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IL MONDO ROMANO 86 Paolo Liverani I giardini imperiali di Roma Paolo Liverani Nella Roma antica le fonti ricordano numerose proprietà nobiliari o imperiali definite horti, che dovevano comprendere sia ampi spazi verdi, che edifici e padiglioni di varia natura e destinazione, usati come residenza o anche solo come luogo ameno per il riposo e l’intratte- nimento: tali horti possono essere paragonati solo in maniera assai imperfetta alle ville di età rinascimentale e, più in generale, di età moderna, alcune delle quali sopravvivono ancora a Roma come parchi pubblici o sedi di istituzioni prestigiose. Queste proprietà sono state og- getto ultimamente di una grande attenzione 1 : gli studi hanno esaminato il fenomeno secondo molteplici approcci da un punto di vista monumentale, storico e artistico. Una prospettiva che merita qualche ulteriore riflessione è quella di una lettura d’insieme da un punto di vista topografico e urbanistico. Le pagine che seguono, dunque, saranno focalizzate sugli horti di proprietà imperiale, sui parchi, cioè, che formavano una corona di verde attorno a Roma a partire dalla riva destra del Tevere, nella zona occupata ora dal Vaticano, per estendersi lun- go i margini settentrionali e orientali della città, correndo nella fascia che separava la linea delle mura repubblicane da quella delle mura di Aureliano (fig. 1). Di questa corona verde si cercherà di seguire le evoluzioni sia nella proprietà che nei mutamenti d’uso e di funzione: pur nella necessaria sinteticità dell’esposizione sarà così possibile precisare alcune questioni e cogliere alcune linee evolutive di lunga durata. Horti di Agrippina I primi giardini che si incontrano procedendo in senso orario sono gli horti di Agrippina mag- giore 2 , che sarebbero arrivati per eredità al figlio Caligola per rimanere in seguito nella proprietà imperiale. Sono citati come tali dalle fonti solo un paio di volte: da Seneca 3 si deduce che la proprietà toccava il Tevere con una terrazza o un viale (xystus) disposto lungo il fiume e, imme- diatamente più a monte, un portico. L’ambasciatore ebreo Filone 4 dovette incontrare Caligola nel 40 d.C., mentre questi stava uscendo proprio dai suoi horti, dunque mentre si trovava nella

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I giardini imperiali di Roma

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Nella Roma antica le fonti ricordano numerose proprietà nobiliari o imperiali definite horti, che dovevano comprendere sia ampi spazi verdi, che edifici e padiglioni di varia natura e destinazione, usati come residenza o anche solo come luogo ameno per il riposo e l’intratte-nimento: tali horti possono essere paragonati solo in maniera assai imperfetta alle ville di età rinascimentale e, più in generale, di età moderna, alcune delle quali sopravvivono ancora a Roma come parchi pubblici o sedi di istituzioni prestigiose. Queste proprietà sono state og-getto ultimamente di una grande attenzione1: gli studi hanno esaminato il fenomeno secondo molteplici approcci da un punto di vista monumentale, storico e artistico. Una prospettiva che merita qualche ulteriore riflessione è quella di una lettura d’insieme da un punto di vista topografico e urbanistico. Le pagine che seguono, dunque, saranno focalizzate sugli horti di proprietà imperiale, sui parchi, cioè, che formavano una corona di verde attorno a Roma a partire dalla riva destra del Tevere, nella zona occupata ora dal Vaticano, per estendersi lun-go i margini settentrionali e orientali della città, correndo nella fascia che separava la linea delle mura repubblicane da quella delle mura di Aureliano (fig. 1). Di questa corona verde si cercherà di seguire le evoluzioni sia nella proprietà che nei mutamenti d’uso e di funzione: pur nella necessaria sinteticità dell’esposizione sarà così possibile precisare alcune questioni e cogliere alcune linee evolutive di lunga durata.

Horti di Agrippina

I primi giardini che si incontrano procedendo in senso orario sono gli horti di Agrippina mag-giore2, che sarebbero arrivati per eredità al figlio Caligola per rimanere in seguito nella proprietà imperiale. Sono citati come tali dalle fonti solo un paio di volte: da Seneca3 si deduce che la proprietà toccava il Tevere con una terrazza o un viale (xystus) disposto lungo il fiume e, imme-diatamente più a monte, un portico. L’ambasciatore ebreo Filone4 dovette incontrare Caligola nel 40 d.C., mentre questi stava uscendo proprio dai suoi horti, dunque mentre si trovava nella

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zona pianeggiante prossima al Tevere. Probabilmente l’imperatore – di ritorno in città – si sta-va avviando verso il ponte che si trovava subito a valle dell’attuale ponte Vittorio Emanuele e che nel Medioevo portava il nome di Nerone, ma che verosimilmente aveva costruito lo stesso Caligola5 per avere un comodo accesso alla sua proprietà. Il luogo dell’incontro, perciò, doveva essere all’incirca nell’area dell’attuale Ospedale di Santo Spirito.

A occidente gli horti di Agrippina si estendevano forse fino a toccare gli horti di Domizia – di cui si parlerà tra un momento – mentre a ovest arrivavano almeno a comprendere il circo costruito dallo stesso Caligola6, secondo un allineamento all’incirca parallelo al lato sinistro dell’attuale Basilica di San Pietro in Vaticano. Taluni hanno affermato che la proprietà com-prendesse a sud anche il colle di Santo Spirito7, che divideva la valletta vaticana dal Tevere, ma l’ipotesi non ha elementi su cui sostenersi e non è necessaria.

L’elemento più notevole degli horti era il circo già citato, al centro della cui spina si ergeva l’obelisco che fa oggi bella mostra di sé in piazza San Pietro (fig. 2), ma che – fino all’epoca di Sisto v – si trovava sul fianco meridionale della basilica. Era stato trasportato a Roma con una nave apposita8 da Alessandria d’Egitto, dove era stato dedicato prima ad Augusto da Cornelio Gallo, prefetto d’Egitto, e poi all’imperatore Tiberio9. Il resto del circo, tuttavia, doveva essere una struttura relativamente leggera: Svetonio scrive infatti che fu costruito plurifariam10, lette-ralmente “in molti modi”, ossia verosimilmente parte in muratura, parte in legno. Lo stesso si-stema sarebbe stato impiegato d’altronde in altri casi, come per esempio nel caso dell’anfiteatro ligneo di Nerone in Campo Marzio11.

