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Diario di Viaggio in UzbekistanNel regno di Tamerlano attraverso forti scenari ricchi di storia

Ogni volta che progetto un viaggio a tavolino con la mia cara amica di avventure, Silvana, mi sento sempre euforica, carica di emozione perché vuol dire che stiamo iniziando una nuova esperienza, una nuova avventura, questa volta in Uzbekistan, nel cuore dell’Asia Centrale, e allora viviamo insieme l’attesa…

Io poi, parto con il pensiero, immagino quando poggerò il piede sul predellino dell’aereo e salirò, salirò… mi accomoderò sulla poltrona assegnatami e comincerò a volare non solo con i mezzi reali della “Uzbekistan Air Line”, ma con la fantasia, con i sogni, con le aspettative.


Un nuovo viaggio è sempre un rinascere, un rivitalizzarsi ed ogni volta si prova emozione… e intanto si spazia tra le nuvole, ci si sente leggeri e carichi di adrenalina… Dall’aereo si può guardare dal finestrino e vedere l’infinito.

Allora ci si sente anche piccoli piccoli così sospesi nell’aria, ma la fragilità avvertita non porta mai ansia, bensì gioia: si sta volando verso un paese lontano dal nome difficile, un paese ricco di storia, di natura, di vita.. e noi siamo pronte ad assimilare tutto!


Arrivate a Taskent ci siamo sentite un po’ deluse: la città più grande e cosmopolita dell’Uzbekistan, ricostruita dopo il terribile terremoto del 1966, era abbastanza anonima.. non si poteva dire che fosse brutta, anzi, era moderna, spaziosa, con viali, piazze e parchi ricchi di verde...


...molti monumenti e palazzi imponenti ricostruiti, tra cui la patriottica statua di Tamerlano nell’omonima piazza, circondata appunto da lussureggianti giardini, una statua a cavallo che con la mano tesa pareva indicare e indirizzare il turista verso la rambla locale più importante.


Mi ha invece colpito molto la popolazione della città… gente disparata che non riuscivo a definire. Alcuni avevano i caratteristici tratti mongoli, tipicamente asiatici, altri avevano visi delicati, capelli biondi caratteristici della Russia del nord… coloriti scuri e chiari creavano un guazzabuglio di razze che evidenziavano il disordine di tanti incroci e di tante dominazioni.


Abbiamo perlustrato quella città moderna, ingrigita dagli urbanisti sovietici con vistosi monumenti celebrativi ed edifici religiosi completamente e accuratamente ricostruiti, cercando di apprezzare gli spazi verdi che lasciavamo ampio respiro...


...e poi siamo andate a visitare il “Museo di Arti Applicate” con le belle e rare ceramiche, i tessuti, gli strumenti musicali, i tappeti… c’era addirittura una bellissima moschea, ovviamente ricostruita secondo i canoni dell’epoca… il tutto era avvolto in un’atmosfera artistica di colore e di piacevole allegria.


Dalla zona nuova ci siamo poi spinte nella “città vecchia”, un groviglio di vicoli non sempre praticabili, di case basse, spesso in mattoni rossi.. mi è parso interessante il piccolo mausoleo di Abu Bakr Kaff Shoshi, risalente al XVI secolo, dedicato ad uno studioso islamico del periodo degli Shaybaniti.


Da qui, con una lunga e piacevole passeggiata, siamo salite fino alla collinetta dove era stato eretto il monumento ad Alisher Navoi, il più importante poeta non solo uzbeko, ma di tutto l’oriente medioevale, emblema culturale del paese.

Ci hanno spiegato che Alisher Navoi era stato uomo di stato, statista accreditato e benefattore per varie donazioni… aveva voluto il ripristino di moschee, scuole, biblioteche ed ospedali… aveva inoltre scritto numerose poesie liriche, opere in prosa ed anche trattati scientifici con uno stile sobrio ed elegante… insomma una vera celebrità!


Nel tardo pomeriggio siamo partiti in aereo alla volta di Khiva, al confine con il Turkmenistan, famosa per essere stata un centro di sosta delle carovane in cammino verso la Cina, lungo la via della seta… dall’alba al tramonto fino a quando restavano aperte le porte delle favolose mura che la circondavano, c’era un flusso continuo di cammelli, carovane e viaggiatori.

