natura anfibia - incontro tra arte, magia e scenza

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Natura anfibia Incontro fra arte, magia e scienza

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rassegand i 13 artisti che esplorano lintegrazione tra arte magie e scienza Mc2gallery

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Natura anfibiaIncontro fra arte, magia e scienza

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Natura anfibiaIncontro fra arte, magia e scienza

A cura diClaudio Composti e Massimo Rizzardini

Direzione Scientifica diProf. Davide Bigalli

(Cattedra di Storia della Filosofia I)Universita’ degli Studi di Milano

I Edizione27 APRILE/ 22 MAGGIO 2010

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La sindrome di Mélusine

Alessia De Montis ce l’ha fatta. Con i suoi lavori non soltanto la strega si prende una bella rivincita (noi non avevamo dubbi che, con il tempo, le sorcières ce l’avrebbero fatta). Ma soprattutto, con la sua affermazione di artista-donna che denuda le streghe e scatena il loro potere seduttivo, rompe l’incantesimo delle avanguardie del primo Novecento, dal quale, almeno psicologicamente, neanche le grandi surrealiste si erano salvate. André Breton l’aveva detto e ridetto: la strega è, sì, capace di suscitare quell’amore-passione che muove il mondo, ma lo fa per lanciarsi nella catastrofe e trascinarvi l’amante. La femme fatale, insomma, è perdizione più che estasi e illuminazione. Breton preferiva allora la femme-enfant, la bambina. Come scrive in Arcane 17: «Scelgo la femme-enfant non per opporla all’altra donna, ma perché in essa, e soltanto in essa, sembra risiedere allo stato di assoluta trasparenza l’altro prisma visivo di cui ci si rifiuta ostinatamente di tenere conto, perché obbedisce a leggi molto diverse di cui il dispotismo maschile deve a ogni costo impedire la divulgazione».

Illuso. Benché fosse convinto che la femme-enfant sia la chiave per sfuggire a un mondo dominato dai valori maschili (razionalità e violenza) e per questo portato alla catastrofe della Guerra mondiale (Arcane 17 è del 1944), Breton rivelava la paura di sempre: quella della donna adulta, non solo ventre oscuro di qualsiasi potenza creatrice, ma, prima ancora, padrona di sé. E quindi in grado di svelare l’indicibile: la debolezza senza rimedio del maschio . La femme-enfant è, certo, espressione di energie primigenie ma è “pura”, il che vuol dire sempre la stessa cosa: non conosce il trucco. Non sa che l’uomo che pretende di guidarla è cieco. Ed è un ladro: l’ispirazione che trae da lei per rivendicare, a sé solo, il potere di trasformarla in arte, non gli appartiene. Forse è perfino impotente, visto che al gioco di seduzione da condurre alla pari con una donna, preferisce lo spavento della bambina vergine.

Ebbene Breton si inganna due volte. La prima perché la femme-enfant, ormai lo sappiamo, è più pericolosa e infida della vera strega. Lolita, lei sì che porta alla perdizione. Ed è una perdizione senza speranza di redenzione. Perché la colpa ricade tutta sull’uomo, anche se la perfida è la fanciulla.

Al tempo stesso le artiste non si limitano più, oggi, a rabbiose quanto inutili proteste. Ricordava Dorothea Tanning: «Mi resi conto con estrema costernazione che il ruolo delle donne all’interno del movimento non differiva molto da quello in cui le relegava la buona società borghese». Le faceva eco la pittrice Jacqueline Lamba, seconda, adorata moglie di Breton: «Nel circolo di Breton le donne venivano decisamente sottovalutate. Era molto difficile essere considerata un pittore tra di loro». Più facile finire in manicomio ed essere sottoposte all’electroshock, nuovi roghi delle streghe, come accadde a LeonoraCarrington e Dora Maar (queste informazioni le ritrovate sulla recente biografia di Dora Maar scritta da Brigida Di Leo per Selene edizioni).

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Remedios Varo e Leonora Carrington risolserogenialmente il problema: si strinsero inun’amicizia-alleanza che prevedeva lapreparazione di ricette alchemiche e pozionimisteriose. Non a caso Breton chiamavaRemedios la hechicera, che non è tanto unastrega (bruja) quanto un’ammaliatrice con poterimagici. Aveva ragione: se costrette a sceglieretra il ruolo di strega e quello di bambina, lesurrealiste sceglievano il primo. Ma, bellissimecom’erano, raddoppiavano le loro forze: a loronon si poteva davvero dire no.Proprio come alle streghe di Alessia De Montis.Alle quali non importa nulla nemmeno deirichiami un po’ bacchettoni e fin troppopaternalistici delle femministe anni Settanta(alcune godono ancora di ottima salute e ottimastampa, che gli dei le conservino): finalmente sisono riprese corpo (nudo) e bellezza e ne fannoquello che vogliono.

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Breton poneva al centro di Arcane 17 la storia di Mèlusine, altro che una bambina. Era la figlia del re di Scozia e di Pressyne che tutti i sabati si trasformava: dai fianchi in giù diventava un serpente o, secondo altre versioni più miti della leggenda, una sirena. Quando il marito svelò il suo segreto alla corte, lei si trasformò in drago, gli regalò due anelli magici e scomparve. Tutto chiaro, no? Altro che serpente tentatore. Noi siamo il serpente. Lo sa benissimo il Dio maschio e barbuto che continua a considerare sia il Diavolo sia le donne i suoi principali avversari. Ma il pericolo, per l’uomo di carne, è ancora più grande: come Lilith, che si sottrae ad Adamo, che sfugge a dio e ai suoi angeli, noi possiamo semplicemente decidere di andarcene. Le catene erano una finzione. E allora nel mondo sarà davvero il deserto. Perché, vedi mai, forse sarà morta anche l’arte

Alessia De Montis

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Alessia De Montisnasce a Livorno nel 1976, Vive e lavora tra Milano Bologna e Roma.

Alessia De Montis immagina il mondo dell’arte come uno spazio aperto, un’architettura globale che le permette di tradurre le proprie urgenze in immagini. A 6 anni già trafficava con pesantissimi mezzi di ripresa e fotografici per dare forma al suo mondo. Le sue prime mostre fotografiche sono state nel 2000 e nel 2002 in una galleria di Bologna dove ha presentato due differenti mostre dedicate al Vietnam, paese a lei caro che ha visitato nel 1999, dove ne è rimasta stregata.Il suo occhio di artista donna è stato però sempre attratto e incentrato sul mondo “femminile”: un tentativo di spiegare o forse solo indagare,impresa ardua, quel mistero che è l’universo della Donna, “strega” come la chiama lei, intesa e intrisa di tutte quelle energie che rendono magica e unica la Donna. A partire dallo stato iniziale di “Bozzolo” – come chiama una serie di sue opere – in cui la donna, ancora giovane o inesperta non si è ancora liberata delle strutture insegnatele dalla società, dalla famiglia. Fino ad arrivare al massimo grado della consapevolezza e culmine della donna “magica”/strega: la donna in cinta, che mette al mondo e genera Vita. Un progetto che lei stessa definisce come “work in progress”, dal titolo “Odissea Contemporanea”, sviluppato in varie tappe (Lucernari, Alveare, Frammenti). Iniziato nel 2000 e tutt’ora in corso, sta però indagando l’”altra

metà del cielo”, l’Uomo.Se le sue infatti sono donne che lei chiama “streghe”,cioè coscienti della loro femminilità e che sanno andare alla deriva perché consapevoli del loro potere, in “Odissea Contemporanea” non possono mancare anche alcune figure maschili. Novelli “Ulisse” che Alessia fa impersonare a noti protagonisti contemporanei dell’arte, della letteratura, del cinema, della musica e dello sport che “cantano” il loro modo di intendere la “Donna”, la loro Musa ispiratrice, attraverso video-interviste proiettate all’interno di forme circolari che ricordano gli antichi scudi, simbolo dell’eroe guerriero e di epiche battaglie. Tutto nel ritmo costante di parole e immagini che,in qualche modo, completano e animano le sue “streghe”.Il primo di questi “sguardi maschili” e’ Vasco Rossi, prima rockstar in Italia ad aver scelto Alessia come giovane video-artista per la realizzazione del video-clip di un suo brano musicale, “Da sola con te”, affidandole completamente scrittura e direzione affinché lo realizzasse con un suo video d’arte. Alessia immagina così Vasco Rossi come “un eroe contemporaneo che vive le infinite declinazioni dell’universo femminile”. Dopo aver indagato il mondo femminile, ha iniziato il progetto, anch’esso “a tappe”, come in un lungo viaggio, che indaga l’altra parte della Donna: l’Uomo

Il progetto si chiama “Combattere-Ridere-Pregare”. Tre declinazioni di movimento che prendono forma in una collisione drammatica, allegoria di un paesaggio umano che lascia emergere le contraddizioni e le complessità del presente. Tre dimensioni intrecciate e inscindibili,insite nell’Uomo, che si alternano e convivono in un’esistenza intera,generazione dopo generazione, dal sorriso già presente nel feto, alla quotidiana lotta per la sopravvivenza o, più semplicemente, alla necessità di stabilire un contatto con una dimensione divina. Per questo continua ad utilizzare alfabeti e linguaggi diversi, dal video alla performance, dalla fotografia alle installazioni/interviste. Linguaggi diversi che permettono di attraversare l’universo “UOMO” in una sorta di viaggio contemporaneo tra inferno, purgatorio e paradiso.

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2010“Natura Anfibia - Arte Magia e Scienza” a cura di Claudio Composti e Massimo Rizzardini, mc2gallery Milano“Alla gloria Militar !” Aircraft Gallery, Bratislava “Bad Girls” - Galleria VisionQuest, Genova (Catalogo con testo di Viana Conti)

2009“Colleziona 2010” Forma - Centro internazionale della Fotografia, Milano “BoxShock- Mind Cube” a cura di Ronald Facchinetti, Watt Hotel,Milano. “Interessi personali” a cura di Gianluca Marziani, Galleria Romberg, Roma.

