n° 67 anno XXIV - aprile 2009

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APRILE 2009 ANNO XXIV EREMO DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO BIENNO (BS) 67 LETTERE DALL’EREMO

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APRILE 2009

ANNO XXIV

EREMO DEISANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO

BIENNO (BS)

67LETTEREDALL’EREMO

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LETTEREDALL’EREMODirettore ResponsabileDon Gabriele Filippini

Autorizzazione n. 4/89del Tribunale di Brescia

EREMO DEI SANTI APOSTOLIPIETRO E PAOLO25040 BIENNO (Brescia)Telefono 0364/[email protected]

ABBONAMENTO:Ordinario € 30,00Sostenitore € 50,00C.C. Postale n. 17738253int. a Alma Tovini Domus

Stampa: Tip. Camuna S.p.A. - BrenoTel. 0364/22007

Si ringrazia la

che, condividendone le finalità, contribuisce alla stampa e spedizione di questa rivista.

Dall’Eremo Tra fede e testimonianza pag. 03Vicini nella gioia e nella preghiera

a mons. Beschi pag. 05 Buona strada, vescovo Francesco pag. 07Ieri “Bollettino Parrocchiale”, oggi… pag. 09

Chiamati alla santità pag. 10

Mons. Beschi, dagli anni verdi a vescovo di Bergamo pag. 12

La memoria che vive pag. 14I cento anni della Tipografia Camuna pag. 18Il Consultorio sul fronte impegnativo

della prevenzione pag. 20Strada e ferrovia pag. 21

Intellettuali napoleonici camuni pag. 22

Santa in una terra di santi pag. 32

La realtà della Fondazione della Comunità Bresciana pag. 44

Ascolta… piccolo uomo pag. 49Giorgio Gaioni pag. 50150 anni delle Terme pag. 52Conventi nella Lombardia alpina pag. 54

I cento anni di Matteo Re pag. 56

Dal MonasteroDalla Valle

StoriaPersonaggi e Tempi

Istituzioni

Letture

Testimonianze

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Il Convegno della Chiesa italiana a Ve-rona1 ha ribadito l’urgenza della testimo-nianza personale e comunitaria.Se è vero che la Chiesa sta riscoprendo, oggi, la propria identità dentro l’oriz-zonte della missione, di un nuovo an-nuncio del Vangelo all’uomo di oggi, la testimonianza ne diventa via privilegiata. “Mostrare il ‘sì’ di Dio tocca le fonda-menta stesse della Chiesa… Per que-sto, la via della missione ecclesiale più adatta al tempo presente e più compren-sibile per i nostri contemporanei prende la forma della testimonianza personale e comunitaria: una testimonianza umile e appassionata, radicata in una spiritua-lità profonda e culturalmente attrezzata, specchio dell’unità inscindibile tra una fede amica dell’intelligenza e un amore che si fa servizio generoso e gratuito”.2 Una testimonianza da pensare rispetto an-zittutto al tempo che viviamo. A riguardo suonano ancora attualissime le parole del teologo Karl Rahner: “la spiritualità del fu-turo non sarà più sostenuta socialmente… da un ambiente cristiano omogeneo; essa dovrà vivere, molto più che fino ad oggi, in forza di una personale e diretta esperienza di Dio e del suo Spirito.Oggi la fede cristiana, e quindi la spiri-tualità, vanno vissute in prima persona

dentro un mondo secolarizzato, nella di-mensione dell’ateismo, nella sfera di una razionalità tecnico-scientifica.In tale contesto la responsabile del sin-golo nella sua decisione di fede è neces-saria e richiesta in maniera più radicale che in passato”.3 Certamente la necessità di dare senso alle cose del mondo innesca nella per-sona la ricerca di ‘qualcosa’ che possa venire riconosciuto quale ‘misura’ del suo giudicare ed è esattamente ‘ciò’ che egli ‘testimonia’, manifesta.Con la sua vita, dal suo modi di vestire - di parlare - di affrontare le varie vicende

TRA FEDE E TESTIMONIANZA

Dall’Eremo

Incontro al risorto

1 ‘Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo’ - 16-20 ottobre 20062 CEI – ‘Rigenerati per una speranza viva’ (1Pt 1,3): testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo’Nota dell’episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale, 29 giugno 2007, n.113 Rahner Karl, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in Goffi T.-Secondin B (edd.), Problemi e prospettive di spiritualità – Queriniana, Brescia 1980, pg 437-438

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dell’esistenza, la persona rende presente ciò che ha scelto come ‘misura’ del pro-prio vivere. Il testimone è, dunque, colui che sta tra una verità che merita di essere ricordata e il destinatario al quale si vuol far giungere la verità stessa.A questo punto il cristiano non può non chiedersi quale è la verità che è essenziale rendere manifesta?La risposta non può che essere una: il cri-stiano è testimone della grande verità che la fede è un vantaggio per la vita.Ecco cosa ‘dice’ il credente: egli testimo-nia che credere in Gesù di Nazareth in-crementa la qualità della vita umana; che credere è una possibilità in più; che solo in Dio l’uomo può incontrare se stesso; che solo aprendosi al Vangelo può meglio dare un nome ai desideri che porta den-tro; che solo accogliendo Gesù Cristo può fare pace con il proprio limite e le proprie fragilità; che solo in questo incontro con l’Altro riesce ad esprimere le potenzialità di bene, di bello, di buono che sono in lui; che solo in questo ‘patto’ riconosce e resiste al male visto come impoverimento della mia umanità, del mio essere uomo.Credere, insomma, è il modo più umano per prendermi cura della mia esistenza!Accogliere così il Vangelo è essere te-stimone: una vita guidata dalla bellezza della fede è una vita che sarà trasparenza di essa. L’esposizione nella vita concreta che la fede è davvero un vantaggio per la mia vita… si fa qualità della scelta stessa del Vangelo.Dentro questo orizzonte si devono fare, poi, i conti con i destinatari della testimo-nianza cristiana. Destinatari molti dei quali non ritengono che la fede sia un vantaggio per la vita e

che nulla di buono e di bello possa essere tratto dall’incontro con il Vangelo.Non negano nulla della fede del credente … semplicemente… scelgono altro come riferimento per la propria esistenza. Destinatari molti dei quali non provano più nulla nei confronti della vita stessa e sono caduti in quella condizione che indichiamo di apatia, indifferenza, ‘de-pressione’. Spesso, tra i credenti, si pensa che tutto sommato è abbastanza semplice ‘venire alla fede’ o compiere un cammino di ‘ritorno alla fede’.Non si ha, molte volte, coscienza della fa-tica che la fede richiede proprio partendo dalle condizioni prima dette.Vivere da cristiani, plasmare la propria vita secondo i sentimenti di Cristo implica il generare dentro alcuni atteggiamenti verso di sé, verso gli altri, verso Dio che non sempre appaiono immediatamente vantaggiosi per la vita stessa.D’altra parte il cristiano, ricco della sua umanità proprio nell’incontro con Cristo, è un uomo libero! Libero di incontrare e amare il suo Signore.E la testimonianza si fa ancora più forte e decisa perché il credente da libero si mostra appassionato di Dio.E dire con la vita che si è uomini liberi… questo sì… prende e fa pensare l’altro che mi cammina a fianco.Da Verona, allora, i credenti hanno ri-cevuto l’invito a trovare dentro le espe-rienze ordinarie, soprattutto da laici, “l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infinito di Dio” , con cui insegnare agli uomini e alle donne di oggi la via della libertà.

DON RENATO MUSATTI

4 CEI – ‘Rigenerati per una speranza viva’ (1Pt 1,3), 12

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VICINI, NELLA GIOIA, NELLA PREGHIERA E NELL’AUGURIO A MONS. FRANCESCO BESCHI

Dal 15 marzo mons. Francesco Beschi è Vescovo di Bergamo a tutti gli effetti. La diocesi di Brescia si è sentita onorata per la scelta, pur nella constatazione di un diffuso rammarico nel perdere un punto di riferimento importante qual era quello di mons. Beschi nel suo ruolo di Vescovo ausiliare e Vicario generale. Ma le ragioni della soddisfazione sono certamente superiori a quelle del malin-conico distacco.Infatti, in questi tempi di crisi della fede, di forte scristianizzazione e se-

colarizzazione, di attacchi grossolani alla Chiesa, di demotivazioni pastorali e missionarie, di calo delle vocazioni questa nomina è segno di speranza per-ché viene a parlare della vitalità delle Chiese lombarde. Quella delle diocesi di Lombardia è una storia molto positiva nella quale emerge che i valori cristiani hanno contribuito a formare la civiltà delle popolazioni di questa regione e la Chiesa ha camminato fianco a fianco della gente influenzandola nella scelta dell’onestà, del bene comune,

Dall’Eremo

Mons. Francesco all'Eremo con don Renato

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nel creare opere di carità e solidarietà. La vitalità delle Chiese lombarde è stata ammirevole anche grazie allo scambio di risorse personali e istituzionali quali famiglie religiose sorte in una città e tra-piantate in tante altre, e pastori passati da una diocesi all’altra. Bergamo ha donato a Brescia grandi Ve-scovi: mons. Gerolamo Verzeri per un trentennio nel secondo Ottocento e nel Novecento mons. Luigi Morstabilini e mons. Bruno Foresti. Ora Brescia dona mons. Beschi a Ber-gamo: continua una storia di fede e di civiltà dell’amore che ci conforta e in-fonde fiducia in questa stagione storica complessa e complicata. Ma vi è una seconda ragione per gioire di questa nomina. Chi ha conosciuto mons. Beschi sa quanto fede cristiana e umanità possono armo-nizzarsi fra loro. Mons. Beschi è persona amabile, equilibrata, buona, sensibile, pa-cata anche quando deve affermare verità che possono spiacere. Amante della musica e lui stesso musi-cista è attento ai tempi, ai fatti, agli av-venimenti. Rispettoso di tutti, sa ascoltare tutti: dai più alti vertici istituzionali all’umile fe-dele sconosciuto che chiede di incon-trarlo. La sua affabilità lo porta a piacere molto ai bambini che capiscono sempre quanto comunica. Ma sa parlare anche ai giovani, agli anziani e agli adulti di elevata cul-tura. Ha anche quel pizzico di ironia e di hu-mor, anche con se stesso, che è segno di intelligenza e umiltà. Mons. Beschi saprà essere un buon pastore proprio perché ha un bagaglio di virtù umane che spiane-ranno la via alla sua azione episcopale. Vi è, poi, una terza ragione che può por-

tare ad essere lieti di questa nomina: mons. Beschi, nel suo lungo impegno per la famiglia, le coppie, gli sposi e nella sua azione al Centro pastorale Paolo VI, so-prattutto in qualità di Vicario episcopale per i laici, è un pastore che ha stima del laicato: ne conosce l’alta vocazione, il va-lore, le potenzialità, la missione. Per una realtà come l’Eremo dei Santi Pietro e Pa-olo in Bienno, nato anche per sostenere e alimentare la spiritualità, l’impegno e la formazione dei laici è confortante sapere che il pastore dell’importante diocesi ber-gamasca parte nel suo ministero con uno sguardo attento al laicato, con una cono-scenza singolare di gruppi, movimenti, aggregazioni, associazioni. A Brescia ne ha conosciuto la storia, ne ha apprezzato il carisma, ne ha promosso la presenza. A Bergamo potrà ancor meglio essere, oltre che un padre per i presbiteri, un maestro e una guida per i laici. E il pensiero dei laici, anche in relazione all’Eremo, ci induce infine a pensare ad una quarta ragione per essere: è sempre stato, lui originario della città, vicino alla Valle. Diventa, allora, spontaneo il ri-cordo della sua presenza, fin da giovane, nel Consiglio di amministrazione di Villa Luzzago a Ponte di Legno, le feste di Natale e la settimana santa trascorse ad Angolo Terme, la sua frequente presenza all’Eremo per svariate iniziative. Siamo certi che i monti della Val Seriana e della Val Brembana, non cancelleranno in lui il ricordo della Valle Camonica, della sua gente, della sua storia, del suo Eremo. La Chiesa vive anche di questa comu-nione che non conosce confini né usura del tempo.

DON GABRIELE FILIPPINI

(Direttore Responsabile di “Lettere dall'Eremo)

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BUONA STRADA...VESCOVO FRANCESCO!

