Nel deserto Un politico o l’altro pari sono! · quella, ad esempio, di attivare veri e propri...

8
in PROSPETTIVA PERSONA “Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1/ TE” MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA Anno XLI - n.6 settembre 2014 Reg. n. 119 del 17-10-1974 - Tribunale di Teramo - R.O.C. n. 5615 Nel deserto Come tanti struzzi con la testa rigorosamente sotto la sabbia, ci ostiniamo, giorno dopo giorno, a seguire le nostre personali divagazioni del pensiero e dell’azione, rivolti più che altro a trarre in “atto” quella “potenza” che si chiama, a dirla com’è, i fattacci nostri, noncuran- ti dell’aspetto reale delle cose che, al momento, dovreb- be far sentire tutto e tutti in uno stato di sospensione mozzafiato. Quanto avviene nel mondo è di una atroci- tà ormai senza veli e non è infondato nemmeno il timo- re di un nuovo conflitto di grande portata. Ci vorrebbe davvero una luce dall’alto capace di produrre un effetto di sinergia nuova, di speranza nella reciprocità, di impegno dell’indivi- duo per la salvezza di tutti, capace di dare sostanza e realtà alla più bella fra le utopie: quella della fratellanza umana. Sere fa, una TV primaria se l’è lasciata scappare questa utopia per bocca di un illustre intervenuto. Costui affermava che l’unica via di scampo sarebbe che ognuno, per il tempo che gli è possibile e nel rispetto delle proprie forze, si faces- se carico di uno, uno che non ha spazio nè diritto di esi- stere. Soccorso senza mediazioni ed all’unica condizio- ne di trovarsi, colui che interviene, fuori dalla fascia di povertà. Ma come dare legale operabilità a tutto ciò? Con rapidi provvedimenti di consenso e corresponsabi- lità da parte dei paesi contraenti. Soprattutto occorre- rebbe, in contemporanea, capire e far capire che la pesante eredità della fuga generale dall’Africa del Nord (e non solo), non è problema europeo, né tantomeno italiano, ma, nella sua essenza, mondiale. Promuovere quindi il coinvolgimento dei vari stati mediante specifi- ci accordi internazionali, conferenze e proposte, come quella, ad esempio, di attivare veri e propri “telethon” per la causa comune con conseguente ricerca di giovani ingegni, tra i tanti senza lavoro, da stipendiare e convo- gliare verso i Paesi emergenti perché insegnino agli autoctoni come sfruttare le proprie risorse e far cammi- nare il proprio Paese. Nel frattempo e nell’attesa dei miglioramenti allo studio, dovrebbe ben trovarsi qual- cuno capace di “alloggiare un pellegrino”, “sfamare un affamato”, “vestire un ignudo” (…o non l’ha detto Qualcuno?). Per tentare tutto questo, e non solo, occorrerebbe certo non dimenticare i guai interni ai nostri stessi Paesi e quindi darsi da fare, parlare, scrive- re, contagiare, sospingere, fino ad arrivare (beate spe- ranze!) ad alleggerire mangiatoie stracolme di fieno per travasarne un po’ in quelle delle“vacche magre” quasi sempre vittime di chi il fieno glielo ruba sotto gli occhi. Si tratta di privi- legi tristemente noti: quelli delle “caste” politiche, le stesse che con- sentono di mantenere in piedi strut- ture inutili, ricche solo di ricchi ladri, etc etc etc. Insomma,via tutto que- sto per giungere a vere sanatorie come quella primaria di salvare le aziende e con esse il lavoro, sgravan- dole seriamente dagli oneri fiscali, distribuendo meglio gli stessi su chi può sostenerli senza piangere e far piangere. Dal fronte opposto, quello cioè dei distruttori, un’ulti- ma nota, ancora prelevata dall’informazione televisiva, che qualche volta riesce a mettere sotto osservazione incredibili realtà scrupolosamente documentate. Così è stato per un dettagliato “reportage” sulla Comunità Europea che mostrava commissioni disertate, aule vuote e vuoti corridoi e stanze (corredate, però, delle più avveniristiche strutture telematiche) sia di convoca- ti che di residenti. Stipendi e diarie da brivido, messa e disposizione di alberghi, posti di acquisto e di ristoro di categoria extralusso, ovviamente gratuiti o a prezzi risi- bili. E chi guarda tutto ciò resta lì come un cretino, senza il diritto di mettersi ad urlare con quanto fiato ha in gola. abc I luoghi della nostra memoria non ci abbandonano mai continuiamo a vivere in essi avvertendo le stesse sensazioni eguali inconfondibili profumi le forti emozioni di sempre in un ripetersi incessante. Fino ad accorgerci di colpo che non siamo più lì e mai potremo ripetere quei magici momenti. Non resta allora che aggrapparci disperatamente al presente con un’unica certezza: l’effimero. r.n. Mi sono sempre dilettata di fotografia, abbastanza da sapere che una foto riuscita è tale anche se ritrae uno squallido paesaggio suburbano, delle rotaie arruggini- te, un paio di vecchie scarpe infangate o una faccia dallo sguardo idiota. Ma una bella foto è cosa rara, non alla portata di tutti, e così, senza l’afflato artistico, le rotaie restano due vecchi pezzi di ruggine, le scarpe sono solo luride e la faccia, ahimè, semplicemente vacua e superflua per il genere umano, salvo, forse, qualche amico o parente stretto. Ora, in quest’epoca senza pudore, le foto le fanno tutti, e purtroppo alla propria faccia,o, anche, al proprio “total body”, senza aver prima misurato il quoziente intellettivo di cui si dispone, l’ampiezza delle capacità espressive, o la banalità dell’evento da immortalare. Ma è così, tutti pazzi per i “selfie”, que- sta forma di moderno narcisismo con cui sollazzare gli amici, estasiati dalla visione di spogliarelli fatti in casa, smorfie da mal di denti, primi piani con il tatuaggio estremo in un orecchio o in un occhio! Addirittura se ne fanno lezioni nelle università dove, per carità, il selfie si analizza in un più ampio ambito artistico, come se le intenzioni di Raffaello, Dalì, Van Gogh o Rembrandt, di rappresentare sé stessi in un momento di ispirazione e di riflessione compositiva, fossero in qualche modo paragonabili a questi gio- chetti che può fare anche un bambino tirando la lin- gua fuori e facendo click.Henri Cartier-Bresson, il grande fotografo francese, attualmente esposto all’Ara Pacis con ben cinquecento immagini, verso la fine della sua lunga vita si dedicò all’autoritratto a mano libera: è lui che ci dice la differenza fra le due tecniche, il disegno medita su quello che ha colpito la nostra mente, la fotografia è un impulso spontaneo, un gesto immediato che ferma l’istante ma non lo ela- bora (pur assurgendo, talvolta, agli onori dell’arte vera e propria, come nel suo caso, aggiungo io). Perciò se è vero che la cultura deve spaziare fuori dalle aule e dai programmi scolastici ingessati da decenni, è anche vero che non si può ignorare una semplice verità: vale la pena di salvare dal mucchio solo i movimenti e le persone che hanno qualcosa da dire e lo fanno in modo sincero ed originale, e questa scelta è dovere di tutti ma in particolare degli insegnanti che, invece di cavalcare le mode, dovrebbero avere il coraggio di decidere, ed assumersi la responsabilità di ridimensionare quelli che sono semplici eventi mediatici, più che culturali. Lucia Pompei, dilettante paparazza Un politico o l’altro pari sono! Pensieri e parole Quando cambiano i governi, per i poveri nulla cambia, eccetto il nome di chi comanda. Il breve apologo che segue ne fa fede: Un vecchietto assai pauroso pascola- va un asinello in un prato. Spaventato da un improvviso clamore di nemici, il vecchietto cercava di convincere l’asino a fuggire per evitare di essere catturati. L’animale tranquillo di rimando gli chiese: “E perché mai? Pensi che il vincitore mi imporrà un basto doppio?” “No” rispose il vecchio. “E allora che mi importa chi servire se la mia soma sarà sempre una?”conclu- se saggiamente l’asino. da Fedro Facce allo specchio SELFIE Selfie,altro non è che un autoscatto di se stessi realizzato con uno smartpho- ne o un tablet appositamente per esse- re poi pubblicato su Facebook, Twitter, Instagram o altri social network. Ci si scatta una selfie per svelare a tutti i fol- lowers (quelli che ti seguono) il pro- prio #ootd (outfit del giorno) o per met- tere in mostra il proprio trucco poco prima di uscire di casa o più banalmen- te… per farsi vedere. È un fenomeno che sta cambiando anche il mondo della moda e della televisione dal punto di vista fotografico: sempre più celebrities pubblicano i propri “autori- tratti” sulle loro pagine. Un meccani- smo che sembra avvicinare lo star system ai fan. Quella del selfie sta diven- tando, quindi, non solo una moda ma una “corrente” che riesce a trascinare sempre più persone e influenzare il mondo del marketing e della pubblicità. M. Chagall, Solitudine, 1933

Transcript of Nel deserto Un politico o l’altro pari sono! · quella, ad esempio, di attivare veri e propri...

in PROSPETTIVA PERSONA

“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1/ TE”

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURAA n n o X L I - n . 6 s e t t e m b r e 2 0 1 4Reg. n. 119 del 17-10-1974 - Tribunale di Teramo - R.O.C. n. 5615