2008“Biennale di Alessandria. Video-fotografia Contemporanea” a cura di Sabrina Raffaghello e Fabrizio Boggiano (catalogo Vanilla edizioni)

2007“Acqua” a cura di Paolo Donini e Daniela Del Moro, Palazzo Ducale, Pavullo nel Frignano (Mo) (Catalogo Gallerie Civiche di Palazzo Ducale edizioni)“Viva 3”, a cura di Marina Mojana, Arena Civica Milano (Catalogo Vita No Profit)“Curve pericolose” a cura di Maurizio Sciaccaluga, Caselli del Pane, Milano (Catalogo Christian Maretti Edizioni)-“13X17: 1000 Artisti per un’indagine eccentrica sull’arte in Italia” a cura di Philippe Daverio e Jean Blanchaert Venezia Potenza Milano Bologna Biella Napoli Pescara Palermo (Catalogo Rizzoli 2007)

2006“Lilith III edizione” a cura di Rosetta Gozzini - Scuderie Aldobrandini,Frascati (Roma) (Catalogo Edizioni Gangemi)“Ars in fabula” a cura di Maurizio Sciaccaluga - Palazzo Pretorio a Certaldo (Fi) (Catalogo Comune di Certaldo)

2005Spazio Teatro Container Viabizzuno, Milano.“La Fotografia dentro” a cura di Denis Curti, con la collaborazione di Alessia Locatelli - Galleria Fabbrica Eos Milano. “Dinamiche del volto” a cura di Paolo Donini e Daniela Del Moro, Gallerie di Palazzo Ducale di Pavullo (Mo)(Catalogo Gallerie Civiche di Palazzo Ducale edizioni)“Corpore” a cura di Daniela Del Moro e Francesco Gallo, Galleria Paolo Nanni, Bologna

PREMI2007 XXI Premio Marconi per l’arte elettronica – Bologna (Catalogo a cura di Claudio Cerritelli)2004 I Premio come migliore opera fotografica Lucernaio #1,Fiera d'arte contemporanea di Forli,Galleria Paolo Nanni, Bologna. Opera premiata e acquistata dal Museo di Forlì.

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Metamorphoseis

di Nicola Davide Angerame

Metamorphoseis è una serie fotografica che Alessio Delfino ha realizzato in due anni di lavoro ritraendo modelle e donne comuni d’ogni

nazionalità in un’identica posa. I loro corpi sono vestiti di un sottile strato d’oro. Le immagini sono stampate a grandezza naturale e ora ospitate

nella collezione permanente del Centro Arte contemporanea del Castello di Rivara. La perizia tecnica di Delfino mira a trasformare la fotografia

in un corpo solido. Una sfida impossibile che appartiene all’utopia personale dell’artista, il quale in questa serie, che potrebbe crescere

all’infinito, ricrea un Pantheon personale, nominando le sue “creature” con i nomi delle Dee dell’Olimpo. Attraverso una performance silenziosa

e privata, una sorta di rito d’iniziazione, Delfino dipinge interamente il corpo delle sue modelle, poi le fotografa. Spesso questa mostra

s’inaugura con una performance dal vivo che vede protagoniste alcune “dee”, a rimarcare un aspetto importante, che giustifica la presenza di

sole donne nel lavoro di Delfino: il fatto che il fotografo si rifaccia nel suo lavoro al Femminino sacro, alla primogenitura del Femminile sul

Maschile, e al fatto che le comunità primordiali fossero matriarcali e venerassero divinità femminili, come quelle della fertilità o della

generazione. Questa mostra è un omaggio alla femminilità intesa come idea somma, come luogo del divino in generale, oltre che in particolare.

Delfino è un fotografo che celebra il corpo femminile come icona, come una nuova forma simbolica capace di esprimere, attraverso il gioco

serio di una nuova interpretazione del mito antico, alcuni aspetti dell’epoca attuale. Interessante la ripresa delle pluralità, di questa ripetizione

della differenza che ripropone un’idea di paganesimo come insegnamento di tolleranza, d’apertura al diverso e come assorbimen to culturale:

ibridazione e proliferazione. Il primo impatto con il lavoro è violento a causa della serialità. L’intuizione di un momento detta a Delfino la posa

definitiva, auratica, che assume l’intero suo mondo divino

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Nelle immagini scompaiono i simboli, che siamo soliti attribuire alle singole divinità come anche ai santi cristiani, e ogni altro elemento connotativo che non sia la complessa semplicità del corpo. Superato il primo impatto, si nota che dietro la posa neutrale e rilassata delle dee si cela un sottile lavoro di studio dei differenti “tipi” fisici, e fisiognomici. Dietro ciascuno di questi “tipi divini”, resi immobili e dormienti dentro colate d’oro, s’intravedono mondi del tutto differenti: da quello armonico di Afrodite a quello violento di Era, passando per le docilità di Gea. La femminilità messa in scena da Alessio Delfino sembra ripetersi e invece si rigenera. Se, nella ripetizione è l’uguaglianza a giocare il ruolo portante, nel la rigenerazione è la differenza ad essere protagonista. Questa sottile linea di demarcazione rappresenta forse il suo risultato di maggior interesse, non escluso un altro importante traguardo come quello della consistenza fisica delle immagini, capaci di catturare e riflettere luci, muscoli, fibre ed espressioni che sembrano far parte di un corpo sognante e immobile, eppure palpitante come se fosse percorso da una scarica onirica o in preda a tempeste interiori sopite dietro la luce silente e vagamente decadente dell’oro: come se dietro la statua potesse ancora ardere la vita ferina e selvaggia di divinità appartenute ad antichi miti, superati eppure ancora capaci di agire sulla nostra immaginazione e, forse, anche di segnalare una via culturale che si pensava perduta per sempre e che Delfino vorrebbe vivificare con una nuova ipotesi di lavoro e di riflessione”. “Nel mio lavoro – dichiara Alessio Delfino - tento di azzerare la mia espressività d’interprete per rendere più visibile la ricchezza che ogni corpo racchiude in sé, nelle sue proporzioni. Ogni fisionomia è un carattere e ogni carattere è un profilo psicologico, una storia, un simbolo: in una parola un mito. Per questo ho deciso di dare a ciascuna delle mie “creature” un nome di divinità greca. Voglio riattivare sensi scomparsi ma anche giocare a nominare dee delle donne normali, impiegate, studentesse, casalinghe. La fotografia le nobilita e loro nobilitano la fotografia. A volte sono modelle bellissime, ma sono innanzitutto donne e in alcuni casi amiche. Si prestano a questo gioco serio, che nel breve intervallo di un servizio fotografico può trasformarsi in odio o diventare amore. Basta guardare le mie foto per capire chi ho amato e chi odiato, credo che sia evidente a tutti e ne ho quasi paura. Mi sento totalmente denudato in queste immagini che, dietro un’apparente neutralità, rivelano secondo me un’intensa emozionalità. Le ho concepite come un lavoro sul nudo antierotico, uno studio dedicato al corpo e alla pelle, alle proporzioni e alle sensazioni che ogni singolo individuo suscita per il solo fatto di avere quel corpo lì e non un altro. La nostra identità passa soprattutto di là, ma non ce ne accorgiamo più perché oggi se non hai un corpo omologato alle misure folli della moda e della pubblicità ti senti inadeguato e pensi che quel involucro di carne che circonda la tua anima non valga. Per le donne questa imposizione culturale, figlia di un approccio edonistico e consumistico, è ancora più drammatica”. Completano la mostra, due importanti video dedicati alle metamorfosi. I corpi delle dee si fondono l’uno nell’altro senza soluzione di continuità come se le identità delle singole divinità fossero infine una sola mutevole, metamorfica ed eterna natura. Il tempo si dilata e lo spettatore perde l’orientamento. Quello che vede è un corpo liquido che vibra, pulsa, respira e cambia di forma costantemente, tanto lentamente da risultare impercettibile il suo muoversi. “Volevo creare un corpo inesistente – spiega Delfino – o tanti corpi impossibili, risultati d’innesti dolci, impercettibili, come quando in agricoltura si creano nuovi biotipi per talea. Per me queste figure hanno un qualcosa di auratico, di misterico. Mi fanno pensare alle stagioni, al tempo che scorre e che ritorna. A una danza dei fiori. Ho voluto creare una mutazione genetica, una sorta di “Olimpo ogm”, se vuoi”.

.Alessio delfino

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Alessio Delfino nasce a Savona nel 1975.Vive e lavora tra Albisola e Milano.

MOSTRE PERSONALI2010 Rivara (TO) – Italy, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea – Tarots2010 Savona, Complesso Monumentale del Priamar, Palazzo della Polveriera Metamorphoseis a cura dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Savona2010 Turin – Italy, Galleria Allegretti Contemporanea – Tarots2010 Nuremberg – Germany, Livio Nardi Galerie – Tarots2010 New York, Chelsea – U.S.A. Kips Gallery – Metamorphoseis2009 Foggia – Italy, Galleria Paolo Erbetta Arte Contemporanea – Tarots – Femmes d’or2009 Rivara (TO) – Italy, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea – Tarots preview2008 Rivara (TO) – Italy, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea Metamorphoseis (with performance)2007 Alassio (SV) – Italy, ex Chiesa Anglicana, Comune di Alassio Assessorato alla Cultura Féminin Inédit (with performance)2006 Albissola Marina (SV) – Italy, Studio Lucio Fontana – Femmes d’or (with performance)2006 Arles – France, Espace Gilles Barbero Festival Voies Off – Femmes d’or2006 Varese – Italy, Spazio Arte Aurora – Femmes, Portraits et Travaux2005 Aschaffenburg – Germany, Museo Neuer Kunstverein Aschaffenburg e.V. – Femmes Naturelles2004 Genoa – Italy, Studio Ghiglione – Palazzo Doria – Travaux en cours2003 Florence – Italy, Caffè Storico e Letterario Giubbe Rosse – à Florance on raconte2002 Genoa – Italy, Studio Ghiglione – Palazzo Doria – Des Femmes 1999-2002

MOSTRE COLLETTIVE2010 “Natura Anfibia-Incontro tra Arte Magia e Scienza” I Edizione - mc2gallery Milano2008-09 Rivara (TO) – Italy, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea – “Video Review”2008 Rivara (TO) – Italy, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea – “Esercizi”2005 Baltimore – U.S.A., World Trade Center – Arteast’s2003 Albisola Marina (SV) – Italy, 14 July 2003 “La presa del Testa”2002 Alassio (SV) – Italy, Chiesa Anglicana – Dell’Eterno Femminino

COLLEZIONI MUSEALIMuseo d’Arte Italiana Castello di Rivara (TO):- Metamorphoseis, lambda print on metallic paper Ed. 1/5 2006-2008, 22 pcs 167 x 50 cmMART Trento e Rovereto, VAF Stiftung:- Des Femmes #54 lambda print Ed. 1/1 2003 70×50 cm- Des Femmes #60 lambda print Ed. 1/1 2003 70×50 cm

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L'arte sacra, sacralità dell'arte:l'opera recente di Amira Munteanudi Alan Jones “La direzione in avanti è verso l'interno”.

Hölderlin

Sarebbe difficile immaginare un tema, dato il mondo dell'arte oggi come oggi, meno probabile di quello che si propone Amira Munteanu: tornare all'iconografia biblica per riscoprire quella fonte inesauribile di punti di partenza allegorici per formare un nuovo contesto alternativoalla pittura contemporanea. E' un'avventura che porta ad una meditazione e culturale e spirituale, offrendo alla portata di mano dell'artista unaspecie di elenco imparagonabile di simboli e metafore, storie e parabole che forma un verosimile vocabolario 'ready-made': il patrimonio piùantico, insomma, della tradizione Occidentale. Sono in pochi dall'epoca del Modernismo in poi che si sono rivolti ad esplorare questa ricchezza, dato il carattere tragicamente ideologico dell'avanguardia del secolo scorso. Eppure è proprio a questa fonte che è tornata, con la bravura di chi va contro corrente, la pittrice Amira Munteanu, offrendosi per conto suo il privilegio (ma anche l'occasione creativa) di frequentare, si può dire quasi da sola, questo vasto panorama d'ispirazione di duemila anni di cultura Occidentale per la maggior parte totalmente scomparso dallascena dell'arte di oggi. Come scriveva di recente Il Giornale dell'Arte, "…nel giro di pochi decenni, duemila anni di cultura nel senso più profondodel termine sono stati in larga parte dimenticati" (Anna Somers Cocks, dicembre 2009).

