Nanopatologie (chiaro e sintetico, tutto quanto è da sapere!)

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sempre stato un argomento studia- to con relativamente scarso appro- fondimento. La medicina, soprat- tutto quella del lavoro, se ne occu- pa da lungo tempo descrivendo alcune affezioni a carico dei pol- moni quali la silicosi, l’asbestosi, la talcosi e l’antracosi, classificandole come pneumoconiosi ed osservan- do le formazioni fibrotiche nodula- ri che queste provocano, ma non molto di più. È di recente che, nello stesso ambito medico, si comincia a ren- dersi conto che le polveri possono essere responsabili di ben altro e che l’incremento vertiginoso della loro concentrazione in atmosfera va di pari passo con l’incremento di affezioni, per esempio, di natura cardiovascolare [1], e che comin- ciano anche ad essere fortemente sospette malattie tumorali, malattie neurologiche, malattie della sfera sessuale e malformazioni fetali. Anche il vistoso aumento delle patologie allergiche, specie a livel- lo pediatrico, o di sensibilizzazione potrebbe essere correlato a fenome- ni d’inquinamento ambientale o a prodotti d’uso comune quale, ad esempio, il cemento cui vengono sempre più spesso addizionate le ceneri che residuano da processi di combustione di rifiuti. Le nanopatologie, pur coinvol- gendo non pochi campi della medi- cina, sono argomento senza dubbio nuovo al di fuori di ambiti scienti- fici molto particolari e ancora riser- vati agli addetti ai lavori. Volendo offrire una loro defini- zione succinta, le nanopatologie sono le malattie provocate da micro- e, soprattutto, nanoparticel- le inorganiche che riescono a pene- trare nell’organismo, umano o ani- male che sia, sortendo effetti i cui meccanismi in gran parte ancora da indagare e indipendenti dall’ori- gine delle particelle. Il lavoro del gruppo di Modena Nel 1990, il Laboratorio di Biomateriali dell’Università di Modena, fondato e diretto dalla dottoressa Antonietta Gatti, si trovò ad investigare sulla causa della rottura di un filtro cavale [2] all’interno della vena cava di un paziente. La causa della rottura fu presto individuata, ma la successi- va analisi, eseguita con sistemi di microscopia elettronica, rivelò qualcosa di molto strano: la pre- senza, sulle superfici di rottura di quell’oggetto, di elementi, come il titanio, che non fanno parte del- l’organismo umano né entrano nella composizione di quel disposi- tivo particolare fatto d’acciaio inossidabile [3]. Un paio d’anni più tardi, allo stesso laboratorio si presentò un caso del tutto analogo e, ancora una volta, furono trovati elementi estranei sia ai tessuti umani sia alla lega metallica del filtro, quali allu- minio e titanio [4]. In seguito, alla fine del 1997, si presentò l’occasione di esaminare i 18 Ambiente Risorse Salute n. 110 Settembre/Ottobre 2006 Nanopatologie: cause ambientali e possibilità di indagine Stefano Montanari*, Antonietta M. Gatti** * Nanodiagnostics, Via E. Fermi 1/L, 41057 San Vito (Modena) ** Laboratorio di Biomateriali, Università di Modena e Reggio Emilia Introduzione L’uomo è sempre vissuto in un ambiente polveroso: i vulcani, l’e- rosione delle rocce, la sabbia di deserti e spiagge trasportata dal vento, gl’incendi boschivi, sono tutte fonti naturali di polveri più o meno fini. A seconda della loro dimensione, questi minuscoli gra- nelli restano più o meno a lungo in sospensione in atmosfera e possono essere trasportati per migliaia di chilometri. Le sabbie sahariane arrivano non raramente in Europa e sono le responsabili delle piogge rosse che di tanto in tanto cadono sui nostri territori. Le stesse sabbie, pur non essendo particolarmente fini dal punto di vista granulome- trico, si trovano al di là dell’Oceano Atlantico, sulle coste orientali sta- tunitensi, e risultano particolar- mente visibili alle Isole Bahamas dove spiccano per colore sulle rocce vulcaniche native. Ma se la Natura è responsabile di una certa quota delle polveri che si trovano nell’ambiente, è l’uomo con le sue attività ad esserne il grande produttore. Restando in sospensione, è inevi- tabile che le polveri siano inalate insieme con l’aria e, cadendo al suolo, è altrettanto inevitabile che queste finiscano su frutta, verdura e foraggio, entrando così nella catena alimentare di uomini e ani- mali. Come interagiscano queste pol- veri con l’organismo, quali effetti provochino, se mai hanno effetti, è Inquinamento e Salute Inquinamento e Salute

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Un articolo sintetico e chiaro (e scientifico!) che ci spiega come gli inceneritori sono macchine di morte.