Carissimo Vescovo Francesco,ti abbiamo salutato in occasione dell’ul-timo incontro di spiritualità-giovani all’Eremo, quando già la tua partenza per Bergamo era ‘imminente’. Abbiamo gustato, assaporato, custodito gelosamente le meditazioni, le riflessioni, le preghiere, “in una parola”, i ricordi, di questi splendidi incontri spirituali men-sili, attraverso i quali ci hai condotto per mano e fatto conoscere gli aspetti più inusuali e sconosciuti della Parola di Dio. Hai tratteggiato il volto di San

Giuseppe, come mai nessuno ci aveva di-pinto, hai illustrato il rapporto tra il "gio-vane posseduto" del Vangelo di Marco ed il padre, in maniera sorprendente… Passo dopo passo, con te, Vescovo Fran-cesco, abbiamo approfondito, letto, mediato, pregato la Parola e ci siamo scoperti giovani di Parola… Nel nostro cuore resterà a lungo il ricordo dell’ul-timo tuo dono: hai riletto, rimodellato, drammatizzato per noi la parabola del Figliol Prodigo e mentre ti ascoltavamo, incantati, pensavamo a come, tu, questa

Dall’Eremo

Mons. Beschi durante la festa del Ringraziamento

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misericordia infinita del Padre l’avevi di certo sperimentata ed ora la “regalavi” anche a noi… Quasi ci sembrava di av-vertire l’abbraccio benedicente di Dio… È ancora vivo in noi il timore con cui, una sera della Quaresima 2008, in Cattedrale, al termine della Scuola della Parola, ti abbiamo preso da parte ed, intimoriti, ti abbiamo chiesto il “regalo” di venire in Valle Camonica per condurre gli incontri di spiritualità-giovani e tu, senza remore né perplessità alcuna, ci hai risposto con il tuo disarmante sorriso: “E perché no? Si può fare! Il prossimo anno sarò da Voi!”E quest’anno, puntuale, ogni mese ti pre-sentavi silenzioso in chiesa all’eremo: incontravamo il tuo sguardo mite, il tuo sorriso luminoso, le tue mani aperte, ma soprattutto il tuo cuore capace di ascolto, di comprensione per ciascuno e per tutti… Quando ti abbiamo salutato in Cattedrale a Brescia (giovedì 5 marzo 2009), in prossimità dell’ingresso nella diocesi orobica, ci ha ricordato ancora una volta che vale la pena vivere di Cri-sto e per Cristo e per lui vale sempre la pena scommettere la vita, giocare fino in fondo la nostra quotidianità! Ci hai chie-sto di continuare a rimanere nella chiesa pietre vive, donando alla chiesa la nostra vita e la nostra vocazione di laici ed an-cora una volta hai dimostrato che per te la collaborazione tra clero e laicato è la vera forza motrice della chiesa, anzi ne è la speranza. Caro Vescovo Francesco, (proprio tu hai voluto essere chiamato amichevolmente così e spesso ci hai fatto notare che preferivi il “don Francesco”, quasi ad evidenziare che il cuore del tuo ministero sta nel sacerdozio), con te ab-biamo ascoltato, pregato la Parola, spez-zato il Pane dell’Eucaristia e ti abbiamo avuto vicino, quasi complice, nelle varie adunate giovanili (da ultimo la tua pre-

senza al Guglielmo per la GMG 2008 da te fortemente voluta per permettere anche a chi non era a Sydney con il Santo Pa-dre di assaporare quel clima e di vivere l’esperienza). Ci mancherai, è vero, ne abbiamo avuto la piena consapevolezza al momento del saluto, ma siamo convinti che il tuo esempio, la tua sapiente guida, il tuo servizio umile alla chiesa bresciana ci sarà di sprone ed ora diverrà il più bel dono alla e per la chiesa bergamasca.Salutandoci, ci hai confidato che con i giovani stavi bene perché “i giovani con-servano il gusto del bene, del bello, del santo e del vero e lo sanno riconoscere in chi lo testimonia in maniera credibile”. E tu, Vescovo Francesco, ce lo hai, con semplicità, senza vanagloria, senza or-pelli, fortemente e tenacemente testimo-niato. In te abbiamo incontrato un TE-STIMONE CREDIBILE DI CRISTO! BUONA STRADA VESCOVO FRAN-CESCO e che il Signore ti accompagni, illumini il tuo cammino, ti custodisca e ti aiuti a guidare la chiesa bergamasca come hai fatto in mezzo a noi, come no-stro Vescovo ausiliare. Noi ti assicuriamo la preghiera e ti facciamo una promessa: quando passeremo da Bergamo e osser-veremo stagliarsi in alto, sul colle, la cu-pola della cattedrale penseremo a Te con la certezza che tu penserai a noi…Buon cammino!

I GIOVANI DELLA VALLE CAMONICA

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Corso per animatori della comunica-zione e della cultura, all’Eremo durante il mese di febbraio, con lo scopo di aiutare i “giornalisti” dei nostri bollettini a tra-sformarli in “Giornali della Comunità”. Giornali ormai a pieno titolo e di grande importanza proprio perché della comunità, del paese, del borgo, del quartiere che si identificano, religiosamente, ecclesial-mente e culturalmente con la parrocchia. Giornali che giungono in tutte le famiglie, anche in quelle non credenti e per queste ultime, forse, unico collegamento con la loro chiesa locale. Organizzati dall’Ufficio delle comunicazioni sociali gli appunta-menti sono stati introdotti da don Adriano Bianchi, massimo responsabile del setti-manale diocesano “La Voce del Popolo” partendo dal racconto dell’avventura ate-niese di Paolo all’areopago (At 17, 22-34). Bianchi prende lo spunto dall’anno paolino per sottolineare come l’Apostolo (giornalista “ante litteram”) tenti subito un aggancio con gli ascoltatori, cogliendo le domande e catturando l’attenzione. Entra quindi nel merito con un intervento sulla necessità di un giornale della comunità cui segue nel primo incontro la relazione di Claudio Baroni Vice direttore del Gior-nale di Brescia su: “Il giornale della co-munità, voce autorevole del territorio”. Nel successivo incontro don Giuseppe Mensi parla del parroco e delle oppor-tunità offerte dal giornale per pensare e promuovere l’azione pastorale e Angelo Onger della “regia redazionale”. E’ quindi

la volta di Massimo Tedeschi, giornalista del “Bresciaoggi” che reca un contributo su “Struttura di un giornale ed organizza-zione redazionale: figure, compiti, respon-sabilità”. Conclude la terza tornata un al-tro Massimo, questa volta però Venturelli, giornalista di “Voce del Popolo” secondo cui è urgente pensare e mettere in pratica stili di comunicazione e linguaggi che consentano al giornale d’esser recepito come tale. Le regole auree sono: sempli-cità, parole di uso comune, conoscenza del pubblico. La sfida delle sfide - conclude Venturelli - che dovremmo assumere an-che nei linguaggi adottati, sarebbe quella di fare della religione un evento sconvol-gente. La conclusione degli incontri tocca al Prof. Castrezzati sull’importanza del di-segno grafico e a Federico Natali con un precisa collocazione delle norme relative alla stampa dei nostri non più bollettini parrocchiali, ma ora (un poco alla volta se non subito) giornali della comunità.

LUIGI DOMENIGHINI

IERI BOLLETTINO PARROCCHIALE, DOMANI GIORNALE DELLA COMUNITÀ

Dall’Eremo

Ieri bollettini parrocchiali

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Possiamo forse giustamente pensare che la nostra Valle, piccola e sperduta, sia cara agli occhi di Dio. Ancora una volta, infatti, la Chiesa proclama santa una delle sue fi-glie. Con il 26 aprile, infatti, si aggiunge alla schiera delle sante anche la biennese Caterina Geltrude Comensoli.Vogliamo lasciarci provocare da queste donne e uomini, che con noi condividono non solo l’umanità, ma anche l’orizzonte fisico, quello di monti, fiume e torrenti, boschi, case, chiese e campanili? Alzare lo sguardo e sentire (bruciante?) nel cuore la domanda: se lei/lui, perché non anch’io? Questa è la vera provocazione di ogni ca-nonizzazione e beatificazione: mostrare che uno di noi, uno proprio come noi, è entrato, attraverso la porta del Vangelo, che Gesù dice essere stretta, nel Regno promesso. Un Regno che è possesso dei poveri, di quanti sono afflitti, dei miti e degli operatori di pace, dei misericor-diosi, di quelli che cercano, senza tregua e senza lasciarsi scoraggiare, di realiz-zare la volontà di Dio anche sulla terra e non si rassegnano a contemplarla solo nel cielo, per questo affrontano lieti an-che qualche persecuzione, perché ciò a cui anelano può essere pagato (e sarà un prezzo comunque scontato, tanto è grande il suo valore) con un po’ di sofferenza. In fondo, se pensiamo alle vite dei santi che cosa c’è di tanto particolare, se non uno sguardo rivolto costantemente a Gesù, tanto che un po’ alla volta la sua vicenda (l’essenza della sua vita) è diventata anche la loro? E che cosa c’è di tanto diverso

CHIAMATI ALLA SANTITA'

dal cammino (che dovrebbe essere quello) di ogni cristiano? Molto poco. Forse solo le occasioni concrete in cui è chiesto a ciascuno di riflettere il volto di Gesù, di rendere concreto il suo modo di rivelare l’amore del Padre. I santi (coloro che sono guidati dallo Spirito) del medioevo, come Chiara e Francesco, l’hanno fatto, per il loro tempo, in cui il denaro e la nobiltà avevano un’importanza eccessiva e di-sgregante, richiamando l’attenzione sulla povertà (ontologica) di Gesù il Cristo, il Figlio di Dio che per noi si è fatto uomo. Santa Caterina Geltrude e la beata An-nunciata, nell’ottocento, si sono fatte ca-rico della miseria di tanti (e soprattutto di

Bienno, Casa Natale di S. Geltrude Comensoli

Dal Monastero

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1 Lumen Gnetium, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, documento del Concilio Ecumenico Vaticano II, cap.5: L’universale chiamata alla santità, n.39

Dal Monastero11

tante), cercando di riscattarla, riportando almeno, pur nella povertà, la dignità. E soprattutto hanno aiutato a scorgere, an-che nelle ristrettezze più acute, il volto di Gesù, che conosce, soccorre, condivide in un amore che non viene mai meno. Così gli altri beati di casa nostra. Forse proprio questo intendeva Giuseppe Tovini quando affermava che senza la fede i no-stri figli non saranno mai ricchi, e con la fede non saranno mai poveri: uno sguardo continuo a Gesù autore e perfezionatore della fede, come lo descrive la lettera agli Ebrei.Non sempre è facile scorgere nei sentieri, spesso tortuosi della quotidianità, i tratti del volto di Cristo. Non è facile per nessuno, non lo è stato neppure per coloro che oggi la Chiesa ci indica come santi. Basta leggere le loro biografie per farsi anche solo una pallida

idea di quali difficoltà, incomprensioni, durezze hanno dovuto affrontare. Per tutti e per ogni tempo rimangono come bussola e come cartina geografica il cuore di Gesù e il suo Vangelo. Un cuore che contempliamo trafitto per noi e per la nostra salvezza e un (IL) Van-gelo, la buona notizia che, in una storia concreta, ci testimonia la determinazione di Gesù a svelare quanto siamo preziosi per il Padre suo.Tutto qui? Il materiale di base, sì, è tutto qui. A portata di ciascuno, perché, come ci ricorda la Lumen Gentium1 tutti nella Chiesa sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’apostolo (Paolo) “Certo la volontà di Dio è questa, che vi santifi-chiate... e Lui, con il suo Spirito, è sempre in azione...e c’è sempre spazio!

LE SORELLE CLARISSE

Lettere dall'EremoAUGURA

ai suoi lettori

una Santa Pasqua di resurrezione

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Incontro per la prima volta il giovane se-minarista Francesco Beschi nel Settembre del 1970 in un pellegrinaggio che le classi di prima e seconda Teologia del nostro Seminario fanno al Santuario di Lourdes, al quale partecipo pure io, da pochi giorni chiamato in Seminario per una nuova esperienza. Mi sentivo alquanto timoroso per il nuovo incarico e con una certa curiosità osser-vavo quel bel gruppo di giovani allegri, gioviali e bene impegnati.

Non mi sfuggì, anche solo per brevi mo-menti, tra questi anche Francesco Beschi. Ebbi con lui la possibilità, dopo due anni di diventare amico di viaggio per gli ul-timi tre anni del corso teologico, decisivi per il sacerdozio.Per gli amici Francesco venne sempre chiamato “Cece” che già aveva conse-guito il diploma in violino al Conservato-rio Luca Marenzio di Brescia.Con Francesco che faceva parte di un “quartetto” musicale (due fratelli e un loro amico) ci fu un tacito consenso per

MONSIGNOR FRANCESCO BESCHIDAGLI ANNI VERDI ... A VESCOVO DI BERGAMO

Dalla Valle

La consegna del Segno e del Mandato ai giovani

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le uscite fino a tarda sera per le loro prove e concerti.L’amicizia e la stima crebbero ancora di più conoscendo la sua numerosa famiglia vivace e degna di stima e ammirazione. Ricordo un particolare di quando più tardi diventai Parroco di Villacarcina, che par-lando con un giovane di “lotta continua” andando a visitare sua mamma molto malata, ebbi occasione di parlare del suo lavoro in ferrovia a Milano. Nella conversazione dissi che conoscevo abbastanza bene il papà di Francesco, Capo Stazione di Brescia. Mi fece questo apprezzamento, lui così lontano dalla fede:”quando noi abbiamo seri motivi o personali o familiari ci rivol-giamo a papà Beschi Pietro che riteniamo essere un po’ il nostro Padre Spirituale e

apprezzato consigliere”. Don France-sco diventa Sacerdote il 7 Giugno 1975 con altri trenta compagni. La classe più numerosa di quegli anni. Ognuno per la propria destinazione. Ci si incontrerà di tanto in tanto per intensificare amicizia e esperienze. Curato al Villaggio Sereno 2 poi in Cattedrale con lo stesso compito dove ebbe la fortuna di incontrare come Prevosto Mons. Gianni Capra col quale fece un’ottima esperienza.Poi altro incarico come Direttore del Cen-tro Pastorale Paolo VI, anche delegato per la Pastorale Familiare Diocesana e pure impegnato a guidare i corsi di prepara-zione al Matrimonio. Poi la nomina a Provicario Generale quindi chiamato da Mons. Giulio Sanguineti ad affiancarlo come Vescovo Ausiliare.Si è sempre distinto nelle tante mansioni in cui ha operato. Sono convinto che la vicina Chiesa di Bergamo lo saprà apprezzare, stimare e amare. Ottima la sua calda e suadente elo-quenza da tutti apprezzata e goduta.Ebbi la fortuna di partecipare con parecchi miei parrocchiani a tre Pellegrinaggi Dio-cesani da lui guidati spiritualmente. Tutti si rimaneva entusiasti per la sua affabilità, per le sue riflessioni calde e suadenti e mettendo a proprio agio quanti con lui volessero parlare, dialogare e porre qualche problema personale.Auguro a Mons. Francesco un fecondo apostolato, carico di tante responsabilità ma anche con qualche soddisfazione. Cer-tamente pure Mons. Francesco, come ogni altra persona avrà qualche limite ma, sono profondamente convinto, che Brescia doni alla vicina Bergamo un Pastore attento, ben preparato, sensibile e ricco di fede e di umanità.