Cominciando con un incontro frontale agli atti del Vecchio Testamento, in una seria di quadri figurativi, arricchiti di una profonda frequentazionedell' iconografia biblica attraverso i grandi maestri della pittura europea, Amira Munteanu ha proseguito ad un' ulteriore serie in cui si avvicinaall'allegoria, quadri più "astratti" per motivo dell'uso di una composizione più esplicitamente simbolica, al soglio del regno tra l'alchemico e l'araldico che è stato tanto esplorato dal grande studioso Arturo Schwarz. In occasione del decennale della pubblicazione della "Lettera di Papa Woytjla agli artisti" (1999), si sono riuniti 260 artisti da ogni angolo del mondo, da Peter Greenaway ad Anish Kapoor, nella Cappella Sistina per uno storico incontro con Papa Ratzinger. "La ricerca della bellezza." diceva il Papa, "non consiste in alcuna figura nell'irrazionale o nel meroestetismo." L'arte, ci ricordava, è una “via pulchritudinis", indicando la Bibbia come fonte d' ispirazione rinnovata. Dopo il discorso,JannisKounellis ha dichiarato:"L'artista è sempre attratto dalla Bellezza, non ne ha paura. Non c'è differenza tra una Madonna di Tiziano e le Mademoiselles d'Avignon di Picasso, perché si tratta sempre di creature 'incarnate'. Noi artisti facciamo un'opera non assumendo il dramma diCristo, ma stando al suo cospetto."Come artisti da Rouault a Matisse, da Rothko a Beuys, Amira Munteanu ha scelto un percorso creativo pocofrequentato, e perciò tanto promettente: dal mondo attuale così pieno di polemiche tra laico e fede, verso quello del tema veramente celeste. ALAN JONES (Umbria 2010)

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Amira munteanu

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''Uno studio superficiale della letteratura alchemica e cabbalistica potrebbe indurre a credere che i due sistemi abbiano poco in comune, a parte il fatto, già evidente ad uno sguardo meno sommario, che entrambi sono insegnamenti esoterici in cui domina l'afflato universale verso una maggiore comprensione del nostro sé più profondo. In entrambi, infatti, questa pulsione cognitivaè otivata dala consapevolezza che la trasformazione del sé non puo essere raggiunta senza la conoscenza di sé. Tuttavia un equivoco molto comune fa pensare all'alchimia come a qualcosa che ha a che fare con la trasformazione del piombo in oro, e d'altra parte, a partire dalle fine del XVIII secolo con lo svilupo della Haskalà (l'illuminismo ebraico) e fino a tutti gli anni Venti del secolo scorso , la Cabbalà è stata in larga misura rigettata e considerata un ammasso ridondante di scritti fumosi e oscuri. (...)L'aspetto prevalente in questa ermeneutica esoterica del Tanakh è la fede comune che sia possibile riuscire ad avere una intuizione mistica della natura stessa del divino. È un tipo di conoscenza che viene perseguita perche porta a scandagliare l'essenza dell'essere umano. Swe infatti quest'ultimo è stato creato ''a immagine e somiglianza di Dio...maschio e femina'', qualunque spiraglio di luce aperto sulla complessità del Creatore si rifletterà sulla Sua creatura. Inoltre i cabbalisti condividono la convinzione che, poiché Dio è inconoscibile e al di là della comprensione umana, la sola conoscenza che se ne puo avere passa attraverso i canali mediatori tramite i quali la divinità si manifesta: la dieci Sèfirot. L'Albero sefirotico ha la sua espressione antropomorfa nel corpo umano. Ma l'albero è anche simbolo dell'androgino: come axis mundi che connette cielo e terra, esso è il mediatore fra i principi feminile e maschile (la terra e il cielo). È naturale, dunque, che le componenti dell'Albero -le sèfirot- posseggano anch'esse aspetti duplici con una prevalenza, a secondo delle circostanze o della componente femminile o di quella maschile; mentre negli altri Sèfirot i due elementi sembrano coesistere senza una chiara prevalenza dell'uno sull'altro. (...)Non vi può essere speranza in un mondo migliore fino a quando gli uomini non rimpareranno ad amare e a rispettare la potenza femminile generatrice e sostenatrice della vita, rinunciando alla loro pretesa di essere i soli protagonisti dell'avventura umana e riconoscendo il diritto naturale delle donne a condividerla come soci paritari. La vita che porta alla persona integrata –la sola possibile creatrice di una società armoniosa in un mondo unito nella sua diversità- passa attraverso la consapevolezza della dimensione vera dell'amore. In questo nostro secolo morente, ancora dominato dalla violenza e dalla guerra e ossessionato dalla minaccio dell'apocalisse nucleare, è ancora più necessario ricordare il messaggio comune della Cabbalà e dell'Alchimia: IN PRINCIPIO ERA IL DESIDERIO ; IN PRINCIPIO ERA L'AMORE.

Arturo Schwarz (Cabbalà e Alchimia)

.Amira munteanu

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Amira Munteanu è nata in Transilvania, (Romania) nel 1972.Ha compiuto studi all’ Accademia delle Belle Arti di Bucharest, Facoltadi Scenografia.Vive e lavora a Milano

MOSTRE PRINCIPALI

1994Palazzo del Parlamento, Bucharest, mostra personale a cura di R.Matei1995Business Club Elite, Bucharest, mostra personale a cura di C.Antim1996Business Club Elite, Bucharest, mostra personale a cura di C.Anti1997Salt and Paper Living, Bucharest, mostra personale a cura di R.Matei2000Fondazione della Banca San Paolo Imi, Roma, mostra personale “Piccoli morsi divita” a cura di M. Pola2001Galleria Telaccia, Torino, premio “La Telaccia d'oro”Galleria I Colori dal Mondo dell'Arte, Palazzo Margutta, Roma, a curadell'Associazione Margutta Arte2002Galleria Pictural, Monte Carlo, mostra ”Optical”, a cura di J.Casals - Galleria NuovoMillennio, Palermo, a cura di C.Cordaro2003Museo Internazionale della Donna nell'Arte, a cura di L.Alviani2004”Somnium Fluxus”, Pietrabbondante Isernia, a cura di L.AlvianiFondazione Taylor, ParigiBiennale Internazionale d'Arte di Roma, a cura di M.ChiovaroCentro Internazionale per gli Artisti Contemporanei, Roma, a cura di M.Chiovaro2005Fez Living, Pescara, a cura di C.AlbaneseMostra permanente 2005-2007, bottega d'arte Le Cruelle, Pescara2006Biennale Internazionale d'Arte di Roma, a cura di M.Chiovar.

2007Le Trottoir, Milano, mostra “Io, Me stessa e nessun altro”, presentazioneAndrea G.Pinketts, testi di Pierangelo DacremaMostra ”Città dell'Aria”, Colorno, Parma, a cura di G.ChiovaroGalleria Jean Blanchaert, Milano, mostra “La Bestia e la Bestia, requiem per Jack lo Squartatore”, performance con Andrea G.Pinketts, a cura di Philippe DaverioMostra ”13x17” a cura di Philippe Daverio per la Biennale di VeneziaGalleria Art Ouverture Milano, Spazio Dadone, ComoGalleria d'Arte Unicità, Monza, mostra “Melangè a trois”, a cura di M.SavinoPremio per l'Artista Internazionale, Regione Lombardia, Castello MediceoCaserma Santa Barbara Milano, Medaglia D'oro al Valor MilitareGalleria Sopravento, Porto Cervo, mostra colletivaGalleria Spagnoli, Firenze, Aste Estive.2008Consolato Generale di Romania, Milano2009Galleria Wannabee, Milano-Spazio Revel,mostra “Male di miele” a cura diS.PettinicchioGalleria Wannabee, Milano, mostra personale e libro d'artista “Breviario diVampiraggio Contemporaneo”, a cura di Alan Jones”I love Pop” mostra colletiva presso Comune di Meda“Premio Primavera”, Galleria Il trittico, Campo dei Fiori, Roma2010-Biennale Internazionale d'Arte di Roma, a cura di C.I.A.C.''Natura anfibia'', a cura di Claudio Composti e Massimo Rizzardini, mc2gallery Milano.''Premio Primavera'', Campo dei fiori, Roma, maggio-giugno, a cura di C.I.A.C.In preparazione Libro d'artista ''Axis Mundi'' (simboli e allegorie) a cura diAlan Jones.

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Benito UrguVive e lavora a Milano

Quella di Benito Urgu può sembrare una presenza “estranea” al contesto di una mostra. Per lo più è conosciuto per il suo ruolo di comico, per tutti i sardi è un personaggio amato che incontra sempre il favore del pubblico. Nasce il 12 gennaio 1939 ad Oristano e comincia a muovere i primi passi della sua carriera artistica sul finire degli anni ’50 come cantante del gruppo musicale “Gatto Nero ENAL” (in seguito ribatezzato “I nuraghi”). In seguito Benito lascia il gruppo e comincia a lavorare al circo “Armando” come presentetore. Sono anni fondamentali per la sua crescita artistica nei quali impara “la difficile arte di far ridere”. Riferendosi a quegli anni, li definirà “la mia univers ità”.

Negli anni 2000 Benito lavora con Giorgio Panariello a “Torno Sabato”, ancora con Chiambretti in “Markette” e “Markette doppio brodo” su La7 e con Nino Frassica in “Suonare Stella” su Raidue.Parallelamente alla sua carriera,però, coltiva una passione che è la collezione di “sassi” che nascondono nelle loro forme volti spesso urlanti. Delle pietre che per Urgu sono “vive” e in qualche modo apotropaiche. Un teatro fisiognomico animato da una serie di “facce toste” – come titola anche il catalogo omonimo – assolutamente naturali che, nell’insieme, assumono un inquietante aspetto fisiologico/geologico che travalica la semplice catalogazione di queste pietre come “sassi”, bensì iniziano ad assumere un “volto umano”, vivo …dellepresenze, come se la Natura ci parlasse attraverso le sue varie forme.Un mondo davvero curioso che ci porta ad una esplorazione del suo mondo e a quanto siano labili i

confini del mondo organico!..