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sempre stato un argomento studia-to con relativamente scarso appro-fondimento. La medicina, soprat-tutto quella del lavoro, se ne occu-pa da lungo tempo descrivendoalcune affezioni a carico dei pol-moni quali la silicosi, l’asbestosi, latalcosi e l’antracosi, classificandolecome pneumoconiosi ed osservan-do le formazioni fibrotiche nodula-ri che queste provocano, ma nonmolto di più.

È di recente che, nello stessoambito medico, si comincia a ren-dersi conto che le polveri possonoessere responsabili di ben altro eche l’incremento vertiginoso dellaloro concentrazione in atmosferava di pari passo con l’incremento diaffezioni, per esempio, di naturacardiovascolare [1], e che comin-ciano anche ad essere fortementesospette malattie tumorali, malattieneurologiche, malattie della sferasessuale e malformazioni fetali.Anche il vistoso aumento dellepatologie allergiche, specie a livel-lo pediatrico, o di sensibilizzazionepotrebbe essere correlato a fenome-ni d’inquinamento ambientale o aprodotti d’uso comune quale, adesempio, il cemento cui vengonosempre più spesso addizionate leceneri che residuano da processi dicombustione di rifiuti.

Le nanopatologie, pur coinvol-gendo non pochi campi della medi-cina, sono argomento senza dubbionuovo al di fuori di ambiti scienti-fici molto particolari e ancora riser-vati agli addetti ai lavori.

Volendo offrire una loro defini-

zione succinta, le nanopatologiesono le malattie provocate damicro- e, soprattutto, nanoparticel-le inorganiche che riescono a pene-trare nell’organismo, umano o ani-male che sia, sortendo effetti i cuimeccanismi in gran parte ancorada indagare e indipendenti dall’ori-gine delle particelle.

Il lavoro del gruppodi Modena

Nel 1990, il Laboratorio diBiomateriali dell’Università diModena, fondato e diretto dalladottoressa Antonietta Gatti, sitrovò ad investigare sulla causadella rottura di un filtro cavale [2]all’interno della vena cava di unpaziente. La causa della rottura fupresto individuata, ma la successi-va analisi, eseguita con sistemi dimicroscopia elettronica, rivelòqualcosa di molto strano: la pre-senza, sulle superfici di rottura diquell’oggetto, di elementi, come iltitanio, che non fanno parte del-l’organismo umano né entranonella composizione di quel disposi-tivo particolare fatto d’acciaioinossidabile [3].

Un paio d’anni più tardi, allostesso laboratorio si presentò uncaso del tutto analogo e, ancorauna volta, furono trovati elementiestranei sia ai tessuti umani sia allalega metallica del filtro, quali allu-minio e titanio [4].

In seguito, alla fine del 1997, sipresentò l’occasione di esaminare i

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Nanopatologie: cause ambientalie possibilità di indagineStefano Montanari*, Antonietta M. Gatti*** Nanodiagnostics, Via E. Fermi 1/L, 41057 San Vito (Modena)

** Laboratorio di Biomateriali, Università di Modena e Reggio Emilia

Introduzione

L’uomo è sempre vissuto in unambiente polveroso: i vulcani, l’e-rosione delle rocce, la sabbia dideserti e spiagge trasportata dalvento, gl’incendi boschivi, sonotutte fonti naturali di polveri più omeno fini. A seconda della lorodimensione, questi minuscoli gra-nelli restano più o meno a lungo insospensione in atmosfera e possonoessere trasportati per migliaia dichilometri. Le sabbie saharianearrivano non raramente in Europae sono le responsabili delle pioggerosse che di tanto in tanto cadonosui nostri territori. Le stesse sabbie,pur non essendo particolarmentefini dal punto di vista granulome-trico, si trovano al di là dell’OceanoAtlantico, sulle coste orientali sta-tunitensi, e risultano particolar-mente visibili alle Isole Bahamasdove spiccano per colore sullerocce vulcaniche native.