Siamo arrivate di sera e devo dire che l’impatto è stato a dir poco fantastico… siamo rimaste senza fiato di fronte a quelle mura possenti, gradevolmente illuminate, pervase di bellezza e latente sensualità.

Così forti e prestigiose esse ci hanno subito invitato ad una prima perlustrazione.. e noi, incuranti del buio, abbiamo voluto vedere, entrare in ogni pertugio, salire su alcuni bastioni, toccare con mano le pietre, nonostante la guida ci continuasse a ripetere: “domani, domani!”.


E il giorno dopo abbiamo iniziato la visita in quella città museo, unica nel suo genere, tra le più belle dell’Asia Centrale, tanto da rivendicare, non a torto, il titolo di “la settima meraviglia del mondo”. Siamo entrati in quella fortezza, in parte ricostruita, non solo suggestiva, ma anche inespugnabile, attraverso la Ichon Qala, la “Porta del Padre” ed abbiamo avvertito tutta la potenza della pietra e l’armonia degli spazi che regalavano a quelle mura, nello stesso tempo, solidità e leggerezza.


Subito, all’interno della città, tra i tanti minareti, moschee e madrase, tra i vicoli tortuosi ed accoglienti, spiccava, accanto alla madrasa di Madamin Khan, la grossa, tozza, levigata, incompiuta Kalta Minor, praticamente un suggestivo minareto a forma di cono mozzato dove brillavano al sole piastrelle turchesi di maiolica.


In quell’atmosfera autentica di luogo fuori del tempo ci è apparsa la fortezza Kukhna Ark del XII secolo, anche residenza dei sovrani di Khiva arricchita da un portale in legno finemente lavorato.


Al suo interno tutto era molto caratteristico: in un cortile abbiamo scoperto la “sala del trono” o anche “sala delle udienze” dove i Kha dispensavano giudizi, condanne… l’area circolare intorno era anche destinata alla yurta reale.


Ma il vero gioiello era dato dalla moschea estiva, una costruzione elegante e nello stesso tempo gioiosa con le solite maioliche azzurre, verdi, giallo oro… decorazioni che riprendevano motivi floreali, geometrici…


Proseguendo abbiamo visitato madrase, mercati, altre moschee ci siamo perse tra i vicoli ad ascoltare il rumore dei nostri passi, abbiamo alzato lo sguardo verso quelle costruzioni, con rispetto ed ammirazione per l’arte e la maestria degli abili architetti e artisti di quel lontano passato che stava rivivendo sotto i nostri occhi.. eravamo immersi, circondati, da una cornice veramente unica!

Davanti ad una di queste madrase curiosamente alcuni funamboli si esibivano con acrobazie da brivido!


Anche il palazzo Tosh Khovli chiamato anche “casa di pietra”, ci ha incantato… un tempo era stato l’harem dei Khan, un luogo da “mille e una notte”!

Le pareti della costruzione che si affacciava sul cortile centrale erano coperte da pannelli smaltati di vari colori… risplendevano sotto i raggi del sole e creando riflessi con mille sfumature sembravano raccontarci la storia di imperi fiabeschi.

L’insieme appariva di una opulenza e di una ricercatezza tali da rendere il luogo indimenticabile.


Siamo poi andati alla moschea Juma chiamata anche “La Moschea del Venerdì”, una costruzione tipicamente araba, interessante soprattutto per le 318 esili, ma solide colonne di legno intarsiato che sostenevano il tetto.


Ad ogni angolo i palazzi ci parlavano della potenza dei Khan, ma nello stesso tempo la guida ci ha spiegato come il loro regime avesse fama di estrema crudeltà ed arretratezza…

Khiva veniva ricordata anche per il cruento e disumano mercato degli schiavi, per le turbolenti razzie specie nella vicina Persia…

...e allora guardandomi intorno non riuscivo a rendermi conto di come quell’aspetto infame potesse conciliarsi con la bellezza di un’arte così particolare e raffinata.


