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Natalie Rogers LA CONNESSIONE CREATIVA Prefazione di Annica Cerino ARMANDO EDITORE

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Natalie Rogers

LA CONNESSIONE CREATIVA

Prefazione di Annica Cerino

ARMANDO EDITORE

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Sommario

Prefazione all’edizione italiana 7AnnicA cerino

Presentazione 22

Capitolo primoIl cammino verso l’interezza. 24L’arte terapia espressiva centrata sulla persona

Capitolo secondoAgevolare la creatività 39

Capitolo terzoIniziare l’esplorazione 63

Capitolo quartoLa Connessione Creativa – parte I: movimento e scrittura 83

Capitolo quintoLa Connessione Creativa – parte II: arte, musica 122e meditazione

Capitolo sestoUsare le arti espressive con i clienti 159

Capitolo settimoUlteriori applicazioni delle arti espressive 214

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Capitolo ottavoAccettare l’ombra, abbracciare la luce 253

Capitolo nonoRintracciare la spiritualità attraverso l’arte 293

Capitolo decimoPonti interculturali 323

Capitolo undicesimoCreatività e consapevolezza per il futuro 342

Bibliografia 377

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Prefazione all’edizione italianaAnnicA cerino1

Il processo creativo si rivela terapeutico così come la terapia è un processo creativo: su questo assunto, si fonda The Creative Con-nection.

La Connessione Creativa, alla quale si riferisce il titolo dell’ope-ra, va intesa come l’integrazione tra le arti espressive, essa ha il fine di portare nelle relazioni e nel mondo quella stessa integrazione ed equilibrio personale ad esso necessari.

La Connessione Creativa, che include le arti figurative, il corpo, il movimento, la scrittura, la musica, la meditazione e l’immagina-zione, ci conduce, inoltre, ad illuminare spazi ancora in ombra di noi stessi.

Natalie Rogers, d’altronde, mette subito in chiaro che le arti, che saranno al centro della trattazione, non hanno una funzione pura-mente ludica, ricreativa, ma che esse, piuttosto, si assumono l’onere di restituire l’equilibrio e l’integrazione in sé stessi e nelle relazioni con gli altri.

Natalie Rogers ci guida, attraverso il suo modo spontaneo e di-retto, ad un’espansione della nostra consapevolezza, la quale non rappresenta il fine ultimo del processo, ma è solo una tappa obbli-gata che favorisce l’unione di tutte le parti di cui siamo fatti. A que-sta connessione che si muove, in modo invisibile, dentro di noi, ne corrisponde un’altra che procede verso il mondo, «pertanto, più il

1 Direttrice del Centro Sarvas, centro di formazione di Arte terapia e di Counseling ad indirizzo Umanistico corporeo. Vive a Bologna.

A Riccardo

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nostro viaggio procederà verso l’interno, alla scoperta della nostra essenza o del nostro personale senso di integrità, più scopriremo la nostra forte connessione con il mondo esterno. L’interno e l’esterno convergono e si fanno tutt’uno».

È possibile ricostruire un intero sistema filosofico sul quale si ba-sano le pratiche descritte nell’opera e non possono sfuggire i riferi-menti teorici sulla modalità di interazione con il cliente, che sono pro-pri della terapia centrata sulla persona del noto psicologo statunitense Carl Rogers, padre di Natalie Rogers. Sulla base delle teorie paterne vengono a innestarsi le conoscenze e le teorie di Carl Gustav Jung.

È la madre, Helen Elliott Rogers, artista di talento, invece, la fonte del suo interesse per le arti.

L’interesse per il corpo senza dubbio risente in parte dell’influenza dei personaggi appena citati, più o meno vicini a Natalie Rogers, ma è possibile cogliere delle analogie soprattutto con l’idea di corpo del filo-sofo Edmund Husserl, il padre della fenomenologia. Il quale considera il corpo vissuto il primo e più importante elemento mezzo di conoscen-za di sé e del mondo circostante. Ma di questo ne parlerò più avanti.

Nonostante i riferimenti al passato, tuttavia, l’opera è anche pro-iettata verso il nuovo, verso la sperimentazione di strade mai battute.

Al di là dei riferimenti teorici, la prima maestra di Natalie Ro-gers è sempre e comunque l’esperienza. È costante nello scritto il richiamo alla pratica, al lavoro in vari contesti, prima ancora che a qualunque teorizzazione, e se la terapeuta statunitense può garantire sull’efficacia del suo metodo, è perché lei stessa per prima lo spe-rimentò largamente, integrando le arti all’interno del suo percorso professionale, portando a un’evoluzione il metodo elaborato dal pa-dre, con il quale cominciò a lavorare all’inizio degli anni Settanta.

In The Creative Connection, quindi, non v’è nulla che l’autrice non abbia vissuto in maniera diretta e attentamente vagliato in prima persona. D’altronde la sua lunga carriera, che la vide tenere corsi in tutto il mondo, dall’America, all’Europa, all’Asia, costituisce la prova più evidente del valore del suo lavoro.

Questo essere un tutt’uno della donna con il suo operato pro-fessionale, costituisce un tratto caratteristico di Natalie Rogers, che

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emerge con chiarezza dal suo libro, lasciando intravedere i tratti di una personalità dinamica e fuori dal comune.

Il metodo di Natalie Rogers, pioneristico per l’uso che ne fa, è stato fatto proprio dai professionisti del Centro Sarvas, i quali hanno potuto sperimentare direttamente, con la pratica, l’efficacia del me-todo centrato sulla persona integrato con le arti espressive, toccan-do con mano i risultati. E d’altronde lo scopo dell’autrice è proprio quello di mettere la sua esperienza al servizio degli altri, soprattutto dei professionisti dell’aiuto.

L’uomo, il mondo, le arti

Per capire il senso dell’integrazione tra le arti, della Connessione Creativa appunto, è necessario fare un passo indietro e considerare il concetto stesso di “arte” che emerge dall’opera di Natalie Rogers.

Che le diverse arti, come la danza, la musica, le arti figurative e la narrazione, siano parte di un unico grande processo, nei tempi antichi, era cosa nota; l’uomo moderno, tuttavia, come è possibile constatare con facilità anche solo guardando al panorama artistico contemporaneo, ha perso consapevolezza non soltanto circa la con-nessione tra le arti, ma anche e soprattutto nei confronti della loro funzione, che è quella di rendere le persone pienamente funzionanti e creativamente umane.

Vi è quindi una relazione ancestrale tra l’uomo, il mondo e le arti, laddove queste ultime rappresentano il termine medio che consente un proficuo collegamento tra gli altri due elementi.

È possibile affermare, nell’ottica del lavoro di Natalie Rogers, che alla perdita di connessione tra le arti corrisponda anche una per-dita di connessione tra l’uomo e l’uomo, nonché tra l’uomo e la na-tura; danza, canto e arti figurative hanno la capacità di energizzare il corpo, evocare sensazioni e creare legami tra i membri di una comu-nità. Se si guarda a ciascuna arte come a qualcosa di slegato rispetto alle altre l’effetto cambia, il processo si interrompe e vengono meno le funzioni principali che Natalie Rogers attribuisce alle arti stesse.

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Questo avviene perché la Connessione Creativa prevede che entrino in gioco tutti i sensi e, con essi, l’intero organismo; come è facile immaginare, invece, concentrarsi su una singola arte può isolare e amplificare un unico senso, rendendolo prevalente rispetto agli altri.

L’integrazione tra le arti, al contrario, chiama in causa il corpo nella sua interezza.

Natalie Rogers specifica ulteriormente il proprio pensiero, af-fermando che il suo scopo è quello di ispirare il lettore dell’ope-ra a riscoprire la propria innata abilità creativa con piena libertà di espressione di sé. Proprio questa riscoperta, che diventa poi libera espressione, è per l’autrice la chiave della guarigione e della trasfor-mazione.

Proseguendo, come si può dedurre da quanto fin qui detto e come esplicitato dall’autrice, la creatività umana è qualcosa di innato, che ciascuno possiede dentro di sé, per questa ragione lo sviluppo delle capacità creative coincide con una vera e propria ri-scoperta, quasi fosse un ritorno alla profondità originaria di sé.

Quello che suggeriscono le parole di Natalie Rogers, è proprio un cammino di ritorno dentro di sé, che è al contempo un riportare alla luce qualcosa di talmente antico da essere stato dimenticato. Solo riscoprendo questa origine, così intima eppure tanto sconosciuta, si può dare inizio alla guarigione e alla trasformazione.

Ritorna, dunque, il richiamo a una dimensione ancestrale, la stes-sa nella quale le arti erano ancora integrate tra di loro.

Va evidenziato anche il fatto che per l’autrice tale processo di ritorno in sé deve avvenire in piena libertà, di qui la dimensione del piacere, che allevia la fatica della ricerca dentro sé stessi.

Il primato della sperimentazione

Come auspica l’autrice, la sperimentazione personale, l’auto-esplorazione attraverso questo metodo può costituire il punto di par-tenza per una futura attività professionale.

