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Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni nanotech per la tutela della salute Nanotecnologie e medicina: dal drug delivery ai MEMS di Aldo Domenico Ficara Chip microelettromeccanico, un tipo di lab-on-a-chip

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Ecco alcune fra le più promettenti applicazioni nanotech per la tutela della salute

Nanotecnologie e medicina:dal drug delivery ai MEMS

di Aldo Domenico Ficara

Chip microelettromeccanico, un tipo di lab-on-a-chip

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La nanomedicina oggiLa nanomedicina è ormai una grande indu-stria, il cui fatturato è arrivato a 6,8 miliardi di dollari nel 2004, con oltre 200 compa-gnie e 38 prodotti commercializzati nel mondo. Nell’aprile 2006, la rivista Nature Materials stimava che fossero stati svilup-pati circa 130 tra farmaci basati sulla na-notecnologia e sistemi di distribuzione di medicinali nell’organismo (drug delivery). La National Nanotechnology Initiative, un programma di ricerca statunitense, pro-spetta nuovi impieghi commerciali di tali tecnologie nel campo dell’industria far-maceutica che potranno includere sistemi avanzati di erogazione di farmaci, nuove terapie e miglioramenti nella diagnostica per immagini.Le possibili applicazioni di settore van-no dall’uso clinico dei nanomateriali, alla formulazione di nuovi sistemi per la som-ministrazione dei farmaci, ai biosensori nanotecnologici, al possibile utilizzo - nel medio periodo - della nanotecnologia mo-lecolare. Da pochi anni a questa parte la ricerca ha tra i suoi obiettivi quello di re-alizzare laboratori per sviluppare le tecno-logie in campo bio-medicale come il drug delivery e la diagnosi precoce dei tumori questi, grazie alla loro natura interdisci-plinare tra le scienze della vita (medicina, biologia, farmacia) e scienze esatte (fisica e chimica), avranno enormi potenzialità nel progettare lab-on-a-chip (LOC), per la cura farmacologica dei tumori. In particolare questi studi comprenderanno due fasi di sviluppo. La prima riguarda il trasporto mirato dei farmaci (drug delivery, letteralmente “consegna del farmaco”), in termini di studio delle proprietà strutturali, di dinamica a livello molecolare di alcune classi di sistemi nanostrutturati di interes-se, di studio del targeting (mira, bersaglia-mento) e di velocità di rilascio del farmaco

in vitro da parte del vettore, in relazione alla funzionalizzazione delle superfici e della struttura tridimensionale create me-diante la micro e nano fabbricazione. La seconda fase di sviluppo concerne la scel-ta dei dispositivi da progettare e realizza-re per una migliore diagnosi precoce dei tumori, come i LOC e i bioMEMS di cui parleremo più avanti.

Drug deliverySono molte le ricerche sperimentali per la produzione e la caratterizzazione di nano-particelle che, ricoperte con polimeri bio-compatibili, possano diventare dei vettori efficienti da utilizzare nel drug delivery, inteso come lo sviluppo di sistemi alter-nativi di distribuzione mirata dei farmaci nell’organismo. Ciò al fine di circoscrivere l’effetto biologico della terapia a una deter-minata tipologia di cellule, migliorandone l’efficacia e riducendone, nel contempo, la tossicità. Pertanto, esso rappresenta una delle tecniche alternative migliori per la somministrazione di medicinali ai malati cronici, i quali necessitano di trattamenti continuativi, solitamente con alti dosaggi, che comportano spesso significativi effet-ti collaterali. Questi nuovi sistemi, infatti, hanno il grande vantaggio di poter veico-lare i principi attivi direttamente e solo sul bersaglio, in un’unica dose che viene rila-sciata gradualmente.Tra i possibili carrier (vettori) da utilizza-re nei processi di drug delivery troviamo quelli realizzati con nanoparticelle di oro, di silice, o di ossidi di ferro coniugati con dendrimeri (molecole polimeriche molto ramificate) i quali mostrano grandi poten-zialità come sistemi multivalenti per un im-piego sia diagnostico che terapeutico.Il chiosano, ad esempio, è un polimero di origine naturale derivato per deacetilazio-

Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS

In campo clinico e farmacologico le nanotecnologie si occupano delle applicazioni che sfruttano sistemi con dimensioni dell’ordine di grandezza dei nanometri per scopi terapeutici o diagnostici. La ricerca nel settore della nanomedicina offre numerose eclatanti prospettive, fino ad ipotizzare la futura creazione nano-macchine utilizzabili per riparare le cellule. In attesa di queste rivoluzionarie scoperte, discutiamo assieme delle tecnologie più promettenti attualmente in fase di sperimentazione: i nano-vettori per la distribuzione mirata dei farmaci (drug delivery), i lab-on-a-chip e altri tipi di MEMS, Micro Electro Mechanical Systems, utilizzabili a scopo diagnostico.

