NARRATIVA ITALIANA/1. ANTONIO MANZINI La badante tutto ... · bianchi» Chiarelettere pp. 240, €...

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II . anni, da 2 è a Roma e passa da un lavoro all’altro, man mano che i vecchi a lei affidati passa- no a miglior vita o sono colloca- ti in un ospizio. Il padre di Ilie si è allontanato quando il bambi- no aveva tre anni e Mirta per avere notizie si tiene in contat- to via mail con il parroco, pa- dre Boris. Scrive anche al fi- glio, che non risponde e gli rac- conta le sue giornate iniziando sempre con un: «ora mamma ti racconta un fatto». Facciamo la conoscenza di Mirta mentre sta accudendo Olivia che fa le bizze, si sveglia a mezzanotte pretendendo la pasta asciutta. Chiede ad ogni istante quando arriva suo figlio che le concede una frettolosa visita una volta alla settimana; avrebbe bisogno del dentista ma «Pierpaolo vede la mamma come una vecchia auto da ripa- rare e gli sembra inutile spen- dere soldi». Per Olivia che non si decide a morire è pronta la casa di ri- poso e Mirta perde sia l’impie- NARRATIVA ITALIANA/1. ANTONIO MANZINI La badante tutto sopporta per salvare l’«orfano bianco» Il giallista abbandona il thriller per una storia intima e dolente ispirata a Mirta, moldava che si occupò di sua nonna BRUNO GAMBAROTTA manzo è dedicata al resoconto della prima settimana di lavo- ro di Mirta, lasciata sola dai pa- droni di casa dopo averla som- mersa di istruzioni, raccoman- dazioni e soprattutto divieti. Qui il tempo narrativo si dilata, con il resoconto impietoso dei rapporti fra Mirta e «quell’am- masso di odio represso». Eleo- nora si ribella, sputa le medici- ne, se la fa addosso e le pagine che descrivono i duelli fra le due donne sono da antologia, con Mirta immersa negli escrementi che per liberare la mano da un morso micidiale ti- ra via anche la dentiera alla vecchia. Che poi, in tre dialoghi notturni, si rivela così dispera- ta da chiedere un aiuto per far- la finita alla sua badante, la quale naturalmente si sottrae alla richiesta. Antonio Manzi- ni, in questo romanzo teso e terribile, non fa sconti a nessu- no. Qui non siamo dalle parti della capanna dello zio Tom, ma da quelle di Germinal. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Tra vecchi negli ospizi (che per noi sono diventati un peso) e una villa lussuosa sull’Aventino Antonio Manzini «Orfani bianchi» Chiarelettere pp. 240, € 16 Quanto costa rinunciare al proprio figlio (lasciato a casa) per accudire la famiglia degli altri? N ei primi anni del dopoguerra, «vedove bian- che» erano chia- mate le mogli dei nostri emigranti, rimaste a casa con i vecchi e i bambini. Ora gli Orfani bianchi sono i figli lasciati in patria dalle donne arrivate in Italia per accudire nel tragitto finale della vita quei vecchi che per noi sono diventati solo un in- gombrante fastidio. Antonio Manzini gioca a carte scoperte e prende spunto da una domanda che si fa osservando la rumena Maria che si occupa di sua nonna: quanto costa rinun- ciare alla propria famiglia per badare a quella degli al- tri? Per dare una misura a questo sacrificio, l’autore si cala nei panni della moldava Mirta Mitea con l’abilità mi- metica del narratore di razza, tale che noi lettori vediamo il mondo, percepiamo gli odori, subiamo la promiscuità, sof- friamo per l’invisibilità e per le offese patite da questa don- na che tutto sopporta per amore di Ilie, il figlio dodicen- ne rimasto nel villaggio di Lo- gofteni, affidato a una nonna in rapido declino. Mirta ha 34 go che una stanza dove dormi- re; in mancanza di meglio tro- va lavoro in una