Moschee e madrase infatti creavano un tripudio di colore per l’azzurro dei turchesi che parevano sfidare addirittura la volta celeste.. ricordo per esempio la madrasa Islom Huja con l’altissimo, conico minareto.


E poi ancora ampi cortili decorati anch’essi con maioliche azzurre e verdi… perché questo popolo, all’inizio nomade, amava il lusso e quando iniziò a fissare la sua dimora in pianta stabile, volle che i suoi palazzi e le sue moschee gli restituissero, con le elaborate decorazioni in ceramica, in mattoni policromi, i ricami e i colori dei tappeti e delle pareti della sua tenda.


Purtroppo le giornate trascorse in questa città erano agli sgoccioli per cui abbiamo dovuto lasciarla e iniziare il nostro tour attraverso l’Uzbekistan. Per arrivare a Bukhara, la prossima tappa, abbiamo percorso un paesaggio naturale sconfinato, arido, desolato, tinto di giallo… l’Amu Daria, in altre stagioni abbastanza ricco d’acqua, era in secca. Ci guardavamo intorno e immaginavamo le carovane di cammelli dal lungo pelo che percorrevano le piste di sempre.. il tutto era quasi senza tempo!


Arrivati a Bukhara, la città più sacra dell’Asia centrale, ne siamo subito rimaste conquistate… indimenticabile, viva, persino intrigante, con una parte antica che non aveva eguali, e che abbiamo iniziato, il giorno dopo, a visitare.

Ci siamo dirette al Parco Samani dove spiccava uno dei monumenti più antichi della città, una costruzione semplice ed elegante che risaliva al X secolo, il Mausoleo di Ismail Samani…


...l'edificio distaccato dagli altri, era stato costruito all’interno del parco Kirov, aveva una forma cubica, in mattoni di terracotta, sormontato da una cupola al cui interno era sepolto il fondatore della dinastia samanide ed alcuni suoi discendenti. Una leggenda raccontava che, se si voleva veder realizzato un particolare desiderio, bisognava fare tre giri in senso antiorario attorno a quella costruzione.. Noi speranzose ne abbiamo fatti quattro!


Un’altra elegante e semplice costruzione che si ergeva solitaria al centro di un piccolo, antico e anonimo cimitero, era la Chashma Ayub, ovvero “la Fonte di Giobbe”, costruita durante il regno di Tamerlano. Secondo un’altra leggenda Giobbe aveva colpito il terreno con un bastone e di conseguenza ne era scaturita dell’acqua miracolosa che ancora oggi la gente locale beveva per ottenere varie guarigioni.


Costeggiando poi le vecchie mura cittadine, ormai diroccate abbiamo, con piacere, attraversato il mercato agricolo, pullulante di folla che aveva sparso la propria mercanzia per terra tra la polvere...


...il mercato era anche occasione di divertimento per via di spettacoli improvvisati condotti da ambulanti allegri e chiassosi. Mi è piaciuto osservare, oltre i bambini, in particolare le donne, serene, comunicative… quanti visi, quante espressioni diverse che ci sorridevano.. peccato non aver potuto fermarsi a parlare con loro, ascoltarle.. stabilire un contatto che non fosse legato solo a pochi gesti!


Ci siamo poi spinte in centro, in piazza Registan e ci siamo fermate ammirate davanti all’Ark, “la città nella città”, la fortezza imponente dei Khan.

Costruita intorno al V secolo, era probabilmente la più antica struttura della città.. la guida ci ha spiegato che era stata eretta su precedenti fortificazioni e per questo si elevava dal terreno per quasi 50 metri rispetto a tutta la zona che la circondava.

All’interno si poteva ammirare la moschea Juma, più varie sale di ricevimenti, una corte per le incoronazioni dei Khan, alcune residenze anche di nobili e comandanti militari..


Di fronte all’Ark, sempre in piazza Registan, si trovava la pittoresca, incredibile moschea Bolo-Hauz, un piccolo gioiello artistico immerso nel verde, luogo di culto ufficiale dell’emiro.


Nel piazzale antistante l’ingresso una grandiosa rettangolare cisterna d’acqua, a dire il vero, un po’ stagnante, creava uno specchio in cui si rifletteva la bella costruzione.