Benito urgu

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Daniela Novello: Tols Child’s First Birthday

Siamo in un momento storico, in cui le idee e le emozioni tendono sempre piùferinamente a essere rappresentate, in ambito artistico, come sganciate dal lororapporto costituzionale con la forma, con conseguenti ostentazioni del corpo intesocome escremento, sangue, metamorfosi ripugnante che invita lo sguardo dellospettatore a guardare altrove invece che ad abitare intensamente l’immagine.Se c’è omologazione nell’arte, essa non risiede a mio avviso ad elevare a forma estetica qualsiasi oggetto, qualsiasi cosa, ma nel farlo rinunciandosistematicamente al ricorso simbolico, al processo di sublimazione.Con la sua poetica tutta, e con questa opera di cui si dirà tra poco, la scultriceDaniela Novello afferma di volersi compromettere ancora con la rigorosa e al contempo sensibile ricerca formale, di sottrarsi all’abbaglio del colpo allo stomacocon cui sbrigativamente vuol essere risolta la percezione dell’operad’arte.Confrontandosi con il tema del rituale e della magia, Novello ricerca in culture altre rispetto a quella occidentale scientista e comportamentista, in cui queste due componenti sono ancora vitali e sentite collettivamente. Non è un elemento da poco quest’ultimo, giacché nella nostra Europa vecchia cui si è solitiascrivere la nascita di quasi tutto e l’evoluzione di tutto, la collettività è scomparsa. Esiste invece l’individuo, che solo aggregandosi quantitativamente e nominalmenteforma un gruppo.La Corea mostra invece attraverso le sue pratiche iniziatiche, che il singolo affermala sua identità nel momento in cui la collettività gli offre il modo di partecipare a un rito, lo inserisce in una pratica celebrativa in cui, seppure infante, egli può prenderesimbolicamente la vita nelle proprie mani: al compimento del primo anno d’età al bambino vengono presentate quattro scatole che chiamerei destinali, quattroinvolucri di sorti possibili. E’ proprio l’incapacità di fare una scelta oculata e ponderata, è proprio il naturale analfabetismo del bimbo, sarà proprio l’assenza disovrastrutture e filtri culturali del soggetto a dar valore svelativo e definitivo al suogesto di afferrarne una e non un’altra. Per istinto, per forza, una forza di cui non è che il buon conduttore. Bow and Arrow (Arco e freccia, immagine del coraggio e della forza fisica) Rice (ciboin abbondanza, ricchezza) Needle and Thread (ago e filo, che significano longevità) Book (la sapienza e la saggezza): questo rappresentano simbolicamente le quattroscatole coreane. La scelta di una esclude tutte le altre. Proviamo ad immaginare la mano piccola e debole di un bimbo che opera una scelta afferrando o scegliendo a mano –in qualche modo- la scatola Book. Chi si distinguerà nella vita per saggezza, intelligenza e amore per il sapere, non si aspetti anche di essere ricco, di non patirela fame; non ci si aspetti da lui il coraggio che un fisico prestante può alimentare. Nemmeno a lungo potrà vivere il sapiente, come a dire che la sua sapienza saràusata per il bene della collettività, non per il suo.

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L’esclusione delle altre scatole è una perdita ben maggiore rispetto all’acquisizione di una, quale che sia. E qui sta una severità, una parsimonia che tradotta in un augurio per un bambino tanto piccolo, a noi pare quasi crudele. Anche tra adulti ci auguriamo“tante e belle cose”. Una sola, replicata da Oriente, trasforma l’augurio in inquietante predestinazione. La Tyke, l’accadimento, il destino, l’occasione mai casuale, detronizzano ufficialmente il valore che siamo abituati a conferire al consenso informato, allescelte consapevoli, alla volontà della nostra coscienza. Qualcosa sceglie per noi. Potremmo dire lo stesso dalle nostre parti, se pensassimo, in modo del tutto laico, per esempio al ruolo dell’evoluzione, al suo esserne noi citazioni e conferme.La simbologia arcaica dell’arco e della freccia ci fanno sorridere, forse con benevola tolleranza, quella che gli evoluti del nord del mondo destinano agli estri creativi involuti del sud. Se pensiamo alle manciate di riso, però, con cui gli sposi occidentali vengonocolpiti e quasi affondati all’uscita di chiese e sedi comunali, il sorriso si smorza. Siamo simbolicamente così distanti? E non è veroche con il monumento in metallo e vetroresina Ago e filo la nostra visionaria archistar Gae Aulenti ha rappresentato la laboriosità calvinista di Milano (la sua Milano)?Avremo certo più parole e argomentazioni per sottrarci, noi, all’accusa di primitivismo nell’uso delle immagini e dei riti. I simbolie le loro immagini però si sono sedimentate nella nostra memoria e nella nostra storia, convivono diacronicamente e sincronicamente con noi. Daniela Novello ha colto questa datità culturale di una necessaria rivalutazione coeva, l’ha affrontatada scultrice, con le mani, ricreando le scatole che, divenendo opera, hanno perso la loro funzionalità per acquisirerappresentatività estetica e stilistica contemporanee, con una sfida sottesa, incorporata nella pelle dei materiali usati: la pietra(tufo) e il piombo. Si tratta di materia poco nobile, e immagino sia voluto. Avrebbe potuto usare il granito levigato e l’oro, per dire. Invece ha scelto elementi naturali, comunissimi, e storicamente carichi di deprezzamento. Il piombo era considerato damolta mistica antica e moderna come l’elemento simbolo dell’uomo non iniziato, non raffinato e separato ancora dallavocazione allo spirituale, all’ultraterreno, quindi anche dalla sapienza. Il tufo, a causa della sua friabilità e del suo aspettocariato, era pietra scartata dal costruttore di grandi opere. L’accentuazione cromatica è ridotta ai minimi termini, come se al bambino, che certo non può leggere le parole incisi sui coperchi, non dovessero essere offerti nemmeno altri indizi sensibili. La preferenza sarà guidata da altro, la scelta sarà tanto più sua quanto meno influenzata dalla vivacità di un colore o di una forma. Soprattutto, come tutti noi, nel momento in cui il bambino sarà soggetto di un’azione, sarà contemporaneamente soggettoall’azione stessa. Questo è l’ibrido, è l’ambiguità irrisolvibile ed esorcizzabile -in questo caso- magicamente, che alligna nellacostituizione stessa dell’essere umano.

Cristina Muccioli

Critico d’arte. Docente di Etica della comunicazione presso l’Accademia di Brera

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Daniela Novello

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Estetiche di iniziazione – Gianluca BeccariNatura anfibia: arte magia scienza

Arte, magia, scienza, tre discipline di antica sorellanza che vanno oltre l’evidenza immediata del reale: secondo Paul Valery, “La combinazione di una donna e di un pesce è una sirena, e la forma di una sirena è facilmente accettabile. Ma è possibile una sirena viva? Non sono del tutto sicuro che siamo esperti nellescienze della vita al punto da rifiutare la vita alle sirene in seguito a ragioni dimostrative. Bisognerebbe sapere molta anatomia e molta fisiologia per opporrealtre obiezioni oltre a questa: i moderni non ne hanno mai pescate! Quel che muore per eccesso di precisione è un mito.”: il mythos, la parola, e il raccontoprimigenio che ne deriva, a cercare lo spirito delle cose, dell’incomprensibile, di ciò che non è rivelato, e che la scienza - nella sua radice che si rannoda al tagliare, che vale per scindere – cerca di indagare analizzando nelle sue parti scomposte. L’ibridazione, il divenire, l’unità fondativa del reale e il suo mistero, ne è l’altra faccia, nel suo silenzio, nel suo esser muto, nel suo non poter esser detto. Gliantichi l’avevano già capito: all’iniziato dei misteri eleusini, veniva infine mostrata una scatoletta con dentro un oggetto magico, la spiga tagliata, che era la chiave simbolica per il mondo ultraterreno dell’Ade. Il mistero stesso.Scopo dell’intero rituale non era infatti la penetrazione logico-razionale del segreto, ma la sua stessa venerazione emotiva, conseguita attraverso un percorsoiniziatico: se la parola è la favola, il verbo ne è l’azione, la rappresentazione, la sua messa in scena. Ogni oggetto d’arte è una rappresentazione: i video e le fotografie di Gianluca Beccari, che ricordano il non-colore interrotto dai bagliori cromatici di un sognoad occhi aperti, sono avvincenti e disturbanti come una tragedia greca: e similmente continuiamo a guardarli, non possiamo distogliere gli occhi fino al compimento del loro intero circuito, dove ogni fine è un inizio, per cercare quella catarsi, quella risoluzione che possa placare il nostro smarrimento per unaperduta età dell’oro. Se Beccari cerca “una protezione necessaria per comprendere il reale senza esserne travolti”, nel percorso metamorfico del progettoMutazioni assistiamo a “un rito d’iniziazione alla propria personalità”, in cui il Satiro nel cerchio di fuoco, evocatore di magiche ed arcaiche cerimonie dipurificazione - e tanto ricco di quelle proposte eversive che verranno confermate dal Fauno delle scene finali, quanto il Monaco guerriero a metà del percorsoci anticipa un’ipotesi di ritorno all’ordine – si riannoda alla sua precedente controparte, quel Satiro danzante del 2007, sintesi dinamica degli opposti che creaordine, bellezza ed armonia.La scultura ellenistica ne aveva sottolineato la componente orgiastica, e il Satiro danzante di Mazara del Vallo la dispiega in tutta la sua vitalità, quellarinascimentale la ricordava invece disciplinandola secondo i canoni umanistici riscontrabili nella Danza dei Nudi affrescata dal Pollaiolo a Villa la Gallina ad Arcetri, fino alla sintesi romantica dell’Inno a Pan di Keats, dove il satiro diventa personificazione di una possibilità più vera di quella percepita come reale, e l’Arte è l’esplicito ponte di congiunzione tra ragione e conoscenza, mistero ed indicibile, l’occasione per il superamento del limite che la nostra condizioneesistenziale ci impone:

…Tu violatore delle misteriose porte / che conducono alla conoscenza universale / sii tu sempre / la dimora di pensieri che ingannano la ragione / fino al limitestesso del cielo, / per poi lasciare il cervello come nudo. / Sii tu sempre il lievito che / spargendosi su questa nostra ottusa terra / dona ad essa un tocco celeste, / una nuova nascita. / Sii tu sempre un simbolo d’immensità, / un firmamento riflesso in mare, / un elemento per colmare il vuoto.

Beatrice Ferrario

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Gianluca beccari

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Gian Luca BeccariNasce a Codigoro (Ferrara) nel 1969. Il suo lavoro attraversa vari media, dal cinema, al teatro alla performance a alla musica.Laureato a Bologna con una tesi sull’estetica e la comunicazione, ha frequentato la Faculty of Art Media and Design in Bristol.Ha fondato una sua casa di produzione video che si chiama Argilla Production per la produzione di video e video-performance.