Ma se la Natura è responsabile diuna certa quota delle polveri che sitrovano nell’ambiente, è l’uomocon le sue attività ad esserne ilgrande produttore.

Restando in sospensione, è inevi-tabile che le polveri siano inalateinsieme con l’aria e, cadendo alsuolo, è altrettanto inevitabile chequeste finiscano su frutta, verdurae foraggio, entrando così nellacatena alimentare di uomini e ani-mali.

Come interagiscano queste pol-veri con l’organismo, quali effettiprovochino, se mai hanno effetti, è

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reperti bioptici epatici e renali di unpaziente che da oltre otto anni sof-friva di febbre intermittente unita agravi compromissioni al fegato e,soprattutto, ai reni, senza che nes-suno fosse in grado di stabilire l’o-rigine dei sintomi. La biopsia difegato e reni rivelò la presenza diuna granulomatosi, non batterica enon virale, classificata come cripto-genica. Con grande sorpresa, inseguito alle analisi eseguite fu evi-dente che quei tessuti contenevanomicro- e nanoparticelle di materia-le ceramico, un materiale identico aquello che costituiva la protesi den-taria, estremamente usurata, che ilpaziente portava. Quello che eraavvenuto era abbastanza semplice:i detriti che la protesi produceva acausa di una cattiva occlusione e,dunque, di una scorretta mastica-zione e di un tentativo maldestro diaggiustamento erano stati inghiot-titi per otto anni. Poi, questi detritierano in qualche modo finiti nelfegato e nei reni dove erano rima-sti, provocando una granulomatosiche si era aggravata tanto da con-durre i medici a prevedere per ilpaziente un trattamento emodialiti-co cronico che pareva ormai immi-nente ed inevitabile. Rimossa laprotesi e trattato il soggetto conun’opportuna terapia cortisonica, isintomi si stabilizzarono e ancheregredirono in parte, per cui non funecessario ricorrere all’emodialisi[5] [6].

Allora iniziò una ricerca negliarchivi delle Università di Modenae di Magonza (Germania) e delRoyal Free Hospital di Londra peravere reperti autoptici e bioptici dipazienti che soffrissero o avesserosofferto di malattie criptogeniche dinatura infiammatoria. I materialisui quali iniziò il lavoro di indagi-ne riguardavano principalmentevarie forme tumorali e granuloma-tosi di origine non virale e non bat-terica, simili in qualche modo alcaso già osservato. In tutti i casianalizzati, i campioni contenevanomicro- e nanoparticolato inorgani-co.

Per poter allestire una ricerca piùsistematica, la dottoressa Gattichiese ed ottenne un supporto

finanziario dalla ComunitàEuropea, e il progetto (QLRT-2002-147), che coinvolse anche leUniversità di Magonza e diCambridge, la FEI (già appartenen-te al gruppo Philips) e la Biomatech(azienda privata di ricerca france-se), fu battezzato “Nanopathology”,indicando con quel neologismo lostudio delle patologie indotte damicro- e nanoparticelle.

L’indagine microscopica

In parte con i fondi dellaComunità Europea e in parte confondi privati, fu possibile acquista-re un microscopio elettronico ascansione ambientale (ESEM)accessoriato con uno spettroscopioa raggi X a dispersione d’energia(EDS) e fu approntata una metodicaad hoc per gli scopi della ricerca. Ilprincipale vantaggio offertodall’ESEM è la possibilità di osser-vare campioni biologici vitali incondizioni ambientali, evitando iltrattamento sotto vuoto (che fareb-be evaporare il contenuto d’acqua eucciderebbe i tessuti), la ricoperturacon metalli o carbone e, quindi,l’introduzione d’inquinanti.L’utilizzo dell’EDS, invece, permettedi eseguire un’analisi elementarefocalizzata sul campione. La pecu-liarità della indagine condotta,dunque, consiste nell’osservazionedi polveri inorganiche di dimensio-ni micro e nanometriche all’internodi tessuti biologici. Naturalmente,la stessa metodica può trovareimpiego anche per polveri analoghedisperse in altri mezzi quali, adesempio, alimenti o prelieviambientali.

Le fonti delle polveri

Già nell’introduzione si è dettoche la natura è una produttrice dipolveri. Si tratta, di norma, di gra-nelli che non scendono sotto ledimensioni di alcuni micron e,salvo casi particolari come, adesempio, le particelle liberate dallerocce amiantifere, non paiono esse-re dotate di particolare pericolosità

per la salute umana, se non altroper la loro concentrazione, tuttosommato scarsa.