cooperativa che fa le pulizie nei condomini. Sono un gruppo di donne di varie etnie, arrivano all’alba in un furgoncino sgangherato, scaricano scope, secchi, strac- ci e si sparpagliano su per le scale a strofinare gradino per gradino. Dopo aver letto la re- alistica cronaca di una giorna- ta tipo di Mirta, non sarà più possibile che queste donne re- stino invisibili ai nostri occhi quando le vediamo arrivare davanti a casa. Intanto nella lontana Molda- via la madre di Mirta muore e per il piccolo Ilie, rimasto solo in un paese abitato solo da vec- chi, non c’è altra soluzione che l’Internat, ossia l’orfanotrofio che ospita sia gli orfani veri e propri che quelli «bianchi». Per Mirta il congedo dal figlio è uno strazio mitigato solo dalla rinnovata volontà di portarlo con sé non appena avrà accu- mulato i soldi necessari. Con l’aiuto e la complicità del com- patriota Pavel, Mirta, spac- ciandosi per infermiera diplo- mata, trova lavoro in una lus- suosa villa sull’Aventino per ac- cudire Eleonora, l’ultra novan- tenne madre del padrone di ca- sa, resa invalida da un ictus. La seconda parte del ro- CHUCK PALAHNIUK IN ANTEPRIMA “Fumo” dallo spazio animale da riproduzione, e lui aveva deciso di tacere a meno che non ci fosse stato qualcosa d’importante da dire. Mise da parte il cruciverba del giornale che risol- veva tutte le mattine. Il libro che stava leggendo lo usa- va come piattino per la tazza del caffè. Già sentiva le parole che si accumulavano dentro di lui, la pressione che montava sempre più vicina all’esplosione. Aveva la spiacevole sensazione che il linguaggio fosse arrivato sulla Terra e avesse inventato le persone al fine di per- petuarsi. Lo diceva anche la Bibbia: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. Il linguaggio era arrivato dallo spazio siderale e aveva fatto accoppiare lucertole e scimmie e quant’altro fin- ché non era riuscito a creare un organismo ospite ca- pace di dargli sostentamento. Quella prima persona era stata esposta alla complicata sequenza di DNA dei nomi propri e dei verbi composti. Al di fuori del lin- guaggio non esisteva. Non c’era modo di fuggire. Per provare un qualche sentimento, al giorno d’oggi, ser- viva una quantità sempre maggiore di parole. Grandi discariche e ponti aerei di parole. Ci volevano monta- gne di chiacchiere per ottenere la più piccola intuizio- ne. La conversazione era come una di quelle macchine di Rube Goldberg in cui un uccello becca un chicco di granoturco incollato a un pulsante, premendo in que- sto modo il pulsante che mette in movimento una lo- CHUCK PALAHNIUK SEGUE DA PAGINA I NARRATIVA ITALIANA/3. ALESSANDRO ZACCURI Nella trattoria dell’Angelo la mafia cerca l’oro degli spalloni Il contrabbando romantico sul confine svizzero si intreccia con la criminalità organizzata del Sud N on lontano da Como, a ovest, dalle parti di Drezzo e Rona- go, e meglio an- cora a est, sui monti sopra Cernobbio, Moltrasio e dun- que il lago, il confine con la Svizzera corre tra boschi e crinali, lontano dagli sguardi dei finanzieri. Da qui passava- no gli spalloni. Il nome viene dal trasporto a spalla che fa- cevano di contanti, liquori, si- garette, e quant’altro alimen- tasse il contrabbando in crimine, d’accordo, ma a quello «leggero», che a parte la com- plicità con gli spalloni include l’uso delle camere della tratto- ria per un piccolo giro di pro- stituzione, e l’intrallazzo con qualche elemento corrotto del- le forze dell’ordine. È insomma un uomo oscuro, antipatico, che più che arro- gante è consapevole del pro- prio carisma e potere, esercita- to con pochissime secche