Nel desertoCome tanti struzzi con la testa rigorosamente sotto lasabbia, ci ostiniamo, giorno dopo giorno, a seguire lenostre personali divagazioni del pensiero e dell’azione,rivolti più che altro a trarre in “atto” quella “potenza”che si chiama, a dirla com’è, i fattacci nostri, noncuran-ti dell’aspetto reale delle cose che, al momento, dovreb-be far sentire tutto e tutti in uno stato di sospensionemozzafiato. Quanto avviene nel mondo è di una atroci-tà ormai senza veli e non è infondato nemmeno il timo-re di un nuovo conflitto di grande portata. Ci vorrebbedavvero una luce dall’alto capace di produrre un effettodi sinergia nuova, di speranza nellareciprocità, di impegno dell’indivi-duo per la salvezza di tutti, capace didare sostanza e realtà alla più bellafra le utopie: quella della fratellanzaumana. Sere fa, una TV primaria sel’è lasciata scappare questa utopiaper bocca di un illustre intervenuto.Costui affermava che l’unica via discampo sarebbe che ognuno, per iltempo che gli è possibile e nelrispetto delle proprie forze, si faces-se carico di uno, uno che non ha spazio nè diritto di esi-stere. Soccorso senza mediazioni ed all’unica condizio-ne di trovarsi, colui che interviene, fuori dalla fascia dipovertà. Ma come dare legale operabilità a tutto ciò?Con rapidi provvedimenti di consenso e corresponsabi-lità da parte dei paesi contraenti. Soprattutto occorre-rebbe, in contemporanea, capire e far capire che lapesante eredità della fuga generale dall’Africa del Nord(e non solo), non è problema europeo, né tantomenoitaliano, ma, nella sua essenza, mondiale. Promuoverequindi il coinvolgimento dei vari stati mediante specifi-ci accordi internazionali, conferenze e proposte, comequella, ad esempio, di attivare veri e propri “telethon”per la causa comune con conseguente ricerca di giovaniingegni, tra i tanti senza lavoro, da stipendiare e convo-gliare verso i Paesi emergenti perché insegnino agli

autoctoni come sfruttare le proprie risorse e far cammi-nare il proprio Paese. Nel frattempo e nell’attesa deimiglioramenti allo studio, dovrebbe ben trovarsi qual-cuno capace di “alloggiare un pellegrino”, “sfamare unaffamato”, “vestire un ignudo” (…o non l’ha dettoQualcuno?). Per tentare tutto questo, e non solo,occorrerebbe certo non dimenticare i guai interni ainostri stessi Paesi e quindi darsi da fare, parlare, scrive-re, contagiare, sospingere, fino ad arrivare (beate spe-ranze!) ad alleggerire mangiatoie stracolme di fieno pertravasarne un po’ in quelle delle“vacche magre” quasi

sempre vittime di chi il fieno glieloruba sotto gli occhi. Si tratta di privi-legi tristemente noti: quelli delle“caste” politiche, le stesse che con-sentono di mantenere in piedi strut-ture inutili, ricche solo di ricchi ladri,etc etc etc. Insomma,via tutto que-sto per giungere a vere sanatoriecome quella primaria di salvare leaziende e con esse il lavoro, sgravan-dole seriamente dagli oneri fiscali,distribuendo meglio gli stessi su chi

può sostenerli senza piangere e far piangere. Dal fronte opposto, quello cioè dei distruttori, un’ulti-ma nota, ancora prelevata dall’informazione televisiva,che qualche volta riesce a mettere sotto osservazioneincredibili realtà scrupolosamente documentate. Così èstato per un dettagliato “reportage” sulla ComunitàEuropea che mostrava commissioni disertate, aulevuote e vuoti corridoi e stanze (corredate, però, dellepiù avveniristiche strutture telematiche) sia di convoca-ti che di residenti. Stipendi e diarie da brivido, messa edisposizione di alberghi, posti di acquisto e di ristoro dicategoria extralusso, ovviamente gratuiti o a prezzi risi-bili. E chi guarda tutto ciò resta lì come un cretino,senza il diritto di mettersi ad urlare con quanto fiato hain gola.

abc

I luoghi della nostra memorianon ci abbandonano mai

continuiamo a vivere in essiavvertendo le stesse sensazionieguali inconfondibili profumi

le forti emozioni di semprein un ripetersi incessante.

Fino ad accorgercidi colpo

che non siamo più lìe mai

potremo ripetere quei magici momenti.Non resta allora che aggrapparci

disperatamenteal presente

con un’unica certezza:l’effimero.

r.n.

Mi sono sempre dilettata di fotografia, abbastanza dasapere che una foto riuscita è tale anche se ritrae unosquallido paesaggio suburbano, delle rotaie arruggini-te, un paio di vecchie scarpe infangate o una facciadallo sguardo idiota.Ma una bella foto è cosa rara, non alla portata di tutti,e così, senza l’afflato artistico, le rotaie restano duevecchi pezzi di ruggine, le scarpe sono solo luride e lafaccia, ahimè, semplicemente vacua e superflua per ilgenere umano, salvo, forse, qualche amico o parentestretto. Ora, in quest’epoca senza pudore, le foto lefanno tutti, e purtroppo alla propria faccia,o, anche, alproprio “total body”, senza aver prima misurato ilquoziente intellettivo di cui si dispone, l’ampiezzadelle capacità espressive, o la banalità dell’evento daimmortalare. Ma è così, tutti pazzi per i “selfie”, que-sta forma di moderno narcisismo con cui sollazzare gliamici, estasiati dalla visione di spogliarelli fatti incasa, smorfie da mal di denti, primi piani con iltatuaggio estremo in un orecchio o in un occhio!Addirittura se ne fanno lezioni nelle università dove,per carità, il selfie si analizza in un più ampio ambitoartistico, come se le intenzioni di Raffaello, Dalì, VanGogh o Rembrandt, di rappresentare sé stessi in un

momento di ispirazione e di riflessione compositiva,fossero in qualche modo paragonabili a questi gio-chetti che può fare anche un bambino tirando la lin-gua fuori e facendo click.Henri Cartier-Bresson, ilgrande fotografo francese, attualmente espostoall’Ara Pacis con ben cinquecento immagini, verso lafine della sua lunga vita si dedicò all’autoritratto amano libera: è lui che ci dice la differenza fra le duetecniche, il disegno medita su quello che ha colpito lanostra mente, la fotografia è un impulso spontaneo,un gesto immediato che ferma l’istante ma non lo ela-bora (pur assurgendo, talvolta, agli onori dell’arte verae propria, come nel suo caso, aggiungo io).Perciò se è vero che la cultura deve spaziare fuori dalleaule e dai programmi scolastici ingessati da decenni, èanche vero che non si può ignorare una semplice verità:vale la pena di salvare dal mucchio solo i movimenti e lepersone che hanno qualcosa da dire e lo fanno in modosincero ed originale, e questa scelta è dovere di tutti main particolare degli insegnanti che, invece di cavalcare lemode, dovrebbero avere il coraggio di decidere, edassumersi la responsabilità di ridimensionare quelli chesono semplici eventi mediatici, più che culturali.

Lucia Pompei, dilettante paparazza

Un politico o l’altropari sono!

Pensieri e parole

Quando cambiano i governi, per ipoveri nulla cambia, eccetto il nomedi chi comanda. Il breve apologo chesegue ne fa fede:Un vecchietto assai pauroso pascola-va un asinello in un prato. Spaventatoda un improvviso clamore di nemici,il vecchietto cercava di convincerel’asino a fuggire per evitare di esserecatturati. L’animale tranquillo dirimando gli chiese: “E perché mai?Pensi che il vincitore mi imporrà unbasto doppio?” “No” rispose il vecchio.“E allora che mi importa chi servire sela mia soma sarà sempre una?”conclu-se saggiamente l’asino.

da Fedro

Facce allo specchioSELFIESelfie,altro non è che un autoscatto dise stessi realizzato con uno smartpho-ne o un tablet appositamente per esse-re poi pubblicato su Facebook, Twitter,Instagram o altri social network. Ci siscatta una selfie per svelare a tutti i fol-lowers (quelli che ti seguono) il pro-prio #ootd (outfit del giorno) o per met-tere in mostra il proprio trucco pocoprima di uscire di casa o più banalmen-te… per farsi vedere. È un fenomenoche sta cambiando anche il mondodella moda e della televisione dalpunto di vista fotografico: sempre piùcelebrities pubblicano i propri “autori-tratti” sulle loro pagine. Un meccani-smo che sembra avvicinare lo starsystem ai fan. Quella del selfie sta diven-tando, quindi, non solo una moda mauna “corrente” che riesce a trascinaresempre più persone e influenzare ilmondo del marketing e della pubblicità.

M. Chagall, Solitudine, 1933

Dibattito tra intellettuali, accademia, cattedra: sembra più facile dire cosaSimone Weil non è, cosa da Simone Weil non può venire, più che dire di lei. Cos’è Simone Weil, chi è stata, chi è, lo si è intravisto a Teramo, nelle gior-nate del 30 e 31 agosto, intorno al tavolo della Sala di lettura “ProspettivaPersona”, in via Nicola Palma, 27 presso le accoglienti Suore Missionariedell’Eucarestia. Un tavolo che ha riunito studiosi di diversa età, lingua eprovenienza, accolti nella città abruzzese dal calore attento del ‘duo’ GiuliaPaola di Nicola / Attilio Danese e accomunati dall’urgenza di interrogarsi einterrogare il presente, lasciando fuori da quella sala tutto ciò che, spesso,riduce questa urgenza a dibattito tra intellettuali, accademia, cattedra.In mezzo a queste diverse età, lingue e provenienze, stava innanzitutto la con-sapevolezza che conoscere Simone è ‘una volta per tutte’: forse perché “perleggere Simone Weil bisogna essere Simone Weil”, da questo incontro è impossi-bile tornare indietro. Qualcosa - qualcosa di “infinitamente piccolo” come loè un “chicco di melograno”- si ri-orienta diversamente nell’anima trafitta dalsuo pensiero.Un pensiero radicale come l’esistenza che lo ha generato e radi-cante come l’aspirazione che lo guidava; straordinario in quanto fuori in ognisenso dall’ordinario e, di più, inflessibilmente contrario a ogni pretesa di ordi-nare; febbrile e incredibilmente fecondo, concentrato in 34 anni di vita e river-sato in un’immensa opera, trasversale a scienza, filosofia politica, mistica.Le due giornate sono state l’ultimo di una serie di incontri che da tre anniricorrono, raccogliendo l’ispirazione che da questo pensiero non smette dirinnovarsi. Il 2014 è stato a Teramo il momento conclusivo in vista dellapubblicazione degli atti e degli studi maturati nei seminari precedenti,intorno al tema dell’incontro/scontro tra la Weil e la Chiesa pre-conciliare.E proprio nella forma di un incontro/scontro, tra Teramo e Ostuni, le 35 tesidella lettera inviata da Simone Weil a Padre Couturier sono state messe e

rimesse a tema in un dialogo serrato e rigoroso, un dialogo di quelli che tra-scinano gli amici in una discussione che non fa sconti, più che far salire incattedra gli “esperti” accorsi per l’occasione.Sollecitati dal Prof. Paolo Farina, la Lettera a un religioso è stata esaminata- vivisezionata, quasi - discussa e fatta rivivere nell’attualità di una Chiesache, per quanto lontana da quella di cui la Weil rifiutava il battesimo, èancora affamata di parole di verità.Il frutto di questo faticoso lavoro è un saggio che raccoglie i contributi di que-sti amici in dialogo, ora in corso di pubblicazione presso la casa editrice Effatà.Tra una giornata teramana e l’altra, Maria Antonietta Vito e Paolo Cancianihanno presentato il loro Una costituente per l’Europa, testo che non si limitaa raccogliere gli scritti politici dell’ultima Weil, del suo periodo a Londra, mane lascia emergere la trama essenziale, le contraddizioni e le risoluzioni,quello spirito capace di sintonizzarsi così straordinariamente con le attese dioggi. Nel pensiero di Simone, la parola non aveva diritto di essere senzaazione, né l’azione poteva essere senza che fosse innanzitutto mutamento disé. O la parola serve a preparare e custodire la buona pratica, oppure èrumore vano; e la buona pratica, o è in primo luogo allenamento di sé, oppu-re è movimento vuoto. E se, allo stesso modo, non può darsi il cristianesimosenza incarnazione, così per lei la conversione non poté essere altro che unvolgersi con tutta se stessa - pensiero, anima e corpo - al volto di Cristo.È con il pensiero, l’anima e il corpo che questi amici possono dire di essersidonati l’uno all’altro, in via Nicola Palma 27, a Teramo. Torneranno a farlo,nel 2015, intorno ad un tema nuovo, la lettura weiliana di Platone.Torneranno da Simone Weil, per ritrasformarne la parola in azione e prova-re a restituirla, mescolandola come un lievito, allo “splendore della realtà”.

