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Flavia Lecciso Serena Petrocchi Nella mente degli adulti significativi Uno strumento di studio e di intervento sulla relazione tra il bambino e alcune figure professionali

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Flavia LeccisoSerena Petrocchi

Nella mente degliadulti significativiUno strumento di studio e di intervento sulla relazione tra il bambino e alcune figure professionali

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I edizione: maggio 2009

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INDICE

Introduzione 11

CAPITOLO 1

LA RELAZIONE ADULTO-BAMBINO SECONDO IL

PUNTO DI VISTA DI ALCUNE FIGURE

PROFESSIONALI

1.1 Introduzione 15

1.2 L’intervista di Alberta sulla relazione con Riccardo 17

1.3 Le riflessioni di differenti figure professionali

sull’intervista di Alberta

24

1.3.1 Le riflessioni di Roberta, un’insegnante di sostegno 24

1.3.2 Le riflessioni di Nadia, una psicologa e psicoterapeuta 26

1.3.3 Le riflessioni di Silvia, un’educatrice 28

1.3.4 Le riflessioni di Simonetta, un’assistente sociale 29

1.4 Alcuni commenti 31

CAPITOLO 2

I PRESUPPOSTI TEORICI

2.1 Introduzione 37

2.2 Le relazioni caregiver-bambino: la teoria

dell’attaccamento, la svolta rappresentazionale, l’apertura

ai caregive multipli

38

2.3 Le relazioni caregiver-bambino: l’applicazione della

teoria generale dei sistemi al contesto scolastico

49

2.4 Alcuni cenni sul ruolo dell’adulto nello sviluppo

mentalistico del bambino

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CAPITOLO 3

UN’INTERVISTA SULLA RELAZIONE ADULTO-

BAMBINO: LA TEACHER RELATIONSHIP

INTERVIEW

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3.1 Introduzione 65

3.2 La Teacher Relationship Interview (TRI) 70

3.3 Le quattro aree di interesse e il primo sistema di codifica 74

3.3.1 Area del contenuto 78

3.3.2 Area del processo 80

3.3.3 Area del tono affettivo 82

3.3.4 Area del dominio specifico 83

3.4 Il secondo sistema di codifica della TRI 84

3.4.1 Sensibilità alla disciplina 85

3.4.2 Base sicura 86

3.4.3 Assunzione della prospettiva propria e altrui 86

3.4.4 Neutralizzazione degli affetti negativi 87

3.4.5 Percezione di efficacia 87

3.4.6 Percezione di inefficacia 88

3.4.7 Rabbia/ostilità 88

3.4.8 Affetto positivo 88

3.4.9 Coerenza globale dell’intervista 89

CAPITOLO 4

LE RAPPRESENTAZIONI DELLA RELAZIONE CON

IL BAMBINO: TRE ANALISI DI INTERVISTE

4.1 Introduzione 91

4.2 Luigia e Marco 93

4.3 Rosaria e Martina 105

4.4 Alberta e Riccardo 112

CAPITOLO 5

UN INTERVENTO CLINICO SULLE

RAPPRESENTAZIONI MENTALI: LA RELAZIONE

TRA IL CAREGIVER PROFESSIONALE E IL

BAMBINO SORDO

5.1 Le origini dell’intervento 121

5.2 Due nodi chiave dell’intervento: le figure coinvolte e i 124

Indice

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Indice 9

contenuti

5.3 I presupposti teorici 125

5.4 Gli antecedenti empirici dell’intervento 129

5.5 Descrizione dell’intervento 135

5.6 Risultati preliminari e considerazioni finali 141

CONCLUSIONI 153

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 159

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LA RELAZIONE ADULTO–BAMBINO SECONDOIL PUNTO DI VISTA DI ALCUNE

FIGURE PROFESSIONALI

1.1 Introduzione

Il presente capitolo si pone due obiettivi generali. Intendiamo inprimo luogo introdurre il lettore all’oggetto di indagine del volume,ossia lo studio della relazione tra l’adulto e il bambino. In secondoluogo ci proponiamo di offrire alcuni esempi di analisi e di utilizzo diuno strumento di studio della relazione caregiver–bambino, che pre-senteremo nei successivi capitoli.Per rispondere al primo obiettivo, nel primo capitolo, presentiamo

la trascrizione di un’intervista rivolta a un caregiver professionale, os-sia una figura affettivamente significativa per il soggetto in fase evolu-tiva che, a partire dal suo ruolo professionale, entra nella vita delbambino e nel suo percorso di crescita1. Come già anticipato,l’intervista che proponiamo rappresenta il focus del volume. Esso, in-fatti, è dedicato proprio a tale strumento di analisi, di studio, di inter-vento della relazione tra il bambino e l’adulto2.Nel primo paragrafo lasceremo dunque la parola direttamente a una

figura professionale, di nome Alberta3, al fine di consentire al lettoredi iniziare a conoscere non solo la struttura dell’intervista, oggetto dianalisi, ma anche il contenuto o le verbalizzazioni che è possibile ot-tenere da un caregiver professionale con tale strumento.Per raggiungere il secondo obiettivo del capitolo presentiamo al let-

tore alcune riflessioni formulate da alcune figure professionali in me-rito all’intervista presentata nel primo paragrafo. Prima di soffermarcisul quadro teorico che fa da sfondo e da cornice all’intero volume eche verrà presentato nel capitolo successivo, intendiamo quindi mo-strare al lettore come l’intervista sulla relazione adulto–bambino, da

1 Per un approfondimento teorico sui caregiver professionali si rimanda al cap. 2, par. 2.2.2 Si rimanda al cap. 3 per una descrizione dettagliata dell’intervista in questione.3 Al fine di garantire il rispetto della privacy delle persone coinvolte, nelle interviste ripor-

tate nel volume sono stati utilizzati nomi fittizi.

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noi qui presentata, possa essere utilizzata da diverse figure professio-nali nel rispetto delle specifiche competenze e dei propri ambiti pro-fessionali e possa rappresentare uno strumento di analisi della relazio-ne fruibile da figure professionali differenti che sono in contatto diret-to o indiretto con un soggetto in fase evolutiva.Nel secondo paragrafo, infatti, riportiamo i commenti

sull’intervista di Alberta formulati da quattro figure professionali dif-ferenti: un’educatrice, un’insegnante di sostegno, una psicologa,un’assistente sociale. In particolare, abbiamo chiesto a ciascuna diqueste figure professionali di leggere l’intervista di Alberta, di scrive-re i propri pensieri, le proprie riflessioni sul materiale proposto alla lu-ce della propria formazione ed esperienza professionale4.Il paragrafo conclusivo del capitolo riporta i nostri commenti sulle

riflessioni delle diverse figure professionali, gli spunti di analisi cheda esse emergono, i punti di raccordo con il sistema di analisi o di co-difica dell’intervista (Pianta, 1999b) da noi utilizzato e presentato neicapitoli successivi. Si rimanda invece al capitolo quarto per una nostrapiù dettagliata analisi dell’intervista di Alberta, che necessita di unaprecedente esposizione del frame teorico e del sistema di codificadell’intervista sulla relazione adulto–bambino.