Anche Claudio aveva continuato a utilizzare il circo12 e Nerone frequentava questi horti con assiduità: vi aveva costruito un teatro13 ed era qui che teneva una parte delle sue esibizioni ca-nore14. Forse possiamo addirittura ambientarvi una delle versioni dell’episodio – probabilmente solo leggendario – dell’imperatore che nel 64 d.C. avrebbe cantato la rovina di Troia mentre Roma andava in fiamme. Infatti, mentre Svetonio narra che Nerone avrebbe cantato dalla Torre

Fig. 1 Roma antica: posizione degli horti di proprietà imperiale in rapporto alle cinte delle Mura Serviane e Aureliane

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di Mecenate sull’Esquilino15 e Cassio Dione16 ambienta la scena in cima al Palatium, cioè nel palazzo imperiale del Palatino, Taci-to, il più scettico, riferisce la diceria secondo la quale l’imperatore avrebbe cantato su una domestica scaena17. Lo storico non fornisce ulteriori dettagli topografici, ma viene da pensare che questa defi-nizione possa essere equivalente al theatrum peculiare, l’espressio-ne usata da Plinio il vecchio18 per descrivere il teatro vaticano di Nerone.

In ogni caso gli horti di Nerone sono famosi per un altro avveni-mento, sempre legato all’incendio di Roma: qui infatti l’imperatore aveva prima accolto parte dei senzatetto scampati all’incendio19, poi aveva dato il terribile spettacolo dei cristiani che, presi come capro espiatorio del disastro, vennero dilaniati dai cani, crocifissi o arsi vivi nella tenuta imperiale, mentre lo stesso imperatore pre-siedeva ai giochi nell’adiacente circo20. Sempre nello stesso circo, d’altronde, Nerone soleva allenarsi nelle corse lasciando accesso libero alla popolazione21.

L’ultima attestazione del circo è quella contenuta nell’iscrizione funeraria dell’edificio funerario di Gaio Popilio Heracla22, di età adrianea. Poco più tardi, nella seconda metà del ii secolo d.C., la struttura verrà prima abbandonata e invasa da sepolture private, poi – tra la fine del ii e l’inizio del iii secolo d.C. – verrà interrata di quasi tre metri.

Dai dati disponibili si deduce quindi che questi horti non de-vono essere intesi sul modello di qualche parco privato dei nostri giorni; non sembra trattarsi in altre parole di un’area ad accesso ristretto delimitata da muri di confine o cancellate (fig. 3). Infatti, oltre agli accenni delle fonti sopra elencati, che fanno pensare a un accesso piuttosto facile da parte del pubblico, l’area era attraversata da percorsi stradali di notevole importanza: da est a ovest correva la via Cornelia diretta verso Caere, che in questo tratto era unita a un braccio della via Aurelia, mentre in un punto difficilmente precisa-bile di piazza San Pietro doveva distaccarsi verso nord la via Trium-phalis, diretta verso Veio. Entrambe le strade erano poi bordate di sepolcri23, abbondantemente documentati da rinvenimenti antichi e recenti, che sembrano disporsi diffusamente anche nelle aree che si penserebbe fossero invece riservate agli horti. Probabilmente dopo l’età giulio-claudia si verificò un processo di progressivo disinteresse degli imperatori per questa tenuta, parallelo a un’occupazione sem-pre più estesa da parte di sepolture private, non sappiamo quanto tollerata o quanto invece esplicitamente autorizzata.

Horti di Domizia

Subito a ovest degli horti di Agrippina erano quelli di Domizia24, fa-mosi per aver ospitato il sepolcro dell’imperatore Adriano, impro-priamente definito oggi “mausoleo” e meglio noto nella sua forma

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architettonica attuale come Castel Sant’Angelo25. L’identificazione dell’originale proprietaria di questi horti è assai discussa e due sono le ipotesi tradizionali. La prima la riconosce in Domizia Lepida, prima moglie di Passieno Crispo e zia paterna di Nerone, il quale l’aveva fatta uccidere nel 59 d.C. per impossessarsi delle sue proprietà: a sostegno di ciò si cita il rinvenimento – nel corso degli scavi per le fondazioni del Palazzo di Giustizia – di un condotto per l’acqua in piom-bo, che reca appunto il nome di Passieno Crispo26. La seconda, invece, preferisce attribuire gli horti a Domizia Longina, moglie di Domiziano, e prova ne sarebbe un’iscrizione onoraria a lei dedicata27, vista nella seconda metà del Cinquecento da Achille Stazio in una vigna alle spalle di Castel Sant’Angelo.

In realtà è possibile una terza ipotesi più semplice – e dunque più soddisfacente – che emerge in-tuitivamente se appena si traggono le necessarie conseguenze dai recenti studi sulla famiglia dell’im-peratore Adriano28. I legami familiari di quest’imperatore, infatti, sono stati chiariti solo negli ultimi anni29, dimostrando che la madre dell’imperatore era Domizia Paulina Lucilla maggiore, mentre la sorellastra era Domizia Calvisia Lucilla minore, madre a sua volta di Marco Aurelio. Se ne deve evidentemente dedurre che Adriano costruì il suo sepolcro negli horti ereditati dalla madre, dunque senza che sia necessario ipotizzare passaggi di proprietà intermedi più o meno complessi.

Sull’aspetto di questi horti, purtroppo, siamo assai meno bene informati: durante la costru-zione del Palazzo di Giustizia vennero alla luce strutture tra loro molto differenti, della cui per-tinenza alla proprietà imperiale non siamo neanche del tutto certi. Tra esse si segnala un portico e degli ambienti probabilmente a destinazione termale, ma anche strutture molto più povere – e forse più tarde – e alcune sepolture, tra le quali quella di Crepereia Tryphaena30, famosa per la bambola in essa rinvenuta e databile alla tarda età antonina.