paro- le. Anche con il figlio Angelo, che il lettore conosce a tredici anni, quando passa alla respon- sabilità della cassa del locale. Figuriamocelo bene: un padre duro e con molti segreti (per- ché Angelo inizialmente non sa dei loschi affari) che apre un ta- le credito di fiducia a un ragaz- zino di soli tredici anni: la cassa del locale e anche le giuste istruzioni per trattare con sconti e favori i clienti più deli- cati: i contrabbandieri, le forze dell’ordine. Questo affido dice più delle parole del Moro sul rapporto che ha con il figlio, perché si- gnifica stima, fiducia, amore. Partendo da qui, Lo Spregio ci regala una densissima storia in cui contano, più che i fatti – co- munque ricchi, a infittire la trama – le sfumature, per lo più inattese, dei rapporti padre-fi- glio e madre-figlio, e dell’amici- zia, della fedeltà, dell’onore. Clamoroso, invece, è come il caso e il male possano irrom- pere anche nelle storie più soli- PIERSANDRO P ALLAVICINI damente incanalate, nelle vite più graniticamente abitudina- rie. Caso e male sono una fami- glia del Sud, mafiosa, spedita in confino in quell’estremo lembo di Lombardia. Gira meravigliosamente, nel romanzo, la macchina dell’attri- to tra la delinquenza piccola, di- retta, pragmatica del Moro e il sontuoso-untuoso potere mal- vagio esercitato da Don Ciccio. Il cui figlio, Salvo, ha l’età di An- gelo – che nel frattempo è cre- sciuto come un abile, cinico, ri- belle ma modesto truffatore di provincia – ed è infinitamente più bello, furbo, cattivo. I due di- ventano amici per la pelle, i due genitori invece si annusano a distanza e cercano non si capi- sce se un’alleanza come prote- zione per i figli o di porre in at- to un tentativo di reciproca so- praffazione. È qui che la storia prende il colpo d’ala e assume i toni del grottesco, dell’indicibi- le, della grande storia tragica che solo la provincia sa genera- re, e la scrittura di Zaccuri – ni- tida, elegante, precisa – soste- nere lungo una china che scivo- la verso l’inferno. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVAT Una fulminante discesa all’inferno tra monti e boschi sopra Cernobbio e Moltrasio un’epoca pre-Shengen, poiché il quadro europeo di apertura delle frontiere ha incluso in parte anche la Svizzera, facili- tando così gli scambi commer- ciali e quasi vanificando il ruolo del contrabbando. Ma se torniamo ai primi an- ni Novanta, quelli del nuovo, breve, fulminante romanzo di Alessandro Zaccuri, quel con- trabbando torbido e romantico nell’alto comasco ancora con- tava molto. In più, generava lo- schi affari di risulta, alimen- tando una piccola delinquenza locale, incruenta e non priva di un certo fascino letterario. Vi appartiene Franco Morelli alias il Moro, proprietario e ge- store della Trattoria dell’Ange- lo, locale rustico in mezzo ai boschi verso il confine svizze- ro, frequentato in buona parte da turisti e in piccola parte – e da qui viene il vero guadagno del Moro – da spalloni. Che usano come deposito una fossa ben nascosta dietro il locale, controllata, va da sé, dal Moro stesso. Che è un duro con una losca nomea e su cui circolano leggende, le leggende di pro- vincia e di paese, ma che, pro- babilmente, non ha mai davve- ro ucciso nessuno. È dedito al Alessandro Zaccuri «Lo spregio» Marsilio pp. 120, € 16 Il racconto Antonio Manzini ha creato il fortunato personaggio del vicequestore Rocco Schiavone, poliziotto poco ortodosso trasferito per punizione ad Aosta (avrà il volto di Marco Giallini in una serie tv). L’ultimo suo giallo, «7-7-2007» (Sellerio), è stato bestseller dell’estate