Nel porticato poi spiccavano venti eleganti e raffinate colonne in legno di noce, olmo e pioppo e proprio accanto all’edificio centrale si stagliava un minareto tronco che sembrava dare a tutto l’insieme una nota particolare di piacevolezza.


Di meraviglia in meraviglia, sempre nella zona vecchia ricca di madrase e moschee, siamo arrivate alla perla della città, la moschea ed il minareto Kalon.


La costruzione era veramente imponente, fatta di cupole, linee rette, archi, colonne e portali di maiolica arabescata in cui l’oro dei mosaici si mischiava all’azzurro, al verde intenso, in infiniti riflessi, rendendo il tutto un luogo pregno di bellezza, un angolo di paradiso!

Accanto alla moschea si ergeva l’altissimo minareto, chiamato anche “della morte” perché da quella torre venivano fatti gettare dall’emiro, i condannati a morte. Nel cortile poi l’emiro Alim Khan aveva fatto costruire un piccolo padiglione personale adibito ai suoi momenti di meditazione e di preghiera.


Qui tutto mi appariva meraviglioso e non sapevo dove posare lo sguardo… la madrasa Mir-Arab, per esempio, con le sue luminose cupole blu contrastava con il marrone degli edifici circostanti.


In quella architettura d’effetto che mi circondava non erano necessarie vetrate e sculture, perché tutto era armonia.. i pilastri cubici, solidi, semplici, imponenti e le linee degli archi davano, da soli, l’idea della preziosità artistica.


L’intensa giornata ci ha portato in vari luoghi tra cui il palazzo estivo dell'ultimo emiro Alim Khan, situato in un romantico luogo tranquillo, nel verde e con tanti uccelli canterini... ed altri di cui non sempre ora ricordo il nome.. eravamo confuse tra la gente, i luoghi religiosi, i bazar, le architetture, persino i tappeti colorati


...e così siamo arrivate al Char Minar, una piccola costruzione molto originale, il posto di guardia di una madrasa. Il suo nome significava “Quattro Minareti” ed in effetti la vedevi già da lontano spiccare semplice, un cubo ai cui vertici i minareti, con le loro azzurre cupole rotonde, sembravano vegliare.


Una breve sosta anche alla moschea più antica della città, la Maghoki Attar, divenuta sede di una mostra di tappeti..


...e poi via verso la vivace e famosa Labi-Hauz, una piazza costruita praticamente attorno ad una vasca, con piccoli ritrovi invitanti dove gli anziani del luogo, con il volto segnato e spigoloso e la loro calvizie nascosta sotto il tipico copricapo locale, trascorrevano, giocando a domino, i momenti di riposo.


In un angolo della piazza spuntava tra il verde la simpatica statua del sufi Hoja Nasruddin, il mitico “folle saggio” che era rinomato per il suo senso dell’umorismo e le sue storie spiritose ed educative. Sempre in questa piazza, comodamente seduti in un piccolo caffé abbiamo concluso il nostro soggiorno a Bukara con uno spettacolo di danze folcloristiche.. colorate, piacevoli, con belle ballerine in costume locale che volteggiavano sinuosamente.


Il giorno dopo ci siamo spostate a Shakhrisabz, la città natale di Tamerlano, chiamata anche “città verde”, un grande complesso monumentale costruito non solo in suo onore, ma anche in memoria di tutta la sua famiglia, la cui via principale si chiamava ancora “Via della Seta!”.


Subito, davanti a ciò che era rimasto del portale d’ingresso del suo “Palazzo Bianco”, l’Ark Saray, la residenza estiva del sovrano, troneggiava la sua statua che sembrava vegliare sui quei frammenti di mura ormai distrutte. Le tracce delle due torri erano però imponenti, alte ben 65 metri e composte di mosaici in ceramica blu, bianchi ed oro contenevano anche una scritta a caratteri cubitali che diceva. “Se metti in dubbio la nostra potenza, guarda i nostri edifici!”


Forse per i musulmani era l’ora della preghiera, ma quel luogo solitario e tranquillo, pareva invitare alla meditazione… ci siamo fermati davanti alla moschea che conteneva la tomba dell’Imam Hazrati, venerato imam iracheno dell’VIII secolo e proprio accanto abbiamo visto l’alto mausoleo a torre, un po’ megalomane, che conteneva la tomba di Jehangir, il primogenito, nonché figlio prediletto di Tamerlano.