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Dimensione personale e professionale, nel pensiero di Natalie Rogers, hanno confini sfumati, in quanto lo stesso metodo che fun-ziona se sperimentato su di sé, può essere impiegato in ambito pro-fessionale, anzi ciò è preferibile, nella misura in cui il professionista che abbia avuto esperienza diretta dell’espressione del sé avrà di certo una consapevolezza maggiore della materia.

D’altronde The Creative Connection intende essere una guida non soltanto per figure professionali, ma per chiunque abbia l’in-tenzione di preparare il terreno per l’esplorazione del sé e per la conseguente espressione.

L’autrice mette in evidenza che tale processo va sperimentato per essere compreso, spiegarlo a parole risulterebbe infatti del tutto in-sufficiente.

La stessa Natalie Rogers si mette in gioco in prima persona, di-mostrando cosa in effetti voglia dire assottigliare i confini tra la don-na e la professionista, tra il proprio sé e il lavoro che si svolge.

In riferimento all’integrazione tra arte e psicologia, Natalie Ro-gers, come persona e come terapista, riassume in sé e porta all’e-voluzione quanto le hanno trasmesso la madre e il padre, facendo tesoro sia dell’amore per le arti ereditato dalla prima, sia delle grandi innovazioni in campo psicoterapeutico apportate dal secondo.

È l’esperienza a insegnarle come questi due elementi, l’arte e la psicologia, possano essere combinati insieme per dar vita a un me-todo nuovo ed efficace.

I maestri di Natalie Rogers, da questo punto di vista, furono i bam-bini, per i quali le arti rappresentano un modo del tutto naturale di esprimersi. Più dell’adulto, il bambino sembra essere vicino a quel sé originario che con il tempo si impara a seppellire sotto la più rigida ragione e che solo le arti riescono a rievocare nella sua purezza.

Per arrivare a queste conclusioni, fu probabilmente utile all’au-trice il lavoro svolto presso una scuola per bambini con disturbi emotivi, lavoro dopo il quale Natalie Rogers trovò impiego nelle cliniche psichiatriche, continuando tuttavia la pratica privata.

Durante questi anni di lavoro con adulti e bambini di ogni tipo, ebbe modo di constatare l’efficacia delle arti nel processo di

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espressione dei sentimenti e questo la portò a perfezionare l’ap-proccio centrato sulla persona sviluppato dal padre, includendovi le arti espressive.

Sono anni di intense osservazioni quelli che conducono l’autrice a elaborare un metodo innovativo e pienamente funzionante, anni che si concludono con un programma intensivo di training di arti espressive incentrato sulla persona. Da questo programma, Natalie Rogers esce arricchita e, soprattutto, ancor più convinta dell’effica-cia del suo metodo, dal momento che ha potuto assistere direttamen-te all’evoluzione delle persone coinvolte.

Non si può dunque utilizzare il metodo rogersiano senza sentir-lo pienamente proprio, senza che lo si comprenda a fondo a livel-lo emotivo e sensoriale prima che razionale. Le parole dell’autrice sono anche una sorta di monito, capace di dissuadere chi non sia disposto a dedicarsi anima e corpo al duro lavoro di scoperta del sé, prima che di professionista. La prima tappa di questo cammino den-tro sé stessi che Natalie Rogers delinea è l’auto-sperimentazione.

L’uso terapeutico delle arti non implica certo l’essere artisti, in quanto il fine non è affatto la creazione di un’opera d’arte, il fine è l’espressione in sé, il processo.

La dimensione giocosa può facilitare l’attenzione sul piacere di fare arte, di produrre qualcosa e di non pensare al risultato del pro-dotto finale, restituendo, in questo modo, tutto il “piacere infantile” della creazione.

L’osservazione delle modalità di espressione del cliente, inoltre, può servire al terapeuta per comprendere in maniera più diretta il suo mondo; pur riconoscendo l’importanza dell’espressione verba-le, sulla quale la psicoterapia si è da sempre basata, Natalie Rogers ammette che il linguaggio non verbale può essere di gran lunga più illuminante, perché più diretto.

Ci tengo a riportare una bella metafora, che l’autrice porta avanti a intermittenza per molte pagine della sua opera: in ciascuno di noi c’è un giardino segreto, dove il nostro vero sé abita. Qualunque cosa nasca in questo luogo può essere usata nel processo creativo. Si trat-ta di un’immagine significativa, che ben riassume l’idea che Natalie

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Rogers ha del mondo interiore dell’individuo e del suo rapporto con l’esterno.

Di certo Natalie Rogers trae dal padre il substrato filosofico del suo metodo, l’attenzione centrata sulla persona, la stessa divisione tra fattori interni ed esterni nella definizione di un ambiente favore-vole alla creatività, ma non si può certamente ricondurre interamen-te il suo approccio all’orbita paterna.

In un certo senso, con l’introduzione delle arti, Natalie Rogers porta alle estreme conseguenze il metodo introdotto dal padre, indi-viduando il fattore capace di riconnettere concretamente, mediante l’azione, uomo e mondo.

Non a caso, alle due condizioni esterne per favorire la creatività individuate da Carl Rogers (sicurezza psicologica e libertà psicolo-gica), Natalie ne aggiunge una terza: offrire esperienze stimolanti e che favoriscano la sperimentazione.

Rispetto ai primi due, questo terzo fattore si caratterizza per la maggiore dinamicità, presuppone un ruolo più che attivo del clien-te. La dimensione dell’esperienza pratica, sembra mancare nelle condizioni individuate da Carl Rogers, laddove, invece, Natalie sembra indicare la via della sperimentazione continua, dell’abban-dono delle strade sicure, delle regole prestabilite, per poter dare maggiore possibilità al proprio sé di esprimersi mediante il corpo e i materiali artistici.

Natalie Rogers pare essere consapevole del fatto che solo sgom-brando il campo dal rigore delle norme imposte dalla società e dai muri che ciascuno innalza nella propria mente, è possibile creare lo spazio necessario perché il vero sé emerga.

Natalie Rogers suggerisce l’efficacia solo parziale della comu-nicazione verbale: questo sarà un tema ricorrente nello scritto, che invita piuttosto ad affidarsi a quei linguaggi non verbali che sembra occupino un posto sempre più marginale nella società odierna.

Le arti, possono giovare anche alla comprensione dei sentimenti reconditi e dei pensieri più nascosti, ma soprattutto possono aiutare ad elaborare momenti di crisi, donando all’individuo il necessario equilibrio per relazionarsi efficacemente con il mondo circostante.

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Natalie Rogers parte dall’individuo per arrivare alla realtà che lo circonda, con tutti i suoi problemi. Questo modo di procedere trova un riscontro nello schema riassuntivo che l’autrice allega al primo capitolo, il quale mostra visivamente la concezione della realtà che sta alla base dello scritto: cerchi concentrici che dal sé giungono all’universo.

Convertire gli ostacoli in possibilità

Un altro episodio che desidero riportare riguarda proprio la stesu-ra di questo libro, ed è un chiaro esempio di Connessione Creativa.

Nel periodo in cui l’autrice stava lavorando al libro, i carpentie-ri ascoltavano musica ad alto volume ristrutturando la sua cucina, adiacente alla camera nella quale lei scriveva. Si trattava ovviamen-te di una situazione incompatibile con il lavoro di scrittura che l’au-trice stava portando avanti, pertanto questa casualità, apparentemen-te sfortunata, la costrinse a spostarsi nello studio d’arte.

Nella nuova postazione, ebbe però modo di alternare i momenti di scrittura all’ascolto della musica.

«I moved from using my left brain to my right brain, bringing richness and balance into my writing. I needed to practice what I was writing!» afferma l’autrice, sostenendo di nuovo l’importan-za della pratica. In sostanza, stava vivendo quello che descriveva nel libro.

Come ella stessa racconta, l’alternanza tra la musica e la scrittura generò a sua volta un’alternanza tra l’uso della parte sinistra e quello della parte destra del cervello, tra la parte creativa e quella razionale della mente. Questo innescò un circolo virtuoso che permise all’au-trice non solo di portare a termine il suo lavoro, ma di arricchirlo e renderlo più equilibrato.

Una casualità, quindi, le permette di uscire dal blocco creativo e addirittura di superare le aspettative iniziali: l’atteggiamento assunto dall’autrice non può che essere una lezione di vita, che ben si sposa con l’intera sua trattazione.

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Mantenendo la mente aperta al cambiamento e alla possibilità, Natalie Rogers riesce a convertire una situazione negativa in un mo-mento di crescita e sperimentazione; avrebbe potuto protestare con i carpentieri, rimandare la ristrutturazione o addirittura sospendere il lavoro, ma ciascuna di queste ipotesi avrebbe implicato una ri-nuncia, se non addirittura una presa di posizione “contro il mondo”. L’autrice, invece, sembra accogliere quanto accade, convertendolo a proprio vantaggio. Non c’è conflitto con l’esterno; anche laddove si poteva vedere un ostacolo, lei vede potenzialità.

