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SAGGI Nei vicoli di Napoli. Reti sociali e percorsi individuali di Lucia Grilli La Napoli popolare, quella che vive nel centro antico e in partico lare nei «quartieri spagnoli», di cui qui si parla, viene presentata ge neralmente come un magma indistinto, composto di sottoproletari immersi in dubbie attività economiche e con un'identità sociale li mitata e fortissima. L'articolo scompone questo mondo, a partire dai percorsi individuali e familiari di un piccolo vicinato, e mostra come in esso possano coesistere diverse forme di identità e di relazioni, le gate alla storia individuale, familiare, economica. Mostra inoltre i pro cessi di mobilità sociale nel rapporto fra l'individuo e la sua cerchia di appartenenza: chi aspira a mestieri e condizioni migliori, vive nel vicolo, ma con un forte senso di estraneità; distingue fra la cerchia della parentela e i vicini, vive nella famiglia piuttosto che nel quartie re; utilizza i rapporti familiari a fini di mobilitazione sociale. E que sto il caso della famiglia Natullo. Chi, invece, per vicende individuali e familiari si trova ad aver bi sogno dei vicini, a esercitare un mestiere in cui le relazioni sociali del vicolo sono indispensabili, sviluppa anche un'identità e un'im magine del territorio particolare, rafforza il senso di appartenenza, enfatizza i rapporti di vicinato, tende a costituirsi verso l'esterno co me il depositario delle tradizioni e dell'identità di quel territorio. Si sviluppano delle dinamiche di enorme interesse che gettano luce su un tema affrontato finora solo dalla letteratura: l'apporto fra quella che di volta in volta viene definita «plebe», «popolino» ecc., e quella che viene definita «piccolissima borghesia», gli artigiani, i piccoli im piegati ecc. Un'analisi ravvicinata mostra le intrinseche ragioni delle scelte individuali e di gruppo, gli intricati rapporti fra questi due mon di, percorsi da traiettorie di mobilità sociale verso l'alto e verso il basso. 223

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SAGGI

Nei vicoli di Napoli. Reti sociali e percorsi individuali

di Lucia Grilli

La Napoli popolare, quella che vive nel centro antico e in partico lare nei «quartieri spagnoli», di cui qui si parla, viene presentata ge neralmente come un magma indistinto, composto di sottoproletari immersi in dubbie attività economiche e con un'identità sociale li mitata e fortissima. L'articolo scompone questo mondo, a partire dai

percorsi individuali e familiari di un piccolo vicinato, e mostra come in esso possano coesistere diverse forme di identità e di relazioni, le

gate alla storia individuale, familiare, economica. Mostra inoltre i pro cessi di mobilità sociale nel rapporto fra l'individuo e la sua cerchia di appartenenza: chi aspira a mestieri e condizioni migliori, vive nel vicolo, ma con un forte senso di estraneità; distingue fra la cerchia

della parentela e i vicini, vive nella famiglia piuttosto che nel quartie re; utilizza i rapporti familiari a fini di mobilitazione sociale. E que sto il caso della famiglia Natullo.

Chi, invece, per vicende individuali e familiari si trova ad aver bi

sogno dei vicini, a esercitare un mestiere in cui le relazioni sociali del vicolo sono indispensabili, sviluppa anche un'identità e un'im

magine del territorio particolare, rafforza il senso di appartenenza, enfatizza i rapporti di vicinato, tende a costituirsi verso l'esterno co me il depositario delle tradizioni e dell'identità di quel territorio. Si

sviluppano delle dinamiche di enorme interesse che gettano luce su un tema affrontato finora solo dalla letteratura: l'apporto fra quella che di volta in volta viene definita «plebe», «popolino» ecc., e quella che viene definita «piccolissima borghesia», gli artigiani, i piccoli im

piegati ecc. Un'analisi ravvicinata mostra le intrinseche ragioni delle scelte individuali e di gruppo, gli intricati rapporti fra questi due mon

di, percorsi da traiettorie di mobilità sociale verso l'alto e verso il basso.

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1. L'«arte» e il «posto»: risorse ed aspettative sociali in due famiglie di calzolai.

Dopo aver camminato lungo via Toledo e via Chiaia, sedi di im

portanti attività amministrative e commerciali, o ammirato i bei pa lazzi in via Monte di Dio, testimonianze di un prestigioso e nobile

passato, è possibile addentrarsi tra i vicoli apparentemente tutti uguali dei «quartieri spagnoli», rimanendo colpiti dalla contiguità di spazi urbanistici e sociali tanto diversi.

Fascia di transizione tra alto e basso, S. Anna di Palazzo e S. Tere sella degli Spagnoli sono vicoli di S. Ferdinando, popoloso quartiere del centro di Napoli, « che contiene entro la sua cerchia tutte le sfu mature della scala sociale»1. Tra questi vicoli e quelli contigui si di

partono i percorsi delle famiglie che ho ricostruito. Dagli ultimi de cenni dell'Ottocento vi abitano Vincenzo Natullo, in vico Storto S. Anna al numero 8, e i fratelli Autiero, tra via S. Teresella e vico Con cordia2.

1 R. Fucini, Napoli a occhio nudo, Firenze 1878. Sull'immagine della Napoli di fine Otto cento proposta dalla letteratura cfr., tra i tanti esempi possibili, F. Mastriani, / misteri di Napo li, Napoli 1969-70; M. Serao, Il ventre di Napoli, Milano 1884; Id., Il paese della cuccagna, Na

poli 1910. Per la sua evoluzione sociale e politica si vedano F. Barbagallo, Mezzogiorno e que stione meridionale, Napoli 1980; P.A. Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Torino 1973.

1 quartieri spagnoli, caratterizzati dal punto di vista urbanistico da una struttura reticolare, residenza esclusiva delle truppe spagnole, assumono una fisionomia di tipo residenziale, per la presenza di nobili, impiegati, proprietari ed appartenenti al ceto medio. Edificati durante la seconda metà del Cinquecento per volontà di Pedro de Toledo, hanno sin dall'inizio avuto un'altissima densità edilizia. Cfr. C. Beguinot, Una preesistenza ambientale a Napoli: i «quartie ri spagnoli», in «Quaderni di urbanistica», 1957, 5; C. De Seta, Napoli, Bari 1981; G. Laino, Il cavallo di Napoli: i quartieri spagnoli, Milano 1984. Fino al 1860, la vicinanza di via Toledo, sede di importanti uffici amministrativi e finanziari (Banco delle Due Sicilie, Borsa, Gran Cor te dei Conti), incide significativamente sulla loro composizione socio-professionale. Dal Cin

quecento all'Ottocento, altissima è la percentuale di immigrati, che si inseriscono particolar mente nel settore dei servizi. Massiccia è anche la presenza degli artigiani, soprattutto

sarti e calzolai. Tale settore è caratterizzato, come del resto nelle altre zone della citta, da una forte frammentazione delle attività. Cfr. C. Petraccone, Napoli dal Cinquecento all'Ottocento. Pro blemi di storia demografica e sociale, Napoli 1975.

2 Tra questi stessi vicoli ritroviamo alcuni discendenti, come i fratelli e le sorelle Natullo e Pasqualina Autiero (1919), figure sulle quali ho impostato l'articolo. Ho iniziato la mia ricer ca con una serie di quindici interviste a individui nati e vissuti in S. Ferdinando. Essi mi hanno raccontato le loro storie di vita, che ho registrato e poi trascritto. Ho anche annotato com menti ed osservazioni espressi nei colloqui effettuati senza registratore. Ho dunque incrociato le fonti orali con materiale di archivio. Attraverso gli atti dello stato civile di Napoli, ho rico struito un vicinato di dieci

gruppi familiari. Di ogni genealogia ho seguito i vari rami, anche

quelli femminili, attraverso più generazioni: la prima comprende i nati tra il 1850 ed 1870, l'ultima i nati tra il 1955 ed il 1965 (i decennali dell'archivio si interrompono in quest'anno; non ho potuto, per difficoltà connesse alla consultazione, usare gli atti più recenti dell'anagrafe).

Ai dati di questo campione ho affiancato, per un confronto, quelli di un altro vicinato,

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Vincenzo Natullo (1859-1934) è un calzolaio che, nei primi decen ni del Novecento, si trova in gravi difficoltà economiche. Fino ad allora ha svolto il proprio mestiere in società con un cognato, con il quale convive per un lungo periodo in vico Storto S. Anna5. La società fallisce ed il cognato si ritira definitivamente dall'attività. Vin cenzo non può più permettersi da solo le spese di locazione di un

negozio. Continua il mestiere facendo scarpe su misura per una clien tela ridotta. Racconta Antonio, uno dei suoi figli:

Paterno apprimme c'aveva il magazzino di scarpe, nella guerra, prima. Nel 1915 po' scoppiò la guerra '15-18, papà toglie di mezzo 'o magazzino perché nun ce 'a faceva chiù, tre fratelli miei a fa' e surdate, allora stop! Perché papà faceva il calzolaio faceva 'e scarpe su misura, 'e scarpe su misura stesso 'e clienti che

sapeva [...] 'e scarpari, nuje 'e chiammaveno 'e scarpari a tipo napoletano, si face vano così [...] le scarpe su misura faceva cioè vale a dire i clienti «Don Vicie', mi serve nu paje e scarpe», pigliava 'a misura [...]*.

Lo sostengono la solidarietà dei parenti, domiciliati in vicoli con

tigui e nel vicino corso Vittorio Emanuele, e dei vicini che gli procu rano nuovi clienti.