Dopo aver goduto del fresco, all’ombra dei platani, nel verde cortile della moschea dell’imam, ci siamo dirette verso un’altra moschea, sempre immersa nel verde, quella di Kok Gumbaz, costruita nel 1437 da Ulug Beg, nipote di Tamerlano, in onore del padre… il luogo era diventato anche il complesso funerario degli antenati di Tamerlano.


Il suo nome letteralmente significava “Cupola blu” proprio per la spettacolare, bellissima cupola rivestita di piastrelle di ceramica blu, che la coronava. La guida ci ha spiegato che intorno alla base della cupola vi era la scritta con piastrelle smaltate bianche: “La sovranità appartiene ad Allah, la ricchezza appartiene ad Allah!”


Lasciata poi anche questa città dove riaffiorava il fascino di un tempo glorioso con tutti i suoi uomini che avevano fatto la storia, abbiamo imboccato il lungo percorso attraverso la steppa verso Samarcanda. Il paesaggio, ricco di scenari forti e fascinosi, ci ha incantato per cui, più volte, ci siamo fermate proprio per ammirare la primavera nella steppa… verde, rosso, giallo… era un tripudio naturale di colori vividi e trasparenti che si estendevano quasi all’infinito regalandoci un’atmosfera di deliziosa serenità!


E così abbiamo raggiunto Samarcanda, la mitica capitale delle regioni storiche della Sogdiana e della Bactriana, nell’impero di Tamerlano, la città eternata da poeti e scrittori tappa fondamentale lungo la via della seta.. con un nome magico che già da solo aveva il potere di conquistare…


Samarcanda purtroppo era stata maltrattata dagli urbanisti sovietici tanto che la parte nuova della città aveva completamente dissolto la magia di un tempo… ma nella parte vecchia erano rimasti monumenti di straordinaria bellezza, fatti innalzare da Tamerlano e dai suoi successori tanto da essere citati da artisti, nostalgici e sognatori come “la Soglia del Paradiso”

Ed in effetti.. sarà stata la suggestione, ma quella città colpiva sempre la fantasia e bisognava proprio ammettere che era bella.....vedendola, persino Alessandro Magno si dice che abbia esclamato: “Per me è più bella della vita!”. Tamerlano aveva ingaggiato i migliori artisti siriani, iraniani, per decorare la città con lo stesso ardore sacro che si ritrovava a Tebe ed a Baalbek.. e allora quando si arriva, per la prima volta, al cospetto di quei monumenti, moschee e madrase con la loro esagerata profusione di maioliche, ceramiche azzurre e verdi e oro… si resta senza fiato.


Come prima visita del nostro tour siamo andate a visitare la Moschea di Bibi-Khanym, un tempo una delle più grandi del mondo islamico, uno dei gioielli fatti edificare da Tamerlano… dopo il terremoto del 1966 era stata in parte ricostruita.


Le leggende intorno a questa moschea erano tante e molto conosciute: Bibi Khanyum, la bella moglie cinese di Tamerlano, aveva deciso di fare una sorpresa al marito edificandogli una moschea… ma l’architetto incaricato della costruzione si innamorò di lei e si rifiutò di terminare i lavori se lei non gli avesse dato un bacio.

Nonostante lei si riparasse la gota con una mano il bacio fu talmente intenso da lasciare il segno, per cui, al suo ritorno Tamerlano, quando lo vide, fece giustiziare l’architetto e ordinò che da quel momento le donne avessero l’obbligo di portare il velo per non diventare una tentazione per gli uomini.

Altre leggende dicevano invece che l’architetto si era buttato da uno dei minareti ed era misteriosamente scomparso.. altre ancora raccontavano che anche Bibi era stata buttata da una torre, ma i moltissimi veli in cui era avvolta, avevano fatto da paracadute, per cui si era salvata!


Nella piazza antistante la moschea, sopraelevato su una piattaforma a due gradini, si imponeva uno splendido tavolo di pietra scolpita su cui veniva un tempo appoggiato il Corano di Osman.