PRINCIPALI INSTALLAZIONI VIDEO/PERFORMANCE

Mutazioni Tre mega schermi sincronizzati ad una performance di musica elettronica live, che si ispira alle Metamorfosi di Ovidio (Celeste Prize Berlin) *Produzione by. Teatro MazoniTaràn(videodanza) ispirata ai misteri orfici mediterranei.. *Produzione by CrossOverArtAmore, Morte e Narcotici (Love, Death, and Narcotic) - Eros, Thanatos e Narkè, elementi mitologici ispirati a Ovidio e Nietzsche. *produzione. Spina 04Sanguenero (Blackblood) *Produzione Florian (Teatro Stabile d’Innovazione Pescara)Anima-L - *produzione Ass. Cult. AltriMentiReificazione (Reify) produzione. ArgillaCohors produzione Ravenna Festival

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Indagine temporale: oltre il confine immobile della memoria

Il fascino del ricordo, del passato è tale perché ci offre la possibilità di comprendere la nostra storia, di stringere ancora dentro per un attimo un viso, un luogo, un profumo, una voce, ormai lontani nel tempo, ma sempre desiderosi e assetati di riemergere per riprendersi ciò che gli spetta, anche solo per un istante.

Quante volte ci è capitato di ritornare nei luoghi dove abbiamo trascorso parte della nostra vita, ripercorre la strada, fermarsi davanti alla casa ed entrare con la forza della memoria negli spazi che hanno visto il fisico trasformarsi, modificarsi nell’aspetto e la mente nutrirsi dell’esperienza del quotidiano. Una malinconia, un rimpianto del passato che veste le forme di un sottile piacere, un’immagine impallidita, solo accennata, che riemerge ad un tratto tra le righe di un libro sfogliato, una musica confusa, una lettera impolverata o una fotografia sciupata. È la fotografia lo strumento, il mezzo del quale in prevalenza Giovanni Sesia si avvale, per condurci nel viaggio della memoria, per raccontare con una sensibilità apicale, quasi destabilizzante, l’universo del ricordo, quella reminescenza umana di cui avvertiamo costante necessità.

Con una disinvoltura sorprendente Sesia riesce a ripercorre e accedere agli eventi, alla storia privata dei singoli uomini, alle cose, lasciandosi carpire a tal punto da restituirceli come eventi da noi vissuti, come persone realmente conosciute, quasi familiari e di cui non possiamo fare a meno che desiderare intensamente alcuni degli oggetti a loro appartenuti, per conservali in eterno.

La passione di Giovanni Sesia per la figura umana ha origini molto remote, già da quando frequentava l’Accademia di Brera a Milano; l’utilizzo del colore è stato il primo amore, che non abbandonerà neanche in seguito, anche se negli anni Giovanni diviene sempre più attratto dal mezzo fotografico e specificatamente del reperto fotografico.

Inizia così una ricerca smaniosa nei luoghi della memoria, soprattutto all’interno dei manicomi psichiatrici, e in special modo in quei luoghi dove le persone venivano “rinchiuse” prima della legge Basaglia del 1978.

Giovanni sesia

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Una volta individuata l’immagine, il negativo viene stampato prevalentemente in grandi dimensioni e in bianco e nero per poi essere applicata sul supporto. A questo punto l’artista interviene direttamente sull’immagine con una velatura color seppia come a voler porre il soggetto nel limbo del tempo immobile, dotandola di eternità e ancorandola tramite i ricordi nella memoria dell’astante. Il lavoro prosegue con la scrittura, un racconto a tutta pagina, che si alterna tra una grafia più marcata e una appena accennata, proprio come i ricordi nella mente. Parole incomprensibili, volutamente illeggibili, che ci riportano alla memoria quelle pagine dei vecchi quaderni ritrovati nei solai o nelle cantine durante i traslochi o quando da bambini “frugavamo” nei cassetti a casa della nonna. Sono queste le sensazioni, le emozioni che Giovanni Sesia, vuole e riesce a suscitare, un racconto onirico, sfumato tra la fotografia, il colore e la scrittura, che pare diventare parola, voce sussurrata dal volto ritratto, quasi a volergli donare ancora forza comunicativa, espressiva in modo che possa raccontare le tribolazioni di una vita, i momenti di serenità e di gioia. L’attimo rimane tale, ma è per sempre; è un racconto dell’umano pensiero, un diario lungo una vita, con parole lontane, ormai quasi illeggibili, ma tutte con un loro ricordo. Scorre il tempo sulla tela, creando una ragnatela di sequenze visive, connesse dalla velatura dello scritto.

Come abbiamo detto, buona parte della ricerca di Sesia si concentra sull’escluso, sull’emarginato e su chi un tempo veniva rinchiuso perché magari più sensibile e quindi diverso rispetto alla “normalità” o perché semplicemente solo nel mondo, abbandonato. Finalmente negli anni, grazie a persone che hanno dedicato la loro vita a questa battaglia, è cambiata la modalità per affrontare le problematiche mentali e soprattutto si è modificata l’assistenza o il modo di relazionarsi con chi bisognoso di cure.

Ecco che queste opere sembrano restituire la dignità perduta, negata negli anni, pare che finalmente queste persone possano comunicare con il mondo, con i propri simili, senza dovere vagare in compagnia della “sola solitudine”. Il dolore rende folli, e molte di queste persone hanno sofferto moltissimo a causa della società, di chi non volendo vedere, non volendo affrontare i problemi preferisce chiuderli dietro una porta. In queste opere assistiamo a una ricostruzione, a volte forzatamente, ma anche volutamente frammentaria e reiterata di momenti, di riflessioni e di stati d’animo in cui la mente può ritornare su se stessa e provare in prima persona quanta è stata la sofferenza e fare in modo che questa macchia di disonore non si ripeta mai più. Quello che colpisce maggiormente di queste persone sono gli sguardi, a volte apparentemente distanti, ma sempre presenti; occhi che ascoltano, cercano il dialogo, uno scambio umano, nonostante siano state annullate e private della loro identità, sostituita da un numero, che si ripete sull’opera, come un tarlo nella mente.

Le immagini fotografiche non sono solo quelle di chi ha sofferto perchè relegato dalla collettività, ma anche fotografie di persone, gruppi o singoli individui del quotidiano vivere, recuperate da Sesia nei luoghi più disparati. Un volto si legge nelle pieghe delle sue espressioni, un volto non è solo la compiutezza dei suoi tratti ma la sua originale mutevolezza, la sua allergia alla fissità d’espressione, l’infinita possibilità di estrinsecazione accompagnata da innumerevoli piccole variazioni. I soggetti delle opere diventano anche gli oggetti della vita quotidiana, appartenuti prevalentemente alla storia dello stesso artista. Ecco che il lenzuolo appartenuto al padre così come una vecchia macchina fotografica, e ancora un materasso piegato e abbandonato, una carrozzina, un vecchio triciclo, un’antica macchina da scrivere, per poi immergersi direttamente all’interno della casa di Sesia, una volta luogo di vita del padre. La volontà determinata dell’artista conserva questo luogo, facendolo vivere, respirare, vivendone i ricordi; ma è anche origine dalla quale poter trarre ispirazione per abbandonare lo spazio intimo e familiare per addentrarsi in uno orizzonte differente, estraneo, inesplorato e a volte pericoloso, certamente fonte unica di esperienza mistica.

Alberto Mattia Martini

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Giovanni Sesia

Nato a Magenta (Milano) nel 1955 dove vive e lavora

Mostre Personali

2010Di madri e di terra, Studio Forni, Milano

2009Galleria Mandelli, SeregnoGalleria Radium Artis, PietrasantaGalleria Samagra, ParigiGalleria Vision Quest, Genova2008Nel segno della memoria, un percorso tra arte e disagio psichico. Arengo del Broletto, NovaraGalleria Goethe, BolzanoAida Cherfan, BeirutGalleria Forni, Milano2007Arte Fiera Montichiari (Galleria ArteF, Zurigo)Comoarte, ComoArte Fiera Bologna, Fondazione Ducati2006Il simbolico, l’immaginario e il reale, a cura di Alberto Mattia Martini, Spazio Gianni Testoni, BolognaIcone del dolore, oratorio San Lazzaro, Reggio EmiliaGalleria de’ Bonis, Reggio EmiliaFabbrica Sarenco, Brescia2005Galleria 44, TorinoPhotographie, Hotel Forum, ArlesGalleria ’Il Basilisco’, GenovaGalleria Cristina Busi, Chiavari

2004Fabbrica Eos, MilanoAida Cherfan, Beirut, LibanoGalleria Paolo Nanni, BolognaGalleria Sorrenti, NovaraGalleria Ibiscus, Ragusa2003Libreria Bocca, MilanoGalerie Beukers, Rotterdam, OlandaMuseo Ken Damy di fotografia contemporanea, Brescia

Principali mostre collettive

2010Natura Anfibia, mc2gallery MilanoMiart, Milano, Galleria Movimento2009 Arte Fiera Bologna, Galleria ForniMiart, Milano, Galleria ForniKunstart, Bolzano, Galleria GoetheGalerie Samagra, ParigiArt Verona, Galleria MovimentoArte Fiera Strasburgo, Galleria GoetheBaricchi, Greco, Sesia, Galleria Palmieri, Busto Arsizio2008Collettivo 180, Galleria Vision Quest, GenovaFlowers, Galleria Forni, MilanoArte Fiera Verona, Galleria Goethe2007Galleria Artef, ZurigoSuoni e visioni a cura di Fabrizio Boggiano,Museo d’arte moderna e contemporanea, San MarinoMiart ’07

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2006Dadada, Dada e dadaismi del contemporaneo, 1916-2006, a cura di Achille Bonito Oliva, Castello Visconteo, PaviaSuoni e visioni, a cura di Fabrizio Boggiano, Istituto Italiano di Cultura, Amburgo, GermaniaSuoni e visioni, a cura di Fabrizio Boggiano, Museo d’Arte Contemporanea, Villa Croce, GenovaSuoni e visioni, a cura di Fabrizio Boggiano, Istituto Italiano di Cultura, Copenaghen, Danimarca L’altroggetto, a cura di Piero Cavellini, Galleria Nuovi Strumenti, BresciaArte Fiera Bologna

2005Il volto della follia, a cura di Sandro Parmiggiani, Palazzo Magnani, Reggio EmiliaIl Male, esercizi di pittura crudele, a cura di Vittorio Sgarbi, Palazzina di caccia, StupinigiLa crisi della presenza, Antico Palazzo della Pretura, Castell’ArquatoEcce homo, dissertazioni sull’emozionalità, a cura di Fabrizio Boggiano, Museum in motion, Castello di S. Pietro in Cerro, PiacenzaRealismo 05, Galleria Beukers, Rotterdam, Olanda

2004Dinamiche del volto a cura di Daniela Del Moro, Galleria d’arte Contemporanea, Pavullo nel Frignano, ModenaAperture: dal secondo dopoguerra al terzo millennio, a cura di Mauro Corradini, Palazzo Oliva, Sassoferrato, AnconaXIV Quadriennale di Roma Anteprima, TorinoTrasferimento di chiamata, Galleria Goethe, BolzanoOrizzonti aperti, a cura di Giorgio Cortenova, Palazzo Forti, VeronaI Biennale Internazionale di fotografia, Brescia

2003Il corpo dell’anima, Galleria Ibiscus, RagusaDe cerca nadie es normal, Photo España, Centro Cultural CondeDuque, Madrid, SpagnaGalerie Beukers, Rotterdam, Olanda

2002Corpi dispersi, a cura di Fabrizio Boggiano, Castello di Barolo, CuneoCorpus, a cura di Silvia Pegoraro, Castelbasso, TeramoAnteprima 2002, Biennale Internazionale di Fotografia, BresciaAida Cherfan Fine Art, Beirut, Libano

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Giovanni Gaggia

La grammatica del sangue di Giovanni Gaggia

di Chiara Canali

Sangue - sua profusione

in ogni dove

del mondo,

capillarmente

in tutto l’universo,

sua stormente

ramificazione

in ogni specie…

Mario Luzi, Sulle tracce

La centralità dell’elemento sangue è significativa in tanti ambiti, dalla

religione popolare all’orizzonte magico, dalle mitologie ai tabù, dai culti

ai riti, dal diritto ai rapporti interpersonali, tanto da articolarsi in

linguaggio, secondo una rigorosa grammatica le cui regole possono

essere individuate e la cui ricerca può costituire una vera e propria

semiologia del sangue.