4 La richiesta rivolta alle figure professionali è stata formulata nel seguente modo: “Stia-mo scrivendo un libro sulla relazione adulto–bambino. Ci servirebbe il suo aiuto: ci interessaconoscere meglio cosa alcune figure professionali pensano e quali sono le riflessioni che pos-sono emergere dal materiale proposto. In modo specifico le proponiamo un’intervista rivolta aun’educatrice, Alberta, sulla sua relazione con un suo allievo, Riccardo. Alberta ha venticin-que anni, è alla sua prima esperienza lavorativa, lavora da due anni come educatrice nellascuola materna in cui Riccardo ha avuto accesso da circa 9 mesi. Riccardo è un bambino di treanni e mezzo, è sordo profondo, figlio di genitori sordi. Il bambino utilizza due forme di co-municazione: a casa, con i genitori (i quali parlano tra loro utilizzando la LIS, ossia la LinguaItaliana dei Segni) adopera preferenzialmente il linguaggio dei segni; nella scuola materna,con gli insegnanti e con i compagni, utilizza in maniera preferenziale il linguaggio orale. Sisenta libera di esprimere qualsiasi tipo di riflessione questo materiale le faccia venire in men-te. Ci interessa conoscere il suo punto di vista come professionista. Scriva, per favore tuttoquello che le sembra emergere dall’intervista”.

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1.2 L’intervista di Alberta sulla relazione con Riccardo

Alberta, venticinque anni, sta vivendo la sua prima esperienza lavo-rativa: lavora da due anni come educatrice in una scuola materna delNord Italia. Riccardo, un bambino di tre anni e mezzo, è entrato in talescuola materna da circa 9 mesi. Il bambino è sordo profondo ed è fi-glio di genitori sordi; utilizza due forme di comunicazione: a casa, coni genitori (i quali parlano tra loro utilizzando la LIS, ossia la LinguaItaliana dei Segni) adopera preferenzialmente il linguaggio dei segni;nella scuola materna, con gli insegnanti e con i compagni, utilizza inmaniera preferenziale il linguaggio orale.

Intervistatrice: «Per favore scelga tre parole che raccontino la sua relazionecon Riccardo5.»Alberta: «Dunque Evoluta; di contrasto/scontro; fiducia, in seguito a questorapporto evoluto.»Intervistatrice: «Ora, per ciascuna parola mi dica una specifica esperienza ouna specifica volta che descrive quella parola. Per “evoluta”, mi dica una vol-ta in cui la sua relazione con Riccardo è stata caratterizzata da questa parola,una specifica volta che le fa venire in mente la parola “evoluta”.»Alberta: «È abbastanza recente nel senso che fortunatamente l’evoluzione c’èstata in questi ultimi tempi. È successo che inizialmente il bambino ogni vol-ta che si provava a fargli capire una cosa, che stava sbagliando, comunque aportarlo verso un atteggiamento un po’ più positivo, reagiva totalmente nega-tivamente, nel senso che si arrabbiava, picchiava, sputava, insultava … ancheperché ha un linguaggio molto buono. Si è evoluta quando le ultime volte incui c’è questo scontro, per esempio ho avuto conferma di questo cambiamen-to l’ultima volta: qualche giorno fa una compagna di classe sorda si è scon-trata con me perché correva e gli ho detto semplicemente di stare un po’ piùattenta, lui ha pensato che io la sgridassi per cui si è arrabbiato e ha iniziato adarmi sberle.. schiaffetti. Fino a poco tempo fa se io fossi intervenuta con ilbambino sarebbe stato un disastro, invece l’ho preso da parte, gli ho spiegatoqual era la situazione, perché io stavo riprendendo la bambina e lui ha riela-borato quello che gli ho detto e si è calmato; per questo si è evoluta in questoultimo periodo.»

5 Proponiamo in questa sede e nel quarto capitolo la sbobinatura delle interviste. La pun-teggiatura è stata da noi aggiunta per cercare di rendere nel migliore modo possibile le pausedel discorso dei caregiver professionali. Inoltre sono state apportate nella trascrizione piccolemodifiche per evitare il riferimento a luoghi o situazioni specifiche che avrebbero potuto por-tare al riconoscimento delle persone coinvolte.

La relazione adulto–bambino

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Intervistatrice: «Va bene. come seconda parola lei mi ha dato contrasto, scon-tro. Mi dica una specifica esperienza o una specifica volta che descrive que-sta parola.»Alberta: «Allora, c’è stata una volta, forse ancora all’inizio più o menodell’anno in cui il bambino non si era comportato molto bene: aveva sputatoaddosso alla mia collega, perché non voleva fare quello che la maestra dice-va, ossia di mettere in ordine e lui non voleva metter in ordine, per cui lui si ègirato e le ha sputato addosso. L’ho preso un attimo da parte, ci siamo sedutisulla panchina e gli ho chiesto una spiegazione sul perché avesse sputato ad-dosso alla maestra, gli ho detto che non doveva farlo e così via.. È stato unoscontro nel senso che lui ribatteva, a volte in modo comprensibile, a volte consproloqui vari che assolutamente non si capivano, erano lallazioni o cose delgenere, incomprensibili. Ribatteva, dicevo, ogni cosa che io dicevo. C’è statoquesto scontro infinito perché poi non riuscivamo a venirne a capo, al chel’ho lasciato sfogare, gli ho detto sfogati pure un attimo e poi riprendiamo ildiscorso. Ho capito che aveva bisogno in quel momento di sfogarsi, ma dopoqualche minuto in cui sono stata pazientemente lì ad ascoltare il suo sfogo,lui mi è sembrato pronto ad ascoltare, ho ripreso quindi il mio discorso: gliho detto che non doveva farlo, gli ho spiegato che quello non era stato un at-teggiamento rispettoso ed educato, gli ho suggerito dei modi diversi per e-sprimere la sua volontà. Certo in quel caso gli ho anche detto che la maestraaveva tutte le ragioni: prima di terminare l’ora tutto deve essere rimesso inordine. La regola è sempre quella, è valida per tutti ed è molto chiara. Inoltreil suo comportamento nei riguardi della maestra non era stato rispettosodell’altro. Però era importante per me fargli capire che ci sono altri modi peresprimere il proprio disappunto, modi che possono portare a risultati più po-sitivi.»Intervistatrice: «Va bene. Come terza parola lei mi ha detto fiducia. Mi rac-conti di una volta che descrive questa parola.»Alberta: «Non è un fatto specifico, ma sono una serie di atteggiamenti che luiha in questo momento, nel senso che prima non ti si avvicinava neanche, per-ché comunque ti studiava, ti teneva a distanza fisicamente proprio, invece a-desso nel momento in cui lo si chiama è diverso. Per esempio l’altro giornol’ho chiamato per andare a fare un’attività e subito, anche con entusiasmo ri-spetto a prima, mi è corso incontro proprio e si è totalmente affidato senzachiedere spiegazioni, si è proprio affidato totalmente e questa è una cosa cheabbiamo fatto un po’ fatica a ottenere, nel senso che è passato dal micronidoalla scuola dell’infanzia quindi ha cambiato maestre, ha cambiato classe, hacambiato compagni, ha avuto dei cambiamenti notevoli anche in famiglia.Per cui questo rapporto ha faticato parecchio a crearsi, questo rapporto di fi-ducia, adesso negli ultimi giorni, dal ritorno delle vacanze più che altro, haproprio fiducia nella figura adulta cosa che prima assolutamente non aveva.»