È l’uomo, come accennato sopra,ad essere responsabile di una quotasoverchiante d’inquinamento, tantoper quantità quanto, e soprattutto,per pericolosità.

Se si dovesse caratterizzare laspecie umana rispetto a qualsiasialtro animale, basterebbe indicarlacome la sola inquinante e in dis-equilibrio con la natura che popoliil Pianeta. In effetti, l’uomo hacominciato ad inquinare nelmomento in cui ha imparato adaccendere il fuoco poiché, di fatto,ogni combustione è fonte di parti-colato primario e secondario e diuna quantità di gas più o menoaggressivi per l’organismo [7]. Mala tecnologia delle alte temperature,quelle temperature che produconoparticolato fine e finissimo, èdiventata disponibile su grandescala solo in tempi relativamenterecenti e viene utilizzata, in parti-colare, per produrre energia. Lastessa energia che, oggi, generatain gran parte per combustione, èstata fornita, per quasi tutto iltempo trascorso dall’uomo sullaTerra, dai muscoli propri e da quel-li degli animali. La combustionecomincia ad essere impiegata ingrande stile solo nella cosiddettaPrima Rivoluzione Industriale, conlo sfruttamento dell’acqua trasfor-mata in vapore; pochi decenni piùtardi, con la Seconda RivoluzioneIndustriale, il carbone comincia adessere usato per far funzionare leprime vere macchine industriali;allora le fonti fossili, bruciando,iniziarono ad influenzare sensibil-mente l’ambiente.

Oggi, la maggior parte dell’inqui-namento ambientale ed alimentareda polveri si deve ai motori a scop-pio, alle fonderie, ai cementifici,agli inceneritori, spesso chiamatiabusivamente termovalorizzatori,alle esplosioni in genere, e giù finoad operazioni apparentemente piùinnocue come quelle di saldatura.Se le temperature sono elevate,molte sostanze inorganiche volati-lizzano per poi ricombinarsi, spessoin modo diverso da quello d’origi-

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ne, sotto la forma delle particelledescritte sopra che, avendo massapiccolissima, si comportano come igas, restando sospese in aria ancheper tempi assai lunghi e migrandocon gli eventi atmosferici anche perdistanze enormi. È necessario sot-tolineare che quasi mai queste pol-veri sono biodegradabili, il chesignifica che, in termini pratici,sono da considerare eterne. Inaggiunta a questo, non esistonosistemi tecnologici efficaci per atte-nuarne la pericolosità.

Tra le fonti odierne d’inquina-mento da polveri inorganiche, nespicca una, quanto meno per inuti-lità: l’incenerimento dei rifiuti.L’illusione che questa pratica offre èquella di far scomparire l’immondi-zia, mentre le leggi naturali, esegnatamente la legge di conserva-zione della massa o di Lavoisier,c’insegnano che questa scomparsaaltro non è se non un ingenuogioco di prestigio. Nei fatti, quantos’introduce in un inceneritore, e icosiddetti termovalorizzatori nonfanno eccezione, esce invariatoquanto a massa ma trasformatochimicamente in sostanze di granlunga più tossiche rispetto a quelleiniziali e ridotto nella sua partesolida in polveri fini, finissime edultrafini che hanno un grave

impatto sull’organismo. Se, poi, siconsidera che al rifiuto vengonoaddizionate sostanze chimiche e nelprocesso s’impiega acqua, e che lacombustione comporta una combi-nazione chimica con l’ossigenoatmosferico, ciò che esce dal pro-cesso d’incenerimento è una massaalmeno doppia di materiale rispettoa quello che ci si era proposti dismaltire. Dunque, la pratica è deltutto illusoria e, di fatto, altro nonè se non una maniera per moltipli-care la massa di rifiuti e per render-li sicuramente patogeni.

In presenza d’insediamenti indu-striali o d’impianti a caldo comequelli per il trattamento dei rifiuti,di norma si eseguono indagini sullaqualità dell’aria, e queste indaginisono tese ad individuare inquinantiquali, tra molti altri, ossidi di car-bonio e d’azoto, o composti comegli organoalogeni (per esempio, lediossine, i policlorodibenzofurani oi policlorobifenili). Tra gl’inquinan-ti, ci sono anche i metalli pesanti, equesti vengono liberati nell’ariaspesso in forma elementare, per poiraggrupparsi, come si è detto, inparticelle solide che non di rado, sela temperatura è sufficientementealta, formano leghe del tutto casua-li non catalogate in alcun manualedi metallurgia.