Prestando attenzione a quanto finora detto circa la visione del mondo dell’autrice, ci si rende conto che è fortemente presente l’i-dea che ogni cosa sia collegata all’altra e che l’isolamento di un singolo aspetto della vita non può che generare squilibrio. E diventa più chiaro anche il senso dell’affermazione iniziale della Prefazione, «I am presenting a phylosophy of psycotherapy and creativity», dal momento che è evidente che la teoria della Connessione Creativa nasce su un terreno filosofico ben preciso, in altri termini presuppo-ne già una visione del mondo ben delineata.

Se si pensa, ad esempio, a una visione della realtà come quella suggerita dal pensiero di René Descartes, uno dei più noti filosofi dell’era moderna, si comprende immediatamente che la teoria roger-siana si colloca in una dimensione diametralmente opposta.

Il filosofo francese concepì la realtà come bipartita: da una parte vi era la materia, dall’altra il pensiero. Creò in questo modo una delle fratture più significative che la filosofia occidentale abbia co-nosciuto, al punto che lo psicologo e nauroscienziato portoghese Antonio Damasio intitolò significativamente il suo libro del 1995 sul rapporto tra ragione ed emozioni L’errore di Cartesio.

Quando Natalie Rogers parla invece di espressione dei pensieri e delle emozioni attraverso l’arte, attraverso la materia e il corpo, sug-gerisce una continuità tra la realtà psichica e il mondo fisico. Non c’è frattura per Natalie Rogers, e forse buona parte degli sforzi che condu-cono alla guarigione devono essere fatti per convincersi che tale frattu-ra effettivamente non esista, che il proprio sé può farsi largo nella realtà senza trovare ostacoli che non possano essere infranti in qualche modo.

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Superata l’illusione della separazione tra interno ed esterno, va ristabilita la connessione con il mondo, con gli altri. E anche qui l’autrice assume una posizione filosofica ben delineata.

L’uomo non è una monade senza porte né finestre, per far riferi-mento a Leibniz, un altro grande filosofo moderno, al contrario egli può e deve entrare in connessione con gli altri.

La posizione di Natalie Rogers è incompatibile anche con teorie filosofiche come quelle di Jean-Paul Sartre, ad esempio, per spo-starci sul terreno esistenzialista, a noi più vicino dal punto di vista cronologico. L’uomo non è destinato alla solitudine perché ha la possibilità di comunicare con gli altri, di mostrare il vero se stesso dopo un lavoro di immersione nella propria psiche. Ne consegue che la visione “politico-sociale” di Natalie Rogers risulta decisamente ottimistica, dal momento che ripone un’immensa fiducia nella pos-sibilità dell’essere umano di rapportarsi con l’altro.

Al di là delle critiche, più o meno velate, alla società contem-poranea, che inibisce nell’adulto la capacità di esprimersi creativa-mente, Natalie Rogers non può fare a meno di credere che l’essere umano possa riuscire a ritrovare se stesso al di là delle sovrastrutture imposte e ad agire di conseguenza in maniera libera nel mondo.

Restando sul terreno della filosofia, si è già accennato in apertura all’analogia con la visione di Husserl circa la concezione del corpo. Per il filosofo austriaco l’io “rinviene” se stesso prima di tutto in quanto possiede un corpo, cioè la percezione di sé passa in primo luogo attraverso la corporeità. Ma vi è una differenza fondamentale per Husserl tra il corpo in quanto mera estensione, cioè quello che egli chiama Körper, e il corpo vissuto, la cui percezione consente di dire a ciascuno di “essere al mondo”. Quest’ultimo, nelle Meditazio-ni cartesiane, opera del 1931, Husserl lo chiama Leib.

È questo corpo vivo e sentito, il Leib, che è al centro del pensiero e della pratica di Natalie Rogers, un corpo che non è mero “acces-sorio” della psiche, ma costituisce con essa un’unità inscindibile, nonché l’insostituibile collegamento con il mondo esterno.

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The Sun Dance: l’universo risponde

Da quanto dice l’autrice è possibile dedurre ancora qualcosa di importante, proprio circa il rapporto tra l’uomo e l’intera realtà che lo circonda.

Anche in questo caso vale ciò che si è detto della relazione con l’altro: può esserci connessione tra l’essere umano e il mondo che gli sta intorno, anzi il processo di Connessione Creativa sembra mi-rare proprio a ristabilire una relazione equilibrata tra l’uomo e il tutto, quasi che l’arte, in virtù della sua relazione privilegiata con la materia, possa aiutare l’essere umano a far pace con il suo corpo e con la realtà intera.

Una simile concezione implica che l’uomo è parte integrante del mondo, non una singolarità estranea; tra le cose della realtà egli può sentirsi a casa e le cose stesse possono “parlargli”.

Significativamente l’autrice, dopo aver descritto la genesi dell’o-pera, afferma: «the object – in this case, the book – started to have a voice of its own. I finally surrendered to that voice».

Il libro, un oggetto, a un certo punto della sua scrittura, quando il processo di Connessione Creativa si è ormai innescato, inizia ad avere una “propria voce”, voce alla quale alla fine l’autrice deve arrendersi.

Potrebbe sembrare un mero espediente letterario il fatto che Na-talie Rogers attribuisca una capacità comunicativa a un oggetto ina-nimato, ma quando si parla di “connessioni” è difficile pensare che tra i due poli che entrano in contatto lo scambio non sia reciproco e che l’uno possa non influenzare l’altro.

Già con questo riferimento l’autrice sembra suggerire al lettore che uomo e mondo possono influenzarsi, che basta stabilire la giusta connessione perché ciò avvenga.

Il racconto che segue, ancora una volta, un’esperienza di vita per-sonale, sembra confermare pienamente questa visione delle cose.

Natalie Rogers chiama The Sun Dance il racconto che espone alla fine della sua Prefazione a The Creative Connection. Si tratta della narrazione di fatti avvenuti in Svizzera il 22 maggio 1987.

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In compagnia del collega Paolo Knill, l’autrice stava tenendo un corso di dieci giorni di terapia basata sulla creatività e le arti espres-sive. Svegliandosi, una mattina trovò un clima diverso dal solito: nuvole, pioggia e vento. Tutto faceva pensare che il corso si sarebbe dovuto rimandare, tuttavia giunse inaspettata l’idea vincente: evoca-re il Sole proprio usando l’arte e la creatività.

Si innescò quello stesso meccanismo di conversione della sfortu-na in tale occasione che caratterizzerà poi la nascita del libro, sebbe-ne qui la situazione potesse sembrare del tutto fuori controllo.

La reazione di Natalie Rogers, inizialmente, fu una risata interiore di fronte al pensiero che le azioni sue e del suo gruppo potessero real-mente influenzare le condizioni del tempo. Ma d’altro canto l’autrice dichiara di aver avuto davvero fede nel fatto che ciò potesse accadere.

«The realist in me said, “This is really silly”. The believer in me said, “This is exactly the right thing to do, and it will happen”».

Quanto avvenne in seguito sembrò dare ragione alla parte di lei che credeva, perché il Sole comparve davvero.

Che si sia trattato di una coincidenza o che davvero la “danza del Sole” abbia influenzato il meteo poco conta ai fini della com-prensione del pensiero di Natalie Rogers; se l’autrice riporta proprio questo episodio è evidente che, al di là della cautela razionale e delle perplessità, per lei il Sole sia stato effettivamente “evocato” da quel rito che in prima istanza le era sembrato sciocco.

La narrazione dell’episodio, quindi, aggiunge un altro impor-tante tassello al quadro teorico dal quale The Creative Connection prende le mosse, in quanto è la conferma chiara ed evidente che per l’autrice uomo e mondo si influenzano a vicenda, perché ogni cosa è collegata all’altra.

Il mondo di Natalie Rogers è un universo di connessioni in cui l’energia fluisce di continuo da una cosa all’altra, pertanto è possi-bile avere delle risposte da ciò che ci circonda. È per questa ragione che il libro può avere una “voce”.

La descrizione dei momenti successivi alla comparsa del Sole è un’esplosione di gioia che coinvolge ogni cosa, e persino gli uccellini sui rami circostanti riprendono il loro canto, unendosi al gruppo di

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persone guidato da Rogers e dal suo collega. Di nuovo la natura risponde all’uomo e, per questa risposta, l’autrice esorta il gruppo a ringraziare per il desiderio esaudito, sia che abbiano davvero evoca-to il Sole, sia che ciò sia semplicemente accaduto.

L’autrice stessa lascia il dubbio circa la scelta tra le due opzioni, quel che le interessa non è sapere se il rituale di evocazione abbia davvero funzionato, ciò che conta è: «our sense of self-empower-ment. And yes, the sense of magic. A faith in the possible».

Magia e disincanto

“Senso di auto-potenziamento”, “senso del magico” e “fede nel possibile”, dunque, sono gli elementi che devono scaturire dal pro-cesso di Connessione Creativa.