Maria Giovanna Ziccardi

Teramo discute di Simone Weil

Non mi dite che almeno una volta nella vita non avete desiderato un salottobuono, col camino ed un bel quadro sulla cappa, col paesaggio inglese alcompleto, alberi, parchi, ville e qualche rovina qua e là. Eppure fino al ‘700,in Inghilterra, i pittori erano considerati semplici tintori artigiani, e ce nevolle prima che la “ Rule of taste “ cioè la regola del gusto, basata su rigidicriteri storico-classici, con quadri pieni di eroismo e fulgidi esempi di virtù,andasse in malora, a favore della “ modernità”.E la mostra organizzata quest’estate a Roma, nelle piccole e deliziose sale delpalazzo Sciarra, ha documentato proprio questo sviluppo: “Pittura inglese versola modernità”, dove protagonista era il mondo nuovo dei commerci e dell’in-dustria di fine settecento, che farà dell’Inghilterra una potenza mondiale.Londra cresce e viene immortalata da “fotografi” che si chiamano Scott eMarlow, nonché dal nostro Canaletto, a cui il Tamigi non è parso da menodel suo Canal Grande, solo più prosaico, visto che dal ponte, in costruzio-ne, di Westminster pende, genialmente, un secchiello da muratore.L’Italia, meta obbligata di viaggio, ha fatto senza dubbio scuola, ma la reli-gione protestante, tradizionalmente contraria a ritrarre soggetti religiosi,spinge i pittori inglesi a ignorare madonne, angioletti e santi in favore dicommercianti, scienziati, esploratori, musicisti e persino attori, immortalatiin pompa magna: ecco perciò due bambini dipinti da Joseph Wright mentreascoltano felici una lezione sul planetario, ecco l’eroico capitano JamesCook, ritratto da William Hodges in tutta la sua gloria, prima che fosseaccoltellato dagli indigeni delle Hawaii, ecco le acqueforti di Hogarth sulledisavventure di un “Marriage à la mode”. E che dire poi dei quadri dellosvizzero Fussli dedicati al teatro e a Shakespeare o delle molte tele che rap-

presentano il grande attore David Garrick?Anche l’acquerello, all’inizio poco apprezzato, si diffuse enormemente, sianella versione in studio, che veniva realizzata tramite un taccuino “prome-moria”, sia nella pittura all’aperto, come testimoniano le vedute diRoma,incantevoli laghetti di colore, dipinte proprio all’aria aperta, veloce-mente, da Francis Towne, durante il suo Gran Tour.I paesaggi ad olio abbandonano i soggetti pastorali, all’italiana, per uno stilenazionale: Gainsborough non visita l’Italia, ma dipinge una campagnainglese protestante, dove l’etica del lavoro cancella la fatica, Stubbs esalta ilsuo paese con l’animale-mito, il cavallo, Joseph Wrigth, infine,abbandonaclassicismo e filosofia per un paesaggio romantico e fortemente emotivo.E, a conclusione della mostra, gli epigoni più famosi, ormai ottocenteschi,e cioè Constable e Turner: Constable, ricco campagnolo, lavorava all’aper-to, studiando la luce e realizzando quadri sereni, elegiaci e pieni di colorivibranti; Turner, londinese doc, cercò la tradizione emulando gli antichimaestri, ma le sue tele evocano il non-finito, sono scie, macchie sfumate dicolore, vaghe e modernissime, benché spesso l’autore, mai contento, leritoccasse anche in sede di esposizione.È ora di riprendere fiato dopo questa carrellata veloce che non rende pie-namente merito a questa mostra assai fine e poco reclamizzata che, comespesso accade agli eventi “di nicchia” è stata un vero gioiello, senza fileall’ingresso né ovazioni sui giornali.E allora? Ve lo comprate, almeno in copia, un piccolo paesaggio con glialberi e i laghetti per il vostro salotto? Non ci starebbe bene?

L.P.

Il fascino del salotto buono (ricordi d'estate)

Si può cominciare in tanti modi a parlare di qualcuno.L’inizio della celebrazione per i cento anni dalla morte diCharles Péguy ne ha scelto uno particolarmente felice.Siamo nella chiesa del Carmine, c’è il Vescovo, ci sonopersone sedute alla sinistra dell’altare, due giovani donnein attitudine di guidare il canto e ci siamo noi, l’uditorio.Il resto è tutta una sorpresa con cui ci viene porto l’uomo e il filosofo di cui ad ottobre potremo saperemolto di più. Tra poco teatro, musica d’ascolto e cantodal vivo cui, peraltro, siamo chiamati a partecipare,faranno la loro parte. Ascoltiamo, intanto, in sottofondo,Mozart e Rachmaninov e sembra ancor più bello in que-sto contesto evocativo, Quand’ ecco alzarsi una vocerecitante, quella di Giuseppe Fidelibus. L’attore gira le

spalle al pubblico, cosa del tutto insolita, per guardaredritto in viso la Vergine, la bianca, imponente statuamarmorea che sormonta l’altar maggiore ed lei impetuo-samente rivolge le cinque Preghiere di Péguy. Parolestraordinarie, incalzanti che in una cascata di oppostimettono il dito in ogni piaga, ottusità e negligenzaumana a fronte della perfezione di Maria. Così ha avutoinizio la conoscenza di un uomo strano e particolare, ingrado di scavare profondamente nel proprio io finoall’approdo ed al ristoro nella Fede, unico valore capacedi fare da contropartita alla sua precoce scomparsa.L’invito è a seguire Pèguy a cominciare dal 31 ottobreprossimo presso la sala Caraciotti in via di Torre Bruciata.

abc

Un Convegno d’élite

2 la tenda n. 6 settembre 2014

2APPUNTI E SPUNTI

Un red carpet così, a Venezia, non lo avevamo mai visto: abiti bianchi, veli,bouquet per un corteo di spose di ogni età che ha gioiosamente invaso ilLido e ha posato sorridente davanti ai fotografi della 71esima edizionedella Mostra del Cinema.Così, con questo piccolo evento proposto dairegisti e ‘interpretato’ dai sostenitori del film, è iniziata l’avventura vene-ziana di Io sto con la sposa (www.iostoconlasposa.com), storia di disob-bedienza civile, sogni e realtà.Il film documentario è stato presentato fuori concorso nella sezioneOrizzonti e ha ricevuto un lunghissimo applauso che rendeva meritoall’ottimo lavoro dei registi (Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande,Khaled Soliman Al Nassiry) e sembrava quasi voler abbracciare gli indi-menticabili protagonisti di questa storia vera.Tutto nasce a Milano, in stazione centrale, dove arrivano i profughi sirianie palestinesi in viaggio verso la Svezia e uno status di rifugiati: i registi, chesono giornalisti e scrittori che si occupano di immigrazione, decidono diaiutare un piccolo gruppo di loro a raggiungere la loro destinazione, simu-lando un corteo nuziale, con tanto di abito bianco e abiti scuri per gliuomini, per poter superare frontiere e ostacoli. Il film è un viaggio attra-

verso chilometri e incontri, speranze e dolori di un’umanità ferita eppurevitale che insegue con tenacia e disperazione i propri sogni e tenta dilasciarsi alle spalle una vita senza patria o in mezzo a una guerra. I tonisono asciutti e sobri, mancano facile retorica e ideologie da salotto infavore di umanità e poesia, sbilenca e commovente ma per questo piùautentica; lo sguardo è puntato tutto su uomini e donne (tra cui anche unragazzino) che sognano il primo passaporto o di aprire un ristorante, dinon vedere più morire persone care o di diventare un rapper. Un film cheè percorso, anche in modo inaspettato, da una profonda e ‘illogica allegria’e sa innescare, tra il riso e il pianto, una riflessione su un tema che troppospesso,ormai, viene affrontato sbandierando clichè di ogni tipo e dimen-ticando che di mezzo ci sono delle persone, con nomi propri e storie. Una curiosità: Io sto con la sposa, che sarà nei cinema da ottobre, è statoprodotto grazie a una riuscitissima operazione di crowdfunding, ovverofinanziamento volontario che, via web, ha raccolto i contributi di migliaiadi ‘produttori’ dal basso che hanno permesso di coprire i costi del lavoro(e che sono quindi comparsi nei lunghissimi titoli di coda!!).

Valeria Cappelli

Abbiamo trovato quest’articolo di Marcello Veneziani e ci è sembrato un otti-mo spunto per riflettere sulla ‘libertà’ in nome della quale molto spesso sicommettono arbitrii e abusi. La discussione è aperta:i lettori sono invitati adesprimere il proprio pensiero.