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II .

anni, da 2 è a Roma e passa daun lavoro all’altro, man manoche i vecchi a lei affidati passa-no a miglior vita o sono colloca-ti in un ospizio. Il padre di Ilie siè allontanato quando il bambi-no aveva tre anni e Mirta peravere notizie si tiene in contat-to via mail con il parroco, pa-dre Boris. Scrive anche al fi-glio, che non risponde e gli rac-conta le sue giornate iniziandosempre con un: «ora mamma tiracconta un fatto».

Facciamo la conoscenza diMirta mentre sta accudendoOlivia che fa le bizze, si svegliaa mezzanotte pretendendo lapasta asciutta. Chiede ad ogni

istante quando arriva suo figlioche le concede una frettolosavisita una volta alla settimana;avrebbe bisogno del dentistama «Pierpaolo vede la mammacome una vecchia auto da ripa-rare e gli sembra inutile spen-dere soldi».

Per Olivia che non si decidea morire è pronta la casa di ri-poso e Mirta perde sia l’impie-

NARRATIVA ITALIANA/1. ANTONIO MANZINI

La badante tutto sopportaper salvare l’«orfano bianco»Il giallista abbandona il thriller per una storia intima e dolenteispirata a Mirta, moldava che si occupò di sua nonna

BRUNO GAMBAROTTA manzo è dedicata al resocontodella prima settimana di lavo-ro di Mirta, lasciata sola dai pa-droni di casa dopo averla som-mersa di istruzioni, raccoman-dazioni e soprattutto divieti.Qui il tempo narrativo si dilata,con il resoconto impietoso deirapporti fra Mirta e «quell’am-

masso di odio represso». Eleo-nora si ribella, sputa le medici-ne, se la fa addosso e le pagineche descrivono i duelli fra ledue donne sono da antologia,con Mirta immersa negliescrementi che per liberare lamano da un morso micidiale ti-ra via anche la dentiera allavecchia. Che poi, in tre dialoghinotturni, si rivela così dispera-ta da chiedere un aiuto per far-la finita alla sua badante, laquale naturalmente si sottraealla richiesta. Antonio Manzi-ni, in questo romanzo teso eterribile, non fa sconti a nessu-no. Qui non siamo dalle partidella capanna dello zio Tom, ma da quelle di Germinal.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Tra vecchi negli ospizi (che per noi sono diventati un peso) e una villalussuosa sull’Aventino

AntonioManzini«Orfani

bianchi»Chiareletterepp. 240, € 16

Quanto costa rinunciare al proprio figlio (lasciato a casa) per accudirela famiglia degli altri?

Nei primi anni deld o p o g u e r r a ,«vedove bian-che» erano chia-mate le mogli dei

nostri emigranti, rimaste acasa con i vecchi e i bambini.Ora gli Orfani bianchi sono ifigli lasciati in patria dalledonne arrivate in Italia peraccudire nel tragitto finaledella vita quei vecchi che pernoi sono diventati solo un in-gombrante fastidio.

Antonio Manzini gioca acarte scoperte e prendespunto da una domanda chesi fa osservando la rumenaMaria che si occupa di suanonna: quanto costa rinun-ciare alla propria famigliaper badare a quella degli al-tri? Per dare una misura aquesto sacrificio, l’autore sicala nei panni della moldavaMirta Mitea con l’abilità mi-metica del narratore di razza,tale che noi lettori vediamo ilmondo, percepiamo gli odori,subiamo la promiscuità, sof-friamo per l’invisibilità e perle offese patite da questa don-na che tutto sopporta peramore di Ilie, il figlio dodicen-ne rimasto nel villaggio di Lo-gofteni, affidato a una nonnain rapido declino. Mirta ha 34

go che una stanza dove dormi-re; in mancanza di meglio tro-va lavoro in una cooperativache fa le pulizie nei condomini.Sono un gruppo di donne divarie etnie, arrivano all’alba inun furgoncino sgangherato,scaricano scope, secchi, strac-ci e si sparpagliano su per lescale a strofinare gradino pergradino. Dopo aver letto la re-alistica cronaca di una giorna-ta tipo di Mirta, non sarà piùpossibile che queste donne re-stino invisibili ai nostri occhiquando le vediamo arrivaredavanti a casa.