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Intervistatrice: «Mi dica una volta specifica in cui pensa che lei e Riccardosiete veramente andati d’accordo.»Alberta: «È stata una delle ultime attività che abbiamo fatto: stavamo facendouna attività sulle famiglie, partendo dal fatto che ogni cucciolo ha una fami-glia, successivamente loro capiranno che anche loro hanno una famiglia e co-sì via. È successo che siamo veramente riusciti fare quest’attività io e lui,senza il minimo disagio, con la massima collaborazione, con il massimo en-tusiasmo da parte sua. Tutto ciò mi ha veramente stupita nel senso che prece-dentemente erano sempre scontri su ogni minima cosa, invece adesso proprioè riuscito. Lo ha entusiasmato anche molto l’attività stessa, dava ottime ri-sposte, dava emozione, cosa che difficilmente fa, trasmetteva propriol’entusiasmo che lo colpiva in quel momento lì.»Intervistatrice: «Come si è sentita lei in questa circostanza?»Alberta: «Io, al settimo cielo perché finalmente non si è dovuto sudare settecamicie per ottenere qualcosa da lui. Inoltre mi ha fatto veramente piacereche lui fosse entusiasta.»Intervistatrice: «Come pensa che Riccardo si sia sentito?»Alberta: «Tranquillo, sereno secondo me, senza bisogno di dover contrastare,rilassato… forse rilassato è la parola giusta.»Intervistatrice: «Adesso, mi dica una volta specifica in cui pensa che lei eRiccardo non siete veramente andati d’accordo, una volta in cui non sieteproprio stati in sintonia.»Alberta: «Allora, mi ricordo una volta in cui aveva picchiato, se non sbaglio,un suo compagno… non mi ricordo esattamente cosa fosse successo e ab-biamo tentato di chiarire questa cosa, prima di tutto capire il perché l’avevafatto, nel senso che magari l’altro gli aveva fatto qualcosa e lui aveva reagito;volevo capire il perché si fosse comportato in quel determinato modo e luivoleva farmi capire il perché aveva fatto questa cosa, ma non c’è stata com-prensione, io e lui non siamo riusciti capirci, io non sono riuscita a fargli ca-pire che non lo stavo sgridando, ma volevo solo capire che cosa fosse succes-so e lui al tempo stesso non riusciva a spiegarsi, probabilmente era troppo a-gitato per riuscire a farsi capire e lì è dovuta intervenire la mia collega perchénon riuscivamo a venirne a capo.»Intervistatrice: «Come si è sentita lei in questa circostanza?»Alberta: «Inutile, va bene, era l’inizio dell’anno, io non ho una grandissimaesperienza di lavoro con i sordi per cui probabilmente facevo ancora fatica ioa entrare in relazione con loro, però ero veramente sfinita perché era un pe-riodo che faceva così, per cui era un continuo scontro, non riuscivo proprio atrovare rimedio.»Intervistatrice: «Come pensa che Riccardo si sia sentito?»Alberta: «Totalmente incompreso e questa è la cosa che mi ha fatto più ma-le.»Intervistatrice: «Quali tipo di esperienze sociali crede che siano state partico-larmente difficili o impegnative per Riccardo?»

La relazione adulto–bambino

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Alberta: «Per esperienze sociali possiamo anche intendere il rapporto con lafamiglia, no? Perché per me è il rapporto con la famiglia. Lui ha due genitorisordi, ai quali tenta di fare logopedia, nel senso che lui parla decisamente be-ne per un bambino di tre anni normale e quindi a maggior ragione per unbambino sordo di tre anni. I genitori hanno sempre sopravvalutato questobambino, perché comunque lui riusciva a comunicare e loro no. Di conse-guenza l’hanno fatto diventare un bambino adulto, cosa che noi stiamo cer-cando di riportare indietro perché non è giusto. Io penso che lui viva ognigiorno questo contrasto: a scuola sono bambino, a casa sono un adulto equindi non riesce, secondo me, a trovare una via di mezzo, una mediazione, atrovare un suo ruolo. Penso che questo influisca notevolmente sul suo carat-tere, non sul suo rendimento perché riesce benissimo, ha le sue capacità dilinguaggio, anche di comprensione, per cui sul rendimento non ha effetti tuttoquesto invece sul comportamento tantissimo, perché comunque ti viene pro-prio a dire: “io sono grande”. “no” gli dico “tu sei un bambino, io sono lamaestra, aspetta un attimo che al massimo decido io cosa fare in questo mo-mento, non puoi decide tu”. Lui vive questo contrasto tra casa e scuola percui non riesce a venirne a capo.»Intervistatrice: «Gli insegnanti si chiedono a volte quanto spingere un bambi-no ad imparare ciò che è difficile o al contrario quanto non forzarlo. Mi rac-conti una volta in cui ciò è accaduto per lei con Riccardo.»Alberta: «Fortunatamente Riccardo ha comunque un entusiasmonell’apprendere, nel senso che lui ha vissuto sempre nella condizione di do-ver apprendere, di dover dire meglio una cosa, di dover capire una cosa e cosìvia, per cui di episodi in cui a livello di apprendimento ci sono state delle dif-ficoltà, per adesso per lo meno, non ce ne sono state.. è vero che abbiamopassato un periodo un po’ lungo di inserimento per cui l’apprendimento veroe proprio c’è adesso. Però mi faccia pensare.. beh no… non è vero… in real-tà nelle regole: ecco lui nelle regole fa un po’ fatica, ma perché lui vuol faredi testa sua perchè lui dice è grande, per cui ti dice lui cosa deve fare, quindinell’apprendimento delle regole abbiamo avuto parecchie difficoltà, però nonc’è un episodio preciso, in tutto l’inserimento abbiamo avuto parecchie diffi-coltà a livello delle regole.»Intervistatrice: «In che modo lei e Riccardo avete affrontato questa situazio-ne?»Alberta: «Ho tentato di insistere, siccome lui ritiene di essere grande, ritienedi essere lui che deve insegnare agli altri, ho tentato di valorizzarlo nei mo-menti positivi, nel momento in cui si stava comportando bene gli dicevo:“guarda, Riccardo, fai vedere ai tuoi compagni come sei stato bravo a piegarela bavaglia”, una cosa sciocca, ma una cosa quotidiana, ecco ho tentato di va-lorizzare il bambino nei suoi atteggiamenti positivi, nei confronti degli altri,fargli fare tra virgolette la sua funzione da grande.»Intervistatrice: «Come si è sentita in queste situazioni?»