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ne (rimozione di uno o più gruppi acetile, -COCH3) alcalina dalla chitina, recente-mente proposto quale materiale per il ri-lascio controllato di farmaci attraverso le mucose. Altro esempio sono i globuli rossi, i quali - essendo cellule trasportatrici (di emoglobina) senza nucleo - potrebbero es-sere usati come carrier biologici. In alternativa si studiano le nanoshell (nano-gusci) multistrato, costituite da un nucleo di silice ricoperto da un sottile velo d’oro. La dimensione, la forma e la com-posizione delle nanoshell determinano in esse particolari proprietà ottiche che le fanno rispondere a specifiche lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica, permettendo di convertire la luce in calo-re, per distruggere selettivamente le cellu-le cancerose, senza intaccare i tessuti sani

adiacenti al tumore. In altre parole questi nano-gusci sono realizzati da un nocciolo sferico e da un dielettrico (isolante) di os-sido di silicio, aventi entrambi dimensioni dell’ordine dei nanometri. Il nocciolo è rac-chiuso in un guscio di oro che può essere progettato e costruito in modo da risuonare con la radiazione della luce incidente nella regione spettrale dell’infrarosso-vicino, as-solutamente innocua e capace di penetrare profondamente nei tessuti. Quest’ultima riscalda in modo selettivo le nanoshell irra-diate, provocando così l’ablazione termica del tessuto con il quale sono a contatto. L’indice terapeutico (TI) di un farmaco è il rapporto tra il suo beneficio per una data prescrizione e gli effetti collaterali indesi-

derati, rappresenta quindi un indice della validità del medicinale che aumenta in pro-porzione. Per questo i tecnologi farmaceu-tici, al fine di innalzare il valore di questo parametro, ipotizzano l’uso di questi vettori per strategie simultanee con bersagli diver-si, con un guadagno cumulativo in termini di selettività che, a sua volta, porta ad un au-mento del TI. In altri termini, le probabilità di localizzazione di una lesione attraverso meccanismi differenti sono additive, quindi il fatto che la progettazione di nanovettori possa trarre, contemporaneamente, vantag-gi da diversi meccanismi rende possibile una strategia terapeutica potenzialmente vantaggiosa.

Lab-on-a-chip e bioMEMS

Con lab-on-chip (LOC) si indica un dispo-sitivo, un laboratorio in miniatura, che in-tegra funzioni multiple su un singolo chip, con dimensioni variabili da pochi millime-tri a qualche centimetro quadrato. Si tratta in pratica di un microreattore (vedi Green n. 24, pagg. 26-33) capace di trattare volu-mi di fluidi estremamente piccoli inferiori all’ordine dei picolitri (un milionesimo di milionesimo di litro, 1 pl = 10-12 l). I LOC appartengono alla famiglia dei dispositivi MEMS, dall’inglese Micro Electro Mecha-nical Systems (microsistemi elettromecca-nici), indicati anche come µTAS, Micro Total Analysis Systems. Lavorando a livello di picolitri si en-tra nell’ambito della microfluidica, ter-mine generale che descrive anche di-spositivi di controllo di meccanica dei fluidi (pompe e valvole) o sensori, come flussometri e viscosimetri.Dopo la scoperta della microtecnologia, avvenuta attorno al 1954, per realizzare strutture integrate di semiconduttori per chip microelettronici, queste tecnologie basate sulla litografia elettronica furono applicate una ventina d’anni dopo per la fabbricazione di sensori di pressione nel campo manifatturiero. Tali nuovi sviluppi hanno portato alla progettazione di strut-ture meccaniche in silicio dell’ordine di grandezza dei micrometri o ancor più pic-cole, inizia così l’era dei MEMS microflu-idici, dispositivi che trasportano, erogano, combinano e/o separano fluidi a livello microscopico. I sistemi di spruzzamento, trasporto e misurazione di tale tipo rap-presentano un potenziale di innovazione tecnologica e produttiva che solo da poco le industrie hanno incominciato ad apprez-zare, realizzando che l’applicazione di que-

Azione delle nanoshell sul tumore mediante un particolare mecca-nismo detto “cavallo di Troia”. In questo caso esse vengono fa-gocitate dai macrofagi in seguito “reclutati” nella zona tumorale. A questo punto irradiando con raggi infrarossi (IR vicino) le nanoshell entrano in risonanza producendo calore che distrugge selettivamente le cellule malate.

Un lab-on-a-chip, un microre-attore in vetro con superficie di pochi centimetri quadrati. Si tratta di un dispositivo simile alle cartucce (cartridge) usate sul si-stema LOCAD-PTS della Nasa, rappresentato nelle immagini che seguono.