Fig. 2 l’obelisco di Caligola al centro di Piazza San Pietro

Fig. 3 Carta archeologica della Città del Vaticano con l’indicazione della viabilità principale in età anti-ca e dei rinvenimenti di sepolcri: 1. Tombe del Bastione di Belvedere (ligorio 1543-44), 2. necropoli della Galea, 3. necropoli di Santa Rosa, 4. necropoli dell’Autoparco, 5. necropoli del prato di Belvedere (1840), 6. Resti sotto San Pellegrino, 7. necropoli dell’Annona, 8. Sepolcro Θ, 9. Sepolcro sotto le scalinate della basilica (Grimaldi 1616), 10. Sepolcro sotto l’Aula delle Udienze, 11. Sepolcro sotto il Campo Santo Teutonico, 12. Rotonda di Sant’Andrea e sepolcro adiacente alle fondazioni dell’obe-lisco, 13. Mausoleo di onorio (Rotonda di Santa Petronilla), 14. necropoli vaticana, 15. Sepolcri sotto Santo Stefano degli Abissini

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Non è chiaro se si debba includere nell’area degli horti di Domizia anche la Naumachia va-ticana. Poco a nord-ovest del sepolcro di Adriano, infatti, era una grande struttura pressappoco rettangolare (fig. 4), di cui vennero alla luce a più riprese diversi tratti nell’area compresa oggi tra via Cola di Rienzo e via Alberico ii31. Le murature, di notevole impegno, erano realizzate in opera reticolata con ricorsi di laterizio, un corridoio correva tutt’intorno e al di sopra erano arcuazioni con resti di sedili, ma si videro in più punti anche tracce di rivestimento con intonaco idraulico. È possibile ricostruire con qualche approssimazione le dimensioni dell’edificio: era largo circa 140 metri in direzione est-ovest e lungo più di 280 metri in direzione nord-sud, ma non se ne conosce il limite settentrionale. La struttura viene ricordata ancora da Procopio a proposito di una scaramuccia del 537 nel corso della Guerra Gotica. Lo storico la descrive come “un grande stadio antico, nel quale un tempo combattevano i gladiatori della città; e gli antichi attorno a quello stadio avevan costruito molte e varie abitazioni, donde naturalmente avveniva che fossero in quel luogo anguste strade d’ogni dove.”32.

Nonostante proposte diverse33, l’identificazione più probabile resta quella con una delle due naumachie di cui parlano i Cataloghi Regionari34, forse quella di Traiano citata dai Fasti Ostiensi35. La prossimità al sepolcro di Adriano, di cui ripete fedelmente l’orientamento, e la sua funzione pubblica potrebbero fare includere anche questo edificio negli horti di Domizia, ma fa ostacolo l’attribuzione a Traiano.

Sappiamo che il sepolcro di Adriano fu utilizzato per le sepolture imperiali fino ai Severi, ma negli horti circostanti dovevano essere spazi verdi e padiglioni ancora funzionali nel pieno iii se-colo, in quanto la biografia di Aureliano riferisce che quando l’imperatore era a Roma non amava vivere nel palazzo sul Palatino, ma preferiva gli horti di Sallustio – di cui si parlerà tra un attimo – e appunto quelli di Domizia36. Abbiamo infine una conferma del fatto che questi horti conserva-rono fino almeno alla fine del iii secolo una loro identità anche amministrativa: a differenza degli horti di Agrippina – che scompaiono dalle fonti dopo Nerone – quelli di Domizia sono infatti ricordati ancora nei Cataloghi Regionari dioclezianei e costantiniani37.

Horti di Lucullo

Al di qua del Tevere i primi giardini che si incontrano, procedendo sempre in senso orario, sono quelli di Lucullo38, il generale che aveva sconfitto Mitridate e il re dell’Armenia e la cui ricchezza era diventata proverbiale. Si possono collocare questi horti sulla collina del Pincio grazie a un passo di Frontino39; gli horti passarono di mano per eredità e per acquisti fino a quando nel 47 d.C. il loro proprietario, Valerio Asiatico, fu accusato di complotto contro l’imperatore e costretto a suicidarvisi. Gli horti dovettero passare così al fisco imperiale e vi stabilì la residenza proprio la sua nemica Messalina: neanche costei poté goderseli a lungo perché un anno dopo vi fu uccisa.

È comunque a questo periodo che dobbiamo attribuire alcuni interventi monumentali nel-l’area. Un grande terrazzamento che correva subito a monte di via Gregoriana fu trasformato in ninfeo, abbellito con statue e mosaici parietali: se ne è potuto scavare un piccolo tratto sotto la Biblioteca Hertziana40, ma fu visto anche nel corso di lavori ottocenteschi41. Più importante è il grande emiciclo che abbraccia un’ampiezza di quasi 200 metri, occupando tutta l’area tra la chiesa di Trinità ai Monti e Villa Medici. Era formato da un sistema di terrazze coronate da un portico curvilineo, di cui resta traccia ancora in alcune piante del xvi secolo: si è proposta la sua identificazione con il Nympheum Iovis, ma questa struttura – sulla quale nulla sappiamo oltre al nome – viene elencata dai Cataloghi Regionari42 in connessione con monumenti posti assai più a valle nel sottostante Campo Marzio e dunque l’ipotesi va presa con cautela.

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All’avvento di Traiano verosimilmente gli horti furono venduti nuovamente a privati e per il ii e iii secolo rimasero proprietà degli Acilii. Nel iv secolo nella stessa area viene ricordata la domus Pinciana che, dopo il sacco di Alarico del 410, dovette essere acquisita dal demanio imperiale. In epoca tarda infatti conosciamo un palatium Pincianum, cioè una residenza imperiale, in cui abitò ancora Belisario, il generale bizantino che difendeva la città dall’assedio del goto Vitige. I recenti scavi della Scuola Francese ne hanno messo in luce una parte43, purtroppo danneggiata da crolli e, probabilmente, da un terremoto. Non abbiamo però elementi per comprendere me-glio che tipo di continuità esista tra l’area occupata dagli horti di Lucullo e quella del palatium Pincianum, se cioè i passaggi di proprietà intermedi non abbiano ridotto l’estensione originaria della tenuta o se invece il palazzo sorgesse ancora al centro di un così vasto parco.