Al di là del racconto, che può essere inteso come una significati-va metafora, Natalie Rogers si fa portatrice di un’istanza importan-tissima: l’uomo ha bisogno di riacquistare fiducia nel mondo, di non sentirlo più estraneo e come una potenziale fonte di pericoli.

Il filosofo ed economista tedesco Max Weber, nell’opera dal titolo La scienza come professione, del 1919, espresse il concetto di “disin-canto del mondo” (Entzauberung der Welt), che stava ad indicare quel processo di progressiva razionalizzazione e tecnicizzazione tipico della realtà moderna, che porta l’uomo a credere che nulla di inaspettato ci si possa più attendere dal mondo, perché tutto è conoscibile e razionaliz-zabile. Questa profonda fiducia nella capacità umana di comprendere si traduce in una perdita di fede nel mondo: non c’è più spazio per la magia, per la credenza, semplicemente il mondo non può più stupire.

Solo il calcolo, inoltre, può permettere di influenzare in qualche modo la natura, di “dominarla”, non c’è più spazio per il rito, attra-verso il quale i popoli antichi tentavano di ingraziarsi gli spiriti.

Nel mondo disincantato la natura non ha più spirito, è vuota materia.È contro una simile visione delle cose che sembrano ergersi il

pensiero e l’azione di Natalie Rogers, con il suo richiamo alla fidu-cia nel possibile.

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Lasciare la strada aperta al dubbio, nel caso della danza del Sole e dei suoi effetti, non è affatto una presa di posizione anti-razionale o anti-scientifica, è un necessario stimolo per l’essere umano, che af-fidandosi al solo calcolo vede irrimediabilmente amputata una parte fondamentale di sé: quella parte creativa della mente, che tanto pro-ficuamente collabora con la parte razionale, come Rogers stessa ha dichiarato parlando della scrittura del suo libro.

Solo una visione del mondo opposta a quella disincantata può permettere il processo di Connessione Creativa, che stabilisce le-gami tra cose apparentemente lontane e sconnesse. Ci vuole magia perché ciò avvenga, laddove per magia non si intende certo quella presunta facoltà di dominare la natura che alcuni individui, autopro-clamandosi eletti, dichiarano di avere o di poter ottenere.

La magia di cui parla Rogers è accessibile a chiunque e come prima cosa prevede che si metta da parte lo stesso concetto di “do-minio” della natura, che tanto spazio occupa sia quando si parla di tecnica che, appunto, quando si parla della magia in senso degenere.

Come insegna l’episodio narrato dall’autrice, alla natura non si impone nulla, alla natura si chiede, per poi ringraziare se il desiderio viene esaudito.

La comparsa del Sole, dunque, rappresenta un po’ la speranza che ogni cosa sia possibile: è questo il necessario presupposto per la guarigione. E in questo non v’è nulla di irrazionale o miracoloso, perché la condizione per ogni azione ben riuscita è prima di tutto la rimozione degli ostacoli interiori.

Se si crede all’impossibilità di un avvenimento si gettano già le basi perché esso non avvenga, semplicemente non facendo nulla per favorirlo.

Le parole di Natalie Rogers, quindi, sono un invito a sgombrare il campo da ogni pregiudizio razionalistico, da ogni disfattismo e, soprattutto, dal disincanto. Scendere nell’ombra della psiche per poi abbracciare la luce della rinascita interiore: è questo quello a cui bisogna mirare. E che sia possibile arrivare alla luce Rogers lo crede fermamente, perché ha piena fiducia nella possibilità dell’es-sere umano.

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Natalie Rogers si spinge ancora più in là, affermando che in gruppo l’effetto del processo di Connessione Creativa è ancora più potente, dal momento che: «we have great impact on each other and the planet. When we can be fully receptive and active at the same time […], we can call in many universal forces: the sun, good will, and love. It is one path to a collective consciousness for the future».

Quando l’intenzione e la fede sono collettive, quindi, l’effetto si amplifica e può investire non soltanto l’altro essere umano, ma l’intero pianeta.

L’interezza è un obiettivo. In realtà, che l’uomo e il mondo siano un intero è un dato originario, cioè la separazione è qualcosa di illu-sorio e il fatto che l’interezza diventi un fine è frutto soltanto di un mendace percepirsi separato dell’uomo stesso.

Il percorso per giungere all’interezza che ciascuno intraprende è un cammino ed è durante tale cammino che può essere d’aiuto un pro-fessionista che ci guidi nella scelta della strada giusta da percorrere.

The Creative Connection è proprio questo, una guida sia per chi abbia intenzione di aiutare se stesso, sia per chi decida di aiutare gli altri a ritrovare quel senso di equilibrio e di armonia con l’intero universo che troppo spesso viene a mancare nella società di oggi, una società in cui tutti sono apparentemente connessi, ma in realtà ciascuno resta isolato rispetto all’altro, a causa di un prepotente pro-cesso di “atomizzazione” del reale.

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Presentazione

Il Centro Sarvas è una scuola di formazione alla relazione di aiu-to, da diversi anni attiva sul territorio nazionale.

Propone corsi di formazione triennali di Arte terapia e di Counse-ling ad orientamento umanistico corporeo.

I pilastri teorico-pratici, su cui si fonda il Centro Sarvas sono: lo sviluppo della creatività, l’implementazione di relazioni efficaci e l’attenzione alla corporeità.

In tutte le proposte, sia in quelle triennali sopracitate, sia in quel-le formative specifiche come i laboratori di pratica Bioenergetica, di scrittura creativa e i laboratori di Arte terapia, si cerca di sottolineare come il lasciar fluire la propria creatività, migliorare le qualità rela-zionali e prestare attenzione alla propria ed altrui corporeità senza giudizio, possano permettere di intraprendere un fruttuoso percorso di crescita personale e risultare utilissime all’interno di relazioni e professioni di aiuto.

Nello specifico, all’interno del nostro approccio, una particolare rilevanza viene assegnata alla creatività, riteniamo che essa sia una predisposizione dell’animo umano che tutti possediamo.

Rappresenta la capacità dell’uomo di ricercarsi e di far affiora-re parti di sé, del suo modo di essere e di sentire, è quell’energia propulsiva che smuove il magma dell’interiorità che consente l’au-to-esplorazione, e di conseguenza una diversa e rinnovata capacità di espressione. Il movimento interiore ci permette di osservare il mondo in modo differente e in modo più reale. Il suo moto facilita l’emersione di nuove idee e ci spinge maggiormente verso l’auto-realizzazione.

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La creatività si nutre soprattutto dell’esperienza vissuta dal corpo, è infatti a partire dai vissuti corporei che ci si apre, con tutto quello che siamo a nuove possibilità creative. Ed è attraverso questa nuova mo-dalità di viversi e percepirsi, che sarà possibile proiettarsi nel mondo intrecciando relazioni maggiormente significative ed efficaci.

Quindi, come detto all’inizio, creatività, relazione e corporeità divengono un trinomio inestricabile in grado di autoriprodursi e mi-gliorare sensibilmente la nostra e altrui qualità di vita.

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Capitolo primoIl cammino verso l’interezza.L’arte terapia espressiva centrata sulla persona

«Quando l’arte e la psicoterapia si incontrano,l’ambito e la profondità di ciascuna trova nell’altra un bacino di espansione e, il loro lavorare insieme, fa seguito all’umana ten-denza verso la gua rigione». Shaun McNiff, The arts and psychotherapy

Una delle finalità del processo terapeutico è quella di risvegliare l’energia creativa della forza vitale. Creatività e terapia possono per-tanto convergere. Ciò che è creativo spesso risulta terapeutico. Ciò che è terapeutico spesso rappresenta un processo creativo. Nel mio percorso, ho integrato l’arte alla pratica terapeutica e per questo fac-cio riferimento all’arte terapia espressiva centrata sulla persona. I termini di terapia espressiva o arte terapia espressiva generalmente rimandano alla danza terapia, all’arte terapia e alla musico terapia. Tali espressioni designano una modalità terapeutica che si avvale della scrittura di un diario intimo, della poesia, dell’immaginazione, della meditazione, come anche dell’improvvisazione teatrale. L’u-tilizzo delle arti espressive per favorire la guarigione emotiva, per risolvere i conflitti interni e ridestare la creatività individuale è un campo in espansione. Nei capitoli che seguiranno, spero di inco-raggiare il lettore alla possibilità di integrare le arti espressive al proprio percorso professionale, oltre che di vita, al fine di accrescere

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la propria abilità ad esplorare dentro se stesso, a coltivare relazioni affettive più profonde e così per arricchire le proprie competenze in quanto artista, terapeuta e facilitatore nei gruppi.

Cosa sono le arti terapie espressive?

Le arti terapie espressive utilizzano l’arte nelle sue diverse sfac-cettature – movimento, disegno, pittura, scultura, musica, scrittura, produzione di suoni, improvvisazione – all’interno di un setting sup-portivo che incoraggia la crescita e la guarigione. È un cammino alla scoperta di se stessi attraverso l’ausilio di qualsiasi forma artistica, che trae origine dalla parte emozionale più profonda e intima di cia-scuno. L’arte terapia non ha nulla a che vedere con la capacità di cre-are un’immagine “carina”. Non è il mettere in scena una coreografia destinata a un palcoscenico. Non si tratta nemmeno della stesura di un poema che ambisce alla perfezione.