[....] In occidente siamo giunti a un punto in cui la libertà deteriora il tessuto socia-le, avvelena i rapporti umani, peggiora l’umanità. È giunto il tempo di rimettere indiscussione ciò che non abbiamo mai discusso, dico noi contemporanei occidentali.L’unico dio rispetto a cui non è possibile professarsi atei o solo agnostici. Non è indiscussione la libertà di pensiero, d’azione e d’impresa. Ma la libertà come fondamento ci sta facendo compromettere ogni base su cui reggela vita intima e familiare, pubblica e privata: non solo la libertà come arbitrio, dichi uccide, violenta e ruba nel nome della sua assoluta autodecisione rispetto a cose,uomini e limiti. E non solo la libertà di uccidersi, violentarsi enuocersi nel nome stesso dell’autodecisione. Ma la libertà di rom-pere rapporti, legami e contratti, la libertà di diventare altro dasé, la libertà da ogni limite naturale, da ogni confine, da ognivincolo esterno, da ogni identità e da ogni appartenenza. Nelsuo seno covano l’egoismo, l’egocentrismo e il narcisismo. Echiunque ostacoli la mia libertà lo abbatto, come mostrano trop-pi casi di cronaca e di delitti famigliari; l’altro, fosse anche miofiglio, impedisce la mia libertà, dunque lo sopprimo. La libertàassoluta non tollera neanche le leggi che pure nascono a garan-zia della libertà. Ma se la libertà è sciolta da tutto e viene primadi tutto, nulla può arrestarla, se non la forza, che diventa infattila soluzione sempre più praticata per affermare la propria libertàcontro quella altrui o per arrestare gli effetti di alcune libertà invasive o aggressive.La libertà come primato assoluto e smisurato non trova argini alla prevaricazione.Tra gli effetti secondari la libertà genera stress perché ci impone continue microscelteche producono ansia, ci ricorda Peter Sloterdijk (Stress e libertà , Cortina ed.). Non leggete però questa riflessione a rovescio, come un elogio della dittatura, deiregimi dispotici e totalitari o dei sistemi coercitivi. Non è affatto così, perché queiregimi e quei sistemi nascono dalla libertà assoluta concessa a un uomo, a un par-tito, a un potere, a cui è consentito ogni cosa, o quasi. Sono dunque malati di liber-tà, ma concentrata nelle mani di uno solo o di pochi. Queste considerazioni nonsono rivolte contro le libertà civili, a cominciare dalla libertà di opinione che più ciriguarda, perché nessuno ha libertà di decidere cosa posso o non posso dire. Ossianon si tratta di considerare sacra la mia libertà di opinione, ma di negare a chiun-que l’arbitrio d’impedirmelo. Lo stesso discorso investe l’ambito supremo: la vita nonha valore assoluto, è un passaggio, una catena infinita; ma nessuno può avere ilpotere, l’arbitrio di sopprimerla o di violarla. La libertà non è assoluta e di conse-guenza nessuno ha il diritto assoluto sulla mia vita e sulla mia morte, né io né glialtri. A cosa si riduce poi questa assoluta libertà? A non assumere responsabilità nel

mondo, a non accettare nulla accanto e sopra di noi, ad accettare supini il capricciodei propri sensi, la schiavitù degli impulsi, l’automatismo delle reazioni istintive, anon riconoscere la realtà, a mortificare l’essere nel nome del non essere perché è ilregno infinito delle possibilità. La libertà si traduce così nel suo contrario, la suaparabola nasce all’insegna della volontà di onnipotenza e finisce all’insegna dellavolontà di autodistruzione; o sorge dalla liberazione di ogni nostra energia e finiscecome schiavitù di ogni nostro impulso.La libertà ci sta svuotando, ci sta facendo perdere la bussola, il senso del confine,che non è solo limite e misura ma anche garanzia di ciò che siamo e facciamo. Ciriduce a mucillagini indeterminate, che si sciolgono nell’arbitrio dei loro desideriestemporanei, senza nessuna capacità di padroneggiarli, perché ciò vorrebbe direreprimersi. L’abolizione dell’autorità non ci libera da ogni soggezione ma genera laproliferazione di altre agenzie imperative, altri poteri che ci tengono in ostaggio non

solo dall’alto, ma dal lato, dal basso e da dentro. L’autorità sor-regge la libertà, ne bilancia il peso e la misura. In sua assenzaaltri pesi oscuri la sostituiscono. In generale è benefico il potereche nasce dall’autorità; è malefica invece l’autorità che nasce dalpotere. Non sono considerazioni mostruose o stravaganti, mameritano di essere affrontate prima che sia troppo tardi, visto chela libertà corrente non vuole pensieri ma solo desideri, e alla fineci riduce ad animali emotivi ma non-pensanti. Voi direte, questefilippiche contro la libertà si sa dove cominciano ma non si sadove vanno a parare; o peggio, si sa, e sboccano sempre in cupidispotismi. Invece io dico che dobbiamo reimparare a rimettere indiscussione la regina assoluta del nostro mondo che ci sta portan-do alla rovina e mentre finge di farci del bene, o addirittura men-

tre ci fa sentire dei e demiurghi, ci riduce al rango di larve vanesie che non voglionomai diventare adulte per non perdere lo stato potenziale dell’infanzia, aperto a ognipossibilità di vita, compresa la sua negazione. E facendoci credere di liberarci daogni dipendenza superiore ci lascia completamente in balia del caso, della tecnica,dei desideri indotti o ingigantiti, fino a far coincidere nel modo più perverso la libertàcon l’automatismo, la coazione a ripetere o l’impulso a dissipare. C’è un nesso fatale tra autonomia e automatismo, quando l’autonomia tende a farsiassoluta. E invece riscoprite la bellezza del fato, il dire sì al destino e alla vita chein suo nome sorge, su cui non possiamo disporre perché ne siamo fruitori ma nondatori. È tempo di esercitare lo spirito critico anche sulla libertà, riportandola datotem e tabù a confine e responsabilità, da feticcio e capriccio a strumento e misura.La libertà assoluta è un male assoluto, anzi il male assoluto è la libertà assoluta,cioè possibilità di disporre di tutto e di tutti, del mondo, degli altri e di noi stessi, nelnome inviolabile della nostra suprema libertà. La libertà è preziosa se non è l’originené lo scopo della nostra vita, non è l’inizio e il fine, ma è situata tra l’origine e ildestino, è un percorso e non una meta. La libertà come assoluto è un puro andareche scorre dal fare al disfare. Invece, qualunque cosa accada dopo la nostra vita,sarà un ritorno.

Io sto con la sposa

Una riflessione sulla libertà

CULTURA

Festival Cinema di Venezia

Delacroix, Big liberty

la tenda n. 6 settembre 2014 3

Roma web FestCon molto piacere segnaliamo il successo di un giovane videomaker teramano:Giovanni Esposito, con il suo ‘Milano underground’, ha vinto il primo premioal Roma web Fest, festival svoltosi al MAXXI, dal 26 al 28 settembre , un festivalin cui si è dato spazio alle nuove tendenze videodigitali. Abbiamo già segnalato

su La Tenda il lavoro ideato da Giovanni e realizzato insieme ad altri tre registi(tra cui il teramano Marco Chiarini) e prodotto con il crowdfunding, un finan-ziamento spontaneo reperito nel web. Ora convintamente ci rallegriamo con ilnostro concittadino che ha ottenuto tale importante riconoscimento.

4 la tenda n.6 settembre 2014

4PARLIAMO DI...

Lettera alle amiche - di G. Lajolo - LEV, Città del Vaticano

Mozart compose l’opera sembra dietro commissione di Giuseppe II, su libret-to di Lorenzo Da Ponte. E’ l’ultima opera buffa dell’autore e anche l’ultimadella sua collaborazione con Da Ponte. Il soggetto si riferisce a un fatto veromolto chiacchierato nella Vienna del tempo, ma ha molti antecedenti nellaletteratura precedente, da una novella del Decamerone a Cymbeline diSheakespeare. La trama nell’età romantica è stata considerata discutibile(Beethoven e Wagner) tanto che si è tentato di cambiare il libretto. In realtàsi tratta di un lavoro di grande vitalità e attualità. La musica da un lato rap-presenta la commedia, dall’altro esprime la pena per l’incertezza dell’amore; itoni sono ora gioiosi e brillanti ora idilliaci ed evocativi (soave sia il vento),conaccenti che esprimono la tragedia (smanie implacabili) o l’amore, ma ancheuna beffarda ironia (né vorrei che tanto fuoco terminasse in quel d’amore) . Questasi può considerare l’opera più edonistica di Mozart per via di una partituraricca di raffinate acrobazie vocali (come scoglio o per pietà ben mio perdona), odel fascino sottile della scena in cui Dorabella vuole partire alla ricerca delfidanzato, senza contare il gioco di camuffamenti vocali messi in atto daDespina, pseudomedico e pseudonotaio. Al di là dell’ambientazione storica,entrano in gioco sentimenti perenni: la gelosia e l’insicurezza, che spingonoFerrando e Guglielmo a mettere alla prova le spose; la furbizia e la superficia-lità di Despina; ma soprattutto il desiderio di imporre e giustificare la propriavisione della vita antisentimentale e cinica di don Alfonso, che per vincere lascommessa tratta le due coppie come cavie da esperimento, in particolaremanipolando le ragazze da esperto burattinaio come due marionette Il nucleodella vicenda è la scommessa, un vero topos letterario, un esperimento cinicoe misogino, che vuole dimostrare come la ”natura femminile” sia volubile,soggetta ai sentimenti e perciò incostante e infedele. I sentimenti, in effetti,sono precari, come dimostra il facile innamoramento delle ragazze per i due“albanesi”, ma la colpa può essere perdonata perché la causa è l’intrinsecadebolezza della natura umana (così fan tutte). Il vecchio scapolo don Alfonso scommette con due giovani ufficiali, Ferrandoe Guglielmo, che le sorelle con cui sono fidanzati non sarebbero state lorofedeli se fossero stati lontani. Li invita, così, a fingere di partire per la guerra(sento, oh Dio), ma a ripresentarsi sotto mentite spoglie. I due si travestono daricchi albanesi e corteggiano l’uno la fidanzata dell’altro, con la complicitàdella cameriera Despina, non meno cinica di Alfonso. Le ragazze resistono

per un po’ (come scoglio), e i fidanzati si compiacciono (un’aura amorosa), mail vecchio suggerisce loro di fingere un avvelenamento. Di fronte ai due fintimoribondi le donne si commuovono e si lasciano abbracciare.Successivamente Despina cerca di convincere le padrone a lasciarsi andare(una donna a 15 anni) e le persuade che non c’è nulla di male. Il corteggia-mento porta alla capitolazione prima di Dorabella (prenderò quel brunetto) apoi di Fiordiligi (per pietà ben mio perdona) e alla soddisfazione di don Alfonso(tutti accusan le donne); quindi si passa ai preparativi per le nozze. A questopunto si svela l’inganno: i due “albanesi” escono e rientrano riprendendo lapropria identità, mostrandosi sdegnati per il tradimento, ma poi svelano il tra-vestimento e l’inganno. Dorabella e Fiordiligi se la prendono con Alfonso, cheperò riesce a riconciliare le duecoppie originarie, proclamando lasua convinzione: “V’ingannai, mafu l’inganno/disinganno ai vostriamanti./… Abbracciatevi etacete./tutti quattro ora ridete/ch’iogià risi e riderò” e l’opera si chiudesul disincantato invito del coro aprendere ogni cosa per il verso“buono”. Le ragazze chiedonoperdono ai loro sposi per la man-canza di fedeltà, ma se esse furonoinfedeli gli uomini furono immora-li; I fidanzati traditi devono perdo-nare alle due donne, ma essi sonoforse più colpevoli di loro per aver-le sottoposte a una simile espe-rienza. Non sono forse loro ainscenare la commedia, mentendoe camuffandosi per coglierle infallo, facendosi protagonisti di unabietto intrigo di cui le donnesono sostanzialmente vittime?