Horti di Sallustio

Subito a est degli horti di Lucullo, e verosimilmente a contatto con essi, si trova-vano gli horti di Sallustio44, il famoso storico degli ultimi anni dell’età repubbli-cana. Sembra che il nucleo della sua proprietà fosse costituito dagli horti di Cesa-re e ben presto, già sotto Tiberio, i giardini confluirono nella proprietà imperiale, nella quale rimasero fino alla fine dell’evo antico. Occupavano un’area molto vasta: in epoca più avanzata il loro limite doveva coincidere approssimativamen-te con la linea delle mura di Aureliano45 fino alla Porta Salaria e probabilmente all’attuale via Piave, mentre a sud si può pensare che il limite fosse approssima-tivamente quello marcato oggi da via xx Settembre.

Questa proprietà era probabilmente la più amata dagli imperatori: sappiamo da Dione Cassio che Vespasiano “viveva poco nel Palatium, mentre passava la maggior parte del tempo nei cosiddetti Giardini Sallustiani, dove riceveva chi voleva, non solo dei senatori, ma anche degli altri e con gli amici intimi s’in-tratteneva addirittura fino all’alba standosene sdraiato a letto, mentre gli altri lo salutavano per strada”46. L’aneddoto ben s’intona con la politica di questo im-peratore, che voleva segnalarsi per il suo rigore nell’amministrazione dello stato e per un’inversione di rotta rispetto alle stravaganze di Nerone, recuperando un rapporto più diretto con il Senato. Probabilmente anche Nerva la pensava in modo analogo perché sappiamo che nel 98 fu colto dalla morte proprio mentre vi si trovava47.

Nel iii secolo Aureliano li chiude nella nuova cinta di mura e le fonti ricor-dano come anche lui preferisse questa sede al Palatino48. In tali horti costruì una Porticus Miliarensis e si ostinava a esercitarvisi quotidianamente con i ca-valli nonostante la cattiva salute. La Porticus doveva servire per passeggiate e cavalcate salutari, ma non necessariamente doveva essere lunga un miglio: poteva anche essere un sottomultiplo di questa misura, in modo che – percorrendola un certo numero di volte – si arrivasse a un miglio esatto o a suoi multipli. La si è voluta identificare in diversi resti segnalati nell’area e da ultimo con una struttura vista per duecento metri tra le vie di Porta Pinciana e dell’Aurora49.

Ancora nel 312 questi horti vengono connotati come alternativi al Palatium: il panegirico di Costantino del 313 presenta Massenzio che, nei suoi ultimi giorni prima della disfatta di Ponte Milvio, appare timoroso di lasciare il Palatino e perfino di andare a passeggiare negli Horti Sal-lustiani, quasi fosse una pericolosa spedizione50.

La loro fortuna subì un colpo irreversibile nel 410, quando Alarico entrò a Roma proprio

Fig. 4 naumachia vaticana (da Buzzetti 1968)

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da Porta Salaria, bruciando le case adiacenti alle mura, tra le quali era anche quella di Sallustio, che Procopio nel vi secolo ricorda ancora in rovina51. È chiaro che le successive attestazioni delle fonti agiografiche, che parlano per quest’area di un palatium Salusti52 o Salustianum53, non possono essere considerate significative per la storia monumentale dell’area, ma forniscono piuttosto una reinterpretazione agiografica di resti che mantenevano una certa imponenza e una traccia della loro ricchezza originaria54.

Nella vastissima area che questi horti racchiudevano sono venuti alla luce resti di grande impegno risalenti a epoche varie, ma purtroppo raramente ben documentati. Restano tutt’og-gi testimoni della monumentalità dell’area le strutture del grande ninfeo adrianeo a Piazza Sallustio55, mentre tra i rinvenimenti più particolari si possono ricordare quelli venuti alla luce nella parte occupata allora dalla vigna Verospi nel 1710: si tratta di una serie di statue colossali di granito raffiguranti la regina Tuya, madre di Ramsete ii, Tolomeo Filadelfo, Arsinoe ii e una quarta principessa tolemaica anonima, conservate oggi nel Museo Gregoriano Egizio in Vati-cano56, alle quali si deve aggiungere una quinta statua del faraone Amasi, oggi nella collezione Albani57. A questi rinvenimenti si possono verosimilmente collegare due altri elementi egittiz-zanti che provengono sempre da questi giardini. Il primo è la statua di ippopotamo oggi alla Ny Carlsberg Glyptotek58, il secondo – di importanza assai maggiore – era l’obelisco che ora si ammira in cima alla scalinata di Trinità ai Monti59, ma che era visibile in questi horti ancora fino almeno all’viii secolo, quando viene ricordato dall’itinerario di Ensiedeln come piramis60. Il suo basamento tornò alla luce negli anni Trenta del xx secolo durante la costruzione del-l’isolato tra via Sardegna e via Toscana, quello che ospita oggi la chiesa luterana e l’Istituto Archeologico Germanico61. I suoi geroglifici sono una copia romana non del tutto riuscita di quelli originali egizi dell’obelisco eretto da Augusto al Circo Massimo, ma non sappiamo con esattezza se a collocarlo in questa posizione fosse stato Aureliano o un suo predecessore. In ogni caso per realizzare l’obelisco si rasò una struttura, probabilmente a destinazione termale, dell’epoca di Adriano.

Pur non conoscendo il contesto originario di questi rinvenimenti, è lecito ipotizzare che al-l’interno del complesso degli horti esistessero uno o più settori connotati dalla loro decorazione secondo quel gusto esotico egittizzante, che ben conosciamo per l’età adrianea, ma che dobbia-mo ritenere non dispiacesse neanche agli imperatori del iii secolo.

Horti di Mecenate

Proseguendo ulteriormente in senso orario si incontrano gli horti di Mecenate62: questi li estese sull’agger delle mura repubblicane – non più funzionali – e sull’area del sepolcreto dei pove-ri, che bonificò con un notevole interro63. Alla sua morte ne lasciò erede Augusto e del dono approfittò Tiberio che, al suo ritorno da Rodi nel 2 d.C., vi si ritirò eleggendoli a sua dimora abituale64.