Le vie d’ingressodel particolato

Al Laboratorio di Biomaterialidell’Università di Modena, iniziatele ricerche, fu subito evidente che ilparticolato micro- e nanometrico èin grado di entrare nell’organismo eche, almeno in parte, non vieneaffatto eliminato come, invece, siera sempre dato per scontato, ben-ché nessuna ricerca scientificaesaustiva in proposito fosse maistata eseguita e non esistessero ele-menti solidi per sostenerlo.

Risultò altrettanto evidente comela via preferenziale d’ingresso ditale materiale sia l’inalazione (unessere umano respira circa 20 m3

d’aria al giorno). Le particellesospese vengono inspirate e fini-scono (se di dimensioni sufficiente-mente ridotte, il che è un’evenienzaassolutamente comune) neglialveoli polmonari dove, per quantoconcerne la loro frazione dimensio-nalmente grossolana, vale a direqualche micron o decina di micron,sono di norma fagocitate daimacrofagi. Una volta divorati que-sti corpi estranei, i macrofagi nonriescono, però, a degradarli né adistruggerli, perché quei granellisono costituiti da sostanze non bio-degradabili. Esclusa la frazione chei macrofagi riescono a portare alivello delle vie respiratorie supe-riori e ad eliminare tramite l’espet-torazione, morto il macrofago, leparticelle rimangono dunque nel-l’organismo. Se il particolato è didimensioni nanometriche (da qual-che decimillesimo di millimetro ingiù) riesce a passare, e lo fa in unminuto, direttamente dall’alveolopolmonare alla circolazione san-guigna [8]. Dal sangue agli organi ilpasso è breve, soprattutto se sipensa che le nanoparticelle sono ingrado di entrare anche nei globulirossi (figura 1), un ottimo cavallodi Troia per superare ogni barriera.

Quale che sia la strategia adotta-ta per penetrare nei globuli rossi orestare, come molto più spessoaccade, nella frazione plasmaticadel sangue, entro breve tempo que-ste particelle vengono sequestrateda qualche tessuto dell’organismo epossono finire in fegato, reni, gan-

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gli linfatici, cervello o altri organi.Uno studio del 2004 ha accertatoche nanoparticelle assunte per ina-lazione possono raggiungere il cer-vello percorrendo gli assoni dellecellule nervose [9]. Aggrava lasituazione il fatto che il particolato,oltre a non essere biodegradabile, èanche non biocompatibile, il chesignifica che è, per definizione,patogenico, cioè capace d’innescareuna malattia. Come avviene per unqualsiasi corpo estraneo, l’organi-smo reagisce alla presenza indesi-derabile di quei minuscoli granellidi polvere con uno stato infiamma-torio; tale reazione diventa visibilequando la concentrazione dei detri-ti è abbastanza elevata. Ma quandoi granelli sono nanometrici, eccoche sono capaci di penetrare in pro-fondità nelle cellule, fino all’inter-no del nucleo (figura 2) senza chela cellula percepisca la loro presen-za, tanto che la membrana restaintegra e la cellula vitale e capacedi riprodursi.

Una sorta di laboratorio per l’os-servazione delle patologie da inala-zione è offerto da New York, dove ilgruppo del Laboratorio Nanodia-gnostics di Modena è impegnatonello studio di chi ha prestato soc-corso dopo l’11 settembre 2001.Nella zona, diverse centinaia di

migliaia di persone soffrono dimalattie che hanno grande proba-bilità di essere state causate dall’e-sposizione e dalle immense quanti-tà delle polveri più varie che leesplosioni e i crolli hanno generato.Le patologie oncologiche più

comuni riscontrate sono i linfominon Hodgkin e le leucemie, madecisamente notevoli sono anchemalattie neurologiche come faticacronica, insonnia, perdita di memo-ria a breve, morbo di Parkinson emorbo di Alzheimer, patologie,queste due ultime, insorgenti insoggetti insolitamente giovani.