DON FRANCO RIVADOSSI

Dalla Valle13

Mons. Beschi durante l'omelia del 13 febbraio 2009, all'incontro di spiritualità dei giovani

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Dalla Valle

La “Giornata della memoria” fu istituita con Legge n. 211 il 20 luglio 2000 al fine di non dimenticare Shoah, le leggi raz-ziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deporta-zione, la prigionia, la morte.La posizione storica di questa scelta è particolarmente significativa: negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale il bisogno di memoria era subordinato alla necessità di chiarezza. Al sentimento di “rimozione” che segue e accompagna i traumi, si sostituì, con il passare degli anni, una marcata tendenza che, partita da alcune legittime richieste di “revisione” (la storia non si fa con i ma e con i se, ma è in contempo ricostru-zione, quindi soggetta ad interpretazione: negare il diritto alla rilettura sarebbe atto formalmente e culturalmente scorretto), si spinse su linee di aperto negazioni-smo, di cui abbiamo avuto una brutta dimostrazione anche recente in ambito “cattolico”. Le finalità e i modi di attuazione della Legge sono chiariti nell’Art.2: “In oc-casione del Giorno della Memoria […] sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazioni dei fatti e di riflessione, in modo partico-lare nelle scuole di ogni ordine e grado […] in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Pa-ese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.

LA MEMORIA CHE VIVE

La collocazione il 27 gennaio 1945 ri-corda l’entrata delle truppe sovietiche dell'Armata Rossa nel campo di concen-tramento di Auschwitz e, conseguente-mente, la dimostrazione formale degli orrori nazisti, precedentemente solo so-spettati. C’è da dire che la commemorazione partì in sordina, anche in virtù della scarsa o nulla messa a disposizione di finanzia-menti che potessero sostenere iniziative concrete.

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Accanto alle cerimonie ufficiali si regi-strò un coinvolgimento “tiepido” delle scuole, invitate ad esprimersi attraverso la pratica del “minuto di silenzio”, con-testata soprattutto nelle classi inferiori del sistema di formazione, per la sua dubbia efficacia educativa: sospendere le atti-vità ha senso se prima si è costruito un percorso di informazione e formazione, il simbolo deve essere riempito di signi-ficato, perché valga. Non mancarono poi le polemiche più squisitamente “partitiche”, in alcuni casi sfociate anche in piazzate di dubbio gu-sto, finalizzate a ribadire che l’orrore e le vittime andavano ricercati al di là de-gli schieramenti e dei colori. Allo scopo venne promulgata la Legge 30 marzo 2004 n. 92 con la quale “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rin-novare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopo-guerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata [...] sono previste inizia-tive per diffondere la conoscenza dei tra-gici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, conve-gni, incontri e dibattiti in modo da con-servare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a va-lorizzare il patrimonio culturale, sto-rico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il con-tributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare

le tradizioni delle comunità istriano-dal-mate residenti nel territorio nazionale e all'estero”.L’istituzione di questa seconda giornata, colta da molti come contraltare della prima, si è col tempo dimostrata, per ragioni di calendario, fortemente utile e funzionale. Si è infatti andata deline-ando la tendenza a progettare iniziative di sensibilizzazione e riflessione che, dilatando ulteriormente il periodo fino alla “Giornata della Pace”, hanno fatto di gennaio una sorta di “mese della Pace nel ricordo”. I contenuti delle diverse proposte sono spesso plasmabili e allargati, soprattutto nelle zone come la nostra in cui, nella mentalità comune, è ancora tutta da co-struire una cultura che riconosca il coin-volgimento del territorio in azioni storica-mente fondate. Non che i fatti manchino, anzi. E’ che il silenzioso bruciare delle ferite del primo periodo è stato sostituito dalla voglia di dimenticare, più che dal biso-gno di ricostruire e ricordare. Complici la scuola, che per anni ha relegato la storia del Novecento agli ultimi capitoli del libro, quelli a cui non arrivi mai, e la prudenza, che insegna che “certi argo-menti è meglio non toccarli, perché sono troppo freschi”, la generazione di adulti che non ha vissuto direttamente gli eventi ha generalmente, per questi decenni, ampi buchi di conoscenza, facilmente manipo-labili in termini negazionisti. Ben ha fatto l’ANPI di Valle Camonica a costituire una Commissione Scuola-Cultura allo scopo di sostenere l'azione degli insegnanti, fornendo loro documenti ed organizzando mostre, incontri ed altre attività. Documentare, mediare, promuovere, quindi. Un lavoro di selezione condotto

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silenziosamente negli archivi che, spesso senza clamori e riconoscimenti, da gen-naio a maggio, dalla Giornata della Me-moria al 25 aprile, si sposta nelle scuole. Qui, gratuitamente, vengono promossi in-contri con ex deportati e con partigiani, sono allestite mostre sulla deportazione ambientate in contesti diversi, sono or-ganizzati incontri di formazione nel corso dei quali alcuni storici locali forniscono documenti e proposte su Fascismo e la Resistenza, calandoli concretamente in contesto camuno. Un “qui e poco tempo fa” fondamentale per sottolineare la con-cretezza del bisogno di continuare a par-larne e ad insegnarne.La commemorazione quest’anno si è tinta di musica a Cividate Camuno dove l'Auser Insieme Camuna-Università della Libera età ha organizzato un con-certo del gruppo "Sesto Tono" con i vo-calist del coro "Hope Singers". Al centro

dell’evento musiche e canti della tradi-zione klezmer e popolare dell'Est euro-peo, inframmezzate da letture dal testo di Isaac B. Singer "Quando Shliemel andò a Varsavia". La comunità di Bienno ed alcune sale ci-nematografiche camune, hanno proposto la poetica storia d’amicizia raccontata dal film “Il bambino con il pigiama a righe”. Ancora bambini come protagonisti per l’iniziativa del Comune e della Biblioteca Comunale di Berzo Demo dove le leggi razziali e l’Olocausto sono stati presentati nel corso di una serata in cui Emanuele Turelli ha presentato "Il coraggio di vi-vere", la storia vera di Nedo Fiano, libe-ramente tratto dal romanzo "Il coraggio di vivere".Storia, documentazione, testimonianza, sensibilizzazione anche a Capo di Ponte con lo spettacolo “La memoria che vive”. La definizione "spettacolo" è di fatto ri-

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duttiva: si è trattato di una mostra - le-zione, offerta allo scopo di sensibilizzare il territorio e di formare, nei ragazzi, la voglia di testimoniare. Gli studenti della scuola secondaria, sotto la guida della prof. Zanetta e dei docenti della Commissione "Il treno della memoria", hanno raccolto e selezionato documenti, li hanno classificati e organizzati in una rappresentazione. Hanno quindi pensato un contenitore che potesse permettere di offrirli ai coetanei e al paese in una occasione di riflessione sul dramma dell'Olocausto. L'iniziativa, che ha ottenuto il patrocinio dell'Assessorato alle Attività e Beni Culturali e alla Valo-rizzazione delle Identità Culture e Lingue Locali della Provincia di Brescia, ha visto un unanime consenso di critica, per il suo

carattere semplice, ma allo stesso tempo denso di drammatica emozione. La partecipazione di pubblico è stata co-rale: oltre 180 spettatori alla prima rap-presentazione (dato di iscrizione), oltre 450, più adulti che ragazzi, per l'edizione serale (dato stimato dagli addetti al ser-vizio di vigilanza e protezione), altri 240 ragazzi l'ultima giornata (dato di iscri-zione). Il plauso va senz'altro agli inse-gnanti e a quanti hanno collaborato alla manifestazione (ANPI, Fiamme Verdi, Le Nord, Protezione Civile, Carabinieri, Am-ministrazione Comunale, personale ATA della scuola, Banda Capontina, privati cittadini, associazioni e ditte della zona) ma soprattutto agli interpreti che, nono-stante la giovane età, hanno saputo calarsi perfettamente nella parte (g.r.)*.

* Le immagini si riferiscono alla manifestazione di Capo di Ponte

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All’avvicinarsi della primavera fervono i preparativi per le celebrazioni del cen-tenario di fondazione della Tipografia Camuna, realtà aziendale valligiana che, fondata a Cividate Camuno nel lontano 6 ottobre 1909, è ormai giunta a festeggiare il primo secolo di vita. Iniziative di carattere culturale, com-merciale e religioso legate all’attività tipografica saranno al centro di un ricco e lungo calendario di eventi, organizzati dall’azienda per festeggiare questo im-portante traguardo: coronamento di quel sogno in cui, cento anni fa, i ventinove soci fondatori vollero sperare, credere ed investire.Grande l’impegno umano: sin dagli albori infatti l’attività ha gravitato attorno alla pubblicazione ed alla divulgazione della cultura e delle informazioni su tutto il ter-ritorio valligiano (la stampa del periodico “La Valcamonica”, è addirittura indicata all’Articolo 2 dell’Atto Costitutivo, re-datto nel 1909 dal notaio Daniele Tovini) oltre alla creazione di posti di lavoro.Questi sono i principi ed i valori che per un secolo hanno animato l’attività di que-sta azienda, tramandati nell’impegno di coloro che, negli anni, si sono succeduti alla guida della tipografia. Depositari di quel capitale di ricchezza morale lasciato dai fondatori, uomini for-temente ispirati ed immersi nel contesto della propria epoca, queste persone hanno saputo continuare la linea dei principi

I CENTO ANNI DELLA TIPOGRAFIA CAMUNA

tracciata dai fondatori, dagli albori della meccanica industriale sino alle recenti rivoluzioni tecnologiche, perpetrandone la volontà ed il profondo impegno etico, sociale e civile.Non meno importante l’aspetto indu-striale di questa azienda, che nonostante le difficoltà delle epoche attraversate, se-gnate tra l’altro dai due violenti conflitti mondiali e da alterni periodi di crisi, si rispecchia nella realtà limpida e coerente di un’attività che ha saputo tener testa alle situazioni e guardare al futuro, aggiornan-

Attuale logo realizzato, dal pittore S. Peci nel 1958

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dosi continuamente per restare al passo coi tempi, rinnovandosi nelle tecniche e nei macchinari ed accrescendo quell’ine-stimabile patrimonio di saperi che, legato alle maestranze dei diversi settori, è real-mente in grado di offrire un servizio d’ec-cellenza. Le strategie aziendali seguite in questi cento anni, la spiccata capacità di adattamento nonché quel notevole spirito innovativo che ben si rispecchia nelle scelte che hanno guidato l’azienda, hanno fatto di questa realtà una tra le più note ed efficienti tipografie del territorio, che oggi può contare su due centri produttivi: uno a Breno ed uno a Brescia, dopo l’ac-quisizione nel 1999 della Cartografica Bresciana, amministrati dal dottor Mas-simo Ghetti e diretti dal dottor Francesco Marcolini, sotto la presidenza del dottor Pier Paolo Camadini.Particolare attenzione merita il simbolo scelto per raffigurare il centenario, già visibile sui calendari prodotti per l’occa-sione: un’immagine gradevole e colorata ma nel contempo ricca di significati e ri-ferimenti a questi cento anni di fervida attività. Interamente realizzato all’interno dell’azienda dopo un attento studio di progettazione grafica, il simbolo si com-pone di numerosi elementi, non appar-tiene a nessun carattere conosciuto, ma è stato piuttosto ricavato estrapolando una sezione degli scompartimenti in legno dell’antica cassa tipografica, in cui erano contenuti i caratteri tipografici di piombo utilizzati per la stampa. Questo elemento rappresenta l’essenza più antica della tipo-grafia e le sue origini strettamente legate all’ambito a connotazione manuale della composizione, che richiedeva grande at-tenzione e bravura da parte dell’uomo. Il primo “0” è invece in realtà una lettera

“o” del carattere “Bodoni Poster”, che simboleggia appunto la tradizione, ovvero la continuità nel tempo, mentre il secondo “0”, di nuovo una lettera “o” ma apparte-nente al carattere “Futura”, proietta, con il proprio aspetto ed il proprio nome, lo stesso concetto di stampa verso un’ideale di innovazione e di ricerca. Insieme, que-sti due zeri, disposti in modo tale per cui l’uno sia leggermente sollevato rispetto al secondo, rappresentano due rulli: i cilin-dri meccanici della macchina da stampa. Tra questi due rulli scorrono i fogli di carta, qui rappresentati da linee formate da puntini colorati, cento in tutto come gli anni della tipografia, ed adagiati l’uno sull’altro come in una risma, la cui grada-zione cromatica ricompone le sfumature dei colori utilizzati della quadricromia ti-pografica (ciano, magenta, giallo e nero) il cui intreccio simboleggia la compatta sinergia tra le risorse umane che operano nell’azienda nei diversi settori che la compongono.