Probabilmente l'attività di Vincenzo risente di una crisi più gene rale del settore artigianale. Essa investe, è noto, a partire dai primi anni del Novecento la piccola industria, soprattutto di tipo artigia nale e si aggrava notevolmente negli anni del primo dopoguerra5. Proprio nel periodo che stiamo ora osservando la fisionomia socio

professionale del vicinato gradualmente muta. Si nota una costante

contrazione del numero degli addetti ad attività artigianali. Passia mo infatti dal 31 per cento circa degli anni 1880-81 al 27 per cento circa del 1900-01 ed al 19 per cento del 1930-31.

nel quartiere S. Lorenzo (via Tribunali e vicoli limitrofi). Si tratta di altre otto genealogie fa miliari, delle quali ho seguito i percorsi geografici e professionali dal 1870 al 1965.

Ho infine inquadrato tutte le traiettorie individuali delle famiglie di S. Ferdinando in un

campione territorale. Ho schedato tutti gli atti di nascita, matrimonio e morte relativi ai vicoli del vicinato (che per semplicità chiamerò di S. Anna e S. Teresella, dal momento che, come si noterà dalla figura, spesso con lo stesso nome sono denominati più vicoli) per gli anni

1860-61, 1880-81, 1900-01, 1930-31, 1950-51. Ho in tal modo ottenuto uno spaccato, sia sincro nico che diacronico, dei comportamenti demografici e professionali del vicinato nell'arco di un secolo. In totale ho schedato 4500 atti circa.

3 Ho tratto l'informazione dall'atto di nascita del terzogenito di Vincenzo (S. Ferdinan do, 1898, atto n. 350 i) nel quale trovo Carlo E. citato come testimone. Egli è ancora presente come testimone in altri atti degli anni successivi (5. Ferd., 1906, n. 639 I, S. Ferd., 1910, n. 912

I, S. Ferd., 1911, n. 351 i). Risulta gassista ed accenditore. 4 Intervista ad Antonio Natullo (21 gennaio 1988). 5 Sulla situazione socio-economica della Napoli dei primi del Novecento cfr. in partico

lare quanto scrive G. Aliberti, Profilo dell'economia napoletana dall'unità al fascismo, in Aa.Vv., Storia di Napoli, Napoli 1971, pp. 405-68.

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Si tratta soprattutto di sarti e calzolai che, come ricordano i testi

moni, spesso svolgono il lavoro in casa o in botteghe contigue alle abitazioni6. Eventi personali ed una specifica congiuntura storica e sociale si intrecciano e contribuiscono ad accelerare o comunque a modificare i cicli di vita individuali e familiari.

Le storie da me ricostruite riflettono e confermano questa gradua le apertura degli individui a nuovi spazi socio-professionali. Ovvia mente ogni gruppo risponde alle dinamiche più generali in modo di

verso, ridefinendo le proprie reti di relazione sulla base delle risorse

disponibili. I Natullo attuano evidenti tentativi di riconversione professiona

le. Nella famiglia, infatti, nessuno dei figli continua il mestiere del

padre. Nonostante alcuni di loro, introdotti giovanissimi al lavoro,

imparino un mestiere artigiano (sarto, falegname, fabbro), secondo un modello socio-professionale ancora diffuso nel vicinato, nessuno lo esercita negli anni seguenti. Dai primi decenni del Novecento le attività dei discendenti di Vincenzo Natullo tendono a diversificarsi. Nello spazio di due-tre generazioni la fisionomia professionale della

famiglia cambia completamente. I figli di Vincenzo sono operai, im

piegati, barbieri che gestiscono in proprio l'attività. E, nella genera zione successiva, si registrano casi di mobilità ascendente7. Trovia mo impiegati e professionisti, generalmente in possesso di un titolo di studio superiore. Nella famiglia maturano gradualmente nuove

aspettative sociali. II periodo di crisi colpisce profondamente la vita quotidiana del nu

cleo di Vincenzo Natullo condizionato, per l'intero ciclo di vita, dalle dimensioni troppo ampie8. Vincenzo, infatti, a partire dal 1894, ha in

6 La tendenza degli artigiani napoletani a svolgere le attività ed a vivere la propra socialità

negli spazi limitati del quartiere di appartenenza è stata segnalata fino agli ultimi decenni dell'Ot tocento nei lavori di G. Laurita, Comportamenti matrimoniali e mobilità sociale a Napoli, in «Qua derni storici», 1984, 2, pp. 433-65 e C. Petraccone, Mobilità e coscienza di classe: il caso di Napoli a metà Ottocento, in «Società e Storia», 1978, 2, pp. 257-79. Cfr. anche G. Galasso, Professioni, A rti e Mestieri della popolazione di Napoli nel secolo XIX, in «Annuario dell'Istituto Storico Italia no per l'Età Moderna e Contemporanea», Roma 1964.

7 II tema della mobilità sociale e della stratificazione è da circa un cinquantennio studiato accuratamente da storici e sociologi. Cfr., tra i tanti esempi possibili, A. Heat, La mobilità socia

le, Bologna 1983; J. Goldthorpe e P. Bevan, Lo studio della stratificazione sociale in Gran Breta

gna, Torino 1977; H. Kaeble, Eras of social mobility in 19tb and 20th century Europe, in «Journal of social history», 1984, 1, pp. 489-504; J. Kocka, The study of social mobility and the formation of working class in the 19th century, in «Le mouvement social», 1980, 1, pp. 97-117 e, per la situa zione italiana, il numero monografico di «Polis», 1988, 1. Nelle mie considerazioni ho preferito, coerentemente con la metodologia e l'approccio della ricerca, fare riferimento principalmente all'idea che i testimoni stessi hanno dei percorsi professionali possibili.

8 Caratteristica tra l'altro comune a quasi tutte le famiglie ricostruite. Di fronte a tali strut

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circa venti anni ben undici figli, dei quali nove rimangono in vita. E evidente che non è affatto facile mantenere l'equilibrio in una

famiglia di tali dimensioni. Il peso delle richieste complessive dei com

ponenti è infatti notevole. Le scansioni di età fanno sì che i cicli indi

viduali, almeno fino al momento del matrimonio, siano strettamen te intrecciati a quello familiare e talvolta rallentati da un carico trop po pesante di obblighi e responsabilità'.

La presenza costante della morte in ogni fase dei cicli individuali e familiari, inoltre, rende necessaria una pronta e continua ridefini zione della struttura della rete della famiglia. Soprattutto nelle situa zioni di crisi, il nucleo è costretto a massimizzare le risorse umane, affettive ed economiche disponibili, costruendo strategie fondate in

primo luogo sulla riallocazione dei propri componenti. Antonio Natullo (1904-88), quartogenito di Vincenzo, più volte,

lungo il proprio percorso professionale, è costretto a sacrificare le

esigenze e le aspettative personali a quelle più pressanti ed immedia te della famiglia di origine:

Io a undici anni quando c'era la guerra già lavoravo, io già portavo avanti una

famiglia, perché tre fratelli miei già facevano la guerra '15-18 e c'avevo undici anni

e lavoravo giorno e notte. Con la guerra, la guerra '15-18 era faticoso, je ero chiù

fnccolo

e mandavo avanti lo stesso la famiglia e io so', so' andato da ragazzo, sì

avoravo dinte 'a puteca come fabbro, cumme fabbro, sempre il ferro, sempre il

ferro ho maneggiato [...]. Quando finì la guerra lavori non ce n'erano e me ne

andavo a piazza Mercato a piegà e tubi di ottone, a piega 'e tubi che a fora erano di ottone, ma accussì era un pochino per arrangiare per lavorare. Poi cacciai il li

bretto di navigazione e m'imbarcò, partì navigando quasi un anno, ho fatto il ma

rinaio, ho fatto. Poi le cose andarono male perché mio padre si ammalò, mio pa dre, allora io dato che ero attaccato ai genitori mi sbarcò, finì, andai a cerca' un

lavoro io stesso, riuscì ad andare a lavorare alla Bénit, a via Argine [...]I0.

Nella famiglia sono rimaste soltanto le donne, che fanno piccoli lavori di sartoria per persone del vicinato, ed altri quattro figli, trop

ture si ha l'impressione di essere ancora molto distanti dal diffondersi di un modello demogra fico paragonabile a quello che Anderson ha definito, riferendosi al caso inglese, il «ciclo di vita moderno», caratterizzato dalla diminuzione delle nascite e dal loro raggrupparsi nei primi anni di matrimonio (M. Anderson, L'emergere del ciclo di vita moderno in Inghilterra, in C. Saraceno (a cura di), Età e corso della vita, Bologna 1986).

9 L'interesse degli studiosi per la famiglia e le sue funzioni ha dato negli ultimi decenni una produzione sul tema molto ricca e varia. Sugli sviluppi di tale problematica cfr. la sintesi in L. Stone, Viaggio nella storia, Bari 1987. La struttura familiare in Italia ed i suoi cambiamen ti dal XV al XX secolo è stata accuratamente analizzata da M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto,

Bologna 1984. Per la problematica del rapporto tra famiglia e cambiamenti sociali, cfr. ad esempio E. Rosenberg (a cura di), La famiglia nella storia, Torino 1979; L. Stone, Famiglia, sesso e matri monio in Inghilterra tra Cinque ed Ottocento, Torino 1983; M. Barbagli (a cura di), Famiglia e mutamento sociale, Bologna 1977.

10 Intervista ad Antonio Natullo (2 febbraio 1988).

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po giovani per inserirsi nel mercato del lavoro. La traiettoria profes sionale del nostro testimone comincia, dunque, in una fase partico larmente delicata del ciclo di vita della famiglia. Ne risulterà condi zionata anche negli anni a venire. Antonio, diventato operaio specia lizzato, si sposerà, infatti, solo nel 1936, con una sarta del vicinato,

quando tutti i fratelli si saranno «sistemati»; diversamente da loro, non sperimenterà alcuna mobilità professionale.

I comportamenti e le strategie delle famiglie artigiane che ho rico struito non sono però univoci e non possono essere ascritti ad un modello unico.