Emilia Perri

LiricaMozart - Così fan tutte. Un cinico esperimento psicologico

Risulta chiaro a chi legge che questo libro vuole contrastare il minimali-smo della identità cattolica nella cultura postmoderna, cercando di libe-rare il campo dai pregiudizi, di rafforzare la consapevolezza e la dignitàdei credenti. L’autore presenta la Santa Sede nella ricchezza della sua storia, della suaautorevolezza, dei tesori d'arte che racchiude, della sua tradizione diploma-tica e organizzativa, fornendo notizie numerose e utili, generalmente pococonosciute ai non addetti ai lavori. La densità dei contenuti del libro viene alleggerita dalle immagini bellissi-me, che lo arricchiscono artisticamente, che esaltano i profili delle singoleprotagoniste alle quali l’autore immagina di inviare delle lettere ‘amiche-voli’. L’appellativo di “amiche” e il tono generale delle missive atte-stano la squisita gentilezza d'animo tipica dei migliori tra i con-sacrati. Tuttavia si tratta di donne che al lettore rimangono igno-te e la comunicazione non prevede un ritorno: le destinatarierimangono mute e invisibili dietro il chador simbolico del nomedi figure eccellenti della Bibbia, presentate alle amiche di oggicon rigore esegetico, delicatezza e amore. L’autore non descrive i limiti di contesti che alle donne d’oggirisultano decisamente oppressivi; preferisce esaltare la missioneliberatrice che queste donne - del resto descritte da pennemaschili - hanno ricevuto da Dio: profili di donne dalla fedeincrollabile, eccezionali nel senso letterale, ossia che fanno ecce-zione rispetto ai modelli femminili esaltati dalla cultura anti-ca e giudaica di figlie e mogli soggette al volere degli uomini,soddisfatte dall'ambizione più alta cui una donna possa ambire, ossia diavere figli e maschi, costrette a competere con altre donne per essere le pre-ferite dei loro uomini e avere voce in capitolo, aduse in caso di violenza anon essere protette dalla società, accolte nella vita sin dal loro nascere comeun prodotto di secondo rango. Sappiamo bene che il pio israelita pregavaringraziando Dio “di non essere nato donna…”. L’autore non difende a tutti i costi il passato e del resto sarebbe difficileproporre oggi modelli di donne della Bibbia, se non li si estrapolasse dalloro contesto sociale e culturale precristiano. Quel che conta è che questedonne hanno avuto mente e cuore e anima per percepire chiaramente eseguire a tutti i costi la voce di Dio nella loro coscienza, dando ad essa pron-

ta attuazione. Anche il potere tipicamente femminile di cui dispongono,ossia la bellezza, viene da loro usato, come ogni talento, a gloria di Dio e avantaggio di Israele. Sanno che è Dio che rende la loro bellezza vincenteagli occhi degli uomini che esse devono conquistare, per ridurli a ragione-volezza (Ester) oppure uccidere (Giuditta). Attento alle esigenze della sensibilità contemporanea, l’autore sottolineache la Chiesa ha messo da parte i passi di vendetta cruenta presenti nelcanto di Debora o quei passi della Scrittura oggi considerati inattuali e con-troproducenti dalla sensibilità femminile…. anche se constata, meritevol-mente e francamente, quanto alla Chiesa: “nessuna novità”.

Più problematico può risultare il timore ripetutamente manifestato chela donna si mascolinizzi. La differenza è un valore da difendere ma le

lettrici d’oggi continuano a domandarsi in che modo e a che con-dizioni questo mascolinizzarsi è un male da evitare, dato che unasimile motivazione è stata storicamente avanzata contro il votoalle donne, contro la partecipazione sociale e politica (cf docu-menti della Camera dei Deputati durante la discussione sullanascita della Costituzione), contro la rivendicazione dei diritti diuguaglianza (non così nella Lettera alle donne di Giovanni PaoloII nel 1995). Le donne in genere lasciano fare e subentrano a riprendere ilbandolo della matassa quando gli uomini sembrano esaurire leloro potenzialità, quando Israele sta per crollare sotto i colpi del

nemico. Così è in epoche diverse per Giovanna d’Arco e santaCaterina da Siena. Emmanuel Mounier lo ha espresso egregia-

mente a suo modo: “Ogni volta che la Chiesa traballa sulle sue colonne, noivediamo ergersi una donna per sostenerla, proprio quando è al bordo delprecipizio”.Ancor più apprezzabile è il coraggioso riconoscimento che: “Il Vaticano nonè la Gerusalemme celeste.. È una struttura umana…”. Questa notazione,detta in sordina, mi pare fondamentale per evitare che la fede perda la suacarica trascendente rispetto ad ogni forma culturale e istituzionale e si tra-duca in prestigio, in barriera nei confronti dei diversamente credenti, inidolatria del potere e di una qualunque, sia pur nobile patria terrena.

Giulia Paola Di Nicola

Libro in vetrina

P. Lorenzetti, Madonna con Bambino

Invito

la tenda n.6 settembre 2014 5

5 TERAMO E DINTORNI

OSSERVATORIO TERAMANO

Ho letto su Sognipedia che “Nei sogni volare ha unsignificato che può essere interpretato sia secondole idee di Freud che quelle di Jung. Sognare divolare con o senza ali è, come al solito per Freud,un simbolo sessuale, al contrario che per Jung cheinterpreta il simbolo del volo come il desiderio diliberarsi da ogni tipo di restrizione che la vita ciimpone. Cosa significa sognare di volare? Un altronoto psicologo, Alfred Adler, vede la simbologia diquesto sogno come la causa di una sensazione dioppressione e del desiderio di dominare gli altri.Ma se sentite la sensazione di piacere e leggerezzail sogno di volare assume un significato sessuale edunque ha un interpretazione che allude al deside-rio erotico, così come Freud ci proponeva. Le per-sone adulte volano nei sogni in quanto nella vita sisentono oppressi dalle responsabilità ma può acca-dere che si sogni di volare anche se sia ha l’urgen-za, la fretta di realizzare qualcosa. Altre volte,sognare di volare è interpretato come causa alsenso di inferiorità che si prova, infatti spessoaccade anche che non si riesce come si dice spessoa “volare alto” nella realtà. Non vedendo così rea-lizzati i propri desideri si tenta di volare nei sogni”.Questo incipit va legato alla voglia di volare chepervade il nostro territorio. Perché alla Asl voglio-no volare, il governatore ha messo le ali al nuovomanager. Proclami e sogni di rendere più appetibi-le la nostra sanità. Belle parole, ma poi controlle-remo allo stato dei fatti se anche l’utenza potràvolare oppure attendere la lista delle prenotazionie quindi viaggiare a scartamento ridotto. Intanto lacittà attende di spiccare il volo. Affidandosi allerotonde da completare, alle rotonda di realizzare,ai lavori (vedi svincolo Gammarana) che procede arilento anzi a scartamento ridotto, insomma laggiùnon sanno ancora volare. E comunque questa rin-novata voglia di volare pervade il territorio aspet-tando i risultati reali. Perché a fare annunci siamotutti bravi, poi nella realtà delle cose, le cose vannopeggio. Diceva Flaiano “Coraggio il meglio è pas-sato”. E allora nei mesi che ci separano dalla finedi un anno che tanto bello non è stato, abbiamorimesso tanta carne a cuocere. Con una giunta cheva avanti a naso sperando di crescere in fretta, conuna opposizione divisa e con tanti problemi lascia-ti sul tappeto. I soli problemi, le solite questioni.Ci avrete fatto certamente caso che nel “nostro”osservatorio certe situazioni teramane sono ripeti-tive insomma siamo al copia ed incolla che tantopiace. E non solo alla politica. E poi, prima diNatale, avremo tutti la tv sotto casa con i nuovivarchi. Adesso l’entrata è libera. Poi invece sarà lostesso. Perché tutto il mondo è paese ma Teramoè ancora troppo paese. Ultima annotazione, volaree sognare di volare: nel gioco del Lotto fa 13.Giocatelo con parsimonia e sperate nel miracolo.Senza dimenticare che quando ci si affida al “mira-colo” significa che non stiamo messi benissimo.Ma questa è un’altra storia.

Gustavo Bruno

Se ci credi puoi volare

Vetrina della Libreria Cattolica- Teramo, via della verdura La Libreria Cattolica offre le novità editoriali nazionali ed internazionali a prezzi vantaggiosiAll’interno sono inoltre in vendita vestiti per la Prima Comunione, semplici ed economici,oggetti dell’artigianato POC (Piccola Opera Caritas) di Giulianova adatti per regali e bombo-niere. Si ricorda che è disponibile un punto Internet, è attivo il servizio fax, fotocopie, ricaricadei cellulari, carte telefoniche internazionali e pagamento utenze varie.

Nella Sala Espositiva Comunale di Teramo, dal12 al 27 Settembre 2014, hanno fatto bellamostra di sé le opere di pittura e scultura diFranco Murer. La mostra è stata organizzatadalla Casa di cultura “Carlo Levi” e dal gruppoimprenditoriale Lisciani, è stata presentata daSua Eminenza il Cardinale Giovanni Lajolo evalorizzata dal Vescovo di Teramo-AtriMonsignor Michele Seccia. L’artista, classe1952, è un figlio d’arte, che ha appreso e amatoil mestiere dello scalpello e del pennello nellostudio del padre Augusto. Ha rivelato la suaeccellenza già nel 1955, quando ha ottenuto lamedaglia d’argento per la mostra dello studen-te in Campidoglio. Da allora ha fatto moltastrada: mostre, collaborazioni importanti,recensioni critiche gratificanti… Basti ricorda-re quando il 5 luglio 2010 PapaBenedetto XVI ha inaugurato laFontana intitolata a SanGiuseppe, posta in Vaticano, sulpendio al lato delGovernatorato.L’ artista veneto ha già conqui-stato la stima e l’amicizia di nonpochi abruzzesi (pensiamo inparticolare a PasqualeLimoncelli, che tanto si è prodi-gato per la realizzazione del-l’evento). Anche GianmarioSgattoni aveva scritto un testocritico per il catalogo dellamostra “Il rifugio, il paesaggio ele solitudini profonde” (2001-2).Altri rapporti con l’Abruzzo si intuiscono dietroi ritratti di Riccardo Cerulli, GiuseppeRicciotti, Vincenzo Bindi…La mostra teramana è tutta da godere nella bel-lezza trasparente delle immagini, che ognunopuò cogliere immediatamente, perché non siallontanano dal figurativo classico e da quelgusto romantico che mai dispiace e noncostringono il visitatore ad arrendersi all’indeci-frabile e a ricorrere a interpretazioni criptichedi critici che complicano invece di chiarire. Èuna mostra “da bere” e contemplare, sia per