Nel campo artistico, è solo a partire dagli anni Settanta, nel clima

dell’Azionismo viennese e della Body Art, in corrispondenza della

riappropriazione di una ritualità legata all’antropologia del sacro e del

profano, che il sangue è divenuto strumento di rappresentazione,

materia e pittura, traccia e impronta dell’arte, e non più solamente

soggetto e ambientazione di una tematica splatter legata all’idea di

morte eroica e sacrificio religioso.

Con la mostra di fine anni Novanta Rosso vivo: mutazione,

trasfigurazione e sangue nell’arte contemporanea, Francesca Alfano

Miglietti fa il punto della situazione sull’argomento, presentando artisti

che operano nel segno del sangue, da Andres Serrano, con la sua

crocifissione immersa nel liquido ematico rosso a Marcel.Lì Antunez

Roca che nell’installazione La vida sin amor non tiene sentido presenta

pezzi anatomici di carne di maiale sommersa nella formalina.

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Il sangue, fluido caldo, interno e invisibile che circola nelle vene, e il cuore, muscolo

vitale che regala movimento ed eccitazione all’umanità, sono i cardini essenziali

della poetica dell’artista marchigiano Giovanni Gaggia che da questi principi ha

dato vita a un work in progress strutturato in diverse discipline al confine tra

l’installazione, l’azione, la performance e il residuo oggettuale.

Punto di partenza è la performance Ali Squamose dove per tre volte, secondo un

rito sacro e ancestrale, un cuore di maiale viene aperto in pubblico da un uomo con

un coltello di ceramica, viene strizzato e privato del liquido sanguinolento in

eccesso, viene asciugato lasciandone una sorta di sindone sul pavimento, e poi

viene raccolto da una donna, seduta su una seggiola bianca, e da lei ricucito con fili

di cotone color oro, argento e nero. Il luogo di sepoltura dei cuori ricuciti, un

cimitero totemico allestito nel giardino dell’artista, costituisce il perno su cui si

esibisce una piramide circolare di cuori di maiali che diventano l’inchiostro di

sangue con cui Giovanni Gaggia imprime le sue impronte rosse su carta di cotone

Fabriano. Impronte estranee, tracce vive ed intime irrorate da un sangue quale

memoria di una storia in continua evoluzione. Signum vitae, signum mortis, qui il

sangue diventa linfa vitale e rigenerante per una nuova identità, fulcro centrale da

cui dipartono i disegni a matita di Sanguinis Suavitas, come simbolo di liberazione

dal vecchio corpo e rinascita in uno nuovo. I disegni delle farfalle, realizzati

secondo una calligrafia chirurgica delicata e preziosa, si incastonano gli uni negli

altri a partire dalle impronte centrali dei cuori, lasciando affiorare, sotto la trama

delle ali, altre sembianze di vita, come le immagini di una crocifissione dai

lineamenti orientali (tratte dalle illustrazioni di una Via Crucis al Colosseo fatta

realizzare dal vescovo di Hong Kong), esempio di iconografia sacra e

universalmente riconosciuta nonostante gli elementi tipizzanti. O ancora, immagini

di chiavi, ciabatte e altri effetti personali da viaggio desunti dal Libro della Memoria

di Ustica, segni significativi di una perdita e di un ritrovamento. Nessuna memoria è

infatti più salda della memoria di sangue. Memoria e sangue sono, nell’orizzonte

simbolico, equivalenti, perché assolvono alla stessa funzione di sostenere la vita,

come pegno di immortalità e, in quanto territori contigui tra vita e morte, sono canali

privilegiati della comunicazione tra morti e vivi

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Come afferma Francesca Alfano Miglietti, riprendendo una frase di Clive Barker, “Siamo tutti libri di sangue; in un qualunque punto ci

aprano, siamo rossi, siamo geneticamente una serie di informazioni poeticamente oggettivate in libri le cui pagine parlano il colore del

sangue”.

Su questi libri, su queste carte di cotone Fabriano Giovanni Gaggia imprime la grammatica del sangue e del cuore che pur nell’estraniazione

delle forme e degli aspetti con cui si palesa, è un linguaggio universale, pronto a venir fuori come simbolo stesso della vita, come elemento

comune a tutti gli uomini, a tutte le razze, a tutti i corpi sani e malati, quale flusso di purificazione, di rinascita, di trasformazione.

Il sangue, in quanto nesso dialettico vita-morte, introduce a una dimensione sacra; la ritualità rappresenta la trascrizione sul piano simbolico

dell’esperienza di vita e di morte. Per questo motivo l’azione di Giovanni Gaggia, dopo essersi estrinsecata nei disegni di sangue, torna a

focalizzarsi in un rituale interattivo, aperto alla partecipazione del pubblico, che ha forti rimandi nella cerimonia di consacrazione della messa

cristiana. Nella performance in atto, il calice che conteneva il residuo di sangue diventa ora il calice che contiene un vino rosso dolce che

l’artista, vestito di bianco, offrirà all’astante per brindare con lui in un clima di gioia e rigenerazione, dopo avergli lavato le mani e fatto

indossare una tunica bianca, secondo i segni di purificazione e rinascita che ricordano il rito del battesimo. Con questa tappa, la grammatica

del sangue abbandona qualsiasi riferimento alla sfera intima ed emotiva del soggetto e trapassa definitivamente all’esterno, alla umanità.

Con la transustanziazione del pane e del vino (“Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”), ci si rivolge a un corpo collettivo che utilizza

mediazioni religiose e simboliche in un itinerario che conduce alla quiete del Divino..

Giovanni gaggia

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Natu

ra a

nfibia

Incontro fra arte, magia e scienza

Metamorfosi dell’umano

Jose María Sánchez Molina artista Madrileno è stato invitato a partecipare a questa mostra collettiva dal titolo “Natura Anfibia” in cui l’arte, la scienza e la filosofia si confrontano per sviscerare la natura della dimensione umana. Josè Molina in questa esposizione presenta due opere chefanno parte della serie “predatores” e il concetto del tema che ha scelto è spiegato dal titolo stesso: “metamorfosi dell’umano”. Tutta la sua ricerca artistica si erge sull’indagine dell’umano e della natura che è l’epifania del divino sulla terra , rappresentando l’unione tra ilvisibile e l’invisibile delle “cose”. Il rapporto che Josè ha con la natura è vitale, infatti in un’intervista dice: “La Natura è per me la Dea, la Realtà, la misura giusta di tutto. Purtroppo la dimentichiamo sempre di più…”Molina è un esploratore di mondi interiori. Questa viscerale necessità lo porta a studi dipsicologia ed a viaggiare in territori remoti del mondo dove ha vissuto esperienze magiche con gli sciamani del luogo. Per Josè Molina l’arte deve essere un impegno sociale e un confronto che può portare a prese di coscienza personali e collettive, l’artista dice: “… Stiamo perdendo il contatto con il nostro corpo, con la Terra, con il nostro cuore. Secondo me l’Arte deve recuperare questo spazio, quest’anima, questa sensibilità, una comunicazione più pura….”Nelle opere “predatores”si evince un’atmosfera sospesa, surreale, visioni oniriche borgesiane, in cui il sogno/incubo dà vita ad un nuovo reale: una dimensione interiore fatta di esseri in atto di trasformazione in cui l’ umano muta forma in creature dalle sembianze animalesche, quasi a denunciare la perdita della vera natura umana, o la necessità di palesare l’unità con ogni essere vivente. Così come avviene in “La metamorfosi” di Franz Kafka. Il protagonista Gregor Samsa un mattino si risveglia trasformato in uno scarafaggio. Dopo l’iniziale sgomento Gregor accetta la suanuova condizione al punto d’identificarsi con la sua nuova forma e pur mantenendo le sue facoltà intellettuali, inizia a comportarsi come un veroscarafaggio, seguendo i suoi istinti d’ insetto, provando addirittura una grande soddisfazione nel lasciarsi trascinare dall’istintività animale.

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La ricerca minuziosa di Josè Molina, tesa a dar forma ai suoi esseri bislacchi, potrebbe essere confrontata con la mirabile indaginedi Jurgis Baltrusaitis nel libro “Risvegli e prodigi” sui temi del mostruoso, del grottesco, del demoniaco, del fantastico e nell’iconografia dell'Età di Mezzo.Nell’opera di Molina dal titolo “esperma tozoidell” l’urlo di dolore della mutazione in atto è così intenso, che lo spettatore cheosserva l’opera ne sente la lacerazione interna come se una parte dell’immagine rappresentata entrasse in risonanza con l’osservatore e con qualcosa che gli appartiene, un sentire quasi ancestrale. Così come Kafka usa spesso metafore nei suoi racconti, José Molina lo fa nelle sue opere, per portare alla luce i percorsi intimi un tempo occultati.Le opere che l’artista ha scelto per rappresentare le “metamorfosi dell’umano” sono in bianco e nero e Josè lo fa avvalendosi in modo magistrale dell’uso del lapis carisma e prismacolur su cartoncino bianco Fabriano, tracciando segni su segni, passando daibianchi più pallidi a quelli più luminescenti per poi arrivare a varie tonalità di grigi ardesia, dando cosi vita a chiaroscuri intensi, suscitando atmosfere noir in cui l’effetto della luce a partire dalla sua fonte ricorda il carattere della luminosità caravaggesca, mentre la drammaticità della composizione volge lo sguardo ai disegni e alle grafiche di Francisco Goya.Mentre nell’opera “i codardi” la metamorfosi appare come maschere che l’umano tende a indossare: il vuoto assoluto delle testeche ne scaturiscono una dopo l’altra è angosciante, ma lo sguardo penetrante e tagliente lascia intravedere una profondità che vain contrasto con l’assenza di pienezza dei capi che si spaccano per far emergere altri sé.Dalla crudezza estetica delle opere di Molina sorge però, per quanto spesso inclemente, quello sguardo troppo umano che rende la lacerazione del dolore e dell’inadeguatezza uno slancio lirico e commosso verso un autotrascendimento ancora lontano dal venire alla luce.