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Alberta: «Nel momento in cui lui ci contrastava in tutto per tutto mi sonosentita un po’ impotente, nel senso che facevo fatica a farmi intendere, a far-mi ascoltare, io personalmente mi sentivo così. Nel momento in cui riusci-vamo a valorizzarlo, riuscivamo ad avere una risposta da lui mi sentivo sod-disfatta, nel senso che comunque mi rendevo conto che aveva tanto da dimo-strare questo bambino e voleva far vedere proprio che era capace, probabil-mente bisognava proprio trovare il mezzo per riuscire a farlo arrivare a que-sto.»Intervistatrice: «Come pensa che Riccardo si sia sentito?»Alberta: «Lui prima apparentemente sembrava soddisfatto nel riuscire a con-trastarci, ho sempre fatto più fatica a capire se lui si sentiva a disagionell’essere sgridato o se in realtà trovava soddisfazione nel farti arrabbiareproprio. Successivamente quando veniva valorizzato era al settimo cielo, sigongolava proprio.»Intervistatrice: «Mi parli ora di una volta in cui di recente Riccardo si ècomportato male.»Alberta: «Allora, c’è stata una volta in cui eravamo seduti sul tappeto, stava-mo cantando e lui è molto, come tutti i sordi è molto rigido, nel senso: ”io souna cosa. È così, punto. Non puoi cambiarla, altrimenti mi mandi in crisi”.Ho fatto, credo, un errore, non so, ci sto ancora riflettendo perché ho un po’di timore a rifare questa cosa: ho modificato una canzone, l’ho mandato lette-ralmente in crisi, mi sono sentita anche colpevole perché non era mia inten-zione, volevo semplicemente creare un clima un po’ allegro e lui ha reagitoviolentemente, nel senso che inizialmente si è messo a urlare, mi gridava, in-tervallando momenti in cui si faceva comprendere benissimo, perché comun-que ci riesce, a momenti in cui non si capiva niente di quello che diceva esuccessivamente ha iniziato proprio a reagire fisicamente, nel senso proprioche ti picchiava, piangeva, era proprio disperato, ho dovuto proprio contenerequesta sua aggressività perché stava rischiando di far male, di farsi male so-prattutto.»Intervistatrice: «Che cosa ha fatto lei? E perché?»Alberta: «Ah ecco, io ero proprio sfinita e mi sentivo veramente in colpa per-ché mi sono trovata a pensare: adesso cosa faccio? Devo calmarlo, devofermarlo perché comunque lui non si può comportare in questo modo perchécambio qualcosa, perché ogni giorno potrebbe trovarsi di fronte a una situa-zione del genere, però, al tempo stesso, il mio senso di colpa era notevole, alche finalmente sono riuscita a calmarlo, l’ho accontentato nel senso che ab-biamo rifatto la canzone nel modo giusto, però gli ho continuato a spiegareche comunque era un modo per scherzare, non per scherzare su di lui, ma perridere e basta.»Intervistatrice: «Come si è sentita in questa situazione?»Alberta: «Io mi sono sentita veramente a disagio.»Intervistatrice: «Come pensa che si sia sentito Riccardo?»

La relazione adulto–bambino

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Alberta: «Confuso, veramente confuso perché non capiva la situazione, per-ché io avevo cambiato la canzone e perché probabilmente non capiva nean-che perché lo sgridassi, perché comunque lui stava facendo male a se stesso ea noi, penso confuso.»Intervistatrice: «Mi dica una volta in cui Riccardo era agitato o turbato ed èvenuto da lei.»Alberta: «A Santa Lucia. A Santa Lucia tutti i bambini sono arrivati con i lo-ro giochi, lui no. Noi non abbiamo capito perché, non abbiamo neanche chie-sto ai genitori anche perché, essendo sordi, è ancora abbastanza difficile lacomunicazione. Il bambino ha visto questa pista per le macchinine che SantaLucia aveva portato e ovviamente i bambini volevano giocare con questa pi-sta, ma lui invece la voleva tutta per sé. Per cui è venuto proprio a cercarmiperché io dovevo secondo lui spiegare agli altri che doveva giocarci lui, è ve-nuto cercare conforto, mi chiedeva “perché gli altri vogliono la mia pista?”,continuava a dire che era sua e cercava comunque un appoggio da parte mia.»Intervistatrice: «Che cosa ha fatto lei? E perché?»Alberta: «Allora lì la situazione non era facile, cioè il gioco non era suo, percui ho cercato di spiegargli che non era suo. Ho tentato di calmarlo inizial-mente, perché era molto agitato. Ho tentato di spiegargli con calma che co-munque era per giocare insieme, c’erano tante macchinine per cui potevanogiocare insieme e che comunque questa pista andava lasciata a scuola e luipoteva giocarci tutti i giorni che voleva. Ho tentato fare così prima di tuttoper fargli capire che non era realmente sua quella pista per cui doveva lascia-re giocare anche gli altri bambini. Santa Lucia aveva portato la pista per tuttii bambini della scuola, noi facciamo arrivare di solito un gioco per i maschi eun gioco per le femmine. Dovevo fargli capire che il gioco non era suo peròdovevo allo stesso tempo tentare di tranquillizzarlo per cercare di fargli capi-re che comunque lui ci poteva giocare tranquillamente quando voleva, ho ten-tato di mediare.»Intervistatrice: «Come si è sentita in questa situazione?»Alberta: «Un po’ triste.. perché non capivo perché lui non potesse portare ascuola un suo gioco, quindi triste nel dovergli spiegare che comunque quelgioco non era suo, era di tutti i bambini, per cui ero a disagio perché dovevoun’altra volta fargli capire che era lui, in parte, ad essere in errore, nel mo-mento in cui però io pensavo che lui soffrisse di questa situazione.»Intervistatrice: «Come pensa che Riccardo si sia sentito?»Alberta: «Lui era anche qua, secondo me, confuso, perché non c’era chiarez-za in questa cosa, non capiva “perché io non posso dire che è mia questa pi-sta? ci sto giocando io, è mia. Gli altri hanno i loro giochi”. A quest’età co-munque e per tutti difficile il concetto mio, tuo; litigano per cose del genere.»Intervistatrice: «Ogni insegnante ha almeno alcuni dubbi nel momento in cuisi trova ad affrontare i bisogni del bambino. Cosa accade per lei con Riccar-do? In che modo affronta questi dubbi, se li ha?»

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Alberta: «Sì, ho questi dubbi. Noi abbiamo la fortuna di essere in tre sullaclasse, per cui ho la possibilità del confronto comunque. Nel momento in cuisi vede una situazione, se io ho un dubbio, poi io sono quella tra virgolettenuova, sono lì da due anni, per cui sono quella più autorizzata a chiedereconsiglio comunque. Nel momento in cui sono da sola con il bambino non èsemplice, anche se lui ripeto è molto chiaro nel linguaggio, quando ha un bi-sogno lui fa un po’ fatica a esprimerlo, quindi prima devo riuscire a capire,prima devo riuscire a interpretare in modo corretto il suo bisogno e poi devoriuscire a agire nel modo giusto. Per cui c’è sempre un po’.. mi sento sospesaperché non so bene come fare, poi spesso e volentieri nel quotidiano agiscimolto anche di istinto, nel senso se lui piange per qualcosa, mi avvicino, cer-co di capire cosa sta succedendo.»Intervistatrice: «Pensa mai a Riccardo quando è a casa? A che cosa pensa?Alberta: «Sì, lo penso. Desidererei che si sentisse più bambino perché non sicomporta da bambino, anche nel gioco, non è un gioco da un bimbo di treanni. Per cui vorrei che lui fosse più piccolo, che lui fosse veramente unbambino di tre anni e non un bambino di sei. È proprio questo il mio cruccio:come posso fare per aiutarlo ad esprimere il suo lato infantile.»Intervistatrice: «Qual è la sua relazione con la famiglia di Riccardo?»Alberta: «Adesso buona. Inizialmente erano molto diffidenti, questo perchésono cambiate figure, inizialmente facevo anche fatica a dialogare con loro,obiettivamente non si capisce bene quello che dicono. Effettivamente parlameglio Riccardo. Per cui probabilmente io non riuscivo a farmi capire, nonriuscivo a capire loro, di conseguenza c’era questa diffidenza: erano anchemolto sospettosi, talvolta sono arrivati anche ad offendere, nel loro modocomunicativo, poi ho capito che effettivamente loro non volevano offendere,ma era proprio una incapacità di esprimersi correttamente… però ti chiede-vano addirittura “sei sicura di aver cambiato la pila6?” c’era molta diffidenza.Adesso la situazione è migliorata, sarà che il bambino è più tranquillo, è piùrilassato, è migliorato. Noi educatrici abbiamo detto ai genitori che il bambi-no è migliorato ultimamente, per cui si è creato un clima di maggiore fidu-cia.»Intervistatrice: «Che cosa le dà la maggiore soddisfazione nell’esserel’educatrice di Riccardo? Perché?»Alberta: «Il suo riconoscimento, il fatto che lui cerchi me in determinate si-tuazioni, il fatto che lui quando ha bisogno di qualcosa cerca me, forse è unpo’ egoistica questa cosa, però il fatto che comunque se si trova di fronte duefigure, me per esempio e un’altra educatrice comunque si affida totalmente ame, preferisce me e poi il dialogo che comunque siamo riusciti comunque ainstaurare, cioè questa comprensione raggiunta con tanto sforzo, ma ottenutafinalmente. Essere arrivata a questo punto con Riccardo veramente mi riem-