ANDREA RICHINI

Logo scelto per il centenario

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Si è tenuta alla fine di gennaio l’assemblea ordinaria annuale del Consultorio familiare di Breno. Si è trattato di un appuntamento significativo, utile a fare il punto su una realtà ormai consolidata sul territorio ca-muno-sebino che si pone al servizio della coppia e della famiglia ma anche dei singoli che si trovano nel bisogno. Il Consultorio intitolato al beato Tovini è nato per volontà delle zone pastorali della Vallecamonica in collaborazione con la sede di Breno dell’Istituto Pro Familia nei cui ambienti ha fissato la propria sede. Tra i principali propositi vi è quello di puntare sull’educa-zione e la formazione delle persone e dei gruppi, senza dimenticare che è necessario offrire aiuto, sostegno e consiglio quando si affacciano le difficoltà e i problemi. Ed è proprio quello che il Consultorio fa attra-verso la consulenza e la terapia quando c’è bisogno. L’assemblea è stata chiamata ad approvare il bilancio consuntivo del 2008 e quello preventivo del 2009, un’occasione preziosa per prendere conoscenza delle cose fatte e di quelle programmate per l’anno in corso. E’ così emerso che anche il 2008 è stato un anno di intensa attività. Per riepilogare l’attività complessiva possiamo dire che dal settembre del 1997 (anno di inizio) al 31 dicembre 2008 le consulenze erogate sono state 10.468 ed hanno inte-ressato 2.980 persone. Guardando più da vicino i dati del 2008, ci accorgiamo subito che i nuovi casi sono stati 78 e che circa la metà sono già stati espletati. Va fatto no-tare che tra i 113 casi espletati nel corso

del 2008 ci sono otto coppie che si sono ricomposte superando così le difficoltà in-contrate. Visti i tempi, non è davvero poca cosa. In tre casi il consultorio è stato utile per giungere alla dichiarazione di nullità matrimoniale. Al Consultorio si rivolgono per consulenza o terapia soprattutto le per-sone che hanno un’età compresa tra i 19 e i 45 anni, anche se sono numerosi quelli che rientrano nella fascia compresa tra i 46 e i 55 anni o che si trovano in età adole-scenziale. A fianco della normale attività di consulenza e sostegno, in questi anni il Consultorio familiare “Tovini” ha attivato numerose iniziative che vanno dai corsi a favore delle famiglie a guida monoparen-tale alle iniziative formative e di preven-zione rivolte agli adolescenti, dai progetti destinati alle scuole fino alla formazione degli studenti rappresentanti di classe. Una serie di iniziative che negli ultimi due anni si è sviluppata sotto la direzione di Lucia Pelamatti. Basterebbe pensare agli incon-tri formativi per gli alunni dell’istituto “Olivelli” di Darfo, “Ghislandi” di Breno e “Meneghini” di Edolo. In quest’ultimo caso sono stati coinvolti anche i genitori. Così facendo, il Consultorio si pone sul fronte sempre delicato ed impegnativo della prevenzione. Si tratta di progetti per i quali non sono mancati gli apprezzamenti e i riconoscimenti da parte della Regione, autentici incoraggiamenti ad andare avanti sulla strada intrapresa.

G. M. M.

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IL CONSULTORIO SUL FRONTEIMPEGNATIVO DELLA PREVENZIONE

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Senza particolari cerimonie, dopo tanti anni di abbandono sono ripresi i lavori per il compimento dei lotti IV, V e VI della superstrada che da Nadro sfocia a Berzo Demo. A Breno, presso il salone del Bim, rispettando una certa periodicità, s’è riunito il comitato di coordinamento sulla viabi-lità in Valcamonica, convocato da Mauro Parolini, assessore ai Lavori Pubblici della Provincia di Brescia. Presenti: il presidente Alberto Cavalli, gli altri assessori Corrado Scalari e Riccardo Minini ed i consiglieri Nilo Pedersoli e Pierluigi Mottinelli; il pre-sidente Anas Pietro Ciucci, il capo-compar-timento Lombardia Claudio De Lorenzo; Alessandro Bonomelli e Mario Pendoli, rispettivamente presidente ed assessore della comunità montana di Valcamonica; i parlamentari camuni Davide Caparini e Giampiero De Toni. Circostanziata rela-zione tecnica di De Lorenzo: estensione to-tale del tratto in costruzione km 8,4, di cui 6,9 in galleria e 1,5 all’aperto. Due gallerie: la “Sellero” di m 5.047 (tratti già scavati in precedenza m 3.530 ed ancora da scavare 1.496) e la “Capo di Ponte” di m 1.866, Sezione stradale, con lunghezza della piat-tafiorma pavimentata m 10,5, con panchina di 1,50. La galleria “Capo di Ponte” sarà dotata di 6 piazzole per l’accesso alle vie di fuga e la “Sellero” di una galleria finestra naturale e di una centrale di ventilazione. Sin dal primo istante della progettazione è stato tenuto particolarmente d’occhio l’impatto ambientale. Il cronoprogramma previsto fissa il completamento dell’intera opera in 1.220 giorni: se non vi saranno

STRADA E FERROVIA

ulteriori difficoltà, il tratto Nadro-Capo di Ponte-Sellero-Berzo Demo dovrebbe essere consegnato al traffico per dicembre 2012. Costo complessivo dell’opera 191 milioni di euro, Iva esclusa. Buone notizie anche sul versante della ferrovia. Le “Ferrovie Nord Milano” (ente gestore della strada ferrata per ordine e conto del Pirellone) hanno acquistato dalla società ferroviaria polacca Pesa due modernissimi treni Atr 220, composti di tre carrozze della lun-ghezza di metri 55, che hanno una capienza di 154 posti a sedere. Le vetture sono tutte dotate di aria condizionata, motore Diesel, possibilità di trasporto per disabili, partico-lare attrezzatura che informa automatica-mente l’utente, tramite altoparlante, circa la prossima stazione di arrivo. La commessa va ad aggiungersi a quella prevista di 25 milioni di euro Regione e Provincia) per l’acquisto di ulteriori otto nuovi treni. Il tutto ha il preciso scopo di valorizzare la ferrovia, non solo in favore dei pendolari, ma anche per scopi turistici. Presso varie stazioni si stanno poi mettendo a punto i centri d’interscambio ferro-gomma.

ERMETE GIORGI

L'ATR 220

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Storia

INTELLETTUALI NAPOLEONICI CAMUNI

Sollecitato dal suo diretto superiore Bru-netti, titolare della prefettura del Diparti-mento del Serio, sedente in Bergamo, il 16 dicembre 1803 il vice prefetto del circon-dario di Breno Gerolamo Tadini Oldofredi (Brescia 1774 - 1839) faceva girare tra uno scelto gruppetto di “letterati” residenti nella giurisdizione della Valle Camonica una cir-costanziata nota contenente le linee pro-grammatiche del foglio di natura politica intitolato “Il Giornale Italiano”. Il periodico era in procinto di avviare le proprie pub-blicazioni nella città di Milano (licenziato dai torchi dello stabilimento tipografico del “cittadino” Federico Agnelli), diretto dal valente storico e patriota abruzzese Vin-cenzo Cuoco (1770 - 1823), in esilio nella città meneghina, incaricato di stenderne le linee portanti del progetto editoriale. Sotto la sua guida il giornale fiancheggiò con intelligenza l’attività del governo napole-onico, ospitando in seguito –in modo sem-pre più crescente- argomenti di contenuto letterario. Nei propositi dei promotori era destinato a diventare l’espressione ufficiale dei corpi dirigenziali della Repubblica Ita-liana (e poi del Regno d’Italia, sorto nel 1805)1. La circolare diffusa dal Tadini Ol-dofredi informava come l’organo di stampa fosse strutturato in quattro sezioni: novelle politiche, statistica, arti e varietà.Nella prima ripartizione “il giornalista si

propone di dare tutte le nuove del giorno con la massima veracità, e sollecitudine, non che gli atti officiali del Governo. Tutto ciò che verte sulla popolazione, sulle fi-nanze, sul commercio, in fine quanto si riferisce alla descrizione fisica, e politica delle nazioni, sarà l’oggetto della seconda. Le arti che sono il più bel retaggio degli italiani, le arti che avvicinano l’uomo alla potenza creatrice, e che hanno cotanta rela-zione coll’economia e morale pubblica, sa-

1 Il giornale venne stampato dal gennaio 1804 al 31 dicembre 1815; al Cuoco successero nella direzione Giovanni Gherardini e (dalla primavera del 1806) l’abate Guillon. Con l’insediamento del potere austriaco cessò le pubblicazioni, sostituito dalla “Gazzetta di Milano”.

Ritratto del NotaioCandido Bonettini

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ranno sotto i loro diversi aspetti analizzate nella terza parte. Onde rallegrare lo spirito e ridonargli con utilità ed economia, quella elasticità che viene rallentata nell’analisi di oggetti complicati, si è opportunamente pensato ad inserire la quarta parte sotto il titolo di varietà. Il giornalista previene che comunque quest’articolo si abbia in mira di dilettare la mente, cionullameno i diversi squarci che si avrà cura di ripor-tare, avranno per oggetto la morale, e la maggior parte saranno cavati dalla nostra storia, riproducendone i tratti più istruttivi, ed i nomi più illustri. Si è già fatto un gran passo verso la pubblica istruzione, quando si è convinto il popolo, che esso discende da uomini che altre volte furono grandis-simi, e per valore, e per prudenza, e per virtù. Un siffatto giornale è destinato a far conoscere al consumatore, all’artista, al ne-goziante, le derrate di cadaun circondario dello Stato, le sue manifatture ed al Go-verno l’indole de’ suoi abitanti, la natura del suolo, e le provvidenze che esiggono per giugnere al migliore possibile stato di prosperità”. Il vice prefetto chiariva come le autorità rimanessero in calda attesa “che anche i dotti di questo circondario forni-scano al compilatore degli articoli sopra qualunque soggetto giovevole alla pubblica istruzione”2. L’elenco dei destinatari della sollecitazione del pubblico funzionario comprendeva una ventina di personalità, esponenti di punta della vivace società ca-muna, costituita sia da una piccola nobiltà che viveva di quanto avanzava di antiche e già floride rendite terriere, sia da un ceto borghese dedito agli affari, ai traffici di fer-rarezza e ai commerci di pannine, tessuti e granaglie. Da queste classi uscivano au-torevoli professionisti (notai, agrimensori, avvocati, medici, farmacisti), un tempo ag-

ganciati al potere della soppressa Comu-nità di Valle e all’epoca gravitanti attorno alla nervatura burocratica del circondario (organizzata negli uffici di vice prefettura, pretura, ispettorati censuario, stradale e bo-schivo), nonché sacerdoti in cura d’anime o dotati di beneficio laicale; era tutta gente che si era formata con buoni studi condotti in Valle, a Lovere, a Brescia e presso le università di Padova, Bologna e Milano.Ecco, di seguito, le brevi schede biogra-fiche riguardanti i personaggi coinvolti nell’iniziativa.

1. Cristoforo Leonardo Agostani (Capo di Ponte 1754 – 27 agosto 1819). Figlio del medico Giulio Ottavio (Capo di Ponte 1721 - 1784), si laureò anch’egli in me-dicina, esercitando la condotta di Cemmo. Perfezionato in ostetricia, venne “riputato eccellente” in tale branca e considerato lo specialista più capace a livello valligiano. Si adoperò nell’azione di contenimento

Incipit di componimento poetico del notaio Tomaso Quartari

2 Archivio di Stato di Brescia, Atti della Val Camonica, b. 161.

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della grave epidemia di peste petecchiale scoppiata nel 1817. Morì “di veleno, di-cesi”.

2. Pietro Luigi Candido Bonettini (Ma-legno 1753 - 1821). Figlio dell’avvocato Giovan Maffeo (Malegno 1711 – 1769). Diplomato notaio grazie a tabellionato conseguito l’11 dicembre 1783, venne anche abilitato a rogare nelle cause civili; in seno alla Comunità di Valle fu deputato pubblico, calmedraro e nunzio. Caduto l’antico regime, fu pro-presidente e presi-dente dell'Amministrazione Centrale del Dipartimento d'Adda ed Oglio (con sede a Morbegno, in Valtellina). E’ autore dell’opuscolo Riflessioni sopra la località della Valcamonica, presentato nel 1798 al “Corpo legislativo” della Cisal-pina al fine di ottenere una più appropriata collocazione amministrativa della Valle nell’ambito del comparto territoriale della Repubblica, creato a tavolino da funzionari centrali ignari delle più elementari cogni-zioni di storia e di geografia.

Pastore aggregato all’Arcadia, scrisse al-cune poesie, tra cui Nume adorato Virginal Pudore e Uscite o Driadi dal cavo speco, inserite nelle Rime per le nozze de’ nobilis-simi Signori conte Rutilio Calini feudatario di Pavone e contessa Paola Uggeri (1788). Un suo ritratto giovanile è conservato in casa Bonettini a Breno.

3. Luigi Maffeo Gaetano Calvi (Edolo 26 febbraio 1766 – 29 agosto 1833). Figlio del medico Ignazio Pietro (Edolo 1724 – 1785). Ottenuta l’ordinazione al sacer-dozio (che esercitò in patria), fu delegato all’amministrazione dei beni nazionali per la zona di Edolo (1802) e svolse l’incarico di fabbricere della locale pieve (1822). “Degnissimo sacerdote di tutta moralità”, morì di tisi.

4. Ludovico Capoferri (Castro 14 febbraio 1752 - 18 marzo 1830). Figlio dell’im-prenditore di ferro Bonaventura, aderì alla Cisalpina e fu esponente di rilievo della pubblica amministrazione durante l'epoca napoleonica. Membro della consulta di Lione (1802) e del consiglio dipartimentale del Serio, stu-diò il nuovo piano di distrettualizzazione della provincia bergamasca, a cui venne aggregata nel 1801 la Valle Camonica.Impegnato nell’attività mineraria e siderur-gica, fece funzionare forni fusori a Castro e a Cemmo; in Valle possedette miniere, fucine e diritti di bosco. Pubblicò a Ber-gamo nel 1803 il saggio Memoria sulla Valcamonica, contenente informazioni di carattere geografico, storico, economico, politico e sociale.

5. Francesco Cattaneo (Malonno 12 luglio 1751 - Edolo 19 giugno 1830). Figlio di Domenico, abbracciò la voca-zione sacerdotale; dal 1784 alla morte fu

Incipit di componimento poeticodel Notaio Quartari

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canonico -del titolo di Santa Caterina- nella pieve di Santa Maria di Edolo. Venne anche nominato nelle mansioni di sub-economo ai benefici vacanti del distretto superiore, incarico a cui rinunciò nel 1820. “Valente naturalista” ed “uomo distinto per i rari di lui talenti”, si impegnò nelle ricer-che mineralogiche. Scoprì diversi filoni di “galena, piriti, granate, ferro, marmi pre-giati, rame, piombo”. Nel 1803 rintracciò un banco di “ottimo sale purgativo amaro come il sale d'Inghil-terra”, un solfato di magnesia da allora chiamato “sal Cattaneo”, estratto da una cavità situata sul monte Carona, tra i co-muni di Sellero e di Cedegolo. Collezionò minerali e fossili che donò all'Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, di cui era “socio d'onore”. Dedito ad allevare le api, fu “egregio colti-vatore delle scienze naturali, indefesso stu-dioso del suolo del proprio paese e pratico assai nelle scienze naturali, valoroso e for-tunato cooperatore d'ogni buono studio”.