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sti dispositivi riesce a ridurre le quantità di liquidi impiegati, minimizzando gli scarti e consentendo di operare in serie o in paral-lelo su dispositivi multipli.Inizialmente i MEMS microfluidici sono stati utilizzati come valvole, pompe e siste-mi per getto d’inchiostro; in quest’ultimo caso servono per migliorare la risoluzione della stampa; grazie alla miniaturizzazio-ne permettono una maggiore densità degli ugelli, riducendo nel contempo il consumo di inchiostro, con un conseguente incre-

mento della vita media delle cartucce. Uno dei più avanzati centri di ricerca, sviluppo e produzione d’Europa in questo settore si trova in Valle d’Aosta e, precisamente, ad Arnad, nel polo tecnologico del Gruppo Olivetti Tecnost di proprietà della Telecom Italia. Il campionamento e l’analisi delle acque sono altre possibili applicazioni dei MEMS microfluidici, in questo caso, ad esempio, numerosi dispositivi possono essere collo-cati in punti strategici delle reti idriche per

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Il Lab-On-a-Chip Applications Development Portable Test Sy-stem (LOCAD-PTS) trasportato sulla Stazione spaziale interna-zionale (Iss) dallo Space Shuttle Discovery il 9 dicembre 2006. Il sistema serve per l’analisi di microrganismi prelevati tramite tamponi che vengono eluiti per poi distribuire il liquido nella cartuccia, il lab-on-a-chip vero e proprio, la quale viene poi “let-ta” dallo strumento.[Immagine: Nasa]

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misurare la qualità dell’acqua e l’eventuale presenza di sostanze tossiche. I bioMEMS, o bio-microsistemi, rappre-sentano un tipo particolare di dispositivi; sono progettati per trasportare, mescolare e/o separare liquidi a livello microscopico e presentano la caratteristica unica di poter trattare sia liquidi contenenti materiale bio-logico che fluidi biologici, come, ad esem-pio, il sangue. Si tratta di un gruppo molto vasto, comprendente apparecchiature in-tegrate e miniaturizzate utilizzabili per la ricerca e sviluppo in biologia e biochimica, nella diagnostica, nella terapia e nel moni-toraggio. Sono identificati con appellativi diversi a seconda delle loro caratteristiche e funzioni: biochip, bioMEMS, microar-ray, chip a Dna, cell-chip, micro-impianti.

Potenziali applicazioni con l’uso di Dna

Le possibilità di realizzare il trasporto mi-rato dei farmaci (drug delivery) con nano-

vettori e di creare dei microscopici lab-on-a-chip - interattivi a controllo remoto, in grado di raccogliere e trasmettere dati dall’interno del corpo del paziente - dimo-strano l’enorme potenziale delle nanotec-nologie in campo terapeutico, diagnostico e farmaceutico. Un recente comunicato stampa della Scuo-la Internazionale Superiore di Studi Avan-zati (SISSA) di Trieste, riportato dal nostro blog sulle nanotecnologie “Dieci alla meno nove” (http://chiacchieresulnano.blogspot.com/2011/05/forbici-molecolari-intrappo-late-in.html), apre nuove prospettive per la medicina molecolare di frontiera. Un team internazionale di ricerca ha scoperto un particolare meccanismo di interazione degli enzimi di restrizione all’interno di nanostrutture di Dna che apre a nuovi pos-sibili scenari per l’analisi di frammenti di tessuti, non realizzabile con le attuali tecni-che diagnostiche. Ciò potrebbe favorire lo sviluppo di nanotecnologie a basso costo, usando strutture composte da molecole di Dna, utili - per esempio - per l’analisi di

Descrizione delle biochimica alla base del funzionamento del LO-CAD-PTS della Nasa. Il sistema permette di analizzare i campioni per rilevare la presenza di batteri Gram-negativi (celeste), muffe e funghi (verde), batteri Gram-po-sitivi (rosso), grazie all’uso di tre diversi lab-on-a-chip che identifi-cano delle componenti cellulari specifiche, rispettivamente en-dotossine (LAL), glucano e acidi lipoteicoici (LTA). [Immagine: Jake Maule, NASA Marshall Space Flight Center]

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Nanotecnologie e medicina Dal drug delivery ai MEMS

AlCunE TECniCHE Di FAbbRiCAZiOnE DEi MEMSLe principali tecniche attualmente usate per la produzione di MEMS, Micro Electro Mechanical Systems, sono: 1) la microlavorazione di volume (bulk micromachining); 2) la microlavorazione superficiale (surface micromachining); 3) le tecniche LIGA.