6 L’educatrice si riferisce alla batteria dell’apparecchio acustico di Riccardo.

La relazione adulto–bambino

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pie di soddisfazione. Riuscire a parlare con lui, a farmi capire e capirlo perquello che vuole.»Intervistatrice: «Grazie per aver partecipato a questa intervista. Spero che siastato interessante per lei avere l’opportunità di parlare di questa importanterelazione. Apprezzo che lei abbia condiviso questi pensieri e queste esperien-ze personali con me. Grazie.»

1.3 Le riflessioni di differenti figure professionali7sull’intervista

di Alberta

1.3.1 Le riflessioni di Roberta, un’insegnante di sostegno8

L’intervista di Alberta, educatrice in una scuola dell’infanzia, mipermette di poter fare una riflessione sull’importanza della figura pro-fessionale dell’educatore scolastico e dell’ insegnante di sostegno e, altempo stesso, mi consente di individuare alcune caratteristiche delrapporto che si instaura tra educatore/insegnante e alunno in situazio-ne di handicap.Affronto questa tematica così delicata e ricca di sfumature, essendo

io stessa un’ insegnante di sostegno diventata tale per caso (incorag-giata ad intraprendere questa strada dalla madre di una mia alunna conritardo mentale), poi successivamente per scelta.Il mio intervento non vuole essere un vademecum, un’istruzione

per l’uso, ma è un tentativo di delineare alcuni aspetti della mia pro-fessione, desunti esclusivamente da ciò che è stato ed è tuttora il miopercorso scolastico a contatto con l’ handicap, fatto , come ogni espe-rienza umana, di errori e forse anche di qualche piccolo successo.Lavorare con la disabilità è sicuramente un processo assai comples-

so ed impegnativo, che mette in moto una fitta rete di dinamiche rela-zionali e che non può sfuggire a situazioni di conflitto anche interiore.Il conflitto non deve essere vissuto in senso negativo, ma deve diven-tare elemento di arricchimento, un’ occasione di crescita.

7 Ringraziamo per la disponibilità le figure professionali che si sono lasciate coinvolgerein questo lavoro.

8 Questo sottoparagrafo è stato scritto da Roberta Cantoni.

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Alberta è alla prima esperienza lavorativa e dalle sue risposte spes-so si evince un senso di “solitudine”, di “smarrimento”, quasi un sensodi colpa, di impotenza di fronte alla disabilità; sicuramente questo di-pende dalla sua giovane età e forse anche dalla mancanza di interazio-ne con il team docenti che opera all’interno dello stesso gruppo classe.Spesso mi sono domandata come si possa superare l’isolamento nel

quale “cade” colui che lavora a stretto contatto con l’handicap, e altempo stesso come ci si debba comportare per evitare l’instaurarsi diuna relazione simbiotica con l’alunno.Teorie ce ne sono molte, ma forse i problemi cominciano quando

dalla teoria si passa alla pratica, perché ogni bambino ha un propriovissuto, una propria famiglia, un proprio stile di vita, un proprio per-corso scolastico pregresso, e purtroppo, nello specifico, una propriapatologia, con differenze a volte sostanziali anche all’interno dellastessa.Prima di tutto, secondo me, bisogna avere ben chiaro quale sia

l’obiettivo primario da conseguire nella disabilità, cioè il raggiungi-mento di quelle abilità di autonomia che sono tra gli elementi chemaggiormente incidono sul livello della qualità della vita. Poi bisognasaper e voler collaborare al fine di ottimizzare le energie a vantaggiodegli obiettivi prefissati e ricordarsi che le oggettive difficoltà, le in-comprensioni, soprattutto il sentirsi soli di fronte ad esse, possonopredisporre l’ educatore anche ad una forte frustrazione. Bisognerebbesapere di poter fare senza nutrire senso di onnipotenza o impotenza,proponendo un adattamento realistico e non una sovra o sottovaluta-zione del deficit. I problemi vanno affrontati collegialmente, coinvol-gendo in primo luogo i familiari dell’alunno disabile, i quali possonoovviamente portarne la ferita ed essere quindi a loro volta bisognosi diaiuto, ma sono comunque i nostri migliori alleati e poi naturalmentetutti gli adulti che operano all’interno del gruppo classe. Certo, nel ca-so di Riccardo, l’alunno di Alberta, la situazione è ulteriormente ag-gravata dal momento che entrambi i genitori sono sordi come il figlio,quindi la comunicazione e la relazione possono diventare complicate.In ogni modo, a scuola, Alberta deve sapere che è tenuta ad agire,

in momenti collegati e distinti, ma non separati rispetto ai momentispecifici del personale docente. Deve costruire in accordo con i docen-ti di classe, un proprio piano di lavoro all'interno del Piano Educativo

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Individualizzato, deve interagire con gli altri adulti presenti nell'ambi-to scolastico (docenti curricolari, docente di sostegno, personale ausi-liario, educatori, etc.) e con il personale dei servizi del territorio; deveproporre quanto ritenga utile, opportuno e vantaggioso per l’alunno insituazione di handicap nell'ambito del percorso scolastico, tenendocomunque sempre presente che la diversità va accettata e non “norma-lizzata”.