Una rete familiare «stretta» è l'universo in cui si definiscono an che le scelte e l'identità sociale degli individui della famiglia Autiero. Ma gran parte dei maschi di questa rete familiare continua, fino alle

generazioni più recenti, a esercitare il mestiere di calzolaio o comun

que un mestiere artigiano11. Gli Autiero sono un gruppo familiare molto prolifico in tutte le corti analizzate. I capostipiti, nati tra il 1860 ed il 1870, sono calzolai. Molto spesso gli artigiani della fami

glia formano società, stabilendo con la più ampia rete parentale saldi

legami di lavoro. Queste collaborazioni si attuano sia tra fratelli che tra zii e nipoti o comunque membri di generazioni diverse. Pasquali na Autiero ricorda nella casa in cui ha vissuto l'infanzia il nonno Giu

seppe (1868) che lavora con i figli — sono cinque di età molto diversa — ed un fratello. Essi hanno un negozio a poca distanza dal domici

lio, ma gran parte del lavoro è svolto in casa. Le piccole «aziende» costituite da gruppi parentali si occupano anche dello smercio dei pro pri manufatti.

Probabilmente nel caso degli Autiero la solidarietà tra parenti fa vorisce la continuità professionale. L'unione delle forze economiche di più individui potrebbe aver reso più salda l'attività familiare ed averne permesso il mantenimento anche in una situazione di forte frammentazione e precarietà delle occupazioni artigianali.

La solidarietà tra parenti si intreccia quindi, in questo gruppo fa

miliare, con i rapporti di lavoro. Le traiettorie degli individui si co struiscono intorno al mestiere che la famiglia svolge da generazioni. Utilizzando tale «risorsa», la rete familiare e parentale rielabora la

propria trama, a seconda del proprio ciclo interno e della congiuntu ra economica che coinvolge i quartieri napoletani.

11 Anche nel tessuto sociale della Napoli dell'Ottocento, ricostruito da G. Laurita e C. Pe traccone nei saggi citati, si è rilevata una scarsa mobilità intra ed intergenerazionale nei gruppi artigiani.

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La rete familiare si può anche trasferire nello spazio. È il caso, ad

esempio, dei figli di Francesco Autiero (1861-1913), cinque fratelli, calzolai. Quando decidono di uscire dall'ambito del vicinato, lo fan no tutti insieme. Ritrovo perciò due fratelli che, da via Salvator Ro

sa, dove intorno al 1915 si è trasferito l'intero nucleo familiare, van no prima al Vomero e poi emigrano negli anni cinquanta a Roma. Gli altri invece si muovono tra i vicoli dei quartieri Avvocata e Mon tecalvario.

Il distacco dal quartiere d'origine non comporta l'indebolimento dei legami di parentela: può anzi rafforzarli. Anche negli altri gruppi familiari da me ricostruiti la mobilità geografica individuale è, spe cialmente nelle prime generazioni (fino agli anni trenta), correlata

significativamente alle scelte dei parenti più prossimi, generalmente dei fratelli. I vari nuclei familiari tendono a muoversi in gruppi pa rentali stretti e a dirigersi verso le stesse zone, per mantenere anche lì forti e stabili reti di solidarietà.

2. Interni familiari.

Le traiettorie dei fratelli Natullo si inseriscono in una struttura familiare molto compatta. Le scelte che segnano il ciclo di vita di ognu no possono perciò essere meglio valutate in rapporto alle vicende ed alle opzioni dell'intera struttura parentale1.

Nell'universo sociale dei figli di Vincenzo Natullo la parentela rap presenta una struttura di socievolezza centrale ed insostituibile. L'en fatizzazione dei vincoli di sangue, nella vita quotidiana come nei mo menti di crisi, è un atteggiamento ricorrente nella famiglia, in tutte le generazioni. Sin da bambini, i fratelli e le sorelle Natullo hanno rap porti quotidiani con i parenti. Trascorrono l'infanzia giocando con alcuni cugini domiciliati in vico Cariati e in corso Vittorio Emanuele:

Nun jevemo a casa di nessuno, soltanto dai cugini miei andavamo, certi nipo ti di mio padre, nipoti di mio padre, abitavano a Cariati, un po' più avanti, più so

1 La funzione della parentela e dei rapporti di vicinato nelle strategie individuali e fami liari è una problematica centrale negli studi di storia della famiglia. Al riguardo Mitchell sotto linea che «il comportamento delle persone è interpretato in termini di azione appropriata al ruolo che esse occupano in uno scenario ordinato di posizioni» (J.C. Mitchell (a cura di), So cial network in urban situations, Manchester 1969, pp. 9 sgg). L'individuo è inserito in una

molteplicità di reti sociali, che manipola secondo le proprie necessità; da queste risulta a sua volta condizionato. Sul tema, riferito particolarmente alla rete parentale cfr. ancora G.A. Al

lan, Sociologia della parentela e dell'amicizia, Torino 1982; G. Arrighi e L. Passerini (a cura

di), La politica della parentela, Milano 1976; F. Piselli, Parentela ed emigrazione, Torino 1981.

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pra così [...]. E ci volevano allora vedere, erano miei cugini, li andavamo a trova

re per esempio in famiglia così [...] invece io quando ero piccolino sempre con

loro stavo, la famiglia P. tanto nominata a Napoli così, erano cognati di mio pa dre [...]. Po' a casa di mia cugina a corso Vittorio Emanuele, in famiglia stesso, stesso in famiglia così [...]".

Totalmente assenti sono nei ricordi di Antonio ritratti di amici o di estranei: il padre non ha mai voluto che «se la facessero con la

gente». Al contrario, le figure dei consanguinei sono evocate con forza.

Soprattutto Giovanni (1852-1928), zio paterno, falegname, popola il

vissuto quotidiano della famiglia. Nei tanti momenti di crisi che se

gnano il ciclo di vita del nucleo il ricorso ai parenti più prossimi è

costante.

I fratelli e le sorelle usano la rete parentale anche per inserirsi nel

mondo del lavoro. Francesco (1894-1974), il primogenito, impara l'arte di falegname presso lo zio Giovanni. La moglie e la figlia di quest'ul timo insegnano invece il mestiere di sarta alle donne.

Nell'adolescenza, i figli di Vincenzo Natullo hanno possibilità li

mitate di socializzare al di fuori della cerchia dei parenti. La presenza delle famiglia e della rete parentale è determinante nella socialità dei

giovani: il testimone ama sottolinearlo, talvolta con toni enfatici. So

prattutto le donne risentono di un'educazione particolarmente rigida.

La severità del padre e l'atteggiamento protettivo dei fratelli maggiori non lasciano alle ragazze grande libertà di scegliere le proprie amicizie.

I vincoli di parentela mediano anche il rapporto che i Natullo, or

mai adulti, stabiliscono con lo spazio territoriale e sociale del vicina

to, in cui le donne ed alcuni tra gli uomini scelgono il proprio coniu

ge. Tutti, evidenzia Antonio, sposano «persone di famiglia»: individui

già conosciuti ed introdotti nelle maglie della rete familiare, general mente domiciliati nei vicoli vicini. Nel vicinato si concretizzano in

fatti le principali relazioni di socievolezza; nel suo ambito tendono

ad intrecciarsi e a sovrapporsi legami di parentela e di amicizia'.

Tali strategie matrimoniali definiscono significativamente la fisio

nomia del reticolo sociale dei Natullo. Sposando persone domicilia

te nei vicoli contigui a vico Storto S. Anna, essi costruiscono, attor

no alla struttura parentale stretta, una rete sociale ben più ampia, com

posta anche dalle famiglie dei coniugi. Essa è dislocata tra S. Anna, S. Teresella, calata S. Mattia, via Nardones (cfr. fig. 1).

2 Intervista ad Antonio Natullo (17 marzo 1988). 3

Emerge dalla mia ricostruzione un'immagine della famiglia coniugale che evoca quelle of

ferte, per contesti più ampi e vari, da G. Delille, Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, Torino

1988; F. Benigno, Famiglia mediterranea e modelli anglosassoni, in «Meridiana», 1989, 6, pp. 29

61; G. Gribaudi, A Eboli. Il mondo meridionale in cent'anni di trasformazioni, Venezia 1990.

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

Figura 1 - Per esigenze di chiarezza, ho dovuto ridurre lo spazio geografico rappresentato nella

piantina ai soli vicoli limitrofi a via S. Anna e S. Teresella. Alcune strade e vicoli menzionati nel testo (Calata S. Mattia, vico Concordia, via L. Oliva Mancini, via Roma e via Monte di

Dio), non sono dunque rappresentati.

I gruppi familiari con i quali i Natullo hanno scambi matrimonia li sono originari del vicinato o comunque si sono stabiliti nei suoi vicoli da generazioni. I rapporti più frequenti e diretti sono con il nucleo degli Iovine, domiciliati dalla fine dell'Ottocento in via S. Te

resella, Gradoni di Chiaia, via L. Oliva Mancini, via Nardones, via S. Anna. Famiglia di venditori ambulanti, non esce mai, neanche nelle

generazioni più recenti, dall'ambito geografico analizzato4. Maria Iovine (1894-1952) sposa Francesco Natullo, primogenito di

Vincenzo, nel 1919. La coppia si stabilisce, per alcuni anni, in casa della madre di Maria, in via L. Oliva Mancini. Individui della fami

4 Si è notato, attraverso l'analisi comparata con il campione del vicinato di via Tribunali, che venditori ambulanti, piccoli commercianti, persone

che cambiano continuamente lavoro (precari in genere), hanno un rapporto ancora più stretto e continuo nel tempo con il vicinato. Ciò può essere in parte legato alle attività economiche svolte, strettamente dipendenti dalle relazioni informali che ogni individuo riesce ad intrecciare.