A questo punto ci siamo spinte verso il grande bazar: che spettacolo! I cinque sensi del nostro corpo erano totalmente attivati… la vista di frutta e verdura ordinata in mucchietti colorati, l’odore delle spezie che penetrava nelle narici inebriando quasi, il vociare chiassoso delle donne, il loro richiamo anche gentile a comperare, i morbidi tessuti che non ci stancavamo di accarezzare… ogni sensazione era unica e piacevolissima.


Qui tutto era semplice, spontaneo, le donne sorridenti con i volti distesi, aperti e pronti a comunicare. Sacchi di carote, grano, montagne di ravanelli, frutta secca, di sapone grezzo e di miele a blocchi... tutto era sparso per terra o su traballanti bancarelle.. e intorno aleggiava quell’intenso odore di cumino, di zafferano.


La parte del mercato coperto appariva più buia, ma la massa di colore degli abiti delle donne avvolte in graziosi giubbini di velluto ricamato, sopra sottane sgargianti ravvivava l’ambiente.. e infine i vecchi con la loro barba bianca o i baffi rigogliosi di cui andavano fieri, lo sguardo sereno, comunicavano semplicità e saggezza in un mondo che andava purtroppo scomparendo.


Usciti dal bazar ci siamo dirette al luogo, a mio avviso, più suggestivo della città, la splendida necropoli di Shahr-i-Zindah, ovvero la strada dei sepolcri.. tutti decorati con maioliche e mosaici smaltati stupendi…


Il luogo era chiamato anche “la Tomba del Dio Vivente” perché si riferiva probabilmente al santuario originario che racchiudeva la tomba del cugino del profeta Maometto, che si diceva avesse portato l’Islam in questa regione nel VII secolo…e quindi venerato anche dai pellegrini locali.


Una lunga scala univa la moschea sottostante alla monumentale porta centrale che conduceva ai vari mausolei, poi uno stretto viale lastricato saliva lungo i fianchi della collinetta..


...e quando lo abbiamo percorso, eravamo costrette a fermarci ogni momento per lo stupore: piccoli mausolei, moschee in miniatura erano disposte ai lati della stradina, un’apoteosi di colori, di arabeschi, di cesellature, di contrasti.. era tutto indescrivibile!


Dato che eravamo in tema sepolcrale, siamo andate a visitare il Mausoleo di Guri Amin con la sua cupola scanalata ricoperta da un brillante strato di ceramica policroma, dove predominavano i toni del blu, dal turchese all’acquamarina, passando per l’azzurro.


Quel mausoleo conteneva i sarcofagi sia di Tamerlano che di Ulughbek del XIV secolo, era un monumento incredibilmente modesto per personaggi così significativi nella storia.

Eppure quando siamo entrate nella cripta dove stavano le semplici lastre di marmo abbiamo avvertito ugualmente una sorta di grandezza e sacralità...

...Tamerlano, il condottiero feroce, il conquistatore, il padrone assoluto di quel luogo, non ha potuto riposare tranquillo nella sua tomba…

...è stato più volte traslato per essere studiato, analizzato, si è dovuta verificare la sua vera identità… e solo ora, finalmente, è stato riportato alla pace del sepolcro che aveva voluto per sé.


Approfittando di un cielo sereno che nei primi giorni non ci aveva accompagnato qui a Samarcanda, siamo saliti all’osservatorio di Ulughbeg, purtroppo non era rimasto quasi nulla di tutti i modernissimi strumenti di quel principe astronomo, nipote di Tamerlano… solo una parte semicircolare dell’immenso astrolabio in pietra per l’osservazione delle stelle.


Ulug Bek aveva infatti allestito il più importante osservatorio del Medio Evo che purtroppo andò distrutto in seguito ad una congiura di palazzo, quando il principe astronomo cadde ucciso per ordine del figlio.. solo nel secolo scorso l'osservatorio fu in parte ristrutturato e, al suo interno, venne creato anche un museo in cui si conservavano insieme al sestante, tutti i suoi scritti.