Sotto Nerone tali horti erano collegati a sud-ovest tramite la Domus Transitoria al Palatino65 e, secondo una delle versioni già ricordate che narrano l’incendio di Roma del 64 d.C., l’impe-ratore avrebbe assistito all’immane rogo cantando la caduta di Troia dall’alto della torre che sorgeva nel punto più elevato di questi stessi giardini66. In seguito la proprietà dovette tornare in mano a privati, almeno per la maggior parte: vi abitò infatti il retore Frontone67, console del 143. L’estensione dei giardini doveva essere estremamente vasta: a ovest doveva arrivare fino alla Domus Aurea, alle terme di Traiano, che vi si erano parzialmente sovrapposte, e alla Porticus Liviae; a nord doveva estendersi fino alla Porta Esquilina e a est, fuori della cinta cosiddetta ser-viana, in genere si ritiene che arrivasse a toccare la via Merulana antica, che correva pressappoco parallela alla linea delle mura repubblicane.

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Horti Lamiani

Al di là di questa via dovevano trovarsi gli Horti Lamiani68, verosimilmente da attribuire a Lucio Elio Lamia, console nel 3 d.C. e amico di Tiberio, che – come si è visto – era anche suo vicino di casa prima che diventasse imperatore. Anche questa tenuta entrò nella proprietà imperia-le almeno con Caligola, che vi trovò la morte e, dopo una cremazione frettolosa, anche una sepoltura provvisoria, prima di essere trasferito nel Mausoleo di Augusto69. Il rinvenimento di una tubazione in piombo con l’iscrizione che la dichiara pertinente al patrimonio privato dell’imperatore Alessandro Severo70, fa pensare che in epoca successiva la proprietà fosse uscita dal demanio imperiale. Inoltre va ricordato che nel 1906 l’erezione di un edificio delle poste a piazza Dante portò alla luce murature di una costruzione privata dei primi del iv secolo, in cui erano stati reimpiegati numerosi frammenti di almeno quattordici statue71: simili rinvenimenti sembrano spiegabili solo con profonde trasformazioni e con l’abbandono da parte dell’impera-tore di queste aree.

Horti Liciniani

Una proprietà dell’imperatore Gallieno (260-268 d.C.) è ricordata nella sua biografia nella Hi-storia Augusta, che narra che “quando si recava ai giardini che portavano il suo nome lo segui-vano tutti gli ufficiali di corte”72. Altri elementi per collocare gli Horti Liciniani sono scarsi73: la notizia che lo stesso imperatore intendeva erigere una sua statua colossale sul punto più elevato dell’Esquilino74, benché spesso citata a riguardo, non ha alcuna connessione necessaria con il tema, visto che è inserita in un elenco delle stranezze e degli eccessi di questo imperatore. La dedica posta a Gallieno sull’antica Porta Esquilina75, una porta delle mura repubblicane ormai da tempo non più funzionali, può dirci forse che questa era la via per raggiungere gli horti dell’imperatore, ma nulla più. Di maggiore utilità sono le notizie della vita di Papa Simplicio76, secondo le quali questi avrebbe costruito la basilica dedicata a Santa Bibiana, tuttora esistente in via Giolitti a fianco della stazione Termini, “presso il Palazzo Liciniano”, mentre la Passione della santa – databile al vi-vii secolo – colloca la sua sepoltura “presso il Palazzo Liciniano adia-cente all’acquedotto Claudio”77.

Si sono voluti includere negli Horti Liciniani sia il cosiddetto Tempio di Minerva Medica, un grandioso ninfeo a pianta decagona che sorge più a sud-est, in un punto sfiorato attualmente dai binari della Stazione Termini, che il magnifico mosaico policromo con scene di caccia rinvenuto non lontano da Santa Bibiana durante la costruzione del sottopassaggio ferroviario e da pochi anni finalmente esposto nel Museo della Centrale Montemartini78. Entrambi questi resti, tutta-via, si datano ai primi decenni del iv secolo e dunque sono notevolmente più tardi di Gallieno, con il quale non si vede possibilità di collegamento.

Per l’alto livello qualitativo e per la cronologia si è anche ipotizzato che ninfeo e mosaico siano invece parte del Sessorium79, il complesso residenziale realizzato da Costantino ristrut-turando le costruzioni edificate dai Severi negli Horti Spei Veteris, di cui resta ora soprattutto l’aula trasformata nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. In base a questa ricostruzione il complesso del Sessorium (o Palatium Sessorianum) abbraccerebbe un’area vastissima, parago-nabile forse solo a quella degli horti di Sallustio. L’evidenza per una simile ricostruzione è però debole80 e il Palatium Sessorianum fa pensare invece a un complesso più compatto e delimitabile di quanto possano essere degli horti.

Horti Spei Veteris

Piuttosto si deve riservare qualche parola ai già citati Horti Spei Veteris. Essi compaiono solo

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nella biografia di Elagabalo81 e sono localizzabili nell’angolo orientale della città, che prendeva il nome da un antico tempio di Spes. Comprendevano grandi aule di rappresentanza, un circo lungo quasi 600 metri, il piccolo anfiteatro detto Castrense (fig. 5), un lungo corridoio carrabile che passava tra l’anfiteatro e il palazzo. Tra le aule di rappresentanza ne va ricordata una adia-cente al corridoio, ma soprattutto quella che forse serviva d’ingresso al palazzo imperiale e che Elena – o Costantino – trasformò nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme82. L’estensione originaria degli horti doveva essere assai più vasta del settore compreso all’interno delle mura Aureliane, che disegnano un evidente gomito al fine di comprendere il cuore monumentale del complesso, ma che tagliano fuori due terzi del circo, distrutto in quell’occasione.

Come s’è detto, invece, la ripresa dell’interesse imperiale per quest’area si deve a Costan-tino: il palazzo Sessoriano, da lui riorganizzato e ristrutturato, verrà utilizzato almeno fino a Teodorico83.

Osservazioni conclusive

Dopo questa panoramica, nella quale si sono evidentemente lasciate da parte molte questioni di dettaglio e attestazioni minori, è opportuno tentare qualche osservazione sintetica sulla proprie-tà imperiale degli horti nel suo complesso.