Intanto nella lontana Molda-via la madre di Mirta muore eper il piccolo Ilie, rimasto soloin un paese abitato solo da vec-chi, non c’è altra soluzione chel’Internat, ossia l’orfanotrofioche ospita sia gli orfani veri epropri che quelli «bianchi».Per Mirta il congedo dal figlio èuno strazio mitigato solo dallarinnovata volontà di portarlocon sé non appena avrà accu-mulato i soldi necessari. Conl’aiuto e la complicità del com-patriota Pavel, Mirta, spac-ciandosi per infermiera diplo-mata, trova lavoro in una lus-suosa villa sull’Aventino per ac-cudire Eleonora, l’ultra novan-tenne madre del padrone di ca-sa, resa invalida da un ictus.

La seconda parte del ro-

CHUCK PALAHNIUK IN ANTEPRIMA

“Fumo” dallo spazio

animale da riproduzione, e lui aveva deciso di tacere a meno che non ci fosse stato qualcosa d’importante da dire. Mise da parte il cruciverba del giornale che risol-veva tutte le mattine. Il libro che stava leggendo lo usa-va come piattino per la tazza del caffè. Già sentiva le parole che si accumulavano dentro di lui, la pressione che montava sempre più vicina all’esplosione. Aveva la spiacevole sensazione che il linguaggio fosse arrivato sulla Terra e avesse inventato le persone al fine di per-

petuarsi. Lo diceva anche la Bibbia: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. Il linguaggio era arrivato dallo spazio siderale e aveva fatto accoppiare lucertole e scimmie e quant’altro fin-ché non era riuscito a creare un organismo ospite ca-pace di dargli sostentamento. Quella prima persona era stata esposta alla complicata sequenza di DNA dei nomi propri e dei verbi composti. Al di fuori del lin-guaggio non esisteva. Non c’era modo di fuggire. Per provare un qualche sentimento, al giorno d’oggi, ser-viva una quantità sempre maggiore di parole. Grandi discariche e ponti aerei di parole. Ci volevano monta-gne di chiacchiere per ottenere la più piccola intuizio-ne. La conversazione era come una di quelle macchine di Rube Goldberg in cui un uccello becca un chicco di granoturco incollato a un pulsante, premendo in que-sto modo il pulsante che mette in movimento una lo-

CHUCK PALAHNIUK SEGUE DA PAGINA I

NARRATIVA ITALIANA/3. ALESSANDRO ZACCURI

Nella trattoria dell’Angelola mafia cerca l’oro degli spalloniIl contrabbando romantico sul confine svizzerosi intreccia con la criminalità organizzata del Sud

Non lontano daComo, a ovest,dalle parti diDrezzo e Rona-go, e meglio an-

cora a est, sui monti sopra Cernobbio, Moltrasio e dun-que il lago, il confine con laSvizzera corre tra boschi ecrinali, lontano dagli sguardi dei finanzieri. Da qui passava-no gli spalloni. Il nome viene dal trasporto a spalla che fa-cevano di contanti, liquori, si-garette, e quant’altro alimen-tasse il contrabbando in

crimine, d’accordo, ma a quello«leggero», che a parte la com-plicità con gli spalloni includel’uso delle camere della tratto-ria per un piccolo giro di pro-stituzione, e l’intrallazzo conqualche elemento corrotto del-le forze dell’ordine.