Dopo l’inalazione, la via d’assun-zione più frequente per i micro- enanodetriti è l’ingestione. Le parti-celle che fluttuano in aria, prima opoi cadono a terra, depositandosisu frutta e verdura, che sono ali-mento per l’uomo, e sull’erba, che ècibo per gli animali. Nell’apparatodigerente si possono trovare parti-celle inorganiche delle dimensionidi 40-50 micron (figura 3) o anchepiù grandi che né l’acqua, né glienzimi, né l’acidità dello stomacosono in grado di dissolvere. Anchel’apparato digerente lascia transita-re con una certa libertà il particola-to che, come avviene per quelloinalato, entra nel sangue e nei vasilinfatici, seguendo poi sorte analo-ga all’altro. In questo caso, particel-le relativamente grossolane posso-no restare imprigionate nel tessutodella parete gastrica o intestinale.

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Figura 2 - Epatocita con particelle nel nucleo.

Figura 3 - Adenocarcinoma con microparticella di Zirconio da 50 micron.

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Una situazione in cui inalazioneed ingestione sono vie di assunzio-ne ugualmente importanti sono lezone teatro di guerra e le localitàlimitrofe, pur non coinvolte negliscontri bellici. Il gruppo di Modenaè impegnato nelle ricerche sullesindromi cosiddette del Golfo e deiBalcani, che affliggono militari ecivili allo stesso modo, nelle zonedell’Iraq e della ex-Jugoslavia.Secondo quanto finora rilevato [10][11], i soggetti impegnati in quellezone si ammalano non tanto per laradioattività dell’uranio impoveritocontenuto in certi proiettili ed incerte bombe (al più, la radioattivitàpotrebbe essere una concausa), oper la tossicità dell’uranio, bensìper l’inalazione e l’ingestione dienormi quantità di polveri sottili esottilissime che ogni esplosione adalta temperatura sviluppa; le tem-perature raggiunte in presenza diuranio, durante le esplosioni, supe-rano i 3.000 °C, causando la volati-lizzazione di bersaglio e proiettileinsieme. Questi materiali si ricon-densano velocemente in atmosferasotto forma di micro- e nanoparti-colato che, come tutte le polverisimili, resta in sospensione pertempi anche molto lunghi e puòessere inalato, depositandosi, infi-ne, lentamente al suolo, ricadendosui prodotti commestibili dellaterra. Poi, basta un refolo di ventoper risollevare la polvere e ricomin-ciare il ciclo.

Esistono ulteriori, seppur menofrequenti, vie d’ingresso nell’orga-nismo. L’ipotesi di un passaggio diparticelle attraverso la pelle, inrelazione all’uso di particolato inalcune creme cosmetiche, a tutt’og-gi, non pare essere dimostrata suf-ficientemente, quanto meno in pre-senza di una pelle integra.

Relazione tra presenzadi polveri e incidenzadella malattia

La domanda che sorge spontaneaè: esiste una relazione causa-effet-to certa tra la presenza di particellee malattia?

Una delle basi della scienza medi-ca è la statistica, e la statistica si

avvicina sempre più alla verità conil crescere dei numeri. Benché ilgruppo di Modena raccolga da annidati sempre coerenti e mai contrad-dittori, non è possibile affermare diavere una quantità sufficiente dicasi (ad oggi, ottobre 2006, i casi dicancro esaminati sono circa 600)per avere il diritto di affermare chela relazione esiste con certezzaassoluta.

Tuttavia, una delle basi scientifi-che per valutare la bontà di unateoria è la sua capacità di predire ifenomeni. Nei casi in cui si è pre-sentata la possibilità di conosceredati rilevanti in nanopatologie, èstato possibile predire con precisio-ne l’istaurarsi di una malattia. Inmolte circostanze, poi, semplice-mente esaminando con la metodo-logia descritta un campione patolo-gico, il gruppo è stato in grado diricostruire le condizioni d’inquina-mento in cui il soggetto è vissuto,fino ad individuare quale fosse lamarca di sigarette che questi even-tualmente fuma o ha fumato. Fra letante, una prova per tutte sullacapacità di previsione della nuovabranca scientifica è quanto accadu-to poco dopo il crollo delle TorriGemelle a New York. Allora il grup-po previde correttamente che entroqualche anno un numero grandissi-mo di persone scampate al crollo,ma coinvolte per giorni o mesi nel-l’ambiente dove aleggiavano enor-mi quantità di polveri, si sarebberoammalate di patologie simili aquelle di cui soffrono i reduci dalleguerre del Golfo e dei Balcani. Aquanto risulta da comunicazioninon ufficiali risalenti all’inizio del2005, i soggetti che si sono effetti-vamente ammalati dovrebberoessere circa 400.000, ma i numerisono in sicuro aumento.