Come si è visto, i primi horti a entrare nella proprietà imperiale sono quelli di Mecenate, seguiti presto da quelli Lamiani e da quelli di Sallustio. Anche quando le proprietà erano con-finanti, però, come avviene verosimilmente nel caso degli horti di Mecenate e degli Horti La-miani, le tenute storiche e le rispettive amministrazioni tendono a mantenersi autonome: non si hanno indicazioni, cioè, che facciano pensare a un loro accorpamento, il che potrebbe mettersi in relazione con quella tendenza della nobiltà romana – già osservata nel caso di fondi rurali della tarda repubblica e della prima età imperiale – ad incrementare la proprietà più attraverso la somma di entità distinte che mediante la loro fusione84.

Non necessariamente, d’altra parte, una proprietà imperiale era destinata a restare tale per sempre: gli horti di Lucullo verranno alienati dopo mezzo secolo e solo dopo il sacco di Alarico nell’area di questa antica proprietà viene installato un palazzo imperiale, ma senza che nulla ci garantisca che l’estensione originaria sia stata mantenuta o piuttosto che il palazzo non occupi che una frazione della originaria tenuta. Sugli horti di Agrippina non abbiamo notizie dopo la metà del ii secolo: l’area non sembra più interessare alla casa imperiale, il circo di Caligola e Nerone viene messo fuori uso e interrato completamente, mentre le funzioni ludiche e pubbli-che di questi giardini sembra vengano ereditate dall’area adiacente: gli horti di Domizia con la naumachia che resta in uso fino al iii secolo, se è giusta la sua identificazione con il lacus dove Filippo l’Arabo festeggiò nel 247 i mille anni di Roma, o – in ogni caso – se si può pensare a una sua collocazione in quest’area.85

L’abbandono progressivo degli horti di Agrippina dopo Nerone – dotati come s’è visto di circo, teatro e luoghi per passeggiate86 – spiega anche in buona parte le preferenze imperiali per gli horti di Domizia e soprattutto per quelli di Sallustio, più facilmente raggiungibili e che dovevano essere stati attrezzati con comfort paragonabili a quelli neroniani. Gli Horti Lamiani invece, che pure sarebbero rimasti almeno fino all’inizio del iii secolo di proprietà imperiale, non vengono ricordati con particolare attenzione.

Nel ii secolo, dunque, c’è un’inversione di tendenza rispetto all’accumulo di proprietà del secolo precedente: l’imperatore cede o si disinteressa non solo degli horti di Lucullo e di Agrippina, ma anche di quelli di Mecenate, mentre quelli di Domizia, probabilmente entrati nel demanio per normale via ereditaria, vi rimasero necessariamente in quanto ospitavano la sepoltura dinastica.

95i giardini imperiali di Roma

Con i Severi si apre un nuovo polo di interesse all’estremità orientale di Roma, quello degli Horti Spei Veteris, che però verranno valorizzati al massimo solo a partire da Costantino, quan-do vi si insedia la residenza del Palatium Sessorianum. Poco significativa sembrerebbe invece la parentesi degli horti dell’imperatore Gallieno sull’Esquilino.

L’erezione delle mura di Aureliano dovette infliggere una profonda ferita non solo agli Horti Spei Veteris, ma più in genere a tutta la fascia periferica orientale: prova ne è la gran quantità di materiale scultoreo – spesso di notevole livello qualitativo – riutilizzato in frammenti come materiale edile all’interno di murature successive ad Aureliano rinvenute in numerose occasioni su tutto l’Esquilino e sul Celio87.

Un’ultima osservazione può infine riservarsi al tipo di uso di questi parchi: le fonti sono alquanto avare e non ci permettono di vedere chiaramente quanto essi fossero integrati nel tes-suto urbano e nella vita quotidiana. Da quel poco che si è evidenziato sembra però di capire che questi giardini non dovevano essere considerati come proprietà esclusiva e gelosa degli impera-tori, inaccessibile alla popolazione. Piuttosto doveva esservi un certo grado di permeabilità: vi si trovavano infatti edifici di spettacolo e le fonti insistono sulla differenza tra la vita che l’impera-tore conduceva negli horti rispetto a quella del palazzo: ossia – sembra di capire – più chiusa e riservata quest’ultima, più aperta invece la prima all’incontro con le masse durante gli spettacoli e con l’élite in forma privata. Gli horti, dunque, non dovevano essere intesi esclusivamente come privilegio imperiale, ma piuttosto dobbiamo riconoscere in essi una certa funzione socia-le, in quanto rappresentavano una qualche forma di apertura dell’imperatore verso i cittadini, favorendone l’incontro in forme meno rigidamente cerimoniali. È evidente che dal iv secolo in poi, quando la presenza imperiale a Roma diventa eccezionale e di breve durata e il cerimoniale subisce un fortissimo irrigidimento per distanziare nettamente l’imperatore dai suoi sottoposti, gli horti perdono tutto il loro significato e le fonti parlano ormai solo dei palatia.

Fig. 5 Anfiteatro Castrense

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96 Paolo liverani

1 Basti pensare al classico studio di P. Grimal, Les jardins romains, Paris 1943, che ha co-nosciuto tre successive edizioni, alla mostra romana Le tranquille dimore degli dei (Roma 1986) e al più recente convegno internazio-nale sugli Horti Romani (Cima-La RoCCa 1998).

2 JoRdan-HüLsen 1907, pp. 656-657; PLat-neR-asHby 1929, s.v. Horti Agrippinae, pp. 264-265; G. Lugli, s.v. Horti, in de Rug-gieRo 1895-1997, iii, pp. 1019-1020, n. 15; LugLi 1938, pp. 680-688; gRimaL 1984, pp. 141-142; CastagnoLi 1992, pp. 35-36; M. A. Tomei, s.v. Agrippinae Horti, in Suburbium 2001, pp. 37-39.