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glia Iovine risultano spesso presenti, come testimoni, negli atti di na

scita, matrimonio e morte riguardanti la famiglia di Francesco e Ma

ria5; le figure dei parenti materni popolano i ricordi dell'infanzia dei

figli di Francesco.

L'immagine che emerge dall'analisi delle traiettorie individuali e dai racconti dei testimoni è confermata dalle fonti demografiche. La tendenza degli individui a scegliere il proprio coniuge all'interno del

vicinato, in cui generalmente sono nati e vissuti, è evidente in tutto il periodo considerato. I rapporti spaziali tra gli sposi rivelano anco

ra, nella maggior parte dei casi, una socialità dagli orizzonti limitati. Moltissimi sono i matrimoni contratti tra persone che abitano in

vicoli contigui, nello stesso vicolo o nello stesso stabile. Nel campio ne di S. Anna e S. Teresella le coppie costituite da individui già do miciliati nel vicinato rappresentano il 74 per cento nel 1860-61 e Γ85

per cento nel 1880-81 e nel 1900-1901.

Soprattutto per i più giovani, le reti di socievolezza hanno confini ben delimitati. Tra le 120 coppie delle quali ho potuto ricostruire i

percorsi territoriali (dalla fine del 1800 al 1935) sono 90 quelle in cui entrambi gli sposi sono del vicinato6. Soltanto a partire dagli anni 1930-31 l'incidenza di tale strategia matrimoniale comincia a ridimen sionarsi. La contiguità territoriale influisce sulla scelta del coniuge nel 53 per cento dei casi. Proprio in quegli anni molti percorsi indi viduali cominciano ad esprimere una più ampia considerazione dello

spazio urbano. Il matrimonio rappresenta generalmente per gli individui un canale

per rafforzare il legame con lo spazio territoriale (e, spesso, sociale) in cui sono nati e vissuti. Negli anni successivi al matrimonio ritrovo le coppie nei pressi della casa della famiglia di origine o dei nuclei di altri fratelli, con i quali continuano ad avere rapporti costanti7.

5 Ad esempio negli atti di nascita S. Ferd. 1927, n. 1459 e 1460 (decennale 1926-35). 6 Dal 1935 negli atti di matrimonio spesso non sono più indicati gli indirizzi degli sposi:

c'è soltanto l'indicazione, più generica, del luogo di resiaenza. La maggiore completezza dei documenti dipende dunque dallo zelo degli impiegati trascrittori.

7 La ricostruzione dei percorsi geografici e professionali è ovviamente resa possibile dal l'analisi attenta del campione genealogico. Si tratta, è noto, di una tecnica microanalitica ela borata che richiede tempi particolarmente lunghi e comporta inevitabilmente la circoscrizio ne del campo di osservazione del ricercatore. Attraverso la costruzione di traiettorie indivi duali e familiari è però possibile operare analisi in profondità, che pongono in luce molti aspetti che sfuggirebbero ad una visione aggregata. Sulle prospettive e gli usi di tale metodologia per lo studio dei fenomeni di stratificazione sociale cfr. M. Gribaudi, Mondo operaio e mito ope raio, Torino 1987 ed il numero monografico delle «Annales E.S.C.», 1990, 6. Riguardo alla co struzione di campioni territoriali, che offrono, per la possibilità di applicazione a gruppi ampi, spaccati significativi della fisionomia e dei comportamenti di comunità o gruppi sociali, cfr., per tutti, W.H. Sewell Jr., Structure and mobility, Cambridge 1985.

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

Francesco Natullo (1894), impiegato ferroviario con quattro figli, si muove tra S. Anna, via L. Oliva Mancini e vico S. Teresella. Negli stessi vicoli abita la sorella Natalina (1902), con il marito, operaio, e tre figli. Antonio (1904), operaio specializzato con quattro figli, ri sulta invece residente in via Nardones prima e poi in via S. Caterina da Siena. Luisa (1906) e Giuseppina (1909), sposate rispettivamente con un fruttivendolo ed un sarto, non hanno figli e si muovono ne

gli stessi vicoli. La casa della madre in vico Storto S. Anna è il luogo preferito de

gli scambi familiari. Lì dal 1937 si stabilisce anche Anna (1912) con il marito, un sarto nato e vissuto fino ad allora in calata S. Mattia.

Le relazioni di socievolezza sono dunque rafforzate o comunque favorite dalle scelte territoriali dei vari nuclei della famiglia Natullo. I fratelli costruiscono un reticolo di legami sovrapposti, che salda in sieme lavoro, affetto, amicizia. Esso rimarrà densissimo anche quan do alcuni sceglieranno di lasciare definitivamente il vicinato o di emi

grare, come Natalina, che si trasferisce a Chieti, i figli di Francesco, alcuni figli di Antonio. Gli scambi tra fratelli e tra zii e nipoti si man teranno sempre vivi attraverso rapporti telefonici o epistolari.

La tendenza delle coppie a rimanere nel vicinato dopo il matrimo

nio, mantenendo forti vincoli con le famiglie di origine, è evidente

anche negli altri gruppi familiari analizzati. La preferenza per la continuità territoriale emerge soprattutto dalle

scelte residenziali delle donne. Ad esempio, tutta la vita di Anna Na

tullo, ottava dei nove figli di Vincenzo, si svolge nel piccolo apparta mento di vico Storto S. Anna. Ottantenne, vi vive tuttora con una

figlia, Maria Rosaria (1942), rimasta vedova dodici anni fa. Dal 1890 ad oggi, si succedono dunque nella stessa casa tre generazioni di don ne. Anche le sorelle Luisa (1906-65) e Giuseppina (1909), che abita at tualmente in via Nardones, non sono mai uscite dai vicoli del vicinato.

Nelle famiglie osservate, qualunque sia la classe sociale di appartenen za, le donne sono indubbiamente gli individui più stabili, tanto da far

ipotizzare la diffusione di comportamenti matrilocali. Emerge una ten denza a fissare la dimora coniugale nel vicinato della famiglia di origi ne della sposa. Ho rilevato, per tutto il periodo ricostruito, soltanto tre casi (su 120) di donne «attirate» nel vicinato di S. Anna e S. Tere sella dai mariti. Non ho, invece, registrato nessun caso in cui donne del vicinato se ne allontanino per seguire il coniuge di altro quartiere8.

8 Si ritrovano tali strategie anche quando si osservano, per un confronto, le traiettorie degli altri 120 nuclei che, dopo essersi distaccati dallo spazio sul quale ho centrato la mia indagine,

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Saggi

Le donne rappresentano un importante «polo d'attrazione» che in fluisce sul turnover sociale del vicinato. I loro matrimoni con indivi dui di quartiere diverso o non napoletani portano all'immissione di nuovi uomini nel tessuto socio-professionale analizzato. Ad esempio, donne della famiglia Autiero «attirano» alcuni artigiani, venditori am

bulanti, un panettiere di Brazigliano, che apre bottega in via S. Tere sella.

Ancora a comportamenti uxorilocali sono, d'altro canto, legati per corsi di soggetti maschili. Uomini nati e vissuti tra i vicoli di S. An na e S. Teresella ne escono dopo il matrimonio per stabilirsi nel quar tiere o nel paese d'origine della moglie. Ritrovo casi simili anche tra i Natullo. Giovanni (1900-72) e Mariano (1914-83), barbieri, seguo no le mogli a Capri e lì aprono bottega. Umberto (1896-1981), im

piegato, si trasferisce a via Firenze, presso i suoceri. E evidente, che opzioni di questo tipo vanno poste in rilievo, nel

l'analisi, non soltanto perché si tratta di comportamenti matrimo niali o di scelte residenziali più o meno diffusi nei campioni conside rati. Tali strategie incidono in modo significativo sulla socialità e sul lo sviluppo dell'identità dei nuclei familiari che le attuano. Incrociando i dati demografici con le notizie fornite dalle fonti orali, emerge in fatti che le principali reti di socievolezza si strutturano nel vicinato

proprio attorno a figure femminili, che essenzialmente in tale spazio geografico e sociale costruiscono le proprie traiettorie di vita:

Allora erano 'e ferrimene ca purtavene annanze 'a famiglia, che ve crédité?

[...] 'a nonna mia era terribile, 'a sapeveno tutti quanti, dinte e vichi ce sanno, ce canosceno tutte quante [...]. Ereno 'e femmene ca decideveno e cummannave ne [...] ereno nuje ca facevemo Tuonimene!9

La famiglia Natullo rappresenta, al riguardo, un esempio signifi cativo. In ogni fase del suo ciclo di vita le donne diventano per i fra telli e per i nipoti, referenti importanti, figure su cui contare in ogni momento. A loro è totalmente affidata, in ogni generazione, la ge stione della rete sociale. Esse, soprattutto nei momenti di crisi, atti vano i legami di socievolezza costruiti e cercano di massimizzare le risorse di relazione.

Ciò accade, ad esempio, quando Antonio, rimasto vedovo con quat tro figli adolescenti nel 1954, è costretto per motivi di lavoro ad assen

vivono la propria socialità in altre zone della città. Ho rilevato comportamenti analoghi anche nel vicinato del quartiere S. Lorenzo (80 coppie). In questo spazio la diffusa pratica del subaf

fitto, inoltre, fa sì che molte volte gli sposi siano nati e cresciuti nella stessa casa. 9 Intervista a Pasqualina Autiero (29 gennaio 1988).