Le emozioni che abbiamo all’interno possono trovare rappresenta-zione all’esterno. L’arte espressiva concerne l’uso degli aspetti emotivi e intuitivi propri a noi stessi, per mezzo di svariati strumenti e modali-tà. Usare l’arte in maniera espressiva significa, perciò, calarsi nell’in-timità dei nostri regni interiori alla scoperta di sensazioni e raccontarle poi attraverso l’arte visiva, il movimento, il suono, la scrittura o ancora il teatro. Comunicare i nostri sentimenti, inoltre, ci offre un’occasione importante per interpretare e scoprire noi stessi in maniera più signifi-cativa. Nel campo della psicoterapia fondata sui principi umanistici, il termine terapia espressiva è stato a lungo riservato per descrivere un tipo di lavoro basato sul non verbale e/o su altre metaforiche modalità espressive della persona. La psicoterapia umanistica fondata sulle arti espressive si differenzia dal modo in cui il modello analitico o medico solitamente pensano all’arte terapia, in cui l’arte viene utilizzata per fare diagnosi, analizzare e “trattare” le persone.

Molti di noi hanno già sperimentato i benefici che l’espressio-ne artistica può apportare in qualche modo alla vita di tutti i gior-ni. Qualcuno, ad esempio, scarabocchia mentre parla a telefono e lo

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trova rilassante. Si può tenere un diario intimo e scoprire che i sen-timenti e le idee si modificano man mano che la scrittura procede. Oppure, può capitare di trascrivere un sogno e allora scorgere in esso modelli e simboli, prima rimasti inosservati. La pittura o la scultura possono essere praticate all’inizio come un piacevole passatempo e, successivamente, accorgersi che quest’esperienza è talmente intensa da permettere alla persona di estraniarsi dai problemi del suo quo-tidiano. Forse, ancora, qualcuno canta mentre guida o mentre pas-seggia. Quanto descritto rappresenta un esempio di espressione di sé attraverso il movimento, il suono, la scrittura e l’arte in generale, strumenti questi in grado di modificare il proprio stato mentale. Si tratta di modalità che consentono di dare respiro ai sentimenti, di rasserenare la mente, di sollevare lo spirito e portare la persona verso stati superiori di coscienza. Tale processo è in sé è per sé terapeutico.

Quando utilizziamo l’arte come metodo di cura o come processo avente finalità terapeutiche, ciò che ci interessa non è la bellezza di quanto stiamo realizzando, non diamo attenzione all’appropriatezza grammaticale o allo stile linguistico che utilizziamo per scrivere, così come lasciamo in secondo piano lo studio armonico del suono. Usia-mo l’arte semplicemente per lasciare andare, per esprimere e per libe-rare. Possiamo acquisire consapevolezza e guadagnare in intuizione studiando i messaggi simbolici e metaforici che l’espressione artistica porta con sé. L’arte che produciamo ci parla e torna a noi solo se siamo disposti a concederci del tempo per addentrarci nei suoi messaggi.

Sebbene nel processo dell’arte terapia espressiva possano affio-rare delle produzioni interessanti, talvolta persino di spiccata sensi-bilità, l’estetica e la maestria vengono comunque lasciate a coloro i quali desiderano approcciarsi all’arte in maniera più professionale. Certamente, alcuni di noi si appassionano talmente all’arte come veicolo per l’espressione di sé tanto da voler approfondire in seguito le qualità di una particolare disciplina. Molti tra gli arte terapeuti cambiano il loro modo di viversi: da clinici, capita possano spostare la loro attenzione al viversi in quanto artisti. Molti artisti, d’altro canto, comprendono le qualità curative insite nel processo creativo tanto da voler diventare arte terapeuti.

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Avvalersi del processo creativo per il trattamento clinico delle parti più profonde e sensibili della persona richiede ulteriori accor-tezze e approfondimenti. Gli arte terapeuti espressivi sono ben con-sapevoli del fatto che coinvolgere la mente, il corpo e le emozioni porta alla luce le facoltà intuitive e immaginative della persona del cliente, ed altrettanto ne fa emergere il pensiero logico e lineare. Poiché raramente gli stati emotivi risultano comprensibili, il coin-volgimento dell’immaginazione e delle modalità non verbali con-sente al cliente di imboccare un cammino alternativo nel proprio percorso di esplorazione e di contatto con se stesso. Un simile pro-cesso dimostra una vivace e potente capacità integrativa.

Per tradizione, la psicoterapia è una modalità di cura che si avvale della parola e il processo verbale manterrà sempre la propria rilevanza. Tuttavia, secondo la mia esperienza, è possibile comprendere rapida-mente il mondo della persona del cliente quand’anche si esprima attra-verso le immagini. I colori, le forme e i simboli non sono altro che lin-guaggi di derivazione inconscia, che assumono particolare significato a seconda di ciascun individuo. Non appena ascolto la descrizione che la persona fa della propria realizzazione artistica, riesco vividamente a cogliere il mondo così come lo vede lei. La persona può far ricorso al-tresì al movimento o alla gestualità per mostrare ciò che prova. E, non appena lo osservo, mi è possibile intuire il suo mondo, accostarmi ad esso, raccogliendone e sottolineandone il flusso cinestesico.

La conoscenza che la persona possiede di sé si espande e, con-temporaneamente, i movimenti, l’arte, la scrittura e le musicalità che da lei affiorano forniscono ulteriori elementi da esplorare, ulteriori idee che guidano verso una più profonda esplorazione. Servirsi delle arti espressive diventa così un processo di cura, e oltre a ciò diviene un linguaggio nuovo, capace di comunicare tanto al cliente quanto al terapeuta. Le diverse forme artistiche rappresentano potenti canali attraverso cui è possibile scoprire, far esperienza e accettare aspetti sconosciuti del proprio sé. I metodi terapeutici basati sul verbale concentrano la loro attenzione sul disturbo emotivo e sull’inadegua-tezza del comportamento. Le arti terapie espressive immergono la persona del cliente nel mondo delle sue emozioni e propongono in

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aggiunta un’ulteriore dimensione. Assimilare l’arte alla psicoterapia significa offrire al cliente una via per sperimentare le componenti libere e non condizionate della propria personalità. La terapia può accogliere in sé modalità di apprendimento gioiose e vivaci, capaci di spaziare tra diversi livelli di esperienza: sensoriale, cinestesico, concettuale, emozionale e simbolico. I clienti riferiscono che le te-rapie espressive li hanno aiutati a superare i loro problemi, a imma-ginare sé stessi capaci di agire nel mondo in maniera più costruttiva.

In che cosa consiste l’intervento centrato sulla persona?

L’elemento di centratura sulla persona dell’arte terapia espressiva descrive la filosofia di base che fonda il mio lavoro. La terapia centra-ta sul cliente o l’approccio centrato sulla persona promosso da Carl Rogers, mio padre, pone l’accento sul ruolo del terapeuta in quanto persona empatica, priva di pregiudizi, onesta, coerente, sensibile e ca-pace di prendersi cura dell’ascolto del profondo, agevolando la crescita dell’individuo o del gruppo. Tale approccio filosofico accoglie la cre-denza secondo cui ciascun individuo ha in sé forza, dignità e capaci-tà di auto direzione. Il pensiero di Carl Rogers si fonda sulla fiducia dell’esistenza, in ogni individuo, di un intrinseco impulso alla crescita.

Il mio approccio all’arte terapia espressiva parte da questa pro-fondissima fede verso l’innata capacità di ogni persona a protendersi verso il raggiungimento del proprio pieno potenziale.

Le ricerche di Rogers nel campo della psicoterapia hanno rileva-to che, nel momento in cui il cliente si sente accettato e compreso, ecco che lì si verifica la sua guarigione. È una così rara esperienza sentirsi accettati e capiti quando le uniche emozioni che si provano sono paura, rabbia, dolore o gelosia. Eppure, ciò che cura è proprio questa autentica disponibilità ad accettare e a comprendere. Come amici e come terapeuti, spesso ci capita di sentirci in dovere di dare una risposta o un qualche tipo di suggerimento. Se ci lasciassimo andare a quest’impressione, però, rischieremmo di ignorare una ve-rità fondamentale. E cioè, che il regalo più prezioso che possiamo

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mai offrire alla persona consiste nell’ascoltare in maniera autentica la profondità del suo dolore e nel rispettare la sua genuina e insita propensione a trovare da sé le proprie risposte.

Il sentimento di empatia e il sentimento di accettazione donano all’individuo l’opportunità di autorizzarsi, di andare alla scoperta del proprio potenziale. Quest’atmosfera di accoglienza permette a voi, ai vostri amici o ai vostri clienti di sentirsi protetti, al sicuro, abbastanza da fare esperienza delle arti espressive in quanto via che porta verso l’interezza.