1.3.2 Le riflessioni di Nadia, una psicologa e psicoterapeuta9

L’intervista di Alberta, relativamente al suo rapporto con Riccardo,è molto interessante, in quanto ritengo che sia piena di stimoli e mipermette di evidenziare alcuni elementi che, personalmente, ritengoessenziali in una relazione di questo tipo.Ho notato un’”evoluzione” all’interno della stessa intervista che ri-

tengo possa essere una metafora dell’approccio tenuto dall’educatricenei confronti di Riccardo.Inizialmente Alberta sembra mettere l’accento su ciò che di sba-

gliato il bambino faceva, su ciò che più la metteva in difficoltà, piutto-sto che indicargli l’atteggiamento considerato più corretto, da lei defi-nito “positivo”. Per esempio, durante l’episodio in cui Riccardo si eraarrabbiato perché una sua compagna era stata rimproverata, si sarebbepotuto rimandargli un apprezzamento per aver preso le difese dellabimba e, successivamente, offrire la spiegazione razionaledell’accaduto.In più momenti Alberta racconta di aver “parlato”, “spiegato”,

“cercato di far capire”, dimostrando una netta preferenza per il pensa-re, piuttosto che per il sentire. Non dobbiamo dimenticarci che Ric-cardo è un bambino di soli 3 anni e mezzo, oltre che essere sordo pro-fondo. Tra l’altro proprio l’educatrice si rammarica del fatto che Ric-cardo venga eccessivamente responsabilizzato dai genitori, non per-mettendogli di vivere appieno la sua infanzia. Ritengo quindi che siaauspicabile utilizzare un modo di comunicare diverso, fatto più di ge-sti e riferito maggiormente a stati emotivi e sensazioni. Per esempio,nel momento in cui Riccardo non si è dimostrato collaborativo nel ri-

9 Questo sottoparagrafo è stato scritto da Nadia Pisanello.

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porre in ordine i giocattoli, si sarebbe potuto mostrargli concretamentecosa avrebbe dovuto fare e cercare di spingerlo a farlo insieme, dandominor peso alle spiegazioni verbali e al rimprovero, tanto più che talemetodo educativo si è dimostrato inefficace in più occasioni. Mi vienein mente la seguente espressione “ti faccio vedere cosa intendo per or-dinare, lo inizio a fare io e poi lo facciamo insieme”, che potrebberorappresentare un modo di utilizzare il canale visivo, nel quale Riccar-do è maggiormente competente.L’entusiasmo poi dimostrato nelle situazioni di attività di gruppo,

credo che dipenda dalla possibilità per lui di dimostrarsi capace, al pa-ri degli altri, e di trovare una via regia per esprimersi. Questo elemen-to mi fa pensare, ancora di più, che le situazioni di accesa discussio-ne, per lo più incomprensibili, rappresentino una fortissima frustrazio-ne e si traducano in una chiusura oppositiva.Ho apprezzato il fatto che l’intervista facesse più volte riferimento

allo stato emotivo sia del bambino che dell’educatrice; sono dell’idea,infatti, che in casi così complessi come quello riportato, sia necessariooffrire agli operatori un sostegno e un supporto psicologico. Albertaparla di un confronto ma non si evince se sia un confronto occasionalecon le colleghe oppure un confronto strutturato in supervisioni, svolteda un esperto esterno.Mi ha colpito il fatto che Alberta riferisca in diverse occasioni di

aver avuto l’impressione che sia Riccardo che i suoi genitori si com-portassero in modo sgarbato per una questione personale nei suoi con-fronti, senza riuscire a vedere la situazione nel complesso e provare apensare che questo atteggiamento potesse essere dovuto piuttosto alloro disagio e non ci fosse l’intento consapevole, da parte loro, di met-terla in difficoltà.L’evoluzione che indicavo all’inizio si riferisce alla maggiore at-

tenzione, da parte di Alberta, agli stati d’animo e ai bisogni di Ric-cardo e al considerare maggiormente gli sforzi di entrambi in chiavepositiva, accomunati dalla volontà di migliorare il loro rapporto e diraggiungere una maggiore serenità.

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1.3.3 Le riflessioni di Silvia, un’educatrice10

Differenti contesti e attività mi hanno permesso di stare e fare conbambini di età compresa tra uno e dieci anni. Nel mio percorso ho a-vuto modo di relazionarmi con bambini diversamente abili inseriti nelgruppo, non in una relazione diadica.Non vi è una ricetta “preconfezionata” da applicare per costruire

una relazione adulto–bambino, con questo non dico che non vi sianostudi e modelli che accompagnino e siano da supporto.Ciò che esprimerò di seguito non sono giudizi sulla relazione tra

l’educatrice Alberta ed il suo alunno Riccardo, ma osservazioni.Ritorna spesso il termine relazione, a mio avviso, punto centrale di

un progetto che si vuole realizzare. In un’istituzione come la scuola,che ha compito educativo e di istruzione, è fondamentale capire che èla relazione tra le persone che fa da veicolo per la comprensione reci-proca, l’apprendimento, l’empatia, l’accettazione e la congruenza.Non c’è comunicazione senza relazione e viceversa. Dall’intervista

emerge che il bambino utilizza due linguaggi differenti per esprimersia seconda del contesto in cui si trova; ciò può avere per il bambinouna valenza positiva perché conosce diverse modalità per esprimersi;una valenza negativa perché motivo di “confusione” se non ha interio-rizzato i modelli di comunicazione che possono causare equivoco efraintendimento, quindi reazioni inaspettate tra i due o più soggetticoinvolti; in particolar modo nel caso dell’intervista perché si tratta diun bambino sordo.L’educatrice descrive diversi episodi in cui vi è incomprensione,

scontro tra lei e l’alunno, indipendentemente dal fatto raccontato, fat-tore costante dovrebbe essere il coinvolgimento del gruppo classe percreare soluzioni utili sia al bambino che al gruppo appunto.La comunicazione implica l’ascolto, modalità efficace di gestione

del disagio altrui; diversi gli episodi descritti in cui si richiama il bam-bino all’ascolto, in primis, deve essere l’insegnante a mostrare interes-se per ciò che l’alunno sta comunicando, poi invitare all’ascolto icompagni, quindi creare un clima tale da favorire l’azione, in tal modo

10 Questo sottoparagrafo è stato scritto da Silvia Bianco.

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il bambino si sente soggetto partecipe ed è ulteriore metodo per gene-rare la fiducia. Nel momento in cui il soggetto si è “guadagnata” la fi-ducia altrui, comunica i propri bisogni, se questo non accade, il bam-bino utilizza altri modi per esprimersi, uno tra questi può essere loscontro che causa offesa, risentimento, così come è descrittonell’intervista: “non si è dovuto sudare sette camicie!; il bambino siinnervosisce; si scontra perché sa di non essere capito…”. Attraversoil gioco, la drammatizzazione, la musica e le più svariate tecniche e-spressivo–manipolative, l’insegnante facilita il bambino a comunicare,a esprimere ed esprimersi.Altro argomento emergente dall’intervista è la famiglia: in più epi-

sodi raccontati dall’educatrice, la famiglia di Riccardo viene menzio-nata, secondo me quasi rivestendo un ruolo marginale e non un valoreaggiunto per il bambino e la scuola. A mio avviso, la famiglia ha ilcompito di collaborare con la scuola perché il bambino prima di esserealunno della scuola è figlio. Nella realtà si nota distanza più che vici-nanza tra scuola e famiglia (in particolar modo quando vi è una situa-zione di sviluppo atipico), come se una delegasse l’altra; allora è com-pito dell’educatore trovare strategie collaborative tra le due agenzieeducative per costruire un lavoro di rete. Tale lavoro coinvolge isoggetti che condividono la quotidianità del bambino, rendendo lorosoggetti attivi; ciò dà un valore aggiunto al progetto educativodell’insegnante. Un progetto comune e continuativo faciliterebbel’apprendimento delle regole perché discusse e condivise e non impo-ste. Un progetto di collaborazione tra insegnante–Riccardo–famigliafondato su una relazione costruttiva, potrebbe far ricevere a Riccardoun giocattolo a scuola a Santa Lucia e portarlo a condividerlo anchecon i suoi compagni, in un clima di fiducia.