quei continui richiami biblici ed evangelici -dalle crocefissioni, alle natività, alle poeticherappresentazioni del Cantico dei cantici, allefigure di donne quali Giuditta, Ester (ritrattiche arricchiscono il libro del Card. G. Lajolo,Lettere alle amiche), di San Martino e SanMichele - sia perché anche nei temi più “laici”- come le pregevoli raffigurazioni della mater-nità, i ritratti di bimbi, i richiami alla grandeguerra, con la sofferenza dei soldati troppo alungo lontani da casa e l’attesa trepidante dimogli e madri che aspettano notizie dal fronte- l’artista rivela una sensibilità umana e cristia-na trasfusa nelle tele, nei piatti di ceramiche,nelle antiche porte. Vengono in evidenza i temiricorrenti del travaglio umano nella sofferenzadel Cristo e dei tanti poveri Cristi travolti dalle

guerre, e l’innocenza dei bambiniche giocano ignari con antichitrastulli e sono in grado di conta-giare gli adulti, invitandoli muta-mente a sorpassare i limiti dellaragione, del tempo, del calcolodei vantaggi e persino il pesodelle sofferenze.Nei ritratti di donne (muse, dee,sante, figure umane trasfiguratedalla fantasia artistica) Murerrivela una delicatezza squisita euna raffinatezza di tratti leggeri,che accompagnano capelli ondeg-gianti, occhi dolci, sguardi pro-fondi e misteriosi che invitanoaltrove, movimenti sinuosi che

trasfigurano la bellezza, anche sensuale, in evo-cazione di una lontananza in parte presente mamai raggiunta. I corpi e la natura (inevitabilepensare ai cieli tersi e misteriosi del paesaggiodelle Dolomiti) sintonizzano nei gesti e nelledanze in cui s’iscrive la gioia di vivere pienamen-te il proprio tempo, spendendosi per progetti evocazioni che riempiono di gioia e di senso lavita, una vita che è un continuo andare oltre,come nelle pitture di colombi e cavalli, nei voli enelle corse che spalancano orizzonti d’infinito.

Giulia Paola Di Nicola

L’artista Franco Murer a Teramo

L’Associazione ‘Teramo nostra’ ha promosso lamostra di alcune opere di Amilcare Rambelli,presso la Pinacoteca civica di Teramo, a partiredall’8 ottobre. La Banca di Teramo aveva pre-sentato qualche anno fa un’antologica dell’ar-tista: la mostra, che a breve si aprirà, dà l’occa-sione per rinverdire la memoria di Rambelli,milanese di nascita, ma di origini teramane,essendo la madre di Teramo e, forse, anche ilnonno. Egli è rimasto legato alla sua terra diorigine, affettivamente e artisticamente pertutta la vita. Aveva sposato una teramana, lasignora Elisa Andreoni, preziosa collaboratrice,durante tutta la sua vita, e custode fedele dellasua opera. Grazie alla collaborazione del

cognato Filippo Andreoni sarà possibile ri-vedere alcune opere del Maestro vissuto , neglianni ’50, nella nostra città dove trovò il climaideale per sviluppare il suo interesse alle tema-tiche e alle problematiche sociali e civili e nelcampo dell’arte per un impegno di elevato valo-re artistico e poetico, raggiungendo traguardiambiziosi con un’attenzione particolare ai valo-ri materici. Con la creta, materia umilissima,nobilitata dai grandi Maestri della CeramicaCastellana, realizzò molte opere. Tenne leprime mostre a Teramo e in Abruzzo per poispiccare il volo verso lidi di maggior respirodiventando un artista affermato, in Italia e inEuropa.

L’Abruzzo nel cuore

F. Murer, San Martino

TOYOTA Di Ferdinando Vieni nel nostro salone per

scegliere la tua nuovaToyota!

V. CAMELI 15/23 - TERAMO (TE)Tel. 0861 242312 Fax. 0861 244034

[email protected]

6 la tenda n.6 settembre 2014

6MOLESKINE

da Giotto a Gentile. Pittura e scultura a Fabriano nel Due-TrecentoIn mostra, a Fabriano (AN) fino al 30 novembre, più di 100 opere tra cui, oltrea dipinti, pale d’altare, tavole, affreschi staccati, anche sculture, oreficerie rarissi-me, miniature, manoscritti, codici. Opere delicate e preziose, concesse in prestitodai più prestigiosi musei italiani e stranieri.Con un percorso che si snoda dalla Pinacoteca civica “Bruno Molajoli” allecappelle delle chiese di Sant’Agostino e San Domenico, fino alla Cattedraledi San Venanzio, la mostra, curata da Vittorio Sgarbi, accendei riflettori su uno smisurato patrimonio artistico in gran parte“sommerso”, poco noto al grande pubblico, e inscindibile dalcontesto. Va ricordato che, consolidatosi il potere longobardosu Fabriano, l’egemonia culturale dell’Umbria vide la suaaffermazione nel corso del Trecento, sia dal punto di vista arti-stico sia sotto il profilo dei valori spirituali. La vicinanza conAssisi ed i ripetuti soggiorni di San Francesco contribuironoad animare una vivace realtà di fede che si avvalse della pitturacome di un efficace strumento propagandistico ed educativo.Sul finire del XIII secolo, quando nella Basilica Superiore diAssisi si affermava un nuovo eloquio pittorico compiutamenteoccidentale, l’influsso giottesco si propaga anche attraverso ivalichi appenninici fino a Fabriano. Maestri anonimi, che diffondevano ilnuovo idioma giottesco, assai esperti nella pratica dell’affresco, lasciaronotracce del loro operato nelle più importanti chiese degli Ordini Mendicanti,ma anche nelle sperdute pievi sorte sui monti vicini alla ‘città della carta’.Da Fabriano, infatti, sul finire del 1200, ebbe inizio quel processo di tra-sformazione economica, sociale e religiosa che ha dato originealla civiltà dell’Occidente cristiano, con l’incontro fra il pauperi-smo francescano e l’operosità benedettina, che da Fabriano sidiffuse in tutta Europa, e la rivoluzione figurativa che, grazieall’attività di Giotto, da Assisi si propagò rapidamente anche nelfabrianese. Una mostra di raffinata suggestione e di grande impatto, prezio-sa certo per la presenza di capolavori di autori ‘affermati’ (pochipezzi di Giotto e qualcosa di Gentile da Fabriano) utili comerichiamo ma soprattutto stupefacente per le opere di pittoripoco noti al grande pubblico se non addirittura anonimi e deltutto sconosciuti. Sono proprio costoro, i maestri senza nome,espressione di un genius loci che sapeva guardarsi intorno, atten-to ed aperto alle suggestioni artistiche nuove, i veri protagonisti dellamostra sulla «scuola fabrianese». Vittorio Sgarbi, curatore della mostra,sostiene convintamente, infatti, la tesi di una «scuola fabrianese» non tantovolta verso le eleganze morbide ed atteggiate dei ‘giotteschi’ riminesi, mapiuttosto verso questo pulsante genius loci, popolar-espressionista.Sono essi la vera sostanza della mostra: dal Maestro dei Crocefissi france-

scani al Maestro di Sant’Agostino, dal Maestro di Sant’Emiliano al Maestrodel polittico di Ascoli e soprattutto al sorprendente Maestro diCampodonico, un oscuro artista, capace di coniugare la spazialità giottescacon una carica umana profonda e modernissima. Le sue figure sono intense,le scene vibranti rappresentate negli affreschi evocano i compianti medieva-li, le laudi di Jacopone, e destano un’emozione inattesa e profonda. I suoi

affreschi, strappati dalle pareti di un’antica pieve, hanno unacifra stilistica originalissima pur mostrando richiami ad altriautori, a riprova della vivacità delle relazioni artistiche che sisono intrecciate fra Marche ed Umbria grazie alla rete viariache univa le aree appenniniche, strade percorse da pastori,mercanti, santi ed artisti, consapevoli di essere parte di unastessa civiltà. Dall’ignoto Maestro di Campodonico passando attraversoPietro Lorenzetti, Puccio Capanna, Bernardino Daddi ed altriancora, si gustano le opere rasserenate del noto AllegrettoNuzi molto attivo a Fabriano, cui è dedicata un’ampia sezionedella mostra:si ammirano i raffinati dipinti su tavola realizzatidall’artista dopo il suo rientro dalla Toscana in occasione della

peste del 1348, tavole e polittici caratterizzati da figure ispirate ai modellifiorentini e senesi, rielaborati in chiave cortese, come testimoniano le varieredazioni della “Madonna dell’Umiltà”. È questo un soggetto frequentemente trattato sia dal Nuzi che dal suo allie-vo fabrianese Francescuccio di Cecco Ghissi, la cui produzione appare

improntata ad una spiccata sontuosità decorativa che soddisfa leesigenze della committenza di provincia. Ad Allegretto Nuzi sidevono anche gli affreschi della Cappella di S.Domenico, popo-late da personaggi e temi legati alle gesta dei Santi: pregevolis-simi affreschi e davvero affascinanti.Alla cifra stilistica del caposcuola Allegretto si collega anche laproduzione di sculture in legno intagliato e dipinto, a grandezzanaturale, d’eleganza quasi francese, destinate all’allestimento dipresepi scenografici, attribuite ad un anonimo Maestro deiMagi. Gli esemplari conservati a Fabriano e quelli del Museo diPalazzo di Venezia a Roma compongono un nucleo omogeneoriferibile a questo artista attivo a Fabriano e ben noto ancheoltre i confini cittadini, la cui misteriosa identità ancora non è

stata svelata.La visita alle cappelle ‘giottesche’ di San Venanzio, S. Agostino e SanDomenico, suggestive e sorprendenti, completa egregiamente questo saltonel tempo: il percorso si snoda in città, tra edifici e strade che rimandanoad un’epoca lontana ma ancora vibrante di sensazioni, in un’atmosferaavvolgente, elegante e calda al tempo stesso.