La Connessione Creativa

Ciò a cui ho dato il nome di Connessione Creativa mi affasci-na: intendo quella compartecipazione tra il movimento, l’arte, la scrittura e il suono, che si influenzano reciprocamente e che si ar-ricchiscono progressivamente. Muoversi con consapevolezza nello spazio, ad esempio, apre la porta a sentimenti che possono poi tro-vare espressione attraverso colori, linee o forme. Talvolta, quando scriviamo subito dopo un movimento o una qualche espressione ar-tistica, in quel processo affiora un tale autentico e libero flusso che il testo può naturalmente prendere la forma di una poesia. Il pro-cesso di Connessione Creativa da me sviluppato stimola una simile esplorazione di sé. Lo paragono alla schiusa di un bocciolo di loto in una giornata estiva: al caldo, il fiore si apre all’ambiente, i suoi petali si schiudono rivelandone così la propria peculiare essenza. Se intercettati, i nostri sentimenti diventano una ricchezza per la com-prensione di sé e si rivelano essere una fonte ulteriore di creatività. Permettiamo a noi stessi allora, con delicatezza, di aprirci a nuo-ve possibilità. Ad ogni schiusa, sarà possibile addentrarci in ogni nostra esperienza sempre più profondamente. Una volta raggiunto il nucleo più intimo, scopriremo invero di essere in connessione con tutti gli altri esseri viventi. Noi creiamo, dunque, per entrare in sintonia con il nostro nucleo interno e, contemporaneamente, per metterci in comunicazione con l’esterno e con il mondo.

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Alcuni scrittori, artisti o musicisti intuiscono già il concetto di Connessione Creativa. Qualcuno tra questi potrebbe avvertire il de-siderio di ascoltare della musica e ballare, prima di dedicarsi alla pittura. O ancora, uno scrittore potrebbe voler fare una lunga pas-seggiata prima di sedersi alla sua scrivania. Neppure chi, tra le tante persone che abitano la nostra società, riconoscesse in se stesso una completa assenza di creatività rimarrebbe escluso da questo discor-so. Spero che la lettura di questo libro possa invogliarvi a lasciarvi andare a nuove esperienze. Potreste rimanere sorpresi da voi stessi.

Io credo che tutti noi siamo dotati di una profonda e meravigliosa capacità a creare; questa creatività è presente anche se viene usata solo per relazionarci con i nostri cari o per disegnare qualcosa. I germogli di gran parte della nostra creatività hanno radici nell’inconscio, nelle nostre emozioni e nella nostra facoltà intuitiva. L’inconscio rappresen-ta la sorgente più profonda da cui poter attingere. Molti di noi, tuttavia, vi hanno posto un limite. Incanalare i sentimenti entro percorsi creativi può risultare utile: nella danza, ad esempio, nella musica, nell’arte o ancora nella scrittura. Quando i nostri sentimenti sono caratterizzati dalla gioia, le possibilità di espressione attraverso l’arte accrescono. Se i nostri sentimenti sono violenti o se sono intrisi di rabbia, possiamo trasformarli in potenti forme artistiche invece che agirli come sfogo verso l’esterno. L’arte come strumento ci aiuta ad accettare ogni com-ponente della nostra persona. Accettare sé stessi è il primo e fondamen-tale passo affinché si possa provare compassione per l’altro.

Il potere curativo dell’arte terapia espressiva centrata sulla persona

Ho scoperto il processo curativo a partire da me stessa non appena ho messo insieme i miei interessi per la psicoterapia, l’arte, la danza, la scrittura e la musica. La terapia espressiva centrata sulla persona è nata dalla mia personale volontà a integrare l’arte e il pensiero filosofico che mi è stato tramandato. Ho sperimentato più volte e ho tratto ispirazione dalle pagine del diario che ero solita tenere e riempire di forme e colori.

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Ho scarabocchiato qua e là, mi sono sfogata oppure ho giocato con i colori senza preoccuparmi di ciò che alla fine sarebbe venuto fuori.

In un primo momento sono stata un po’ perplessa sull’opportunità di introdurre tali metodi nel lavoro con i clienti, così suggerivo loro sem-plicemente di provare a fare delle cose e poi a raccontarmi la loro espe-rienza. Lo trovavano utile, mi dicevano in risposta. La comprensione che avevano di loro stessi accresceva rapidamente e, non di meno, an-che la comunicazione tra noi conosceva una sempre maggiore qualità.

Lo stesso accadde quando decisi di introdurre il movimento, il suo-no e la scrittura libera come mezzi per l’espressione di sé. I clienti e i partecipanti ai gruppi che tenevo riportavano tutti la sensazione come di un “nuovo inizio” e percepivano una profonda libertà nell’essere se stessi. Un membro del gruppo una volta così scrisse: «Ho imparato a giocare di nuovo, a lasciare andare ciò che per me è già “noto”: i miei successi, le mie conquiste, il mio sapere. Grazie a quest’esperienza, ho scoperto di essere in grado di ricominciare, ancora un’altra volta». Un altro, scrisse: «Sento che posso affrontare più semplicemente le emozioni, anche quelle più impegnative, attraverso il gioco espressivo piuttosto che standoci su a pensare o a parlarne».

Divenne a me chiaro come il processo di Connessione Creativa pro-muovesse la facoltà di integrazione. Ciò di cui sto parlando è stato chia-ramente messo in evidenza da uno dei miei clienti, che così si espresse:

È stato solo attraverso l’esplorazione dei miei sentimenti che ho scoperto di potere sfondare quelle barriere o strutture interne che io stesso, in passato, ho concorso a erigere; semplicemente lascian-do che le mie emozioni si muovessero e prendessero forma in una danza. È disegnando quella sensazione, dopo averla vissuta nel mo-vimento, che il processo di rivelazione ha continuato a dispiegarsi.

È difficile trasmettere in parole la profondità e la potenza del pro-cesso che ha luogo nelle arti espressive. Mi piacerebbe condividere con il lettore una mia esperienza, un episodio in cui l’uso delle arti espressive mi ha aiutato a superare un periodo di vita difficile. Spe-ro che la lettura di questa mia vicenda personale possa permettere

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a chi starà leggendo di vivere in maniera vicaria quello che per me ha rappresentato un vero e proprio processo di crescita, acquisito at-traverso il ricorso al movimento, all’arte e alla scrittura delle pagine del mio diario, all’interno di un ambiente accogliente.

I mesi successivi alla morte di mio padre sono stati per me un tur-binio emotivo. Il senso di perdita che ho provato era immenso, eppure, insieme a questo, c’era anche la sensazione che qualcosa in me fosse stato finalmente liberato. Come se la scomparsa di mio padre avesse permesso l’apertura di un’importante porta psichica, oltre che a un profondo sentimento di dolore di trovare spazio nel mio animo.

Nel corso di quel periodo luttuoso le arti espressive mi sono state molto utili. Due amiche, entrambe arte terapeute, mi invitarono a tra-scorrere del tempo con loro e a lavorare insieme. Connie Smith Siegel mi invogliò a trascorrere una settimana presso un cottage a Bolinas Bay. Lì, un quadro nero sgorgava dopo l’altro. Ogni volta che arrivavo a stancarmi di quelle immagini così cupe, il desiderio di cominciare a disegnare qualcos’altro emergeva. Tuttavia, ben presto, la tela si fa-ceva nuovamente malinconica e tetra. Sebbene Connie fosse innan-zitutto un’artista, il ricordo del proprio percorso terapeutico e la sua capacità ad accogliere il mio stato emotivo, hanno fatto sì che potessi essere, in quel momento, autenticamente me stessa.

Ho partecipato inoltre a un seminario di un weekend tenuto da Co-eleen Kiebert dove mi sono lasciata andare alla scultura e alla pittura. Questa volta, le onde di un maremoto hanno rappresentato la tematica principale – insieme, ancora, alle immagini tetre. Una mia composi-zione in argilla, ricordo, raffigurava una testa che affiorava dalla parte inferiore di una grande onda. Il mio sentirmi sopraffatta da tutto ciò che aveva a che fare con il mio lutto, come ad esempio sgomberare la casa dei miei genitori, prendere decisioni in merito all’eredità lasciata da mio padre, rispondere ai messaggi delle centinaia di persone che lo hanno amato, adesso stava cominciando a farsi sentire e ad esigere un costo. Ancora una volta, il lavoro attraverso l’arte ha concesso alle mie emozioni di regnare liberamente, offrendomi così sollievo. Gli in-coraggiamenti di Coeleen ad usare l’esperienza artistica per liberare e comprendere i miei movimenti più profondi hanno rappresentato un

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altro importante passo in avanti. Pensavo che avrei dovuto superare il mio dolore rapidamente, in un mese magari, ma queste due donne mi hanno offerto la possibilità di continuare a esprimere il mio fiume di tristezza. Nel corso di quell’anno, la mia arte mi ha resa consapevole del mio perseverante senso di perdita così come, allo stesso tempo, de mio bisogno di volgermi verso nuovi orizzonti.