3 Seneca, De Ira, 3, 18. 4.4 Filone, Legatio ad Gaium, 181 (ed. Mangey,

ii, p. 572).5 P. Liverani, s.v. Pons Neronianus, in LTUR

1999, p. 111.6 LiveRani 1999b, pp. 21-28, 131, n. 57; P. Li-

verani, s.v. Gai et Neronis Circus, in LTUR 2005, pp. 11-12.

7 bianCHi 1999, pp. 6-11.8 Plinio, Naturalis Historia, 16, 201; 36, 74: per

l’interpretazione corretta del passo cfr. Ca-stagnoLi 1959-1960, pp. 99-100.

9 aLföLdy 1990; CIL, vi, 882, cfr. 31191; AE 1964, n. 255.

10 Svetonio, Caligula, 54, 1. Per l’interpretazio-ne del termine: LiveRani 1999b, pp. 27-28.

11 D. Palombi, s.v. Amphitheatrum Neronis, in LTUR 1993, p. 36.

12 Svetonio, Claudius, 21, 6.13 Plinio, Naturalis Historia, 37, 19; LiveRani

2000-2001.14 Svetonio, Nero, 21, 1; Tacito, Annales, 15,

33, 1.15 Ivi, 38.16 Cassio Dione, Historia Romana, 62, 18, 1.17 Tacito, Annales, 15, 39, 3.18 Plinio, Naturalis Historia, 37, 19.19 Tacito, Annales, 15, 39, 2.20 Ivi, 15, 44, 4-5.21 Svetonio, Nero, 22; Tacito, Annales, 14, 14,

1-2.22 AE 1945, n. 146.23 Per le evidenze relative alle necropoli cfr.

Esplorazioni 1951; vaananen 1973; mieLsCH-von HesbeRg 1986 e 1996; LiveRani 1999b; steinby 2003; LiveRani-sPinoLa 2006.

24 JoRdan-HüLsen 1907, pp. 662-667; PLat-

neR-asHby 1929, s.v. Horti Domitiae, p. 267; G. Lugli, s.v. Horti, in de RuggieRo 1895-1997, iii, pp. 1020-1021, n. 16; LugLi 1938, pp. 690-692; andReussi 1978-1979; gRimaL 1984, pp. 143-144; M.A. Tomei, s.v. Domi-tiae Horti, in Suburbium 2001, pp. 201-203; Idem, in Carta 2005, pp. 107-108.

25 P. Liverani, in Suburbium 2001, pp. 15-19, s.v. Aelii Hadriani Sepulcrum.

26 CIL, xv, 7508; P. Baccini Leotardi, s.v. C. Crispi Passieni praedium, in Suburbium 2001, pp. 169-170. 148-177; Carta 2005, n. 177.

27 CIL, vi, 16983, cfr. 34106c; Carta 2005, Ap-pendice i, n. 4.

28 Devo il suggerimento all’amicizia e alla com-petenza di François Chausson.

29 di vita-ÉvRaRd 1987a e 1987b; 1989; 1999.30 Su tutta la situazione andReussi 1978-1979;

taLamo 1983, pp. 21-26; M. A. tomei, in Carta 2005, pp. 107-108.

31 HüLsen 1903, pp. 360-374; buzzetti 1968; M. A. Tomei, s.v. Gaianum, in Suburbium 2001, pp. 12-13; Idem, in Carta 2005, pp. 61-62 e nn. 69, 77-78, 85-86, 95, 98, 104, 107, 114, 12, 126-129, 134, 144.

32 Procopio, De bello gothico, 2, 1, 5-6 (trad. it. Comparetti).

33 buzzetti 1968 l’identifica con il Gaianum, che tuttavia – secondo Cassio Dione, Histo-ria Romana, 59, 14, 6 – era uno spazio aperto utilizzato da Caligola per esercitarvisi con la biga, ma non meglio definito da un punto di vista monumentale (χωριον), dunque qual-cosa di assai differente dalle strutture qui discusse, che inoltre per la tecnica edilizia non possono risalire a quest’imperatore. Per un’interpretazione del Gaianum alternativa a quella corrente cfr. LiveRani 1999a, pp. 32-34; LiveRani 2000.

34 vaLentini-zuCCHetti 1940, pp. 144, 182. L’interpretazione è di HüLsen 1903, pp. 360-374.

35 C. Buzzetti, s.v. Naumachia Traiani, in LTUR 1996, pp. 338-339; Idem, s.v. Naumachia Philipporum, ivi, p. 338.

36 Scriptores historiae Augustae, Aurelianus, 49.

37 vaLentini-zuCCHetti 1940, pp. 145, 182.38 H. Broise, V. Jolivet, s.v. Horti Lucullani,

in LTUR 1996, pp. 67-70; bRoise-JoLivet 1998.

39 Frontino, De aqueductu Urbis Romae, 22, 2.40 KasteR 1974; PaRLasCa 1988.41 Archivio di Stato di Roma, Ministero Lavori

Pubblici, Industria, Agricoltura, Commercio e Belle Arti, b. 373, fasc. 4a (anni 1854-55).

42 vaLentini-zuCCHetti 1942, pp. 110, 172.

43 bRoise-JoLivet 1995 e 1998; bRoise-dewaiL-Ly-JoLivet 1999-2000 e 2000; JoLivet 2006.

44 LeHmann HaRtLeben-LindRos 1935; Casta-gnoLi 1972; CiPRiani 1982; feRRini-festuC-Cia 1994; P. Innocenti, M. C. Leotta, s.v. Horti Sallustiani, in LTUR 1996, pp. 79-81; taLamo 1998; innoCenti-Leotta 2004.

45 Alcune Passiones della fine del vi o dell’inizio del vii secolo (Passio s. Cyriaci, xLi, in Acta Sanctorum, Aug. ii, p. 334; Passio s. Marcelli Papae, xx, in Acta Sanctorum, Ian. ii, p. 372) collocano le thermae Salustii “via Salaria fo-ras muros”, cioè all’esterno delle mura aure-liane, ma ciò non concorda con le indicazioni degli itinerari di Einsiedeln (vaLentini-zuC-CHetti 1942, pp. 184, 185) e può forse essere spiegato come un’estensione del toponimo più importante anche all’area al di fuori della cinta, certamente meno connotata.