31 ottobre - ore 18:00 Sala Caraciotti Via Torre Bruciata -Te

Inaugurazione della mostra (aperta fino al 9 novembre): “Storia di un’anima carnale a cent’anni dalla morte di Péguy”

(già presentata al “Meeting per l’amicizia dei Popoli”a Rimini)Interverrà Massimo Morelli (regista e curatore della mostra)

3 novembre -ore 18.00Sala San Carlo- via Delfico -Te

Incontro con le forze produttive ed economiche.“Non si guadagnava, non si spendeva e tutti vivevano”

Intervengono: Flavio Felice (Università Lateranense)Giovanni di Giosia (Unione degli Industriali di Teramo)

Rileggendo “Il Denaro” di Péguy da parte della Compagnia Teatrale “Associazione l’Altro Cantiere”

4 novembre - ore 21 Sala Prospettiva Persona via N. Palma n. 37-Te

Incontro sul film “Giovanna D’Arco” di Luc BessonIntroduce Chiara Vocale

7 novembre - ore 9 - 19Sala San Carlo Via Delfico

Gornata di studio. “Non si è mai parlato così cristiano”

9 novembre - ore 17Sala San Carlo Via Delfico n. 30

Serata conclusiva della mostra ‘Peguy e la speranza’Rappresentazione teatrale della

Compagnia Teatrale “Associazione l’Altro Cantiere”

Charles Péguy “Non si è mai parlato così cristiano”

Sala San Carloore 09:00

Saluti AutoritàS.E. Mons. Michele Seccia Vescovo

di Teramo – Atri,Maurizio Brucchi Sindaco Città di Teramo,

Luciano D’Alfonso GovernatoreRegione Abruzzo

Moderatore: Attilio Danese(Prospettiva Persona)

Péguy l’uomo e il pensatoreore 10:00

“La fede che preferisco è la speranza. Profilobibliografico”

Pigi Colognesi (scrittore e giornalista)ore 10:45 Coffee Break

ore 11:15“Charles Péguy: Un personalismo senza persona?”

Giorgio Campanini(già docente presso l’Università di Parma)

ore 11:45“Il Péguy di Mounier” Nunzio Bombaci

(Università di Macerata)ore 12:15

“H. U. Von Balthasar: lo stile laicale di Péguy”Giuseppe Fidelibus

(Università di Chieti - Pescara)ore 12:45 Dibattito

Camminando con Péguy

ore 15:00Moderatrice Giulia Paola Di Nicola

(Prospettiva Persona)ore 15:15

“Il Laico - Il Cristiano” Massimo Borghesi

(Un. RomaTor Vergata)ore 15:45

“Le rivoluzioni di Péguy”Marisa Forcina (Università del Salento)

ore 16:15 Coffee Breakore 16:45

“Un pezzo di vita con Péguy”Giselda Antonelli (Un. Chieti - Pescara)

ore 17:15“L’influsso di Péguy nella filosofia del Novecento”

Costantino Esposito (Università di Bari)ore 18:15

Visita guidata alla mostra

Maestro di Campodonico

Allegretto Nuzi

PROGRAMMA 7 NOVEMBRE

Gentile Lea Norma sasVia Paris 16 - 64100 Teramo

Tel. 0861.245441 - 0861.240755Fax 0861.253877

ZURIGO

Nella casa natale di D’Annunzio a Pescara è stata allestita una mostradal 24 luglio al 30 settembre con quattro statue provenienti dalla Chiesadi S.Andrea di S.Demetrio nè Vestini (fraz. di Stiffe) e restaurate dopoi danni del terremoto del 2009. Posizione centrale su cui gravita tutto il discorso figurativo è riservata aduna statua di S.Andrea in terracotta policroma datata ai primi delCinquecento per la postura ed il panneggio di tipo classicheggiante,di dubbia attribuzione fino ad un paio di anni fa ma recentementeconsiderata il capolavoro di Saturnino Gatti da Lucia Arbace,soprintendente BSAE dell’Abruzzo. “Folgorata dalla straordinariabellezza della scultura”, la Arbace la ritenne degna di un maestroimportante, formatosi in una bottega di primo piano come pote-va essere quella dell’orafo sulmonese Giovanni di Paolo e quel-la del Verrocchio a Firenze.Della stessa epoca ma di fattura meno raffinata, la statua diterracotta di S.Caterina che nella Chiesa di Stiffe si trovava inuna nicchia di altare di fronte al Santo, unisce all’imponenza sta-tica della struttura il dinamismo delle pieghe, la pensosità lievedelllo sguardo, i tratti delicati del viso e delle mani che sor-reggono una ruota dentata.Ad un’epoca successiva, sicuramente post-barocca, risalgonoinvece due sculture di cartapesta e legno del ‘700/’800, S.VincenzoFerrer con libro aperto e dito rivolto al cielo, ad indicare la predicazionee la preghiera dell’ordine domenicano , e un altro S.Andrea, anch’eglicome l’altro privo dei segni distintivi della sua funzione di patrono deipescatori: i pesci e la croce.Il Santo, infatti, fratello di S.Pietro e “primo chiamato” secondo le sacre

scritture come apostolo di Cristo, simbolo di vigore e forza da cui trae ilnome (dal greco andreìa), era un umile pescatore di mare che da Gesùfu tramutato in pescatore di uomini e di anime.Oltre ai Vangeli, ci parlano di lui anche alcuni testi apocrifi e storici,secondo i quali Andrea si spinse con la predicazione fino all’AsiaMinore, la Russia, la Grecia, dove fu crocifisso a testa in giù, con una

croce decussata ad X, detta appunto “croce di S.Andrea” come chie-sto da lui per non essere assimilato al Messia nello stesso martiriodella croce.

Ciò spiega perchè alcune sue reliquie si trovino in questi luoghima anche in tanti altri (es. Duomo di Amalfi e Costantinopoli,basilica di S.Pietro a Roma) e perchè sia venerato come santopatrono in Romania, in Russia, Ucraina, Grecia, Malta eScozia, dove la croce decussata compare nella bandiera nazio-nale e la ricorrenza del santo, il 30 novembre è anche festanazionale.Si comprende anche la finalità della mostra a Pescara, città dimare e di pescatori, chiarita dalla stessa Arbace:”collegare unacittà della costa ad un piccolo centro appenninico,, il mare allamontagna di questa regione, attraverso un culto tra i più par-tecipati, quello per l’apostolo Andrea.....Stiffe, dove sorge la

chiesa di S.Andrea, è peraltro molto nota proprio per le straordinariegrotte scavate nel sistema carsico scoperto poco più di cent’anni fa, doveimponenti cascate disegnano suggestivi giochi d’acqua. In qualchemodo è quindi un percorso dalla sorgente alla foce, con tutte le implica-zioni simboliche e spirituali che questo rapporto può suggerire.”

Elisabetta Di Biagio

la tenda n. 6 settembre 2014 7

7

Piante ed erbe: il pomodoro

S. Andrea - Mostra nella casa museo D’Annunzio

“La scoperta del pomodoro ha rappresentato, nella storia dell’alimentazione, quel-lo che, per lo sviluppo della coscienza sociale, è stata la rivoluzione francese”. CosìLuciano De Crescenzo, nel suo inconfondibile stile, celebra la comparsasulle nostre tavole del pomodoro. Ma pochi sanno che la pianta stentò adaffermarsi come prodotto commestibile: era ritenuta velenosa quando fecela sua comparsa in Europa, nel 1540 al seguito dello spagnolo Cortés e furidotta a pianta ornamentale. Il pomodoro è originario della zona compresaoggi tra i paesi del Messico e Perù, gli Aztechi lo chiamaronoxitomatl,e la salsa di pomodoro divenne parte integrante dellaloro cucina. Alcuni affermarono che il pomodoro aveva pro-prietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesianticamente lo definivano “pomme d’amour”, pomo d’amore.Questa radice è presente anche in Italia: in certi paesi dell’in-terno della Sicilia, è indicato anche con il nome di pùma-d’amùri (pomo dell’amore). Si dice che dopo la sua introduzio-ne in Europa, sir Walter Raleigh avrebbe donato questa pian-tina carica dei suoi frutti alla regina Elisabetta, battezzandolacon il nome di “apples of love” (pomo d’amore).Altre fontifanno risalire il nome ad una storpiatura dell’espressione pomodei Mori, giacché il pomodoro appartiene alla famiglia dellesolanacee cui appartiene anche la melanzana, ortaggio a queitempi preferito da tutto il mondo arabo. Oggi, con l’eccezionedell’italiano, le vecchie espressioni sono state sostituite in tutte le altre lingueda derivazioni dell’originario termine azteco tomatl. La sua coltivazione e dif-fusione attesero fino alla seconda metà del XVII secolo. E in Italia, giuntanel 1596, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud del paese, grazie

a selezioni e ad innesti vari assunse il colore rosso (mentre in precedenza eracolor d’oro). Ben conosciamo le virtù farmacologiche del pomodoro e bensappiamo che è parte integrante delle preparazioni estive ed invernali sottoforma di conserva. E’ una pianta tanto ‘buona’ e amata che ha avuto l’onoredi essere celebrata dai versi di un poeta famoso, Pablo NerudaOde al pomodoro di Pablo NerudaLa strada /si riempì di pomodori, /mezzogiorno, estate, /la luce si divi-

de in due metà di un pomodoro,/scorre per le strade ilsucco./ In dicembre senza pausa/ il pomodoro,invade lecucine, entra per i pranzi,/si siede riposato nelle credenze,tra i bicchieri,/le matequilleras le saliere azzurre./Emanauna luce propria,maestà benigna./Dobbiamo, purtroppo,assassinarlo:/affonda il coltello nella sua polpa vivente,/èuna rossa viscera,/un sole fresco, profondo,inesauribile,/riempie le insalate del Cile,/si sposa allegra-mente con la chiara cipolla,/e per festeggiare si lasciacadere l’olio,/figlio essenziale dell’ulivo,/sui suoi emisferisocchiusi,/si aggiunge il pepe la sua fragranza,/il sale ilsuo magnetismo:/sono le nozze del giorno/il prezzemoloissa la bandiera, le patate bollono vigorosamente,l’arrostocolpisce con il suo aromala porta, /è ora! andiamo!/e soprail tavolo, nel mezzo dell’estate,/il pomodoro, astro della

terra,/stella ricorrente e feconda,/ci mostra le sue circonvoluzioni,/i suoicanali, l’insigne pienezza/e l’abbondanza senza ossa, /senza corazza,senza squame né spine,/ci offre il dono del suo colore focoso/e la totalitàdella sua freschezza.

La XVIII edizione del Premio ‘Gianni Di Venanzo’ per la fotografia cine-matografica, si articola in una serie di iniziative durante i mesi di ottobree di novembre, a Teramo. La mostra fotografica “Viale Crucioli si espone”a cura del fotografo teramano Francesco Oronzii, presso la sede di‘Teramo nostra’ apre le numerose manifestazioni, il 7 ottobre e resteràaperta per tutta la durata del Premio. Ad essa si affiancheranno proiezionidi film presso la Casa di riposo ‘De Benedictis’, presentazioni di libri (“Ilvaso di Pandora” di Marco Esposito, Artemia Ed. e “Il quadro segreto diCaravaggio” di Francesco Fioretti, Newton Compton ed., alla presenzadell’autore), proiezione di un documentario su Civitella e dei film premia-ti,un incontro/seminario su Caravaggio,un Convegno sul rapporto uomo -animale nell’ambito del III Premio Speciale “Istituto G. Caporale” e altro

ancora. Il momento culminante del Premio sarà la cerimonia di premia-zione, il 20 ottobre,presso la Sala Polifunzionale, quando verranno conse-gnati gli esposimetri d’oro ai vincitori che quest'anno sono: EnricoLucidi (Premio Autore della Fotografia Italiana);Guillaume Schiffman(Premio Autore della Fotografia Straniera); Marco Onorato (Premioalla Memoria); Raoul Coutard (Premio alla Carriera); Luigi Cecchini(Premio Speciale Autore della Fotografia Fiction TV “Peppe Berardini”).L’esposizione del programma, in questa sede, è molto succinta per ragionidi spazio. Vogliamo tuttavia ringraziare gli animatori di ‘Teramo nostra’per l’impegno, che da tanti anni profondono, nell’organizzare un cartello-ne così vario e nutrito in tempi in cui è molto difficile trovare sostegno(materiale) per eventi di tal genere.