Rosetta Gozzini

Jose’ molina

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Josè Molina nasce a Madrid nel 1965.Vive e lavora a Milano

Mostre Collettive

2010“Natura Anfibia” a cura di Claudio Composti e Massimo Rizzardinimc2gallery, Milano2009“Pencil of Paper” a cura di Alex Pergher, Museo Civico di Bressanone“Lapis Lucida” Palazzo delle Stelline Milano“Step09” mc2gallery,Milano“Per turbamenti del Potere” a cura d Bianca Tosatti, Castello dei Pio, Carpi (Mo)MiArt 09, Galleria Ca’ di Fra’ Milano2008“Karta Bianca” KGallery Legnano (MI)ArtVerona,, Verona - Galleria Ca’ di Fra’, Milano / Galleria Romberg,Roma2007“ACQUA” a cura di Paolo Donini e Daniela Del Moro, Palazzo Ducale di Pavullo (MO)2006“Ritratto-Autoritratto” Galleria CA’ di FRA’ Milano“Giorni Lunghi” Piccolagalleria, PalazzoSale Bassano del Grappa (VI)2005“L’animale che è in noi” Galleria CA’ di FRA’ Milano

Mostre Personali

2010 “Cosas Humanas” a cura di Claudio Composti, Fondazione Mudima Milano2008“Predatores” Museo Storia Naturale Milano e Acquario Civico MilanoFuori MiArt08, rassegna: “Viaggio al Termine della Notte” a cura di Vittorio Sgarbi2007“Predatores” Galleria CA’ di FRA’ Milano “Predatores” Galleria Romberg Roma2006“Predatores” Fondazione Mudima Milano2005“Morir para vivir” Hera Arte Contemporanea,Brescia2004“Morir para Vivir” Galleria Rubin Milano.

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MATTIA BOSCO

Nasce a Milano il 16 ottobre 1976.In seguito al corso di studi in filosofia si dedica alla scultura e al design. Nei suoi lavori ricerca una sintesi tra idea e forma plastica in cui nessuna delle due sia subordinata all’altra, cercando un equilibrio che non faccia della forma un mero veicolo per l’idea, di nessuna rilevanza estetica, e dell’idea un’aggiunta gratuita che salvi la forma dall’insignificanza decorativa o dal pericolo dell’estetismo.

Installazioni2007 “Le Vene del Mondo” installazione scultorea in Via Dante-Largo Cairoli, Milano.“Le vene del mondo” installazione scultorea, in Campo Santo Stefano e all’ Ingresso Giardini dell’arsenale, Venezia.“Crocifissione”, Chiesa di S. Stefano, Milano.

Mostre collettive2005“Art of Italian Design”, Museo Megaron Plus, Atene.2007“CowParade”, Milano.“Unreal Flower”, MyOwnGallery, Superstudiopiù, Milano.“Mai dire Mao – servire il Pop”, Fiera di Parma –Mercante in fiera.“L’incanto dell’illusione”, Giardino Argelati 47, Milano.2010 “Natura Anfibia:Incontro tra Arte Magia e Scienza” a cura di claudioComposti e Massimo Rizzardinimc2gallery Milano

Mattia bosco

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SCIVOLATA NEL COSMOdi Valerio Dehò

La nostalgia dell’’infinito che deve aver colto Mattia Ruggeri fin da bambino, trova dal 2004 a oggi una capacità visionaria che riesce a reggere lo stress della fotografia tradizionale, anzi in questo serrato dialogo si esalta. Accade che i due opposti, la scultura e la fotografia, o quelli che appaiono tali, si ritrovano sul piano di una proiezione verso l’illimitato, l’impossibile.Ruggeri si ritrae nelle sue immagini a occhi chiusi: dorme, sogna o fa finta e basta? Non ci è dato di saperlo con esattezza. Certo è che attorno a lui capitano strane storie. Ciliegi illuminati che sembrano in fiamme, armadi e cassepanche che rivelano un ventre così obeso da contenere l’universo, alberi che sembrano cattedrali e stelle, tante stelle: il repertorio delle meraviglie potrebbe fermarsi qui, ma va avanti. C’è perfino un Ufficio del tempo , per chi ha confidenza con la burocrazia. Ma è chiaro che la nostalgia di cui sopra, si nutre di paradossi e di qualche alchimia.In effetti, sembra di entrare in un manuale di astrologia scritto da un cosmologo timido o in una interpretazione alla Phil Dick del “Libro dei sogni” di Artemidoro.

Mattia ruggeri

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E’ buio eppure ci si vede. Però fa bene guardare questo inventario di corpi luminosi che non sempre risplendono, fa bene perché ci si sente come Alice attraverso lo specchio: le Pendu qualcosa ci suggerisce, una vita tarocca, un fallo, un’infamia, un errore (sempre giovanile) oppure un cieco destino che si accanisce contro gli innocenti. Il mondo va alla rovescia da queste parti e anche se sappiamo che nel Cosmo le direzioni non contano mica, ci troviamo in qualche modo a fare i conti non solo con dei prodigi, ma anche con delle inversioni di senso che neppure il più ardito dei limerick potrebbe riuscire a mettere in rima. Su, giù, destra e sinistra si sono cancellati, agitiamo un joystick impazzito che non risponde ai nostri comandi.Mattia Ruggeri, fotografo e scultore come Brancusi, è abile a mettere in scena il proprio immaginario come se fosse il nostro. Capisce anche che l’inconscio è barocco e che non può fare a meno degli eccessi, perché è di questi che si nutre. Oltretutto accompagna le sue foto, tutte realizzate con il banco ottico, con dei testi in cui la sua grafia si aggiunge al chaos cosmologico, il che è tutto dire. Scrive così davvero o fa finta? Anche questa è una domanda senza senso perché oltre lo specchio tutto è possibile, perché nulla ha una spiegazione. Farsi delle domande vuol dire solo aumentare il numero di risposte in attesa di archiviazione. E Ruggeri ha l’aria solenne e compassata di chi ad una domanda risponde con un'altra domanda, ma nello stesso momento rassicura che una risposta se non sarà certa, sarà certamente probabile: di questo bisogna accontentarsi. Ma non c’è Kafka nascosto sotto le sue palpebre chiuse. Forse qualche stravagario scritto da un poeta in vacanza oppure le nuvole che si riflettono in un cielo metallico e stellare. C’è il flusso degli astri e ci sono le maree del tempo, le bugie della bellezza e le lusinghe della ragione. Non è poco.Mattia Ruggeri quando guarda pensa e quando chiude gli occhi lo fa davvero, per riposarsi dai sogni.

Mattia ruggeri

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Patrizia Zelano

In carne e ossa

Nella prassi intellettuale contemporanea si tende spesso a considerare l'arte come unevento umano intrecciato con le più svariate forme della comunicazione. Soprattuttooggi, in un'epoca nella quale ogni azione è correlata e condizionata dall'informazione,anche l'arte viene spesso vissuta come messaggio fra e per gli uomini.Tuttavia, alla luce di queste considerazioni, trovo ancora più attuale e interessante ilpensiero di Heidegger per il quale l'arte, invece, è unicamente linguaggio e nulla ha ache fare con la comunicazione: essa è, pertanto, considerata Verità manifestatadall'Essere. Ma, come ben sappiamo, l'Essere può anche non-Essere e, quindi, la Veritànon-Verità. É all'interno di questa ambivalenza ontologica che si distende la riflessionesull'uomo il quale, spinto sempre più a vivere unicamente per apparire, finisce perperdere ogni controllo sulla realtà.In un'epoca nella quale ci si trasforma facilmente in soggetti protagonisti del nullasfuma ogni riflessione sull'esistenza permettendo all'Essere di diventare sempre piùlontano e inaccessibile. Ma non è tutto, poiché non ci si sofferma più neppure sul fattoche ogni manifestazione è, contemporaneamente, nascondimento e ogni illuminazioneè, nello stesso tempo, anche oscuramento.Ma l'arte è sorpresa, fragore improvviso in un cielo grigio e tenebroso: appare così,inaspettatamente, questo straordinario lavoro di Patrizia Zelano la quale,improvvisamente, riconduce alle riflessioni appena enunciate.In carne e ossa, infatti, non è soltanto una stilisticamente pregevole rappresentazionedi un aspetto oscuro, poco conosciuto, del nostro mondo; esso travalica anchel'interessante indagine messa in atto da un reportage nel quale viene svelato un"segreto" attraverso il magico linguaggio delle immagini. Ma potremmo anche andareoltre, e sarebbe già molto, analizzando la qualità tecnica e rappresentativa di un lavorofotografico all'interno del quale, ogni scatto riporta alla memoria l'emozione visiva diRembrandt e, per giungere ai giorni di nostri, di Bacon.

Patrizia zelano

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Tuttavia quello che vorrei ulteriormente sottolineare è quel raffinato linguaggio interiore che trasforma questo lavoroin una esatta analisi degli opposti tipica del pensiero di Heidegger e, se vogliamo addentrarci nelle sfumature di unaltro filosofo, anche in quello di Sartre.Sotto questo aspetto, infatti, il lavoro di Patrizia Zelano assume il carattere di forza interiore poiché, mostrando questiincredibili accumuli di organi e ossa, riesce a trasportare e ad affondare ogni riflessione sulla disgregazione fisica epsicologica dell'esistenza. Ogni parte di animale sottolinea la moltitudine degli stessi ma, contemporaneamente, la loroinevitabile dissolvenza. Analogamente possiamo trasferire questa riflessione sull'uomo il quale, con la propriamolteplicità di pensieri e azioni, spesso ripiegate egoisticamente su se stesse, contribuisce alla disgregazione dell'altroabbandonandolo in un vuoto evanescente.Messaggio forte, pertanto, provocatorio, attraverso il quale l'autrice strappa dalla propria interiorità la necessità diurlare al mondo il proprio sfogo soggettivo che si tramuta, a questo punto, in un pregnante avvertimento oggettivo.Osservare queste immagini filtrando dalle stesse non tanto l'aspetto reale, bensì quello interiore legato alla caducitàdell'esistenza, traspone così ogni nostra riflessione all'interno di quel mondo nel quale Essere e Nulla giocano la stessapartita.

Fabrizio Boggiano

PATRIZIA ZELANONasce a Brescia nel 1964, vive e lavora a Verucchio (Rimini).