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

tarsi da Napoli per lunghi periodi. Sono le sorelle, che coinvolgono alcune vicine, ad aiutare Maria Rosaria, figlia diciassettenne di Anto

nio, nel difficile compito di sostituire la madre defunta nella gestio ne della vita familiare:

Cu 'sti quattro senza mamma ho lavorato, io lavoravo per fuori, io andavo

avanti con la trasferta, 'o stipendio s'o pigliavano loro, e infatti stavano pieni di comodità [...]. Si accudivano da soli, l'accudiva questa qua che sta qua, ha fatto

'a mammarella 'a più grande, era 'a più grande e tutti quanti, essa s'ha visto tutte

cose, 'o stipendio aveva essa, essa ha guardato a tutti quanti [...] ma nun c'ha man

cato niente, je nun c'ho fatto mancare niente [...]. Só stati soli, da loro stessi, m'hanno accudito loro a me [...] cu 'e sorelle mie steveno, abitano a pochi passi,

qua abbascie, una abita a via Nardones, un'altra a S. Anna e Palazzo, un'altra

mia sorella morì, nun teneva figli [...]' .

Il mondo quotidiano dei figli di Antonio è perciò popolato da zie e da vicine; lontana invece è la figura del padre. Le scelte che segnano il percorso di vita di Antonio Natullo lo pongono gradualmente al

margine della rete parentale. Di indole schiva e riservata, egli non riesce a costruire intorno a sé una rete di socievolezza salda ed attiva. I soli personaggi che Antonio evoca ripetutamente nel suo racconto sono i vari datori di lavoro, con i quali ha spesso rapporti conflittua

li, o i colleghi, ai quali, sottolinea, insegna il mestiere. Con nessuno intreccia rapporti di amicizia.

La rete sociale dei suoi figli si modella invece intorno a figure cen trali della famiglia. Si lega prima alle sorelle di Antonio, poi a Maria

Rosaria, che cementano i vecchi legami e ne creano di nuovi. Dalla storia dei Natullo, dunque, emerge un network parentale e

familiare che tende a mantenersi nel tempo compatto e coeso. An che negli anni più recenti si ridefinisce di volta in volta in relazione alle varie fasi dei cicli di vita individuali e familiari. In tale rete s'in tersecano e si sovrappongono, quotidianamente, sentimenti d'affet

to, scambi di servizi, rapporti di solidarietà tra le persone e tra i nu clei familiari.

3. Pasqualina Autiero sceglie il vicinato.

Molto diverso è il percorso costruito da Pasqualina Autiero (1919). Per la donna la famiglia non rappresenta la sola ratio, il solo referen te sociale. La sua traiettoria di vita si diversifica da quella della fami

glia di origine. Ragioni individuali molto forti — la nascita illegitti

10 Intervista ad Antonio Natullo (13 febbraio 1988).

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Saggi

ma, il matrimonio fallito, la discussa relazione con un altro uomo —

pongono gradualmente Pasqualina Autiero al margine della rete paren tale. Al tempo stesso, ne orientano il percorso verso una totale aper tura all'ambito del vicinato ed una spontanea identificazione con esso.

Nel periodo in cui racconta la sua storia di vita (gennaio-maggio 1988) mi accoglie con molta cortesia nella casa, di sua proprietà, po sta in via S. Anna di Palazzo. Donna molto spontanea e comunicati va, vive attualmente con Vincenzo, l'uomo che ha sposato in secon de nozze nel 1974, dopo una convivenza durata più di trenta anni.

Durante le mie visite, mostra con orgoglio l'appartamento. Si tratta di un basso completamente ristrutturato, con un piccolo ingresso, al quale ha fatto mettere due porte blindate per proteggersi meglio dai ladri («Accussì se veneno e mariuoli mentre scassano a seconda

porta, je aggie già' chiammate o 113», dice)1. Il timore della donna di essere derubata non nasce soltanto dalla cattiva fama di cui oggi gode il quartiere. Pasqualina Autiero infatti è molto conosciuta nella zona perché, ormai da anni, presta denaro ad usura: attività per la

quale, è evidente, ha sfruttato in primo luogo la rete di vicinato. Tutto il racconto è popolato, sin dai ricordi dell'infanzia, da figu

re di amiche, vicini, conoscenti, inseriti nei vari contesti che fanno da sfondo a scelte di vita non facili. Donna sola, costruisce attorno alla sua persona, nel corso dell'intensa esistenza, una solida ed attiva rete di vicinato, che sostituisce completamente il network parentale.

Figlia illegittima di Clotilde Autiero (1893-1954), una giovane ve dova di guerra, già madre di tre figli, Pasqualina è affidata fino ai quat tordici anni alla nonna materna.

Quest'ultima è, sottolinea la donna, molto severa, probabilmente esasperata dalle responsabilità di una famiglia troppo ampia, che cer ca di conciliare col mestiere di sarta svolto in casa. Deve infatti occu

parsi ancora di cinque figli di età inferiore ai quattórdici anni; l'ulti

mogenito, Carmine (1919), è nato a pochi mesi di distanza dalla ni

pote Pasqualina. Del resto, anche i primi tre figli sposati le danno

spesso problemi, coinvolgendola quotidianamente nella vita delle lo ro famiglie nucleari.

Il rapporto tra Pasqualina e la nonna si presenta sin dall'inizio molto conflittuale. Nella narrazione la testimone sottolinea ripetutamente di non essere mai stata oggetto di gesti o atteggiamenti affettuosi da

parte dell'anziana donna. Ella anzi non perde occasione per rinfac ciarle che è costretta a tenerla con sé perché Ruggiero, l'uomo che

1 Intervista a Pasqualina Autiero (29 gennaio 1988).

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

la madre ha sposato in seconde nozze nel 1921, non ha voluto le

gittimarla. Della difficile infanzia, Pasqualina ricorda particolarmente i momenti

in cui la madre andava a prenderla a casa della nonna e la portava a

passeggiare per il quartiere. Di tali occasioni — che in verità, come

sottolinea, non erano tante — Pasqualina ha conservato un'immagine molto nitida: ricorda le cose che faceva, le persone che incontrava, il modo in cui la madre, donna molto curata nell'aspetto, si vestiva.

I ritmi e le relazioni sociali del mondo infantile della testimone sono dunque, molto di più che per gli individui della famiglia Natul

lo, definiti dai rapporti con persone estranee alla famiglia di origine. Il vissuto quotidiano è, fin dall'infanzia, popolato dalle figure delle

amiche, delle conoscenti, delle clienti che la nonna e la madre, sarta e ricamatrice, reclutano sfruttando le reti di vicinato. Gruppi di don ne si incontravano spesso in casa della nonna, per giocare a carte, fa re insieme lavori di sartoria o di ricamo, spettegolare.

Ά nonna, mammà facevano 'e sarte, 'e camiciaie dirne a casa, teneva 'na bona clientela [...] 'ncoppa 'e case ce steveno 'e figliole, tutte 'e figliole [...]. Je me ri cordo ca se jeve a giuca' a carte, se facevano 'e balletti 'ncoppa 'e case, ce steveno 'e signore, qualche famiglia ca ce trattavemo [...] 'a nonna mia nun vuleva che faceva cumpagni, nun faceva, je Steve sempe in casa, andavo a lavora', tenevo otto anni e po' Steve in casa [...] giucaveno a carte e lasciaveme 'e porte aperte, nisciune ce deva fastidio [...] .

L'immagine di un mondo femminile estremamente attivo e vitale, che lascia ai margini o esclude totalmente gli uomini, si delinea, dalla storia di Pasqualina Autiero, con tratti molto marcati. Il «mito» —

tanto abusato da una visione stereotipata e semplicistica del mondo meridionale — della donna napoletana chiusa tra le mura domesti che a fare da moglie e da madre, soggetta economicamente e social mente all'uomo, vacilla e sembra crollare ogni volta che si osservano casi concreti. Intorno a figure femminili si costruiscono reti sociali molto strette e forti, in cui si sovrappongono rapporti di lavoro, le

gami di parentela, di solidarietà, di amicizia. In tutto il racconto, la testimone mi esorta più volte a mettere in

evidenza come le donne in passato abbiano contribuito profondamente all'economia familiare. Spesso, dice, sono state proprio loro «a tirare avanti 'a carretta». La visione di Pasqualina, che sottolinea con forza il ruolo avuto nella gestione della sua famiglia coniugale, è certo me diata e filtrata dall'esperienza vissuta.

2 Ibid. Le «figliole» di cui parla, precisa Pasqualina, sono le ragazze che andavano ad im

parare il mestiere di sarta presso donne che, come la nonna e la madre, lo svolgevano in casa.

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Anche per lei l'ingresso nel mondo del lavoro è precoce. Lasciata la scuola ad otto anni, dopo aver frequentato per tre volte, senza suc cesso, la prima elementare, va per un breve periodo presso una mae stra, per imparare il mestiere di sarta.

Molte ragazze, soprattutto quelle di famiglie artigiane, hanno un

percorso professionale di questo tipo. Le «maestre» sono generalmente donne che, continuando a lavorare dopo il matrimonio, accolgono nelle loro case giovani donne, alle quali insegnano il mestiere, in cam bio di un aiuto, spesso notevole, nelle faccende domestiche. Ad esem

pio, la moglie di Antonio Natullo fa, fino alla morte, da «maestra» a molte ragazze. E questo, sottolineano i testimoni stessi, il principa le canale per iniziare il mestiere, a meno che non si sia introdotte, come le donne della famiglia Natullo, da parenti5.