6. Giovanni Anto-nio Corna (Pisogne 19 aprile 1774 - 14 novembre 1855). Figlio di Pietro (Par-zanica 1736 - Piso-gne 1803), fu attivo nei commerci, con grosso emporio di generi da pizzica-gnolo, macelleria, ri-vendita di cereali ed alimentari. In seguito si impegnò nel settore del ferro, comprando quote nelle miniere e nelle compagnie dei forni di Pisogne. Du-rante la Repubblica Cisalpina (1801-1802) fu presidente della municipalità distrettuale avente sede a Pisogne. Sindaco del paese dal 1808 al 1816, in epoca austriaca fu per decenni deputato municipale, membro della commissione amministratrice della locale Congregazione di carità, fabbriciere, presidente del con-siglio comunale e del collegio-liceo “Don Giacomo Mercanti”. Promosse la costruzione, tra il 1828 e il 1850, della strada lacuale. Nel 1848 fu tra i capi della guardia civica. Dispose un notevole legato a beneficio del Pio Luogo Elemosiniere di Pisogne “per la fondazione di un ospitale pei poveri ammalati”. Egli “si guadagnò la stima universale, curò la pace e la concordia delle famiglie, fu de-voto di Dio e de' poverelli, a tutti sapiente e gratuito consigliere, stimato degno di se-dere capo di provincia, ingegno robusto, della storia specialmente degli ultimi tempi eruditissimo”. Il dotto don Pietro Zanardini (Pisogne 1811 – 1867) compose alcune Iscrizioni ne' so-lenni funerali del signor Giovanni Corna celebrati nella chiesa parrocchiale di Pi-sogne il giorno 16 novembre 1855.

Frontespizio di Opuscolo commemorativo di Giovanni Antonio Corna

Segno di tabellionato del notaio Luigi Raimondi

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Storia 26

Figlio del Corna fu don Giacomo Maria (Pisogne 1827 – Brescia 1913), vescovo della diocesi di Brescia dal 1883 alla scomparsa.

7 . Valent ino Camillo Dabeni (Borno 9 marzo 1769 – Pian

di Borno 1848). Figlio del notaio Lodo-vico (Borno 1723 - 1776), compì i corsi di studio elementari presso la scuola retta dall’arciprete di Cividate don Giambattista Guadagnini. Nel 1787 si iscrisse alla fa-coltà di medicina e chirurgia dell’università di Padova dove si laureò l’8 giugno 1791. A lungo medico condotto in patria e inte-rinale (nel 1814) ad Angolo, dal 1797 fu giudice di pace del circondario di Borno, rimanendo in carica durante il periodo na-poleonico. Amministratore (1803-1817) dei beni della locale società degli antichi originari, coltivò la musica, esercitandosi come or-ganista presso la parrocchiale di Cividate. Stabilitosi definitivamente con la famiglia nella frazione di Pian di Borno, continuò ad avere incarichi pubblici: primo deputato e consigliere del comune, presidente della congregazione di carità, fabbriciere della cappellania Gheza (1812-1815), presidente della Delegazione agli argini sul fiume Oglio (con sede in Darfo) raggruppante i proprietari da Pian di Borno a Pisogne (1830). Venne tenuto in alta considerazione per “il senno, il sentimento religioso, l’one-stà dei costumi, l’amore alla fatica, la carità coi poverelli, l’ospitalità sincera con tutti”, doti ampiamente dimostrate in ogni occa-sione.

8. Giambattista Damioli di Pisogne. Im-prenditore minerario e siderurgico, ebbe rilevanti quote di partecipazione nel forno vecchio di Pisogne.

9. Giovan Battista Favallini (Zoanno 5 feb-braio 1777 – 1 aprile 1835). Figlio di Bo-nifacio, frequentò l’università di Padova; laureatosi in medicina, fu assistente presso la cattedra medica dell'università di Pavia. In epoca austriaca esercitò la condotta di Ponte di Legno.

10. Alessandro Fiorini (Gianico 28 ottobre 1750 - 17 agosto 1824). Figlio del medico Zaccaria (Gianico 1707 - 1774). Ordinato sacerdote, fu ecclesiastico “degnissimo”, vivendo in casa sua senza accollarsi alcun incarico pastorale. Nel 1802 venne no-minato delegato governativo del ministro

Segno di tabellionatodel notaio Girolamo Vielmi

Frontespizio di opuscolo commemorativo del medico Pietro Antonio Gaioni

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per il culto, con competenza sul distretto di Darfo (per le parrocchie da Pisogne e Rogno, fino a Erbanno), reggendo l’ufficio per qualche anno.

11. Defendente Francesconi (nato a Bienno il 5 settembre 1771). Figlio del notaio Agostino (Bienno 1743 - 1820), fu anch’esso abilitato all’esercizio della professione notarile con tabellionato assegnato il 30 aprile 1792 e reso idoneo a partecipare alle cause civili. Imbevuto di idee illuministe, nel primo Ottocento si trasferì a Rovato.

12. Pietro Antonio Maria Gaioni (Nadro 1746 – 28 aprile 1833). Figlio di Lorenzo (Nadro 1710 – 1794). Dopo gli studi di grammatica, compiuti a Capo di Ponte presso don Santo Pen-nacchio, e quelli di umanità e di retorica nell’accademia di don Guadagnini a Ci-

vidate, si consolidò nelle scienze frequen-tando il collegio dei gesuiti di Brescia. Iscritto a medicina a Padova, fu allievo del celebre professore di anatomia Giambatti-sta Morgagni (1682 - 1771) e del filosofo Giannalberto Colombo (1708 - 1777), ottenendo nel 1764 il posto di “prima-rio consigliere nel teatro anatomico” di quell’ateneo, dove il 5 luglio 1763 aveva conseguito la laurea in medicina e filosofia. Medico condotto a Nadro e Ceto, fu pro-tofisico (dal 1783) e sindaco (1781, 1787) di Valle, nonché presidente della chiesa di Nadro (1788). Amante di speculazioni filosofiche e di letteratura, compose alcuni sonetti, tra cui quattro redatti nel 1800 e rimasti inediti: Poiché di Benedetto a un novo figlio; Scio-gliesi l’acre inverno al giovinetto; Roma, odi ‘l novel gran Sacerdote; Il lieto augu-rio, e l’umile preghiera. Il suo necrologio, a firma del direttore ge-nerale del Censo Antonio Balduzzi, com-parve sulla “Gazzetta di Milano” del 15 giugno 1833; su di lui vedasi il volumetto Memorie della vita e degli studj del pro-tomedico dottore Pier-Antonio Gajoni di Nadro in Valcamonica (Brescia 1834).

13. Giambattista Guadagnini (Esine 22 ot-tobre 1723 - Cividate 22 marzo 1807). Fi-glio dell’agrimensore Oberto (Esine 1688 - 1744). Compiuti gli studi di grammatica e di re-torica a Borno, presso il parroco del luogo don Arcangelo Barcellandi (Borno 1709 – 1747), studiò filosofia a Lovere e teologia a Brescia, plasmandosi sotto l'eccezionale influsso intellettuale del vescovo cardinal Angelo Maria Querini (Venezia 1680 – Brescia 1755). Ordinato sacerdote nel 1746, fu organi-sta e maestro di scuola a Borno, Breno ed Esine, nonchè titolare (1750-1760) della

Ritratto dell'Arciprete Giambattista Guadagnini

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cappellania esinese del Rosario. Dal 1760 alla morte fu arciprete di Cividate, disimpe-gnando per alcuni decenni anche l’incarico di vicario foraneo. Predicatore instancabile, autore di innumerevoli composizioni poe-tiche, continuò per tutta la vita a svolgere l’attività di insegnante. Esponente di spicco della corrente italiana del movimento giansenista e finissimo stu-dioso di scienze sacre, fu teologo dogma-tico e morale, scrittore politico, agiografo, storico, aritmetico, cronologo e calendari-sta, apologeta, biografo, paleografo, autore di una sessantina di opere a stampa e di oltre 270 inediti. Tra l’altro, pubblicò: De antiqua paroe-ciarum origine (1782); Difficoltà sopra il pio esercizio della Via Crucis (1786); Vita (1790) e Apologia di Arnaldo da Brescia (1790); Memorie de' Santi Confessori di Cristo Costanzo ed Obizio di Niardo (1791); Vita di Santa Giulia Vergine e Mar-tire (1794); Del diritto della civil podestà sul contratto del matrimonio (1797); Sul celibato ecclesiastico (1798). Postumi usci-rono: Confessarius cleri (1813); Ricerca istorica in cui si mostra che in Valcamo-nica mai fu l'Ollio il confine del territorio bergamasco (1857); Riflessioni sopra la caduta del temporale principato del ro-mano pontefice e della corte ecclesiastica di Roma (1862). Sulla sua insigne figura: F. CALDANI, Memoria sulla vita e sulle opere di Giambattista Guadagnini, arci-prete in Val Camonica (Padova 1808).

14. Gaetano Giuseppe Nicolini (Edolo 13 luglio 1758 - 29 novembre 1818). Figlio del nobile Francesco Cristoforo (Edolo 1703 c. - 1777). Sacerdote, amico del Guadagnini, simpatizzò per le posizioni gianseniste. Nel 1784 venne promosso rettore della chiesa nobiliare di San Giovanni Battista di Edolo, conservando il beneficio sino alla morte, unitamente al chiericato di San Martino della parrocchiale di Vezza. Nel 1786 brigò, invano, per ottenere la cattedra di Sacra Scrittura presso l'ateneo di Pavia. Nel settembre 1788 il suo nominativo venne proposto –senza successo- dalle vi-cinie di Edolo e di Mù per la promozione ad arciprete pievano di Edolo, poichè “dal popolo si giudica abbia tutti quei requisiti degni d'un parroco”. Morì “dopo luonghissima e penosissima malattia”, sopportata “con ammirabile rassegnazione”.

15. Giacomo Martino Maria Panzerini (Capo di Ponte 12 novembre 1775 – 7 luglio 1836). Figlio dell’imprenditore di ferrarezze Giovanni Battista (Cedegolo 1740 c. – Capo di Ponte 1803). Sacerdote e abate, fu delegato del ministro per il culto al controllo dei benefici ecclesiastici della zona di Cedegolo. Diede vita con il fratello Nazaro (Capo di Ponte 1787 - 1836) a una ditta nel settore del ferro, espletando anche l’incarico di procuratore dei mineranti di Cemmo e di Cerveno.

Segno di tabellionato e sottoscrizione del Notaio Defendente Francesconi

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16. Tomaso Quartari (Breno 6 gennaio 1735 – 15 novembre 1807). Figlio dello speziale e musicista Giovanni (Breno 1689 – 1770). Studiò a Pavia e a Bologna, laure-andosi in diritto civile e canonico. Svolse in patria la professione notarile, avendo ottenuto il tabellionato il 18 giugno 1756; esaminatore dei notai camuni, fu sindaco (l’ultimo della serie, nel 1797) e avvocato (1796) di Valle. Cultore di belle lettere e maestro di cap-pella, nel 1770 fondò in Breno l’Accade-mia detta degli Eccitati. Autore di “molti consulti legali raccolti, ma non pubblicati”, scrisse vari componimenti poetici (in mas-sima parte rimasti allo stadio di inediti), tra cui: Venite, o Grazie, venite, Amori, in occasione della rappresentazione in Breno, durante il carnevale del 1784, de “Il Giu-seppe riconosciuto, e ‘l Gioas del Meta-stasio”; l’Idilio pastorale Me non vedesti porgerti, dedicato al capitano di Valle conte Cesare Martinengo Cesaresco (1784); Le ninfe dell’Oglio. Idilio per le nozze de’ No-bili Signori Conte Rutilio Calini e Paola Uggieri Nobili Bresciani seguite dopo la metà d’aprile dell’anno 1787. Secondo il vice prefetto di Breno Balduzzi, “il merito del dottor Quartari in fatto di lettere, e mas-sime delle antiche, è forse men conosciuto, che non converrebbe. Le sue poesie italiane sono di gusto molto sodo, e vi spicca la purità della lingua”. “Uomo di somma probità”, morì “preso improvvisamente da uno scopio di san-gue”.

17. Luigi Raimondi (Edolo 1761 - 1810). Figlio di Fabio. Ottenuto il diploma di notaio con tabellio-nato concesso il 22 novembre 1787, venne abilitato ad aver parte nelle cause civili; fu deputato, elezionario e stimadore della Co-munità di Valle. Durante l’epoca napoleo-

nica divenne anziano del Comune e giudice di pace a Edolo, nonchè pretore a Tirano, in Valtellina.

18. Giannantonio Luigi Ronchi (Breno 12 giugno 1775 - 15 ottobre 1839). Figlio dell’avvocato Andrea (Breno 1736 – Lo-sine 1819). Laureato in giurisprudenza a Padova nel 1796, membro della commissione dipar-timentale di polizia e fiduciario del com-missario straordinario ai confini con il Ti-rolo Francesco Gambara (1771 - 1848), fu “acclamato” pretore di Breno (1801-1805) e di Romano di Lombardia (1805-1807), esattore distrettuale di Breno (1803), de-putato alla consulta di Lione e componente del consiglio generale dipartimentale del Serio (1807). Membro del collegio elettorale dei possi-denti, nel 1807 divenne primo presidente dell'Imperial Regia Alta Corte di giustizia civile e criminale di Bergamo. Con la Re-staurazione, rimase nella città orobica in qualità di capo della giudicatura politica fino all'estate 1818 quando venne trasferito alle funzioni di consigliere del tribunale di Brescia. Iscritto alla loggia bergamasca della mas-soneria, durante l’età austriaca venne con-trollato come soggetto pericoloso per le sue idee liberali da “antico repubblicano”, mantenendosi tuttavia “esemplare nel suo ministero ed incensurabile”. Morì di “stra-vaso sciroso”.