È insomma un uomo oscuro,antipatico, che più che arro-gante è consapevole del pro-prio carisma e potere, esercita-to con pochissime secche paro-le. Anche con il figlio Angelo,che il lettore conosce a tredicianni, quando passa alla respon-sabilità della cassa del locale. Figuriamocelo bene: un padre

duro e con molti segreti (per-ché Angelo inizialmente non sa dei loschi affari) che apre un ta-le credito di fiducia a un ragaz-zino di soli tredici anni: la cassadel locale e anche le giusteistruzioni per trattare con sconti e favori i clienti più deli-cati: i contrabbandieri, le forzedell’ordine.

Questo affido dice più delleparole del Moro sul rapportoche ha con il figlio, perché si-gnifica stima, fiducia, amore.Partendo da qui, Lo Spregio ci

regala una densissima storia incui contano, più che i fatti – co-munque ricchi, a infittire latrama – le sfumature, per lo piùinattese, dei rapporti padre-fi-glio e madre-figlio, e dell’amici-zia, della fedeltà, dell’onore. Clamoroso, invece, è come ilcaso e il male possano irrom-pere anche nelle storie più soli-

PIERSANDRO PALLAVICINI

damente incanalate, nelle vitepiù graniticamente abitudina-rie. Caso e male sono una fami-glia del Sud, mafiosa, speditain confino in quell’estremolembo di Lombardia.

Gira meravigliosamente, nelromanzo, la macchina dell’attri-to tra la delinquenza piccola, di-retta, pragmatica del Moro e il sontuoso-untuoso potere mal-vagio esercitato da Don Ciccio. Il cui figlio, Salvo, ha l’età di An-gelo – che nel frattempo è cre-sciuto come un abile, cinico, ri-belle ma modesto truffatore di provincia – ed è infinitamentepiù bello, furbo, cattivo. I due di-ventano amici per la pelle, i due genitori invece si annusano adistanza e cercano non si capi-sce se un’alleanza come prote-zione per i figli o di porre in at-to un tentativo di reciproca so-praffazione. È qui che la storiaprende il colpo d’ala e assume itoni del grottesco, dell’indicibi-le, della grande storia tragica che solo la provincia sa genera-re, e la scrittura di Zaccuri – ni-tida, elegante, precisa – soste-nere lungo una china che scivo-la verso l’inferno.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVAT

Una fulminantediscesa all’infernotra monti e boschisopra Cernobbioe Moltrasio

un’epoca pre-Shengen, poiché il quadro europeo di apertura delle frontiere ha incluso in parte anche la Svizzera, facili-tando così gli scambi commer-ciali e quasi vanificando il ruolodel contrabbando.

Ma se torniamo ai primi an-ni Novanta, quelli del nuovo,breve, fulminante romanzo diAlessandro Zaccuri, quel con-trabbando torbido e romanticonell’alto comasco ancora con-tava molto. In più, generava lo-schi affari di risulta, alimen-tando una piccola delinquenzalocale, incruenta e non priva diun certo fascino letterario. Vi

appartiene Franco Morelli alias il Moro, proprietario e ge-store della Trattoria dell’Ange-lo, locale rustico in mezzo aiboschi verso il confine svizze-ro, frequentato in buona parteda turisti e in piccola parte – eda qui viene il vero guadagnodel Moro – da spalloni. Cheusano come deposito una fossaben nascosta dietro il locale, controllata, va da sé, dal Morostesso. Che è un duro con unalosca nomea e su cui circolanoleggende, le leggende di pro-vincia e di paese, ma che, pro-babilmente, non ha mai davve-ro ucciso nessuno. È dedito al

AlessandroZaccuri

«Lo spregio»Marsilio

pp. 120, € 16

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AntonioManzini

ha creato ilfortunato

personaggiodel

vicequestoreRocco

Schiavone,poliziotto poco

ortodossotrasferito perpunizione ad

Aosta(avrà il volto

di MarcoGiallini in una

serie tv).L’ultimo suo

giallo,«7-7-2007»

(Sellerio),è stato

bestsellerdell’estate