L'insofferenza per il tipo di obblighi legato all'apprendistato por ta Pasqualina a cambiare più volte «maestra» e, ad un certo punto, lavoro. Il lavoro è ricordato dalla testimone principalmente perché rappresenta per lei, come per molte altre ragazze, un mezzo per so cializzare con coetanei, sottraendosi al controllo troppo rigido dei

parenti. Molte amiche e «compagne» sono conosciute sul lavoro. Nel periodo in cui fa la stiratrice alla Pignasecca, la donna conosce

Guido Sorbino, uno studente di «buona famiglia», orfano di entram bi i genitori. «Fugge» con lui a Pompei, dopo un ennesimo litigio con la madre, che non ha mai visto di buon occhio il giovane. Le due donne si riappacificheranno, dopo qualche mese, grazie alla me diazione di vicine e di parenti:

Stettemo 'na nuttata a Pompei, cu 'o primme marito mio, 'na nuttata stette

mo, po' me ne jette 'a casa, arapette 'a porta cumme 'na mariola, m'avite a crede

re!, me chiudette a dinte. Dicette je vicine 'a guardaporta: «Onna Carmela, onna Carme' — dicette je

— je me ne so' juta, je me sto ritiranne mò ca', se vene mam

mà nun c'o dicite ca je stonghe dinte» [...]. Essa pigliava, mammà se ne jeva e m'o veneva a dicere [...]. Sapisseve che avetta fa' pe fa pace cu mammà! 'Na zia mia faceva 'a sarta, 'na sora cugina e mammà, pigliaje e me mannaje a chiamma'

[...] 'a zia pigliaje e dicette accussì: «Mò te porto io a parte e coppe!», me pigliaje e me purtaje 'ncoppa 'a casa e mammà, ce steveno tutte 'e figliole a tavola che me guardavano [...]4.

La coppia inizia, in vico Concordia, una convivenza molto diffici le e burrascosa. Più volte, nei circa quindici anni di matrimonio, do

3 Si tratta dunque di strategie femminili legate al mestiere di sana diverse da quelle rico struite, ad esempio, per la Torino tra le due guerre da S. Cavallo, Realtà f,»miliari e aspettative di vita: tre biografie femminili. 1930-1980, in Aa.Vv., Relazioni sociali e strategie individuali in ambiente urbano. Torino nel Novecento, Cuneo 1981.

4 Intervista a Pasqualina Autiero (15 aprile 1988).

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

vranno intervenire la madre ed i fratelli maggiori della donna per evi tare sviluppi drammatici di continui e violenti litigi.

Da questo momento Pasqualina, diciottenne, si trova, suo malgra do, a fare da capofamiglia. Il marito si rivela infatti, sin dall'inizio del la convivenza, un uomo indolente e poco incline ad assumersi la re

sponsabilità di una famiglia. Cambia continuamente lavoro, conclude a fatica gli studi di ragioneria e sperpera il denaro avuto in eredità dai

genitori. E inoltre una persona molto violenta. Durante un litigio, ad

esempio, provoca, picchiando la moglie incinta di sei mesi, la nascita

prematura della loro primogenita, che muore dopo poche ore:

Je ero incinta, po' scennevo, sa jevo e vote addu mammà [...] mammà sa per mezzo ca tenevo 'a panza, diceva accusi mammà «Hai mangiato?», pigliava e me metteva 'a robba 'n mocca [...] je jevo 'ncoppa, chillu disgraziato m'odorava 'n mocca pe vede' se m'avevo bevuto 'o vino! Me vatteva, me maltrattava, c'appic cecajeno e steva nu tavolo, chillo me possa da' nu calcio accussì e je jette a remi' cu 'a panza 'ncoppa. Ά matina me venetteno e duluri, me faceva male 'a panza, je nun capevo niente, c'o dicette a mammà, essa dicette: «Mò vaco addu 'a signo ra Giovanna» 'a mammana [...] mammà, dicette essa: «Mò te porto addu 'a signo ra Giovanna e vedimme», perché e dulure e panza nun se luaveno [...] vaco addu 'a signora Giovanna, me fa 'na visita, «Signo'

— s'avutaje — 'mò, mò puortala

'ncoppa 'a casa» [...] quando fuje 'a sera 'a piccerella spiraje, 'a mammana 'a pur taje a S. Matteo, 'o municipio e S. Matteo, 'a purtaje a dichiara' [...] me dicette cu mammà: «Ma come è morta 'sta bambina?», je nun 'o dicevo, ma tanto che

facetteno, tanto che dicetteno me tirajeno 'e parole a vocca [...] allora s'avutaje: «Hai ragione tu e tu, je nun 'a dichiaravo, 'o facevo ire in galera primme che 'a dichiarava [...].

Gli atteggiamenti violenti del marito e la precarietà economica scan discono fino alla guerra — quando questi, «pe grazia 'e Dio», è chia mato al fronte — i ritmi della vita quotidiana della donna. Guido, anche dopo la nascita delle figlie, non si preoccupa affatto di trovare fonti sicure di guadagno. Motivo costante di litigi e scatti di violenza è anzi il fatto che l'uomo sperpera quanto la moglie riesce ad accu mulare «arrangiandosi». Il matrimonio non è perciò per Pasqualina, come ella si aspettava, una «sistemazione», un canale di mobilità so ciale. Personalità forte ed indipendente, riesce però a sopperire alla mancanza di una figura maschile attiva e responsabile al suo fianco, diventando un nodo cruciale di incontro di reticoli sociali diversi.

Tale percorso, come si può immaginare, non è lineare. Pasqualina Autiero impara a sfruttare di volta in volta le opportunità offerte dai reticoli relazionali in cui è calata6. Sono infatti i vincoli informali, il

5 Ibid. 6 Anche nella Roma dell'Ottocento, indagata da M. Pelaya, si osserva a proposito delle

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rapporto con la madre e con il vicinato che, ricorda, le garantiscono la sopravvivenza, anche nei momenti più difficili. Riallaccia perciò, dopo la breve rottura seguita alla «fuga» prematrimoniale, il legame con la madre, con la quale va a vivere dopo la partenza per la guerra del marito. Il rapporto tra le due donne si manterrà nel tempo molto saldo. Lo stesso legame tra Pasqualina ed i fratelli maggiori, che è og gi molto labile e fondato su rare e formali interazioni, è fortemente mediato dalla madre.

La figura materna, assente durante l'infanzia, diventa un punto di riferimento importante per la testimone ormai adulta. Affetto e soli darietà reciproci legano fortemente due donne che hanno dovuto co struire le proprie esistenze senza figure maschili. Tra Pasqualina Au tiero e la madre si instaurano anche legami di lavoro. Esse infatti si

«inventano», in relazione alle fasi del ciclo di vita familiare ed alle

congiunture storiche, vari mestieri.

Soprattutto la guerra rappresenta per le donne una «buona occasio ne»7. Trasferitesi come sfollate a Striano, stringono durature e profi cue relazioni con i contadini del luogo. Da essi si forniranno, anche

negli anni successivi, per smerciare nel vicinato prodotti alimentari. Dal dopoguerra inoltre — questa volta senza la collaborazione fattiva della madre che, ormai anziana, si occupa a tempo pieno dell'educa zione delle nipoti — vende sigarette di contrabbando a via Roma.

L'incontro con Vincenzo Musella, l'attuale marito, che era suo clien te abituale, rappresenta una nuova svolta per la vita della donna. Per l'uomo lascia definitivamente il marito Guido, del quale oggi ha vo lutamente rimosso il ricordo, tanto è vero che lo dichiara morto in

guerra. In realtà egli è tuttora in vita e mantiene rapporti costanti con una delle figlie, nonostante il disappunto di Pasqualina. Dall'u nione della donna con Vincenzo nascono due figlie, Olimpia e Giu

seppina, affidate per lungo tempo alla nonna paterna. Nonostante abbia finalmente, come sottolinea più volte, raggiunto

una maggiore serenità, Pasqualina non riesce ad adattarsi a fare la ca

salinga a tempo pieno. Smette di fare il contrabbando, ma vuole con

tribuire, come ha sempre fatto, al bilancio familiare. Continua perciò a smerciare in casa prodotti alimentari. Crea inoltre, prestando dena

strategie di lavoro delle donne che «un legame forte o labile, di sangue, affinità o di solidarietà casuale ed estemporanea, un legame comunque personale, è la mediazione necessaria che quali fica il rapporto che le donne stabiliscono con il lavoro» (M. Pelaya, Relazioni personali e vinco li di gruppo, in «Memoria», 1990, 30).

7 Sul ruolo femminile nelle guerre di questo secolo cfr. A. Bravo, Lavorare in tempo di

guerra, in «Memoria», 1990, 30.

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Grilli, Nei vicoli di Napoli

ro ad usura, un'ulteriore attività, alla quale si dedica tuttora proficua mente. In pochi anni riesce a reclutare una vasta clientela, sfruttando

legami personali e di vicinato: una costante nel suo percorso di vita.

4. Le due immagini del vicinato.

Le traiettorie dei testimoni si costruiscono dunque entro reticoli di relazione profondamente diversi, sia nelle forme che nei contenu ti. La famiglia e la parentela per i Natullo, i legami di vicinato per Pasqualina Autiero tracciano nello spazio geografico diverse reti che definiscono anche l'identità sociale degli individui. Esiste infatti una

significativa interazione tra comportamenti individuali e gruppi o co munità di riferimento. La percezione che le persone hanno dei pro pri percorsi è legata in gran parte alle aspettative ed agli stimoli che maturano nel confronto con l'universo sociale di cui fanno parte o al quale ambiscono1.

I membri della famiglia Natullo, da un lato, Pasqualina Autiero, dall'altro, mostrano una diversa valutazione dei rispettivi percorsi di vita e definiscono la propria identità guardando a realtà sociali diver samente stratificate.

Intorno a comportamenti uxorilocali ed alla solidarietà tra fratelli si struttura l'universo dei Natullo. Tali modelli spesso si incrociano, dando vita a compatte reti sociali fondate essenzialmente sui vincoli di parentela. La coscienza che gli individui acquisiscono di se stessi e di quanto sono riusciti (o non riusciti) a costruire è sempre mediata

dagli orizzonti parentali e dalle traiettorie dei consanguinei. L'insie me dei rapporti di parentela, ambito nel quale trovano esempi di ascesa

sociale, chiarisce la percezione che Antonio ed Umberto Natullo han no di quanto sono riusciti a realizzare.