19. Giovan Battista Rosa (Breno 16 agosto 1770 – 21 ottobre 1845). Figlio del com-merciante cremonese Giuseppe Antonio (originario di Formigara, † Breno 1805). Sacerdote, decorato con il titolo di abate, durante il periodo napoleonico esercitò le funzioni di delegato per i benefici ecclesia-stici del distretto di Breno.

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“D'abilità, e di sanità ferrea, mà quasi sem-pre in giro, absente dalla parrochia per il suo impiego di Sub-Ecconomo, o per in-teressi d'altra natura”, tenne la carica di responsabile dei benefici vacanti anche durante l’epoca del Lombardo Veneto, fino alla morte avvenuta per “idrotorace”.

20. Giacomo Luigi Simoni (Bienno 21 giugno 1761 - Bergamo 23 ottobre 1841). Figlio di Orazio (Bienno 1715 – 1793), compiuti gli studi a Bergamo, fu presi-dente dell'ospedale degli esposti di Ma-legno (1803), sindaco di Bienno (1811) e deputato comunale (1832). Possidente, “caldissimo amatore delle cose patrie e forse il più ricco della Valle”, raf-finato antiquario, si distinse nella raccolta di testimonianze dell'antichità; acquistò in Valle una notevole collezione di epigrafi e di reperti dell'epoca romana che “immurò nel giardino della bella casa di sua abita-zione” in Bergamo, dove si era stabilito con la famiglia. Nel 1847 i figli donarono le lapidi al Museo Civico di quella città.

21. Giacomo Maria Sola (Saviore 12 set-tembre 1760 - Bienno 24 ottobre 1829). Di famiglia dedita ai commerci, figlio di Andrea, si laureò in medicina e chirurgia a Padova il 4 maggio 1783; stabilitosi a Bienno, tenne la locale condotta (unita-mente a quella di Prestine). Allievo ed amico di don Guadagnini, nel 1797 fu deputato presso l'assise della Re-pubblica Bresciana, interessandosi ad ar-gomenti legati all'introduzione di riforme legislative per regolamentare la materia del matrimonio; la fedeltà alla Chiesa lo consigliò di rimettere il mandato. “Premuroso di veder difesa la cristiana re-ligione”, nel 1798 ispirò al Guadagnini la stesura del saggio Antidoto contro il pesti-fero libro del Ranza sopra la segreta con-

fessione (pubblicato a Cremona nel 1800), redatto per contrastare le tesi contrarie alla confessione sostenute dal giacobino pie-montese Giovanni Antonio Ranza. Commissario di sanità del distretto di Breno nel 1801, nel 1817 diresse presso l'ospedale degli esposti di Malegno l’infer-meria aperta per la cura degli ammalati di tifo petecchiale. Morì consumato da “longa infermità”.

22. Antonio Maria Taglierini (Breno 3 febbraio 1743 – 16 febbraio 1813). Figlio del notaio e cancelliere della Comunità di Valle Pietro Giuseppe (Breno 1699 - 1748). Conseguita la laurea in legge a Milano nel 1762, svolse la professione a Breno; fu sin-daco (1779, 1785, 1792) e avvocato (1776, 1784, 1790, 1796) di Valle, nonché esa-minatore nel collegio dei notai valligiani. Durante la breve parentesi austriaca (aprile 1799 - metà anno 1800), funse da vicario di Valle, con competenza nelle materie di natura criminale. Morì di malattia “pleu-ritide”.

23. Girolamo Francesco Vielmi (Breno 17 febbraio 1744 - Artogne 12 maggio 1817). Figlio del notaio e cancelliere di Valle Bar-tolomeo (Breno 1721 - 1767), laureato in giurisprudenza a Milano nel 1762, esercitò la professione notarile per la quale aveva ottenuto il tabellionato il 14 aprile 1767. Fu più volte sindaco generale (1785, 1787, 1793), avvocato (1788, 1791, 1794), de-putato, esaminatore vitalizio dei notai, elezionario, calmedraro e consigliere di segreto della Comunità di Valle. Giudice, commissario militare di truppe antifran-cesi raccolte in Pisogne (1797), tra il 1797 ed il 1799 guidò le insorgenze filo venete contro il dilagare della rivoluzione, reg-gendo pure le cariche di capitano e di vice capitano di Valle (fino a metà dell’anno

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1800). Costretto a fuggire in Trentino, ri-entrò quando le acque si furono calmate. Sindaco di Artogne-Piano (1810), nel 1816 divenne capo di gabinetto della prima di-visione della vice prefettura di Breno. Fu anche deputato della Delegazione agli ar-gini lungo l'Oglio esistenti da Pian Borno a Pisogne, costituita per iniziativa del vice prefetto di Breno nel 1813. Morì di febbre petecchiale.

***

Il 20 maggio 1807, su indicazione del vice prefetto di Breno Antonio Balduzzi, ven-nero segnalati al prefetto di Bergamo cava-lier Curzio Frangipane per l’inserimento in “una specie di repertorio de' letterati, dotti ed artisti più distinti in ciascun ramo”, in preparazione per iniziativa della Direzione generale della Pubblica Istruzione del Re-gno d'Italia3, i nominativi dei già citati dot-

tori Agostani e Quartari, con l’aggiunta di quello del dottor Flaminio Antonio Gaetano Luigi Griffi (Breno 21 aprile 1764 – 27 ot-tobre 1818). Questi, figlio dell’avvocato Giovan Francesco (Breno 1732 - 1781), immatricolato presso la facoltà di medicina dell’università di Padova nel 1782, vi con-seguì la laurea il 6 giugno 1787. Esercitò la professione in patria, facendosi valere in particolare nella cura delle affezioni pe-tecchiali; fu, inoltre, delegato dell’ufficio distrettuale per la libertà di stampa (1807). Cultore di lettere, produsse alcune rime, tra cui, nel 1809, Questa che per mia mano umil ti porge e Questa vita mortal, che in una, o in due. In occasione dei suoi fune-rali “si distribuì un componimento poetico, quale giustamente si dovea al defonto per le sue preggievoli qualità e in medicina, e in musica, e in letteratura, e in onestà e buon costume”.

OLIVIERO FRANZONI

3 Archivio di Stato di Brescia, Atti della Val Camonica, b. 161.

Stemmi della Repubblica Cisalpina

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Personaggi e Tempi

SANTA IN UNA TERRA DI SANTI

Nel suo discorso mai letto, rivolto all’Uni-versità La Sapienza di Roma, papa Be-nedetto XVI affermava tra l’altro: “varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle auto-rità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei Santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la ve-rità di questa fede nel suo nucleo essen-ziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica”. La verità della nostra fede cristiana, nel suo nucleo es-senziale, viene dunque dimostrata dalla storia dei Santi, il che è un altro modo per dire quello che qualche anno fa aveva sostenuto il bresciano mons. Enzo Giam-mancheri, con queste ulteriori espressioni: “il più grande tesoro che la Chiesa porta con sé e consegna al giro di boa del terzo millennio, insieme con la Parola di Dio e l’eucarestia, è la Santita dei suoi figli”. A ben vedere, con entrambe queste impor-tanti riflessioni, una rilevante responsabi-lità viene riversata su tutte le comunità cristiane presenti in Val Camonica, impe-gnandoci a confrontarci seriamente con la nostra storia contemporanea, impregnata proprio di storie di Santi. In effetti è straor-dinariamente singolare la circostanza per la quale una fitta serie di figure di Santi ha veramente costellato la nostra valle specie nel periodo ricompreso tra l’Ottocento e il primo Novecento: Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, Giovanni Scalvinoni

- Innocenzo da Berzo, Annunciata Asteria Cocchetti, Giuseppe Tovini, Mosé Tovini, e la biennese Caterina Geltrude Comen-soli. Questo non può non indurci a medi-tare, attentamente, cercando di andare in profondità nella nostra ricerca personale e comunitaria. Un motivo di più per assumerci questa re-sponsabilità viene dalla circostanza gio-iosa della canonizzazione proprio della camuna Geltrude Comensoli, avvenuta il 26 aprile a Roma, insieme ad un altro bre-sciano, il sacerdote diocesano Arcangelo Tadini, fondatore delle Suore Operaie della Santa casa di Nazareth, a Botticino. Si tratta di un evento straordinario anzitutto

Santa Geltrude Comensoli

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per Bienno, paese d’origine di Caterina, ma più in generale per quella stessa Val Camonica che abbiamo individuato come terra di Santi nel XIX secolo. Vale dunque la pena ripercorrere il profilo biografico della nuova Santa, proprio per iniziare a corrispondere alle importanti parole dalle quali abbiamo preso le mosse.

Le origini a Bienno Caterina Comensoli nasceva a Bienno, il 18 gennaio 1847, alle nove di sera. Il padre si chiamava Carlo e la madre Anna Maria Milesi. Il giorno dopo, 19 gennaio, riceveva il battesimo celebrato dal cugino del papà, don Angelo Comensoli. La fami-glia, come molte altre all’epoca, diventava nel tempo assai numerosa, con ben dieci figli - Caterina era la sesta - anche se solo tre di questi giunsero alla maggiore età. Particolarmente funesto fu l’anno 1860, quando Caterina era tredicenne, perché morirono a causa di un’epidemia di mor-billo i fratellini Francesco a gennaio, Ip-polita a febbraio e Maddalena a marzo. Questi lutti privavano la famiglia del so-stegno importante dei figli maschi, i soli in grado di proseguire l’attività del padre nella fucina. Nel frattempo la piccola Caterina cresceva, sull’esempio dei suoi genitori e all’interno della comunità par-rocchiale di Bienno. Il padre era un uomo semplice e di intensa orazione, così pure la mamma. Quest’ultima era sempre ap-prensiva per via del carattere decisamente vivace della bimba, la quale tuttavia capi-tava che la consolasse dicendole tenera-mente: “niente paura, vedrete quello che io farò! lasciatemi giocare, sono ancora piccola”. In quella fase seguiva i corsi della scuola elementare minore in paese, che consisteva in due classi che gli alunni cominciavano a frequentare dai sei anni

e fino all’apprendimento del programma stabilito. Caterina fin da questa età, già a cinque anni, iniziava a vivere alcune esperienze interiori che nel tempo si confermavano: Gesù le faceva sentire dentro al cuore un grande desiderio di amarlo intensamente, ed insieme la ammaestrava su come do-veva comportarsi per piacergli e potersi quindi dedicare completamente e lui. Iniziava in questo modo misterioso il suo cammino vocazionale.

La vocazione religiosa Gesù continuava ad istruirla e ad attrarla in maniera irresistibile. Al punto che un giorno, non potendo più resistere al de-siderio di accostarsi all’eucarestia, non avendo ancora l’età per ricevere il sacra-mento, decideva di farlo segretamente pensando che Gesù non ne avrebbe avuto

La Santa al tavolo con il crocifisso

Personaggi e Tempi33

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a male. Una notte dunque si alzò molto presto e al richiamo dell’Ave Maria en-trò nella chiesina dell’oratorio di S. Carlo officiata da don Paolo Simoni e vicina a casa sua, dove era conservata l’eucarestia. Ritta in piedi, poggiata sulla balaustra, il sacerdote le dava la comunione, all’insa-puta di tutti. Quella comunione furtiva si rivelava un’emozione incredibile. Nel corso del 1854 riceveva da mons. Simoni la prima comunione, mentre già da tempo si confessava con regolarità, di solito il sabato ma se riusciva anche più spesso. In generale sostava lungamente in chiesa, davanti all’adorabile sacramento, in una sorta di raccoglimento eucaristico. Il 6 ottobre 1861 il vescovo di Brescia, mons. Girolamo Verzeri, le impartiva il sacramento della cresima a Bienno, in-sieme a tante ragazzi e ragazze della co-munità. Nel contempo cresceva in lei il

desiderio di una regola di vita che fosse contemplativa ma anche attiva, di essere accolta quindi in un’altra famiglia più grande, una famiglia religiosa. Anche per questo nel 1863 stendeva con cura un pro-gramma di vita al fine di garantire alla sua condotta un carattere inconfondibilmente religioso, pure nella vita secolare. Ciò che ad esempio colpiva le amiche erano la de-vozione ed il fervore veramente singolari con cui si accostava alla comunione, e ad essa seguiva immancabilmente un lungo ringraziamento durante il quale rimaneva assorta in una contemplazione così intensa che nulla poteva distrarla. Anche per que-sto si confermava in lei l’intendimento di avvicinarsi ad alcune esperienze di vita religiosa che aveva avuto modo di cono-scere. In questa prospettiva, tuttavia, in-contrava anche la prevedibile opposizione dei genitori che tendevano a rinviare la decisione sino ai 21 anni. Nel frattempo Caterina iniziava a frequen-tare Giovanna Rizzieri e Marianna Ver-tova, due figure esemplari di educatrici che ebbero un’influenza non marginale sui suoi orientamenti. Di conseguenza, a soli quindici anni e mezzo e quindi su-perando le perplessità dei genitori, acce-deva al noviziato delle Suore di carità di Lovere, dove Bartolomea Capitanio il 21 novembre 1832 aveva dato avvio ad una nuova congregazione religiosa, destinata ad una amplissima espansione, le Suore di Carità, dette di Maria Bambina. Tuttavia una malattia grave costringeva Caterina a lasciare Lovere già sei mesi dopo, per fare ritorno a Bienno. La forzata uscita dal convento di Lovere si rivelava per Cate-rina un’esperienza traumatica, che non seppe affrontare con tutta la forza del suo temperamento anche a causa della stessa malattia che la tormentava per oltre un

Incontro personale, prolungato con Gesù

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anno. Non appena rimessasi, riprendeva comunque con rinnovato vigore uno stile di vita nel quale la preghiera rappresen-tava l’impegno centrale e il momento più alto della giornata. Specie durante l’ado-razione eucaristica Caterina provava le consolazioni che l’aiutavano a vivere con maggiore serenità la cocente delusione della momentanea rinuncia allo stato re-ligioso. Proseguendo comunque in un cammino vocazionale inarrestabile, a vent’anni en-trava a far parte della Compagnia di S. Angela - ricostituita a Brescia dalle sorelle Maddalena ed Elisabetta Girelli - per cui il 29 agosto 1867 avveniva la sua vestizione seguita il 23 dicembre dalla professione, adottandone dunque la regola di vita che permetteva di soddisfare l’aspirazione alla vita religiosa anche di molte giovani im-possibilitate a lasciare la famiglia.