Verso sera una passeggiata ci ha condotto al piccolo diroccato mausoleo di Rukhobod, monumento trascurato ma di grande importanza storica in quanto era la più antica costruzione di Samarcanda edificata alla fine del 1300.


Il giorno dopo ci aspettava la visita più attesa, il gioiello più prezioso della città: la mitica piazza Registan con le tre incomparabili madrase di fronte alle quali siamo letteralmente rimaste senza fiato.


I tre maestosi edifici che la racchiudevano (XVI – XVII sec) con la loro esagerata profusione di maioliche, ceramiche azzurre, ricchi portali e i minareti slanciati facevano di questo luogo un insieme prettamente equilibrato ed armonioso.

Non si trattava solo di edifici meravigliosi, sobri ed armonici, ma anche una conquista architettonica di colore.

La complessità delle decorazioni era ipnotica, persino travolgente, tanto che ci si sentiva piccoli piccoli, in preda ad uno stupore elettrizzante, ad una specie di rivelazione.


A destra spiccava la madrasa Shir-Dar, a sinistra l’altra madrasa di Ulug-Bek e al centro la madrasa di Tilla-Kari… tutto maestoso, spettacolare, indescrivibile, unico!


La madrassa Ulug Bek, era la più antica, e la sua costruzione era stata terminata nel XV secolo… al suo interno ospitava mosaici che raffiguravano soprattutto temi astronomici per ricordare appunto il nipote di Tamerlano, grande scienziato.


Si potevano vedere anche le aule dove si tenevano le lezioni, situate sotto le piccole cupole poste agli angoli della madrasa, le celle dove vivevano gli studenti, e una grande moschea, sul retro.


Le madrase Shir Dar, sul lato est della piazza, e Tilla-Kari, al centro della piazza, erano state terminate più tardi, nel XVII secolo, e i loro mosaici avevano temi presi dal mondo naturale e animale, come testimoniavano i leoni ruggenti raffigurati sul portale d'ingresso della madrasa Shir Dar.

La madrasa Tilla-Kari era rinomata anche per i suoi rivestimenti d'oro e un cortile molto piacevole.


Nel medioevo la piazza Registan era il cuore commerciale della città di Samarcanda, ma lo splendore delle sue madrase era stato riportato ancora di più in auge dopo il restauro iniziato alla fine del secolo scorso…


...tutto quello splendore di mosaici esercitava un tale effetto sul mio animo da farmi sentire distaccata dal resto della gente, dimentica di ogni cosa ed assorbita solo dalla bellezza del luogo.

Mi sentivo felice e guardavo quell’insieme omogeneo non come un’attrazione turistica, ma come un luogo sacro, religioso, dove la gente veniva per studiare il corano, per pregare, per rendere onore ad Allah in quel mondo di magia dove le ceramiche azzurre brillavano confondendosi con l’azzurro del cielo.


Durante il nostro breve soggiorno a Samarcanda il cui nome esotico era già di per se stesso un mito, siamo tornate più volte in piazza Registan, nelle varie ore della giornata e sempre il luogo ci ha incantato.. anche la sera quando le tre madrase, pur spiccando compatte, sembravano avvolte in un’atmosfera di mistero.


Il viaggio a questo punto si era concluso, l’Uzbekistan ci aveva regalato dei momenti di vero incanto e magia.. un altro sogno realizzato che avevo immaginato solo sull’atlante…

I nostri sogni, in fondo, sono come i tasselli di un grande puzzle, tasselli messi alla rinfusa, alcuni nascosti o addirittura caduti a terra e impossibili momentaneamente da realizzare.

Io però, con pazienza da certosino, cerco sempre nel tempo, uno alla volta, di comporre il mio puzzle.. non sempre riesco, non trovando il tassello giusto o le circostanze non mi sono favorevoli e qualche intoppo impedisce il lungo lavoro di costruzione.

Ma poi quando un tassello prezioso si incastra è una gioia immensa.. Samarcanda, Bukara e Khiva erano dei tasselli che avevano da sempre colpito la mia immaginazione e …sono riuscita ad inserirli nel mio mosaico personale.

Il viaggiare era ancora una volta il mio filtro magico rivitalizzante, luminoso che dava un apporto positivo alla mia vita!

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