totale provinciale 12 Calabria ult. Catanzaro 2 1749 Calabria ult. Monteleone 50 1746 Calabria ult. Reggio 1 1742 Calabria ult. Oppido mam. 4 1755 Totale provinciale 56 Totale complessivo 281

Tab. 2: Società per la vendita in provincia48

Data Fi-nan-zia-tore

Parti Du-rata

Merci Crediti Tot. Cap.

48 Rielaborazione dai registri di Quirizio Ioele. ASN, notaio Quirizio Ioele, aa. 1745-1756.

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8-10-1745 d. mi-lano

nicola ursi

1 anno

9332.40 804,88 10.137,28

15-10-1745

d. mi-lano

g. tor-torella

1 anno

9228.61 1.087,25

10.315,86

8-10-1746 d. mi-lano

n. ursi 1 anno

10570.06 753,09 11.323,15

19-10-1746

d. mi-lano

g. tor-torella

1 anno

8700.35 680,01 93.80,36

27-7-1747 g. scar-pato

m. so-rica

1 anno

2.700,00 - 2.700,00

22-8-1747 d. mi-lano

n. le-siano

1 mese

6890.00 81,16 6.971,45

7-10-1747 d. mi-lano

g.tor-torella

1 anno

9203.07 507,41 9.710,48

7-11-1747 d. mi-lano

nicola ursi

1 anno

9.772,47 162,62 10.137,28

22-8-1748 d. mi-lano

n. li-siano igna-zio pino g. tor-torella n. ursi

non sta-bi-lita

5.892,54 - 5.892,54

23.8.1749 d. mi-lano

a. sel-lari

1 mese

8.383,51 - 8.353,51

1.10.1749 d. mi-lano

n.ursi g.tor-torella

1 anno

15.138,53

1.701,62

1.6840,15

19.4.1750 igna-zio pino

m.buonomo g. buo-nomo

1 anno

- - 14.123,75

20.10.1753

d. an-za-lone

t. asco-lese

1 anno

11.705,32

1.001,58

11.705,32

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g. asco-lese

n. asco-lese

17-3-1754 a. sta-race s. sta-race

s. desi-derio g. scar-pati

5 mesi

11.145,67

- 11.145,67

18-9-1754 a. sta-race s. sta-race

s. desi-derio g. scar-pati

10 mesi

12.647,38

89,21 12.736,59

21-10-1754

d.azalone g. asco-lese

t. asco-lese n. asco-lese

1 anno

11.835,63

847,25 10.988,38

11-4-1755 D. mi-lano

n. ursi g. tor-torella

1 anno

24.780,06

- 24.780,06

29-10-1755

d. an-za-lone g. asco-lese

t. asco-lese n. asco-lese

1 anno

10.425,27

- 10.425,27

1756 d. mi-lano g. mi-lano

nicola ursi g.b.milano

1 anno

16.633,15

2843,58 19.476,73

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Fonti

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Bibliografia

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