46 Cassio Dione, Historia Romae, 66, 10, 4 (trad. A. Stroppa).

47 Chronicon anni 354, 146 M; Hieronymus, Chronicon ab Abr. 2395, 353 M.

48 Scriptores historiae Augustae, Aurelianus, 49.

49 innoCenti-Leotta 2004, pp. 184-187.50 Panegirico, xii (ix), 14, 4.51 Procopio, De bello vandalico, 1, 2, 24.52 Passio s. Susannae, 4-5, in Acta Sanctorum,

Aug. ii, p. 632 (fine vi - inizi vii secolo); Pas-sio s. Maximis comitis et soc., 11-12, in Acta Sanctorum, Febr. iii, p. 64.

53 Passio s. Polychronii, 4, in Acta Santorum, Aug. ii, p. 518 (metà vi secolo); “Analecta Bollandiana”, 51, 1933, p. 88, cap. 22; p. 90, cap. 26; p. 98, cap. 35.

54 LiveRani 2003, p. 158. Contra G. De Spiri-to, s.v. Palatium Salusti, in LTUR 1999, pp. 46-48.

55 innoCenti-Leotta 2004, pp. 156-176; cfr. anche ofenbaCH 1997.

56 botti-RomaneLLi 1951, nn. 28, 31-33; gRe-nieR 1989, pp. 21-33; taLamo 1998, pp. 130, 142-143.

57 M. de Vos, in boL 1994, pp. 462-465, n. 546, tavv. 274-275; LiveRani 1999a, p. 58.

58 PouLsen 1951, n. 187; J. Lund, in Roma 2002, pp. 361-364, n. 65.

59 d’onofRio 1992, pp. 355-368; J.-C. Gre-nier, s.v. Obeliscus: horti Sallustiani, in LTUR 1996, p. 358.

60 vaLentini-zuCCHetti 1942, p. 193.61 innoCenti-Leotta 2004, pp. 181-183.62 HäubeR 1990; Idem, s.v. Horti Maecenatis, in

LTUR 1996, pp. 70-74.63 Orazio, Satyrae, 1, 8, 7-15.

97i giardini imperiali di Roma

64 Svetonio, Tiberius, 15.65 Tacito, Annales, 15, 39.66 Svetonio, Nero, 38.67 Frontone, Epistulae, 1, 8; CIL, xv, 7438; W. Eck,

s.v. Domus: M. Cornelius Fronto, in LTUR 1995, p. 87.

68 Roma 1986; HäubeR 1990; M. Cima Di Puolo, s.v. Horti Lamiani (2), in LTUR 1996, pp. 61-64.

69 Svetonio, Caligula, 59.70 CIL, vi, 7333.71 Coates-stePHens 2001, p. 237, n. 26.72 Scriptores historiae Augustae, Gallienus, 17, 8.73 S. Rizzo, s.v. Horti Liciniani, in LTUR 1996, pp.

64-66; Cima 1998; guidobaLdi 1998; F. Guido-baldi, s.v. Sessorium, in LTUR 1999, pp. 304-308; Cima 2000; guidobaLdi 2004, pp. 42-43.

74 Scriptores historiae Augustae, Gallienus, 18, 2-3.75 CIL, vi, 1106.76 Liber Pontificalis, 49, 1: Simplicio fu papa negli

anni 468-483, la redazione finale del testo è del-l’inizio del vi secolo.

77 mombRitius 1910, vol. i, p. 489.78 Rizzo e Cima, s.v. Horti Liciniani, in LTUR 1996.79 Guidobaldi, s.v. Sessorium, in LTUR 1999, pp.

304-308;. Questo autore propone anche che ini-zialmente l’area del ninfeo possa rientrare negli Horti Pallantiani, ma – contrariamente a quanto normalmente si ritiene (D. Mancioli, s.v. Horti Pallantiani, in LTUR 1996, p. 77) – le fonti impon-gono di cercare questi giardini assai più a sud-est: o immediatamente a nord-ovest dell’Anfiteatro Castrense o, meglio, subito fuori Porta Maggiore. Secondo i Cataloghi Regionari, infatti, questi horti si trovavano tra la Coorte ii dei Vigili e l’Anfitea-tro stesso (vaLentini-zuCCHetti 1940, pp. 105, 170), mentre Frontino, descrivendo il percorso degli acquedotti a partire dalla loro sorgente, li colloca prima del punto in cui la Marcia versa una parte della sua acqua nel rivus Erculaneus (19, 8), prima del castellum terminale della Claudia (20, 2) e prima del punto in cui la Claudia versa una parte della sua acqua nella Giulia (verosimilmente a Porta Maggiore).

80 Anche le indicazioni tarde degli scoliasti di Ora-zio, che definiscono la Porta Esquilina come quel-la in qua est Sessorium (Pseudo-Acrone, in Ora-zio, Satyrae, 1, 8, 14; Scholia Cruquiana, p. 264) oppure ad Sessorium (Pseudo Acrone, in Orazio, Epodi, 5, 100; Scholia Cruquiana, p. 386), vanno interpretate come indicazioni di massima relative alla porta “dalla quale si va al Sessorium” o “verso il Sessorium”, inteso come il riferimento topogra-fico più noto che si incontrava uscendo da quel lato della città, senza dover necessariamente ipo-tizzare che immettesse direttamente nell’area del palazzo imperiale.

81 Scriptores historiae Augustae, Heliogabalus, 13;

CoLini 1955; F. Coarelli, s.v. Horti Spei Veteris, in LTUR 1996, p. 85; CoLLi 1995 e 1996; PateRna 1996; CoLLi-PaLLadino-PateRna 1997; baRbeRa 2000.

82 Corpus Basilicarum 1937, pp. 165-194; bRanden-buRg 2004, pp. 103-108, 282-283.

83 Anonymus Valesianus, 12, 69: Monumenta Ger-maniae Historica, Chronica minora, i, p. 324.

84 CaPogRossi CoLognesi 1981a, pp. 255-257.85 Aurelio Vittorino, Liber de Caesaribus, 28, 1; cfr.

nota 35.86 Lo xystus citato da Seneca, De Ira, 3, 18, 4.87 Coates-stePHens 2001.