Entrambi mostrano la consapevolezza di trovarsi in una posizio ne socio-professionale inferiore rispetto a quella dei parenti, figure continuamente richiamate nei loro racconti. Antonio, operaio spe cializzato, sottolinea più volte che i fratelli prima ed i nipoti poi so no riusciti a raggiungere una buona posizione sociale:

1 Faccio qui riferimento al concetto della percezione relativa della propria posizione so

ciale, introdotto negli anni cinquanta dalle ricerche di Merton e Runciman, che hanno svilup pato le implicazioni di questo concetto nelle dinamiche di mobilità sociale. Cfr. in particolare A. Kitt e R.K. Merton, La teoria dei gruppi di riferimento, in R. Bendix e S.M. Lipset (a cura

di), Classe, potere e status, Padova 1972. La ricerca valuta oltre alle conseguenze della coesione dei gruppi anche quelle della loro alienazione, che portano gli individui ad assumere un orien tamento positivo verso i valori del gruppo a cui aspirano (socializzazione anticipatoria).

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Saggi

Tengo i miei nipoti [...]. Uno sta a Venezia, un nipote, un figlio di mio fratello

[...] è ingegnere, ingegnere del Genio civile [...]. Un altro sta a Pescara, è pure inge

gnere [...]. Mò tenene e figli sistemati bene, loro teneno e figli [...] chillo che sta, chillo che sta a Pescara tene nu figlio che è ingegnere, na figlia che è dottoressa

e n'ata figlia che è avvocatessa [...]. Quindi stanno sistemati bene su per giù [...]. I figli di mia sorella, sta a Chieti, due stanno in Inghilterra, due e loro stanno

in Inghilterra, due maschi abitano a Chieti, uno si è laureato in Scienze Politiche

e sta alla Camera, un altro era impiegato alla Cerosi che stava là [...] mio fratello

di Capri c'ha due figli a Capri, uno tene un albergo in gestione, 'n ate è nu bar

biere, tene 'o magazzino e barbiere e la figlia sposata, s'è sistemata a Napoli [...]. Ό chiù' fesso de' Natullo songhe je! Έ nipoti miei so' tutti professionisti2.

Allo stesso modo Umberto, operaio dell'Italsider, oggi in pensio ne, tiene a precisare che non ha fatto carriera perché non si è mai

impegnato seriamente nello studio, nonostante il padre Francesco «ci tenesse» molto:

Ά giornata che facevo io era poco legata agli studi e mamma e papà ci teneva

no assai che io avrei fatto qualche cosa in più [...]. Je ero nu poco nu carattere

nu pucurille, nu poco, sai facevo nu poco o pazzo, insomma, ero più capriccio so, più esigente, ero più esigente [...] sì, sì loro [i fratelli] erano più tranquilli e poi ripeto loro erano più portati allo studio e je ero negato proprio [...] io vule

vo fa sempre cose manuali, insomma lavoretti, volevo fare, volevo pitturare sa, volevo inchiodare, Steve sempe cu 'o martiello 'n mano [...] ho cominciato a sei

anni a fare [...] dall'asilo passai poi alla seconda, questo è 'o salto che diciamo

ho fatto io, poi aggio fatto duje anni 'a terza e duje anni 'a quarta [...] so' stato

ripetente perché anche andando dal professore, maestro privato, 'a scuola priva ta, ero negato proprio [...]. Sempe mazzate, collezionavo sempe botte [...]. La

mia intenzione era quella di fare Belle Arti, volevo pittà insomma, era l'unica

cosa che trovavo insomma uno sbocco diciamo artistico, nu sbocco, però nun

vulevo studià! Invece andammo anche a domandare lì alla scuola, ci stavano tut

te 'e materie, pure aveva studia'

Parla spesso dei fratelli che oggi sono «sistemati» e si sentono rea

lizzati, ponendo volutamente in luce che lui «sta meho bene di loro». Nel nucleo familiare del testimone, del quale fa parte anche una sorel la nubile, maestra elementare, si «convive» soprattutto con la figura del «fratello di Roma che ha fatto carriera». E Vincenzo (1925), il pri mogenito, laureato in Giurisprudenza, che vive a Roma ed è magi strato alla Corte dei Conti; Salvatore, l'altro fratello, è diplomato, e si è trasferito a Catanzaro, dopo aver vinto un concorso presso una Usi.

I testimoni, benché si mostrino essenzialmente soddisfatti delle scelte

operate, hanno dunque maturato un'«insoddisfazione relativa» delle

proprie traiettorie guardando al più ampio e stratificato orizzonte pa

2 Intervista ad Antonio Natullo (17 marzo 1988). 3 Intervista ad Umberto Natullo (15 gennaio 1988).

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rentale. Al tempo stesso, essi evocano con forza le figure dei parenti ed i loro successi professionali per confrontarsi con il vicinato. Sia Antonio che Umberto Natullo usano l'identità familiare e parentale per distinguersi dai vicini, rispetto ai quali vivono come un'ascesa sociale anche i loro itinerari.

Proprio dalla completa identificazione con la storia ed i percorsi di tutta la famiglia, nasce l'immagine che offrono del vicinato. Anto nio mi parla dei vicoli in cui è cresciuto solo quando servono a defi nire più chiaramente gli eventi familiari e personali che pone al cen tro del racconto. Nomina perciò vico Cariati, in cui abitano i cugini, vico S. Carlo alle Mortelle, sede della scuola elementare, vico Tira toio, in cui c'è la bottega dove comincia a lavorare (cfr. infra fig. 1). Non ricorda — o meglio, dice di non ricordare — neppure le persone che abitano nel suo stesso palazzo:

Nel palazzo mio [...] io non m'arricordo nessuno del palazzo, proprio la verità

[...]. Non ci stevo quasi mai, scennevo 'a matina e mi ritiravo 'a sera [...] nun ab bazzicavo nessuno del quartiere [...] no, nun m'a facevo mai nel quartiere [...]\

Il continuo bisogno di porre in evidenza la distanza, propria e del l'intera famiglia, dal tessuto sociale del vicinato si esprime ripetuta mente attraverso frasi stereotipate come «non abbiamo mai bazzica to», «non ce la facevamo con nessuno», «nun ce piaceva 'a 'mujna». Tali espressioni testimoniano un atteggiamento sociale specifico e ca ratterizzano l'identità degli individui della famiglia Natullo, che si sentono o comunque amano definirsi diversi dalla gente che popola i vicoli. Se nominano i vicini, ne sottolineano inconsciamente la con dizione, parlandomi di quelli che hanno aiutato perché «hanno biso

gno». Le stesse donne, più attive ed inserite nel vicinato, se ne servo no, senza però lasciare che invada lo spazio familiare.

Soprattutto gli uomini, anche quando mantengono la residenza nel vicinato, ne sono estranei e non ne condividono più la socialità. An tonio, dagli inizi degli anni cinquanta, vive per lunghi periodi in cit tà settentrionali per motivi di lavoro. Andato in pensione, non gli è facile reintegrarsi e instaurare legami di socievolezza in uno spazio nel quale, sottolinea, non si è mai «trovato».

Anche la famiglia di origine di Umberto matura di fatto il proprio distacco dallo spazio del vicinato. Francesco (1894-1974), il capofami glia, e sua moglie Maria Iovine (1894-1952) nascono e vivono per tut ta la vita in quei vicoli; i loro quattro figli vi vivono fino al matrimonio.

* Intervista ad Antonio Natullo (17 marzo 1988).

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Eppure, soprattutto gli uomini, non stabiliscono alcun rapporto, se non formale o mediato dalle donne, con la gente che vive in vico S. Teresella. Ricorda Umberto, riguardo alle amicizie infantili:

Mammà ci teneva un poco ritirati dal fatto di uscire nel quartiere [...] 'a piccola età io giocavo per esempio cu Renato P. che lo conosco da quando avevo quattro

cinque anni, io [...] e pure lui perché poi in effetti chille tene un anno e differenza tenimme [...] je a giuca dinte o balcone mio e lui giocava nel suo balcone, quindi stavamo a distanza e, che te voglio dicere, e quindici venti metri, eh, di fronte così giocavamo [...]. Ce steva che venivano le cugine per esempio i cugini [...] in casa, allora andavi tra loro e si giocava più o meno dicimme un gioco qualsiasi [...]. Pò e figli d'a signora Concetta, fossero Franco, Rita, perché stavamo vicini ma non è che noi scendevamo diciamo, si giocava in strada [...] no, no, mai!5

Il padre non ha mai voluto che lui ed i suoi fratelli «se la facesse ro» con le persone del quartiere, poiché loro, famiglia di impiegati, erano in una condizione migliore:

Noi stavamo meglio degli altri, meglio degli altri nel senso che papà era già

privilegiato perché era un impiegato [...] anche come retribuzione rispetto agli al

tri insomma, aveva qualcosa in più poi teneva n'a cosa fissa, teneva [...] era impie

gato dello stato, c'era 'sta sicurezza [...] pane e guverno, pane eterno si dice

Se sono essenzialmente l'estraneità ed il distacco a filtrare l'immagi ne che i Natullo offrono dello spazio in cui sono nati e vissuti, profon damente diversa è quella che si evince dalla testimonianza di Pasquali na Autiero. La sua identificazione con il quartiere è totale e il vicinato mantiene nella memoria tratti e contorni ben definiti: personaggi e

botteghe dei vicoli emergono dalle sue parole con gránde chiarezza.