Altro esempio da considerare èl’esperimento [12], eseguito qualcheanno fa su una popolazione di ratti,con l’iniezione nel sottocute di unametà della loro schiena, di nano-particelle metalliche e ceramiche el’impianto, nell’altra metà, didischetti relativamente grandi deglistessi materiali. Entro sei mesi, tuttii ratti mostrarono segni evidentissi-mi di rabdomiosarcoma nella metàdove era stato iniettato il particola-

to, mentre dove erano stati impian-tati i dischetti si notava solo unainnocua fibrosi. Interessante èanche notare come le particelleceramiche iniettate si fosseroagglomerate, comportandosi qualiparticelle non più nanometriche,ma micrometriche, e non avesserodato origine ad una forma tumora-le o, almeno, non ne avessero avutoil tempo.

Un altro fondamento scientificonella valutazione di un modello è lasua capacità di spiegare i fenomeni,e non c’è dubbio che la teoriananopatologica spiega con chiarez-za l’origine di non poche affezionicriptogeniche. Ora lo studio proce-de per approfondire la comprensio-ne dei meccanismi biologici coin-volti nella connessione tra causa edeffetto. Un nuovo progetto europeo,denominato DIPNA e coordinatodalla dottoressa Gatti, è chiamato afar luce su diversi aspetti, ancoraignorati.

Le leggi che regolanole nanoparticellenell’organismo

Agli ordini di grandezza delleparticelle in questione, soprattuttoquelli nanometrici, le leggi dellabiologia classica non funzionanopiù, così come la fisica di Newtonnon è capace di spiegare il compor-tamento degli atomi o della luce e,anzi, questi comportamenti vedreb-be come assurdi. Dal punto di vistabiologico, queste entità non si com-portano né come oggetti di dimen-sioni più grossolane né come ioni,nozione, quest’ultima, che riescepiuttosto ostica ai tossicologi clas-sici.

Alla tossicità, che potremmo defi-nire chimica, di un determinatomateriale si sovrappone un effettodeleterio di natura fisica, dovutoalla presenza di un corpo estraneodi dimensioni tali da poter interfe-rire con i tessuti a livello cellulare esubcellulare. I due effetti combinatisinergicamente danno luogo a rea-zioni biologiche mai indagateprima, che per non essere fraintesenecessitano di un approccio medicoinnovativo e scevro di preconcetti.

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Come regola generale, più unaparticella è piccola, più è aggressi-va, ma questa aggressività non siaccresce in maniera analogica conil diminuire delle dimensioni. Lacosa risulta evidente se si prendonoin considerazione le PM 2,5, vale adire il particolato sospeso in atmo-sfera il cui diametro aerodinamicomedio è uguale o inferiore a 2,5micron. A quanto risulta dagli studicitati, un incremento nella concen-trazione atmosferica di questomateriale comporta un incrementoparallelo nella mortalità cardioge-na. Non altrettanto accade per lepolveri PM10 (particolato con dia-metro aerodinamico medio pari oinferiore a 10 micron). In questosecondo caso sembra non esistereuna correlazione diretta tra i duefenomeni.

Malauguratamente, ciò che vienecontrollato per legge è la concentra-zione di PM10 presente in atmosfe-ra; controllo, questo, effettuato pervia gravimetrica. Questo metodo dimisura ha scarso significato se dallamisura si vogliono ricavare indica-zioni circa l’effetto nocivo sull’orga-nismo di quel tipo d’inquinamento.Ciò di cui si dovrebbe tenere conto èil numero di particelle e la lorodimensione, ricordando che più que-ste sono piccole, più sono deleterie.Ora, disponendo di una particellaidealmente sferica del diametro di 10micron, per elementari motivi geo-metrici potrebbero essere ricavate daqueste 64 particelle sferiche di dia-metro 2,5 micron, o 1.000 di diame-tro 1 micron o 1.000.000 di diame-tro 0,1 micron. Poiché la legge valu-ta solo la massa, il risultato sarà cheuna particella da 10 micron o1.000.000 di particelle da 0,1 micronsono perfettamente equivalenti. Dalpunto di vista scientifico, invece, siavrà, da una parte, l’impatto conl’organismo di un’innocua particellagrossolana e, dall’altra, 1.000.000d’impatti di particelle incomparabil-mente più penetranti. Così, i con-trolli di legge sono di scarso interes-se, sviano da quello che dovrebbeessere l’obiettivo da perseguire erischiano di indurre a ritenere, deltutto fallacemente, che l’aria di oggisia in qualche modo più pulita diquella di alcuni anni fa.

