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Un’indagine su 140mila bilanci realizzata in collaborazione con Cerved ridisegna la cartina geografica della crescita e individua imprese capaci di aumentare sempre i ricavi nel periodo più nero della nostra economia, dal 2007 ad oggi. I 771 campioni sono più presenti al Nord e nei settori meno soggetti al ciclo economico, ma non mancano le eccezioni. Ecco chi sono le 100 società più virtuose capeggiate da una francese SUPPLEMENTO GRATUITO AL NUMERO ODIERNO DE IL SOLE 24 ORE N.3 GENNAIO - MARZO 2020 L’ITALIA RESILIENTE PERSONAGGI VITTORE BERETTA L’INCUBO CINA NON FA PAURA LUIGI RIOLO IL CAVALIERE DEGLI ABISSI STORIE BOTTER IL VINO PRONTO PER ENTRARE IN BORSA HARMONT & BLAINE IL BASSOTTO DELLA MODA CHE HA SFIDATO I GIGANTI THERAS GROUP L’HI-TECH AL SERVIZIO DELL’ASSISTENZA SANITARIA L’INCHIESTA SOSTENIBILITÀ PER 200MILA AZIENDE ITALIANE IN ARRIVO LA TASSONOMIA EUROPEA OPINIONI V. Boccia, L. Boselli, M. Chie, A. Dragonei, E. Fontana Rava, D. Gallina, V. Grassi, L. Iacobbi, F. Liverini, G. Lo Storto, F. Pirro, C. Pozzi EDITORIALE IL PAESE DELLE TRE VELOCITÀ di Michele Montemurro

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Un’indagine su 140mila bilanci realizzata in collaborazione con Cerved

ridisegna la cartina geografica della crescita e individua imprese capaci

di aumentare sempre i ricavi nel periodo più nero della nostra economia,

dal 2007 ad oggi. I 771 campioni sono più presenti al Nord e nei settori

meno soggetti al ciclo economico, ma non mancano le eccezioni.

Ecco chi sono le 100 società più virtuose capeggiate da una francese

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ORE

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L’ITALIARESILIENTE

PERSONAGGIVITTORE BERETTAL’INCUBO CINA NON FA PAURA

LUIGI RIOLOIL CAVALIERE DEGLI ABISSI

STORIEBOTTERIL VINO PRONTOPER ENTRARE IN BORSA

HARMONT & BLAINEIL BASSOTTO DELLA MODACHE HA SFIDATO I GIGANTI

THERAS GROUPL’HI-TECH AL SERVIZIODELL’ASSISTENZA SANITARIA

L’INCHIESTASOSTENIBILITÀPER 200MILA AZIENDE ITALIANE IN ARRIVOLA TASSONOMIA EUROPEA

OPINIONIV. Boccia, L. Boselli, M. Chieffi,A. Dragonetti, E. Fontana Rava,D. Gallina, V. Grassi, L. Iacobbi,F. Liverini, G. Lo Storto, F. Pirro,C. Pozzi

EDITORIALEIL PAESE

DELLE TRE VELOCITÀdi Michele Montemurro

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INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020

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IFM

CONTENUTIGennaio-Marzo 2020

Editoriale

Il Paese delle tre velocità

Michele Montemurro

Opinioni

Giovanni Lo Storto

Vincenzo Boccia

Luca Boselli

Alessandro Dragonetti

Michele Chieffi

Cesare Pozzi

Filippo Liverini

Federico Pirro

Vito Grassi

Dario Gallina

Lorenzo Iacobbi

Edoardo Fontana Rava

1027.

11.

12.

13.

14.

15.

16.

17.

18.

19.

20

21.

22.

23.

Fotonotizie

Il tesoro

dell’industria del food

Un’emergenza unica

come Venezia

Nel 2020 Genova

si ricollega a sé stessa

L’inchiesta

Imprese, i campioni

della crescita resiliente

Sostenibilità, in arrivo

per oltre 200mila aziende

la tassonomia europea

25.

26.

28.

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46.

51 56 61

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5CONTENUTI102

Personaggi

Vittore Beretta

Luigi Riolo

Storie

Botter

Harmont & Blaine

Theras Group

51.

52.

56.

61.

62.

66.

70.

Libri

Claudio Scamardella

Francesco Andrea

Falcone

William Putsis

Editoria

La presentazione

di Industria Felix

Magazine da Zignago

Frase

Philip Kotler

75.

76.

78.

78.

80.

82.

66 7570

80

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di Michele MontemurroEditoriale

Se dovessimo misurare l’Italia in base alla crescita ininterrotta delle imprese

negli ultimi undici anni, quelle solvibili o sicure a livello finanziario, soltanto tre regioni occuperebbero più della metà della superficie totale del Paese. E sono proprio quelle regioni in prima linea per la richiesta di autonomia

differenziata: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La Basilicata non esisterebbe. Molise, Valle d’Aosta, Calabria, Abruzzo, Umbria e Sardegna, ognuna appaiata allo zero e virgola, insieme non raggiungerebbero le Marche. Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Puglia e Liguria supererebbero di poco il Piemonte, collocato a distanza a ridosso delle tre “big”; Campania, Trentino Alto Adige, Lazio e Toscana unite non arriverebbero alla sola Lombardia. Tre regioni sono sopra tutte, con una in particolare trainata da Milano che intercetta in proporzione circa un terzo della crescita del Paese. Soprattutto è finito il tempo di considerare l’Italia come una nazione a doppia velocità, quella storicamente definita dal divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese. Perché gli effetti della globalizzazione degli ultimi anni hanno scavato ulteriormente un abisso creando una terra di mezzo: quella che non riesce ad agganciarsi ai treni super veloci, ma che è pure ben sganciata da quell’altra, per certi versi masochista se si considerano alcune vertenze industriali del Sud.

Il Paese delle tre velocità

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INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020

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IFM

La maxi inchiesta realizzata in collaborazione con l’Ufficio studi di Cerved è partita da un’analisi dei bilanci di

140mila società di capitali

con almeno un milione di

euro di fatturato e 10 addetti

nel 2007. Già nel 2009, la prima fase della recessione,

solo il 16% del campione

è riuscito ad accrescere i propri ricavi. E alla fine del periodo considerato, lo 0,55%

del totale è stato capace di sostenere una crescita

ininterrotta nel lungo periodo

fino al 2018: 771 imprese. Abbiamo scattato una fotografia a queste aziende resilienti e le abbiamo

collocate rispetto alla sede

legale d’appartenenza. Un riscatto, a livello

proporzionale, lo ottengono le regioni più piccole, quindi non

prive di capacità gestionali,

perché rispetto all’incidenza sull’anno 2007 e al numero di

imprese sulle quali possono

contare vantano il maggiore

livello percentuale di aziende in crescita, pertanto sul podio

si collocano Trentino Alto Adige (1,38%), Valle d’Aosta (1,14%) e Marche (0,8%). I settori più performanti

delle aziende resilienti sono risultati: sanità (2,69%), industrie alimentari-bevande-

tabacco (2,2%) e chimica e farmaceutica (1,2%). Mentre l’impresa che è cresciuta più di tutte, con un valore

impressionante del 1.229,2%

rispetto ad undici anni prima,

di gran lunga superiore alla

percentuale della seconda

(330,4), è una società francese. Gli italiani, dunque, negli anni che ci ritroviamo

alle spalle, secondo quanto

emerge dall’inchiesta, hanno

speso maggiormente quando

è stato necessario farlo: basta rileggere il trend dei

settori sul podio. Se questa fase è solo alle spalle è difficile prevederlo. Ciò, invece, che risulta facile da

intuire è l’indirizzo che le istituzioni stanno offrendo alle imprese rispetto al tema

della sostenibilità, sollecitate

anche da una cittadinanza attiva, specie quella giovanile

mondiale, che sui temi

ambientali sta maturando

una sensibilità che diventerà

sempre più predominante. Oggi disporre di una

Dichiarazione non finanziaria non significa solo venire incontro alle esigenze dei valori Esg, ma anticipare

il futuro e godere di

agevolazioni che non tutti ora riescono a intravedere. Obbligate a farlo, in funzione della tassonomia europea,

per ora saranno 200mila

imprese italiane, come emerge

dall’altra inchiesta. Ma il numero è destinato a crescere, non solo perché lo chiede l’Europa ma perché da qui ai prossimi anni la crescita

sarà imprescindibile dalla

sostenibilità.

Editoriale

INDUSTRIA FELIX MAGAZINEL’Italia che competeRegistrazione al Tribunale di Milano

n.247 del 04.10.2018

Periodicità: Trimestrale

Argomenti: Economia, Finanza, Attualità, Cultura

Direttore responsabile: Michele Montemurro

Redazione: Milano, via Medici 15, cap 20123

www.industriafelix.it

Email Redazione:

[email protected]

Telefono Redazione:

02.37920 905

Email Pubblicità:

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Prossimo numero: aprile 2020

Editore:

Centro Studi Industria Felix s.r.l. Sede legale: 70122 Bari, piazza Garibaldi 27

Iscritta al Registro Imprese di Bari,

n. iscrizione e cod. fiscale: 08244210723 Iscritta al R.E.A. di Bari n. 614391

C.S. € 10.000,00 i.v.

P. Iva: 08244210723

Design Grafico: Next di Mollica F. & C. sas

Cover Design:

Luca Crescenzo

Traduzioni:

Marta Lioce

Stampa:

Arti Grafiche Boccia Spa

Via Tiberio Claudio Felice, 7, 84131 Salerno (Sa)

Chiuso in redazione venerdì 27 dicembre 2019

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If we were to measure Italy based on the uninterrupted growth of businesses over the past eleven years, those that are financially solvent or secure, only three regions would occupy more than half of the country’s total area. And those are the regions in the front line for the request for differentiated autonomy: Lombardy, Veneto, and Emilia Romagna.Basilicata would not exist. Molise, Valle d’Aosta, Calabria, Abruzzo, Umbria, and Sardinia, each paired with a “zero point”, together they would not reach Marche. Friuli Venezia Giulia, Sicily, Puglia, and Liguria would slightly exceed Piedmont, located at a distance close to the three “big” ones; Campania, Trentino Alto Adige, Lazio, and Tuscany together would not reach Lombardy alone. Three are the regions above all the others, with one, in particular, being driven by Milan, which proportionately intercepts around a third of the country’s growth. It is time to stop considering Italy as a double-speed nation (the one historically defined by the gap between the South and the rest of the country). Because the effects of globalization in recent years have further excavated an abyss by creating a middle ground: the one that cannot connect to super-fast trains, but which is also well detached from the other, in some ways masochistic if we consider some industrial disputes of the South.The considerable investigation carried out in collaboration with the Cerved Research Office started from an analysis of the financial statements of 140 thousand joint-stock companies with at least one million euros in turnover and 10 employees in 2007. Already in 2009 (the first phase of the recession), only 16% of the sample managed to increase their revenues. And at the end of the period considered, 0.55% of the total was able to sustain uninterrupted long-term growth until 2018: 771 businesses. We took

EDITOR’S NOTE

THE COUNTRYOF THREE SPEEDS

a photograph of these resilient companies and placed them with their registered office.A proportional redemption is achieved by the smaller regions, therefore not without managerial skills, because compared to the incidence on 2007 and the number of companies they can count on they boast the highest percentage level of growing companies, hence Trentino Alto Adige (1.38%), Valle d’Aosta (1.14%) and Marche (0.8%) are on the podium. The best performing sectors of resilient companies were: healthcare (2.69%), food-beverage-tobacco (2.2%), and chemical and pharmaceutical (1.2%) industries. Meanwhile, the company that has grown more than any other, with an impressive value of 1,229.2% compared to eleven years before, far higher than the percentage of the second one (330.4), is a French company.Italians, therefore, according to what emerges from the inquiry, had spent more only when it was necessary, during these past few years. It isn’t very easy to predict if this phase is long gone. Instead, what we can find easy is to guess is the direction that the institutions are offering to companies regarding the issue of sustainability, also prompted by active citizenship, especially by the young around the world, which is developing sensitivities on environmental issues that will become increasingly predominant. Today, having a non-financial declaration does not only mean meeting the needs of ESG values, but anticipating the future and enjoying benefits that not everyone can now glimpse. For the time being, according to the European taxonomy, 200 thousand Italian companies will be obliged to do so, as emerged from the other study. But the number is destined to grow, not only because Europe is asking for it, but because in the next few years growth will be essential for sustainability.

Michele Montemurro

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P E N S I E R I & P A R O L E

STUDIARE E CRESCERE NELL’ERA DEL SAPERE RINNOVABILEdi Giovanni Lo Storto, pag. 12

UNA CRESCITA CHE CREA VALOREdi Luca Boselli, pag. 14

LA SOSTENIBILITÀ DA ACCESSORIO A COLONNA DEL BUSINESSdi Michele Chieffi, pag. 16

IL FUTURO PASSA DAI NUOVI PROCESSI A RIDOTTO IMPATTO AMBIENTALEdi Filippo Liverini, pag. 18

L’INDUSTRIA E L’INTERESSE SUPERIORE DELLA COLLETTIVITÀ E DEL TERRITORIOdi Vito Grassi, pag. 20

IMPRESA FAMILIARE: L’IMPORTANZA DI UN ADEGUATO SUPPORTO LEGALEdi Lorenzo Iacobbi, pag. 22

OPINIONIIFM

LE IMPRESE AL CENTRO DELL’ECONOMIA E GLI UOMINI AL CENTRO DELLA SOCIETÀ

di Vincenzo Boccia, pag. 13

PMI, RICERCA DI CAPITALI PER PUNTARE A INNOVAZIONE E SVILUPPO

di Alessandro Dragonetti, pag. 15

CANCELLARE L’ECONOMIA DA LAVAGNA PER UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE

di Cesare Pozzi, pag. 17

ILVA, LA PARTITA DELL’ITALIA PER RESTARE POTENZA MONDIALE

di Federico Pirro, pag. 19

CRESCITA, UNA PARTENZA CHE NON È SCONTATA

di Dario Gallina, pag. 21

INVESTIAMO SU PRODOTTI AZIONARI BASATI SU TEMI SOSTENIBILI

di Edoardo Fontana Rava, pag. 23

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12 Crescita è una parola che, fin da quando la incontram-mo la prima volta come concetto economico nel ma-nuale sul quale preparammo un esame tanti anni fa, è una parola che sembra possedere la qualità di essere sempre accompagnata dagli aggettivi più disparati. Deludente, esponenziale, ininterrotta, lineare o vi-gorosa sono, in ordine alfabetico, solo alcuni tra quelli

che vi sono associati più spesso. Questo gruppo si è arricchito di recente di un nuovo membro, sostenibile, oltre che del suo contrario: non sembra possibile, in altri termini, parlare oggi di crescita senza considerare questa sua particolare funzione. Ma cosa si intende esattamente quando diciamo che la crescita deve essere sostenibile?

Nel 1972 un gruppo di studiosi, scienziati e policy-makers noto da qualche anno come “Club di Roma”, produsse uno studio, The Limits of Growth, che fece scalpore. Il lavoro partiva da un assunto semplice, addirittura evidente, che all ’epoca però in pochi sembravano aver visto: non poteva esistere una crescita indefinita in un insieme, al contrario, finito – il nostro pianeta con le sue risorse. Lo studio ricevette elogi e critiche, ed è stato negli anni più volte aggiornato e rimaneggiato. Qualunque cosa se ne pensi, l ’opera ha avuto un innegabile merito: rendere chiara e non più procrastinabile la questione posta dal terribile dilemma della crescita (la naturale tensione, quasi il “dovere” della società umana) e il rispetto del contesto nel quale essa deve realizzarsi. Chi intraprende oggi un percorso di studio, penso in particolare agli studi universitari, lo fa a sua volta con in testa un’idea di crescita: la sua crescita personale, l ’arricchimento delle proprie competenze e il raggiungimento delle proprie ambizioni, spesso da scoprire proprio attraverso questo percorso.

Eppure, oggi, il modello universitario viene messo in discussione da molti: a che serve, dicono i detrattori, impegnarsi tanto tempo sui libri in un mondo che cambia in modo così rapido che non è più possibile promettere che l ’università insegnerà un mestiere, proprio perché quel mestiere, tra pochi anni, non esisterà più? Il fatto è che i critici hanno ragione: hanno ragione, se il modello che viene offerto è lo stesso di qualche decennio fa, un “travaso di competenze” a compartimenti stagni che le dividono l ’una dall ’altra e dal mondo che aspetta fuori dai cancelli del campus. Anche quella crescita che si realizza durante l ’apprendimento deve infatti oggi essere sostenibile, porsi cioè il problema del contesto nel quale avviene, la società al cospetto della quale non è più possibile presentarsi a mani vuote il giorno dopo la laurea – in possesso, cioè, di tante nozioni, ma non del metodo per applicarle, e il mindset necessario a mettere a frutto per tutti ciò che si è appreso. Il sapere e la conoscenza sono fonti rinnovabili, e il modo per rinnovarle e rinvigorirle è rimettere in circolo ciò che si è appreso.

Aprirsi, condividere, non aver paura di sporcarsi con ciò che è estraneo ai nostri pregiudizi, donare e diffondere anziché proteggere come un tesoro personale ciò che si è imparato e ciò che si sa fare: le parole chiave dello studio oggi, che possiamo immaginare di forma circolare e non come una freccia puntata verso il nostro egoistico futuro personale, sono quasi in antitesi con la sua narrazione, quella dell ’antiquata “torre d’avorio” dove in pochissimi apprendono un sapere elitario utile solo a quanti lo possiedono. Un cambio di paradigma non è mai indolore né semplice, ma è quanto di oggi più necessario per evitare che la risorsa più importante dell ’umanità, la conoscenza, finisca presto per esaurirsi.

STUDIARE E CRESCERE NELL’ERA DEL SAPERE RINNOVABILE

di Giovanni Lo StortoDirettore Generale Università Luiss Guido Carli

opinioni

INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020IFM

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13Nel 2020 Confindustria compirà 110 anni e li cele-brerà il primo febbraio a Torino con un evento che ripercorrerà la lunga storia dell ’associazione legan-dola agli avvenimenti che nel frattempo si sono suc-ceduti in Italia, in Europa, nel Mondo.Scopriremo che c’è un filo rosso che lega le esperienze degli uomini e delle donne che hanno avuto l ’onore

di rappresentare l ’associazione: senza mai perdere di vista il quadro generale, coerenti ed esemplari rispetto alla nostra na-tura di corpi intermedi.Coerenti con la nostra missione e la nostra visione, abbiamo svolto con responsabilità il ruolo di attore sociale superando il recinto della mera difesa degli interessi di parte e facendoci ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese.Dietro il pensiero di Confindustria ci sono le imprese al centro dell ’economia e gli uomini al centro della società. Una società che desideriamo aperta e inclusiva, capace di superare i divari – tra persone, imprese, territori - e di combattere la povertà.Il lavoro dignitoso e il buon funzionamento dell ’ascensore so-ciale sono da sempre al centro delle nostre attenzioni. Lo ab-biamo ribadito con forza nelle nostre Assise di Verona rilan-ciando tre parole-chiave: lavoro, crescita, debito.Più crescita e meno debito come precondizioni per avere più lavoro, autentico fattore di coesione sociale come ci ricorda il primo articolo della nostra Costituzione repubblicana. E for-mazione diffusa per dare a tutti l ’occasione di affermarsi.Dalla politica dei fattori a quella dei fini passando per il Patto della fabbrica Confindustria non ha mai fatto mancare il suo contributo alla definizione di strumenti e strategie per un pro-getto nazionale in grado di proiettarci con fiducia nel futuro.

LE IMPRESE AL CENTRO DELL’ECONOMIAE GLI UOMINI AL CENTRO DELLA SOCIETÀ

di Vincenzo BocciaPresidente Confindustria

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opinioni

In un contesto di sostanziale stagnazione dell ’econo-mia ed in uno scenario altamente competitivo ed in continua evoluzione, investimenti, innovazione e sviluppo delle risorse umane rappresentano pilastri fondamentali per la crescita e lo sviluppo delle azien-de.Partendo da questi elementi è interessante correlare

investimenti e crescita delle imprese alla creazione di valore per il Paese, valutandone il contributo al capitale economico in termini di sviluppo dell ’occupazione, soste-gno all ’export e contributo diretto al pil.

Lo scorso ottobre la società “The European House - Ambrosetti” ha presentato uno studio che misura il con-tributo di Lidl Italia alla creazione di valore ed allo svi uppo sostenibile nel Paese.

Presente in Italia dal 1992, Lidl è cresciuta negli anni a ritmi molto sostenuti - un nuovo punto vendita aperto ogni due settimane - fino a raggiungere una dif-fusione capillare su tutto il territorio nazionale con oltre 650 punti vendita in gestione diretta e 10 piattaforme logistiche di proprietà.

Nel corso degli ultimi cinque anni, Lidl ha investito 1,6 miliardi di euro sul territorio italiano e, considerato il piano da oltre 350 milioni previsto per l ’esercizio in corso, il volume complessivo salirà a circa 2 miliardi di euro. Come emerge dallo studio di The European House Ambrosetti, la crescita dimensionale di Lidl Italia si è tradotta in una crescita ancora più rapida del valore ag-giunto, che rappresenta il contributo diretto al pil, per un valore di 832 milioni di euro nell ’ultimo anno, con una crescita media annua pari a +12,5% negli ultimi cinque

anni. A questo contributo diretto alla crescita economica del Paese si aggiungono gli effetti indiretti e indotti deri-vanti dall ’attivazione delle filiere agroalimentari.

Con un assortimento composto per l ’80% da articoli prodotti in Italia, il modello di The European House Am-brosetti ha calcolato che lo sviluppo di queste filiere tramite gli acquisti effettuati da Lidl produce un effetto moltipli-catore del Valore Aggiunto pari a 3,4, con un contributo totale al pil nazionale di 2,9 miliardi di Euro, senza con-siderare il volume delle esportazioni di prodotti agroali-mentari che, solo nell ’ultimo anno, supera 1 miliardo di euro (pari al 2,4% di tutte le esportazioni agroalimentari del Paese nel 2018).

La continua crescita dell ’azienda si riflette in modo positivo anche sul piano delle assunzioni che ha visto, solo nell ’ultimo triennio, l ’inserimento di oltre 2.000 risor-se l ’anno. Secondo lo studio elaborato da The European House – Ambrosetti, l ’impatto occupazionale è ulterior-mente amplificato dall ’attivazione di filiere di fornitura e subfornitura e dall ’effetto indotto sui consumi delle retri-buzioni, per un contributo totale all ’occupazione in Ita-lia di circa 82.000 posti di lavoro. Di fatto ogni posto di lavoro generato da Lidl Italia, che conta oggi oltre 16.500 collaboratori, sostiene oltre 4 ulteriori occupati nell ’intera economia.

Ed in tema di sviluppo dell ’occupazione, gli investi-menti in formazione e sviluppo dei collaboratori, in un contesto economico caratterizzato da continue innovazio-ni, assumeranno un peso crescente: le risorse umane saran-no sempre più centrali per la crescita delle imprese e costi-tuiranno un elemento distintivo delle aziende di successo.

UNA CRESCITA CHE CREA VALORE

di Luca BoselliAmministratore Delegato Finanza Lidl Italia

INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020IFM

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PMI, RICERCA DI CAPITALI PER PUNTARE A INNOVAZIONE E SVILUPPO

di Alessandro DragonettiHead of Tax Grant Thornton

Il mercato italiano cresce a rilento e non aiuta l ’innovazione delle nostre imprese. Questo è ciò che si evince osservando i dati stati-stici relativi alla nostra realtà economica. Il tessuto imprendito-riale ad oggi risulta frammentato e caratterizzato da una mag-giore presenza di imprese di dimensione piccola e microscopica rispetto agli altri Paesi europei, una caratteristica, che pone un significativo freno alla capacità di innovare e di crescere. An-

che guardando ad una specifica categoria del mercato delle imprese italiane, quello delle Pmi innovative (iscritte nell ’apposita sezione del Registro delle imprese), tali realtà risultano essere di dimensioni esigue e di vita media elevata (8 anni) e ciò contrasta con il ciclo di vita atteso per la categoria, che dovrebbe distinguersi per una forte e rapida crescita, specialmente se basato su elementi quali l ’innovazio-ne industriale, il prodotto, il servizio o il processo.

In un Paese dove l ’imprenditorialità italiana rimane fortemente incentrata su dinamiche di proprietà e governance “familiari”, se-condo quanto riportato dal Rapporto Cerved Pmi 2019, sono ben 100.000 le Pmi (su un totale di 150.000) in cui la famiglia esercita il controllo, in molti casi senza l ’apporto di soci (74,5%) o di com-ponenti del consiglio di amministrazione esterni al nucleo familiare (86,4%). Il risultato è l ’assenza di un confronto (che si delinea sem-pre più necessario) quando si parla di scelte strategiche per lo sviluppo (soprattutto se attraverso processi di integrazione e/o di internazio-nalizzazione) e l ’innovazione della società, che normalmente si in-staura nel caso di separazione tra proprietà e management. I dati non sono incoraggianti, stando a quanto indicato nel sopra citato Rap-porto viene confermato che la già lenta crescita delle Pmi ha perso vi-gore, i dati di fatturato sono cresciuti in termini nominali del 4,1%, (in calo rispetto al dato 2017 pari a 4,4%) ma in termini reali si è rimasti sostanzialmente a quanto rilevato nel 2017. Una situazio-ne simile si ha guardando al valore aggiunto, che risulta in crescita (+4,1%) purtroppo però a ritmi più ridotti rispetto all ’incremento del costo del lavoro (+5,6%), il che si traduce in un conseguente effetto ne-gativo sulla produttività e sui margini del comparto delle Pmi. Anche dal punto di vista della redditività la situazione non migliora, anzi,

per la prima volta dal 2013 i relativi indici risultano in calo: la redditività netta è passata dall ’11,7% del 2017 all ’11% del 2018.

All ’interno di un simile scenario che non fa presagire ad oriz-zonti di crescita nei prossimi anni, un dato positivo va evidenziato e riguarda la solidità delle Pmi. Il processo di rafforzamento dei fondamentali finanziari infatti prosegue senza essere intaccato dallo scenario reddituale in calo. In particolare il peso dei debiti fi-nanziari è cresciuto nel 2018 per il secondo anno consecutivo, con un’accelerazione rispetto al 2017 (+2,2% contro +1,2%). Il dato positivo riguarda il contestuale rafforzamento del capitale proprio ad un ritmo più sostenuto dei debiti finanziari con una conseguen-te riduzione del peso di questi ultimi sul patrimonio delle società e dunque una maggiore autonomia finanziaria e solidità delle Pmi rispetto al passato. Nonostante il rallentamento della redditività dunque le Pmi riescono comunque a fronteggiare l ’incidenza degli oneri finanziari sui margini lordi grazie anche a dinamiche di au-tofinanziamento sempre più incisive e non da ultimo grazie ad una politica ultra espansiva della Bce.

Dati come questo risultano in linea con la struttura per lo più “familiare” delle Pmi, le quali storicamente hanno fatto ricorso al finanziamento esterno intendendo esclusivamente quello bancario e raramente si sono aperte a capitale di rischio di terzi, facendo sì che la dimensione del Private Equity e della Borsa siano sempre state messe in secondo piano. Secondo Invest Europe, gli investimenti in Private Equity valgono in Italia solo lo 0,13% del Pil mentre la capitalizzazione in borsa ha un valore del 37%; entrambi i dati, se confrontati con altri Paesi europei risultano nettamente inferiori e confermano l ’orientamento del mercato italiano appena descritto.Attivare un processo di cambiamento radicale nella ricerca dei ca-pitali da parte delle imprese, con una conseguente apertura verso sistemi di governance più articolati, favorirebbe un aiuto alla cre-scita delle Pmi italiane consentendo i necessari investimenti in in-novazione e sviluppo che ad oggi risultano fin troppo esigui nonché agevolando i processi di aggregazione e di internazionalizzazione, assolutamente necessari nell ’attuale contesto economico globale.

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16 Fino a qualche anno fa la sostenibilità era un accessorio, oggi è una colonna del business. Una presa di posizione netta nei confronti dell ’impatto am-bientale e sociale del proprio business implica, per un’impresa, allargare questa attenzione anche a tutti i partner della catena di fornitura.Non si tratta, però, di un processo che un’azienda possa compiere da sola: deve avere il supporto della filiera, dei produttori e, naturalmente, anche di chi compra. Si può lavorare sulla durabilità del prodotto, sulla sua se-

conda vita, sul riciclo.Per molte aziende, le richieste ai fornitori si tramutano in standard ambientali e sociali più stringenti che, se non soddisfatti, possono portare a un piano di sviluppo nel breve-medio e lungo termine da concordare, o, nei casi più estremi, all ’esclu-sione del fornitore, anche se queste decisioni possono comportare un innalzamento dei costi della supply chain.Ma il mondo migliore che ci chiedono i nostri figli, i nostri investitori e i nostri clienti, si crea tutti insieme. In questo processo il ruolo della community è fonda-mentale. Ed è anche per questo che si deve lavorare al suo coinvolgimento, quoti-diano e personale.Accanto alla sostenibilità, il cosiddetto “engagement” costante e personalizzato del cliente è diventato lo spartiacque fra il successo e la stagnazione di un’azienda in qualunque area del consumo. Il progetto, da una parte, mira al coinvolgimento diretto e fisico del cliente effettivo o potenziale, dedicando tempo alla sua commu-nity, dall ’altra punta alla moltiplicazione ipoteticamente infinita di pubblico e desideri.La carenza strutturale di alcuni input in alcuni settori porta a ritenere che non solo le soluzioni caratterizzate da un nuovo “assetto di flussi” circolari possano essere benefiche per preservare le risorse naturali, ma possano anche portare alla “scalata” della sostenibilità nella gerarchia dei fattori critici di successo per una supply chain, a dispetto di altre prestazioni operative (costo, livello di servizio) che ne hanno guidato i modelli degli ultimi decenni.Oggi chi compra vuole degli input quasi quotidiani dal marchio. Si deve creare un concetto, un’energia, tutti i giorni. Un’azienda deve essere inclusiva: poi, ci vuole un leader.

LA SOSTENIBILITÀ DA ACCESSORIO A COLONNA DEL BUSINESS

di Michele ChieffiDottore commercialista

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17Nella endemica crisi economica che investe le comunità moderne, la politica industriale viene evocata come soluzione, quasi attribuendole virtù taumaturgiche, e tanto maggiore è l ’insoddisfazione per lo stato del-le cose, tanto più alta si leva la richiesta. Esiste un motivo profondo che lo spiega: le nostre comunità si percepiscono intimamente come economie di specia-lizzazione nelle quali la specializzazione si traduce in uno stretto rapporto tra persone e territori costru-

ito su sistemi relazionali forti che nel tempo si sono declinati in diritti e doveri codificati. E tale sentimento si era radicato in un assetto istituzionale risultato dei profondi cambiamenti economici dei processi produttivi e delle relazioni sociali della prima metà del secolo scorso.

Al contrario della narrazione che sgorga da questa intima per-cezione, ciò che si chiede alla politica industriale essa non lo può dare nel quadro istituzionale che si è venuto a modificare nei de-cenni successivi, che la intende come un’alterazione del fisiologico andamento dei mercati e la gestisce, di conseguenza, come una serie di strumenti per interventi di emergenza.

Tale nuovo quadro istituzionale è la trasposizione di un insie-me di vecchie teorie ortodosse che sono legate dal filo conduttore di considerare le strutture sociali come sistemi naturali e dall ’obiettivo di allocare al meglio risorse scarse, obiettivo che ben si adatta all ’i-dea che siano i mercati finanziari a generare il miglior controllo sul mondo reale.

Eppure già Keynes aveva avvertito nella Teoria generale: “che le caratteristiche del caso particolare presupposto dalla teoria clas-sica non sono quelle della società economica nella quale realmente viviamo; cosicché i suoi insegnamenti sono ingannevoli e disastrosi se si cerca di applicarli ai fatti dell ’esperienza”; e ancora nei primi anni ottanta Scherer, il leader della scuola di economia e politica

industriale di Harvard, scriveva che una delle dimensioni della performance che si richiede ai mercati è di “stabilizzare il pieno im-piego delle risorse, in particolare delle risorse umane o, perlomeno, il pieno impiego non dovrebbe essere mantenuto ricorrendo in modo eccessivo a strumenti di politica macroeconomica”.

Riprendendo quanto di fecondo si è perso in questi contributi sarebbe necessaria una profonda revisione di tanti luoghi comuni che hanno portato a credere che le nostre società possano funzionare al meglio applicando regole del gioco date da quella che fu definita “economia da lavagna”, senza mai riflettere laicamente sul fatto che non esistono regole di valore assoluto, migliori di altre, ma sia necessario valutare alternative diverse sulla base della supposta ca-pacità di realizzare assetti sociali soddisfacenti. Nel mondo dell ’e-conomia tutto può essere messo in discussione se non produce buoni risultati!

Per farlo è necessario anzitutto considerare la comunità di rife-rimento, non per rivendicazioni etno-territoriali di strana natura, ma perché fare politica industriale, in società fortemente caratte-rizzate dalle relazioni economiche, vuol dire avere visione di si-stema, che guarda quindi al combinato disposto di tutti gli aspetti della vita di una comunità, e si declina in doveri e diritti, sacrifici e rispetto delle regole, che non possono essere imposti ad altri, ma dovrebbero divenire elemento di scambio culturale. In altri termini una sana politica industriale genera rispetto reciproco, non è contro altri, non genera “penetrazione aggressiva sui mercati internazio-nali”, come Galbraith definì la globalizzazione moderna.

Realizzare una visione di sistema impone l ’analisi, la scelta e quindi la disponibilità di ogni leva possibile per raggiungere gli obiettivi che una comunità si pone e sui quali deve trovare una convergenza. In estrema sintesi oggi il tema delle politiche indu-striali è come tradurre la conoscenza, che è anche consapevolezza del proprio contesto e di quelli altrui, in uno stile di vita resiliente.

CANCELLARE L’ECONOMIA DA LAVAGNA PER UNA NUOVA POLITICA INDUSTRIALE

di Cesare PozziProfessore di Economia industriale - Università di Foggia e Luiss Guido Carli Roma

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Cifre tutt’altro che rassicuranti quelle dirama-te dalla Svimez, prima, e dall ’Istat successi-vamente, in riferimento alla produzione in-dustriale. Gli ultimi dati mettono in luce la perdita di oltre un terzo della produzione - pari a circa 68 miliardi di euro - in 20 anni. Nonostante il costo del credito per le azien-

de italiane sia rimasto ai minimi storici, il calo dei prestiti sembra ampliarsi (-1,0% annuo). È evidente che in questo clima l ’impresa fa fatica a rilanciare gli investimenti e le banche fanno fatica ad erogare cre-dito pur disponendo di una liquidità sconosciuta nel passato.

Tali fenomeni sono il frutto di una situazione eco-nomica globale di chiusura a causa delle diverse politi-che dei dazi avviate dalle principali economie globali ed infine delle poco incisive politiche di sviluppo in-dustriale. Ovviamente la produzione è lo specchio di un Paese in difficoltà in cui stiamo vivendo una crisi strutturale alla quale bisogna porre rimedio attraverso interventi mirati alla spinta produttiva e alla valo-rizzazione delle risorse umane. Scongiurare lo spettro della recessione potrebbe avvenire attraverso adeguate politiche di sviluppo che passano dall ’incremento della dotazione di infrastrutture economiche, ambientali e sociali, all ’investimento nel capitale umano e nelle po-litiche di innovazione per le imprese. Ben vengano le Zes e tutti gli strumenti messi in campo per agevolare nuovi investimenti che nella loro operatività devono essere veloci e certi al fine garantire risultati conside-revoli in tempi rapidi.

In questo processo di trasformazione economica e sociale viene dato sempre più peso e rilevanza al tema della sostenibilità che è divenuto ormai impre-

scindibile in qualsiasi progetto o visione di crescita. Al riguardo Confindustria nel 2018 ha lanciato il manifesto per la responsabilità sociale per l ’industria 4.0 dove si traccia il percorso che le imprese dovreb-bero intraprendere per portare i principi della soste-nibilità nel business in una logica di competitività, innovazione e crescita inclusiva. L’approccio sosteni-bile va adottato in maniera trasversale su strategia, governance, innovazione nei processi e nei prodotti, attenzione a tutti i portatori di interesse, dai dipen-denti ai fornitori e alla comunità in cui l ’azienda opera. Il sistema produttivo infatti sta investendo e continua a farlo, per garantire non solo la compati-bilità ambientale delle proprie produzioni, ma anche per sviluppare nuovi prodotti e processi a ridotto im-patto ambientale. Questi sono temi attuali dei quali si discute anche presso la commissione Europea che in questi giorni affronta il grande piano di investi-menti e i nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni CO2 da approvare in consiglio UE.

Il fondo proposto da Green new deal - Just transi-ction found - dovrebbe indurre i Governi ad accetta-re l ’impegno di raggiungere la neutralità ambientale entro il 2050. Al fondo verrà associato un meccani-smo più ampio che dovrebbe permettere ai governi tecnici di godere di assistenza tecnica e di aiuti fi-nanziari.

Stiamo vivendo trasformazioni strutturali che vanno affrontate con adeguata programmazione e con assoluta preparazione. Solo se saremo in grado di anticipare e governare con visione industriale e nel rispetto dell ’ambiente questi processi potremmo riuscire a parlare di crescita sostenibile e di recupero di competitività.

IL FUTURO PASSA DAI NUOVI PROCESSI A RIDOTTO IMPATTO AMBIENTALE

di Filippo LiveriniPresidente Confindustria Benevento

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19L’imponente stabilimento siderurgico di Ta-ranto - perno del Gruppo Ilva, oggi in affitto di ramo d’azienda propedeutico all ’acquisto da parte di ArcelorMittal - non è solo il più grande impianto a ciclo integrale della UE, ma anche la maggiore fabbrica manifatturie-ra d’Italia con i suoi 8.277 addetti diretti, cui

devono aggiungersi circa 6.000 unità nell ’indotto. I suoi coils e lamiere alimentano larga parte dell ’indu-stria meccanica settentrionale che, pur potendosi ap-provvigionare dall ’estero e dalla siderurgia da forno elettrico così diffusa al Nord, è interessata a difende-re questa fonte primaria di forniture a costi e tempi di consegna decisamente competitivi. Il gruppo Ilva, com’è noto, era stato venduto nel 1995 dall ’Iri al Gruppo Riva.

Dal 26 luglio del 2012 l ’area a caldo della fabbrica è stata posta sotto sequestro senza facoltà d’uso - poi assicurata da ripetuti provvedimenti legislativi - a causa degli esiti di indagini epidemiologiche che ave-vano evidenziato un’elevata incidenza di patologie anche tumorali nell ’area prospiciente il sito e i suoi parchi minerali.

Da allora è iniziata una vicenda giudiziaria, produttiva e politica che si protrae ancora e i cui esiti al momento non sono prevedibili, pur se la business community nazionale auspica che si salvaguardi, in logiche di ecosostenibilità e previo ammodernamento del ciclo produttivo, un compendio impiantistico che non ha eguali in Europa e dal cui esercizio dipendono

quotidianamente attività di centinaia di Pmi pugliesi di manutenzioni, lavorazioni meccaniche, trasporto, puli-zie industriali e ristorazione, oltre che i traffici dello scalo portuale di Taranto che nel 2018 è stato il 6° in Italia per movimentazioni complessive.

Naturalmente, per valutare nella sua interezza la funzione trainante che l ’acciaieria esercita sull ’economia del territorio, bisogna considerare anche le dinamiche delle aree in cui risiedono come soggetti di spesa e di ri-sparmio gli addetti della grande fabbrica e delle imprese del suo indotto.

Ora, solo settori dell ’estremismo ambientalista ionico chiedono la dismissione dell ’intero stabilimento, o almeno della sua area a caldo, mentre sindacati, Confindustria, amministratori di Comune e Regione, Università e Po-litecnico di Bari - con sedi distaccate nel capoluogo ionico -, Autorità di sistema portuale ed anche l ’Arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, insieme alla mag-gior parte della popolazione cittadina, vuole che il sito continui a produrre, sia pure con un profondo aggiusta-mento impiantistico, puntando ad integrare le colate da altoforno con l ’introduzione di forni elettrici e l ’impiego del preridotto di ferro che, a sua volta, ha bisogno di un prezzo del gas contenuto.

La partita riguardante il futuro proprietario e l ’asset-to tecnologico ed occupazionale della grande fabbrica sarà ancora lunga, ma l ’industria meccanica del Paese non vuole rinunciare ad un presidio produttivo come quello del siderurgico ionico, almeno fin quando l ’Italia vorrà restare potenza industriale di rango mondiale.

ILVA, LA PARTITA DELL’ITALIA PER RESTARE POTENZA MONDIALE

di Federico PirroDocente di Storia dell’Industria, Università di Bari “Aldo Moro”

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L’aggettivo sostenibile è entrato nel vocabolario di molti di noi per diventare una costante del lessico quotidiano. Il concetto di sostenibilità ha nel tem-po travalicato i temi ambientali ed ecologici per estendersi a molti altri settori tra i quali, in parti-colare, quelli dell ’economia e dell ’impresa. Si parla di sostenibilità di impresa o Corporate Sustaina-

bility. Responsabilità sociale d’impresa significa affiancare alla responsabilità economica anche una responsabilità col-lettiva, che crei valori tangibili e intangibili, per tutto ciò che gira intorno all ’azienda. Perseguire l ’obiettivo di diventare un’impresa socialmente responsabile cari-ca, ovviamente, il management delle società di ulteriori impegni nelle scelte produttive e di business. Impegni che richiedono, oltre che competenze strettamente economiche e manageriali, anche una rinnovata sensibilità ambientale e sociale.

Il futuro dell ’industria è nella creazione di prodotti eco-sostenibili, nel riutilizzo dei materiali già usati, nel taglio dei consumi di materie prime vergini, nella riduzione dei rifiuti e dello spreco energetico. Ce lo dice l ’Europa, che ha varato ben quattro direttive sull ’economia circolare, ma ce lo dicono anche i bilanci delle imprese impegna-te nella green economy,  che corrono più delle altre, sono più competitive e innovano di più, come emerge anche dall ’ultimo rapporto GreenItaly della Fondazione Sym-bola e Unioncamere. 

In base al rapporto, sono 345mila le imprese italiane (il 25% dell ’imprenditoria extra-agricola e addirittura

il 30% della manifattura) che negli ultimi cinque anni hanno scommesso sulla green economy e, solo nel 2018, oltre 200mila aziende hanno investito in sostenibilità ed efficienza, con vantaggi competitivi notevoli.

Che si tratti di fonti energetiche rinnovabili o di ceramiche “verdi”, della produzione di bioplastiche o di mobili ecosostenibili, l ’aspirazione alla riduzione dell ’impatto ambientale aguzza l ’ingegno e rende più innovativi.

Confindustria Campania promuove con deter-minazione la responsabilità sociale d’impresa.  Sia-mo  infatti  convinti che accanto all ’obiettivo ovvio del profitto, chi guida un’azienda debba porsi quello di ge-stire e sviluppare l ’attività sua e dei suoi collaboratori in armonia con l ’interesse superiore della collettività e del territorio su cui si opera.

Dobbiamo puntare a una  crescita attenta ai valori dell ’ambiente, inclusiva, che crei lavoro e migliori la qualità della vita delle persone, che sia trasparente e sana sotto il profilo della sostenibilità finanziaria.

Per questo lottiamo contro fenomeni degenerativi, come la contraffazione dei prodotti, il mancato rispetto delle norme per la sicurezza sul lavoro, l ’inosservanza degli standard imposti per prevenire l ’inquinamento ambientale.

La responsabilità sociale dell ’impresa significa an-che  preparare un domani migliore dell ’oggi, in cui il mondo del lavoro sia più consapevole, attento ai valori del merito come anche alla solidarietà, rispettoso dei di-ritti senza dimenticare i doveri.

L’INDUSTRIA E L’INTERESSE SUPERIORE DELLA COLLETTIVITÀ E DEL TERRITORIO

di Vito GrassiPresidente Confindustria Campania

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21Il nostro sistema industriale sta vivendo un momento complesso. In un Paese in affanno, il Piemonte è tra le regioni con mag-giore ritardo di crescita: la disoccupazione è più elevata rispetto alla media del Nord, gli investimenti sono in stallo, il clima di fiducia è pessimistico. Non si tratta soltanto di una fase transi-toria, spiegata da dinamiche congiunturali sfavorevoli: stiamo affrontando una fase di trasformazione dagli esiti incerti. Gli

assi del cambiamento sono almeno tre. Il primo è quello della digitalizzazione. Su questo terreno, mol-

te nostre imprese sono in ritardo rispetto a concorrenti storici e ad altre economie che definire “emergenti” è ormai fuorviante. Una seconda sfida riguarda l ’internazionalizzazione. Ampi segmenti della nostra industria sono ben posizionati sui mercati internazio-nali, ma altri non sono pronti a piazze meno accessibili, anche cul-turalmente. Mancano le competenze umane e organizzative. Un terzo passaggio riguarda la governance e gli assetti organizzativi. Le imprese piemontesi presentano alcune caratteristiche che frena-no i processi di cambiamento: una predominante quota di imprese familiari è completamente impermeabile ad apporti di capitale e competenze esterne alla famiglia di controllo. Inoltre l ’età media della proprietà e del top management è elevata, superiore a quella delle regioni di benchmark. Ciò inevitabilmente rallenta l ’adozio-ne di tecnologie e modelli gestionali più moderni.

Ciò trova spiegazione nella piccola dimensione delle nostre aziende. Certamente sono più agili, flessibili e reattive rispetto a realtà più strutturate. Tuttavia, vincere le nuove sfide richiede un vero e proprio salto di qualità, che non può prescindere dalla cresci-ta. Crescita dimensionale, certo, ma soprattutto culturale: nei mo-delli organizzativi, nel rapporto con il mondo della ricerca e delle Università, nelle competenze, nella finanza. Rispetto a quest’ulti-mo tema, tra le altre iniziative voglio ricordare il Progetto Elite di Borsa Italiana, che ha visto Confindustria e la nostra Unione Industriale partner sin dalla sua origine, e che ha quale obiettivo quello della formazione e del tutoring di quelle imprese che vogliono

intraprendere un percorso di sviluppo organizzativo e manage-riale.

Per crescere e innovare occorre investire. Oggi, paradossalmen-te, ci troviamo in una situazione eccezionalmente favorevole per gli investimenti: gli indicatori finanziari e patrimoniali mostra-no che le imprese hanno migliorato la redditività e ridotto l ’inde-bitamento. È migliorato il profilo di rischio, e il processo di conso-lidamento non si è arrestato neppure nel 2018. I tassi di interesse sono ai minimi storici e la liquidità è abbondante, tanto che una quota importante di imprese opera in totale autofinanziamento e potrebbe aumentare l ’indebitamento senza compromettere la pro-pria solidità finanziaria.

Per dare impulso a una nuova ondata di investimenti, tut-tavia, è necessario un elemento ulteriore: la fiducia. Le imprese investono quando hanno fiducia nei mercati e nella stabilità del contesto normativo e istituzionale. Oggi, al contrario, attraver-siamo un periodo di profonda incertezza. La globalizzazione è in crisi o in stallo, le regole del gioco stanno cambiando in modo inatteso e drammatico.

In molti settori - dall ’auto alla siderurgia, dall ’energia alla mobilità - le traiettorie tecnologiche sono convulse e imprevedibili, talvolta intersecate da variabili geopolitiche del tutto incontrol-labili. In Italia scontiamo l ’assenza di una visione di sviluppo di lungo periodo, la mancanza di una strategia di politica indu-striale che accompagni le travolgenti trasformazioni che, se non governate, rischieranno di spazzare via interi settori produttivi. La legge di bilancio è un coacervo di provvedimenti incoerenti, dettati spesso da motivazioni di brevissimo respiro, ispirate da demagogia e populismo.

I casi di crisi industriale sono affrontati per tamponare emer-genze occupazionali e territoriali. In conclusione, operiamo in un Paese ricco di energie e risorse per far ripartire investimenti e cre-scita. Le imprese sono ai blocchi di partenza. Ma la partenza non è scontata.

CRESCITA, UNA PARTENZA CHE NON È SCONTATA

di Dario GallinaPresidente Unione Industriale Torino

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22 L’impresa familiare, per definizione, indica una tipologia di impresa caratterizzata dal lavoro dei familiari nella gestione della stessa. Le ca-ratteristiche principali sono la presenza di un unico imprenditore e la collaborazione di uno o più familiari nella gestione dell ’attività. Dal punto di vista giuridico, il riferimento fonda-

mentale è l ’articolo 230 bis del codice civile, il quale tu-tela la posizione dei familiari collaboratori. Essi infatti possono lavorare nell ’impresa, in mancanza di diverso accordo, in qualità di collaboratori familiari, avendo così diritto: 1) al mantenimento, che deve essere congruo alla condizione della famiglia; 2) di partecipare agli utili di impresa; 3) di gestire l ’attività, limitatamente alla gestione straordinaria, la destinazione degli utili, la produzione e la cessazione dell ’impresa.

Il familiare quindi non è un semplice collaborato-re, ma un soggetto che partecipa attivamente alla vita dell ’impresa ed anche ai guadagni. Un’impresa fami-liare si può costituire ex novo oppure partendo da una ditta individuale già esistente decidendo, ad esempio, d’inserire nell ’attività anche la collaborazione di un figlio.

Numerose e articolate sono le problematiche giuri-diche che investono quotidianamente un’impresa fa-miliare, per la cui risoluzione, sovente, intervengono le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, stante il lacunoso attuale quadro normativo che regolamenta tale

istituto giuridico. Tra le problematiche principali vi è quella, ad esempio, della rilevanza esterna dell ’impre-sa familiare in ambito agricolo e commerciale; così come rappresentano argomento di dibattito e d’interpretazio-ne i limiti alla configurabilità dell ’impresa familiare, come, ad esempio, quelli nell ’ambito societario o delle professioni intellettuali; ed ancora, particolare rilievo investono le cause di cessazione della partecipazione all ’impresa nelle ipotesi di controversie familiari o co-niugali. Nello specifico, per quanto riguarda gli effetti che la separazione tra coniugi o lo scioglimento del ma-trimonio producono sull ’impresa familiare, la dottrina e la giurisprudenza, approfittando del silenzio del legisla-tore, hanno prospettato molteplici e contrastanti soluzio-ni, meritevoli di apposito e separato approfondimento.

Ultimamente, poi, a seguito della riforma Cirinnà, l ’istituto giuridico dell ’impresa familiare gode di ap-plicazione e tutele, sia pur limitate, anche all ’interno delle unioni civili e delle convivenze di fatto. Temati-che, quindi, complesse ed articolate per cui un avvocato familiarista è chiamato ad un costante ed approfondito aggiornamento non solo del quadro normativo ma, so-prattutto, dell ’orientamento dottrinale e giurispruden-ziale di questa particolare forma d’impresa che, per la sua importanza ed incidenza sul sistema economico, produttivo ed occupazionale del nostro Paese, richiede-rebbe una maggiore e più articolata attenzione da parte del legislatore.

IMPRESA FAMILIARE: L’IMPORTANZA DI UN ADEGUATO SUPPORTO LEGALE

di Lorenzo IacobbiAvvocato, esperto in Diritto di famiglia ed impresa familiare

Presidente nazionale del Centro Studi “Familia”

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23Negli ultimi anni la parola sostenibilità è entrata prepotentemente nel vocabolario di molti di noi, fino a diventare una vera e propria costante del lessico quotidiano. Ne è dimostrazione il fatto che il suo significa-to ha ormai travalicato i più classici temi ambientali ed ecologici, finendo per esten-

dersi a molti altri settori tra i quali, in particolare, il settore dell ’economia e dell ’impresa.

Per questa ragione Banca Mediolanum non con-sidera la sostenibilità semplicemente come una moda passeggera, ma piuttosto come un tema portante della propria filosofia aziendale, una prospettiva globale che vogliamo rivolgere a tutti i nostri stakeholders avendo chiaro in mente la valenza strategica assunta da questo tema. Da anni, infatti, Banca Mediola-num ha scelto di porre sempre maggiore attenzione allo sviluppo di questa importante tematica, tanto che risale al 2015 la presentazione del primo prodotto orientato in questo senso.

Ultima novità in termini di tempo, il lancio alla fine del 2018 di un prodotto azionario che investe sui grandi temi di sviluppo mondiale dei mercati emer-genti focalizzato su temi sostenibili. Un prodotto che sintetizza perfettamente l ’approccio globale con il quale noi intendiamo la sostenibilità, dove tutti gli investimenti vengono analizzati sulla base di una serie di criteri precisi: competenza delle persone che

scelgono i titoli su cui investire, lettura delle per-formance in termini di impatto, filosofia di inve-stimento e presenza di una policy di sostenibilità coerente.

L’attenzione che Banca Mediolanum pone al tema della sostenibilità si riflette sul suo modello di consulenza a 360 gradi, abbracciando non solo i prodotti di investimento identificati come sostenibi-li, ma tutti i prodotti e servizi presenti nella nostra offerta: dal conto corrente, al credito, alle polizze assicurative. E oggi stiamo lavorando a un vero e proprio indice sintetico di sostenibilità che dovrà avere un valore oggettivo restituendo un indicatore preciso, che coinvolga tutta la relazione che i clienti hanno con la banca, a partire dalla semplicità di accesso e utilizzo, dall ’eliminazione della carta, all ’inclusione finanziaria anche attraverso la dif-fusione del canale digitale.

Da sempre Banca Mediolanum mette i suoi clienti al centro, è quindi naturale che l ’attenzio-ne alla sostenibilità sia parte integrante del nostro modello, volto a tutelare i clienti e i loro progetti di vita. Ciò significa garantire soluzioni assicurative, sia di protezione che di investimento, che tengano conto delle loro reali esigenze e un accesso costante al credito, costruendo un rapporto di fiducia di lun-go periodo grazie al ruolo chiave dei nostri Family Banker presenti su tutto il territorio nazionale.

INVESTIAMO SU PRODOTTI AZIONARI BASATI SU TEMI SOSTENIBILI

di Edoardo Fontana RavaDirettore Sviluppo Prodotti e Modello di Business di Banca Mediolanum

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F O T O N O T I Z I E

SCATTI D’AUTORE

L’industria del foodFOTOSERVIZIO DI ANTONIO ZANATA

PAG. 26-27

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UN’EMERGENZA UNICA COME VENEZIAPAG. 28-29

NEL 2020 GENOVASI RICOLLEGA A SÉ STESSAPAG. 30-31

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IL TESORO DELL’INDUSTRIADEL FOODL’industria del food è tra le più importanti d’Italia e vale attorno agli 85 miliardi di euro, di cui soltanto circa lo 0,3% è prodotto dagli chef stellati. L’agroalimentare, invece, è tra i primi settori manifatturieri per numero di imprese e per ricavi con 140 miliardi di euro nell’anno fiscale 2018.Fotoservizio di Antonio Zanata

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UN’EMERGENZA UNICA COME VENEZIAVenezia è unica al mondo, come l’emergenza che l’affligge da sempre: l’acqua alta. Sono stati spesi già 5,3 miliardi di euro per il Mose, ma il problema resta. Questa foto simbolica, scattata il 13 novembre scorso, ritrae una gondola sopra un portabicilette in occasione della più grande acqua alta di sempre registrata in una delle città più rappresentative dell’Italia nel mondo.Foto di Alessandra Rallo (ANSA-AP)

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NEL 2020 GENOVA SI RICOLLEGA A SÉ STESSANel 2020 Genova si ricollegherà a sé stessa, e non solo. Il 28 giugno scorso il ponte Morandi è stato abbattuto con cariche micro-esplosive ed entro quest’anno dovrebbe essere completato il nuovo viadotto che lo sostituirà. Il ponte è parzialmente crollato il 14 agosto 2018 uccidendo 43 persone. Foto di Luca Zennaro (ANSA)

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IN COPERTINA

SOSTENIBILITÀ, IN ARRIVO PER OLTRE 200MILA AZIENDE LA TASSONOMIA EUROPEAPAG. 46-49

L’ITALIA CHE CRESCE

in collaborazione con L’UFFICIO STUDI DI CERVED GROUPPAG. 34-45

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E

L’INCHIESTA

Imprese, i campioni

della crescita resilienteUn’indagine per individuare aziende capaci di crescere sempre nel periodo più nero della nostra economia, dal 2007 al 2018. I 771 campioni sono più presenti al Nord e nei settori meno soggetti al ciclo economico, ma non mancano le eccezioni. Ecco chi sono le 100 società con le migliori performance degli ultimi undici anni

sistono in Italia 771 imprese cam-pioni della crescita resiliente, in grado di aumentare regolarmente i ricavi nella fase più buia della no-stra economia. Si tratta prevalen-temente di società che operano nel nord e in settori anticiclici, ma non mancano aziende che hanno tenuto un passo di crescita rego-lare anche operando in mercati fortemente colpiti dalla bufera della crisi.

I dati macro sono inequivocabi-li: la nostra è l’unica grande eco-nomia con un livello di prodotto interno lordo ancora inferiore ri-

scita resiliente. Lo abbiamo fatto con un criterio molto stringente, cercando le società che hanno accresciuto i ricavi tra il 2007 e il 2018 in ogni singolo anno, per poi classificarle in base alla crescita cumulata realizzata in questo lun-go orizzonte temporale.

Siamo partiti da una base di 140 mila imprese che avevano depo-sitato un bilancio nel 2007 e che impiegavano almeno 10 addetti, escludendo quindi le microso-cietà. I dati indicano che già nel 2009, la prima fase della recessio-ne aveva escluso un’ampia mag-gioranza delle società da questa speciale classifica: solo il 16% del-le imprese erano riuscite ad ac-crescere il fatturato nel corso del 2008 e del 2009.

Dopo questa prima scrematura, sono rimaste sul mercato aziende caratterizzate da una maggiore resilienza nella crescita: la percen-tuale di quelle che di anno in anno è rimasta nella classifica è cresciu-ta progressivamente, passando dal 33% del 2009 fino all’80% del 2017 e 2018.

spetto al 2007 (-4,4%); in questi undici anni, il nostro Paese ha at-traversato una doppia recessione, facendo registrare quattro anni di caduta del Pil (2008, 2009, 2012 e 2013). Non solo: quando l’econo-mia è cresciuta, lo ha fatto a ritmi molto ridotti, con tassi che hanno superato l’1% solo in tre anni e non hanno mai oltrepassato la soglia del 2%.

In un periodo così difficile, ca-ratterizzato da un’economia in contrazione o asfittica, abbiamo impiegato gli archivi di Cerved per individuare i campioni della cre-

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in copertina

LE IMPRESE CON UNA CRESCITA RESILIENTE

DISTRIBUZIONE PER REGIONE DELLE 771 IMPRESE CON CRESCITA RESILIENTE

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Lombardia, Veneto e Emilia Romagna sono le regioni con il più alto tasso di crescita. Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Marche in proporzione vantano più imprese resilienti. Francese l’azienda che guida la classifica delle migliori

Alla fine del periodo considera-to, sono 771 le imprese campioni della crescita sostenibile nel lungo periodo, che sono riuscite sempre ad accrescere i propri ricavi tra il 2007 e il 2018, pari allo 0,55% del campione iniziale.

Le prime aziende di questa spe-ciale classifica operano in settori fortemente penalizzati dalla crisi, ma che hanno saputo costruire una lunga storia di successo.

La prima impresa per crescita del fatturato (considerando tra le 771 quelle che già realizzavano al-meno un milioni di euro nel 2007) è la Maisons du Monde Italie Spa, una società francese con quartier generale italiano nella provincia di Milano e che opera nel mercato del commercio al dettaglio di mobili: la società aveva ricavi pari a 1,2 milioni di euro nel 2007; è sempre cresciu-ta nei successivi undici anni, fino a realizzare 163 milioni di euro nel 2018, passando da 20 addetti a 946 addetti.

La seconda è Gallery Holding, una società di Fano che gestisce la distribuzione di grandi marchi internazionali come Ralph Lauren e Levi’s, passata da 1,4 a 52 milio-ni di euro di ricavi. La terza è una realtà manifatturiera, Stefanplast di Vicenza che produce articoli in plastica per i settori casalingo

e giardino con un approccio eco-logico: la società è passata da 1,2 milioni a 42 milioni di euro negli undici anni considerati.

Se si amplia l’analisi ai 771 cam-pioni, i dati indicano che i risultati sono stati influenzati da due fat-tori: in parte, dalle tendenze dei singoli mercati, che hanno favo-rito o frenato la corsa delle im-prese; in parte dalla capacità dei

manager, che in alcuni casi sono riusciti a realizzare performance straordinariamente positive anche in settori che hanno attraversato crisi profonde, come nei casi del-le prime tre società della nostra classifica.

L’analisi territoriale evidenzia che la presenza dei campioni della crescita resiliente è chiaramente più alta nelle regioni settentriona-li e più bassa in quelle del Cen-tro-Sud.

Con 212 società sempre cre-sciute tra 2007 e 2018, la Lom-bardia è la regione con il maggior numero di campioni; rispetto alle imprese analizzate è però il Tren-tino Alto Adige la regione che vanta la maggiore presenza rela-tiva di imprese (1,38%) che hanno

sempre accresciuto i propri rica-vi. Con l’eccezione del Molise, tutte le regioni del Mezzogior-no fanno invece registrare una presenza più bassa rispetto alla media nazionale. In Basili-cata nessuna impresa è riusci-ta a crescere in tutto il periodo analizzato.

Anche dal punto di vista set-toriale, i dati offrono tendenze

piuttosto chiare: non sorprenden-temente, la presenza dei campioni della crescita resiliente è relativa-mente più alta nei settori antici-clici, come sanità (2,7%), alimen-tare (2,2%), chimica-farmaceutica (1,2%).

La presenza è viceversa più bassa nelle attività manifatturiere più soggette al ciclo economico, come metalli, abbigliamento, pla-stica, meccanica e automotive.

SANITÀ, INDUSTRIE ALIMENTARI,

CHIMICA E FARMACEUTICA I SETTORI MAGGIORMENTE

PERFORMANTI

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INCIDENZA DELLE 771 IMPRESE CON CRESCITA RESILIENTE SUL TOTALE DEL 2007: ITALIA VS REGIONI

INCIDENZA DELLE 771 IMPRESE CON CRESCITA RESILIENTE SUL TOTALE DEL 2007: ITALIA VS SETTORE

in copertina

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in copertina

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ono oltre 200mila, secondo Cer-ved, le imprese italiane che opera-no in settori verdi o che dovranno affrontare la transizione sosteni-bile per effetto della tassonomia, che comporta obblighi ma anche incentivi. Un numero, peraltro, de-stinato a crescere nell’immediato futuro.

Il quadro normativo comunita-rio sta attraversando una fase di rapida evoluzione nella direzione di una maggiore attenzione ai temi della sostenibilità ambientale, so-ciale e di governance attraverso i valori Esg. Nel dicembre 2016, facendo seguito alle conclusioni emerse nell’ambito dell’Agenda

tà economiche sulla base del loro contributo al miglioramento della sostenibilità ambientale (Teg, Ta-xonomy Technical Report, giugno 2019). La tassonomia inquadra l’universo delle attività che conti-nueranno a sopravvivere nel con-testo di un’economia a zero emis-sioni nette nel 2050 identificando anche le attività a supporto della transizione verso un’economia a più basso livello di emissioni e cli-maticamente resiliente.

La tassonomia fa riferimento al sistema di classificazione delle attività economiche Nace e indivi-dua dei settori target che possono contribuire in modo determinante alla climate change mitigation e adaptation senza entrare in con-trasto con gli altri obiettivi am-bientali dell’Unione. Il concetto di climate change mitigation è rife-rito alla stabilizzazione della con-centrazione di gas serra nell’at-mosfera realizzabile attraverso diverse modalità come, ad esem-pio, la creazione, la conservazione e l’utilizzo di energie rinnovabili e di tecnologie innovative per il risparmio energetico, il migliora-mento dell’efficienza energetica, l’utilizzo di processi di mobilità “pulita” o climate-neutral, l’ado-

LO STUDIO

Sostenibilità, in arrivo

per oltre 200mila aziende

la tassonomia europeaLe società dovranno affrontare il processo di transizione rispetto ai valori Esg: i settori individuati in questa prima fase appartengono a otto macrocomparti, ma la lista potrebbe essere integrata nell’immediato futuro

l’inchiesta

2030 dell’Onu per lo Sviluppo So-stenibile e della Conferenza sul Clima di Parigi, la Commissione Europea ha istituito un gruppo di esperti (High Level Technical expert group on sustainable fi-nance, “Hleg”) al fine di svilup-pare una strategia complessiva in materia di finanza sostenibile e un sistema unificato delle attività sostenibili, in modo da orientare gli operatori economici attraverso nuovi parametri di tutela ambien-tale che possano essere integrati nelle decisioni di investimento e nella gestione dei rischi.

Nel giugno del 2019, l’Hleg ha stilato una tassonomia delle attivi-

S

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zione di materiali riciclabili ecc. La climate change adaptation è inve-ce relativa ai rischi fisici derivanti dagli effetti del cambiamento cli-matico ed è un parametro legato alle specificità dei diversi contesti locali.

La selezione dei settori target è stata effettuata tenendo con-to delle emissioni di CO2 a livello settoriale e di quanto investire in una determinata attività possa co-stituire un fattore abilitante per la riduzione di emissioni in altri set-tori. La definizione dalla tassono-mia dei settori è stata correda-ta di metriche di monitoraggio e criteri soglia da prendere in considerazione affinché le at-tività possano contribuire ad un’effettiva riduzione dell’in-quinamento.

Nel documento della Com-missione si precisa che la tasso-nomia non è da intendersi come definitiva e potrebbe essere inte-grata da ulteriori attività in futu-ro. I settori individuati in questa prima fase appartengono a 8 ma-crocomparti: agricoltura, mani-fatturiero, energia e gas, acqua e reti fognarie, trasporto e magazzi-naggio, ICT, costruzioni e attività immobiliari.

Nel complesso, la tassonomia proposta dalla Commissione Eu-ropea può costituire un utile stru-mento per individuare i sistemi economici sui quali i nuovi siste-mi di regole e incentivi a favore della climate change mitigation & adaptation produrranno i mag-giori impatti, richiedendo quindi maggiori investimenti.

Utilizzando i dati degli archivi Cerved, abbiamo mappato le im-prese italiane che operano nelle attività economiche identificate dalla tassonomia, ovvero quelle

che nei prossimi anni potrebbe-ro essere direttamente coinvolte dalle modifiche della normativa europea.

Dall’analisi emerge che le azien-de operative nelle attività econo-miche della tassonomia hanno un peso rilevante sul sistema produt-tivo italiano, sia in temini di indot-to economico ed occupazionale che di esposizione finanziaria.

Nel 2018 le imprese italiane at-tive nei settori della tassonomia sono 203.023 (il 27,5% delle so-cietà di capitale italiano), genera-no nel complesso un fatturato di oltre 400 miliardi di euro (15,1%), impiegano 1 milione e 800 mila addetti (17,6%) e hanno debiti fi-nanziari per un valore complessi-vo di 253 miliardi di euro (30,5%).

Focalizzandosi sulla classe dimensionale, in termini di nu-merosità la quota maggioritaria delle aziende considerate è costi-tuita da microimprese (169mila, l’83,1%), ma considerando addetti impiegati, fatturato e debiti finan-ziari, Pmi e grandi aziende evi-denziano un contributo molto più elevato. Nello specifico, le 33mila Pmi contribuiscono per quasi la metà degli addetti impiegati nei settori della tassonomia (47,4%) mentre le quasi mille grandi im-prese coprono la metà del fattura-to complessivo (49,8%) e più del 60% dei debiti finanziari (60,7%).

In termini di numerosità, le 169mila microaziende attive nei settori della tassonomia rappre-sentano il 30,1% del complesso delle microimprese, mentre l’in-cidenza è più bassa per le altre classi dimensionali (20,1% per le piccole, 15,8% per le medie e 14,7% per le grandi). Sul pia-no occupazionale il quadro si conferma, con un maggior peso dei settori della tasso-nomia tra le micro (25,6%), se-

guite da piccole (19,7%), medie (16,2%) e grandi (14,6%).

Considerando l’indebitamento finanziario per classe dimensio-nale, le attività economiche della tassonomia mostrano un’inciden-za molto rilevante tra le micro (56,9% del totale dei debiti finan-ziari) e tra le grandi (29,3%), men-tre la quota di indebitamento è meno pronuinciata tra le Pmi.

SONO 33MILA LE PMI INTERESSATE

MENTRE LE MILLE GRANDI COPRONO LA METÀ

DEI RICAVI

Nel 2018 le imprese attive nei settori della tassonomia sono state 203.023, di cui il 27,5% di capitale italiano, che generano nel complesso un fatturato di oltre 400 miliardi e impiegano 1,8 milioni di addetti, con debiti finanziari di 253 miliardi

l’inchiesta

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L E I N T E R V I S T E

PERSONAGGILUIGI RIOLO

Il Cavaliere degli abissipag. 56-59

Vittore BerettaL’INCUBO CINA NON FA PAURA

Pag. 52-55

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LAL VERTICEVittore Beretta. I numeri a sinistra sono riferiti alla “Galassia Beretta”

BILANCIO 2018FATTURATO: 830.000.000

MOL: 61.600.000

UTILE NETTO: 16.600.000

ROE: 10,29%

ADDETTI: 2.500

SEDE: TREZZO

SULL’ADDA (MI)

«»

CHIUDIAMO IL 2019 CON UN AUMENTO DEL FATTURATO SIA IN ITALIA CHE ALL’ESTERO

VITORRE BERETTAPRESIDENTE GRUPPO BERETTA

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LL’EPIDEMIA DI PESTE SUINA AFRICANA

CHE STA DECIMANDO GLI ALLEVAMENTI DI MAIALI IN ASIA RISCHIA DI FAR IMPAZZIRE NEI PROSSIMI MESI IL MERCATO DEI SALUMI

DI MAURO DENIGRIS

C O P E R T I N A

’incubo, anche se non è tale per tutti, arriva dalla Cina. In Italia se ne parla ancora relativamente poco, ma l’epidemia

di peste suina africana che sta decimando gli allevamenti di

maiali del più grande Paese asiatico e del più grande produt-tore del mondo, rischia di far “impazzire” nei prossimi mesi il mercato dei salumi. Anzi, ha già cominciato a far schizzare in alto i prezzi da qualche mese. A mettere in guardia su ciò che sta accadendo è Vittore Beretta, presidente di una tra le società leader del settore a livello internazionale.

«Il problema grave è nato negli ultimi mesi», racconta l’imprenditore dell’azienda sorta nel 1812 a Barzanò -. C’è stato un eccezionale aumento della materia prima, ossia delle carni dei suini, originato esclusivamente dalla peste suina afri-

cana che incide solo sui suini e non procura nessun problema

all’alimentazione umana. In Cina è scoppiata questa epidemia e i cinesi stanno abbattendo buona parte del loro patrimonio,

circa 450 milioni di capi, che è la metà del patrimonio mon-

VITTOR

E BER

ETTA

L’INCUBO CINA

NON FA PAURA

diale. E dunque vengono in Europa e ora anche negli Stati Uniti per accaparrarsi vari tagli di carne suina per sostituire

i loro animali che devono abbattere. La situazione va molto bene agli allevatori europei e statunitensi, va bene relativa-

mente ai macelli che possono esportare queste carni in Cina ma danneggia i trasformatori europei, perché manca la mate-

ria prima per fare la trasformazione in salumi e in questo mo-

mento ci sono anche problemi di consegne e di disponibilità. Perciò gli allevatori e i macellatori hanno avuto buon gioco ad alzare i prezzi. È vero che stanno facendo pagare costi più alti alle esportazioni in Cina rispetto a quelli che applicano a noi (+48% di quantità e +38% in valore, ndr), ma li hanno elevati enormemente. Nel giro di pochi mesi - il problema è comin-

ciato a maggio/giugno ed esploso ad agosto - i prezzi sono schizzati all’insù, soprattutto nei mesi di settembre e ottobre». Come si può ovviare a questa situazione? «Negli Stati Uniti il presidente Trump aveva rotto i rapporti

P E R S O N A G G I

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di esportazione di carne di tagli suina in Cina. Su pressione degli allevatori ame-

ricani ha accontentato però l’uno e l’al-tro, riaprendo le esportazioni ma fino a un aumento del 20% di prezzo, per non far pagare ai consumatori statunitensi i

problemi della Cina. E infatti negli Usa i prezzi sono schizzati fino al 20%. In Europa invece c’è libertà e siamo arri-vati al 20, al 30 e per alcuni tagli al 40, 50 percento in più rispetto a sei mesi fa. Le nostre associazioni stanno già agen-

do per ovviare ma non è facile perché ci sono interessi contrapposti».Che riflessi ha questo su un’azienda come la vostra e sui consumatori fi-nali?

«Noi siamo costretti ad adeguare i prez-

zi e questo si rifletterà inevitabilmente sui consumatori, benché non ai livelli di altri. Negli anni abbiamo infatti fatto investimenti anche in allevamenti e per-

ciò attenuiamo questa situazione. Ma il problema ormai non riguarda più solo i

suini».Cioè? «Nel frattempo la Cina ha cominciato a

personaggi

“SIAMO COSTRETTI AD ALZARE I PREZZI E QUESTO SI RIFLETTERÀ INEVITABILMENTE SUI CONSUMATORI. MA GLI INVESTIMENTI FATTI NEGLI ANNI ATTENUERANNO IL PROBLEMA

fare incetta in tutto il mondo anche di

carne bovina e quindi sta facendo salire i

prezzi anche dei tagli, soprattutto in Sud America dove hanno fatto aumentare i

prezzi del 25% nel giro di due mesi». Questa corsa agli acquisti da parte della Cina rischia di creare una rivo-luzione in tutto il settore?«Di sicuro crea una forte evoluzione. È una situazione che non si era mai vista in passato. I cinesi in questo momento pagano qualunque prezzo, basta avere carne».Per la Fratelli Beretta che cosa cam-bierà? «Come detto ci sarà un aumento dei prezzi dei nostri prodotti, anche se at-tenuato perché non siamo solo trasfor-matori ma anche in parte allevatori. Di sicuro ci sarà una contrazione dei consumi. Noi comunque chiuderemo il 2019 con un aumento del fatturato, sia in Italia, con un amento di circa il 5%,

sia all’estero anche come produzioni sia negli Stati Uniti, sia in Cina dove abbiamo nostri stabilimenti. Il mercato estero, dove saliamo di oltre il 10%, va

in particolare molto bene perché recepi-sce meglio anche gli aumenti di prezzo e comunque aumenta il consumo di carne

fresca suina nel mondo».

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IN AZIENDAVincenzo Boccia è alla guida dell’azienda di famiglia, Arti Grafiche Boccia

The nightmare, even if not everyone has been affected by it, comes from China. It is still not felt extremely relevant in Italy, but the epidemic of the African swine fever that is decimating the hog farms of the largest Asian country and the largest producer in the world risks threatening the cured meat market in the coming months. On the contrary, it has already started to raise prices for a few months now. To warn about what is happening is Vittore Beretta, president of one of the leading companies in the sector at an international level. “The serious problem was born in the last few months”, says the entrepreneur of the company that was founded in 1812, in Barzanò. There has been an exceptional increase in the raw material - i.e. the hog meat - originated exclusively from the African swine fever, which affects only pigs and does not cause any problems to human nutrition. This epidemic has broken out in China, and the Chinese are tearing down much of their heritage, around 450 million heads, which is half of the world heritage. Hence, they are coming to Europe, and now also to the United States, to grab various cuts of pork to replace the animals they have to slaughter. The situation is excellent for European and U.S. breeders, it is ideal for slaughterhouses that can export this meat to China, but it damages European processors because the raw material is lacking to transform cured meats. At this time, there are also delivery problems and availability. So the breeders and the slaughterers had a good game in raising prices. They are indeed charging higher costs to exports to China than those applied to us (+ 48% in quantity and + 38% in value, ed), but they have elevated them enormously. Within a few months - the problem began in May/June and exploded in August - prices have soared, especially in September and October”. How can this situation be overcome?

“In the United States, President Trump had broken China’s exportation of pork from pork cuts. However, under pressure from American farmers, he satisfied

both reopening exports but up to a 20% increase in price, so as not to charge U.S. consumers with China’s problems. And in fact, in the U.S. the prices have shot up to 20%. In Europe, on the other hand, there is freedom, and we have arrived at 20, 30, and for some cuts at 40, 50 per cent more than six months ago. Our associations are already acting to remedy, but it is not easy

because there are conflicting interests”.What reflections have this situation on a company like yours and consumers?“We are forced to adjust prices, and this will be reflected inevitably on consumers, although not at the levels of others. Over the years, we have made investments also in farms, and therefore we mitigate this situation. But the

problem no longer concerns only pigs”.What does it mean?“Meanwhile, China has begun to stock up around the world, also with beef. Therefore, it is making the prices of the cuts go up, above all in South America, where they increased the prices of 25% in the turn of two months”.Does this rush of

purchases by China risk creating a revolution in the whole sector?“It certainly creates a substantial evolution. This situation has never been seen in the past. The Chinese at this time pay any price, just to have meat”.What will it change for Fratelli Beretta?“As said, there will be an increase in the prices of our products, even if it is attenuated because we are

not only transformers but also in part breeders. Certainly, there will be a contraction in consumption. However, we will close 2019 with an increase in turnover; both in Italy, with an increase of around 5%, and abroad also as productions both in the United States and in China where we have our factories. The foreign market, where we go up by over 10%, is in particular very good because it also better incorporates price increases and in any case increases the consumption of fresh pork in the world. We will continue to invest everywhere: in the cooked, in the raw, in the bresaola. In the United States, we are expanding our plants, and in China, we are upgrading the lines”.

Mauro Denigris

COVER STORY

THE NIGHTMARE COME FROM CHINA

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IFM

CAVALIERE DEL LAVOROLuigi Riolo, 74 anni, presidente e amministratore unico della Filtrex srl

«

»

IL NOSTRO MOTTO È QUELLO DI LAVORARE NON PER GLI AFFARI MA PER IL NOME DELLA FILTREX. CERCHIAMO SEMPRELA SODDISFAZIONE DEI CLIENTI E NON A CASO ESPORTIAMO IL 97% DEI NOSTRI PRODOTTI

PECHINOLUIGI RIOLOPRESIDENTE FILTREX SRL

BILANCIO 2018FATTURATO: 48.385.518

MOL: 21.741.443

UTILE NETTO: 15.089.884

ROE: 93,79%

ADDETTI: 165

SEDE: MILANO

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LLU

IGI

RIOLO

uigi Riolo ha 74 anni, ma la verve e la capacità di intuire i cambia-

menti di un teenager. Non a caso negli ultimi due anni l’azienda che ha fondato nel 1976 e di cui è presidente e amministratore unico, la Filtrex s.r.l., attiva nel settore dei filtri industriali per grandi impian-

ti, impianti petroliferi e motori navali, è stata la miglior azienda di medie dimensioni prima della provincia di Milano e poi dell’intera Lombardia. Performance che hanno permesso a questo perito elet-tronico di grande determinazione e inventiva di essere nominato nei mesi scorsi cavaliere del lavoro dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

NEI MESI SCORSI LA NOMINA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

SERGIO MATTARELLA PER IL FONDATORE DELL’AZIENDA

ATTIVA NEL SETTORE DEI FILTRI INDUSTRIALI,

LEADER MONDIALE NELLA FILTRAZIONE MICRONICA

di MAURO DENIGRIS

IL CAVALIERE

DEGLI ABISSI

P E R S O N A G G I

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IFM

Presidente, una bella soddisfazione… «Certo, è stata una gran bella soddisfa-

zione, soprattutto come riconoscimento per tutto l’impegno di tanti anni di lavoro. Sono molto orgoglioso di quello che sono riuscito

a fare, però questo è un riconoscimento che va anche a tutte le intelligenze allineate nel perseguimento degli obiettivi aziendali e a tutta la rete di relazioni che ruota intorno alla nostra società, soprattutto tenendo pre-

senti le famiglie dei collaboratori e i clienti. Il nostro motto è quello di lavorare non per gli affari ma per il nome della Filtrex. Cer-chiamo sempre la soddisfazione dei clienti e non a caso esportiamo il 97% dei nostri prodotti in tutto il mondo. L’orgoglio più grande è quello di riuscire a esportare in Cina, Corea e Giappone, dove c’è un vasto mercato del settore navale, circa il 23% del-la nostra produzione. Il 19% del totale lo esportiamo invece in Nord America, il resto in Medio Oriente e Australia».

Tutte zone a forte vocazione indu-striale. Come ci riuscite?

«Noi veniamo da una cultura per così dire militare. Siamo nati nel ’76 nel setto-

re dei filtri industriali e ci siamo sviluppati pian piano fino a che abbiamo partecipato nel 1982 a una gara della Marina Militare. Chiedevano qualcosa che sul mercato non

personaggi

SEDI IN TUTTO IL MONDOFiltrex ha stabilimenti produttivi

in Italia, Usa, Venezuela, Cina, Corea e Giappone

“LA NOMINA A CAVALIERE DEL LAVORO DA PARTE DEL PRESIDENTE MATTARELLA È STATA UNA GRAN BELLA SODDISFAZIONE, SOPRATTUTTO COME RICONOSCIMENTO PER L’IMPEGNO PROFUSO IN TANTI ANNI

esisteva, un pulitore micronico. Lo abbiamo sperimentato su tre fregate e abbiamo vinto

la gara che ci ha permesso poi di espanderci

nel settore delle raffinerie con la produzione di piattaforme di filtrazione micronica e di prote-

zione del reattore di raffinazione del petrolio. E questo ci ha permesso di entrare nel mercato

mondiale e di aprire sedi negli Stati Uniti, dove

abbiamo capito l’importanza dell’innovazione e della ricerca. Fino a qualche anno fa investi-vamo l’8% del fatturato in ricerca, ora a causa della crisi siamo al 4%, ma comunque è una

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ECOLOGIA MARINAUn rivoluzionario filtro automatico per il trattamento delle acque rimuove tutti i microbatteri

i fondi di industria 4.0 sono stati molto importanti: per essere competitivi in cina abbiamo investito PARECCHIOper ammodernare le linee produttive e inserire tanta automazione

fetta importante».E gli investimenti non sono finiti.«Abbiamo tra i più grossi banchi prova al

mondo. Siamo su un’area di 25mila metri qua-

dri coperti, ne stiamo costruendo altrettanti,

abbiamo sedi nostre in tutto il mondo: Usa, Ve-

nezuela, Cina, Corea e Giappone».Quanto sono stati importanti i fondi del

Piano nazionale Industria 4.0?

«Sono stati molti importanti perché esse-

re competitivi in Cina non è facile. Per avere prezzi bassi sul mercato abbiamo investito

molto per ammodernare le linee produttive,

soprattutto con tanta automazione grazie a Industria 4.0, anche se pure prima avevamo meccanizzato tutto, senza doppi turni».

Quali sono le prospettive? «È un buon momento. Abbiamo 180 di-

pendenti. L’anno scorso abbiamo fatturato 48,348 milioni. L’anno prima 38. Nel 2019 abbiamo superato gli 82 milioni. Dobbiamo ormai raddoppiare lo stabilimento perché non ci stiamo più. A dare grande impulso è stata la scelta di buttarci nel settore dell’e-

cologia marina. In pratica rimuoviamo tutti i microbatteri, grazie a un rivoluzionario filtro automatico per il trattamento delle acque marine. Un’innovazione tecnolo-

gica molto importante per la salvaguardia

dell’ambiente marino, riconosciuta anche

dalla Ballast Water Management, ossia la convenzione internazionale per il controllo della gestione delle acque di zavorra delle navi e dei sedimenti. È un sistema in grado di eliminare la diffusione in altri ambienti

di microrganismi acquatici nocivi e patoge-

ni. La mucillagine in Adriatico, per esem-

pio, si forma per questi motivi, a causa di

acqua di zavorra che proviene dalla Cina. Con il nostro sistema eliminiamo il 99% di questi batteri. E in questo siamo numero uno al mondo».

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STORIEHARMONT & BLAINE

Il bassotto della moda che ha sfidato i giganti

pag. 66-69

THERAS GROUPL’Hi-Tech al servizio

dell’asssistenza sanitaria avanzata

pag. 70-73

BotterUN VINO DA PORTARE IN BORSA

PAG. 62-65

IFMI R A C C O N T I

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62 BBOTTER

Un vino da portare

in Borsadi Andreina Baccaro

INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020IFM

TERZA GENERAZIONEDa destra Alessandro, Annalisa e Luca Botter

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63B BILANCIO 2018FATTURATO: 195.237.000

MOL: 27.952.000

UTILE NETTO: 17.527.000

ROE: 25,09%

ADDETTI: 143

SEDE: FOSSALTA

DI PIAVE (VE)

«

»

Siamo L’azienda chE commercializza più vino biologico in italia. Le nostre aziende agricole sono già pensate con l’idea di salvaguardare la salute non solo di chi beve il prodotto ma anche il territorio in cui produciamo

ALESSANDRO BOTTERPresidente BOTTER VINI

storie

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IFM

storie

Pochi prodotti sono in grado di narrare la storia di un Paese: il vino è uno di questi. E non è un caso se 1 su 35 bottiglie di vino italiano esportate nel mondo, oggi, è prodotta da Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A., nata come una piccola azienda a conduzione familiare per la vendita di vini in fusti e damigiane, e diventata una grande realtà dinamica che guarda al futuro. Era il 1928 quando, a Fossalta di Piave, un piccolo paese in provincia di Venezia al confine con il Friuli, Carlo Botter fondò l’azienda di famiglia che già con la seconda generazione, grazie ai figli Arnaldo ed Enzo, si affaccerà nel mercato europeo a partire dagli anni ’60 con la vendita di vini in bottiglia prodotti anche nelle tenute di famiglia. Bot-ter vanta una tradizione quasi centenaria che ha saputo esportare e far conoscere nel mondo grazie ai suoi vini che rappresentano il meglio dei vitigni italiani: soprattutto prosecco e pinot grigio in Veneto, i marchi Lunate, Picco del Sole e Caleo fuori regione e i brand Verso, Gran Pas-sione e Doppio Passo in fascia premium.

Luca, Annalisa e Alessandro Botter oggi rappresentano la terza gene-razione alla guida dell’azienda di famiglia e integrano una visione inno-vativa ed orientata al futuro con la tradizione centenaria del saper fare il vino. Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A. vanta un giro d’affari di 195 milioni di euro, esporta nel mondo il 96% circa dei 95 milioni di bottiglie prodotte ogni anno e guarda nel medio termine all’approdo in Borsa.

«Il motivo principale per cui siamo tuttora “esterofili” – sorride il presidente Alessandro Botter, - è che siamo stati i primi in Italia a con-centrarci di più sulla vendita all’estero grazie ai nostri genitori, poi il volume di affari si è sviluppato soprattutto dalla fine degli anni fine anni ’90, con l’arrivo della terza generazione e l’approdo negli Stati Uniti». Con il fatturato triplicato nell’ultimo decennio, la Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A. è salda da anni tra i primi dieci signori del vino made in Italy per volume d’affari. «La crescita degli ultimi dieci anni – spiega il presidente – è dovuta soprattutto agli investimenti in azienda, tutti i guadagni degli anni precedenti sono stati reinvestiti in attrezzature e acquisizioni per fronteggiare alle crescenti richieste che iniziavano ad arrivare dalla gdo estera. Il fatto di trovarci preparati e pronti con strut-ture capaci di sopportare la domanda dei grandi compratori esteri ci ha permesso di essere tra i leader di mercato».

Una crescita solida che permette oggi di affrontare le sfide che le tem-peste sui mercati internazionali rappresentano. «Abbiamo attraversato un periodo abbastanza preoccupante – ammette Alessandro Botter -, vi-sto che per noi Usa e Inghilterra rappresentano il primo e il terzo merca-to di esportazione. Fortunatamente per ora sembra scampato il pericolo di dazi Usa sul vino e anzi in questo momento potrebbe aprirsi qualche porta perché i nostri competitor per lo sparkling, cioè champagne e cava, hanno il 25% di tassazione in più». «Per quanto riguarda la Brexit, inve-ce, da un lato questa grossa paura del no deal ha favorito nel 2019 la rin-corsa dei grandi supermercati inglesi di approvvigionarsi di vini italiani per paura di non poterlo poi più fare ma la grande preoccupazione non è quella di tassazioni diverse ma dell’impoverimento della popolazione britanica, che vedendo ridursi il suo reddito procapite probabilmente berrà meno. É questa la preoccupazione tra gli industriali del vino».

Ma il futuro della Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A. è tutt’altro che incerto: nel 2018, infatti, con l’apertura del capitale al fondo di inve-stimento Dea Capital, che ha acquisito una quota minoritaria del 22,5%, è iniziato un piano di espansione che punta alla quotazione in Borsa nel medio periodo, attraverso una penetrazione ancora più significativa nei mercati esteri anche attraverso nuove acquisizioni. «Difficilmente po-tremmo crescere ancora senza l’apertura a capitali esterni. In Italia sia-mo tra i primi, però a livello europeo e mondiale ci sono aziende italiane di dimensioni interessanti. Prima vorremmo crescere di dimensioni ed eventualmente poi attivare il processo di quotazione in borsa». Botter mantiene il riserbo su ambizioni e appetiti ma, sorride, «guardiamo ad aziende a noi complementari, non ci interessa solo acquisire fatturato o ebitda ma andiamo a cercare aziende che possano aiutarci nella fase industriale e non ce ne sono molte in Italia».

«

»

DIFFICILMENTE POTREMMO CRESCERE ANCORA SENZA L’APERTURA A CAPITALI ESTERNI. PRIMA DELLA QUOTAZIONE IN BORSA PERÒ DOBBIAMO CONSOLIDARCI

ALESSANDRO BOTTERPresidente BOTTER VINI

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Only a few products can tell a story of a country: wine is one of them. And it is no coincidence that 1 out of 35 bottles of Italian wine, exported around the world, is currently produced by Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A., which began as a small family-run business selling wine in barrels and demijohns, and has later become a great dynamic reality that looks to the future. It was 1928 when, in Fossalta di Piave, a small town in the province of Venice on the border with Friuli, Carlo Botter founded the family business that already with the second generation, thanks to his sons Arnaldo and Enzo, entered the European market starting from the 60s with the sale of bottled wines, also produced in family estates. Botter boasts a nearly centenarian tradition that he has been able to export thanks to its wines that represent the best of Italian vines. Wines such as prosecco and pinot grigio in Veneto, the Lunate, Picco del Sole and Caleo brands outside the region and the Verso brands, Gran Passione and Double Step in the premium range.Luca, Annalisa, and Alessandro Botter today represent the third generation at the helm of the family business and integrate an innovative and future-oriented vision with the centuries-old tradition of knowing how to make wine. Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A. boasts a turnover of 195 million euros; it exports around 96% of the 95 million bottles produced each year, and it looks to the stock market in the medium term.«The main reason why we are still xenophilic - smiles president Alessandro Botter - is that we were the first in Italy to focus more on selling abroad thanks to our parents. Then, the business volume developed even more since the end of the late 90s, with the arrival of the third generation and the landing in the United States». With a turnover that has tripled in the last decade, Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A has been for years, without any doubt, among the top ten wine magnates made in Italy for business volume. «The growth of the last ten years - the president explains - is mainly due to the investments in the company. All the gains of the previous years have been reinvested in equipment and acquisitions to face

BOTTER

A WINE READY FOR THE

STOCK EXCHANGE

the growing demands that were beginning to arrive from the foreign large-scale retail trade. The fact of being prepared and ready with structures able to withstand the demand of the great foreign buyers has allowed us to be among the market leaders».A solid growth that today allows us to face the challenges that the storms on the international markets represent. «We have been through a rather worrying period - Alessandro Botter admits - given that for us, the USA and United Kingdom represent the first and the third export market. Fortunately, for now, it seems we have escaped the danger of US duties on wine. Actually, this period may bring some open doors because our competitors for sparkling, for products such as champagne, have 25% more taxation. When it comes to Brexit, on the one hand, in 2019 this big

fear of the no-deal favoured the run-up of the big English supermarkets to supply themselves with Italian wines, fearing not being able to do it anymore. However, the big concern is not that of a different taxation system, but that of the impoverishment of the English

population, which will probably drink less after its per capita income is reduced. This is the concern among wine manufacturers». Nevertheless, the future of Casa Vinicola Botter Carlo & C. S.p.A. is far from uncertain: in 2018, in fact, with the opening of the capital to the Dea Capital investment fund, which acquired a minority share of 22.5%, an expansion plan has begun. This plan aims at listing on the Stock Exchange in the medium term, through an even more significant penetration in foreign markets also through new acquisitions. «We could hardly grow again without opening up to external capital. In Italy, we are among the first, but even at the European and world level, there are interesting Italian companies. First, we would like to grow in size and eventually activate the stock exchange listing process». Botter maintains the reserve on ambitions and appetites but, he smiles ad says: «We look at companies that complement us, we are not only interested in acquiring turnover or ebitda, but we are looking for companies that can help us in the industrial phase and there aren’t many in Italy».

Andreina Baccaro

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IFM

HHARMONT& BLAINE Il bassotto della moda

che ha sfidato i giganti

INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020IFM

“Da Napoli si può”: l’azienda partenopea

è arrivata a 100 milioni di fatturato

aprendosi anche ai capitali esterni

di Alessandra Macchitella

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storie

H industriafelix.it

BILANCIO 2018FATTURATO: 91.283.000

EBITDA: 10.843.000

UTILE NETTO: 4.937.000

ROE: 12,22%

DIPENDENTI: 603

SEDE: NAPOLI

«»

LE STORIE DI SUCCESSO SI COSTRUISCONO. ABBIAMO SEMPRE AVUTO FIDUCIA NELLE NOSTRE IDEE

DOMENICO MENNITTIPRESIDENTE HARMONT & BLAINE

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Il bassotto Harmont & Blaine si è sempre sentito all’altezza. Anche all’i-nizio della sua storia, quando già si con-

frontava con alani delle grandi firme. A distanza di anni si può dire che il suo non fosse l’atteggiamento incosciente

di alcuni cani di piccola taglia, bensì figlio della consapevolezza di un astuto segugio, ricco di intuito e coraggio. Così come il logo che la rappresenta, l’azienda campana Harmont & Blaine spa, con determinazione e perseve-

ranza, ha affinato fiuto e caparbietà, trasformandole in intuizioni vincenti e innovative, per consolidare la sua pre-

senza nel mercato del Made in Italy. Fondata a Napoli nel 1995, produce, commercializza e distribuisce abbiglia-

mento casual upper level di alta qualità

per uomo, donna e bambino. Domenico Menniti, presidente della casa di moda, ne è convinto: «Le storie di successo si costruiscono. Abbiamo sempre avuto fiducia nelle nostre idee, nell’offrire prodotti di

alta qualità ponendo la

massima attenzione nelle piccole cose». L’imprenditore napo-

letano ci porta nel

mondo del bassotto

attraverso un dia-

gramma che traccia

a partire dall’anno

dell’attentato alle Torri Gemelle: «Nel 2001 - racconta Menniti - l’a-

zienda era in una fase iniziale e fatturava circa 4 milioni e mezzo, come un buon supermercato alimentare. Eppure osser-vavamo come nostro competitor Ralph Lauren, gigante da 8 miliardi di dollari. Nel 2002 abbiamo avuto una crescita del 50%, nella fiction “Un medico in famiglia” il protagonista indossava le nostre camicie. Nel 2003 siamo arrivati a fatturare 11 milioni e mezzo». Distin-

guersi dalla massa è sempre stato uno degli obiettivi di Harmont & Blaine. «Napoli è famosa nel mondo per gli abiti sartoriali - specifica Menniti - noi cercavamo di entrare nel settore dello

sportswear, da sempre di ispirazione americana. Abbiamo invece trasportato le immagini del nostro Mediterraneo, i colori e i profumi. Ci piace far com-

prendere che “da Napoli si può”, perché pur operando in una realtà complessiva-

mente difficile non bisogna arrendersi. Cerchiamo di restare ancorati al territo-

rio che è per noi fonte di ispirazione».Un processo di internazionalizza-

zione ha portato alla trasformazione da impresa di origine familiare ad un’im-

portante realtà aziendale riconosciuta a livello globale. La distribuzione conta 70 boutique nel territorio italiano e 60

in quello internazionale, oltre a 1.000 punti vendita multibrand in tutto il

mondo e ad una significativa presenza nelle migliori catene e shopping mall

nelle capitali del commercio: dagli Stati Uniti al Mexico, dalla Turchia alla Spagna, dagli Emirati Arabi, al Qatar fino alla Russia e alla Cina. Il bassotto è presente anche nei principali aeroporti di tutto il mondo. «Nel 2004 abbiamo aperto la prima boutique a Miami – spe-

cifica il presidente – avviandoci in un percorso sempre più internazionale». Arrivano gli anni della crisi economica, siamo nel 2008: «Eravamo a un fattu-

rato di 40 milioni - spiega Menniti – come tutti abbiamo risen-

tito i contraccolpi ma

nonostante il periodo

difficile abbiamo avuto una piccola cre-

scita del 7% nel 2009. Nel 2012 abbiamo raggiunto i 61 milioni

e mezzo di fatturato, si sono allargati i

confini della nostra presenza in campo mon-

diale. Gli anni 2010/2012 sono quelli della grande

crisi del retail, si è ampliata la rete degli outlet e dei centri commerciali. Così abbiamo deciso di trasformarci: da for-nitori di grandi negozi su strada eccoci al 70% in retailer. Nel 2018 abbiamo raggiunto oltre i 91 milioni di fatturato, quest’anno ci avvicineremo a quota

100». Oggi Harmont & Blaine conta al suo interno quasi 600 dipendenti diretti

e oltre 1200 di indotto. Secondo Men-

niti: «Da soli si può avere un’idea ma se non si ha fortuna e la capacità di avere

una grande squadra di collaboratori

non si va oltre, è come per un’orche-

stra». Nel 2014 nella società è entrato con il 40% il fondo Clessidra, con il passaggio da azienda a carattere fami-liare ad azienda con manager esterni. «Uno studio ci pone tra le 30 società più importanti nel mondo della moda ita-

liana. Il segreto della nostra crescita – conclude Menniti - è nell’innovazione e nel grande rispetto per il consumatore».

Come si prepara il bassotto alle evoluzioni della moda? «Il settore cresce – sostiene Domenico Menniti (nella foto) –, la popolazione aumenta, se corriamo tutti offrendo la stessa cosa gli spazi sono più stretti. Troveremo consumatori che vogliono vestire diversamente rispetto alla complessiva omologazione».Unicità che Harmont & Blaine cerca anche nei suoi testimonial: nel 2003 con un audace Fiorello e nel 2006 con Fabio Cannavaro, il calciatore del Napoli con gli occhi che sorridono, ricordato dal titolare dell’azienda per aver realizzato servizi fotografici dove è sempre stata “buona la prima”. «Continueremo inoltre a porre attenzione al tema della sostenibilità - ha puntualizzato il presidente - evitando prodotti con componenti nocive e andando sempre alla ricerca di materiali riciclabili».

«CI PIACE FAR COMPRENDERE

CHE “DA NAPOLI SI PUÒ”, PERCHÈ PUR OPERANDO IN UNA REALTÀ DIFFICILE

NON BISOGNA ARRENDERSI»

LA CURIOSITÀ

Sostenibile e unico: la difesa del “bassotto” nelle evoluzioni della moda

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The basset hound Harmont & Blaine has always felt it was good enough. Even at the beginning of its story, when he was already confronted with Great Danes. Years later, you can say that it has never had the foolish attitude of small dogs, but always had the awareness, the intuition, and the courage of a tracker. Like the logo that represents it, the company from Campania, Harmont & Blaine S.p.A., honed flair and stubbornness, with determination and perseverance, transforming such qualities into winning and innovative insights, to consolidate its presence in the Made in Italy market. Founded in Naples in 1995, it produces, markets, and distributes high-quality upper-level casual clothing for men, women, and children. Domenico Menniti, president of the fashion house, is convinced of this: «Success stories have to be created. We have always had confidence in our ideas, in offering high-quality products, paying the utmost attention to small things». The entrepreneur from Naples takes us into the world of the basset hound through a diagram that traces from the year of the attack on the Twin Towers: «In 2001 - tells Menniti - the company was at an early stage and invoiced around 4 and a half million, like a good food supermarket. Yet we watched Ralph Lauren, our 8 billion dollar giant, as our competitor. In 2002 we had a 50% growth, in the fiction “A doctor in the family” the protagonist used to wear our shirts. In 2003 we invoiced 11.5 million». Standing out from the crowd has always been one of Harmont & Blaine’s goals. «Naples is world-famous for its tailored suits - Menniti specifies - we tried to enter the sportswear sector, which has always been American-inspired. Instead, we have transported the images of our Mediterranean, its colours and fragrances. We like to make people understand that “from Naples you can”, because while operating in an overall difficult situation we must not give up. We try to remain anchored to the territory that is a source of inspiration for us».

HARMONT & BLAINE

THE BASSET HOUND OF FASHION

WHO CHALLENGES THE GIANTS

An internationalization process has led to the transformation from a family business to an outstanding, globally recognized company. Distribution includes 70 boutiques in the Italian territory and 60 in the international one, as well as 1,000 multi-brand stores worldwide and a significant presence in the best chains and shopping malls in the capitals of commerce: from the United States to Mexico, from Turkey to Spain, from the Arab Emirates to Qatar, to Russia, and China.The basset hound is also present in major airports around the world. «In 2004 we opened the first boutique in Miami - specifies the president - and set off on an increasingly international path». The years of the economic crisis came, it was 2008: «We had a turnover of 40 million - explains Menniti - as we all suffered the repercussions, but despite the difficult period we had a small growth of 7% in 2009. In 2012 we reached 61 million and a half in turnover, the boundaries of our worldwide presence have widened. The years 2010/2012 were those of the great retail crisis, the network of outlets and shopping centres had expanded. So we decided to transform ourselves: from suppliers of large street shops here we are, 70% into retailers. In 2018 we reached over 91 million in sales, this year we will approach 100».Today Harmont & Blaine has almost 600 direct employees and over 1200 indirected employees. According to Menniti: «You can have an idea on your own, but if you are not lucky and if you don’t have the ability to surround yourself with a great team of collaborators you will not go further; it is like an orchestra». In 2014 the Clessidra fund entered the company with 40%, with the transition from a family business to a company with external managers. «A study places us among the 30 most important companies in the world of Italian fashion. The secret of our growth - concludes Menniti - is in innovation and great respect for the consumer».

Alessandra Macchitella

How does the basset hound get ready for the evolution of fashion? “The sector is growing - says Domenico Menniti -, the population increases, if we all run offering the same thing, the spaces are narrower. We are going to find consumers who

THE CURIOSITY

Sustainable and unique: the defence of the “basset hound” in the evolution of fashion

want to dress differently.This is a uniqueness that Harmont & Blaine also seeks in its testimonials: in 2003 with a bold Fiorello and in 2006 with Fabio Cannavaro, the footballer from Naples with smiling eyes, who is remembered by the owner of the company for having created photographic shoots where

he has always been “ first take is good”. “We will also continue to pay attention to the issue of sustainability - the president pointed out - avoiding products with harmful components and always looking for recyclable materials”.

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storie

FORECAST 2019FATTURATO: 62.500.000

MOL: 15.625.000

UTILE NETTO: 9.850.000

ROE: 62,5%

ADDETTI: 42

SEDE: SALSOMAGGIORE

TERME (PR)

«»

LA SODDISFAZIONE NELL’EMERGERE A LIVELLO MONDIALE E NEL PROGETTARE BENESSERE PER I CITTADINI, È QUANTO DI PIÙ GRATIFICANTE SI POSSA OTTENERE

CRISTIANO FERRARIPRESIDENTE THERAS GROUP

INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020IFM

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T industriafelix.it

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Nel 2019 la società emiliana

ha raddoppiato il fatturato e ha

una crescita annuale media dell’81,7%

di Andreina Baccaro

THERAS GROUP L’Hi-Tech al servizio

dell’assistenza sanitaria avanzata

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INDUSTRIA FELIX MAGAZINE Gennaio-Marzo 2020

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IFM

Hi-tech al servizio dell’assistenza avanza-

ta alle persone affette da diabete (80% dell’impegno aziendale) e della ge-

stione del dolore cronico attraverso la

neurostimolazione con nanotecnologie. È questo il valore aggiunto di Theras Group, piccola realtà emiliana, con sede a Salsomaggiore Terme, che dalla sua data di nascita, nel 2011, ha raggiunto

una crescita media annuale dell’81,7%, passando da 14 a 42 dipendenti. Theras Group è leader nella ricerca e nella com-

mercializzazione di tecnologie d’avan-

guardia per il biomedicale. Cristiano Ferrari, presidente e gene-

ral manager, dopo quasi quarant’anni

di attività nel biomedicale in giro per

il mondo, è tornato in Italia proprio per mettersi al timone della fiorente realtà di Salsomaggiore. «Ho ritenuto - racconta Ferrari - di dover riportare la mia espe-

rienza sul nostro territorio, che a mio avviso non ha da invidiare niente a nes-

suno, come dimostrato dal nostro lavoro

di questi ultimi anni. La soddisfazione di noi Pmi nell’emergere a livello mon-

diale, grazie alla collaborazione di illu-

stri clinici e scienziati attivi nella nostra provincia, e soprattutto nel progettare

benessere ai cittadini, è quanto di più gratificante si possa ottenere».

E gratificanti sono i numeri: se già il 2018 si era chiuso con una crescita di fatturato del 115% rispetto al 2017 (32 milioni 390mila euro contro 14 milioni 830mila), le stime del 2019 vedono rad-

doppiare tutti gli indicatori: il fatturato tocca quota 62 milioni e mezzo, il mol supera i 15 milioni e mezzo e gli utili sono a quota 9.850.000 €.

Il fiore all’occhiello di casa Theras si chiama Dexcom G6, ultima versio-

ne migliorata e aggiornata del sistema

di monitoraggio glicemico continuo di

altissima precisione (CGM-continuous glucose monitoring system), che con-

sente interventi preventivi e correttivi

al fine di mantenere o ricondurre in un range fisiologico la glicemia, liberando quindi i pazienti dalle classiche punture

sul polpastrello. Dexcom viene inserito in modo semplice e indolore sotto la

pelle e dialoga con app su smartphone

e smartwatch, è provvisto di allarmi in grado di segnalare eventi di ipo o iper-

glicemia con largo anticipo. In Italia le persone con diabete sono

3 milioni e 500mila, quelle con ridotta tolleranza al glucosio (IGT, il cosiddet-to prediabete) sono più di 2 milioni. Le persone affette da diabete devono fare i

conti con il livello di glucosio nel san-

gue e per mantenere i valori entro il

target stabilito devono bucarsi la pelle

dalle 4 alle 7 volte in un giorno con il

glucometro. A contribuire al miglio-

ramento della gestione del diabete, e

quindi della qualità di vita, ci ha pensato

Theras Group, attraverso la distribuzio-

ne in esclusiva dei prodotti di Dexcom e Insulet, due aziende americane inno-

vatrici e in crescita. Oltre al sensore elettrochimico di altissima precisione

Dexcom, Theras distribuisce il cerotto intelligente Omnipod, microinfusore di

insulina che, a differenza di quelli tradi-zionali, si può indossare su diverse parti del corpo, senza fili o tubicini visibili.

Oggi in Italia gli utenti di sistemi

di monitoraggio della glicemia e di

microinfusore Omnipod (unica patch pump sul mercato italiano), sono oltre 11mila. Ma la voce diabete pesa per oltre 15 miliardi sul Servizio sanitario nazionale e il costo medio per paziente, solo in farmaci, varia dai 2.600 ai 3.100 euro l’anno. La maggioranza delle spese si traduce in ricoveri ospedalieri (49% dei costi sanitari) per le complicanze e/o la non corretta gestione della malattia. Si è stimato che aumentando solo del 3% la spesa per i devices medici come Ominipod si arriverebbe a un risparmio

delle spese sanitarie del 34%. Attualemente Theras impiega 42

dipendenti, ma contando collaboratori

esterni, specialisti di prodotto in grado

di fornire supporto tecnico a strutture,

medici e pazienti 24 ore su 24, si supera-

no le 70 unità. Ogni anno il gruppo inve-

ste più del 10% del fatturato in sviluppo

e ricerca e in Basic Science Research. È in fase finale il progetto biotecnologico destinato a rivoluzionare il trattamento del dolore post operatorio: si chiama NanoNoPain. Il progetto nasce da una collaborazione con il Cnr e l’Università di Parma, e ha ottenuto un finanziamen-

to della Regione Emilia Romagna.

storie

È in fase finale

il progetto

biotecnologico

destinato

a rivoluzionare

il trattemento

del dolore

post operatorio:

si chiama

NanoNoPain

HI TECH PER IL BENESSEREIn alto Cristiano Ferrari, presidente e general manager di Theras Group, azienda di Salsomaggiore Terme

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Hi-tech at the service of advanced assistance to people with diabetes (80% of the company’s commitment) and the management of chronic pain through neurostimulation with nanotechnologies. This is the added value of Theras Group, a small company in Emilia-Romagna, based in Salsomaggiore Terme, which since its birth in 2011, has achieved an average annual growth rate of 81.7%, rising from 14 to 42 employees. Theras Group is a leader in the research and marketing of cutting-edge biomedical technologies.Cristiano Ferrari, president and general manager, after nearly forty years of activity in the biomedical sector around the world, has returned to Italy to take the helm of the thriving reality of Salsomaggiore. «I thought - tells Ferrari - I had to bring my experience back to our territory, which I believe has nothing to envy anyone, as demonstrated by our work during these past years. The satisfaction of us SME in emerging worldwide, thanks to the collaboration of illustrious clinicians and scientists active in our province, and above all in projecting welfare for the citizens, is the most gratifying thing we can achieve».And the numbers are gratifying: if 2018 had already closed with a turnover growth of 115% compared to 2017 (32 million 390 thousand euros against 14 million 830 thousand), the estimates for 2019 saw all indicators doubling: the turnover reached 62 million and a half, the ebitda exceeds 15.5 million and profits are at € 9.850.000.The flagship of Theras is called Dexcom G6, the latest improved and updated version of the high precision continuous glycemic monitoring system (CGM-continuous glucose monitoring system), which allows preventive and corrective interventions to maintain or bring back glycaemia into a physiological range, thus freeing patients from the classic sting on the fingertip. Dexcom is inserted simply and painlessly under the skin and communicates with apps on smartphones and smartwatches. It is equipped with alarms that can signal hypo or

THERAS GROUP

HI-TECH AT THE SERVICE

OF AN ADVANCED HEALTHCARE

hyperglycemia events well in advance.In Italy, people with diabetes are 3 million 500 thousand; those with reduced glucose tolerance (IGT, the so-called pre-diabetes) are more than 2 million. People with diabetes have to deal with the level of glucose in their blood; they have to keep the values within the established target, and they have to puncture their skin 4 to 7 times in a day with the glucometer. Theras Group has contributed to improving diabetes management, and therefore the quality of life, through

the exclusive distribution of the products of Dexcom and Insulet, two innovative and growing American companies. In addition to the extremely high-precision Dexcom electrochemical sensor, Theras distributes the intelligent Omnipod patch, an insulin pump that, unlike traditional ones, can be worn on different parts of the body, without visible wires or tubes.Today in Italy there are over 11 thousand users of blood glucose monitoring systems and Omnipod insulin pump (the only patch pump on the Italian market). But the word

diabetes weighs over 15 billion on the National Health Service and the average cost per patient, only in drugs, varies from 2,600 to 3,100 euros a year. The majority of expenses result in hospital admissions (49% of health costs) due to complications and/or incorrect management of the disease. It is estimated that by only increasing the cost of medical devices like Ominipod by 3% it would lead to savings in healthcare costs of 34%.Theras currently employs 42 employees; however, if we count external collaborators, product specialists able to provide technical support to facilities, doctors and patients 24 hours a day, Theras exceeds 70 units. Each year the group invests more than 10% of its turnover in development, research, and in Basic Science Research. The biotechnology project is destined to revolutionize the treatment of postoperative pain: it is called NanoNoPain. The project stems from a collaboration with the CNR and the University of Parma, and obtained funding from the Emilia Romagna Region.

Andreina Baccaro

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IFM

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C U L T U R A

Il sequestro nella vicenda

giudiziaria Ilva Spa

FRANCESCO ANDREA FALCONE

pag. 78-79

The Carrot and the Sticks

WILLIAM PUTSIS

pag. 78

Editoria, la presentazione

di IFM 2 a Zignago Holding

pag. 81

LIBRIIFM

Le colpe del SudCLAUDIO SCAMARDELLA

PAG. 76-77

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IFM

Che fine ha fatto la “questione meridionale”? La do-

manda potrebbe suonare pleonastica, la risposta è per-sino spiazzante: si è letteralmente “risolta” trent’anni fa, nel senso che s’è sciolta, diluita, fino ad essere sog-

giogata dal rapido incedere della storia, un ritmo che

il Mezzogiorno d’Italia non ha saputo, e per certi versi voluto, assecondare e sfruttare per (ri)acquistare prota-

gonismo. “Le colpe del Sud” (Manni), il nuovo libro di Claudio Scamardella, parte da una constatazione pro-

vocatoria e approda a un’analisi profonda, stratificata, serrata, che abbraccia senza sconti l’accurata ricostru-

zione storica, l’indagine sociale e politica, la capacità di lettura economica, senza sottrarsi nemmeno alla formu-

lazione di possibili soluzioni e approcci innovativi per il Sud. Il punto d’osservazione è privilegiato: napoletano, lunga militanza al Mattino, Scamardella da dieci anni è direttore di Nuovo Quotidiano di Puglia. Proprio la Puglia e il Salento, negli ultimi lustri, sono stati per certi versi una specie di laboratorio e incubatore di tutto ciò che oggi il Mezzogiorno rappresenta: i guasti della clas-

se dirigente, le illusioni, gli eccessi, l’infatuazione per la retorica delle eccellenze, i dossier emblematici (basti citare Ilva, Tap e xylella), ma anche le potenzialità ine-

spresse e le vocazioni sfruttate solo in parte per affran-

carsi dalla perversa oscillazione del pendolo “sudista” (tra l’estremo del neo-centralismo e quello del decentra-

mento venato da vittimistiche derive neo-borboniche). Al “caso Puglia” l’autore dedica la seconda parte del libro, ed è una specie di grande, simbolica didascalia alla prima metà.

Come e perché si è “risolta” allora la questione me-

ridionale? Con la caduta del muro di Berlino e l’affac-

CLAUDIO SCAMARDELLA

Le colpe del SudRipensare la questione meridionale,

per il Mezzogiorno, la Puglia, il Salento

Pag. 192, € 15

libri

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ciarsi di nuovi scenari geopolitici e geoeconomici, il

Sud esce dal radar dell’Italia e della comunità interna-

zionale: non è più un avamposto strategico, non è più un mercato, non è nemmeno un bacino demografico, perde qualsiasi rendita di posizione e dalla “questione meri-dionale” si scivola così alla “questione meridionali”. Qual è stata la reazione del Mezzogiorno? In trent’anni non solo non ha riletto i fallimenti delle politiche pub-

bliche e le ragioni dell’accresciuto divario, certo non

rintracciabili più (o solo) nello “scippo” di risorse, ma non si è nemmeno attivato per aggiornare e ristrutturare la “cassetta degli attrezzi” del meridionalismo e darsi così una visione, una missione, una collocazione strate-

gica. L’autore mette sul piatto gli strumenti critici da cui ripartire, e lo fa a cominciare da una puntuale rassegna

non solo delle colpe endogene del Sud e degli errori del

Nord, ma anche dei tanti “buchi storici” accumulati dal Mezzogiorno.

Il più rilevante è il “deficit di società”, da sempre colmato da un “surplus di comunità”, un cortocircuito dalle mille, sfaccettate implicazioni: l’appannamento della cultura dei diritti e dei doveri, la carenza di fiducia tra i cittadini e tra questi e le istituzioni, la cultura della protezione e la successiva ricerca del protettore di turno, la carenza di una borghesia matura e responsabile, la perenne autoconservazione delle élite anche al di fuori dell’alternanza politica, la globale tendenza all’autoas-

soluzione. In definitiva, come più volte ribadito nel libro: la spi-

rale di “società decomposta e disordine politico”. Come uscirne? Scamardella individua tre capitali da cui ripar-tire: il capitale geoeconomico, cioè la vocazione medi-terranea del Sud; il capitale umano, dunque il contrasto a degiovanimento e impoverimento demografico con l’investimento massiccio nella formazione dei giovani; infine il capitale sociale, vale a dire il federalismo di caratura municipale per iniettare responsabilizzazione e riattivare il circuito virtuoso tra elettori ed eletti. Una base quantomeno di discussione per una società meri-

dionale rattrappita su se stessa e per una classe politica

affatto immune da colpe.

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In pieno dibattito sul futuro dell’impianto siderurgico più grande d’Eu-

ropa, esce nelle librerie italiane, edito da Stamen, un saggio giudiziario dedicato alla ricostruzione analitica delle indagini e delle successive vi-cende legate al sequestro dello stabilimento Ilva, scritto dal commercia-

lista tarantino Francesco Andrea Falcone, con la prefazione del presiden-

te dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Fedele Moretti.La genesi di una crisi industriale che dura ormai da otto anni è scritta

nelle pagine giudiziarie redatte dalla Procura della Repubblica di Taranto e successivamente anche da quella di Milano, che certificheranno l’inso-

stenibilità per la salute pubblica di un processo produttivo che meritereb-

be una nuova progettazione per garantire continuità ad un sistema pro-

duttivo indispensabile per il Paese e sostenibilità sanitaria per i cittadini.Il libro ripercorre in particolare la prima vicenda di confisca dei par-

chi minerari risalente al 2002 per affrontare le evidenze scientifiche rinvenute dalle perizie epidemiologiche e chimiche oggetto di inciden-

te probatorio nell’ambito degli eventi che condurranno al sequestro nel

2012, circa dieci anni dopo.L’autore accompagna inoltre il lettore nella scoperta dei retroscena

giudiziari, della difesa degli amministratori della società, delle vicende che sconvolgeranno la città di Taranto per diverse settimane nella calda estate 2012, delle scoperte fatte dalla Guardia di Finanza sulla desti-nazione dei proventi dell’attività industriale, del lavoro della Procura e del giudice per le indagini preliminari nello strenuo tentativo di opporre

l’intervento del Governo della Repubblica che condurrà alla redazione di diversi decreti sino al definitivo commissariamento del polo industriale. Una vicenda che alimenta ancora un fortissimo dibattito in ambito nazio-

nale per il destino della siderurgia italiana.

FRANCESCO ANDREA FALCONE

Il sequestro nella vicenda giudiziaria Ilva S.p.A.Linee per una ricostruzione

Pag. 91, € 16

libri

Nel mondo odierno di informazioni interconnesse e “sempre attive”, le aziende che hanno successo sono quelle che competono sfruttando i punti di controllo strategici. “The Carrot and the Stick, pubblicato in lingua inglese, utilizza esempi dettagliati e case-study per spiegare come trovare e sfruttare i punti di controllo strategico può essere la chiave del successo nei mercati convergenti e frenetici di oggi.

WILLIAM PUTSIS

The Carrot and the StickPag. 264, 30 USD

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Ho avuto modo di apprezzare il contenuto del libro, che si basa su una puntuale ricostruzione della vicenda Ilva.In effetti i problemi dell’inquinamento ambientale delle zone del territorio tarantino sono stati evidenziati in numerose occasioni, nel corso di alcuni decenni e sulla base anche di molteplici inchieste giudiziarie, spesso sfociate in complessi procedimenti penali definiti con sentenze di condanna passate in giudicato.Vale la pena ricordare che la prima sentenza con la quale i vertici dello stabilimento Italsider di Stato vennero condannati per la diffusione sul vicino quartiere Tamburi delle polveri diffuse dai vicini parchi minerali risale addirittura al luglio del 1982 e fu emessa dallo scrivente, all’epoca dei fatti giovane Pretore.Nel corso dei successivi anni, come già detto, furono portati a termine almeno 3 o 4 altri procedimenti penali, tutti definiti con sentenze di condanna.Dell’aggravarsi di tale situazione vennero via via informati dalla locale Autorità Giudiziaria numerosi Organi, centrali e periferici, il cui intervento venne sollecitato in maniera pressante,

senza che il problema venisse mai valutato e riscontrati: si arrivò, quindi, al luglio del 2012, allorché la indagine “Ambiente Svenduto” si manifestò sulla base dei ben noti provvedimenti giudiziari.Da allora si continua ad insistere, da parte dei soggetti interessati, sullo slogan secondo il

quale bisogna “contemperare” il diritto alla salute (quindi alla vita) e il diritto al lavoro, ma debbo amaramente rilevare che ogni volta che ho chiesto come si potesse realizzare tale “contemperamento” non ho mai avuto una concreta risposta.Nella nostra Costituzione si fa riferimento a numerosi diritti, che sono effettivamente “assoluti” e fra loro contemperabili: mi riferisco al diritto di proprietà, al diritto alla inviolabilità del domicilio ecc. ma fra questi non vie è anche il diritto alla vita, evidentemente perché la vita è un bene incomprimibile, nel senso che (come ho già detto a volte ironicamente) o si vive o si muore e non si può morire “poco poco”.A voler comunque ipotizzare una possibile compressione, questa potrebbe essere di tipo “qualitativo” o “quantitativo”: orbene, se si fa riferimento al parametro qualitativo, si dovrebbe ipotizzare un elenco di malattie “accettabili” e un altro di malattie “inaccettabili”, ma mi domando se ciò sia possibile e lecito (un tumore sarebbe inaccettabile e una broncopneumoatia ostruttiva invece accettabile?).Se poi la valutazione viene fatta da un punto di vista quantitativo si corre il rischio di stilare dei macabri “listini prezzi”: quanti decessi si possono accettare per salvare 1000 posti di lavoro?Continuo a cercare invano l’uomo che mi spieghi come si può realizzare tale contemperamento, ma ancora non l’ho trovato: però l’ipocrita affermazione in questione continua a circolare senza alcuna concreta spiegazione.Questo libro oltre alla ricostruzione storica e documentale, invero pregevole, ripropone ancora una volta il dilemma in questione, dilemma che, a quanto pare, è ben lungi dall’essere affrontato e risolto.

Pubblichiamo in anteprima la prefazione che sarà inserita nella ristampa del libro “Il sequestro nella vicenda giudiziaria Ilva S.p.A.” a cura dell’ex Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Taranto, il dottor Francesco Sebastio

«Un dilemma che continua a non essere affrontato e risolto»di FRANCESCO SEBASTIO

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IFM

La presentazione di IFM 2 da ZignagoLe imprese competitive nel loro habitat naturale: tra le imprese competitive. Da un’idea dell’imprenditore Stefano Marzotto, presidente della Zignago Holding S.p.A. (che controlla, tra le altre, la Zignago Vetro, il gruppo vitivinicolo Santa Margherita e Zignago Power), circa 590 milioni di euro di ricavi nel 2018, da sempre migliore Grande impresa della provincia di Venezia a Industria Felix, è nata la presentazione del numero precedente di Industria Felix Magazine. L’evento, realizzato in collaborazione con Banca Mediolanum, ha consentito ad alcuni imprenditori premiati in Veneto e in altre parti d’Italia di conoscere più da vicino un’azienda punto di riferimento nel Nord Est. Oltre a Stefano Marzotto, durante la presentazione, fortemente promossa dal private banker di Banca Mediolanum Andrea Fumarola, hanno partecipato il cfo di Zignago Vetro Roberto Celot, il responsabile Divisione Private Relationship Manager di Banca Mediolanum Andrea Guazzi, l’Ad di Cerved Rating Agency Mauro Alfonso, il direttore generale di Confindustria Venezia Gianpiero Menegazzo e il direttore di IFM Michele Montemurro.

Fotoservizio di Wilson Gomes

editoria

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IFM

«L’unico vantaggio competitivo sostenibile consiste nella capacità di apprendere

e di cambiare più rapidamente degli altri»

Philip Kotler

Frase

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A survey on 140 thousand financial statements carried out in collaboration

with Cerved redesigns the geographical map of growth and identifies

companies that have always been capable of increasing revenues in the

darkest period of our economy, from 2007 until today. The 771 samples

are more present in the North and the sectors less subject to the economic

cycle, but exceptions are not lacking. Here are the 100 most virtuous

companies with a Frech company at the top.

FREE

SUPP

LEME

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4 ORE

N.3

JANU

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MAR

CH 20

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THE

RESILIENTITALY

PROTAGONISTSVITTORE BERETTATHE CHINA NIGHTMAREDOES NOT SCARE

LUIGI RIOLOTHE KNIGHT OF THE ABYSS

STORIESBOTTERTHE WINE WORTH TO ITALIAN STOCK EXCHANGE

HARMONT & BLAINETHE BASSET HOUND OF FASHION WHO CHALLENGES THE GIANTS

THERAS GROUPHI-TECH AT THE SERVICEOF HEALTH CARE

THE INQUIRYSUSTAINABILITYFOR 200 THOUSAND ITALIAN COMPANIES EUROPEAN TAXONOMY IS ON THE WAY

OPINIONSV. Boccia, L. Boselli, M. Chieffi,A. Dragonetti, E. Fontana Rava,D. Gallina, V. Grassi, L. Iacobbi,F. Liverini, G. Lo Storto, F. Pirro,C. Pozzi

EDITOR’S NOTE THE COUNTRY OF

THE THREE SPEEDSby Michele Montemurro