Da Chiari a S. Gervasio d’Adda, fino a Bergamo Poco dopo il 1870 la tranquillità della famiglia Comensoli veniva duramente scossa da un evento imprevedibile ed inatteso. In seguito ad una grave malattia del padre, colpito da una paralisi progres-siva ed impossibilitato quindi a lavorare, si venivano a trovare d’improvviso in una difficile situazione economica. Per dare un aiuto ai genitori Caterina deci-deva dunque di andare a lavorare come domestica presso una famiglia benestante. Grazie alle conoscenze maturate dentro la Compagnia di S. Orsola, entrava allora in contatto con la famiglia Rota, una delle più prestigiose della cittadina di Chiari. I Rota cercavano una giovane donna che si occupasse delle faccende domestiche e desse anche garanzie di sana condotta morale e religiosa. Nei primi mesi del

Il lavoro dei bambini

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1873 la giovane Caterina Comensoli ac-cettava l’offerta e si trasferiva a Chiari. Nel palazzo dei Rota trovava un ambiente molto sensibile dal punto di vista religioso e aperto su vari fronti di apostolato. Tre sorelle erano figure di spicco tra le Figlie di Sant’Angela; due fratelli occupavano posti di primo piano nel movimento catto-lico bresciano, e di questa numerosa fami-glia faceva parte anche don Giambattista Rota, futuro vescovo di Lodi. L’esperienza a Chiari durava poco più di un anno. Infatti, per i rapporti di cono-scenza che la sua famiglia intratteneva con la famiglia Simoni di Bienno, Cate-rina si lasciava ben presto convincere dalla madre ad accettare la proposta di lavoro, come governante, offertole dalla sorella della contessa Barbara Fé d’Ostiani, Ippo-lita Fé d’Ostiani, coniugata con il nobile Gian Battista Vitali. Nell’estate del 1874 si trasferiva quindi a Milano e a San Ger-vasio d’Adda, in provincia di Bergamo,

le due residenze dei conti, dove avrebbe vissuto per otto anni. I Vitali-Fé d’Ostiani erano ricchi proprietari terrieri e si sposta-vano spesso da una residenza all’altra. Do-vendo accompagnare i suoi padroni anche per occuparsi dell’educazione del piccolo Bartolomeo, Caterina aveva l’occasione di migliorare la sua preparazione culturale e di apprendere i modi garbati e aristocratici dell’alta società; potè viaggiare e si reca spesso a Milano, Brescia, Bergamo ed an-che a Bienno. Queste esperienze e contatti nel tempo le si riveleranno utili, anche se la momento le rendono un poco difficile conciliare il lavoro con il raccoglimento e la preghiera. A San Gervasio, più in particolare, cono-sceva, e si faceva personalmente promo-trice, della Guardia d’onore, un’associa-zione nata al fine di promuovere il culto al sacro cuore di Gesù, una devozione alla quale resterò sempre legata anche nella mia esperienza spirituale succes-

Preghiera in un asilo delle Madri Sacramentine

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siva. Lo scopo della Guardia d’onore era proprio la diffusione della devozione al sacro cuore, sottolineando soprattutto la volontà di riparare alle offese che Gesù riceve dai peccatori, e di consolarlo per le tante ingratitudini di cui è fatto og-getto. Da sempre devota al sacro cuore, Caterina Comensoli trova nella Guardia d’onore uno strumento prezioso per nu-trire la propria interiorità e per dare una formazione religiosa alle ragazze che la frequentano. Anche la sua spiritualità eu-caristica ne risulta arricchita, per lo stretto rapporto esistente tra l’eucarestia, sacra-mento dell’amore divino, e il sacro cuore, simbolo più alto di quell’amore. Nel frattempo, tra il 1877 ed il 1879, mo-rivano papà e mamma, mentre Caterina intravedeva sempre più concretamente la possibilità di realizzare il suo progetto di vita religiosa con la fondazione di una nuova congregazione autonoma, questa volta nella città di Bergamo.

Il nuovo istituto religioso: una nuova famiglia Già negli anni della mia permanenza a San Gervasio la giovane Caterina aveva abbozzato un’idea di congregazione de-dita all’adorazione perpetua dell’eucare-stia. Si sentiva sempre più attratta dalla vita contemplativa; si lamentava sempre della mancanza di tempo per la preghiera e desiderava ardentemente un clima di si-lenzioso raccoglimento. Nell’inverno del 1880, durante un pellegrinaggio a Roma, aveva ottenuto un’udienza presso papa Leone XIII, al quale aveva confidato il suo progetto. Nella circostanza lo stesso pontefice l’aveva incoraggiata, orientan-dola verso un’istituzione che si facesse carico anche della difficile situazione so-ciale e religiosa in cui si trovava il nostro mondo all’epoca, specie quello operaio e dell’educazione. Dovendo accompagnare spesso la signora Ippolita Fé d’Ostiani presso la sorella

Foto ricordo di un anno insieme

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Barbara, che dimorava a Bergamo, nella parrocchia di S. Alessandro in Colonna, Caterina incontrava casualmente don Francesco Spinelli, un giovane sacerdote pieno di entusiasmo. Dall’intesa iniziale tra queste due anime nasceva, il 15 dicem-bre 1882, il nuovo istituto religioso, in una modesta casa di via Cavette a Bergamo, nella stessa parrocchia di S. Alessandro. La comunità era di soli tre membri: Cate-rina, che prendeva il nome di Geltrude; la sorella Bartolomea, che si chiamava suor Maria addolorata; e Maria Panini, che as-sumeva il nome di suor Giuseppa dell’as-sunzione. Si trattava dunque di una nuova piccola famiglia. Sin dal Primo abbozzo manoscritto delle Costituzioni, steso tra il 1884 e il 1885, confermato poi nella Regola del 1899, suor Geltrude indivi-duava nell’adorazione dell’eucarestia il primo scopo della nuova congregazione, inizialmente chiamata delle Suore Ado-ratrici, poi Suore Sacramentine. Voleva che così si riconoscesse chiaramente che la missione delle suore aveva la sua forza motrice nell’incontro personale e prolun-gato con Gesù, contemplato, ascoltato, gustato, quasi “toccato” nell’adorazione quotidiana. Lì si attingeva davvero di-rettamente dalla carità divina l’amore per servire i fratelli. Senza questa sosta quotidiana si rischiava invece di agire in modo vuoto e infecondo. Tuttavia questo non bastava. L’eucarestia, fonte di carità, doveva spingere le Sacramentine a servire i poveri. Ed ecco il secondo obiettivo del nuovo istituto. Tra i più bisognosi ini-ziavamo ad individuare alcune categorie sociali poco tutelate, come le ragazze e le donne povere, in particolare le dome-stiche, molto numerose, spesso vittime di sfruttamenti e soprusi, ma anche le gio-vani operaie, le orfane ed in generale le

generazioni bisognose di educazione e di assistenza nella giovane età. Il nuovo istituto, accolto con favore dal clero e dall’opinione pubblica, conosceva un ra-pido sviluppo: opere e vocazioni avevano una crescita straordinaria. Tuttavia questi inizi brillanti si scontrano abbastanza presto con complesse diffi-coltà, inerenti all’attività intrapresa in uno stabilimento di cui si era acquisita la pro-prietà per renderne più efficace la gestione secondo le finalità della congregazione. Un’intricata situazione economica in poco tempo portava l’istituto a un irrimediabile dissesto finanziario. All’inizio del 1889 il Tribunale di Bergamo giungeva a dichia-rare il fallimento dell’istituto stesso. La casa madre di via Cavette veniva messa all’asta, e le suore trovavano alloggio al-trove, anche se dovevano comunque ab-bandonare Bergamo, trasferendosi nella diocesi di Lodi. Qui madre Geltrude in-contrava nuovamente, ottenendone acco-glienza, consiglio e la sua alta protezione, il vescovo Giambattista Rota. Nel 1891, dunque, la sede di Lavagna (in comune di Comazzo, Lodi) veniva designata come nuova casa madre della congregazione, che riprendeva il suo cammino di cre-scita virtuosa guidata dalla provvidenza, che le consentiva anche di rientrare in possesso della abitazione bergamasca di via Cavette, dove ritornava a stabilirsi la direzione ed il cuore dell’istituto a par-tire dal marzo del 1892. In effetti il ra-pido incremento numerico delle suore, la fondazione di nuove sedi tra Lombardia e Veneto, il correlato consolidamento finan-ziario della congregazione permettevano l’ampliamento dell’istituto in maniera inarrestabile, sino alla scomparsa di ma-dre Geltrude Comensoli avvenuta sempre a Bergamo, il 18 febbraio 1903.

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La carità Come noto, la finalità caritativa-assi-stenziale era caratteristica comune delle numerose congregazioni religiose che sorgevano tra XIX e X secolo, e questo riguardava anche le Suore Sacramentine di Bergamo fondate da madre Geltrude Comensoli. In tal modo anche questo nuovo istituto esprimeva e testimoniava la sensibilità della Chiesa nei confronti delle necessità sociali. In particolare nel tardo XIX secolo il brusco passaggio dal mondo contadino e artigianale al conte-sto cittadino e industriale comportava un peggioramento delle condizioni di vita dei ceti più deboli, come i bambini e i ragazzi, le donne, gli operai e i malati, categorie spesso prive di ogni tutela. La coscienza civile non teneva il passo di queste tra-sformazioni, e lo Stato non era in grado di contenerne gli effetti negativi, per cui si provvedeva con molta difficoltà e ritardo a un’equa regolazione dei diritti sociali. In questo autentico vuoto della politica, la Chiesa considerava proprio dovere l’assistenza agli infermi, ai poveri, ai ra-gazzi. In questa prospettiva, il campo di apostolato proposto da madre Geltrude Comensoli alle sue suore abbracciava una vasta gamma di opere: dall’ospitalità a domestiche e cieche alla gestione di cu-cine economiche, dalle scuole agli asili, dai convitti operai alla presenza negli or-fanotrofi femminili, fino all’umile servi-zio di cucina e guardaroba dei seminari e nei collegi. Madre Geltrude comprendeva, infatti, che l’educazione della gioventù era un elemento poliedrico ed essenziale in ogni tempo per cui spendersi totalmente, un’autentica missione, non meno neces-saria di quella che altri intraprendevano andando a evangelizzare in terre lontane. Ecco comunque rappresentato il quadro delle

opere assistenziali promosse dalle Sacramen-tine fino alla scomparsa della fondatrice:

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attività caritative svolte dalle Suore Sacramentine 1882-1903

Per quanto concerneva in particolare i convitti per operaie, queste erano le case aperte negli anni del generalato di madre Geltrude Comensoli:

Data Località Ditta

apertura

casa

1885 Bergamo,

Borgo S. Caterina Filanda Monzini

1887 Alzano Superiore - Bg Filanda Frizzoni

1890 Campagnola - Bg Setificio Agostino

Lurani

1891 Melzo - Mi Setificio Pio

ed Egidio Gavazzi

1899 Alzano Maggiore - Bg Setificio Franzi

1901 Rho - Mi Setificio Colleoni

e Bossi

1901 Parabiago - Mi Setificio

Paolo Castelnovo

1902 Seregno - Mi Cotonificio Giuseppe

Ronzoni

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L’istituto delle Sacramentine cresceva dunque, estendendosi geograficamente oltre che accogliendo sempre nuove vo-cazioni, diffondendo in tal modo il cari-sma della fondatrice, un carisma poggiato sulle radici forti di una profonda ed in-tensa vita di preghiera.