Come spesso accade, alla profonda sofferenza si accompagna un movimento di apertura verso la spiritualità dei nostri regni interni. Tre mesi dopo la morte di mio padre, mi recai in Svizzera per fare da co-facilitatore in un gruppo di training insieme all’arte terapeuta Paolo Knill. In quel periodo, ho avvertito in me l’accrescersi di quel-la sensibilità che mi ha poi permesso di congiungermi con le altre persone, con la natura, con i miei sogni. Sentivo che in me stava per accadere qualcosa di sorprendente. Ho fatto esperienza dell’essere in sincronia, con me stessa e con il mondo; speciali messaggi e imma-gini significative affioravano spontaneamente. Una notte, il suono di ciò che sembrava essere il battito di molte ed enormi ali fece irruzio-ne nella mia stanza e nel mio sonno. La mattina dell’indomani non potei fare a meno di dipingere tale esperienza al meglio che potevo.

Un pomeriggio ho guidato il gruppo in un’attività di movimen-to chiamata “Scioglimento e Rinascita” (Melting and Growing). Il gruppo era diviso in coppie e, a turno, ciascun membro osservava l’altro danzare, sciogliersi e poi ridestarsi e ricominciare a crescere. Anche io e Paolo abbiamo partecipato a quest’attività, insieme. Il mio compagno è stato testimone della mia lenta disciolta, del mio camminare a testa alta e poi del mio completo collasso sul pavimen-to. In seguito, così riportai nel mio diario:

Ho apprezzato l’opportunità di sciogliermi, di lasciarmi andare comple-tamente. Quando mi sono ritrovata a essere tutt’uno con il pavimento, ho provato un’immensa sensazione di benessere. Mi sono arresa! All’i-stante, sono rimasta colpita da una luce sorprendente. Sebbene i miei occhi fossero chiusi, tutto mi appariva luminoso. Attonita, sono rimasta stesa in silenzio per qualche minuto poi, lentamente, ho cominciato “a crescere”, risollevando me stessa sino a raggiungere la mia piena statura.

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Ho guidato i partecipanti del gruppo a tradurre nell’arte l’espe-rienza che hanno vissuto nei loro movimenti. È difficile, è vero, dipingere la luce che abbraccia e avvolge; eppure, con l’aiuto del colore, ho cercato di catturare quell’esperienza così sbalorditiva.

Riflettendoci su, ho quasi l’impressione che il mio cuore si sia squarciato. Da un lato, quest’esperienza mi ha reso vulnerabile, dall’altro, però, mi ha fatto dono di un’enorme forza interiore, di una sensazione di leggerezza. Qualche giorno dopo, un’altra onda appare sulla tela. Questa volta, però, le intense sfumature azzurre e verdi dell’acqua godono della luce di un cielo con velature rosee e dorate.

Le immagini descritte fanno parte delle pagine del mio diario per-sonale. Ho voluto condividerle tuttavia per due ragioni. Innanzitutto, spero che attraverso queste risulti chiaro il potere trasformativo delle arti espressive. In maniera secondaria, desidero sottolineare come la terapia espressiva centrata sulla persona si basi su principi umanisti-ci altamente specifici. Per esempio, è stato essenziale trovarmi con persone che mi hanno permesso di sostare nel dolore e di piangere piuttosto che darmi pacche sulle spalle rassicurandomi che ogni cosa sarebbe andata nel verso giusto. Sapevo che se avessi avuto qualcosa da dire, sarei stata ascoltata e compresa. La valenza trasformativa dell’essere profondamente compreso, spesso è inestimabile. Quando ho raccontato a Paolo la mia sensazione di essere colpita e avvolta dalla luce, avrebbe facilmente potuto dirmi che si trattava solo della mia immaginazione. Invece Paolo, non soltanto mi ha compresa, ma persino mi ha vista: si è reso testimone dell’espressività del mio volto all’impatto con quell’esperienza così sensibile.

I principi umanistici

Dato che non tutti gli psicologi concordano con i principi conte-nuti in questo libro, mi sembra importante allora esplicitarli in ma-niera chiara in quanto fondamento di quanto seguirà:

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– Tutte le persone posseggono un’innata abilità a essere creative.– Il processo creativo è un processo di guarigione. Ciò che risulta

dall’atto espressivo della persona fornisce, ad essa e di essa, im-portanti messaggi. Ciononostante, è il processo di creazione ad essere profondamente trasformativo.

– La crescita personale e più elevati stati di coscienza possono essere raggiunti attraverso un lavoro di autoconsapevolezza, di comprensione di sé e di intuizione.

– L’autoconsapevolezza, la comprensione e la sensibilità intui-tiva sono possibili soltanto se si è disposti a immergersi nelle emozioni. I sentimenti di dolore, di rabbia, di paura, di gioia o di euforia sono tappe di un tunnel che occorre attraversare per giungere all’altro lato: per raggiungere la consapevolezza e la comprensione di sé, così come la pienezza del proprio essere.

– I sentimenti e le emozioni sono fonti di energia. Questa può es-sere incanalata nell’arte per essere liberata e trasformata.

– Le arti espressive – che includono il movimento, l’arte, la scrit-tura, il suono, la musica, la meditazione e l’immaginazione – ci conducono verso l’inconscio. Questo percorso spesso consente di rivelare parti di noi stessi in precedenza sconosciute, offre l’occasione quindi di portare alla luce nuove informazioni e nuove consapevolezze circa la nostra persona.

– Le diverse modalità attraverso cui l’arte si esprime concorrono e interagiscono in ciò a cui mi riferisco attraverso il termine di Connessione Creativa. Il nostro movimento può servire da stimolo a ciò che scriviamo o dipingiamo. Quando scriviamo o disegniamo, qualcosa rimane in ciò che proviamo o pensiamo. Nel processo di Connessione Creativa una forma d’arte stimola e nutre l’altra, portandoci verso il nostro nucleo più profondo o verso la nostra essenza, ovvero alla nostra energia vitale.

– Esiste una congiunzione tra la nostra forza vitale – il nostro nucleo o la nostra anima – e l’essenza di qualsiasi altro essere vivente.

– Pertanto, più il nostro viaggio procederà verso l’interno, alla scoperta della nostra essenza o del nostro personale senso di in-tegrità, più scopriremo la nostra forte connessione con il mondo all’esterno. L’interno e l’esterno convergono e si fanno tutt’uno.

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Il mio approccio alla terapia si basa inoltre su una teorizzazione psicodinamica dei processi che riguardano l’individuo e il gruppo: – La crescita della persona avviene se all’interno di un ambiente

che viene sentito sicuro e supportivo.– La creazione di un ambiente sicuro e supportivo avviene grazie

ai facilitatori (insegnanti, terapeuti, capigruppo, familiari, colle-ghi), grazie a persone cioè autentiche, affabili, empatiche, aper-te all’esperienza, oneste, prive di contraddizioni e interessate a prendersi cura.

– Queste qualità possono meglio venire apprese facendone innan-zitutto personale esperienza.

– Le coppie cliente-terapeuta, insegnante-studente, genitore-figlio, moglie-marito o il contesto relazionale di amicizia possono rap-presentare un idoneo contesto per lo sviluppo e l’esperienza di simili qualità.

– L’integrazione che la persona fa delle proprie dimensioni intel-lettuali, emotive, fisiche e spirituali richiede del tempo per riflet-tere ed elaborare.

Il diagramma presente alla pagina successiva mostra come giun-gere alla scoperta dell’essenza del proprio sé attraverso la capacità, propria delle arti espressive, di metterci in connessione con la sor-gente di energia del mondo, aiutandoci così a entrare in contatto sia con il nostro gruppo di riferimento sia con il mondo intero.

Lasciati condurre lettore, se vorrai, in un viaggio di esplorazione all’interno di te stesso, in un cammino di risveglio della personale creatività. Lasciati guidare, se sei uno scrittore che fugge dalle arti visive, se sei un artista convinto di non saper danzare o se sei un terapeuta desideroso di scoprire metodologie che ti aiutino nella re-lazione con i tuoi clienti. Quello che farò è invitare ciascun lettore all’interno del proprio giardino segreto.

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L’onda nera: «Mi sentivo so-praffatta dal dolore. Dipingere, ripetutamente, le onde nere della marea non era altro che esprimere il senso di impotenza che provavo» – Natalie Rogers.

Ali bianche: «Sono stata svegliata dal suono di ciò che sembrava essere il battito di molte ed enormi ali, che avevano invaso la mia stanza» – Natalie Rogers.

La luce gialla: «Ho danzato l’esercizio di fusione e rinascita. Quando mi sono ritro-vata a essere tutt’uno con il pavimento, ho provato un’immensa sensazione di benesse-re. Mi sono arresa! All’istante, sono rimasta colpita da una luce sorprendente. Tutto era luminoso» – Natalie Rogers.