XVIII Premio ‘G. Di Venanzo’

SATURA LANX 8

Direttore responsabileAttilio Danese

Via Torre Bruciata, 1764100 Teramo

Tel. 0861.244763 - Fax 0861.245982e-mail: [email protected]

RedazioneSala di Lettura - Via N. Palma, 33 - Teramo

Tel. [email protected]

Direttore onorariodon Giovanni Saverioni

ProprietàCRP

Via N. Palma, 37 - 64100 Teramo

EditoreGiservice srl

Via del Baluardo, 10 - 64100 TeramoTel. 0861.250299 - Fax 0861.254832

[email protected]

Legge n. 196/2003 Tutela dei dati personali.Resp. dei dati la direzione de La TendaVia Nicola Palma, 33 - 64100 Teramo

La redazione si riserva di apportare le modificheche riterrà opportune. Gli originali non si

riconsegnano. La responsabilità delle opinioniresta personale. Per consegnare gli articoli è

preferibile la via e-mail:[email protected]

Abbonamento euro 15c/c n 10759645 intestato

a CRP, Via N. Palma, 37 - 64100 Teramo

Dopo lunga assenza, il ritorno a casa coincide con il desiderio di ritrovare volticari, riallacciare legami con il passato, riappropriarsi dell’identità più intima.Il più delle volte, però, l’aspettativa è falsata dalla prospettiva distorta delricordo. Ciò che sembrava smisurato nella memoria è, nella realtà, infinita-mente più piccolo; odori, sapori, la sostanza stessa delle cose, trasfigurati dal-l’immaginazione, appaiono deludenti o diversi. Il recupero di un presentenuovo ed estraneo deve essere dunque graduale e filtrato da razionalità e con-sapevolezza di sé, per potersi adattare a situazioniimpreviste e inimmaginabili. In questo senso il XIIIlibro diventa per Odisseo il discrimine tra la prece-dente dimensione avventurosa e quella vera, checoincide col recupero del ruolo sociale e familiare,ben diverso da quello che aveva lasciato venti anniprima. La dinamicità della prima parte del poema èdunque funzionale alla progressione narrativa dellaseconda parte. Il sovrano di Itaca ha accumulato nelsuo viaggio esperienza sufficiente ad affrontare real-tà a lui avverse .Omero plasma la materia poetica sorprendendo il lettore; abbandona infattimomentaneamente l’aspetto epico della vicenda e avvolge di magia e misteroil ritorno dell’esule. Il poeta preferisce insistere su toni smorzati: l’eroe dormeun sonno profondo quando la nave dei Feaci che lo riconduce ad Itaca, attrac-ca in un luogo appartato ( “ lasciando i solidi banchi [i rematori] dapprima tra-sportarono a terra fuori dalla concava nave Odisseo con il telo di lino e la copertasgargiante e lo adagiarono sopra la sabbia ancora soggiogato dal sonno, […] quindiripresero il mare verso casa” ). L’autore focalizza la sua attenzione sulla gradualepresa di coscienza dell’ambiente da parte di Odisseo; l’eroe si sveglia dalsonno profondo, guarda il paesaggio circostante ma è perplesso ( “ si destò ilnobile Odisseo che dormiva sulla terra paterna dopo che a lungo era stato lontano,ma non la riconobbe”). Nell’artificio narrativo ideato da Omero, l’eroe greconon è più, per un momento, protagonista assoluto, ma diventa strumentodell’intreccio poetico. Non ha infatti padronanza di sé e della situazione, sicrede abbandonato e ingannato dai Feaci e non sa come comportarsi, poiché,

in realtà, il fulcro della vicenda si sposta da lui alla dea Atena, protettrice eispiratrice del sovrano di Itaca. Egli è avvolto da una provvidenziale foschiache la dea gli aveva creato intorno “ per farlo irriconoscibile e raccontargli ognicosa,sì che la moglie e i concittadini e gli amici non lo riconoscessero prima che i pre-tendenti avessero scontato tutta la loro arroganza. Perciò ogni forma dei luoghiappariva estranea al sovrano”: la nebbia che nasconde l’eroe è metafora dellasua coscienza ancora sopita. Dea ex machina, Atena gli appare improvvisa-

mente per sciogliere la vicenda, “simile nella figura adun giovane pastore di greggi”. Odisseo parla con lei,apprende di essere in patria, ma non si rivela per quel-lo che è realmente (“non disse il vero, deviava il discorso,perché sempre maneggiava in petto una mente fervida diastuzie”). Atena vuol mettere alla prova il suo protettoe saggia la sua mente prima di mutare ancora unavolta forma, trasformandosi in una donna e quindirivelarsi. Il trascorrere della dea da una sembianza adun’altra, avviene senza soluzione di continuità, men-

tre la metamorfosi è caratterizzata da un gesto di profonda confidenza: essa,infatti, non si limita a parlare all’eroe, ma sorride e lo sfiora con la mano.Riconfermando le doti di Odisseo (“ sei cortese acuto e assennato”) lo mette inguardia da ciò che egli troverà nella sua reggia, incoraggiandolo ad affrontarela prova estrema e definitiva della sua esistenza (“mi terrò vicinissima a te né maiti perderò di vista quanÈE’ necessario però che l’eroe appaia irriconoscibile edignobile a tutti, perché la vendetta possa avere pieno compimento. La deaquindi lo muta in un mendicante dall’aspetto sgradevole. La trasformazionedell’eroe in un reietto si contrappone esteticamente alla bellezza e alla vigoriadei pretendenti. Tale mutamento, oltre a solleticare l’aspettativa del lettore,che vede stravolti i canoni della normale tradizione narrativa, rende ancor piùemblematico il binomio apparenza/sostanza. La sgradevolezza fisica del men-dicante è infatti il riflesso esterno dell’abiezione dei pretendenti che inconsa-pevolmente si specchiano in questa figura all’apparenza innocua, senza averela capacità di discernere in essa il messaggero della loro fine inesorabile.

B.D.C.

Gusto letterario

TACCUINORicordando GiulyÈ ormai passato del tempo, eppure penso ancoradi incontrarti nella nostra piazzetta, o dal frutti-vendolo, come accadeva da sempre, e di scam-biare con te le parole dettate dalla consuetudine,e da una familiarità forse mai approfondita, maantica e durevole.Non mi aspettavo questa rapida uscita di scena,avvenuta con discrezione, come discreto e riser-vato è stato il tuo stile, tutto improntato suimezzi toni, sui colori tenui ,sulla semplicità dellavita quotidiana, la famiglia, qualche amica, la

scuola, le passeggiate in pomeriggio. Tutto senza clamore, senza farsi notare più ditanto anche nei momenti più difficili, in unmondo che invece cerca l’ostentazione, il con-senso, il pubblico… mi mancherai, questo ècerto, come manca la vicina di casa, la vecchiaconoscenza incontrata a casa di amici tanti annifa, quando eravamoragazze con la testapiena di attese…

Lucia Pompei aGiuliana D’Ignazio

Venerdì 3 ottobre 2014, alle ore 18:00, nellamagnifica cornice del Mediamuseum a Pescara,si inaugurerà la Mostra Silvio MastrodascioSinfonia di forme a cura di Giuseppe Bacci contesto di Maurizio Calvesi.La mostra, rende omaggio alla produzione plasti-ca di Silvio Mastrodascio, legata alla tradizionedell’arte figurativa italiana, e si inserisce nel solcodella ricca tradizione della scultura italiana con-frontandosi con i grandi artisti del passato ecaratterizzandosi anche per i segni evidenti dellesue origini. Le sue radici, infatti, si impiantanonella più nobile tradizione abruzzese e la sua arte

trae forza ed ispirazione dal fertile humus cultura-le della nostra terra, che negli ultimi due secoli haespresso prestigiose figure di scultori e pittori.Ennesimo ritorno espositivo nella sua terrad’Abruzzo quello di Silvio Mastrodascio (nato aCerqueto nel 1943 e vive e lavora a Toronto, inCanada), che ha visto la sua personale storia d’ar-tista formarsi artisticamente in Italia e maturareprofessionalmente oltreoceano, in Canada. Tornaspesso in Abruzzo e Teramo, dal 2004, ospital’opera La reincarnazione dell’Universo, una gran-de scultura in bronzo patinato collocata all’in-gresso del centro storico della città e, lungo la

“passeggiata dei tigli”, sono collocati i suoi bustibronzei dedicati a eminenti personaggi abruzze-si. A Montorio al Vomano, sono collocate unafontana bronzea ed una poderosa scultura dedi-cata alla memoria di Padre D’Andrea.Questa personale Sinfonia di forme alMediamuseum, che riunisce più di trenta operedella sua produzione artistica, offre la possibilitàdi approfondire la conoscenza dell’autore.

Sinfonie di forme - mostra di Silvio Mastrodascio

‘Atena lo [Odisseo] colpì con una verga. Glifece aggrinzire la bella pelle sulle membra fles-suose, gli fece scomparire dalla testa i biondicapelli, intorno a tutte le membra gli creò unapelle da vegliardo, gli appannò gli occhi primabellissimi”

Omero, Odissea XIII 429- 433

La Tenda vivrà con il tuo abbonamento:annuale 15 euro, sostenitore 20 euro, cumulativo con la rivista “Prospettiva persona” 37 euro c/c n. 10759645 intestato a CRP, Via N. Palma, 37 - 64100 TeramoPer le inserzioni nel “Taccuino”: Tel. 0861.244763

PetizioneSosteniamo il sig. Antonio Di Giuseppe, pro-motore di una petizione rivolta al Sindaco diTeramo e al sindaco di Montorio affinché vengaintitolata una via a Mons. Domenico DeFedericis (Montorio 1916-Teramo 1973), gran-de ed indimenticabile educatore della gioventùteramana nei difficili anni del dopoguerra, retto-re del Seminario aprutino per quasi 30 anni,Cerimoniere della Cattedrale e professore nellescuole pubbliche.