1.3.4 Le riflessioni di Simonetta11, un’assistente sociale

Non è facile individuare l’aspetto sul quale concentrare la riflessio-ne (il rapporto educativo? Le relazioni sociali? Il comportamento delbambino? L’atteggiamento dell’educatrice, le sue sensazioni?). Per ri-

11 Questo sottoparagrafo è stato scritto da Simonetta Veronese.

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spondere al quesito che mi è stato posto, ho provato a pensare a ruotalibera ad alcuni aspetti.Mi ha colpito molto il fatto che questo bambino sembri vivere due

realtà quasi parallele e apparentemente in contrasto tra loro: famiglia escuola. Ciò soprattutto dal punto di vista dell’utilizzo del linguaggio(LIS e linguaggio orale) e per il ruolo richiesto ed esercitato (genitoree bambino). A casa Riccardo è importante anche dal punto di vistafunzionale, come porta sul mondo per papà e mamma, ruolo moltoimpegnativo, ma gratificante; a scuola gli viene richiesto di adeguarsie in qualche modo gli viene a mancare la sua “specificità”. Sembramolto grato all’educatrice che lo coinvolge nel lavoro con la famiglia,quasi avesse bisogno di far entrare un mondo nell’altro e trovare unequilibrio tra i due; equilibrio che, quando non c’è, gli provoca disa-gio. Sembra ancora più grato e gratificato nel momento in cui gli vie-ne consentito di trasferire quel ruolo importante a scuola. È fondamen-tali per lui che si creino punti di contatto e di osmosi. Tali punti diven-tano mattoncini di base per la relazione.Colpisce altresì il disagio dell’educatrice che non riesce a decodifi-

care i bisogni del bambino forse anche per una difficoltà di espressio-ne degli stessi da parte di Riccardo, soprattutto quando è agitato o ar-rabbiato. A casa i bisogni di accudimento e di relazione vengono e-spressi con la LIS, a scuola viene richiesta l’espressione verbale: forsel’utilizzo di linguaggi alternativi a scuola (ma tuttavia condivisi dalgruppo della classe anche come gioco) faciliterebbe il percorso di ac-quisizione della fiducia e del passaggio dalla famiglia al gruppo scuo-la, quantomeno in un primo periodo necessario alla creazione di unponte sicuro tra i suoi due mondi.Ciò che è stato il quotidiano per Riccardo fino all’ingresso a scuola

sembra divenuto ad un tratto “sbagliato”: essere una guida per i geni-tori, porre regole, ed esprimersi attraverso segni non paga più. Colpi-sce, infatti, il miglioramento segnalato dall’educatricenell’atteggiamento del bambino in corrispondenza del mutamento diatteggiamento da parte dei genitori. Forse è questo il canale per entra-re in sintonia con Riccardo, il suo “altro”. Poco si sa di come Riccardoha conosciuto e organizzato il suo mondo e le sue relazioni: come rea-gisce alle diverse situazioni fuori dalla scuola? Come si organizza con

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i genitori (ha fratelli?), i cugini, i bambini del vicinato, la nonna e lazia, nel gioco, nel rispetto delle regole in casa e fuori, etc.Colpisce altrettanto il senso di inadeguatezza dell’educatrice, il suo

non sapere come fare, il “tentare” approcci e schemi diversi. Proba-bilmente le sarebbe d’aiuto avere qualche conoscenza più specifica dialcuni strumenti sul lavoro con i bambini sordi e ancora di più infor-mazioni dettagliate sulla situazione specifica del bimbo. La crescitadeve diventare reciproca e triangolare: famiglia, scuola, bambino.

1.4 Alcuni commenti

Le riflessioni dalle diverse figure professionali presentate nel para-grafo precedente ci consentono di sottolineare alcuni aspetti chiave re-lativi all’intervista e al suo possibile utilizzo.Innanzitutto ci sembra doveroso e necessario rilevare come ciascu-

na figura professionale legga e analizzi l’intervista alla luce del pro-prio ruolo e della propria professionalità. Per esempio Nadia, da psico-loga, è attenta a cogliere le dinamiche relazionali non solo tra Albertae Riccardo, ma anche tra Alberta e i genitori del bambino. Sottolinea,ad esempio, come la parola chiave dell’intervista possa essere quelladi “evoluzione”, a indicare una relazione in crescita, all’interno dellaquale l’educatrice diventa più attenta e sensibile agli stati d’animo delbambino ed entrambi concorrono al miglioramento del rapporto. Inol-tre, evidenzia come le situazioni di accesa discussione tra l’educatricee Riccardo creino frustrazione per il bambino, frustrazione che si tra-duce, a sua volta, in comportamenti di “chiusura oppositiva”. Ancora,Nadia cerca di trovare delle chiavi di possibile modifica delle relazionitra Alberta e i genitori di Riccardo, cercando e proponendo una pro-spettiva mentale differente che possa consentire ad Alberta di leggerel’atteggiamento dei genitori in modo differente, meno negativo, noncome intento consapevole di metterla in difficoltà, ma come espres-sione del loro disagio. Infine Nadia sottolinea l’importanza di fornireun sostegno o un supporto psicologico all’educatore.Se invece passiamo ad analizzare il commento di Roberta,

l’insegnante di sostegno, ci accorgiamo come cambia la prospettivadalla quale viene letta e interpretata l’intervista. Sicuramente emerge

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l’obiettivo specifico di chi lavora a contatto con l’handicap: favorirel’autonomia di tali soggetti, ottimizzare le energie, costruire un PianoEducativo Individualizzato. Vengono sottolineate le difficoltà e i sen-timenti legati a tale professione: Roberta parla dei sentimenti di soli-tudine, di smarrimento, di impotenza che si provano di fronte alla di-sabilità. Infine viene colta la necessità del coinvolgimento, nel lavorocon il bambino in difficoltà, non solo dei genitori, ma anchedell’equipe di docenti e di adulti che operano all’interno del gruppoclasse.Il commento di Silvia, l’educatrice, presenta alcuni punti di contat-

to con quello di Roberta. Anche Silvia, infatti, sottolinea l’importanzadella costruzione di un lavoro di rete che si basa sulla possibilità dirintracciare delle strategie collaborative tra l’agenzia educativa fami-liare e scolastica. Emerge, inoltre, il ruolo svolto dall’adulto per gesti-re il disagio del bambino, per generare in lui fiducia, per facilitare lacomunicazione e l’espressione di Riccardo. Infine Silvia evidenzia lacentralità della relazione all’interno del progetto educativo: è la rela-zione che consente lo sviluppo, ampiamente inteso, ossial’apprendimento, l’accettazione, la comprensione reciproca.Le riflessioni di Simonetta, l’assistente sociale, evidenziano

l’importanza del legame tra i due sistemi e i contesti principali perRiccardo: la famiglia e la scuola. Simonetta viene colpita dal fatto cheil bambino sembri vivere due realtà parallele, quasi in contrasto, chedovrebbero invece cercare di costruire dei punti di equilibrio e di con-tatto. Da assistente sociale, abbraccia una specifica concezione dellosviluppo: la crescita non riguarda solo il bambino in fase evolutiva,ma tutti gli attori coinvolti (genitori, bambino, educatrice) ed è conce-pita come un processo di influenza reciproca.Un materiale comune viene dunque analizzato in modo specifico e

queste specificità rendono conto della possibilità non solo di analizza-re la relazione adulto–bambino in virtù di competenze e di disciplinedifferenti, ma anche e soprattutto della possibilità e della proficuità diintegrare le diverse visioni di tale relazione al fine di guardare e di av-vicinarsi a essa in modo più completo e sfaccettato. Questa modalitàdi lavoro consente, a nostro avviso, di accostarsi al bambino eall’adulto “reali”, considerati nella loro complessità.