Si dedica alla fotografia dal 2001. Alla base della sua formazione culturale vi sono studi etnoarcheologici; negli anni accademici

2005-06 e 2006-07 frequenta il Corso di Fotografia all'Accademia di Belle Arti di Ravenna tenuto dal Maestro Guido Guidi dal

quale riceve un insegnamento fondamentale per la sua ricerca artistica.L' arte e la pittura trovano nelle sue fotografie una

sublimazione elevando il rappresentato da puramente edonistico a marcatamente ontologico.

Dopo aver realizzato pubblicazioni, mostre personali e collettive, in Italia ed all'estero, consegue riconoscimenti e premi in

manifestazioni nazionali: Primo Premio al SI FEST 2006 (Savignano sul Rubicone), Secondo Premio Portfolio 2006 (Prato),

Primo Premio al Festival Internazionale di Fotografia (Napoli), 2009 Primo Premio SI FEST(Savignano sul Rubicone), finalista

Premio Arte Mondadori 2009.

Patrizia zelano

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Onirica essenza

In un’affermazione volta a delineare il ruolo della semiologia, de Saussure parla di vita dei segni, della loro “esistenza” nel contesto sociale. Preconizzandone la fondazione come naturale estensione della linguistica, Saussure pone l’accento sulla necessità di tener conto di tutti gli altri sistemi di segni non verbali, iconici, gestuali e quelli legati al rito. Un esplicito riferimento alla ritualità che vive nel rapporto organico dell’uomo con la natura. L’uomo, struttura complessa, varia e diversa. L’uomo è natura, materia, organismo bio-chimico, apparato psichico, ma anche linguaggio simbolico, coscienza morale, mito, religione, arte e scienza, storicità e socialità. Nella dinamica ricerca artistica di Roberto Kusterle il mondo naturale, e il suo rapporto con l’uomo, assume un valore quasi mistico. Non più una rappresentazione oggettiva dunque, ma una vera e propria presentazione della natura attraverso quelle strutture e forme che sconfinano nell’universo onirico. Kusterle rinuncia a servire la realtà per attingere a superiori fonti di ispirazione, una ricerca dello spirituale, dell’assoluto, del delirio della forma entro il delirio delle cose. Ogni immagine racconta di un momento irripetibile, estraneo a qualsiasi riferimento spazio-temporale, atto a condurre lo sguardo oltre i confini del sensibile. Il significato di queste opere appare spesso inafferabile o, meglio, inaccessibile come il mondo che descrive, fatto di possibile e impossibile, conscio e inconscio

. L’artista varca le soglie dei due regni descrivendone le caratteristiche con gli occhi scrupolosi di chi vuole immortalare il sogno, che è l’alba dell’eternità. Un’eternità che Roberto Kusterle materializza tramite archetipi lontani, originari di spiritualità arcaiche. Un’eternità percepita attraverso l’immaginazione, fonte vitale di cui l’uomo non potrà mai liberarsi evissuta attraverso la ritualizzazione dei miti e la trasfigurazione del tempo profano in tempo sacro. Con la sua sensibilità l’artista sogna una realtà altra, deformata, oppure una nuova forma di realtà scandita dalla completa

decontestualizzazione del mondo comunemente percepito.

Caterina Corni Aprile 2010

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PATRIZIA ZELANO

MOSTRE PERSONALI - PERSONAL EXHIBITIONS2009 "EVANESCENZE" Klaus Steinmetz Arte Contemporanea,San Josè Costa Rica

2008 "THREE SOULS" Arevalo Arte, Miami (U.S.A)2008 "EVANESCENZE" Galleria Ventitreesima, Cattolica (Rimini) Italy2007 "IL DIAVOLO FA LE PENTOLE". Palazzo dell'Arengo Rimini Italy2007 "H. A." spazio Assenzio Rimini Italy2007 "H. A" spazio Wadada Rimini Italy2005 "CASA ZANNI" Spazio Zanni Verucchio Rimini Italy2004 "HOMO ARTISTICUS Galleria dell'Immagine Rimini Italy

MOSTRE COLLETTIVE - COLLECTIVE EXHIBITIONS2010 "Natura Anfibia" a cura di Claudio Composti e Massimo Rizzardini , mc2gallery Milano2009 Palazzo della Permanente Milano Italy2009 "Vedere" -Centrale Fies- Rovereto Immagini Rovereto Italy

2008 Arevalo Arte Miami (U.S.A)

2008 Artisti e luoghi della creatività/2 Fiera "Contemporanea" Forlì Italy2008 Artisti della Carpegna Palazzo dei Principi di Carpegna (PU) Italy2008 Labirinto "Manifesta" Rimini Italy2007 " Luci dell'Islam" Ambassade de France en Italie Service de Cooperation et d'Adction Culturelle"- Bologna Italy2007 "Luci dell'Islam" SI FEST -Savignano sul Rubicone (Fc) Italy2007 "Luci dell'Islam" Archivio Parisio -Napoli Italy2007 "Luci dell'Islam" - Prato Italy2005 "Dedicata" - Casa delle Donne di Rimini Italy2002 "Casalinghe" "Fotografia Sul Confine“ -Montefiore Conca (RN)- ItalyPREMI -- AWARDS2009 Finalista Premio Arte Mondadori2009 Primo Premio SI FEST (Savignano sul Rubicone)2007 Primo Premio Festival di Fotografia di Napoli. Archivio Fotografico Parisio2006 Secondo Premio Portfolio 2006 -Gran Premio Epson Italia- premio KIWANIS" Prato. 2006 Primo premio SI FEST Savignano sul Rubicone (FC)

Patrizia zelano

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Roberto Kusterle è nato nel 1948 a Gorizia.Dagli anni Settanta lavora nel campo della arti visive, dedicandosi sia alla pittura sia alle installazioni. Dal 1988 inizia ad interessarsi alla fotografia che è diventato il suo principale mezzo espressivo. Kusterle ha anche realizzato alcuni video –performance.Vive e lavora a Gorizia.

Mostre personali selezionate/ selected one man show

1999Metamorphisme, Teatro Miela, TriesteFotografie, Artestudio Clocchiatti, UdineTransustanziazioni, Pilonova galerija, Aidussina2000Phoptografien, Arbeitsgerichtsverein, MarburgIpogeios, Villa Manin di Passariano, UdineFotografie, Teatro Comunale, CormònsFotografie, Studio O, Treviglio2001La Sacra Tovaglia Fotoinstallazione, Studio Tommaseo, Trieste2002Nella natura in posa, Olim, Bergamo2003Da un luogo lontano, Lattuada Studio, Il Diaframma, MilanoReliquie animali, Ironici inferni , Spazio Antonino Paraggi, TrevisoUna fisiognomica altra, Fotogalerie des Rathauses, GrazRoberto Kusterele. Riti del corpo, Galleria regionale d'arte contemporanea Luigi Spazzapan, Gradisca d'IsonzoRiti del corpo, Circolo fotografico Tina Modotti, BolzanoRiti del corpo, Sala Fenice, Trieste2005Le ali di questo mondo, ASAV, palazzo Comunale, Sala Espositiva Virgilio Carbonari Seriate, BergamoFuori dal tempo, Mestna Galerija, Lubiana(in) contemporanea, Teatro Verdi, GoriziaFuori dal tempo, Pilonova galerija, Aidussina (Slovenia)2006Fuori dal tempo, Lattuada Studio Arte contemporanea, MilanoFra Mito e Fiaba, Galleria Luxuryline, ComoLo specchio del corpo, Casa Morassi, GoriziaPremio per la migliore mostra fotografica in Slovenia al Mesecfotografije, Lubiana

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2007AnaKronos, Palazzo Ghiffa, Ghiffa2008Lo specchio del corpo,Galerija Tir, Nova Gorica, Slovenia2009 “ANA-XRONOS” a cura di Caterina Corni e Claudio Composti, mc2gallery contemporary art, MilanoUna mutazione silente, Palazzo La Castella, Motta di Livenza (VI)Festival di Fotografia: “Vedere Oltre” – catalogo con testo di F.A MigliettiA silent mutation, Galerija Sodobne Umetnosti, Celje SloveniaA silent mutation, Wook Lattuada, New York, USA

Mostre Collettive Selezionate/ Selected group show

1990Fotografi per un'esposizione 2, Galleria Sagittaria, Pordenone19915 x Alpe Adria, Casa Veneta, Muggia1994Presenze, Sala mostre cinema Vittoria, Gorizia1995Galleria Exit, GoriziaFoto Padova, PadovaCinque fotografi giuliani, Solighetto1996Galleria Il Diafìamma, MilanoL'abito come metafora, Istituto Italiano di Cultura, Amburgo1997Friulimmagina, Palazzo Orgnani Martina, ButtrioArte in Contemporanea, Centro Polifunzionale, LatisanaHic et Nunc, Museo d'artista ex convento dei servi di Maria, ValvasoneScambi di coppia, Ex essicatoio Bozzoli, San Vito al TagliamentoProiettili d'autore, Udine1998Opere fotografiche, Artestudio Clocchiatti, UdineContemporanea -Sodobna umetnost 98, Avventure d'arte lungo il confine, Monfalcone2000Identità differente, Consorzio Cooperative Culturali Friuli Venezia Giulia, Cormòns

Roberto kusterle

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2001L'Arte salverà il mondo?, Centro Polifunzionale, LatisanaIndagine sul presente, Fotomesiac, Bratislava, Museo d'arte contemporanea di Zilina, SlovacchiaPremio Federico Vender, ArcoFotoincontro, Kulturni Dom, Gorizia2002Cogito ergo sum, Marghera Fotografia, Marghera - VeneziaCogito ergo sum, Le Barche, Mestre2003Immagini d'autore. Espressioni della contemporaneità, Villa De Brandis, San Giovanni al NatisoneKunstatelier Galerie Kontraste, HornPresenze fotografiche, Galleria Teardo, PordenoneMogliano fotografia, 3° edizione, Mogliano Veneto2004Il profumo del corpo, Marghera fotografia, Marghera2005Galerie Altes Rathaus, Inzlingen (Germania)Perdere la testa, Lattuada Studio Arte contemporanea, Milano2006In hoc signo, il tesoro delle croci, PordenoneFotografijafotografia icit, Sempeter, SloveniaCastrumfoto, Pilonova Galerija, Aidovscina, Slovenia2008Lo zoo dell’Anima, Galerie ArtMbassy, Berlina cura di Caterina Corni2009 “Foto Festival” Wiesbaden, Germany“Ana Kronos” mc2gallery Milanoa cura di Caterina Corni e Claudio Composti“Italian Photography performed” Biennale Foto Festival, Wiesbaden (Germany)“Una Mutazione silente” Festival Vedere Oltre, Centro Arti Visive La Castella, Motta di Livenza – (TV) –catalogo Punto Marte Editore Testo a cura di Franesca Alfano Miglietti2010 “Natura Anfibia: Incontro tra Arte Magia Scienza” a cura di Claudio Composti e Massimo Rizzardinimc2gallery Milano (in collaborazione con Università Statale)

Roberto kusterle

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Natura anfibiaIncontro fra arte, magia e scienza

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