1) il bulk micromachining

È stata la prima tecnologia ad essere sviluppata per produrre microstrutture semplici. Prevede la realizzazione di strutture tridimensionali direttamente in substrati di silicio usando tecniche che comportano la rimozione di materiale (etching) tramite attacchi umidi o secchi, la deposizione di strati sottili, l’introduzione di impurità nel substrato per cambiarne le proprietà, il bonding del substrato, legandovi sopra particolari molecole o strutture

Le cosiddette tecniche di attacco cristallografico servono per la rimozione selettiva del substrato, permettendo - per così dire - di scolpirlo. Si sfrutta l’anisotropia della velocità di attacco ai diversi piani del wafer cristallino (etch rates), dovuta al loro diverso orientamento. Possono essere usate soluzioni isotrope o anisotrope, ma nel primo caso le geometrie ottenibili hanno solo forma emisferica, mentre nel secondo è possibile ottenere forme diverse e meglio definite, a scapito di costi più elevati e tempi più lunghi

2) il surface micromachining

Attualmente si può considerare la tecnica più diffusa per la realizzazione di dispositivi MEMS. Consiste nella deposizione di strati dielettrici (isolanti) e metallici sulla superficie di un wafer siliceo e la successiva realizzazione delle strutture tramite tecniche fotolitografiche. Questi sono poi attaccati in modo da creare strutture anche molto complesse sulla superficie del substrato.

Per la composizione degli strati si usano due tipi di materiali: “strutturale” e “sacrificale”. Dopo la deposizione ogni strato viene lavorato tramite attacchi secchi e infine lo strato sacrificale viene rimosso per liberare le strutture formate, un po’ come la cera viene rimossa da un calco di gesso.

3) La tecnica LiGA (Roentgen Lithography Galvanic Abformung)

Questa particolare tecnica fotolitografica, sviluppata in Germania, è indicata per la produzione di strutture spesse con pareti laterali pratica-mente verticali. Si parte da un substrato conduttivo che viene ricoperto da uno strato molto spesso di photoresist, una sostanza polimerica che ha la proprietà di poter essere rimossa facilmente dalla soda caustica nel caso venga impressionata dai raggi UV-A, mentre è molto resistente alla corrosione da parte del cloruro ferrico se non esposta alla radiazione. Per poter penetrare verticalmente tutto lo strato, la lito-grafia sfrutta la luce di sincrotrone, cioè la radiazione elettromagnetica generata da particelle cariche, solitamente elettroni o positroni, che viaggiano a velocità prossime alla velocità della luce su una traiettoria curva determinata da un campo magnetico.

Dopo lo sviluppo che elimina le porzioni non impressionate, il photoresist viene sottoposto a electroplating che va a coprire la struttura for-matasi con la fotoincisione; in seguito la placcatura viene accresciuta galvanicamente finché il metallo non supera il livello del photoresist che viene in fine viene rimosso, ottenendo uno stampo metallico che è utilizzato per produrre un numero illimitato di copie in plastica.

singole cellule tumorali circolanti nel san-gue, di micro-dissezioni ricavate da biop-sie, di biomolecole contenute in campioni biologici minuscoli. Parametri ad oggi difficilmente analizza-bili potrebbero essere facilmente misurati utilizzando sensori miniaturizzati, con di-mensioni più piccole di una singola cellula, capaci di interagire con le biomolecole e di studiarne le caratteristiche. Usando metodi di manipolazione molecolare, questi ricer-catori hanno studiato l’interazione degli enzimi di restrizione con la doppia elica del Dna, in condizioni particolarmente diverse da quelle esplorate finora. Hanno utilizzato corte molecole di acido desossiribonuclei-co, lunghe appena una decina di nanome-tri, per costruire delle matrici simili a dei boschetti, formati da una “distesa” di pa-letti verticali su una superficie liscia. Così hanno scoperto che, quando la densità dei “paletti” di Dna è sufficientemente alta da formare una struttura altamente ordinata, gli enzimi possono accedere alla matrice solo dai bordi laterali, mediante diffusione. All’interno, essi si muovono solo in piano

su due dimensioni, cioè viaggiano da un lato all’altro restando intrappolati, anche per centinaia di micrometri, coprendo di-stanze centinaia o decine di migliaia di vol-te maggiori del loro diametro. Dal punto di vista fisico questa scoperta è sorprendente per due ragioni: la prima è che finora non era mai stato osservato un meccanismo diffusivo bidimensionale di questo tipo.La seconda riguarda il fatto che la diffusio-ne avvenga spontaneamente, senza il biso-gno di forze esterne (e quindi di energia); come avviene, per esempio, nell’elettrofo-resi o nei LOC dove bisogna applicare un campo elettrico.

Aldo Domenico FicaraIngegnere elettrotecnico

Docente di elettrotecnica presso l’IIS di Furci Siculo (ME)

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