A questo punto, per valutare lanocività delle micro- e nanoparti-celle bisogna considerare un certonumero di fattori.

Probabilmente, il fattore piùimportante è la loro qualità di corpiestranei, elementi, cioè, che l’orga-nismo vede come nemici e che, perquesto, combatte, cercando didistruggerli o, alla peggio, d’isolar-li. In ambedue i casi, non dimenti-cando mai che quegli oggetti cosìpiccoli non sono né biocompatibiliné biodegradabili, il risultato è unacondizione patologica non necessa-riamente evidente, o semplicementenon evidente subito o, magari, maievidente, dal punto di vista clinico.

È ovvio che la composizione chi-mica è di grande importanza neldeterminare la tossicità della parti-cella: che il mercurio sia più vele-noso del ferro o il piombo del sodioè nozione comune. Occorre, poi,prestare attenzione alle eventualitrasformazioni cui il particolatometallico sequestrato in un tessutopuò andare incontro. Non sono daescludere, infatti, fenomeni di cor-rosione con conseguente alterazio-ne della tossicità dell’elemento.

Sono importanti, poi, le dimen-sioni del particolato e la velocità diinalazione o ingestione, poiché piùl’introduzione è rapida e più alta èla concentrazione, maggiore è lapericolosità. Infine, senza entrare inulteriori particolari, la forma è ele-mento da considerare. Particelle aforma di ago, come, ad esempio,quelle di amianto, sono assai piùpenetranti di quelle tondeggianti.

Prevenzione e regoledi comportamento

È possibile per il corpo umanoliberarsi da queste presenze estra-nee, una volta assorbite? Almomento, la risposta è negativa.Questo, però, non significa affattoche non esistano o non possanoesistere sistemi artificiali utili alloscopo, come fu, ad esempio, qual-che decennio fa, l’emodialisi per ipazienti nefropatici.

Per studiare questi sistemi, occor-re ampliare i team di studio e dis-porre di adeguato capitale, presup-

posto, quest’ultimo, che attualmen-te non sussiste.

Per ora il metodo più efficace è laprevenzione.

È opportuno per prima cosa cer-care di non creare particolato o,quanto meno, di non crearne trop-po, e poi occorre difenderci daquello esistente. Esistono forme diprevenzione che non costano nullae che non sono attuate solo perignoranza o per incuria. Basterebbecoprire con un foglio di plastica laverdura esposta dai negozi sullastrada per veder cadere drastica-mente la quantità di particelle inquegli alimenti (le nanoparticellecadute su un cavolo non possonoaffatto essere eliminate con illavaggio). Oppure basterebbe che ilmacellaio, una volta affilato il col-tello sulla cote, non tagliasse subi-to la carne ma passasse il coltellosu di un panno e lo lavasse.Oppure, ancora, basterebbe che isaldatori non portassero a casagl’indumenti da lavoro e indossas-sero un copricapo e una mascheri-na (non quelle usate negli ospedali,quasi del tutto inefficaci per questoscopo). E che dire, poi, delle colturecresciute ai margini delle autostra-de o vicino agli inceneritori o acerti insediamenti industriali? E,infine, perché usare tanti sacchettidi plastica quando con una sportasi potrebbe ottenere lo stesso servi-zio molte volte? Tutti questi conte-nitori finiscono in gran partenegl’inceneritori, avidi di plasticache produce calore nella combu-stione, alimentando una formaassai grave d’inquinamento da par-ticolato.

Conclusioni

La conoscenza acquisita nelcampo della nanopatologia imponeuna ricerca più approfondita inquesta branca della scienza che staaprendo un vero e proprio universonel campo della medicina. Se l’u-manità di oggi vorrà lasciare unmondo meno invivibile alla genera-zione che verrà, dovrà liberarsi ditroppi preconcetti privi di basescientifica e, bisogna ammetterlo,d’interessi come quelli legati al

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Page 7: Nanopatologie (chiaro e sintetico, tutto quanto è da sapere!)

grande affare degl’inceneritori nelnostro Paese che rischiano di con-durci ad un punto di non ritorno.

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