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È bene però sottolineare come ciascun professionista leggal’intervista non solo alla luce della propria professione, ma anche at-traverso la propria personale esperienza. Questo è un aspetto assolu-tamente previsto e “naturale”, se consideriamo che ciascun professio-nista integra le competenze della sua professione con la propria espe-rienza, ed è proprio tale integrazione che rende ciascuno di noi uniconel proprio lavoro. Tutto ciò ci conferma ulteriormente comel’intervista presentata e più in generale il tipo di lavoro proposto siprestino bene ad essere utilizzati anche per scopi diversi che delinee-remo meglio più avanti12, nel corso del volume, come occasione di ri-flessione e di formazione.Un ulteriore aspetto che intendiamo sottolineare, è relativo al fatto

che nelle diverse riflessioni emerge la necessità o la proficuità di unlavoro di equipe. La relazione adulto–bambino è cioè riconosciutacome inserita all’interno di altre relazioni (per esempio genitore–bambino; genitori–corpo docente; docenti–docenti; educatori–altri a-dulti che operano all’interno del gruppo classe; educatore–supervisoreo esperto esterno…). Tali diversi sistemi relazionali13 non solo intera-giscono tra loro e con la specifica relazione adulto–bambino, ma de-vono anche essere considerati come sostegno e supporto in presenza disituazioni difficoltose. Tale aspetto, come si diceva, è trasversale inmolte riflessioni: fa riferimento a esso l’insegnante di sostegno, maanche la psicologa, l’assistente sociale, l’educatrice.Un ultimo aspetto che ci preme evidenziare, a proposito delle ri-

flessioni presentate, concerne il fatto che molti aspetti sottolineati dal-le figure professionali coinvolte, si ritrovino nelle dimensioni checompongono il secondo sistema di codifica dell’intervista14 (Pianta,1999b), sulla base dei quali l’intervista viene valutata. Si tratta di al-cuni aspetti chiave della relazione adulto–bambino e certamente pro-prio per tale ragione emergono nelle riflessioni delle differenti figureprofessionali.

12 Si veda il Capitolo 5.13 Il tema dei rapporti che intercorrono tra differenti sistemi relazionali e l’importanza loro

attribuita viene considerata, da un punto di vista teorico, nel Capitolo 2 con la Teoria Genera-le dei Sistemi e, da un punto di vista maggiormente applicativo, nel Capitolo 5 quando verràpresentato il percorso di intervento in un contesto clinico.

14 Cap. 3, par. 3.4.

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Per esempio, nel suo commento Roberta pone l’accento sul senti-mento di smarrimento, di impotenza dell’educatrice e quindi di coluiche lavora a stretto contatto con la disabilità. Anche Simonetta evi-denzia il senso di inadeguatezza, il non sapere come fare, il tentareapprocci da parte dell’educatrice di Riccardo. Vedremo come la rifles-sione su tali sentimenti e vissuti si ritrovi nel sistema di codificadell’intervista, da noi utilizzato, con il termine “percezione di ineffi-cacia15”.Silvia evidenzia, nelle sue riflessioni, l’importanze della regole, e

di come l’apprendimento di queste possa essere facilitato dalla discus-sione e dalla condivisione piuttosto che dall’imposizione. Faremo rife-rimento nel sistema di codifica dell’intervista a tale aspetto con la di-mensione “compliance” o “sensibilità verso la disciplina16”.Roberta sottolinea come il lavoro con la disabilità non possa pre-

scindere da situazioni di conflitto, anche interiori e come tale conflittodebba diventare un’occasione di crescita. Tale concetto, a nostro avvi-so, si avvicina molto alla dimensione “neutralizzazione degli affettinegativi17” del sistema di codifica dell’intervista. Punteggi bassi in ta-le dimensione indicano una relazione adulto–bambino caratterizzatadalla capacità dell’adulto di affrontare i sentimenti negativi connessialla relazione, senza tentativi di eludere il conflitto, anche interiore.Nel commento di Nadia, ci sembra importante evidenziare come,

da psicologa, colga due aspetti cruciali della relazione che vengonoconsiderati in maniera specifica nel sistema di codifica dell’intervistadi Pianta.Il primo aspetto è quello che nel sistema di codifica delinea due

dimensioni18: “assunzione della propria prospettiva” e “assunzionedella prospettiva altrui”. Tali dimensioni indicano la capacità del ca-regiver professionale di cogliere rispettivamente i propri stati mentalie quelli del bambino, riuscendo a concepire se stesso e l’altro in ter-mini di agente mentale, con sentimenti, emozioni, pensieri che guida-no il comportamento. Nadia, nel suo commento all’intervista, apprez-

15Si veda Cap. 3, par 3.4.6.

16Si rimanda al Cap. 3, par. 3.3.1 e par. 3.4.1.

17Si veda il Cap. 3, par. 3.3.2 e 3.4.4.

18 Si veda il Cap. 3, par. 3.3.2 e 3.4.3

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za i numerosi riferimenti di Alberta agli stati emotivi propri e di Ric-cardo.Il secondo aspetto colto dalla psicologa è relativo alla costruzione

di una relazione con il bambino più sensibile da parte di Alberta: comegià sottolineato precedentemente, secondo Nadia, Alberta diventamaggiormente sensibile ai bisogni e agli stati d’animo del bambino.Nel sistema di codifica dell’intervista tale aspetto della relazione vieneindicato come “base sicura19”, ossia come la capacità del caregiver diriconoscersi come una base sicura del bambino, come punto di riferi-mento affettivo, in grado di coglierne i bisogni emotivi, affettivi e disapervi rispondere in maniera adeguata.Il rimando a questa dimensione di “base sicura” è presente anche

nel commento di Simonetta, l’assistente sociale, e di Silvia,l’educatrice. Simonetta coglie la difficoltà dell’educatrice a decodifi-care i bisogni del bambino, soprattutto nei momenti di agitazione e dirabbia, e suggerisce, dal suo punto di vista, un percorso perl’acquisizione di fiducia nel contesto scolastico. Silvia in linea genera-le evidenzia il ruolo della relazione come veicolo per lo sviluppo delbambino, e sottolinea come l’ascolto del bambino da parte dell’adultopossa generare gestione del suo disagio e fiducia da parte di Riccardo.

19 Si rimanda al Cap. 3, par. 3.3.1 e 3.4.2

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