Ά famiglia de 'o marito mio, 'a suocera mia ha fatto sempe, ha accattate 'o

ghiaccio e 'o venneva, 'o ghiaccio rattate [...] a S. Anna e Palazzo ce steva nu

salumiere [...] chillo ca venne 'a verdura dinte 'o vico Politi primme era ca ven

neva l'uoglie, don Angelo venneva l'uoglie [...] a qua detre, addo sta chiste Gigi no ce steva, proprio 'a putechella e Gigino, 'o gravunare ca venneva cu 'a bilan

cia e gravune [...] 'o pisciavinnelo Steve addo sta mò chille che venne 'e scarpe [...] 'o pisciavinnelo steva addo sta 'o salumiere, chille cagnaje [...]7.

5 Intervista ad Umberto Natullo (15 gennaio 1988). 6 Ibid. Nei due campioni ho rilevato una maggiore mobilità territoriale nelle famiglie

di impiegati. Tra quelle di S. Ferdinando alcune si trasferiscono dai primi del Novecento dai vicoli del vicinato al vicino corso Vittorio Emanuele, percorso che nel ricordo dei testi moni rappresenta una prima ascesa sociale. La tendenza di queste famiglie ad una più am

pia considerazione dello spazio urbano è ancora più evidente nelle generazioni più recenti. Nel campione gli impiegati ed i professionisti rappresentano, negli anni 1930-31, il 36 per cento ed il loro numero tende negli anni ad aumentare sensibilmente. Tutti i nuclei però tracciano percorsi geografici di uscita dal vicinato. Queste strategie, confrontate con quelle delle famiglie di «precari», danno l'impressione che nel vicinato tendano a concentrarsi so

prattutto i casi di non mobilità e di inerzia sociale. 7 Intervista a Pasqualina Autiero (29 gennaio 1988).

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Durante la narrazione, ricorda spontaneamente nomi, situazioni o eventi particolari inquadrati in questo ambito. È l'unica donna che ri chiama con forza momenti non solo quotidiani di un'intensa socialità femminile, come le uscite con le amiche per andare dal «carnacottaro»:

Ό carnacuttaro, ma chille ce sta ancora dinte 'a Pignasecca, po' steva 'ncoppa 'e chianche [...] quante voteaggio jute a mangia' là je! Se faceva stu fatto diciamo ca se metteva chiù e 'na signora insieme, dicimme 'e cummare, và! Je 'o facevo

sempe, jevo sempe a mangia', e pure quando vennevo 'e sigarette, mentre venne vo 'e sigarette 'Onna Ntunetta, jamme, ja' [...]*.

Con altrettanto vigore si impone la rievocazione della «gita» a Mon

tevergine. Il pellegrinaggio al santuario avellinese è un elemento tipi co del folclore napoletano. La letteratura su Napoli offre innumere voli descrizioni di «equipaggi» riccamente addobbati, che sfilano fe stanti per le vie della città, diretti alla chiesa della Madonna bizanti na9. Il «sonaglio e luccichio e strepito assordante» della gita a Mon

tevergine, che nel 1876 colpirono il toscano Fucini, evocano un'im

magine folcloristica della socialità napoletana che, non a caso, nes sun membro della famiglia Natullo ha ricordato.

Pasqualina Autiero, al contrario, ce ne dà una descrizione vivida, ricca di particolari, mostrando di essere interna alla cultura più tradi zionale dei vicoli di S. Ferdinando:

Je m'arricordo ca je ero piccerella, e chelle machine ca jeveno a Muntevergine tutte addubbate [...]. Ά suocera mia jeve accussì, cu e lampadine dinte 'e capille, ca s'appicciaveno, chille teneveno l'accumulatore [...]. Doje machine facevano 'a suocera mia, ce steva 'a capo machina, 'a presidente, 'a cassiera [...]. Se jeva tutte vestute eguale, Mario 'o femminiello 'e purtava, Steve 'ncoppa 'e Quartieri [...]. M'arricordo ca se faceva 'a canzone primme e parti [...] addo' stevemo e casa, 'a suocera mia da 'o puntone 'o vico se metteveno a canta' e po' se ne jeveno10.

La partenza era generalmente da «o giardiniello» (vico S. Maria

Ognibene, nel vicino quartiere Montecalvario). Lì le donne trovava

8 Ibid. 9 Scrive ad esempio R. Fucini: «Le donne sono cariche dei loro più ricchi gioielli e delle

loro vesti più sfarzose e brillano e luccicano come pappagalli al sole [...]. Le carrozze pure sono

guarnite di fronzoli d'ogni maniera, come alberelli di ottone carichi di campanelli messi in

luogo dei lampioni, bandiere con immagini di santi, mazzi di fiori, e lembi di vesti delle odali sche che le occupano, le quali lasciano a bella posta sventolare alla mostra scialli variopinti e nastri e penne colorate». (Napoli a occhio nudo cit.). Cfr. anche il poemetto di F. Russo, «E

ddoje Madonne» in Id., Poemetti napoletani, Napoli 1903; M. Serao, La Madonna e i Santi nella

fede e nella vita, Napoli 1902; R. Viviani, La festa di Montevergine, Napoli 1953. Sulle feste, i costumi e la cultura popolare napoletana cfr. P. Tortora De Falco, Era Napoli. Una città, un mondo, Napoli 1973; V. Gleijeses, Feste, farina e forca, Napoli 1972; G. Russo, Vita popola re napoletana dal 1860 ad oggi, in Aa.Vv., Storia di Napoli cit., χ, pp. 759-823.

10 Intervista a Pasqualina Autiero (15 aprile 1988).

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no ad attenderle gli autisti, spesso anche organizzatori della gita. Pa

squalina ricorda, oltre a Mario, anche Nicola «'o femminiello»: la na turalezza con cui ne parla fa supporre che nel quartiere esistesse an che una socialità al limite del femminile, accettata dal vicinato.

Prima della partenza gli autisti procedevano all'assegnazione dei «ruoli»: ad ogni donna della comitiva e distribuivano fogli con i testi delle canzoni che avrebbero cantato durante il viaggio. Dopodiché il gruppo di pellegrine partiva sulle macchine cinte di lunghissimi nastri bianchi. Ancora, Pasqualina ricorda precisamente le serenate o le «re

gole» che gli sposi dovevano seguire durante la prima settimana di matrimonio. Ella me le descrive con enfasi, sottolineando che «primme era chiù' bello»: l'isolamento «forzato» degli sposi nella casa coniu

gale, la possibilità di contatti soltanto con i genitori e con la «com

mara», la prima uscita della coppia dopo otto giorni. Sono consuetudini che emergono soltanto dal racconto di Pasqua

lina Autiero. Le stesse infatti sono definite dagli altri testimoni, sol lecitati dalle mie domande mirate, usanze «antiche», da tempo cadu te in disuso". Nel ricordo di Pasqualina invece esse assumono trat ti molto marcati, concretizzando una socialità ancora fortemente tra dizionale.

Emergono dunque due immagini contrapposte del territorio, che nascono in contesti diversamente stratificati. Al tempo stesso, esse evocano con forza i valori ed i codici culturali nei quali i testimoni si riconoscono. Per i Natullo, i vicoli di S. Anna e S. Teresella rap presentano l'ambiente in cui hanno vissuto, lo spazio territoriale e sociale del quale si sono talvolta serviti. Scenario volutamente posto in scarso rilievo, il vicinato emerge con tratti molto sfumati, sfondo lontano dei momenti di crisi e dei successi, di quello che ognuno è riuscito a diventare. Le aspettative sociali che maturano gradualmen te nei vari nuclei portano lo sguardo dei Natullo ad orizzonti esterni ai vicoli. Essi cercano, quando è possibile, abitazioni migliori, assu mono diversi referenti e parametri sociali, fanno studiare i propri fi

gli che, a loro volta, sposano impiegati, insegnanti, professionisti. La socialità e la cultura del quartiere diventano lontane ed estranee ri

11 La storia orale, che valuta i contenuti soggettivi e di gruppo del vissuto storico, si è or mai affermata come vera e propria disciplina. La letteratura relativa è molto ampia ed il dibat tito sugli usi e le prospettive è estremamente vitale. Cfr., ad esempio, Oral History: tra antro

pologia e storia, in «Quaderni Storici», 1977, 35; N. Revelli, Il mondo dei vinti, Torino 1975; L. Passerini (a cura di), Storia orale. Vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, Torino 1978; Id., Storia e soggettività. Le fonti orali e la memoria, Firenze 1988; A. Portelli, Biografìa di una città. Storia e racconto: Temi 1830-1985, Torino 1985; L. Lanzardo (a cura

di), Storia orale e storie di vita, Milano 1989.

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spetto alle prospettive e ai valori della famiglia. Alla vita dei vicoli i Natullo contrappongono gli interni familiari, la propria identità, il mito dei parenti che «hanno fatto carriera», il desiderio di evitare

promiscuità con le persone «non perbene». L'immagine ed i comportamenti sociali evocati con uguale con

cretezza da Pasqualina Autiero sono contrapposti, perché maturano in un universo profondamente diverso. La donna, per la posizione strutturale in cui viene a trovarsi sin dalla nascita illegittima e per le successive scelte, ha come principale referente proprio il tessuto sociale del vicinato. Pasqualina, che non può mai contare su una fa

miglia compatta e forte, sceglie di partecipare alla vita dei vicoli, di

quella gente dalla quale i Natullo vogliono invece distinguersi. Tra

quell'umanità trova il suo ruolo sociale, si assicura la sopravvivenza, costruisce una propria identità e «rispettabilità». Profondamente ca lata sin da bambina nella vita quotidiana dei vicoli, ne mutua i para metri sociali e culturali: quelli tradizionali del quartiere, che oggi rim

piange e ricorda con vigore. Rappresentazioni contraddittorie della vita quotidiana nei vicoli

di S. Anna e S. Teresella, i racconti dei testimoni offrono immagini della realtà altrettanto forti e vere: espressioni significative della va rietà delle scelte individuali e dei comportamenti sociali possibili.

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