L’onda blu/verde: «Dopo qualche giorno, un’altra onda comparve. Questa volta, l’acqua blu/verde era illuminata da un cielo dalle sfuma-ture rosa e dorate» – Natalie Rogers.

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La fonte dell’energia universale. Il processo di Connessione Creativa: Il diagram-ma mostra come, innanzitutto, abbiamo la possibilità di viaggiare dentro noi stessi attraverso le arti espressive e dunque, così, guadagnare in intuizione e in potere personale. Successivamente, collegandoci almeno con un’altra persona all’interno dei confini di un ambiente empatico e supportivo, impareremo dei modi per rela-zionarci al meglio con la comunità. Dal momento in cui avremo appreso ad esse-re autentici e competenti all’interno di una piccola comunità, ci sentiremo allora pronti e invogliati a muoverci entro un cerchio più ampio. Diventeremo co-creativi e collaborativi, diventeremo capaci a realizzare i nostri propositi avvalendoci del nostro potere personale. Tale atteggiamento ci consentirà di entrare in connessione con il mondo – ovvero, con le altre culture e con il regno esteso della natura – con un sentimento di compassione.

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Capitolo secondoAgevolare la creatività

«È considerando l’essenza stessa delle con-dizioni di creatività che appare chiaro come queste non possono essere forzate, occorre permettere loro solo di emergere».

Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente

All’interno di ciascuno di noi esiste un giardino segreto: uno spa-zio entro cui vive il nostro vero sé. Tale giardino potrebbe essere un roseto, che comprende rose dalle numerose spine; oppure un’esu-berante distesa di fiori selvatici. Probabilmente, vi si troverebbero tronchi d’albero vecchi e ammuffiti, persino qualche fungo veleno-so. Qualsiasi cosa cresca in quel giardino, tuttavia, è parte dell’esse-re umano. Tutto ciò rappresenta materiale prezioso che può trovare uso nel processo creativo.

I sentimenti rappresentano una fonte da cui attingere per l’espres-sione creativa. Possiamo canalizzarli verso forme di arte visiva, nel movimento, nel suono o nella scrittura – e così facendo, quindi libe-rarli e trasformali. In questo modo, tanto il vecchio tronco d’albero quanto i fiori di campo diventano comunicazioni artistiche piene di significato.

Alcune persone si mostrano riluttanti nell’andare alla scoperta del loro giardino segreto, o della loro vita intima. Altri, invece, gi-ronzolano intorno al perimetro ma non permettono a nessuno, né ad

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amici né a colleghi, di accompagnarli in quello spazio. Molta gente, ancora, avverte una certa reticenza e paura all’idea di usare l’arte come mezzo di comunicazione, di usarla sia come via per l’esplo-razione di se stessi sia, semplicemente, per trarne piacere e creare. La paura ci mantiene a distanza dal nostro giardino, non ci permette di osservarne la vegetazione o la moltitudine di specie animali che crescono al suo interno. In qualche modo, per visitare questo spazio è necessario percepirsi al sicuro.

Siamo dunque giunti a confrontarci con due ordini di difficoltà: con la personale preoccupazione di alcuni a utilizzare la danza, la pit-tura, il suono o la scrittura; e con la paura, di altri, ad addentrarsi nel giardino e nella parte segreta della personalità, osservando tutti gli elementi che la compongono. Due domande pertinenti vengono allora alla mente. «Cosa ci trattiene dall’usare i canali espressivi permessi dall’arte?». E ancora, «Cosa ci farebbe sentire al sicuro, in modo da potere avvalerci dell’arte e così esplorare il nostro giardino segreto?».

Ogni giardino deve avere un terreno fertile tale da consentire all’individuo la maturazione del proprio sé, irripetibile e meravi-glioso. È incoraggiando il processo creativo che quel terreno può essere coltivato. Ammorbidendolo nella sua compattezza, così da permettergli di respirare. Nutrendolo, così come il seme ha bisogno di nutrienti per poi germinare e sbocciare. Prestando attenzione ad ogni dettaglio della crescita, osservando come ciascuna pianta abbia bisogno di un proprio tempo e ritmo per svilupparsi. In quanto giar-dinieri crediamo, possiamo dire invero di possedere una profonda e autentica fede, che ogni seme possa maturare e acquisire in pieno la propria bellezza, nonché trarre un proprio vantaggio.

In maniera analoga, il lavoro del facilitatore è relativamente sem-plice sebbene richieda un’attenzione costante, così come una consi-derevole dose di conoscenza e di esperienza. Un ambiente nutriente e accudente – un terreno fertile – è necessario per coloro che sono alla ricerca di se stessi e che lo fanno mettendo in gioco i propri sen-timenti. Il giardiniere/facilitatore/terapeuta favorisce la creazione di un ambiente o di un contenitore entro il quale le persone possano dare vita al loro pieno potenziale.

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Le sementi possono crescere e sbocciare in maniera completa-mente autonoma e in un contesto naturale. Tuttavia, ci sono piante che crescono nonostante si trovino in un ambiente molto ostile; ne sono esempio quella specie di cipressi i cui rami sono attorcigliati tra loro, che si formano dalla roccia granitica della ventosa Monte-rey, sulla costa della California. Similmente, alcune persone crea-tive coltivano se stesse senza l’ausilio apparente di un giardiniere. Altre sviluppano notevoli tendenze creative come reazione, come modalità per sopravvivere a un ambiente avverso. Al di là di tutto, molti di noi scoprono il proprio flusso creativo se posti in una con-dizione di rilassatezza, in un contesto avvertito come fisicamente ed esteticamente gradevole; e in queste circostanze, ci sentiamo al-lora sicuri di poter essere autentici, di poter esprimere i nostri più sinceri sentimenti.

È compito del facilitatore (sia esso insegnante, counselor, genito-re, capo del personale ecc.), permettere la creazione di un ambiente psicologicamente sicuro e, appunto, fare in modo che il terreno sia fertile. I valori propri del facilitatore, i suoi atteggiamenti e il suo modo di essere sanciscono i confini di uno spazio avvertito dai par-tecipanti (siano essi studenti, clienti, bambini o altro ancora) come sicuro, affinché cioè all’interno vi sia possibile correre dei rischi a forte impatto emotivo: come, ad esempio, avventurarsi nel regno dell’autenticità. Se il facilitatore è animato dal desiderio di favorire la creatività e le sue modalità, nel rispetto dell’ampia gamma delle forme attraverso cui essa può trovare espressione, allora lavorerà il terreno allo scopo di creare un ambiente ospitale, che permetta a ciascuna pianta di crescere e svilupparsi.

Per un facilitatore, è utile avere consapevolezza del fatto che la creatività viene fuori dall’interezza del nostro essere e che ogni persona possiede un’innata spinta, così come un’innata necessità, a esprimersi: a utilizzare l’immaginazione e le proprie risorse più interne e recondite. Alcuni autori descrivono il processo di creatività come qualcosa che deriva soltanto dalla mente. Danzatori e artisti, altrettanto, hanno appreso dalla loro personale esperienza che la crea-tività scaturisce anche dai sensi. Le origini del processo creativo

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si rintracciano nella compartecipazione e nell’integrazione dei si-stemi di corpo/mente/emozioni/anima. Avere concreta consapevo-lezza dell’arte, credervi o fare esperienza diretta delle tecniche del movimento, del suono, della scrittura creativa o dell’immaginazione guidata, permette alla persona di comprendere come tali modalità possano servire tanto da stimolo quanto da canale di espressione dell’energia creativa.

È importante fare personale esperienza di ciò se si desidera adot-tare il processo creativo da un punto di vista professionale. Quando il futuro facilitatore avrà scoperto per sé la valenza curativa del pro-cesso, allora sarà pronto a passare a un livello successivo: si potrà predisporre, cioè, ad aiutare gli altri affinché esprimano se stessi attraverso l’arte. Sapere che si sta offrendo al cliente un’opportunità, piuttosto che il semplice insegnamento di un metodo, permette una certa rilassatezza nello svolgimento del ruolo di facilitatore. Dare al cliente la possibilità di accettare o, al contrario, di rifiutare l’arte espressiva in quanto modalità di rivelazione del proprio sé, permette alla persona di sentirsi al sicuro; tale atteggiamento, inoltre, promuo-ve la costruzione di uno stile relazionale facilitante e incoraggiante.

Le condizioni che promuovono la creatività

Il mio approccio attinge in parte al lavoro portato avanti da mio padre e da alcuni suoi colleghi, i quali svilupparono un considere-vole numero di ricerche al fine di scoprire le condizioni che per-mettessero al cliente una maggiore possibilità nel sentirsi al sicuro e fiducioso. Le stesse condizioni che tali studiosi scoprirono essere alla base di una relazione facilitante tra il cliente e il suo counselor, allo stesso modo, supportano un ambiente favorevole alla creatività.

Nel suo libro, La terapia centrata sul cliente (1961), Carl Rogers discute della disperata e sociale esigenza a creare avvertita dall’in-dividuo, cogliendo così l’occasione di presentare una propria teoria sulla creatività: