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Poste Italiane S.P.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in legge 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 NE/PD - Trimestrale ARCHITETTI NOTIZIE N° 02/2013 “... Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un'artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà: educarsi al silenzio. Ricorda l'elogio di Mallarmé alla pagina bianca? E di Rimbaud? Un poeta mio caro ... Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione …”

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ARCHITETTI NOTIZIEN° 02/2013

“... Siamo soffocati dalleparole, dalle immagini, daisuoni che non hanno ragionedi vita, che vengono dal vuoto evanno verso il vuoto.A un'artista, veramente degnodi questo nome, nonbisognerebbe chiedere chequest'atto di lealtà: educarsi alsilenzio. Ricorda l'elogio diMallarmé alla pagina bianca?E di Rimbaud? Un poeta miocaro ... Se non si può avere iltutto, il nulla è la veraperfezione …”

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Ordine degli ArchitettiPianificatori Paesaggistie Conservatoridella Provincia di Padova

35131 Padova - Piazza G. Salvemini. 20tel. 049 662340 - fax 049 654211e-mail: [email protected]

ARCHITETTINOTIZIE

Periodico edito dal Consiglio dell’Ordinedegli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti eConservatori della Provincia di Padova

Iscrizione al ROC n. 21717Aut. Trib. Padova n. 1697 del 19 maggio 2000

CONSIGLIO DELL’ORDINE

PresidenteGiuseppe Cappochin

SegretarioLiliana Montin

TesoriereSilvio Visentin

ConsiglieriNicla Bedin, Doris Castello,Antonio Draghi, Giovanni Furlan,Andrea Gennaro, Pietro Leonardi,Giacomo Lippi, Roberto Meneghetti,Gloria Negri, Paolo Simonetto,Paolo Stella, Alessandro Zaffagnini.

Direttore ResponsabileDanilo Turato

Comitato di RedazioneGiovanni Furlan, Michele Gambato,Massimo Matteo Gheno, Pietro Leonardi,Paolo Simonetto, Paolo Stella,Alessandro Zaffagnini

Grafica ed impaginazioneFelice Drapelli - [email protected]

StampaGrafiche Turato sas, Rubano (PD)

Stampato su carta ecologica certificata FSC100% reciclata

DIREZIONE, REDAZIONE EAMMINISTRAZIONE

INDICE

3 IN COPERTINAMichele Gambato

5 EDITORIALEMichele Gambato

7 VUOTODavide Groppi

11 FOTOGRAFIE DAL VUOTOStefanos Antoniadis

17 SCRITTURE VIRALILa simbiosi in architetturaBarbara Angi

21 LA CITTA’ SOTTILEUtopia architettonica progettata dai ragazziAntonio Panzuto

25 RITRAZIONI URBANEProgettare la città esistenteGiuseppe Mantia

29 OPERE PUBBLICHE INTERROTTEIl vuoto del progetto pubblicoVincenza Santangelo

35 COSTRUIRE SU QUANTO E’ RIMASTORistrutturazione dell’ex scuola di Casso (PN): nuovi spazi espositiviValentino Stella

39 DELLA PERMANENZA DELL’ARCHITETTURA, DELLA PIENEZZA DELL’ARTEAtelier-Museo Júlio Pomar progettato da Àlvaro Siza a LisbonaElisa Pegorin

42 L’APPUNTO

46 ANTEPRIMA

48 LIBRERIA

50 NOTIZIE DALL’ORDINE(Per notizie dell’ultima ora consigliamo di visitare il nostro sito internet

www.pd.archiworld.it - chiusura informazioni al 25/05/2013)www.pd.archiworld.it

IINN CCOOPPEERRTTIINNAA

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a cura Michele Gambato

8 ½Film di Federico Fellinipellicola in B/N - 138' min. - Italia 1963Visto censura: 39461 del 06/02/1963.

In una scena tratta dal film, l'intellettualeDaumier, (Jean Rougeul) parlando al registaGuido Anselmi, (Marcello Mastroianni) gli dice:

“Ei ha fatto benissimo, mi creda, oggi è una buona giornata perlei. Sono delle decisioni che costano, lo so, ma noi intellettuali,dico noi perché la considero tale, abbiamo il dovere di rimanerelucidi fino alla fine. Ci sono già troppe cose superflue al mondo,non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. In fondoperdere dei soldi fa parte del mestiere di produttore. I mieirallegramenti, non c'era altro da fare, e lui ha ciò che si merita,per essersi imbarcato con tanta leggerezza in un'avventura cosìpoco seria. No, mi creda, non abbia né nostalgia né rimorsi,distruggere è meglio che creare quando non si creano le pochecose necessarie. E poi, c'è qualcosa di così chiaro e giusto almondo che abbia il diritto di vivere? Un film sbagliato per lui nonè che un fatto economico, ma per lei, al punto in cui è arrivato,poteva essere la fine. Meglio lasciar andare giù tutto e farspargere sale come facevano gli antichi per purificare i campi dibattaglia. In fondo avremmo solo bisogno di un po' di igiene, dipulizia, di disinfettare. Siamo soffocati dalle parole, dalleimmagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengonodal vuoto e vanno verso il vuoto. A un'artista, veramente degno diquesto nome, non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà:educarsi al silenzio. Ricorda l'elogio di Mallarmé alla paginabianca? e di Rimbaud? un poeta mio caro, non un registacinematografico, lo sa di Rimbaud quando ha finito una poesia, lasua rinuncia a continuare a scrivere, la sua partenza per l'Africa?Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione. Miperdoni quest'eccesso di citazioni, ma noi critici facciamo quelloche possiamo. La nostra vera missione è spazzare via le migliaiadi aborti che ogni giorno, oscenamente, tentano di venire almondo. E lei vorrebbe addirittura lasciare dietro di sé un interofilm, come lo sciancato si lascia dietro la sua impronta deforme?Che mostruosa presunzione credere che gli altri si gioverebberodello squallido catalogo dei suoi errori. E a lei che cosa importacucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vaghi ricordi, o ivolti delle persone che non ha saputo amare mai?”

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ARCHITETTI NOTIZIEN° 02/2013

“... Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un'artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà: educarsi al silenzio. Ricorda l'elogio di Mallarmé alla pagina bianca? E di Rimbaud? Un poeta mio caro ... Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione …”

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I grandi esponenti nell’architettura delCinquecento veneto hanno adottato il lin-guaggio degli antichi per definire e risol-vere esigenze legate all’attività agricola. Glielementi della tradizione classica, riscon-trabili negli edifici residenziali dei centriurbani, vengono impiegati nelle dimore do-minicali. Il palazzo di città viene traspor-tato in campagna, ozio contrario di negoziotradizione classica della villa suburbana ro-mana.Sansovino con Villa Garzoni, Falconetto convilla dei Vescovi sono tra gli esempi più si-gnificativi che meglio interpretano e col-gono la solennità e la monumentalità degliedifici urbani nella progettazione di edificidi villa.Le ville mantengono sempre un ruolo dichiusura, di protezione dalle insidie delmondo esterno, senza alcun dialogo con lanatura.Solo con Palladio si assiste a una vera e pro-pria innovazione per la residenza di campa-gna. Un concetto razionalista sottende la suapoetica: la funzione del complesso rurale edil suo rapporto con la natura ed il paesaggioassumono la stessa importanza e si fon-dono con armonia. Il linguaggio classico viene impiegato perrealizzare un’architettura unitaria, un uni-cum. Nella villa Maser, Palladio coglie l’an-tico e lo interpreta in chiave moderna,opera sul verde della campagna e sviluppain orizzontale il progetto architettonico.L’edificio residenziale e i suoi annessi, ne-cessari all’attività agricola, costituisconouna nuova tipologia che abbraccia la naturasenza prevaricare su di essa. Ordine-archi-

tettura e disordine-natura dialogano conarmonia.Nel complesso Palladiano il passaggio tradimora e annessi è costituito da uno spaziovuoto, il portico. Gli annessi porticati oltrea costituire un passaggio protetto, determi-nano uunn ffiillttrroo ttrraa aarrcchhiitteettttuurraa ee ppaaeessaaggggiiootra pieno e vuoto. Palladio articola gli spazisecondo principi di semplicità, utilità e dia-logo con la natura. Gli stessi principi ven-gono ripresi nel movimento moderno ereinterpretati per risolvere problematicheed esigenze abitative relative al periodo. Siassiste a soluzioni progettuali che tendonosempre più ad avvicinare interno edesterno, architettura e natura.In Villa Savoye Le Corbusier, attraverso ilgioco delle aperture, permette la visionedell’orizzonte su tutti i quattro i lati senzainterruzione, il dialogo tra architettura epaesaggio avviene con distacco. PPiieennoo eevvuuoottoo ssoonnoo ccaalliibbrraattii..Nella Casa sulla Cascata di Frank LloydWright l’involucro si smaterializza, sisvuota. Piani orizzontali si aggettano sullaforesta inglobandola all’interno dello spa-zio abitativo senza limite di facciata. L’am-biente naturale partecipa alla vitaquotidiana. PPiieennoo ee vvuuoottoo ssii ffoonnddoonnoo..Il pensiero di Wright trae sostegno dallatradizione orientale che basa la propria filo-sofia sul rispetto e venerazione nei con-fronti della natura al punto che l’atto dicostruire viene considerato un gesto ag-gressivo nei confronti di essa. Il vuoto delle case giapponesi, determinatodalla semplicità, dall’essenzialità, scevro diqualsiasi decorazione, spinge l’ individuo adosservare in ogni momento della giornata

la bellezza del paesaggio esterno.A differenza di Wright, Carlo Scarpa in-staura un rapporto diverso con la natura,giunge a definirla, a modellarla. Ne il giar-dino delle sculture, all’interno della bien-nale di Venezia, gli elementi naturaliconcorrono a determinare l’insieme delleparti. Con pochi gesti definisce gli spazi,una sosta meditativa. PPrrooggeettttaa iill vvuuoottoo..Con Mies Van Der Rohe si giunge ad un at-teggiamento quasi reverenziale nei con-fronti all’ambiente naturale. In casaFarnsworth gli elementi strutturali solle-vano, dal prato, lo spazio abitativo che si ar-ticola in orizzontale. Sospesa, aperta,inserita tra gli alberi la casa è un insiemeimpercettibile quasi come un insetto sul-l’erba. I ruoli s’invertono, llaa nnaattuurraa èè iillppiieennoo,, ll’’aarrcchhiitteettttuurraa,, iill vvuuoottoo..

Il rapporto tra architettura, natura, vuoto,assume sempre una valenza positiva, unaforza genetratrice che stimola lo spirito:il vuoto del Pantheon induce al silenzio, al-l’introspezione; il vuoto barocco induce al-l’illusione; il vuoto razionalista allafunzione; il vuoto nella cerimonia del Te alrituale; il vuoto degli spazi urbani, piazze,agli incontri, il vuoto del portico al riparoecc……

(grazie a Cristina Rampazzo per il prezioso contributo)

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EEDDIITTOORRIIAALLEE

VUOTONATURA E ARCHITETTURA Michele Gambato

La scultura She Lies, di Monica Bonvicini, installata in permanenza nel porto interno di Oslo.

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Io amo la matematica.So bene quanto sia inafferrabile il concettodi zero. Zero è sempre stato un mistero. Lo è ancoraadesso.Curiosamente il simbolo che identifica lozero è un cerchio. Quasi un ideogramma.Meraviglioso.

E’ difficile definire il vuoto.Soprattutto per uno come me che non hamai considerato il proprio lavoro unascienza esatta, ma nello stesso tempo checonsidera la ricerca della bellezza una sortadi missione.Per questo motivo cerco di avvicinarmi allaluce con l’idea di avvicinarmi alla verità e,di conseguenza, alla bellezza.Cerco di farlo nel modo più delicatopossibile. Con semplicità, poco per volta.Andando avanti e tornando indietro.

Posso esprimere alcune sensazioni cheavverto quando mi rendo conto di vedere o

sentire ilvuoto.

Personalmentepenso che ilvuoto sia unacondizionenecessaria perdominare lospazio, misurarsi

con l’infinito, dareun volto all’invisibile.

È tutto ciò che esiste, manon si vede.

Il vuoto può anche essere unosfondo. Lo sfondo che permette

di cogliere le cose.In fondo ogni cosa esiste grazie al vuoto

che la circonda.Il vuoto può essere un confine. I confinihanno sempre esercitato su di me unfascino incredibile. Un confine è sempreuna tentazione. E il vuoto è una tentazione. La tentazione diriempire, aggiungere, sporcare. L’abisso.E’ riuscire a dire o fare qualcosa con il menopossibile.Qualcosa che sia comunque intenso e riccodi significati.È qualcosa che ho dentro fin da quando erobambino.

Ho lavorato spesso sul concetto di vuoto.Alcuni progetti che ho sviluppato oselezionato indagano il tema del vuoto.Per me luce, buio, magia, illusione, sorpresasono la stessa cosa.Nelle mie lampade cerco sempre la purezzadel silenzio e, in un certo senso, del vuoto.Mi piace pensare di occupare lo spazio conl’assenza. Di sorprendere con il nulla.

Ho fatto una lampada che si chiama Nulla.È un lavoro sulla luce senza fonte. La ricerca

estrema sul progetto che non c’è.Mi piace l’idea di sorprendere con qualcosache in fondo è la negazione di tutto.Nulla è un piccolo buco nel soffitto da cuiesce una luce intensissima.Pensata per fare luce sul tavolo o per terrain modo profondo e sensuale.Considero la luce sul tavolo la luce più belladel mondo.Quella capace di trasformare un tavolo inun luogo di incontro e d’amore.

Vorrei concludere queste riflessioni sulvuoto con alcune immagini.

Un quadro di Magritte. Surreale emisterioso.Le stanze vuote dipinte da Van Gogh o daHopper.La rinuncia nelle architetture di Mies vander Rohe.I tagli e i buchi nelle tele di Lucio Fontana.I telai di Fausto Melotti.Un cerchio e un quadrato.La congettura (indimostrata) di Goldbachsui numeri pari.La luce delle stelle in una notte africana.

La mia mente non si ferma più ...

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a cura di Pietro Leonardi

Davide Groppi, Piacenza (1963).Nel 1988, partendo da un piccolissimo laboratorio nel centrostorico di Piacenza, Davide Groppi inizia ad inventare e aprodurre lampade con il marchio omonimo.Il motivo ispiratore del lavoro di Davide Groppi è quello diavvicinarsi alla luce con l’idea di avvicinarsi alla verità e, diconseguenza, di cercare la verità inseguendo la bellezza.Lampade e progetti di luce in cui semplicità, leggerezza,emozione ed invenzione sono le componenti fondamentali diprogetto.Davide lavora con la consapevolezza che fare lampade non è unascienza esatta, ma nello stesso tempo con la necessità di cercareun metodo. E’ la scoperta dell’intuizione e della forza di guardarsidentro. L’amore per il proprio lavoro e la costante urgenza di dare unsenso al tutto ha portato Davide ad individuare quattro paradigmi diprogetto: intuizione, visione, invenzione, recupero. Nel 1994, inoccasione del Salone del Mobile, presenta la lampada Baloo pressolo spazio De Padova riscuotendo un notevole successo epermettendogli di sviluppare professionalmente il lavoro di “farelampade”. Nel 1995 inizia un’importante collaborazione, attivatuttora, con l’azienda Boffi (cucine e bagni) che gli permette direndere internazionale il proprio lavoro.Nel 1998 inaugura lo Showroom di Milano e, negli anni successivi,quelli di Copenhagen e Barcellona. Attualmente le lampade diDavide Groppi sono distribuite in tutto il mondo nei più qualificatinegozi di arredamento e illuminazione. Davide Groppi è vincitore conla lampada Sampei del premio Edida 2011 (Elle Decor InternationalDesign Award) come miglior lampada al mondo nel 2011.I progetti Nulla e Sampei sono stati selezionati dall’ADI – DesignIndex 2011-2012.L’ADI Design Index raccoglie i progetti selezionati per il prossimoCompasso D’oro.

Particolarmente attiva l’attività di Davide Groppi nel settore deiristoranti tra cui: Le Calandre, Osteria Francescana, Antica Osteriadel Teatro.

Nel 2012 inaugura Spazio Esperienze a Piacenza.Spazio Esperienze è ricavato nel cuore della fabbrica per far coglierel’essenza del lavoro di Davide Groppi e del suo team e l’idea che lelampade non nascono per magia, ma sono il risultato di ingegno,fantasia, lavoro, organizzazione, passione, cuore e cervello.Spazio Esperienze è pensato per far vivere a tutti i visitatoriun’esperienza indimenticabile. Capace di suscitare un sentimento diappartenenza e la voglia di ritornare.

www.davidegroppi.com

VUOTODavide Groppi

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“...penso che ilvuoto sia unacondizionenecessaria perdominare lospazio,misurarsi conl’infinito, dareun voltoall’invisibile.”

Davide Groppi, lampada Nulla Davide Groppi, lampada Nulla

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Stefanos Antoniadisnasce in provincia di Padova il 9 agosto 1982;si iscrive all’IUAV nel 2001, dove gode diesperienze formative con Guido Zuliani eFrancesco Venezia; si laurea a luglio 2004 inScienze dell’Architettura (bachelor) in seguitoall’idoneità conseguita al corso intensivo finaledi Carlos Ferrater, con il massimo dei voti e lalode; prosegue la formazione laureandosi inArchitettura per la Sostenibilità nel 2006 con ilmassimo dei voti e la lode. Svolge attività diarchitetto libero professionista, dedicandosiparallelamente alla didattica attualmentepresso l’ICEA (dipartimento di Ingegneria CivileEdile e Ambientale) dell’Università degli Studidi Padova. Suoi progetti d'architettura perconcorsi nazionali ed internazionali sonoapparsi in festival di architettura (Parma,2006), mostre (Architettura di un’intesa -Albona e Zagabria,2004; Manzano 2005;Piraeus Tower - Atene, 2010; A+A 2 - Padova,2011, I Luoghi delle Emozioni - Padova, 2012) epubblicazioni (Costruire, ArchitetturaSostenibile e cataloghi nazionali einternazionali di progetti). Affianca all'attivitàdi progettista quella di creativo e fotografo,con diverse mostre personali e collettiveall’attivo.

La prima immagine fotografica della storia,un’eliografia, ritrae uno spazio architetto-nico: il cortile della Maison du Gras, la dimoradi famiglia di Nicéphore Niepce a Saint Loupde Varennes, presso Chalon sur Saône (1826)in Francia. Questa circostanza non è sempli-cemente una delle molte attestazioni del pro-ficuo rapporto tra fotografia e architetturasviluppatosi fin dall’origine di uno dei dueambiti. Il cortile della casa di campagna è undeterminato tipo di spazio: un vuoto. Seb-bene non si tratti di una casa a patio o di unedificio in cui il vuoto assolve ad un principiocompositivo predominante, per sperimen-tare la prima scrittura con la luce si è scelto diaffacciarsi ad una finestra sull’unica risegadell’edificio, accostata per giunta ad un altrocorpo minore, che di fatto restituisce l’imma-

gine di una corte chiusa su tre lati. Un vuoto,un dispositivo in grado di produrre giochi diluce ed ombre, esperienze visive degne di es-sere impresse. Più per il luogo d’apposta-mento, la finestra, che per il soggetto ritratto(che di fatto non c’è, o meglio è il vuoto), l’im-magine divenne in un certo senso una meta-fora della concezione che facilmente sidiffuse a partire dai primi esperimenti foto-grafici secondo cui la fotografia era da consi-derarsi una sorta di “finestra sul mondo”. Dicerto anche lo stesso Le Corbusier, come evi-denzia il numero monografico che Casabelladedicò al maestro nel 19871, pensava alla fo-tografia come immagine iconica in grado diricomporre il paesaggio all’interno di unacornice. Nei suoi progetti di ville e unità mi-nime è indubbia l’importanza della veduta e

FOTOGRAFIE DAL VUOTOStefanos Antoniadis

a cura di Pietro Leonardi

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1. Point de vue, Maison du Gras, Chalon sur Saône, F - di Nicéphore Niepce aSaint Loup de Varennes, 1826.

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della finestra, in particolare in lunghezzanelle apertura a nastro, come massimaespressione del rapporto fra spazio interno eveduta. Mi piace invece pensare ad un’ulte-riore e forte dinamica che tiene unite archi-tettura e fotografia, che fonda la propriaessenza proprio sul tema a noi caro: il vuoto.Ora come allora, che si tratti dell’apparec-chiatura composta da scatole lignee di Nicé-

phore o di una fotocamera reflex, o addirit-tura di un minuscolo modulo fotografico inse-rito in uno smartphone, è necessario disporredi un vuoto affinché la luce entri e scriva di sé.E tanto più quest’utile vuoto è ampio e benprogettato, tanto migliori sono le impressioniche si registrano. L’apparecchio fotografico èuna scatola vuota, che posta di fronte ad unaltro vuoto, di gerarchia e scala diversa, può

dare i risultati più interessanti e può aiutare,grazie alla modalità selettiva in cui opera, acomprendere meglio la natura dello spaziostesso che sta davanti. È attraverso questo“chiasmo” di vuoti che mi propongo di trat-tare dello spazio architettonico, utilizzando lafotografia non solo come elemento iconicoma come vero e proprio testo scritto, scrittodalla luce, quando il vuoto della camera

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2. Pantheon, Roma, I (118-128 d.C.) - foto di S. Antoniadis, 2012.Un vuoto cosmico. Uno strepitoso contenitore che accoglie tuttigli déi facendo entrare al suo interno tutti gli elementi: dall’oc-chio sulla sommità della cupola semisferica entrano luce, aria,acqua, sugli altari è acceso il fuoco. Un vuoto che Aristotele defi-nirebbe con il termine kenòn (κενòν)2, un contenitore pronto aricevere tutto, come in un respiro infinito.

3. Bruder Klaus Feldkapelle, Wachendorf, D (2005-2007),Peter Zumthor - foto S. Antoniadis, 2011.Un vuoto a scala umana, ma che tende all’infinito. Un vuotoottenuto da una sottrazione traumatica: i tronchi degli alberibruciati che fungevano da cassaforma interna. L’antitesi pita-gorica con il pieno, l’esistente, anzi il pre-esistente (i tronchi)si avverte fortemente.

4. Casa dei Ceii, Pompei, I (I sec. a.C.) - foto S. Antoniadis, 2010.Un vuoto domestico, di assoluta attualità. Le case d’oggi sono spesso dei contenitori pieni dioggetti e altri contenitori (i mobili), intesi più per la sicurezza e la convenienza delle cosestesse che dell’uomo. L’equilibrio tra pieno e vuoto è forse ormai troppo sbilanciato dallaparte del pieno. La casa non è gli articoli domestici, ma lo spazio idiosincratico tra internoed esterno.

oscura si apre innanzi al ventre di architet-ture, piccole e grandi, intese come contenitoriprogettati per accogliere la luce, lo spirito,l’uomo.

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5. Chapelle Notre Dame du Haut, Ronchamp, F, (1950-1955), Le Corbusier - foto S. Antoniadis, 2005.Un vuoto primigenio. Questa è l’unica prospettiva attraversola quale osservare l’interno di una delle torri cave, quellarossa, della cappella di Ronchamp. Si prova la sensazione diessere dentro un organo, un ventre, il ventre della MadreTerra.

6. Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola e Edifici di PiazzaSant’Ignazio, Roma, I, (1623 - 1727), Orazio Grassi e FilippoRaguzzini - foto S. Antoniadis, 2011.Il vuoto dello spazio pubblico della città storica è stata perlungo tempo una vera e propria forma accuratamenteprogettata, che genera solo in secondo luogo il pienocostituito dagli edifici. Guardando verso si legge i primato delvuoto nella forma e si comprendere quella “poetica deglispazi”, e quindi del vuoto, contrapposta ad una proliferazionedegli oggetti, e dunque del pieno, descritta fondatamente daColin Rowe in Collage City3.

8. Zollverein School of Management and Design, Essen, D (2006), SANAA foto S. Antoniadis, 2011.Il vuoto in principio. Il professore che mi accolse nel 2011 durante una visita sottolineò piùvolte la necessità di stare in un ambiente vuoto e “scarico” per poter amplificare al massimole potenzialità creative ed intellettive. E’ una “quota zero” da cui partire. L’ispirazioneavviene quando la nostra mente lascia spazio; se non ci fosse il vuoto, non potremmointrodurre nient'altro.

7. The Weather Project, Tate Modern Turbine Hall, London, GB (2003), Olafur Eliasson foto S. Antoniadis, 2003.Il nuovo vuoto pubblico. Spesso si ripete l’errore di proporre nuove agorà con soluzioni antiche. Le sublimidimensioni di questo contenitore vuoto permettono di accogliere addirittura un microclima, delle condi-zioni meteorologiche. Un nuovo metabolismo innescato da intelligenti operazioni di re-cycle, anzi up-cycle:una strategia di ridefinizione del ciclo di vita delle cose, aggiornandole a nuove esigenze di cui i grandi spazivuoti da rigenerare sono naturali ricettori.

Note:1 Casabella, LI, 1987, gennaio-febbraio, n. 531-532.

2 Aristotele, Fisica, IV 6, 213 b 22; Stobeo, EclogaPhysica, I 18, 1c p. 156, 11 = D.K., 58 B30.

3 Cfr. C. Rowe, F. Koetter, Collage City, traduzione di C. Dazzi, il Saggiatore, Milano 1981, p. 94.

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Le dinamiche di contaminazione dei vuotiurbani – siano essi centri storici fatiscenti,manufatti dismessi o aree periferiche – se-guono procedimenti equiparabili a quellidelle associazioni biologiche simbiotiche,producendo fenomeni di ibridazione tranuova costruzione e metabolizzazione dimanufatti inutilizzati. Nel contesto contemporaneo sempre piùnumerosi sono gli episodi di intervento sulcostruito che propongono organismi archi-tettonici innestati su edifici esistenti, cosìda condividere risorse strutturali e energe-tiche instaurando, di fatto, una relazione diinterscambio paragonabile a quella tra es-seri viventi.Questi processi presentano affinità con ilconcetto di riciclaggio urbano: un approccioprogettuale che mira alla messa a punto discenari alternativi per manufatti e aree ob-solete.In base a questi assunti, per gli interventi dimetabolizzazione dei vuoti urbani è possi-bile definire diversi gradi di dipendenza tranuovo ed esistente, introducendo i concettidi commensalismo, parassitismo e mutuali-smo architettonico. Dalle indagini fino aora condotte il più alto grado di simbiosi delcostruito è rappresentato dal mutualismoche, al contrario del commensalismo e delparassitismo che implicano squilibri tra leparti, presuppone somiglianze tra di esse. A fare luce, in ambito disciplinare, sulle di-verse accezioni che la simbiosi architetto-nica può assumere, le tesi espresse in TheMetapolis: dictionary of advanced architec-ture1 rappresentano un punto di riferi-mento importante per decifrare lemutazioni del linguaggio architettoniconella contemporaneità.

CCOOMMMMEENNSSAALLIISSMMOO AARRCCHHIITTEETTTTOONNIICCOOIn Metapolis si legge:«Per commensalismo intendiamo un pro-cesso definibile freeloader, una persona chevive nella casa di un altro senza nessun

onere economico. Questa dipendenza tat-tica è comune tra alcuni animali, con di-versi tipi di relazioni commensalistiche,coinvolgendo mutuali benefici e inter-scambi […] e implica una sorta di parassiti-smo non necessariamente negativo, néquantomeno un legame definitivo. Risultapiuttosto che gli effetti di tale rapportosono più efficaci quanto più le due partimantengono la loro individualità.»

Tipi analoghi di relazioni sono riscontrabiliin alcune indagini architettoniche nellequali il tema dell’abitare temporaneo, oltrea divenire manifesto per un rinnovato rap-porto tra spazio pubblico e privato, è atto diprotesta contro sistemi di amministrazionedel territorio che non tengono conto deiflussi migratori. È il caso dei prototipi abi-tativi denominati Capsule dell’Atelier VanLieshout, che, riflettendo sull’attuale situa-zione geopolitica, si interroga sul ruolodell’architettura e su quali siano le esigenzealle quali deve rispondere. Capsule vienedefinito dal gruppo olandese come «stìa perpolli», una semplice soluzione per imma-gazzinare persone, allacciate alle infra-strutture elettriche e idriche di qualsiasicontesto urbanizzato.In linea con questo pensiero, cioè quello diinnescare processi commensalistici in si-stemi metropolitani dissociati, si dirigonoanche le proposte del tedesco Stefan Eber-stadt con Rucksack: un’unità abitativa dinove metri quadrati sospesa nel vuoto e ag-ganciata alle pareti di edifici esistenti;un’architettura aggregabile che può essereportata via.

PPAARRAASSSSIITTIISSMMOO AARRCCHHIITTEETTTTOONNIICCOOI ricercatori dello IaaC2 non definiscono inmaniera univoca il termine ma lo associanoalla combinazione di diverse voci del voca-bolario quali antitype, layers, commensa-lism, contract, enjambement, a-coupling(melding), ibrido.

SCRITTURE VIRALILA SIMBIOSI INARCHITETTURA Barbara Angi

1716

Barbara AngiSi laurea in Architettura all’Università Iuav diVenezia (2001). Presso l’Università degli Studidi Trieste, consegue il Dottorato di ricerca inProgettazione Architettonica e Urbana (2009),con una tesi dal titolo “Strategie disopravvivenza urbana, istruzioni per l’uso”,relatore Prof. G. Carnevale. Dal 2008 a oggi è assegnista pressol’Università degli Studi di Brescia e lavora sudue progetti di ricerca: “Tecniche progettualiinnovative per un habitat sostenibile” e“Materiali, strutture, tecnologie sostenibili edecocompatibili per il progetto, il recupero e lariqualificazione edilizia e ambientale”. Svolge attività didattica e di ricerca pressol'Università degli Studi di Brescia nel Corso dilaurea specialistica in Ingegneria Edile-Architettura (dal 2006) e all'Iuav nei corsi dilaurea magistrale in Architettura per laCostruzione (2006-08) e per la Sostenibilità(2008-11). La didattica la vede impegnata nellacorrelazione di circa 20 tesi di laurea e nellapartecipazione in qualità di tutor in workshopinternazionali all’Iuav: con M. Montuori (2003-2006), con Archea Associati (2007-2008) e conde Architekten Cie (2011). È visiting professor,alla Summer School di Motovun (2009). Dal2012 partecipa al progetto "REA - Rete diEccellenza per la Internazionalizzazione dellaformazione nel campo dell'Architettura”promosso dalla Fondazione Cariplo. È autrice di n. 21 pubblicazioni a caratterenazionale ed internazionale. Ha curato “AlcuneIpotesi e una tesi su Darfo Boario Terme”(Officina, 2010) e “Tra terra e acqua” (Aracne2010) e 2 numeri di "Iuav. Giornaledell'università" (n.30, n. 57).Suoi progetti sono stati esposti alla Biennaledi Architettura di Venezia (2006), al Festivaldell’Architettura di Parma (2010), al SAIE“People meet Innovation” di Bologna (2012) ein occasione del “Premio Piccinato, progettarestrategie per il futuro” (2013).

a cura di Giovanni Furlan

Rem Koolhaas, Fukcablick, Passo Furka, CH, 1992

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dalle potenzialità simili. Se il commensali-smo o il parassitismo implicano differenzeo squilibrio tra le parti, gli enjambementimplicano somiglianze e dimensioni, forze,tensioni e situazioni simili. Enjambement è sinonimo di una strategiaparassita di occupazione dell’esistente, cheabbina al vecchio manufatto montaggi diampliamento o estensioni».

Il concetto presuppone delle analogie di-mensionali e funzionali tra l’oggetto esi-stente e l’innesto o comunque la volontà dirisolvere fenomeni di sclerosi urbana tra-mite costruzioni da fare attecchire in edificiesistenti con connotati prettamente posi-tivi.Nel panorama contemporaneo, le ricerche ei progetti di Lacaton & Vassal e di AlejandroAravena vanno in questa direzione. I primioperano nell’ambito della rivalorizzazionedi complessi di edilizia sociale francese (igrands ensembles delle banlieue), l’archi-tetto cileno realizza case ultra-popolari al-l’interno di un più vasto programmadenominato Elemental Chile. In ambito architettonico il mutualismo ri-sulta essere una forma di associazione conaspetti di vicendevole profitto e sembracoincidere con la simbiosi in senso stretto.

Tra i manufatti insorgono, da un lato, carat-teristiche nuove (funzionali e strutturali) ingrado di apportare vantaggi reciproci e,dall’altro, l’organismo edilizio risultantecontribuisce a migliorare le condizioni delcontesto in cui sorge. Gli esperimenti citati testimoniano volontàeversive e offrono una lettura critica deltema dell’abitare i vuoti urbani e manufattiedilizi oramai obsoleti o propongono me-todi alternativi di costruzione dello spazio. Forme di simbiosi architettonica possononascere laddove il vecchio e il nuovo si in-contrano-scontrano, in ragione di soprav-venute necessità funzionali osemplicemente per rispondere a deficitprestazionali o normativi. Tra questi paradigmatico appare l’inter-vento dei CoopHimmelb(l)au per i Gasome-tri «A» di Vienna (2000); laddove gli altriarchitetti coinvolti nell’operazione di riqua-lificazione del complesso industriale (JeanNouvel, Wedhorn Architekten, WilhelmHolzbauer) agiscono completamente all’in-terno dell’involucro preesistente loro asse-gnato, lo studio austriaco esprime conenfasi un atteggiamento progettuale sim-biotico mutualistico.Proprio in Italia, paese nel quale poco si de-molisce e molto si conserva, operazioni di

manipolazione dell’esistente di tipo simbio-tico potrebbero rinnovare vuoti urbani de-pressi o vaste zone industriali dismesse,portando l’architettura a scoprire unanuova espressività, una nuova scrittura che– come ci suggerisce Franco Purini – sia ilrisultato di una molteplicità di processi for-mali3 di tipo infettivo.

NOTE:1 M. Gausa, V. Guallart, W. Müller, F. Soriano, F.Porras, J. Morales, The Metapolis: dictionary ofadvanced architecture, Actar, Barcelona 2003.Il volume non è un compendio di architetturecontemporanee. La peculiare forma-dizionarioè piuttosto uno stratagemma per ordinare e si-stematizzare una quantità di definizioni e cita-zioni che hanno come sfondo la dimensioneurbana, tecnologica e informatizzata della so-cietà attuale, allo scopo di descrivere un parti-colare approccio all’architettura intesa piùcome strumento di ricerca che come produzionedi manufatti.

2 L’ Istituto di Architettura Avanzata della Cata-logna (IaaC) è una scuola di formazione al-l’avanguardia e un centro di ricerca dedicatoallo sviluppo di un’architettura capace di af-frontare le sfide, in tutto il mondo, per quantoriguarda la costruzione di abitabilità nei primianni del XXI secolo. Con sede nel quartiere 22 diBarcellona, una delle capitali del mondo di ar-chitettura e urbanistica, IaaC è una piatta-forma per lo scambio di conoscenze con docentie studenti provenienti da oltre 25 paesi, tra cuiStati Uniti, Cina, India, Polonia, Italia, Messicoe Sudan.

3 Franco Purini, Architettura virale, infezioninella scrittura architettonica, in «Lotus inter-national» 133.

1918

Per restringere il campo e tentare di indivi-duare le peculiarità di un così labile pro-cesso architettonico, si concentral’attenzione sulla definizione di Cuttings(and slips).

«Tagliare e infilare sono operazioni di inne-sto, di ibridazione che consistono, fonda-mentalmente, in un’interazione che collegauna struttura dal supporto flessibile conl’accoppiamento – o l’assemblaggio – aun’altra ipotetica costruzione. La strutturadi sostegno nutre i nuovi innesti i quali, aloro volta, apportano miglioramenti allacondizione iniziale. […] Cuttings (and slips)è un contratto, concordato e condiviso, diesperienze individuali, piuttosto che unasingola e, coesiva, intesa di esperienze col-lettive. Perché, nella miscela o nell’innestoibrido, ogni parte mantiene la propria indi-vidualità divenendo simultaneamenteparte dell’altro, suo collettore e suo multi-plo.»

È indubbio che Michael Rakowitz, con i ri-fugi per senzatetto denominati paraSITES,parta da presupposti simili. Le abitazionisono costruite ‘su misura’ e sfruttano il si-stema HVAC (riscaldamento, ventilazione earia condizionata) degli edifici esistenti,connettendosi alla bocchetta esterna discarico. L’aria calda che fuoriesce gonfia lastruttura a doppia membrana e, contempo-raneamente, la riscalda.Stessa carica provocatoria la si può ritro-vare nelle Ricetas Urbanasdi Santiago Ciru-geda, architetto spagnolo che opera nellecittà con architetture sovversive e pococonvenzionali. Ai progetti per l’occupazioneabusiva di spazi pubblici corrispondono le‘istruzioni per l’uso’, consigli per approfit-tare di vuoti spaziali così da intervenire nelcontesto urbano liberamente.

MMUUTTUUAALLIISSMMOO AARRCCHHIITTEETTTTOONNIICCOOI ricercatori spagnoli, nel tentativo di indi-viduare le differenze tra i diversi livelli sim-biotici in ambito architettonico, perindicare quello a più alto beneficio reci-proco introducono la definizione di enjam-bement:

«Gli enjambement sono miscele, accoppia-menti, supporti o coincidenze di un ele-mento con un altro, prodotti da materiali

Michael Rakowitz, paraSITES, 2006

Atelier Van Lieshout, Capsule Luxus, 2002

Frédéric Druot, Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal, Tour Bois La Petre, Paris, 2010

Santiago Cirugeda, Kuvas, 2004

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Il progetto inizia a novembre 2012 con ilcoinvolgimento di quattro scuole in quattroquartieri della città di Padova. Le sei classiprotagoniste sono state guidate da alcunianimatori a comprendere il mondo dellacittà, affrontando con il linguaggio teatralela lettura di testi e racconti, la visione diimmagini e di opere d’arte.Hanno osservato, descritto e realizzato imondi nascosti dove il progetto di un lorovivere torna ad avere una forma, un senso ele relazioni sono comprensibili alla luce diun bisogno espresso, di una funzione o diuna proiezione fantastica. I bambini sonoriusciti a leggere la filigrana di un disegnocosì labile da sfuggire al morso delletermiti.L’hanno ripreso e fatto vivere nella cittàsottile, rincorrendo pensieri, racconti,quadri, immagini, storie di artisti che

hanno dato loro le chiavi per aprire portefantastiche della nuova città.Sono bambini che arrivano da esperienze eculture diverse e che desiderano vivere dacittadini nel luogo in cui abitano.

La prima fase del progetto si è svolta nellescuole, dove i bambini hanno iniziato apensare e progettare città. La seconda fase,al Museo Diocesano, ha permesso loro dicostruire, realizzare, colorare i progetti inun unico spazio, mettendo le tre esperienzein dialogo e permettendo all’installazione diprendere forma.Le voci e i suoni, i sogni, le paure e idesideri, i disegni, i racconti e le storie deibambini hanno dato vita e corpo a La CittàSottile.

...L’Utopiadi questa installazione vuole essere unmodo per viaggiare nell’altra città, quellapiù provvisoria e impreparata, vuota deisuoi abitanti, dove lo sguardo si impiglianelle croste dei muri, lungo i tubi dellegrondaie, scava sotto i pozzi, marcia tra gliangoli del suolo e le ombre traforate dellestrade.Il disegno di un bambino la contiene comele linee di una mano, la troviamo scrittanegli spigoli delle vie, nelle griglie dellefinestre, nei corrimano delle scale, nelleantenne dei parafulmini, nelle aste dellebandiere, nelle insegne arrugginite, nei suoiangoli bui.La città così ci appare come un’architetturadi soluzioni immaginarie, in cui nulla vaperduto e di cui facciamo parte: ed è stranocredere che la città sottile sia stata vista

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LA CITTA’ SOTTILEUtopia architettonica progettata dai ragazziAntonio Panzuto

a cura di Giovanni Furlan

DIREZIONEAndrea NanteIDEAZIONE E REGIAAntonio PanzutoANIMAZIONE E LABORATORI NELLE SCUOLEMassimo FarinaAlberto RielloVania TroleseTUTORING PRODUZIONE TESTIRoberta ScaloneTUTORING REALIZZAZIONE MATERIALI SCENICIPatrizia MarcolinALLESTIMENTO Antonio PanzutoRealizzazioneEdilegno di Franco FaveroLUCIEnline Service di Enrico Rampazzocon Francesco BredaSUONIFrancesco FabianoMONTAGGIO VIDEORaffaella RiviPERFORMERMarco TizianelLABORATORI DIDATTICI AL MUSEOVania TroleseSEGRETERIACarlo CavalliSabrina DoniAlessandra TonoGRAFICA Studiomama - Marco Lovato

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davvero dai bambini negli anfratti dellacittà qui fuori, “tutta nera e tutta sporca“.Eppure hanno osservato, descritto erealizzato i mondi nascosti dove il progettodi un loro vivere torna ad avere una forma,un senso e le relazioni sono comprensibilialla luce di un bisogno espresso, di unafunzione o di una proiezione fantastica. Ibambini sono riusciti a leggere la filigranadi un disegno così labile da sfuggire almorso delle tremiti.L'hanno ripreso e fatto vivere nella cittàsottile: lavorando nelle loro classi con gliinsegnanti e gli animatori per cinque mesi,rincorrendo pensieri, racconti, quadri,immagini, storie di artisti che hanno datoloro le chiavi per aprire porte fantastichedella nuova città. Si sono ritrovati inpercorsi teatrali affascinanti col pericolo diperdersi nella bellezza e nella difficoltà deiloro pensieri e hanno avvistato nel loropercorso

“… il vento che forma una collana d’acqua tra le gambe storte della città valigia …

che brilla leggera come una collana di perle …”

o più semplicemente

“case fatte di gomma rimbalzante, dove dormirci dentro è molto eccitante”.

LA CITTA’ SOTTILE in questi mesi hacambiato nome, si è modificata, allungata,deformata: è diventata una installazione con unitinerario tra le vie e i luoghi di una mappafantastica che ci riporta con altro spiritonei luoghi di questa metropoli diffusa e checi mostra contenuti inaspettati: una cittàche ci sfugge di mano, dove può succedere,come ha scritto un bambino, che “Il cartellodella Pepsi di notte va a sparare sogni”,perché stufo del suo lavoro di pubblicità.Accompagnati da una guida stralunata chea volte parla in rima o legge le lingue delmondo, il visitatore segue la strada di tutti igiorni con il distacco di chi guarda da

lontano, ma con il calibro della conoscenza,e lo sguardo percorre le vie come paginescritte: affiora ogni ricordo, ogni segnonascosto, ogni forma che il caso e il ventohanno dato alle cose.

Esiste una città ideale nelle soluzioniimmaginarie, giusto per toccare granditemi?O è più semplice ricostruirla con l’ironia e lecontraddizioni del pensiero infantile?Nella sua forma cerchiamo un’ assonanzacon immagini naturali: una stella, unaconchiglia, un anello, un mandala, unacroce. Le città nella storia sono sempre nateattorno ad un luogo naturale che necondizionavano la forma, seguendo le ansedi un fiume, o sulle pendici di un colle, o trale dune di un’oasi nel deserto.Ricordando la visione appannata dellapropria città, i divieti di accesso, le portechiuse, le sbarre alle finestre, le solitudini,la fretta, i soldi, le strade pericolose, irumori molesti, il disagio, i colori senzaarmonia, le divisioni, la natura organizzata,

solo i bambini stravolgono la divisione deltempo, ne sanno ridisegnare i contorni e ilcontenuto e hanno la grande capacità diseguire le tracce di un disegno così sottileda sfuggire agli adulti.

PROGETTARE UNA CITTA’ fa parte deisogni: è un viaggio nel pensiero che moltihanno intrapreso ed è un‘utopia possibile,per una città che riproduca i desideri e ipensieri dei bambini.

LA CITTA’ SOTTILE è un teatro di cose, dioggetti, di figure, uno e più mondi che sidefiniscono l’uno con l’altro, che vivonoassieme e si completano.

QUALCHE NUMERO…quattro scuole; quattro quartieri, una città,più città; sette classi; centoventottobambini; tredici insegnanti;millesettecento disegni; centocinquantaore di laboratorio; quindici porte; diecimappe; centocinquanta vetri e bottiglie;settanta kg di legno raccolto in riva al mare;

duecentodieci cartoncini sospesi; duevalige; cinquanta vestiti colorati; trecentomatite…per costruire case, grattacieli, strade, ponti,supermercati, negozi e centri commerciali,hotel a cinque stelle,moschee, chiese, cupole e campanili, torrimedievali, minareti,giardini e metropolitane, musei,percorsi di autobus e di tram, marciapiedi,lampioni, bancarelle, cortili e alberi in fiore,balconi, portoni e cantine,segnali stradali, piazze, cattedrali e finestredi cristallo,cartelloni pubblicitari e neon colorati,botteghe di barbieri e fontane illuminate,statue, colonne e archi antichi,palazzi di vetro e muri di cemento,ospedali e ministeri,locande e cimiteri,appartamenti sospesi e terrazzeilluminate… e tutto quello che è possibile immaginaredella loro città.

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Dagli anni Novanta del secolo scorso la pro-gettazione architettonica e urbana ha pro-posto diverse chiavi di lettura per lacostruzione degli spazi aperti.In particolare il numero monografico 597-598 di «Casabella» – all’epoca diretta daVittorio Gregotti – Il disegno degli spaziaperti tentava, grazie ai contributi raccolti,di costituire una base teorica e tassonomicasulla questione della progettazione deglispazi interstiziali tra gli oggetti edilizi.Anche il contributo di Kenneth Frampton InSearch of the Modern Landscape esposto inoccasione del simposio Denatured visions:landscape and culture in the twentieth cen-tury (MoMA, New York, 1988), racconta lastoria del “progetto moderno” declinata suldisegno del suolo nei tessuti urbani.Il vuoto è spesso considerato come superfi-cie: questo approccio ha portato ad un pro-liferare di strategie che hanno, nel progettodi suolo, la loro collocazione e ragione di es-sere. All’interno delle strutture urbane esi-stenti l’assenza funzionale eprogrammatica si configura come una de-clinazione dell’idea di vuoto.Quello che qui si vuole proporre è una let-tura ‘parallela’ in modo da riflettere sulvuoto come oggetto tridimensionale deltessuto urbano contemporaneo introdu-cendo il concetto di porosità inteso comedispositivo descrittivo, ma anche proget-tuale, per la comprensione di nuove urba-nità emergenti.Esiste, infatti, una porosità spaziale e so-ciale delle città e territori esistenti, una mi-sura che non è da ritenersi come parametrourbanistico complementare alla densitàbensì come grandezza che esprime diversepossibilità di percorrenza e permeabilitàsociale e fisica. Il concetto di porosità - elemento di com-prensione delle realtà costruite secondo lametafora della spugna - si lega da un latoalla definizione di cavità ma anche a quelledi possibilità e accessibilità offerte, que-

st’ultime, dall’assenza di riferimenti spa-ziali e funzionali.La porosità ci spinge a spostare l’attenzionedalle forme di espansione a quelle di modi-ficazione dell’esistente così da dare ‘consi-stenza’ al vuoto in termini spaziali ecollettivi.PPeerr uunn iinnqquuaaddrraammeennttoo tteeoorriiccooNel 1925 Walter Benjamin scrive Napoli unminuzioso racconto della città di Napoli nelquale le metafore dell’aspetto roccioso e diquello poroso costituiscono la guida per lacomprensione della struttura urbana e so-ciale della città partenopea. In Napoli, iltessuto urbano viene analizzato e descrittoalla luce della compenetrazione tra azioni acarattere pubblico e privato il cui limitesvanisce, sia nei comportamenti della po-polazione che nella morfologia urbana, pro-prio nei luoghi in cui la porosità urbana simanifesta. Anche Ernst Bloch nel saggioItalia: la porosità (1926) Blochmette in evi-denza il concetto di porosità a dimostra-zione di come Napoli, paradigma della cittàmediterranea, sia esempio di un modo di-verso di concepire l’urbanità e le sue rela-zioni.Durante gli anni Novanta del secolo scorsola porosità viene utilizzata per compren-dere i tipi di relazioni che sussistono neiterritori della ‘dispersione’ caratterizzando,così, il dibattito architettonico e urbani-stico internazionale sulla città diffusa suitemi dello svuotamento e della ritrazioneurbana.Questi fenomeni sono strettamente legatialle Shrinking Cities (città in contrazione)sottolineando come, all’interno di alcunecittà, si stanno attuando processi di disper-sione abitativa e restringimento spazialemettendo in luce un tipo di porosità di‘frattura’ che inizia, in molti casi, alla con-clusione di un ciclo economico e/o sociale eche consente, da un punto di vista proget-tuale, la rigenerazione dello spazio urbano.

RITRAZIONI URBANEProgettare la città esistenteGiuseppe Mantia

Giuseppe Mantia (Vicenza 1964) studia presso laFacoltà di Architettura dell’Università di VeneziaIUAV (laurea 1991). Segue inoltre il corso post-lauream presso il the Berlage Institute Amsterdam,Postgraduate Laboratory of Architectureconseguendo il titolo di Master nel 1998. Nel 2005consegue il titolo di Dottore di Ricerca inUrbanistica presso lo IUAV.Ha collaborato con gli studi Gregotti AssociatiInternational di Milano e Venezia, Concalo SouzaByrne and associates a Lisbona e De ArchitektenCie Amsterdam. Nel 1996 fonda con Karl Amann lo studio Nowherearchitects Amsterdam.Dal 1999 fonda Mantiastudio, struttura diprogettazione architettonica e urbanistica ecollabora con lo Studio di Architettura Luca Rossialla stesura di progetti residenziali e ricettiviprincipalmente per il Centro Storico di Venezia (Ricupero ad uso ricettivo dell’Isola di SaccaSessola, restauro ad uso ricettivodi Palazzo Ruzzini,Giovannelli e Ca Corner Reali)Nel 1998 (con Karl Amann) è tra i dieci finalisti delConcorso per il progetto della nuova sede delloIUAV. Nel 1999 (con l’architetto greco Sofia Vyzoviti)è vincitore al Concorso Europan 5 con un progettoper l’area greca di Atene-Amaroussion. Nel 2004 èinvitato dall’ Ance a partecipare al “concorso diidee per la casa del futuro - verso una nuova qualitàdell’ abitare”. Dal 2005 al 2008 è docente a contratto diInfrastrutturazione del Territorio e Trasporti presso ilPolitecnico di Milano (Facoltà di Architettura Civile– sede di Bovisa) e dal 2008 a oggi di Urbanisticapresso lo IUAV di VeneziaNel 2000 partecipa presso il Padiglione Greco allaVIIa Biennale di Architettura di Venezia, nel 2001partecipa all’ esposizione Archilab – 90 housingprojects 90 architects - al FRAC Center di Orleans(Francia) e nel febbraio 2002 alla rassegna ItalianIdentity presso la GSAPP Columbia University diNew York. Ha, inoltre, esposto il proprio lavoro pressoimportanti istituzioni internazionali: a Venezia allaFondazione Cini, alle Corderie dell’Arsenale e allaIUAV,,al Forum Europan 5 di Ginevra, alla Galleria diArchitettura del Berlage Insitute e alla De AppleGallery di Amsterdam; con la Mostra itineratnte diArchitettura New Italian Blood ha esposto aStoccolma, Roma, Praga, Copenhagen, Firenze,Prato e Madrid.La sua ricerca progettuale è stata pubblicata su dinumerose riviste di architettura internazionali tracui “Daidalos”, “Quaderns”, “Casabella”, “IlProgetto” e “d’Architettura”. Nel cofanetto “5tudi” -Editrice Libreria Dedalo - è contenuta unamonografia sul suo lavoro.

a cura di Giovanni FurlanProgetto per l’area “San Carlo”.Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Architettura, Costruzionee Conservazione. Insegnamento di Urbanistica.Studenti: Giulia Fungher, Eleonora Pavan.

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Grazie alle sperimentazioni didatti-che è stato possibile verificare comein contesti urbani ‘senza qualità’ laporosità diviene una strategia pro-gettuale in grado di costruire scenarialternativi di sviluppo in cui il con-cetto di espansione illimitata vienesostituito da quello di manipolazionedell’esistente permettendo così la ri-configurazione quantitativa, ma ve-rosimilmente qualitativa, di tessutiurbani consolidati.

Brian Eno - Thursday Afternoon

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CCaassii eemmbblleemmaattiicciiIl Piano strutturale per la città Anversa redatto dalla Studio Secchi-Viganò (2003-2006, in fase di attuazione) evidenzia il fenomenodella porosità in analisi molto approfondite e diviene, al tempostesso, strategia progettuale. In esso sono rintracciabili diverse po-rosità da quelle ‘macro’ e quelle ‘sottili’ causate sia da processi di di-smissione di grandi porzioni urbane ma anche da microtrasformazioni delle zone più centrali di Anversa. Nella città belga lo studio Secchi-Viganò rileva anche un’altra tipo-logia di porosità definita a ‘grana grossa’. Lo spostamento del portocommerciale a Nord infatti ha prodotto lo svuotamento e l’abban-dono di grandi aree e manufatti che, nel piano strutturale, diven-tano punti strategici per la riconversione della vita urbana maanche per la costruzione di strutture collettive. Ma ci sono ancheporosità sottili . Esse sono conseguenza dei processi di trasforma-zione di una miriade di lotti che sono polverizzati all’interno deltessuto urbano più centrale. Ed è proprio qui si possono riscontraredelle piccole modifiche all’interno dei tessuti consolidati.Casi analoghi di porosità sono individuabili anche in alcuni centriurbani e produttivi di medie dimensioni italiani che, a seguito diparticolari eventi economici, hanno mutato la loro identità trasfor-mandosi in aree strategiche di sviluppo. È il caso di Milano che, par-tire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, re-immette nelmercato immobiliare aree industriali di notevole consistenza. Cosìcome Busto Arsizio, la Piana di Firenze o il tessuto misto della cittàdi Prato dove la mixitè tra luoghi dell’abitare e del lavoro offre pos-sibilità di trasformazione anche in occasione di mutate condizionieconomiche.

SSppeerriimmeennttaazziioonnii La porosità intesa come dispositivo progettuale può essere utiliz-zata all’interno dell’espansione urbana italiana del secondo dopo-guerra che ad oggi, oramai raggiunta una condizione di stabilitàeconomica ed immobiliare relativa, presenta processi di ritrazionespaziale e funzionale.Caso emblematico di questo tipo di sviluppo urbano ‘senza qualità’è il quartiere Arcella di Padova. Grazie ad una sperimentazione di-dattica svoltasi all’Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea ma-gistrale in Architettura, Costruzione e Conservazione nell’ annoaccademico 2012-2013, è stato possibile elaborare una serie varie-gata di scenari di sviluppo per questa parte della città patavina cheospita quasi un quinto dei residenti. Il quartiere n.2 di Padova risulta costituito da un tessuto urbano di-somogeneo disposto sul territorio senza un disegno logico. Il lavoroprogettuale con gli studenti è partito da un’attenta analisi urbana esociale delle 25 aree suscettibili di modificazione così da definire daun lato le criticità ma, dall’altro, anche le potenzialità da riattivare.In molti casi i deficit tipologici e tecnologici riscontrabili nei manu-fatti edilizi sono stati il pretesto per progettare nuove figure urbanemodificando, in prima istanza, le conformazioni insediative dellearee oggetto di studio.I temi sviluppati in sede didattica hanno riguardato alcuni aspettiimportanti per la rigenerazione urbana come la riconfigurazionedelle porte di accesso al quartiere (Stazione FS Arcella lato Nord), laricucitura del bordi urbani (Area Arco di Giano Ovest), la ripara-zione dei tessuti con operazioni di densificazione abitativa (areaSan Antonino Nord e area Piero Bon Sud) e la progettazione in areestrategiche oramai consolidate (centro commerciale San Carlo).

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Progetto per l’area “Arco di Giano” ovest. Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Architettura,Costruzione e Conservazione. Insegnamento di Urbanistica.Studenti: Michael Sorgato, Alberto Squizzato.

Progetto per l’area “Stazione Arcella” lato nord.Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Architettura,Costruzione e Conservazione. Insegnamento di Urbanistica.Studenti: Martina Comiotto, Alice D’Ambros.

Progetto per l’area “Via Temanza” sud.Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Architettura,Costruzione e Conservazione. Insegnamento di Urbanistica..Studenti: Riccardo Rinaldi, Paolo Toldo.

Progetto per l’area “Via Pierobon”.Università Iuav di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Architettura,Costruzione e Conservazione. Insegnamento di Urbanistica.Studenti: Eleonora Canetti, Caterina Vignaduzzo.

Progetto per l’area “Sant Antonino” nord.Università Iuav di Venezia, Corso diLaurea magistrale in Architettura,Costruzione e Conservazione.Insegnamento di Urbanistica. Studenti: Francesca Marchetto, Chiara Sorato.

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Le opere pubbliche interrotte sono gli effetticollaterali, se non in alcuni casi intenzionali,dell’immenso progetto di modernizzazionedel territorio italiano attuato dal secondodopoguerra ad oggi: uno sterminato, nonquantizzato, patrimonio di opere il cui pro-cesso di realizzazione e messa in funzionetalvolta è rimasto interrotto. Visioni di fu-turi immaginati e mai avverati, che si sonofrantumati diventando rovine della moder-nità. Paesaggi interrotti ancora poco esplo-rati dalle discipline architettoniche eurbane, per i quali persiste un vuoto di pen-siero e di progetto da parte del soggettopubblico.

Sono paesaggi che quotidianamente abi-tiamo, frequentemente attraversiamo e so-litamente, forse inconsciamente,rimuoviamo dal nostro sguardo o regi-striamo come una consuetudine del nostroterritorio. Per lo più sono paesaggi meridio-nali, perennemente in bilico fra l’inerzia alcambiamento e la tensione alla modernizza-zione, quindi perennemente interrotti nelloro processo di costruzione e trasforma-zione. Paesaggi più vulnerabili rispetto adaltri, probabilmente con un’intima voca-zione all’interruzione, dove spesso il pro-getto collettivo si frantuma in mille pratichee tattiche messe in atto dal basso, colmando

OPERE PUBBLICHEINTERROTTEIl vuoto del progetto pubblicoVincenza Santangelo

Vincenza SantangeloArchitetto, Dottore di ricerca all’interno delDottorato Internazionale Quality of Designcoordinato dallo IUAV di Venezia con una tesisulle opere pubbliche interrotte nel territorioitaliano, attualmente assegnista presso loIUAV di Venezia sul tema degli spazi del lavoro.Ha svolto attività di didattica e di tutoraggiopresso diverse università italiane e straniere eall’interno di workshop nazionali einternazionali. Ha partecipato a progetti diricerca, a concorsi e mostre di progettazione.

a cura di Massimo Matteo Gheno

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Visioni interrotte

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strategie, azioni e progetti e esercitare unacreatività più ampia, impensabili per glispazi dove è consolidato una sorta di marke-ting architettonico.Sperimentazioni su alcuni paesaggi inter-rotti, sia nazionali che internazionali, a par-tire dalle quali riconoscere alcuni indirizzi diazioni possibili e alcuni strumenti, di di-versa provenienza e incisività, relativi sia alprogetto di architettura che al progetto direlazione tra l’architettura e il territorio incui l’architettura ricade. Confermare, com-pletare e aggiornare le opere interrotte apartire dal progetto iniziale; trasformarle,anche a partire da processi autonomamenteespressi dai paesaggi; decomporle, speri-mentando processi di rinaturalizzazione o didecostruzione controllata. Tendenze da in-tendersi come consapevoli indirizzi astratti,che negli esiti reali possono vedere sfumarei loro contorni, fino ad intrecciarsi e sovrap-porsi, affiancandosi alle riflessioni e valuta-zioni specifiche che i diversi sguardi dellaricerca evidenziano, ponendo nuove molte-plici domande.Emerge una filosofia di intervento sul patri-

monio di opere interrotte per la quale, al dilà del singolo progetto o della tendenza incui si iscrive, sembra fondamentale far va-lere l’attenzione al caso per caso, cogliendocriticamente le condizioni specifiche del ter-ritorio e del progetto, registrando desideri eesigenze latenti degli abitanti, reagendo conle potenzialità implicite dei paesaggi inter-rotti.

OOllttrree ll’’iinntteerrrruuzziioonneeI paesaggi interrotti sono i luoghi dell’in-compiutezza, dell’incertezza, dell’instabi-lità, testimoni di un progetto in crisi e di unvuoto di azioni dall’alto, ma anche opportu-nità da cui ripartire per ripensare il nostroterritorio, provando ad andare oltre l’inter-ruzione.Andare oltre numeri e percentuali che con-validano un’immagine stereotipata di de-nuncia e degrado, mettendo in discussionele etichette che altalenano fra marginalizza-zione ed emergenza; uscire dalla condizionedi assuefazione all’interruzione delle operenei territori che abitiamo. Andare oltre losguardo zenitale e uniformante, per riuscire

a distinguere i materiali, le pratiche, gli abi-tanti di questi paesaggi; smontare i para-digmi disciplinari e osservazioniapprossimative e cristallizzate, provando acostruire uno sguardo mobile e molteplice,capace di stare al passo dei processi che mo-dificano questi luoghi. Andare oltre lo scol-lamento del progetto dal territorio e laprogressiva estraneazione dalle relazioni,preesistenze, valori e soprattutto dai suoiresidui e scarti. Andare oltre l’idea di ununico paesaggio omogeneo per riconosceremolteplici paesaggi differenti, dove diversa-mente agiscono queste interruzioni e neiquali diversamente è possibile intervenire.

* Questo contributo fa riferimento a VincezaSantangelo, Paesaggi Interrotti. Opere pub-bliche interrotte nel paesaggio italiano, tesidi dottorato sviluppata nell’ambito del Dot-torato Internazionale Quality of Design, IVciclo, coordinato dallo IUAV di Venezia,tutor Fabrizia Ippolito.

Castaway on the moon, film di Hae-jun Lee,

Corea del Sud 2009.

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il vuoto del progetto dall’alto.La rilevanza quantitativa e qualitativa, le vi-cende, le ragioni e le molteplici declinazionidi questi paesaggi interrotti individuanol’esistenza di un vero e proprio fenomenodel territorio italiano contemporaneo, che èsempre più difficile eludere o liquidare conuna generica riprovazione, mentre potrebbediventare occasione per occuparsi delle vi-cende e delle ragioni che hanno prodottoqueste opere pubbliche interrotte; dei carat-teri dei paesaggi sui quali sono andate a ri-cadere e del rapporto tra progetto di operapubblica e paesaggio italiano; delle condi-zioni attuali in cui versano queste opere edelle evoluzioni del loro rapporto col pae-saggio attraverso dispositivi di metabolizza-zione, alterazione, occupazione; delle lorocapacità di riscatto tramite un progetto diarchitettura e di paesaggio; delle opportu-nità di ripensare le strategie complessivedel progetto di opera pubblica nel paesaggioitaliano.Nonostante l’urgenza e la rilevanza del fe-nomeno, manca una documentazione uffi-ciale completa in cui rintracciare l’effettivaconsistenza quantitativa e qualitativa diquesto patrimonio e ricostruire meccanismidi interruzione.Questa carenza di un inquadramento gene-rale e di fonti ufficiali da cui attingere, sug-gerisce una prima ricognizione delfenomeno attraverso la costruzione di unadocumentazione che attinga a tutte le fontia disposizione, che si traduce nella costru-zione di un atlante delle opere interrotte,dove regione per regione si intreccianol’aspetto quantitativo e qualitativo. Unatlante eclettico che tenta di documentareun fenomeno complesso, senza avere la pre-tesa di dati assoluti e definitivi, ma piutto-sto che cerca di cogliere e restituire larilevanza del fenomeno nel paesaggio ita-liano e le eventuali declinazioni nelle singoleregioni.

VViissiioonnii ddii mmooddeerrnniizzzzaazziioonneeI paesaggi interrotti sono specchio delle po-litiche di modernizzazione che si sono sus-seguite nel corso degli ultimi decenni. Lepolitiche e le strategie di intervento pub-blico hanno cambiato indirizzo nel corsodegli anni, parallelamente ai cambiamentipolitici, economici, sociali e culturali ita-liani, costruendo di volta in volta scenari e

immaginari di modernizzazione, il cui deno-minatore comune è stata la fiducia nel-l’opera pubblica come risposta all’esigenzadi sviluppo e farmaco per le aree definite de-presse rispetto all’idea stessa di moderniz-zazione vigente. La strutturazione dell’intero territorio ita-liano negli anni ’50 con strade e autostrade;il processo di bonifica degli anni ’60 di interibrani di territorio; l’attrezzatura degli anni’70 con impianti industriali, porti commer-ciali e grandi opere della mobilità per il tra-sporto delle merci; l’arricchimento a pioggiadegli anni ’80 con scuole, centri polifunzio-nali, impianti sportivi, ospedali; l’intercon-nessione con l’Europa a partire dagli anni‘90 attraverso corridoi plurimodali entro cuicalare nodi strategici infrastrutturali. Visioni che si sono tradotte spesso in operecalate sui territori come astronavi su unsuolo alieno, sovrapponendo regole e ordinialtri e facendo tabula rasa di tutto ciò cheinvece sussultava all’interno di questi pae-saggi; insediamenti infrastrutturali spessoincapaci di coniugare nuove visioni con ledinamiche sottese e latenti e, soprattutto, diinnescare intorno a sé fertili rigenerazionieconomiche, culturali e sociali. Visioni di fu-turi immaginati, talvolta non completa-mente realizzati, di cui spesso restano opereinterrotte per effetto di una molteplicità dicause convergenti, che ne hanno innescatoil mancato completamento.In tal senso il fenomeno delle opere inter-rotte si confronta inevitabilmente con il di-battito sulle politiche di modernizzazioneche si sono alternate in Italia dal dopo-guerra ad oggi, non solo per ricostruire lecause e le condizioni del mancato completa-mento delle opere, ma per provare ad espli-citare le ragioni e le modalità direalizzazione di queste opere, delineando al-cuni dei meccanismi di costruzione e tra-sformazione del paesaggio italiano negliultimi decenni.

AAbbiittaarree ll’’iinntteerrrruuzziioonneeI paesaggi interrotti sono il frutto dell’inter-vento pubblico ma anche di una molteplicitàdi azioni che derivano dall’iniziativa privata.Sono paesaggi dove la sospensione del fu-turo inizialmente programmato dai progettie dai piani, la condizione di attesa caratte-rizzata da un indebolimento del controllo el’invisibilità nell’agenda di governo del terri-

torio consentono l’innescarsi e il proliferaredi processi dal basso, sostituendosi al pro-cesso iniziale.Sfruttando la condizione di invisibilità e vul-nerabilità di questi paesaggi interrotti e ilvuoto di un pensiero o un progetto dall’alto,singoli soggetti provano a dare risposta alleesigenze eluse dal soggetto pubblico e a sod-disfare le proprie aspettative di migliora-mento. Un’idrovia che non arriva al mareviene metabolizzata diventando risorsaidrica per l’irrigazione dei terreni circo-stanti e spazio per attività ludiche comepesca e canottaggio. Il tronco sospeso di unviadotto viene addomesticato tramite larealizzazione di una villetta con giardino cheaffaccia sul burrone, restituendo una sortadi dimensione umana all’opera. Un edificioper il turismo viene colonizzato da popola-zioni immigrate islamiche convertendolo inmoschea e utilizzandone il serbatoio delleacque come minareto. Un palazzetto dellosport viene occupato temporaneamente pertrasformarlo nell’effimera scenografia deiraduni delle popolazioni nomadi dei rave-party. Una strada su viadotto interrotta cheattraversa la città viene adattata a percorsociclopedonale dai residenti del quartiere.Storie minime che sommandosi creanoun’urbanistica individuale del quotidiano,che facendo leva sulla dimensione precariae provvisoria di questi materiali scartati daiprocessi di modernizzazione del territorioriesce a tradurli in risorsa creativa. Storieminime che diventano uno scrigno di indizisui paesaggi interrotti da decodificare, maanche cartina al tornasole delle nuove mo-dalità di abitare il paesaggio contempora-neo, che meritano di essere osservate concura anche dai non addetti ai lavori, comeurbanisti o architetti, per individuare i segnidel mutamento, ma anche nuovi temi e ca-tegorie progettuali da mettere in gioco nelprogetto.

PPrrooggeettttii ppeerr ii ppaaeessaaggggii iinntteerrrroottttiiI paesaggi interrotti, nonostante la condi-zione di invisibilità e marginalità, iniziano adiventare una sorta di ‘terzo paesaggio’ peril progetto architettonico e urbanistico.Questi paesaggi residuali, scarti dei processidi modernizzazione del territorio, si sonotrasformati in terreno fertile per sviluppareuna serie di esperienze progettuali, diven-tando laboratori dove sperimentare inedite

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Abitare l’interruzione

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quello della ex scuola, richiamare quell’ar-chitettura razionalista che aveva generatotale edificio; eppure la forza di questo ele-mento doveva essere il suo volume, comequella di alcuni palazzi veneziani persinell’entroterra, come la villa Garzoni delSansovino a Pontecasale, meglio ancoracome villa Zaia a Polcenigo.Una struttura di palazzo patrizio veneziano,con facciata tripartita pieno-vuoto-pienocon la parte centrale in loggia.La struttura architettonica sarebbe risul-tata tanto più familiare quanto più fosse sifosse evidenziata tale struttura.Quanto alla cifra stilistica del nuovo edifi-cio, questa doveva fare riferimento alla“Casa del fascio” di Terragni a Como, ungrande lunare meteorite di marmo, da de-clinare nelle forme archetipe dei palazzi pa-trizi d’entroterra veneziani.

Ai fini della compatibilità ambientale sisono realizzati edifici con prestazioni ener-getiche pari alla classe “B”, contestualiz-zandone le caratteristiche con la normativaallora vigente; oltre a ciò si è posta partico-lare attenzione all’orientamento ed alla di-mensione delle finestre, che presentanoun’ampiezza superiore al consueto, ovverofori standard cm 120 x 200 per sfruttare almeglio la luce solare.In aggiunta si è posto sul tetto piano del-l’edificio fronte strada, mascherato dalla

veletta del parapetto e quindi perfetta-mente integrato con l’architettura, un im-pianto fotovoltaico condominale per laproduzione di 8,1 Kw di energia elettrica.

Per l’edificio centrale, che doveva conno-tare lo spazio della piazza si è scelto il rive-stimento lapideo, anche per richiamareidealmente le tipologie di finitura del razio-nalismo italiano: in questo caso non il tra-vertino, inadatto al clima, ma un marmomolto resistente che si cava a pochi chilo-metri di distanza, nel vicentino, il marmo

“grolla” (variante del marmo “chiampo”); ilmarmo grolla si ritrova anche nella pavi-mentazione della piazza, assieme al “rossodi Verona”; una specie di pelle in marmo“grolla” riveste anche il fronte curvilineoche chiude la piazzetta, mentre un percorsosinuoso che passa attraverso i porticati deidue edifici, è reso più evidente da una sot-tile striscia metallica in “cor.ten.”, chesegue il percorso a terra, entrando eduscendo dai due corpi di fabbricaGli infissi e gli oscuri sono in legno. La lat-toneria e le cornici sono in “reinzink”.

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L’operazione realizzata è stata una sfidaculturale, prima che architettonica ed edili-zia: ricucire un tessuto urbano slabbrato eprivo di elementi connettivi.La sfida era quella di trovare il modo di dia-logare con un contesto oggettivamente de-gradato, in cui l’unica presenzaarchitettonica di qualche pregio era la exscuola del periodo razionalista tra le dueguerre, oggi dismessa e divenuta sede co-munale.La nuova edificazione doveva fare da puntocentrale, snodo dello spazio della piazza, enel contempo doveva mettersi in relazionecon la ex scuola.La sfida in questo luogo non era quella di in-serirsi in uno spazio definito, ma di definirelo spazio stesso.Curtarolo è un paese che fa parte della se-conda periferia di Padova, situato a metàstrada tra la città stessa e Cittadella; l’inter-vento riguarda un’area molto centrale delpaese, ma anche molto “di passaggio”, priva

di carattere architettonico.Unica presenza architettonica di pregio cuirapportarsi, è la ex scuola, che ha il pregiodi avere forme semplici, fregi lineari e fine-strature ampie.Altro tema con cui confrontarsi era quellodella piazza: in effetti il problema di Curta-rolo era oggettivamente il fatto di essere fi-sicamente poco identificabile.A Curtarolo non mancavano funzioni ur-bane: c’èra un nucleo mercantile legato al-l’intersezione con la strada provinciale, edal mercato settimanale, oltre che un nucleodirezionale -comune/poste/banca.Con l’approfondirsi dello studio, apparivasempre più importante l’oggetto architet-tonico da inserire sulla piazza; un edificioche connotasse lo spazio senza occuparlotutto, quasi a ricreare la funzione urbanadella chiesa del campo Santa Maria For-mosa a Venezia.Il linguaggio architettonico di questo edifi-cio doveva essere per forza di cose legato a

DEFINIRE LO SPAZIORigenerazione urbana sostenibile aCurtarolo (Pd)Menzione d’onore al PREMIO RAFFAELE SIRICA SICUREZZA DELL’ABITARE E

RIGENERAZIONE URBANA SOSTENIBILE 2012

Michele TognonMichele Tognon Nato nel 1967 a Limena, laureato in Architettura(I.U.A.V.) nel 1994.Inizia l’attività professionale in forma associata conl’arch. Rosangela Rigoli di Bergamo; prosegue poil’attività da libero professionista collaborando divolta in volta con altri studi o colleghi.Tra il 1995 ed il 2002 si occupa, in collaborazionecon la Prof.ssa Arch. Maria Pia Cunico, del restaurodel giardino storico di Villa Mersi a Trento, nonchédel progetto e della direzione lavori dellasistemazione generale del Parco Manin aMontebelluna. Nel 1997 fa parte del gruppo diprogettazione assieme all’arch. Davide Zanella edal dott. Francesco Sbetti, che si è aggiudicato ilprimo premio nel bando di Concorso per laredazione del Piano del Colore del Centro Storicoindetto dall’Amministrazione di Padova, redattol’anno seguente e tuttora vigente. Dal 2002 al 2004segue a Piazzola sul Brenta la riqualificazione dicinque immobili pubblici, tra cui la sede del Comunee la sala del Consiglio. Nel 2005/2006 ho redige,congiuntamente all’arch. Davide Zanella, il PianoP.E.E.P. nucleo capoluogo di Ponte San Nicolò,attualmente in fase di attuazione. Dal 2002 al 2010si occupa, in collaborazione con l’ing. GiacomoGianetti, del P.I.R.U.E.A. denominato “Del Centro”di Curtarolo, dalla Variante al progetto urbanistico,alla realizzazione architettonica, presentata alPremio Sirica.

a cura di Alessandro Zaffagnini

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La storia dell’edificio è segnata dalla Cata-strofe del Vajont. Le lacerazioni visibili infacciata sono una testimonianza eloquentedegli effetti che causò la massa d’acqua.L’edificio, prossimo nella sua distanza dal-l’antico abitato di Casso, è stato una scuola.Si è pensato che le mura offese dovesserorimanere tali, come se una data vi fosse ri-masta impressa. Scolpita. Non era in alcunmodo scontato.La scuola ha “subito”, come sorte, un“nuovo inizio”. Cancellata l’innocenza dellamotivazione originaria, permane il ruolo“pubblico”.Da lontano: una forma di pre-visione. Unanuova copertura. Di solito una forma checonclude, stabilizza. In questo caso è lì peressere “raggiunta”.L’intervento: un attraversamento dell’edifi-cio esistente, il traguardo di un percorsoche lo attraversa. L’edificio esprime solol’energia di un movimento che lo trascorre.Il “continuare” a muoversi come condizioneper ri-utilizzarlo.La piattaforma: quella che dapprima ci ap-pariva una promessa, un invito, adessoviene mantenuta. Si riesce a traguardare“da fuori” la Diga: il momento di maggioreinstabilità è, forse, quello più stabile.L’esterno dell’edificio ti accompagna anchequando lo percorri, dopo puoi solo rive-derlo.

Si è trattato di costruire su quanto è rima-sto, di produrre un avvicinamento fra que-ste due dimensioni.Il 27 settembre 2004 è stato affidato l’inca-rico della progettazione per la ristruttura-zione dell’ex scuola di Casso. I lavori sonoiniziati il 21 settembre 2006.Le opere hanno riguardato demolizioni,adeguamento strutturale, conservazionedelle superfici esterne. Il piano terra è statoampliato verso monte fino al limite dellafacciata a nord, costruendo un nuovo settomurario in sottofondazione. Un nuovo te-laio strutturale in c.a. sostiene i solai soli-dali alle murature. La scala interna edesterna, la piattaforma ed il volume emer-gente sono stati costruiti con carpenteriemetalliche.Sono stati eseguiti lavori di coibentazione,impermeabilizzazione, finitura internadelle superfici, nuovi impianti, nuovi infissie lattonerie di copertura in laminato metal-lico. In copertura è installato un impiantofotovoltaico con potenza di 6,9 kWp (mo-duli monocristallini da 230 Wp/cad).I lavori, sospesi per 3 inverni, sono stati ul-timati il 29 aprile 2011.UUttiilliizzzzoo ddeeggllii ssppaazzii eessppoossiittiivvii(Esposizioni a cura di Dolomiti Contempo-ranee – laboratorio d’arti visive in am-biente – Gianluca D’Incà Lewis)Nel Nuovo Spazio di Casso si sono incon-trate due intenzionalità: quella dell’archi-tetto progettista e quella del curatore delleesposizioni Gianluca D’Incà Lewis.Il rinnovamento dello Spazio stesso è il ri-sultato della sommatoria di queste dueazioni, e di due sensibilità che hanno potutogiungere a sovrapporsi, riconoscersi, per al-cuni aspetti a coincidere.La gestione dello Spazio trova corrispon-denza nelle caratteristiche delle superfici edei volumi.La funzione che lo Spazio esprime è compa-

tibile con la struttura fisica dello stesso,senza strappi o forzature. Forma e funzionevengono in tal modo a coincidere. Un pro-getto culturale compiuto è un progetto fun-zionale.

“Perpetuum Mobile” (versione del 2004),

degli “Einsturzende Neubauten” contenuto in “

Strategies Against Architecture IV”.

COSTRUIRE SU QUANTO E’ RIMASTORistrutturazione dell’ex scuola di Casso (PN): nuovi spazi espositiviValentino StellaValentino Stella (1969)

Ho studiato architettura presso l’IstitutoUniversitario di Architettura di Venezia, dove misono laureato nel 1996. Dopo la laurea ho collaborato con diversi studi,sviluppando progetti in Italia ed Europa. Dal 2001 ho lo studio professionale a Belluno.

a cura di Alessandro Zaffagnini

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“(…) perché io riprenda a intessere con leparole il lavoro intrapreso, tutta la naturadunque, come è per sé stessa, consiste didue cose: ci sono infatti i corpi e il vuoto, incui quelli son posti e attraverso cui si muo-vono” (Lucrezio, De Rerum Natura)

L’incontro tra la città storica e il museo sem-pre introduce all’interno del dibattito la pre-senza, la ristrutturazione, la demolizionedell’architettura esistente. Il primo approc-cio al tema del museo, quando si tratta dicreare uno spazio ex-novo ci porta a riflet-tere inizialmente su due punti, intesi comeprimo approccio al progetto. Il primo, a se-conda della sua localizzazione, della rela-zione tra storia e geografia del luogo: se sitratta di un edificio già radicato nella cittàstorica, la domanda é se muoversi secondo

la conservazione dell’esistente o la demoli-zione per costruire un nuovo elemento. Il se-condo, se e quanto la nuova architettura,intesa come edificio con un programma mu-seale, debba parlare o tacere: quanto ilmuseo come edificio debba denunciare lasua propria presenza. È un ulteriore ele-mento d’arte in sé e per sé? Un volume scul-toreo? Deve essere eloquente? Deve farparlare di sé? O è un involucro vuoto, un in-cubatore silenzioso? Il museo – forse più dialtri edifici – conta di un programma in cuipredomina il vuoto spaziale, che si articolatra gli spazi dei percorsi e i vuoti delle saleespositive. Prendiamo come punto di rifles-sione la realizzazione di un museo all’in-terno di un tessuto storico: è un tema piùche mai attuale nelle nostre città sature dicostruzioni, l’avvicinamento al tema della

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a cura di Paolo Simonetto

DELLA PERMANENZADELL’ARCHITETTURA,DELLA PIENEZZADELL’ARTEAtelier-Museo Júlio Pomar progettato da Àlvaro Siza a LisbonaElisa Pegorin

Elisa Pegorin (Cittadella, Padova, 1981) é architetto. Dal 2010 é dottoranda presso la FAUP -Faculdade de Arquitectura da Universidade doPorto, Portogallo, nell’area di ricerca“Architettura: Teoria, Progetto e Storia”. Dal 2012 integra il centro CEAU Centro deEstudos Arquitectura e Urbanismo dellaFacoltà di Porto. Il suo progetto di ricercastudia le relazioni tra l’architettura italiana eportoghese, ed è finanziato dalla FCT -Fundação Ciencia e Tecnologia - delPortogallo.Nel 2010 vince il 1º premio nel concorsointernazionale Europan10 con l’Arch. NicolaTuan.Dal 2000 al 2005 ha studiato presso lo IUAVdi Venezia, dove si laurea nel 2007 con110/110 e lode, con una tesi in progettazionearchitettonica e paesaggistica sul territorioportoghese, dal titolo Ribeira das Vinhas: leforme dell’acqua, con relatori Prof. StefanoRocchetto, Arch. Gonçalo Byrne e Arch. JoãoFerreira Nunes. Negli anni 2003 - 2005 halavorato in vari studi di architettura in Italia, edal 2007 vive a Lisbona dove ha continuato lasua attività professionale. Ha partecipato avari seminari di progettazione internazionali eha varie pubblicazioni in libri e rivistenazionali e internazionali.

Júlio Pomar nel patio d’ingresso, ©Luísa Ferreira

interno, ©Luísa Ferreira Fernando Pessoa, Júlio Pomar

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preesistenza (chiaramente una preesistenzacon un certo valore) possa essere riutiliz-zata, trasformata, riflettendo un concettoche pare oramai “in disuso” e dimenticatodagli architetti, ovvero che anche interve-nendo il meno possibile si possa fare unabuona architettura. Ce lo racconta - in realtà- già la storia dell’architettura e della mu-seografia in dettaglio.Presentiamo qui come esempio d’interventocome permanenza, uno degli ultimi lavori diAlvaro Siza nel cuore della Lisbona storica,nelle strette strade del quartiere di Mercês apochi passi dalla maestosa chiesa di NossaSenhora de Jesus. È il museo-atelier per ilmaestro portoghese Júlio Pomar. Nato a Li-sbona nel 1926, Pomar é uno degli artistiportoghesi più importanti a livello interna-zionale, con un corollario di opere che vannodalla pittura, alla scultura, oltre a disegni, il-lustrazioni, collage, ceramiche, tappezzeriee scenografie, senza dimenticare l’attività discrittore, di poeta, e del forte legame traarte e letteratura. Frequentò la scuola diBelle Arti a Lisbona (1942-44), e successiva-mente quella di Porto: insegnava quandoSalazar lo espulse a causa di un ritratto chefece di Norton de Matos. Realizzò la suaprima esposizione giovanissimo nel 1944, edopo la seconda guerra mondiale il suo la-voro fu influenzato da artisti del neo-reali-smo come il pittore brasiliano CandidoTorquato Portinari e il messicano Diego Ri-

vera, che lo ispirarono a utilizzare l’artecome forma di intervento socio-politico.Come si inserisce il tema architettonico-museale nel rispetto dell’opera complessadell’artista? La prima operazione di Siza, eforse la più difficile, è stata la decisione direcuperare l’edificio preesistente: un grandemagazzino del XVI secolo, completamentevuoto, di cui ha mantenuto la copertura, lecapriate e la struttura principale, e il ritmodelle aperture della facciata. E da questa ri-flessione, tutto il resto del progetto, fino aldettaglio delle finestre, in continuità ciparla di questo silenzio. È un silenzio nonbanale, ma una chiara dichiarazione che esi-stono vuoti utili alla città storica, spazi nonutilizzati, un “vuoto a rendere” dall’archi-tetto alla città, dalle stesse parole di Siza:che per trasformare non è necessario di-struggere. Ma la stessa consapevolezza delladifficoltà di una scelta, ce la raccontaquando afferma che il progetto del museo èsempre polemico e sempre ambiguamenteimmaginato tra conservazione e invenzione.Tra la conoscenza e la trasgressione, dubbi econvinzioni. Amato e odiato, soggetto a di-struzione e al restauro. I lavori per l’atelier-museo, dalla prima idea nata nel 2000,durarono dodici anni a conferma di comepurtroppo l’architettura sia (troppo spessooramai) soggetta ai tempi della burocrazia:ma il museo ha aperto finalmente al pub-blico in aprile ospitando più di quattrocento

opere. Un intervento “quasi invisibile”quello di Siza, che lui stesso raccontaavrebbe voluto ancor più silenzioso, ripulitoda tutti quei terribili orpelli, “meccanisminecessari oggi per rispettare la legisla-zione”: perché da subito la sua prima inten-zione fu che chi cammina nella strada nondebba notare l’intervento dell’architettosull’edificio. A proposito dell’articolazioneinterna dello spazio dei musei, egli dichiarache dovrebbe essere idealmente senza pa-reti, né porte, né finestre, con la brezza me-diterranea che entra dolcementesostituendosi, nella pittura, nel ferro, nelbronzo, nella gente, nella magia, all’incubooppressore e miasmatico della climatizza-zione hightech, la stessa convinzione comequando passeggiando per Bogotá rievoca,parafrasando Vargas Llosa, che l’architet-tura sparirà quando l’umanitá sará felice.Tutto è stato pensato per non “disturbare”l’esterno e cercare la minima intromissionedell’architettura all’interno: ciò che deve do-minare è l’opera artistica che accoglie. L’in-gresso al pubblico avviene attraverso unpatio che conduce a un ingresso domestico:da qui si apre il grande vuoto, un corpo cen-trale con un secondo livello soppalcato checostituisce lo spazio espositivo e lateral-mente in tono nascosto magazzini, servizi euffici, e un piccolo auditorium con sessantaposti per conferenze. Pomar omaggia il suoarchitetto definendolo “il meno fantasistadegli architetti che conosco”, un Siza consa-pevole che rendersi invisibili richiede per-sino un progetto più complesso, ma è unvuoto che si fa silenzioso per accogliere lapienezza dell’arte e che afferma Dio salvi lalibertà degli artisti. Per lo meno.

LLooccaalliizzzzaazziioonnee:: AAtteelliieerr--MMuusseeuu JJúúlliioo PPoommaarr,, rruuaa VVaallee nn..77,, LLiissbboonnaa,, PPoorrttooggaalllloo

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Vista della strada, ©Luísa Ferreira

Júlio Pomar e Àlvaro Siza, ©Miguel A.Lopes / Lusa

interno, ©Luísa Ferreira

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Una vaga trepidazione pervade i suoi pen-sieri mentre, con meccanico gesto di sem-pre, palleggia il mazzo di chiavi, facendoneabilmente galleggiare una: quella giusta,quella che apre la porta dell’ufficio.Sì – ammette a se stesso – è la sottileansia dell’esame.Però, osservando con il distacco del giornodopo - velleitariamente estraneo - i suoidisegni e schizzi, affastellati sul tavolo,pensa che è una fortuna avere avutoun’idea così brillante. E giusta.Ma non sarà invece quella specie di amorefiliale che ottunde il giudizio sulle propriecose? Su ciò che si è fatto? (Non riesce anon pensare: “ogni scarrafone è bello amamma soja“1, addirittura con una vagariproduzione mentale della melodia).No… penso di aver trovato, obiettiva-mente, in questo progetto dei rapporti in-tensi con il territorio. Gli elementifondamentali del paesaggio sono accoltinegli spazi interni della casa; anche l’im-pianto strutturale è coerente con il con-cetto spaziale. Dài!...Un po’ di tensione ènormale: in fin dei conti, l’idea architetto-nica è una questione intima e quindiesporla è un po’ come denudarsi in pub-blico.La coppia seduta davanti a lui è cordial-mente ilare: sembra lei soprattutto la de-positaria di un’arguzia compiaciuta chetrapela dagli occhi blu, sempre in movi-mento, che lo aveva indotto, fin dal primoincontro, a sperare in un rapporto profes-sionalmente proficuo.Il marito invece sembra essersi assegnata,o ritagliata, la parte della persona rifles-siva che ha sotto completo controllo la si-tuazione, soprattutto la vivacità dellamoglie, che appunto non ama il silenzio eracconta con dovizia di particolari entu-siasti l’ultima mostra che ha visitato, alCentro di Arte Contemporanea, dedicataall’informale americano.

La libertà creativa espressa dai pochisegni che Cy Twombly pone sulla tela la-scia senza respiro.Si capisce che i convenevoli nella conver-sazione borghese hanno grande impor-tanza, che non viene meno neanchequando si entra nel vivo dell’argomento,quando entrambi – chi parlando, chi an-nuendo – esprimono il proprio compia-ciuto apprezzamento per il progetto chehanno potuto esaminare, dalle copie for-nite loro, con calma e attenzione a casa.Ecco, bellissimo! Però … gliel’avevamodetto di non partire in quarta con un pro-getto! Noi abbiamo esigenze molto parti-colari. E’ tanto che ci pensiamo... Già!... èmeglio che glielo dici tu.Sì... mi è rimasta qualche nozione di dise-gno tecnico dai miei antichi studi di peritoindustriale; quindi – non me ne voglia –ho messo giù questo schemino: è quelloche serve a noi!Logorrea, saggezza, occhi blu, sorrisi, ine-luttabilità. La coppia sfodera tutto il suoarmamentario per sciogliere il rigore atto-nito che ha congelato il suo volto, al paridei suoi disegni sul tavolo.Noi abbiamo grande fiducia in Lei: ciaspettiamo che sviluppi la nostra idea inqualcosa di …carino!Carino? E pensare che pensava - comeaveva appreso durante gli studi – di doverdare un contributo al miglioramento dellasocietà. L’architettura come disciplina – oarte – che svolge il compito di migliorarele condizioni di vita dell’uomo, oggettivema anche psicologiche, delineando e qua-lificando lo spazio in cui esso vive. Quindiper definire questo vuoto abitabile è ne-cessaria la sintesi di saperi diversi: la geo-metria, la costruzione, la fisica,l’ergonomia, ma anche la filosofia, la poe-sia, il paesaggio ... ma il carino no! Quellova bene per una cravatta, un cavatappi,ma una casa, come qualsiasi altra costru-

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a cura di Giovanni FurlanL’APPUNTO

OPERATORI DEL CARINO?Luciano Schiavon

Luciano SchiavonNato a Piove di Sacco nel 1962. Nel 1988 silaurea a Padova in Ingegneria Civile Edile,indirizzo Architettura e Urbanistica, disciplineche rappresentano il suo esclusivo interesseprofessionale.Dopo aver diretto per un decennio l’ufficiotecnico di un gruppo immobiliare cooperativo,nel 1999 apre il proprio studio professionale,collaborando dal 2001 con Aurelio Galfetti. E’ un incontro decisivo che sfocia nel 2006nell’apertura dello studio associato LVLArchitettura.Questo studio ha realizzato a Padova ilcomplesso Net Center (2010) caratterizzatodalla torre rossa tortile. Ha recentementecompletato la GHouse a Jesolo Lido e PiazzaIndipendenza a San Donà di Piave.Individualmente ha realizzato Casa M nelcentro storico di Padova (2009). Ha tenutoconferenze allo IUAV di Venezia, all’Universitàdi Padova, alla XII Biennale Architettura diVenezia.La torre del Net Center è stata riconosciutatra i quattro migliori grattacieli d’Europa nelpremio internazionale “Best Tall Buildings2010” del CTBUH di Chicago.

zione, viene messa al cospetto di tutti,della città, del territorio. C’è una respon-sabilità!Avete mai pensato come si accentua que-sta responsabilità quando si aumenta lascala e si passa dall’architettura al disegnourbano? (im_1) Le conseguenze diquello che si fa (o non si fa) rica-

dono su ambiti nuovi: economia, sociolo-gia, politica e con maggiore incisività suglistessi ambiti investiti dall’architettura.Anche qui basta ripercorrere alcuni pas-saggi salienti della storia dell’urbanistica(o meglio: della storia della città) per ri-scontrare che il tema centrale della com-

posizione è il vuoto. Un vuoto che sideclina in questo am-

bito soprat-

tutto comespazio pubblico: strade,piazze, parchi, i luoghidella vita sociale.Alle persone curiose piaceandare oltre e scoprire cheè ancora più grande la re-sponsabilità di chi disegnail territorio; il suo lavoroinveste ambiti ancora piùcruciali per l’esistenza del-l’umanità come, prima fratutte, l’ecologia. Anche inquesto caso il tema fonda-mentale è – o potrebbe, odovrebbe essere – quellodel vuoto. Altro checarino! Disegnare il vuototerritoriale, non tanto onon solo come conserva-zione dell’ambiente natu-rale quanto piuttosto

come elemento dialettico dell’antropizza-zione: “ogni città riceve la sua forma daldeserto a cui si oppone“2. In altre parole, ladefinizione del vuoto a grande scala(im_2) può diventare uno strumento diriorganizzazione del territorio, un’occa-sione per densificare i quartieri residen-ziali, compattare le aree produttive;presupposti indispensabili per razionaliz-zare la rete infrastrutturale e soprattuttoorganizzare un sistema di mobilità pub-

blica, efficiente ed economico. Uto-pia? Sì.

Questo vuoto regolatore si trova facil-mente in natura nei territori fortementeconnotati sotto il profilo geografico, comenelle aree montane in cui l’insediamentodi fondo valle è del tutto spontaneo; analo-gamente in presenza di deserti o foreste oquando abbiamo i vuoti dell’idrografia:fiumi, laghi, lagune, mari. Nei territori lar-gamente pianeggianti, come il nostro Ve-neto centrale, questi limiti naturali nonsono così coercitivi.Infatti nel Veneto dal 1950 la popolazioneè aumentata del 32% mentre il consumodel territorio è cresciuto del 324%. Non sa-rebbe così grave se non per il modo in cuiciò è avvenuto: periferie desolate senzaspazi e trasporti pubblici, (im_3) urbaniz-zazione indiscriminata delle campagne,una pioggia di zone industriali collegate dastradine violentate dai TIR, un’imponentearea produttiva ad alto inquinamento nelim_1: Accanimento progettuale

im_2: Vasta riserva agraria, Le Corbusier, 1946

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punto più delicato del sistema territoriale,una caotica commistione di svincoli stra-dali, capannoni, villette … A casa nostrametteremmo l’automobile in soggiorno? Illetto in cucina? Accetteremmo di passaredalla camera al bagno attraverso il ga-rage?E’ lo sprawl, bellezza! (im_4) La città dif-fusa, la città confusa, anche questo unJunkspace (spazio spazzatura) in grandescala, che “sostituisce la gerarchia conl’accumulo, la composizione con l’addi-

zione“3, dominio dei particolarismi dellaproprietà privata e dei limiti amministra-tivi.E se i nostri clienti della casa – ve li ricor-date? - ci chiedevano qualcosa di carino,cosa ci chiedono i nostri clienti del territo-rio? Nella nostra evoluta ed evolutivalegge urbanistica regionale, su oltre21.000 parole di cui è composta, la parolaprogetto compare solo 14 volte. In com-penso dobbiamo occuparci di PAT, PI,PATI, PUA, PTCP, PTRC, VAS, ICQ, IQ, SAU,

STC, ATO, DIA, VTR. C’è poco da sperare. Inpiù qualcuno dice che la situazione è ora-mai compromessa perché non si può piùpartire dalla tabula rasa.Il foglio bianco, in realtà, non esiste: né inarchitettura, quando i riferimenti al pae-saggio sono spesso decisivi, né tantomenonel disegno territoriale, quando si agiscesu qualcosa che comunque esiste già com-piutamente. Considerata poi l’importanzadella partita in gioco, qualcosa, anchepoco, bisogna pur fare, anche a dispetto

della perfetta corrispondenza all’idea.Mi tornano alla mente due progetti (nonrealizzati) di Luigi Snozzi. Nel primo, laMetropoli d’Olanda, egli traccia un cerchiodi una quarantina di chilometri di diame-tro - che ricorda gli schizzi continentali diLe Corbusier - il cui interno è destinato aospitare, oltre all’esistente aeroporto diSchiphol, unicamente piante, fiori e muc-che, mentre sul suo perimetro si concen-trano gli aggregati urbani. Il secondo èlocalizzato sui nostri Colli Euganei: anchequi egli traccia – questa volta un rettan-golo di 25 x 15 km che contiene tutti i ri-lievi - un limite oltre il quale si prefiguraun vuoto, forse non assoluto, ma comun-que efficace. (im_5) (im_6)Dobbiamo essere consapevoli infatti che,per quanto incisivo possa essere il segnoterritoriale, esso non può che essere rea-lizzato per frammenti. Ecco perché pro-pongo l’ascolto di “Fragmente – Stille, anDiotima”4 in cui è intuitiva la similitudinefra silenzio (musicale) e vuoto (architetto-nico/territoriale).Sperando di trovare clienti che non cichiedano qualcosa di carino o PAT-PATI-ATO-DIA ma che ci diano la possibilità diconcepire alcuni ben disposti silenzi.5

maggio 2013

Note>1 Pino Daniele, “‘O scarrafone” da “Un uomo inblues”, 1991

2 Italo Calvino, “Le città invisibili”, 19723 Rem Koolhaas “Junkspace”, traduzione di Fi-lippo De Pieri, 2006

4 Luigi Nono “Fragmente - Stille, an Diotima”,1979/80

5 Andrea Zanzotto “Fosfeni”, 1975-1981

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im_6: Il vuoto è all’interno, Luigi Snozzi, 2004

im_3: Lo spazio (invivibile)di vita dell’uomo©Fotogramma, 2009

im_5: Il vuoto è all’esterno

im_4: E’ lo sprawl!

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Tutto ha preso avvio il 30 novembre 2012,quando è stato lanciato il Concorso interna-zionale di progettazione del cosiddetto Pa-diglione Italia per Expo 2015. Hanno rispo-sto 68 gruppi di progettisti italiani estranieri, tra cui è risultato vincitore lo stu-dio romano Nemesi&Partners Srl con Pro-ger Spa di Pescara e BMS Progetti Srl di Mi-lano. Ma cosa si intende esattamente perPadiglione Italia? Si tratta dell’insiemedelle opere e degli spazi afferenti al PalazzoItalia (12.000 mq) e al Cardo (10.000 mq),lungo il quale saranno allineate solo operetemporanee che ospiteranno una moltepli-cità di attività espositive. I Marco Balich, l’ideatore del concept del Pa-diglione Italia, è partito dal tema di Expo2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per laVita” per ricavarne due concetti chiave:l’idea di vivaio, per rappresentare un luogodi sviluppo di nuove generazioni che toc-

casse in particolare 5 codici (acqua, ener-gia, trasparenza, natura e tecnologia) el’evocativa immagine dell'albero della vita. Ad interpretare adeguatamente l'espres-sione della cultura italiana contemporanea,in Lo studio Nemesi ha infatti concepitoun’architettura come un sistema di volumie spazi in relazione, pensando all’immaginetradizionale di un borgo attorno a unapiazza. Il Padiglione diventa “un luogo incui l’architettura-paesaggio-natura (vo-lumi/radici/foresta) e l’architettura-pae-saggio-urbanità (vuoto/borgo/piazza) si in-contrano e si fondono, rompendo lo schemadella scatola espositiva per dare vita a unasorta di paesaggio-Italia, ha spiegato l’ar-chitetto di Nemesi, Michele Molè. La pelleesterna ramificata ha funzione estetica e dicontrollo dell’irraggiamento solare: “èun’interfaccia dell’architettura-paesaggio econ le sue ramificazioni, è il simbolo del-

l’energia vitale dell’albero della vita”, ha ag-giunto. Il progetto è basato su quattro bloc-chi principali e indipendenti, organizzati in-torno ad un vuoto, cioè una piazza centrale,ma collegati tra loro da elementi-ponte. Iquattro volumi, come se fossero alberi, pre-sentano degli appoggi a terra che simulanole grandi “radici” del percorso espositivodal piano terra. Visti dall’interno dellapiazza gli stessi volumi, aprendosi e am-pliandosi verso l’alto, si liberano con“chiome” leggere attraverso superfici ve-trate su cui si allungano “rami” che si muo-vono formando la trama di queste chiome.L’edificio prevede anche un grande spaziointerno aperto con chiusura superiore me-diante un lucernario vetrato. All’interno deimanufatti del Cardo invece, al piano terravengono accolte le funzioni espositive e laCorte Italiana del Cibo, mentre il primopiano ospita le funzioni istituzionali. In ter-mini costruttivi gli edifici del Cardo sonoconcepiti con una struttura prefabbricatamodulare che permetterà una rapida smon-tabilità/rimontabilità e l’adeguamento anuove funzioni. Un padiglione che, secondogli auspici della Presidente di Expo 2015Diana Bracco “offrirà ai visitatori di tutto ilmondo la magia di un viaggio fra le caratte-ristiche peculiari del nostro Paese, facendorivivere il mito del 'Grand Tour' del Sette-cento e dell'Ottocento. In conclusione, daoggi l'Italia inizia a costruire la sua 'casa'.Dobbiamo tutti gettare il cuore oltre l'osta-colo nonostante la difficile situazione chestiamo attraversando. E anzi proprio perquesto dobbiamo fare dell'Expo una grandemissione-Paese in grado di restituire stimae orgoglio ai cittadini italiani, a cominciaredai più giovani, facendoci riscoprire il sensodella nostra comunità e la fiducia nel fu-turo”.

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a cura di Paolo SimonettoANTEPRIMA

PADIGLIONE ITALIA EXPO 2015Progetto vincitore: Studio Nemesi &Parteners di Roma insieme a Proger S.p.A. e BMS Progetti SRL

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Giovanni Corbellini HOUSING IS BACK IN TOWNBreve guida all'abitazione collettiva Siracusa, LetteraVentidue, 2012. - 77 p. ill. ISBN 9788862420679

Questo piccolo libro, come lo stesso autore lodefinisce, rappresenta un eccellente disposi-tivo per avvicinare il lettore al tema dell’abita-zione collettiva, centrale nel dibattitoarchitettonico ed urbanistico del Novecentoed ancora oggi estremamente attuale, speciein un momento storico dove si pone come im-prescindibile la necessità di rispondere allerinnovate esigenze di concentrazione urbana.In questo volume la questione di un ritornoalla densità, alimentata non solo dalla ricercadi sistemi abitativi più densi e condivisi, mapiù in generale dall’esigenza di assumere ap-procci maggiormente sostenibili rispetto allaprecarietà e alla scarsezza delle risorse di cuidisponiamo, rappresenta anche una rispostaalla crescente domanda d’integrazione e dieconomicità che la crisi sta ulteriormente ali-mentando. Il testo di Giovanni Corbellini, accompagnatoda numerosi riferimenti puntuali e da altret-tanti disegni in scala, che riportano l’impiantourbano dei più noti interventi realizzati sultema dell’abitazione collettiva, si pone comeuna guida veloce ed incisiva. Quest’ultima ingrado, muovendo da un ragionamento sulsenso stesso del lavoro del progettista, di ri-percorre i passaggi fondamentali che storica-

mente hanno orientato il progetto e la sua ca-pacità di recepire e replicare alle istanze so-ciali. Tutto ciò fino ad arrivare alle espressionie ai tentativi più pragmatici che negli ultimivent’anni hanno visto al centro paesi comeOlanda e Spagna, fautrici di consistenti politi-che residenziali pubbliche, con strategie edesiti decisamente diversi, capaci però di evi-denziare una propensione nel favorire politi-che di pianificazione e controllo dello spaziolargamente disattese nel nostro Paese.

Federico FerrariL’INSIEME VUOTO Per una pragmaticadell’immagineEd. Johan & Levi,2013

Il filosofo e criticod’arte Fedrico Fer-rari, docente pressol’Accademia di Belle

Arti di Brera a Milano, riflette sulla societàdelle immagini e sulla relazione armonica traimmagine e parola, concentrandosi sull'usodelle immagini e sul mondo che esse creano,sulla disseminazione dello sguardo nell'im-possibilità di una sola visione del mondo, diuna sola misura. Si chiede: che cos'è un'imma-gine? Cosa significa avere uno sguardo? Per-ché le immagini hanno assunto un'importanzacosì grande nelle nostre vite? L'immagine con-temporanea infatti impone oggi una nuovadefinizione del guardare, che parta dalla sin-golarità di ogni visione ma che sia anche ca-pace di comprenderne la pluralità. Ed essendole visioni possibili, per definizione, illimitate,ciò che davvero conta è ciò che sottende ed èquindi comune a tutte. Detto con i terminidella teoria degli insiemi, è un insieme vuotoche si presenta come un nulla ma che è anchequalcosa: lo sguardo, ciò che ci precede e cheresta aperto al di là di ogni visione possibile, diogni immagine data. L'insieme vuoto dellosguardo è la potenza del vedere.

a cura della RedazioneLIBRERIA

Maria BonaitiLOUIS I. KAHN 1901-1974Mondatori Electa, Milano 2013

Maria Bonaiti, professore associato di Storiadell’architettura presso il dipartimento Cul-ture del progetto dello IUAV, ci accompagnaad una attenta e scrupolosa analisi di LouisI. Kahn, attraverso i suoi unici e indiscutibilicapolavori; lo fa intrecciando l'osservazionedei progetti con la rilettura di alcuni signifi-cativi suoi scritti, facendoci scoprire la ge-niale complessità del pensierodell’architetto estone-americano. Lo studiodelle architetture attraverso i documenti e idisegni conservati presso gli archivi e le bi-blioteche delle più importanti Universitàamericane, fanno ripercorrere l’acuto la-voro, dalla formazione agli esiti monumen-tali degli anni sessanta e settanta: dalla YaleUniversity Art Gallery di New Haven ai Ri-chards Medical Research Laboratories diPhiladelphia, dalla First Unitarian Churchand School di Rochester al Salk Institute forBiological Studies a La Jolla, dal Kimbell ArtMuseum di Fort Worth alla National Capitalof Bangladesh a Dhaka. Resoconti detta-gliati, sorretti in maniera brillante dallepuntuali citazioni sia di Kahn che delle per-sone a lui vicine: dal rapporto con lo stu-dioso Ananda K. Coomaraswamy, durante ilsuo tirocinio all’Università di Yale, per giun-gere al complesso lavoro in cantiere (Kim-bell Museum) a fianco dell'ingegnere AugustKomendant. Di fondamentale interesse ilsaggio Modernamente antico, anticamentemoderno - La lezione di Roma, riservatodall’autrice alla lezione appresa da Kahndagli antichi osservando le rovine romane in

occasione del viaggio nel Mediterraneo del1951, saggio che permette di cogliere ap-pieno la radice antica delle sue opere. In appendice al volume un esauriente e pro-fessionale repertorio fotografico a cura diAlessandra Chemollo e Fulvio Orsenigo ri-servato ai progetti di Ahmedabad e Dhaka.

Adolf LoosPAROLE NEL VUOTOTraduzione di Sonia GessnerBiblioteca Adelphi1972, 8ª ediz., pp. XXVIII-373isbn: 9788845900778

Come vestirsi? Come arredare la propriacasa? Che cosa mangiare? Come compor-tarsi in società? A queste domande elemen-tari e angosciose diede risposte oggi più chemai giuste e sorprendenti uno dei grandi ar-chitetti del nostro tempo, il viennese AdolfLoos (1870-1933), di cui presentiamo in que-sto volume, per la prima volta in Italia, gliscritti più importanti. Già nei primi saggi,scritti a commento della Esposizione diVienna per il Giubileo del 1898, vediamo chesarti da uomo e da donna, ebanisti, carroz-zieri, valigiai, decoratori, mobilieri, arreda-tori e sostenitori dell’arte applicata vengonosottoposti da Loos a una critica sferzante, ediventano pretesto per un attacco a tutto un

modo di vita che egli considerava già mar-cio. Ma la sua chiaroveggenza andava più inlà: le devastazioni, oggi palesi, prodotte datanti tristi connubi fra arte e industria, lasnobistica volgarità degli arredatori, il cultoavvilente del pittoresco, la bassezza di ognitentativo di ‘arte nazionale’, il rapporto turi-stico col passato, dominante nella psiche dei‘nuovi ricchi’ della cultura – tutto questoLoos ha saputo vedere già allora, semplice-mente osservando gli oggetti che lo circon-davano. Come il suo amico Karl Kraus, egliaveva il dono di cogliere in ogni minuziadella vita quotidiana la miseria e gli splen-dori di tutta una civiltà. Non solo: con gene-roso spirito pratico e una commoventefiducia nella capacità di migliorarsi della so-cietà – unita a una perfetta lucidità nel ve-derne le vergogne – Loos offriva anchesoluzioni, voleva aiutare a vivere – e ci riu-sciva anche, oltre tutto per le sue splendidedoti di scrittore, per l’immediatezza, la so-brietà, la verve, per la carica invincibile disimpatia che ha la sua prosa. A proposito delsuo famoso saggio Ornamento e delitto, LeCorbusier scrisse: «Loos è passato con lascopa sotto i nostri piedi e ha fatto una puli-zia omerica, esatta, sia filosofica che lirica».Il risultato di quella ‘pulizia omerica’ fu unanuova concezione dello spazio e dell’abita-zione che Loos imponeva, nei suoi edifici,con l’autorità dei grandi maestri. Spesso ri-voluzionario nelle soluzioni, eppure legatocome pochi alla grande tradizione architet-tonica e artigianale, Loos è un caso di clamo-rosa indipendenza di spirito nel nostrosecolo. Molti architetti, e non dei minori,hanno derivato ricchi insegnamenti dallasua opera; ma tutti gli architetti possono ri-conoscere in lui l’unico che sia riuscito acondurre una critica radicale (e spessoanche esilarante) della figura sociale dell’ar-chitetto contemporaneo, l’unico che –grande architetto – abbia saputo scriveretranquillamente: «È noto che non annoverogli architetti fra gli esseri umani».

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scienze, volte al concorso e alla collabo-razione alle attività di pianificazione;

• la costruzione e la gestione di sistemi in-formativi per l’analisi e la gestione dellacittà e del territorio;

• l’analisi, il monitoraggio e la valutazioneterritoriale ed ambientale;

• le procedure di gestione e valutazione diatti di pianificazione territoriale e rela-tivi programmi complessi.”

Le attività riconosciute al pianificatore iu-nior hanno per oggetto:1) Per quanto attiene le attività di cui alprimo punto al pianificatore iunior vieneattribuita una funzione di concorso e col-laborazione nelle attività professionalirivolte alla pianificazione generale e/oterritoriale, andando a delineare una fi-gura esperta in sistemi informativi disettore, analisi e monitoraggio del terri-torio, gestione e valutazione di atti di pia-nificazione.

2) Per quanto attiene le attività di cui al se-condo punto, il pianificatore iunior as-sume un ruolo di responsabilità nelleprocedure di realizzazione e gestione disistemi informativi che utilizzano lenuove tecnologie per l’analisi, la descri-zione, l’interpretazione e la valutazionedei sistemi urbani, territoriali e ambien-tali; strumenti indispensabili nelle atti-vità di pianificazione territoriale, i qualipossono definiti ome: un insieme di com-ponenti per acquisire, elaborare, analiz-zare, archiviare e restituire in formagrafica dati riferiti ad un territorio.

3) Per quanto attiene alle attività di cui alpunto terzo, il pianificatore iunior pos-siede le conoscenze necessarie per ana-lizzare i processi di trasformazione dellecittà e del territorio. Conosce i metodi ele tecniche di analisi delle forme e dellerelazioni funzionali dell’ambiente fisico edei suoi processi evolutivi, valuta gli ef-fetti delle azioni di pianificazione sulcontesto insediativo, ambientale, pae-saggistico, sociale ed economico, questevengono svolte dal pianificatore iuniorcon un ruolo di assunzione diretta di re-sponsabilità nei procedimenti tecnico-amministrativi, nelle procedure divalutazione degli effetti ambientali che lescelte compiute dai piani determinano(Valutazione Ambientale Strategica).

4)Per quanto attiene le competenze di cuial punto quarto, anche queste attribui-scono ai pianificatore iunior un ruolo diassunzione diretta di responsabilità nelleprocedure di gestione e valutazione diatti di pianificazione territoriale e rela-tivi programmi complessi, i quali pos-sono essere definiti come strumentifortemente innovativi per il governo delterritorio.

Competenze esclusiveNessuna delle attività professionali svoltedal pianificatore iunior è di natura esclu-siva o riservata.

NOTE:(1) la citata sentenza del Consiglio di Staton. n. 686 del 09/02/2012 fra l’altro precisa:3.4.”Un primo dato, che deve necessaria-mente essere posto in risalto, è quello rap-presentato dalla assoluta assenza, nelledisposizioni in esame, di qualsivoglia ri-chiamo, in senso preclusivo, alle costru-zioni insistenti in area sismica.Ne discende all’evidenza l’esattezza delladeduzione contenuta nell’appello, secondocui nessun dato preclusivo sí rinvieneespressamente nella legge all’esercizio diattività da parte degli ingegneri e degli ar-chitetti juniores, con riferimento ad opereda progettarsi e costruirsi in dette aree.3.4.1. Tale deduzione, seppure degna di con-siderazione sotto il profilo interpretativo (èben lecito affermare che se il Legislatoreavesse voluto precludere del tutto ogni atti-vità per opere da erigersi in area sismicaalle categorie degli ingegneri e degli archi-tetti juniores avrebbe potuto e dovuto af-fermarlo espressamente), non è tuttaviadecisiva, non potendo escludersi che, pervia ermeneutica, si pervenga ad un risul-tato identico, riconducendo la progetta-zione ed esecuzione di opere in areesismiche, sempre e comunque al di fuori delperimetro concettuale dell’espressione “co-struzioni civili semplici, con l’uso di meto-dologie standardizzate.”“.....Escluso quindi che una costruzione inzona sismica possa considerarsi “modesta”,ed escluso quindi che í geometri siano abili-tati alla progettazione in dette aree, nonpare al Collegio di potere stabilire (siccomesostanzialmente avvenuto nella decisionedi primo grado) una equivalenza tra la qua-

lificazione di “non modestia” affermatadalla giurisprudenza e quella dí “semplice”individuata ex lege. Ciò, a tacere d’altro,giungerebbe alla illogica conclusione di so-vrapporre la preclusione vigente per i geo-metri a quella asseritamente attingente lecategorie juniores, di fatto equiparandoqueste ultime a quella dei geometri. Ciò appare conseguenza non voluta dallalegge, tanto più laddove si consideri che, aseguito del Decreto del Ministero delle In-frastrutture 14 gennaio 2008 n. 29581 (re-cante Approvazione delle nuove normetecniche per le costruzioni), sostanzial-mente non esistono più aree del territorioitaliano non classificate quali “zone sismi-che”, ma soltanto zone a basso rischio si-smico.Se così è, una affermazione “categoriale”assoluta, quale quella formulata dal primogiudice, appare non aderente al dato nor-mativo, finendo con l’introdurre un divietonon espressamente previsto ex lege ed al difuori da un quadro legislativo e regolamen-tare (ma anche giurisprudenziale) che auto-rizzi una simile drastica conclusione.Tanto più che è rimasta incontestata la de-duzione degli appellanti secondo cui ancheper le costruzioni in area sismica può farsiriferimento a metodologie di calcolo stan-dardizzate.I punti 3.5.2 e 3.6 della sentenza, riportatiin precedenza integralmente, evidenzianocome la competenza alla realizzazione di“costruzioni civili semplici, con l’uso di me-todologie standardizzate” sia subordinataal grado di sismicità dell’area potendo di-ventare preclusiva nelle aree ad elevato ri-schio sismico fermo restando che lavalutazione deve essere operata “caso percaso”.

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CIRCOLARE CNAPPC N. 21/2013ARCHITETTO IUNIOR (SEZIONE B SETTORE A) - COMPETENZE

Le attività professionali riconosciute all’ar-chitetto iunior sono elencate dalla lettera“a” del quinto comma dell’art. 16 del D.P.R.328/01 che così recita: “Formano oggettodell’attività professionale degli iscritti nellasezione 8, ai sensi e per gli effetti di cui al-l’articolo 1, comma 2, restando immutate leriserve ed attribuzioni già stabilite dalla vi-gente normativa:per il settore “architettura”:• le attività basate sull’applicazione dellescienze, volte al concorso e alla collabo-razione alle attività di progettazione, di-rezione dei lavori, stima e collaudo diopere edilizie, comprese le opere pubbli-che;

• la progettazione, la direzione dei lavori,la vigilanza, la misura e contabilità e la li-quidazione relative a costruzioni civilisemplici, con l’uso di metodologie stan-dardizzate;

• i rilievi diretti e strumentali sull’ediliziaattuale e storica”.

Le attività riconosciute all’architetto iuniorhanno per oggetto:• Per quanto attiene al primo punto dellacitata norma, queste riconoscono al lau-reato triennale un ruolo di concorso ecollaborazione in tutte le fasi del pro-cesso edilizio. Per tale attribuzione nonesistono restrizioni allo svolgimentodelle attività professionali dell’architettoiunior, fermo restando il suo ruolo diconcorso e collaborazione .

• Diverse risultano le attività attribuite dalsecondo punto della citata norma inquanto esse concernono l’assunzione di-retta della responsabilità di progettistae/o direttore dei lavori di “costruzioni ci-vili semplici con tecnologie standardiz-zate”.

Gli elementi caratterizzanti l’attività del-l’architetto iunior definiti dalla norma sonodue:A) la semplicità delle costruzioni civili;B) l’uso di metodologie standardizzate nellaprogettazione / direzione, ..... ecc.Entrambi meritano un approfondimento:l’accezione di “costruzione civile semplice”non presuppone limiti di carattere quanti-tativo e qualitativo rilevando come unico

criterio la semplicità della progettazione.Detta “semplicità” deve riguardare tutte leattività professionali attribuite all’archi-tetto iunior, ben potendosi presentare casinei quali è il carattere innovativo e speri-mentale dell’intervento a sottrarre una de-terminata opere alla casistica delle“costruzioni semplici” oppure, in talaltricasi, le dimensioni stesse dell’opera.Per quanto riguarda, poi, le costruzioni inzona sismica giova assumere a riferimentola recente sentenza del Consiglio di Stato n.686 del 09/02/2012 che recita:“3.5.2. Traendo le conclusioni da quanto si-nora rappresentato, ritiene il Collegio che,non sottacendosi la specificità della proget-tazione in area sismica, la ricorrenza delcriterio legittimante previsto ex lege - “co-struzioni civili semplici, con l’uso di Meto-dologie standardizzate” non possa essereaprioristicamente escluso sempre e comun-que, allorché si verta nel campo della pro-gettazione e direzione dei lavori in dettearee, e necessiti di una valutazione caso percaso, che tenga conto in concreto dell’operaprevista, delle metodologie di calcolo utiliz-zate, e che potrà essere tanto più rigida e“preclusiva”, allorché l’area sia classificatacon un maggiore rischio sismico.3.6. Tale valutazione deve specificamenteriferirsi, di volta in volta, al singolo pro-getto presentato, con motivazione che, an-corché sintetica, abbia portata“individualizzante” (sia in ipotesi di favore-vole delibazione, ovviamente, che in ipotesidi riscontrata preclusione)“ (1).Altro elemento assunto dalla norma perstabilire le attività professionali dell’archi-tetto iunior è dato dall’uso di “metodologiestandardizzate”, ovvero da quell’insieme diregole comunemente applicate nella prassiin casi analoghi a quello trattato dal profes-sionista de quo. E’ di tutta evidenza, infatti,che il ricorso ad una metodologia standar-dizzata rende, da un lato, di per sé semplicela progettazione, dall’altro implica l’impos-sibilità di ricorrere a tale metodologia nonappena il tema progettuale esca dallanorma presupponendo, quindi, approccispecifici o, comunque, non standardizzabili.La correlazione di questi due elementi (lasemplicità della costruzione e l’uso di meto-dologie standardizzate di progettazione )individua, così, compiutamente gli ambitidi competenza dell’architetto iunior,

nella semplicità, non solo della costruzionein quanto tale, ma soprattutto del progettonella sua interezza. E’, ad esempio, il caso diinsediamenti, anche consistenti, che, sep-pure costituiti da una pluralità di costru-zioni qualificabili come semplici, rivelano,nel loro insieme, una molteplicità di rela-zioni complesse che nascono tra numerosielementi, di per se elementari, o tra glistessi ed il contesto;nel ricorso a metodologie standardizzate ecioè a procedure e soluzioni mutuate dallatrattatistica e dalla manualistica di settoreovvero, in soluzioni e procedure formulatesu criteri che assumano come riferimenti:parametri, dati, misure, indici o valori pre-ventivamente identificati in forma manua-listica o normativa, deducendone unprodotto edilizio non necessariamentesempre uguale;nella sussistenza di uno o più “regimi vinco-listici” che presuppongano una progetta-zione non risolvibile con procedurestandardizzate.Nel caso in cui venga meno la semplicitàdella costruzione ed il progetto non sia ri-solvibile con l’uso di metodologie standar-dizzate, tale attività esula dalla competenzadell’architetto iunior per rientrare in quelledell’architetto ed ingegnere edile e ambien-tale.La citata norma, al punto 3, attribuisce alloiunior i rilievi diretti e strumentali sull’edi-lizia attuale e storica.La portata e la natura di tali attribuzioni ètalmente chiara da non meritare particolariapprofondimenti.

Competenze esclusiveNessuna delle attività svolte dall’architettoiunior è di natura esclusiva o riservata.

PIANIFICATORE IUNIOR (SEZIONE B SETTORE B) - COMPETENZELe attività professionali riconosciute al pia-nificatore iunior sono elencate dalla lettera“b” del quinto comma dell’art. 16 del D.P.R.328/01, che così recita:“Formano oggetto dell’attività professio-nale degli iscritti nella sezione B, ai sensi eper gli effetti di cui all’articolo 1, comma 2,restando immutate le riserve e attribuzionigià stabilite dalla vigente normativa:b) per il settore “pianificazione”:• le attività basate sull’applicazione delle

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NOTIZIE DALL’ORDINE

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nizzativo-gestionale (PSC, POS, ecc.); lenuove disposizioni muovono da tutt’altraprospettiva, e dettano regole sul “cosa” co-struire, sulle caratteristiche tecniche e pre-stazionali che deve possedere unmanufatto, sui contenuti che deve avere ilprogetto (per comodità di esposizione, par-leremo sempre di “manufatto”, fermo re-stando che si tratta di un termine alquantogenerico per comprendere ciò che l’art. 79bis include nella definizione di “nuove co-struzioni o edifici esistenti”).Le istruzioni tecniche (ora Allegato B allaDGRV n. 97/2012), infatti, elencano unaserie di misure preventive e protettive con-sistenti in “strutture fisse” e in “elementipermanenti di protezione per il transito el’esecuzione dei lavori”, e si propongonocome linee di indirizzo da un lato “per laprogettazione e la realizzazione delle mi-sure preventive e protettive dal rischio dicaduta dall’alto” e dall’altro lato “per la va-lutazione dei progetti presentati e la veri-fica delle misure realizzate”; In sostanza, con l’art. 79 bis e la DGRV, il le-gislatore regionale ha reso obbligatoria lapresenza, in un manufatto, di determinatestrutture ed elementi che ritiene necessariai fini della sicurezza del lavoro. Si dettano,quindi, delle regole su “cosa costruire”, eciò al dichiarato fine (come recita l’art. 79bis) “della prevenzione dei rischi d’infortu-nio”.Le ragioni di questa scelta sono spiegate inalcuni passaggi della prima DGRV n.2774/2009: si parte dal presupposto (in-contestabile) che “la costruzione diun’opera edile costituisca una delle attivitàpiù a rischio per i lavoratori”; si constatache (per il committente) “affrontare la que-stione sicurezza ad ogni singolo interventodi manutenzione rappresenta sicuramenteun onere dal punto di vista finanziario cheviene ripetuto inutilmente” (dove “inutile”si deve ritenere sia riferito alla ripetizione,e non certo all’onere): mentre (per il manu-tentore) “la necessità di adottare, in ognisingolo intervento, specifiche e magarisempre diverse soluzioni rappresentaspesso un disincentivo all’attuazione dellemisure stesse”. Insomma, il legislatore re-gionale mostra scarsa fiducia sulla effettivaosservanza delle norme di comportamentoesistenti da parte degli interessati; di con-seguenza, interviene per così dire “a

monte”, introducendo già nella fase auto-rizzativa della nuova costruzione “l’obbligoper il committente, tramite il progettista, diprogrammare gli interventi da eseguire infunzione dei futuri lavori dimanutenzione”.In sostanza: poiché esiste il rischio che iprotagonisti della manutenzione (commit-tente e manutentore) non si preoccupinoabbastanza della sicurezza al momentodegli interventi manutentivi, il luogo in cuiquesti interventi dovranno essere eseguitiin futuro viene reso “sicuro” a priori, me-diante una specifica disciplina che ne vin-cola le caratteristiche tecniche ecostruttive. Si disciplina il manufatto su cui si inter-verrà in futuro, non più (o meglio, non piùsolo) le modalità del futuro intervento ma-nutentivo sul manufatto. La scelta di un tale approccio si presta a nu-merose considerazioni.

L’ambito di applicazioneInnanzitutto, il legislatore non ha fatto, diuna così rilevante innovazione, una regolagenerale da applicare a tutti i manufattiesistenti (come avrebbe teoricamente po-tuto fare, introducendo l’obbligo di unasorta di “messa in sicurezza” dell’intero pa-trimonio edilizio), né ha inteso disciplinaretutti gli interventi manutentivi futuri suqualsiasi parte degli edifici.La normativa regionale, invece, si applica(cfr. Allegato A DGRV 97/2012):1) soltanto in caso di “nuovi” lavori, e piùprecisamente di interventi “su edifici, dinuova costruzione o già esistenti, per i qualiè necessario presentare richiesta” di titoloabilitativo (permesso di costruire, SCIA,ecc.:);2) soltanto in caso di nuovi interventiaventi ad oggetto (non qualsiasi parte delfabbricato, ma) “porzioni edilizie ovveromanufatti comunque denominati” che 1)“richiedano la programmazione di succes-sivi interventi di manutenzione” e per iquali 2) “la successiva manutenzione ri-chiede l’accesso su coperture o paretiesterne ed espone l’operatore al rischio dicaduta da una quota posta ad altezza supe-riore a 2 m rispetto ad un piano stabile”.L’ambito di applicazione della norma si de-finisce in funzione dello scopo della stessa:e lo scopo, come recita l’art. 79 bis, è la ese-

cuzione delle manutenzioni in quota in con-dizioni di sicurezza. Questo naturalmente non esclude, che lostesso schema normativo possa essereadottato in futuro per dettare vincoli ri-guardanti altre parti dell’edificio, per laprevenzione di altri rischi lavorativi diversidal lavoro in quota (ridefinendo via via glispazi della progettazione); ma allo statol’ambito della norma è soltanto quello deilavori in quota e delle relative manuten-zioni.

“Una norma di sicurezza inserita in unalegge urbanistica.”Trattandosi di una disciplina del manu-fatto, e non del cantiere, la rilevanza di que-sta normativa di sicurezza non cessa alcessare del cantiere.Pur essendo intitolato alla sicurezza dellelavorazioni in quota, l’art. 79 bis opera suun piano diverso rispetto al Titolo IV del De-creto 81/2008; non si verte in tema di sicu-rezza del cantiere edile, ma in tema diprogettazione, autorizzazione ed esecu-zione di un manufatto.Ne consegue che l’inosservanza delle regoledella DGRV rileva anche a cantiere con-cluso, sia per le conseguenze sulla sorteanche amministrativa del manufatto non “anorma”, sia per le conseguenze di natura ci-vilistica dell’inadempimento delle obbliga-zioni (di corretta progettazione, di correttaesecuzione, ecc.,), sia per le conseguenzesanzionatorie in caso di infortunio sul la-voro. Si pensi al caso di una caduta dall’altodi un lavoratore durante un intervento dimanutenzione in quota di un edificio co-struito o ristrutturato dopo l’entrata in vi-gore dell’art.79 bis e delle sue istruzionitecniche e ciononostante privo delle strut-ture fisse previste dalla DGRV: sarà in di-scussione la responsabilità di tutti coloroche, ai sensi dell’art. 79 bis, quelle istruzionitecniche dovevano applicare al momentodella costruzione o della ristrutturazione.A questo riguardo, si badi però che la normaregionale riguarda soltanto gli interventi“per i quali è necessario presentare richie-sta di permesso di costruire o dichiarazionedi inizio attività (dal 31.7.2010 segnalazionecertificata di inizio attività c.d. SCIA, art. 19L. 241/90), compresa la dichiarazione di ini-zio attività alternativa al permesso di co-struire c.d. super DIA (art. 22, comma 3,

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SICUREZZA E IGIENE SUL LAVORO: CAMERA DI COMMERCIO, ORDINE DEGLIARCHITETTI E ORDINE DEGLI INGEGNERIDI PADOVA PATROCINANO UN VOLUMECHE RACCOGLIE LE PRINCIPALI SENTENZEIN MATERIA.

(21-12-2012). Un volume per mettere afuoco l’evoluzione normativa in tema digiurisprudenza relativa alla materia dellasicurezza e dell’igiene sui luoghi di lavoro.La Camera di Commercio di Padova, as-sieme all’Ordine degli Architetti, Pianifica-tori, Paesaggisti e Conservatori dellaProvincia di Padova e all’Ordine degli Inge-gneri della Provincia di Padova, ha patroci-nato la pubblicazione del volume dal titolo<662266,, 8811,, 223311-- UUnn ppeerrccoorrssoo nneellllaa ggiiuurriisspprruu--ddeennzzaa ppaaddoovvaannaa ssuu ssiiccuurreezzzzaa ee iiggiieennee nneell llaa--vvoorroo>, steso dagli avvocati Lucia Casella,Giovanni Scudier e Roberta Paccagnelladello studio legale Casella & Scudier di Pa-dova.Partendo dalla considerazione che negli ul-timi vent’anni la materia della sicurezza edella salute nei luoghi di lavoro ha cono-sciuto molte novità, tra cui provvedimentinormativi di origine comunitaria come adesempio l’introduzione della valutazionedei rischi, la formazione e informazione, ilservizio di prevenzione e protezione, le rap-presentanze dei lavoratori per la sicurezzae l’importante gestione della sicurezza in-tesa come obiettivo organizzativo globale,la pubblicazione raccoglie e illustra detta-gliatamente le principali sentenze di meritodell’ultimo decennio del Tribunale Penale edel Tribunale del Lavoro di Padova.Il sostegno dell’ente camerale alla pubblica-zione di quest’opera è motivato nelle paroledel presidente RRoobbeerrttoo FFuurrllaann: <Nonostantela sicurezza sul lavoro sia stata disciplinatagià a partire dai primi anni Novanta, in par-ticolare con la legge 626\94, gli adempi-menti che questo decreto e le suesuccessive modifiche ed integrazioni hannointrodotto sui luoghi di lavoro necessitanodi una continua attenzione per garantire unpresidio costante a livello di formazione einformazione.Il percorso di miglioramento continuo èpertanto fondamentale nel definire gli stru-menti, le loro modalità di utilizzo e i com-portamenti dei dipendenti nei luoghi dilavoro. La Camera di Commercio di Padova

sostiene questa pubblicazione, nella con-vinzione che attraverso la cultura della for-mazione e del “lavorare sicuri” si attuinoquelle buone pratiche professionali utili adimostrare che si possono ottenere risultatiimportanti conciliando produttività e at-tenzione alla sicurezza>.Come sottolinea il presidente dell’Ordinedegli Ingegneri di Padova, GGiioorrggiioo SSiimmiioonnii,,<è consapevolezza che deriva dal costante equotidiano operare di professionisti e tec-nici che una corretta ed efficace progetta-zione e gestione della sicurezza non possaprescindere da una altrettanto attenta eminuziosa conoscenza dei contenuti nor-mativi che caratterizzano l’intera organiz-zazione e gestione della sicurezza e dellasalute nei luoghi di lavoro. Questa pubblica-zione che, per la sua qualità, nel rapporto distima consolidato negli anni con i suoi au-tori, l’Ordine degli Ingegneri di Padova hainteso patrocinare, fornisce un quadroestremamente interessante e significativodelle complesse implicazioni giuridiche diquesto settore, di grande utilità per ogniprofessionista della sicurezza>. E il presidente dell’Ordine degli Architettidi Padova GGiiuusseeppppee CCaappppoocchhiinn spiega: <Inquesto particolare momento storico di pro-fonda crisi economica, è ancor più forte lanecessità di preservare il livello dei risultatiraggiunti in ambito di sicurezza. Con il det-taglio e precisione che contraddistingue gliestensori del volume, viene offerto un pun-tuale documento che fotografa i mutamentistorici nel nostro specifico ambito territo-riale. Questo libro ci rammenta le implica-zioni che la mancata applicazione deglistandard ottenuti può generare, maanche la necessità di garantire il continuoprogresso e crescita verso livelli sempre piùimportanti>.

SICUREZZA NELLE MANUTENZIONI IN QUOTA. LE NUOVE ISTRUZIONITECNICHE REGIONALI(D.G.R.V. 97/2012)

Seminario Campodarsego (PD)6 dicembre 2012

Aspetti LegaliAvv. Giovanni Scudier - Studio Legale Ca-sella e Scudier di Padova

La normativa regionaleL’art. 12 della L.R. n. 4/2008 ha inseritonella L.R. n. 61/85 (“Norme per l’assetto el’uso del territorio”) un nuovo art. 79 Bisspecificamente dedicato alla sicurezza dellavoro, e più in particolare alla sicurezza deilavori in quota: “Misure preventive e pro-tettive da predisporre negli edifici per l’ac-cesso, il transito e l’esecuzione dei lavori dimanutenzione in quota in condizioni di si-curezza”.Con Deliberazione della Giunta della Re-gione Veneto n. 2774 del 22.9.2009, sonostate approvate le “Istruzioni tecniche sullemisure preventive e protettive da predi-sporre negli edifici per l’accesso, il transitoe l’esecuzione dei lavori di manutenzione inquota in condizioni di sicurezza” (AllegatoA); è stata così data attuazione alla previ-sione del secondo comma dell’art. 79 Bis.Con Deliberazione della Giunta della Re-gione Veneto n. 97 del 31.1.2012 sono stateapprovate le “Note di indirizzo per l’appli-cazione dell’art. 79 bis” (Allegato A) e si èprovveduto ad un “Aggiornamento delleistruzioni tecniche” (Allegato B); quest’ul-timo Allegato, in particolare, sostituisce in-tegralmente il precedente Allegato A allaDGRV n. 2774/2009.Si tratta di una disciplina del tutto nuova ri-spetto al panorama della normativa statalein tema di sicurezza, per certi versi “rivolu-zionaria” nell’approccio; a questa novità di“metodo” vogliamo dedicare l’attenzione inquesta relazione. I requisiti obbligatori del manufattoPunto di partenza, nell’analisi degli ele-menti di novità, è la constatazione che la di-sciplina regionale non si occupa disicurezza del lavoro dettando regole sul“come” eseguire le lavorazioni, né dal puntodi vista sostanziale (apprestamenti, para-petti, dpi, ecc.) né dal punto di vista orga-

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NOTIZIE DALL’ORDINE

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se non vi sono obblighi normativi in questosenso, il manufatto non deve essere proget-tato seguendo le istruzioni tecniche, perchéne mancano i presupposti giustificativi. Untetto cui mai nessuno dovrà accedere, nondeve prevedere accessi né vie di transito si-curi; ma deve essere appunto un tetto su cuinon siano programmabili (prevedibili?) in-terventi manutentivi di sorta.Diventa dunque fondamentale, per il pro-gettista, compiere una analisi approfonditadel manufatto, della sua vita futura, del suoutilizzo, e poi compiere le scelte progettualiconseguenti; ma diventa fondamentaleanche documentare questa analisi, sia perpoter dimostrare di averla compiuta (il chepotrebbe anche condurlo ad escludere lanecessità di qualsivoglia manutenzione inquota e quindi la progettazione delle mi-sure preventive), sia per fornire all’utentedi quel manufatto le dovute “istruzioni perl’uso” su cosa fare con riferimento alle fu-ture manutenzioni. L’importanza che assume, a questi fini, ladocumentazione progettuale legata alla“vita” del manufatto, e non alla sua realiz-zazione, è di tutta evidenza (si pensi, adesempio, al “piano di manutenzione” disci-plinato dall’art. 38 del D.P.R. n. 207/2010,Regolamento di attuazione del Codice deiContratti Pubblici).Un ruolo del tutto particolare spetta al Co-ordinatore per la sicurezza in fase di pro-gettazione (CSP).Secondo il capitolo 3 dell’Allegato B, le mi-sure oggetto della DGRV “anticipano” giànella fase di redazione progettuale “unaparte dei contenuti del fascicolo dell’operadi cui all’art. 91 lett. B del D. lgs. N. 81/08”.Con la conseguenza che “il Coordinatoreper la progettazione integra il fascicolodell’opera con le soluzioni tecniche indivi-duate ai sensi dell’art. 79 bis citato inseren-dole nel Cap. II, come da modello delineatonell’Allegato XVI del D.lgs. 81/08”.E’ bene sottolineare, che la norma non ponea carico del CSP l’individuazione e la pro-gettazione delle misure: né potrebbe farlo,trattandosi – come detto – di attivitàstrettamente progettuale.Al CSP incombe invece l’obbligo di menzio-nare le misure, previste dal progettista, nelCapitolo II del fascicolo dedicato alla indi-cazione, tra l’altro, delle misure preventivee protettive in dotazione dell’opera, sulla

base dell’analisi di ciascun punto critico(Allegato XVI D.Lgs. n. 81/08).A ben vedere, questo il CSP lo avrebbe fatto(e dovuto fare) anche in assenza della preci-sazione contenuta nell’Allegato B: la diffe-renza sta (solo) nel fatto che prima dellaDGRV, le caratteristiche del luogo teatrodelle future manutenzioni, e quindi le mi-sure “in dotazione dell’opera” potevano es-sere le più varie, dipendendo dalle scelteprogettuali e costruttive di volta in voltacompiute; mentre ora l’opera oggetto delfascicolo presenterà (dovrebbe presentare)necessariamente le caratteristiche “impo-ste” dalla DGRV (salvo che non sia a prioriespressamente esclusa, in quanto non pre-vista né prevedibile, l’esecuzione di futuriinterventi manutentivi in quota).Questa novità non modifica il ruolo del CSP,che nel fascicolo dell’opera continuerà aprevedere le misure che riterrà necessarieper soddisfare quanto richiesto dall’Alle-gato XVI, ivi inclusi ove del caso appresta-menti, mezzi per l’accesso, attrezzatureidonee, e così via.Altrettanto evidente è la rilevanza dellanormativa per i costruttori del manufattononché per gli installatori di materiali ecomponenti di sicurezza.Ad essi la DGRV n. 97/2012 impone, oltrenaturalmente all’obbligo di costruire unmanufatto che tecnicamente risponda alleistruzioni dell’Allegato B, anche un esplicitoobbligo di redigere e “produrre” a lavori ul-timati (così l’Allegato B: si deve presumere“produrre” al proprio committente) dichia-razioni e certificazioni di varia natura, chevanno poi allegate alla domanda di agibilità(Allegato A): la dichiarazione dell’installa-tore di corretta messa in opera dei compo-nenti di sicurezza; la certificazione delproduttore sulle caratteristiche dei mate-riali e dei componenti utilizzati; la dichiara-zione dell’impresa di rispondenza dellemisure adottate rispetto a quanto previstoin progetto.Anche l’operato di tali soggetti, pertanto, siproietta oltre la durata del cantiere, concre-tizzandosi in documenti aventi unaespressa finalità dichiarativa e certificativadestinata a produrre i propri effetti nel fu-turo (su questo argomento si tornerà trabreve). Ed ancora, guardando al processo realizza-tivo dell’opera, va ricordata l’importanza

del ruolo del direttore dei lavori, per tuttoquanto concerne la rispondenza dell’operaal progetto e la rilevanza delle dichiarazionirese ai fini del rilascio del certificato di agi-bilità (senza voler entrare in questa sede,neppure incidentalmente, nella questioneconcernente la responsabilità o meno deldirettore dei lavori quanto a eventuali er-rori nel progetto); e ancora tra i soggetti in-teressati va menzionato il Coordinatore perla Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE), inparticolare ai fini dell’adeguamento del fa-scicolo dell’opera in funzione dell’effettivocontenuto dei lavori realizzati.

Il committente della manutenzioneDa ultimo merita un esame particolare lacategoria di soggetti che riveste un ruolocentrale nella disciplina, pur senza trovarenella DGRV e nei suoi allegati una defini-zione esaustiva.Secondo il Cap. 3 dell’Allegato B, “copia delfascicolo deve essere fornita al proprietarioo comunque al committente responsabiledell’immobile (amministratore condomi-niale, responsabile della sicurezza nel casodi attività non residenziali, ecc.) che lo con-serva a disposizione per le future manuten-zioni. Il documento deve essere aggiornato,a cura del proprietario e/o responsabile del-l’immobile, in occasione di ogni interventosuccessivo sulle componenti statiche e/osugli impianti. Il fascicolo segue tutta lavita dell’edificio e deve essere quindi tra-smesso ad ogni cambio di proprietà”.Secondo il Cap. 4, “al personale incaricatodell’esecuzione dei lavori successivi (im-presa o lavoratore autonomo) devono es-sere fornite da parte del committente/amministratore le informazioni scrittesulle misure tecniche predisposte e le istru-zioni per un loro corretto utilizzo”.Se risulta chiara la ratio della DGRV, non sipossono però negare gli innumerevoli pro-blemi sia interpretativi, sia di applicazioneche essa porta con sè.Sul piano interpretativo, la definizione di“committente responsabile dell’immobile”,è certamente poco puntuale. Si deve ritenere che con tale espressionel’Allegato B abbia inteso riferirsi al soggettocommittente della (futura) manutenzione,quello cioè che contrattualmente avrà i rap-porti con il “personale incaricato dell’ese-cuzione dei lavori successivi (impresa o

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DPR 380/01”): così recita espressamente laDGRV n. 97/2012, Allegato A.Ciò risponde allo specifico contenuto del-l’art. 79 bis, che costituisce norma di disci-plina del progetto e del procedimentoautorizzativo, prima e più ancora che delmanufatto in sè: “i progetti…devono preve-dere, nella documentazione allegata alla ri-chiesta…, idonee misure preventive eprotettive”; “la mancata previsione dellemisure…costituisce causa ostativa al rila-scio della concessione o autorizzazione acostruire ed impedisce, altresì, l’utile de-corso del termine per l’efficacia della de-nuncia di inizio attività”; i Comuni devonoprevedere “adeguati controlli sulla effettivarealizzazione delle misure anche ai fini delrilascio del certificato di abitabilità” (“oracertificato di agibilità per effetto dell’abro-gazione dell’art. 4 del DPR 425/94 ai sensidell’art. 136 del DPR 380/01”: così le Note diIndirizzo, Allegato A alla DGRV n. 97/2012).Questo modo di disciplinare la sicurezza èdel tutto nuovo nel panorama legislativo.Il Decreto 81/08 infatti conosce certamentenorme vincolanti anche per la progetta-zione: basti pensare, per tutte, all’art. 22espressamente rubricato “obblighi dei pro-gettisti”. Ma quella norma non detta essastessa i contenuti del progetto, e men chemeno si occupa del procedimento autoriz-zativo cui il progetto è sottoposto; essa co-stituisce invece una norma di contenutosostanziale, sia pure mediante rinvio adaltre norme, obbligando il progettista a ri-spettare “i principi generali di prevenzione”ed a scegliere “attrezzature, componenti edispositivi di protezione rispondenti alle di-sposizioni”. Ciò significa che il progettistadeve sì tenere conto, nel compiere le pro-prie scelte progettuali e tecniche, del fattoche il luogo di lavoro che sta progettandodovrà essere rispondente alle normative;ma quelle scelte sono comunque lasciate alui e non dettate dal legislatore, che non im-pone (o almeno non impone del tutto o nonimpone direttamente) soluzioni tecnicheprecostituite. Ciò significa, inoltre, che ilprogettista è soggetto all’ obbligo a prescin-dere dal fatto che il progetto richieda omeno un procedimento autorizzativo diqualsiasi tipo.Ancora, lo stesso art. 90 comma 10 del De-creto 81/08, il quale prevede la sospensionedell’efficacia del titolo abilitativo in caso di

assenza del PSC, del fascicolo dell’opera,della notifica preliminare (nonché di as-senza del DURC, che però va ricondotta aduno schema normativo diverso e piùampio), rappresenta sì un esempio preesi-stente di innovativo legame tra sicurezzadel cantiere e procedimento edilizio; ma inquel caso l’effetto amministrativo costitui-sce mera conseguenza di attività di vigi-lanza compiuta in cantiere: ed infatti,quella stessa norma prevede che “l’organodi vigilanza comunica l’inadempienza al-l’amministrazione concedente” mentre innessun modo la presenza di quei documentiè condizione per il rilascio del titolo abilita-tivo.L’art. 79 bis rompe questo schema, nelquale sicurezza del lavoro e procedimentoedilizio viaggiano su binari paralleli, maben distinti.Con l’art. 79 bis, la sicurezza del lavoroentra in maniera diretta e dirompente nelprocedimento autorizzativo edilizio, diven-tandone condizione essenziale ed ostativa:questa novità fondamentale la DGRV n.97/2012, Allegato A la sintetizza con poche,ma significative parole: “Si tratta di unanorma di sicurezza inserita in una legge ur-banistica”.Ed infatti, il procedimento autorizzativonon può perfezionarsi, se il progetto mancadelle misure preventive previste nelle istru-zioni tecniche; così come il certificato diagibilità non può essere rilasciato, se nel-l’opera realizzata mancano le misure pre-ventive previste nelle istruzioni tecniche. Tutto questo comporta, ed è un fatto nuovorilevante anche dal punto di vista sistema-tico, un diretto coinvolgimento dell’Ammi-nistrazione concedente nel merito dellasicurezza del manufatto: prima dell’esecu-zione, per verificare se il manufatto è stato“progettato bene”; dopo l’esecuzione, perverificare se il manufatto è stato “realizzatobene”. Dove “bene” significa, progettato erealizzato in maniera tale da prevenire i ri-schi di infortunio nelle manutenzioni inquota.Naturalmente, questo comporta anche chedove non esiste progetto, o dove non esisteprocedimento autorizzativo, qualunqueesso sia, non può trovare applicazione l’art.79 bis; e comporta anche che qualsiasi in-tervento legislativo futuro, avente ad og-getto la disciplina dei procedimenti

autorizzativi, sarà suscettibile di influiresull’ambito di applicazione della disposi-zione.

I destinatari della normativaVa da sé che, trattandosi di una norma di si-curezza che presuppone l’esistenza sia diun progetto, sia di un procedimento ammi-nistrativo, l’art. 79 bis coinvolge anche sog-getti finora esclusi dal novero deidestinatari della normativa di sicurezza sullavoro; mentre altri, già noti, li coinvolge inmaniera diversa e innovativa.Volendo compiere una rapidissima panora-mica, sicuramente tra i destinatari nuovidella normativa vi sono coloro i quali,agendo come Amministrazione concedente,intervengono nel procedimento edilizio infase di rilascio del titolo abilitativo o delcertificato di agibilità; la verifica della pre-senza delle misure nel progetto e la verificadella effettiva realizzazione delle misure,costituiscono il contenuto di specifici obbli-ghi dei soggetti preposti a tale rilascio.Sicuramente tra i principali destinatari visono poi i progettisti, per i quali, come si èdetto, con le disposizioni qui in esame ilcoinvolgimento diventa ancora più diretto;anzi, oggetto della norma regionale è diret-tamente proprio il progetto, ciò che essocontiene, le scelte progettuali compiute. Sitratta di scelte che restano nel tempo, sonocioè verificabili in qualsiasi momento sem-plicemente guardando il manufatto; sonoscelte, soprattutto, che vengono messe allaprova tutte le volte che, in quel manufatto,si va a compiere una manutenzione inquota.Da questo punto di vista, uno dei punti piùdelicati per il progettista è rappresentatoproprio dalla stessa definizione del campodi applicazione della norma, come specifi-cata nell’Allegato A della DGRV n. 97/2012:l’art. 79 bis, infatti, si applica solo ai manu-fatti “che, per loro natura, tipologia o per ilsoddisfacimento di requisiti previsti dallenorme, richiedano la programmazione disuccessivi interventi di manutenzione” dacompiersi in quota o comunque esponendol’operatore al rischio di caduta dall’alto.E’ la “programmazione di successivi inter-venti di manutenzione in quota” l’elementodiscriminante per il progettista; se la na-tura o la tipologia del manufatto non sonotali da presupporre future manutenzioni, o

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zione sull’esistenza di questa linea vita.Sono molte, come si vede, le incognite in-terpretative ed applicative.Rimane però ildato normativo indubbio della DGRV: da unlato, vi è il coinvolgimento in via definitivadel committente in quanto soggetto utentedell’opera; dall’altro lato, vi è la valorizza-zione attribuita ad un sistema documentaleed informativo che diventa esso stesso “re-quisito” dell’opera e che all’opera dovrebbesempre accompagnarsi ogni qualvolta se nemodifichi il soggetto utente.L’incidenza di tali innovazioni sul sistemanormativo vigente è tale, e tante sono leimplicazioni nei diversi settori dell’ordina-mento, che tutte le questioni dovranno es-sere approfondite e risolte una per una, inuna prospettiva imprescindibile di armo-nizzazione delle fonti normative e dei livellidi legislazione, nazionale e locale.Lo impone la delicatezza della materia, cheinvolge non solo la tutela della vita e dellasalute delle persone, ma anche la sfera delleresponsabilità individuali, e ancora la disci-plina della proprietà.Ma la strada sembra tracciata.

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lavoratore autonomo)”.Non è però così semplice individuare chi siatale soggetto.Nulla ci dice a tal fine la definizione di “re-sponsabile dell’immobile”, cui non corri-sponde nessun dato normativo; e neppurela locuzione (essa pure atecnica) di “re-sponsabile della sicurezza nel caso di atti-vità non residenziale” appare utile. Appareuna eccessiva semplificazione (e rischia didivenire fuorviante) anche citare “l’ammi-nistratore condominiale”, il quale può dav-vero considerarsi il destinatario di questanormativa solo a certe condizioni, (a mag-gior ragione dopo le innovazioni introdottedalla recente Riforma del Condominio di cuialla Legge n. 220/2012: si veda ad esempio ilnuovo testo dell’art. 1135 come primo, n. 4c.c.). Non meno problematico, per quantoapparentemente sembri scontato, è il rife-rimento al “proprietario”, che alla manu-tenzione (e alla gestione correntedell’immobile) potrebbe essere in realtà deltutto estraneo. In realtà, nel novero deisoggetti potrebbero entrare anche l’inqui-lino conduttore di un contratto di loca-zione, l’usufruttuario, il comodatario, e cosìvia; fino a ricomprendere anche l’occupantesenza titolo.In realtà, l’unica chiave di lettura appro-priata appare essere un’altra, e cioè quellache consiste nell’individuare il commit-tente della manutenzione, come tale desti-natario dei relativi obblighi, nel soggettoche esercita i poteri decisionali e di spesarelativi alla gestione dell’incarico di manu-tenzione (secondo un criterio già fatto pro-prio dal legislatore con riferimento ad altreposizioni di garanzia).Ma quando si sia chiarito questo profilo, unaltro non meno problematico se ne pre-senta, strettamente legato alla fase di ap-plicazione della norma.Ci si deve domandare, cioè, quali regoledebba seguire l’attività di conservazione,aggiornamento e trasmissione delle infor-mazioni e dei documenti.Non esiste, nell’attuale ordinamento, unadisciplina generale che preveda come obbli-gatorio e tantomeno che regoli il passaggiodi dati, documenti, informazioni relativiall’immobile; né in occasione di trasferi-mento degli immobili né tantomeno, e piùgeneralmente, in caso di “subentro” (volu-tamente il termine è generico) di una per-

sona ad un’altra nella “utilizzazione” e nel“godimento” di quell’immobile (e anchequesti sono termini volutamente generici).Non esiste neppure una disciplina che im-ponga e regoli l’esistenza stessa dei neces-sari documenti: dove verranno inserite econservate le prescrizioni del progettista?Dove le dichiarazioni e certificazioni dei co-struttori, produttori, installatori?Quando e come verranno trasferite? Da chia chi?Se il “contenitore” di tutto questo dovrà es-sere il fascicolo dell’opera, non potrà cheessere una norma a sancirlo, non bastandole istruzioni tecniche di una DGRV; ma sidovrà considerare, in quel caso, che ciò mu-terebbe profondamente contenuto e signi-ficati del fascicolo, imponendone unradicale ripensamento anche per svinco-larlo dalla figura del Coordinatore per la Si-curezza, che a quel punto sarebbe in largamisura soggetto estraneo a quei contenuti(senza contare che, in taluni casi, potrebbeesserci un intervento soggetto alla DGRV,ma in mancanza di Coordinatore e di fasci-colo per essere l’intervento eseguito da unaunica impresa).In sostanza, si tratterebbe di un documentodel tutto nuovo e diverso, riconducibile inlinea di principio a quel “fascicolo del fab-bricato” più volte evocato in questi anni, edi cui qualche traccia si rinviene forse nel“registro dell’anagrafe condominiale” pre-visto dal nuovo art. 1130 cc., così come mo-dificato dall’art. 10 della Riforma delCondominio, e che dovrà contenere, tra l’al-tro, generalità dei proprietari, diritti reali epersonali, dati catastali di ciascuna unitàimmobiliare “nonché ogni dato relativo allecondizioni di sicurezza”.

L’obbligo di informare per iscrittoLa DGRV delinea uno scenario in cui il com-mittente della manutenzione è tenuto afornire al manutentore “le informazioniscritte sulle misure tecniche predisposte ele istruzioni per un loro corretto utilizzo”.Qualunque sia il contenuto delle informa-zioni e delle istruzioni, qualunque sia il lorocontenitore e lo strumento attraverso ilquale verranno trasferite, un dato è assaisignificativo: la DGRV estende anche agli“affidamenti di lavori, servizi e forniture”commissionati da soggetti non imprendi-tori né datori di lavoro (in una parola, an-

cora generica: “i privati”) un obbligo che nelDecreto 81/08 è sancito espressamente(solo) per i committenti datori di lavoro:l’obbligo di fornire informazioni sui rischiesistenti nel luogo in cui il manutentore èdestinato ad operare (art. 26, co. 1 lett. b).Mentre nella normativa nazionale le sceltesulle misure di sicurezza da adottare in-combono (esclusivamente) sul manuten-tore, sulla base della propria valutazionedel luogo come più o meno “adatto alloscopo” (cfr. art. 111 Decreto 81/08) e dellapropria attività di “accertamento” dellecondizioni dei luoghi (cfr. ancora art. 148Decreto 81/08), per effetto della DGRV, in-vece, il manutentore riceve dal commit-tente le indicazioni e le istruzioni operativeda seguire: anche il committente diventaquindi un attore, nel procedimento di valu-tazione del rischio; equiparato in questo,quindi, al datore di lavoro committente dicui all’art. 26 del Decreto 81/08.Questo obbligo ha lo scopo di mettere incondizione il manutentore di “eseguire i la-vori commissionati tenuto conto delle ca-ratteristiche dell’opera, dei rischipotenziali, degli elementi protettivi incor-porati e delle eventuali misure di sicurezzaaggiuntive necessarie” (Cap. 4 Allegato B).Questo non fa naturalmente venire menol’obbligo, per il manutentore, di compiere lapropria valutazione, nè esclude il suo ruoloai fini della tutela dei propri dipendenti ad-detti all’intervento (ruolo che rimane prin-cipale, nella sua qualità di datore di lavoro),in adempimento di tutti gli obblighi che lanormativa gli impone; semmai, per effettodella DGRV, i luoghi del committente do-vrebbero essere già di per sé “più” sicuri. Si impone però la necessità di valutare la ri-levanza ed efficacia che le informazioni eistruzioni, fornite dal committente quantoallo stato dei luoghi, assumono per il manu-tentore, allorchè predispone le “proprie”misure di sicurezza. Può il manutentore ri-porre il proprio affidamento sulla effettivarispondenza e realtà dei dati forniti dalcommittente? Si pensi a un intervento suuna copertura ove è presente un sistema dilinea vita, certificato e sottoposto a rego-lare manutenzione anche documentata, ilcui cedimento in corso di intervento provo-chi la caduta del dipendente dell’impresa dimanutenzione, il cui datore di lavoro avevaorganizzato le proprie misure di preven-

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