Il paradiso in terra: la spiritualità eu-caristica Oh bontà del mio Gesù! Egli di quando in quando mi faceva sentire la sua voce e le interne parole di vita. L’orazione ed il Santissimo Sacramento d’amore formavano il mio paradiso in terra. Gesù Cristo abita in mezzo a noi, per es-serci accanto sempre pronto ad aiutarci. L’amore lo tiene prigioniero in un’ostia, nascosto giorno e notte nel santo taberna-colo, Egli tiene le sue delizie nella luce inaccessibile del Padre eppure trova de-lizie lo stare con gli uomini. Come si evidenziava nei suoi scritti più intimi, madre Geltrude Comensoli era ra-pita dal mistero di un Dio che nell’euca-restia si annienta per rimanere presente e accompagnare il cammino di ogni uomo. Già dalle annotazioni spirituali stese la sera del suo ingresso in convento, emer-geva con chiarezza il senso che madre Geltrude attribuiva all’adorazione euca-ristica: essa era un modo per rendere glo-ria a Dio, per riconoscerlo come il Tutto della vita, il Re dell’universo, il “Centro di tutti i cuori”, come recitano le litanie del Sacro Cuore, a lei tanto care e così spesso pregate e raccomandate. La spiritualità eucaristica di madre Co-mensoli cresceva dentro una sensibilità che sottolineava lo stretto legame tra il

mistero dell’incarnazione del figlio di Dio e la sua presenza reale nel SS. Sa-cramento. Anzi, l’eucarestia era il compi-mento della presenza divina che accom-pagnava Israele. Caterina viveva il suo rapporto con Gesù al modo di un’esperienza mistica, cioè di una conoscenza amorosa. Questa relazione la portava a riconoscere Gesù come il suo Signore, come il centro, il significato, la ragion d’essere, il bene supremo, la gioia, lo scopo della sua vita. La sua sequela di Gesù diventava adesione appassionata alla sua persona: per lei credere significava gioire con Lui, pensare Lui, pregarlo volentieri, deside-rarlo con trepidazione, accogliere in piena disponibilità le sue parole, essere pronta a percepire ogni suo cenno e fare intera-mente la sua volontà. Questo legame con Cristo non era sol-tanto assenso intellettuale; era anche slan-cio del cuore. Gesù non era un’idea, né un concetto metafisico, né un programma d’azione sociale; non era soltanto un per-sonaggio storico che appartiene al pas-sato, ma era persona viva. Quello per Gesù eucarestia era dunque un amore totale, esigente, che non ammet-teva mezze misure. Dagli scritti, e soprattutto dalle vicende biografiche di madre Comensoli, emer-geva una sequela di Gesù caratterizzata da una volontà risoluta, non pervasa so-lamente da vaghi desideri. Ella dimostrava sempre una volontà ferma e tenace in questo senso, pronta ad affron-tare qualsiasi prova pur di rispondere alla chiamata che la vuole conforme a Gesù. Per Caterina Geltrude Comensoli ado-rare Gesù, “tenergli compagnia”, alzare

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lo sguardo verso di lui e invocarlo, voleva dire riconoscerlo presente, vicino, acces-sibile; significava scoprire il suo amore preveniente, porsi in relazione con lui che desidera la nostra compagnia molto più di quanto noi desideriamo la sua. Nell’adorazione eucaristica stabiliva con Gesù un rapporto di amore, di fiducioso abbandono e di unione intima. Lì percepiva che Dio non abita in cieli lontani ma si fa incredibilmente vicino, sempre disposto ad ascoltare chi si ri-volge a Lui. La certezza di questa presenza e la possi-bilità di incontrarlo come e quando vuole, erano per lei motivo di grande gioia, le davano sicurezza nell’affrontare i gravosi impegni, perché sapeva di avere Gesù ac-canto a sé, nella propria casa. Ma l’obiettivo finale era quello di esten-dere a tutti la passione per Gesù e per il suo messaggio d’amore rivolto all’uomo di ogni tempo. Da qui il motto delle Sacramentine: “Gesù, amarti e farti amare”. Un motto ancora oggi vissuto dalle sue figlie nella fede, le oltre ottocento Suore Sacra-mentine di Bergamo sparse in tutto il mondo.

La santità e noi Il discorso sulla santità - bisogna essere onesti - si conferma estremamente impe-gnativo nel nostro tempo, anche laddove venga mediato dal confronto con figure concrete, a noi vicine nelle origini, addi-rittura figlie della nostra stessa terra. Tuttavia si tratta di un discorso necessa-rio, come ci ha raccomandato papa Gio-vanni Paolo II nella lettera Novo millen-nio ineunte: “non esito a dire che la pro-

spettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità. Occorre riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della costi-tuzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla vocazione universale alla santità. Sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. E’ ora di riproporre a tutti con convin-zione questa ‘misura alta’ della vita cri-stiana ordinaria”. Accogliamo tutti insieme, da soli e come comunità, questa sfida decisiva, partendo proprio dalla storia dei nostri Santi: Santi dell’educazione popolare, Santi della vita di tutti i giorni, Santi sociali e aperti al mondo, Santi della preghiera.

Bibliografia minima Per chi desiderasse approfondire il per-corso biografico e spirituale di questa im-portante figura religiosa, non si dimenti-chi che negli ultimi anni alcuni preziosi studi sono stati pubblicati, basti pensare al profilo biografico redatto da Goffredo Zanchi, Geltrude Comensoli. “L’abbandono in Colui che tutto può” 1847-1903 (Glossa Milano 2005), mentre per quanto concerne l’ambito strettamente umano e spirituale si può consultare oggi anche la monografia di Ezio Bolis, “Gesù, amarti a fari amare”. L’esperienza spirituale della beata Geltrude Comensoli (Glossa, Milano 2007).

CATERINA BETTONI, ADA MICHELI

PER L'ASSOCIAZIONE SIMONI FÉ DI BIENNO

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Il logoIl logo ha la funzione di esprimere, per così dire, «il tutto nel frammento». Quello ideato e realizzato da Valter Dadda in occasione della canonizzazione di madre Comensoli, risponde pienamente a questo compito: consente di indi-viduare, in modo stilizzato e sintetico, ma assai efficace e immediato, il nucleo essenziale della spiritualità di madre Geltrude. Proponiamo qual-che breve suggerimento che aiuti ad apprezzare e a valorizzare meglio questo simbolo, compren-dendolo nel contesto del suo originale orizzonte spirituale.

La grande C La C è la lettera iniziale del nome di battesimo, Caterina, e del cognome, Comensoli: essa rinvia alle radici della sua esi-stenza, a quel germe di santità che è nato grazie ai suoi genitori, nella sua famiglia; è cresciuto e si è sviluppato in seno alla comunità parrocchiale di Bienno, dove ha ricevuto il Battesimo, ha mosso i primi passi di quel cam-mino che è poi giunto alla pienezza esemplare riconosciuta nella cano-nizzazione.

I colori viola e giallo-oroIl logo utilizza due colori complementari, viola e giallo. La grande C è viola, colore ottenuto dalla mescolanza del rosso con l’azzurro, rispettivamente il colore della vita e quello del cielo. Da questa combi-nazione scaturisce il significato tipico che fin dall’antichità è stato attribuito al viola: richia-mando il passaggio dalla vita all’eternità, esso è il colore tradizionale della mistica e della spiritualità. Ispira un atteggiamento meditativo e austero, tanto che in ambito liturgico viene as-sociato allo spirito penitenziale. In alcuni quadri

molto antichi che raffigurano la Passione, il Cri-sto indossa una tunica violacea, quasi a suggerire il sangue del sacrificio consumato sulla Croce. Le linee che tratteggiano l’Ostia e la Croce sono invece giallo-oro, il colore caldo del sole, della divinità, della luce splendente, della gioia piena. Di questo colore sono, per esempio, le aureole dei Santi, a indicare la loro piena partecipazione della vita divina.

La colombaNella parte sinistra il logo disegna il profilo sfu-mato di una colomba, di cui si notano chiara-mente il becco e la grande ala, sovrapposta alla C. Il simbolo della colomba ricorre spesso nella

Bibbia per designare lo Spirito Santo, come al battesimo di Gesù nel Giordano, quando lo Spirito scese su di lui proprio in forma di co-lomba. Con il suo tubare senza sosta, la colomba suggerisce lo Spirito di Dio, che da sempre canta all’uomo il suo amore, in attesa di risposta. Lo dice bene san Paolo, per il quale il gemito della colomba esprime l’at-tesa e il desiderio: «Lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti ine-sprimibili» (Rom 8,26). Elevata e sostenuta dalle «ali» dello Spi-rito, madre Comensoli ha potuto realizzare in modo esemplare la sua vita e giungere alla san-tità. La colomba appare

anche nel Cantico dei Cantici, come simbolo dell’Amata, di Israele. In questo senso, essa ricorre più volte anche negli scritti di madre Comensoli che cita il versetto del Cantico dove l’amato invoca l’amata e le propone un’intimità totale: «O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro» (Ct

LA SINTESI DEL CARISMA NEL LOGODELLA CANONIZZAZIONE

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2,14). La colomba, cioè la sposa del Cantico, è il modello che le suore devono contemplare e imitare: «Gesù sta aspettando ansiosamente nel forame della pietra le sue dilette spose… Egli è già in cappellina nel santo Tabernacolo che sta spiando chi è destinata ad andarci» (Lettera a suor Concetta Pasini, del 20.02.1894). Nella colomba la tradizione cristiana vede poi un chiaro riferimento alla verginità consacrata. Anche madre Comensoli fa proprio questo sim-bolo di fedeltà, di mitezza e di pudore: «Quanto ama Gesù la purezza del cuore! O Sposa di Gesù, cerca di essere severa con te quando si tratta di offendere minimamente la perfezione del tuo stato. La più piccola mancanza spiace tanto al tuo Signore che ti vorrebbe unire a Lui come Colomba» (Esortazioni e ricordi n. 41).

La CroceSulla destra del logo svetta la Croce, «nuda», essenziale. Essa è un elemento fondamentale nella vita e nella spiritualità di madre Comen-soli, come lei stessa confida: «Voglio farmi santa, divenire una fedele immagine del Croci-fisso, mio Bene» (Note intime del 05.10.1897).La Croce esprime l’amore ostinato di Dio che vuole donarsi all’uomo e che, anche di fronte al rifiuto, accetta di lasciarsi ferire e uccidere, pur di rimanere fedele. La Croce è simbolo dell’amore «folle», smi-surato, con il quale Dio ci ama oltre ogni ra-gionevole misura umana. Tale pensiero domina l’esperienza spirituale di madre Geltrude. Ella dichiara spesso di voler essere solidale con Gesù, l’«Amatore crocifisso», seguendolo fino a con-dividere il destino della Croce «nuda»: «Con la grazia di Dio neppur io sto distaccata dalla croce alla quale mi sento strettamente legata, e quivi rimango quieta contro tutti gli assalti diabolici. In mezzo all’ineffabile patire adesso ho trovato questo secreto di gettarmi come morta ai piedi della croce nuda, la croce nuda […]. Mi si presenta di nuovo, sempre così chiaramente come la vedessi con gli occhi, la croce nuda – mi prostro in spirito e l’abbraccio – m’abbandono come un corpo morto e trovo il riposo, la pace, la quiete e così tiro innanzi» (Lettera a padre Rodolfi, del 09.08.1894).

Il pane spezzatoLa grande ostia spezzata, al centro del logo, rin-via immediatamente a Gesù-Eucaristia, celebrato e adorato nel SS.mo Sacramento dell’altare, che si fa cibo nel cammino della vita. Siamo al punto più tipico della spiritualità di madre Comensoli,

quello che caratterizza anche il nome della sua famiglia religiosa. Questa centralità è sottolineata fin dal suo in-gresso in Convento: quella sera, davanti a Gesù, ella manifesta così il suo proposito: «Non ho di mira che la vostra gloria… farvi adorare nel SS.mo Sacramento […]. Soffrirò di cuore tutti i tormenti purché vi veda esposto all’adorazione di tante anime che altro non cercano che Voi» (Note intime del 15.12.1882). Nell’adorazione eucaristica madre Geltrude stabilisce con Gesù un rapporto di amore, di fiducioso abbandono e di unione intima. Lì, percepisce che Dio non abita in cieli lontani ma si fa incredibilmente vi-cino, sempre disposto ad ascoltare chi si rivolge a Lui. Ponendosi in adorazione, «faccia a fac-cia» con Gesù Sacramentato, si lascia plasmare da Lui, dai suoi tratti, dalle sue virtù, dalla sua carità: sviluppa un’esistenza eucaristica! L’ado-razione, che precede e continua la celebrazione eucaristica, diventa una vera e propria «scuola di carità», dove si impara ad amare come ama Gesù: le Suore sono invitate a «imitare la vita eucaristica del divin Salvatore Gesù, con l’amore alla immolazione, al nascondimento e alla umi-liazione» (Primo abbozzo delle Costituzioni). A una superiora raccomanda: «Accostati a Gesù, vai spesso innanzi al s. Tabernacolo, e digli che ti conceda quell’amabilità, dolcezza e umiltà di cui è ripieno il suo amante cuore» (Lettera a una superiora, del 27.10.1902).

La maternitàLa linea dolce e avvolgente formata dalla C sem-bra suggerire il profilo di una madre chinata sul proprio bimbo. Richiama così un tratto essen-ziale di madre Comensoli, il suo atteggiamento materno. Tutti le riconoscono infatti le qualità di una vera «mamma»; lei stessa esorta le superiore a svolgere il loro ufficio in modo materno: «Fa’ che amino in te non la superiora, ma la mamma, di’ loro sempre una buona parola perché pos-sano aver confidenza» (Lettera a suor Teodolinda Colombo del 29.10.1895). Tiene contatti stretti con le suore, si preoccupa della loro salute, delle condizioni in cui abitano e lavorano. È attenta a ciascuna ma predilige i soggetti dal temperamento più difficile. Sa cogliere ogni occasione per motivare e sti-molare; interviene con discrezione e franchezza per consigliare, ammonire e correggere; però, sa anche consolare e incoraggiare con grande dolcezza.

DON EZIO BOLIS

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“AIUTA LA COMUNITA' A CRESCERE”:LA REALTÀ DELLA FONDAZIONEDELLA COMUNITÀ BRESCIANA ONLUS

Nell’ultimo ventennio i flussi della filan-tropia, intesa in senso lato, hanno acqui-stato una notevole rilevanza economica in tutti i paesi sviluppati, non solo per le risorse finanziarie mobilitate e per l’occu-pazione creata, ma anche per le funzioni svolte. Significativa in tal senso appare l’iniziativa che Fondazione Cariplo in questi anni ha promosso attraverso la costituzione, in particolare nell’ambito lombardo, delle "Fondazioni territoriali". In riferimento alla nostra provincia, nel proseguo, verranno approfonditi gli scopi e l’attività svolta dalla Fondazione della Comunità Bresciana Onlus. 1. Cariplo e le Fondazioni territorialiLa Fondazione Cariplo rappresenta la con-tinuazione storica della Cassa di Rispar-mio delle Provincie Lombarde istituita a Milano il 12 giugno 1823. Sin dagli inizi, la Cassa di Risparmio ha operato al servizio dell’economia del ter-ritorio e ha sostenuto la crescita sociale e culturale della comunità lombarda, con-formando la propria attività ai principi di autorganizzazione e di sussidiarietà.Formalmente la Fondazione Cariplo è nata nel dicembre 1991 in seguito al processo di ristrutturazione del sistema creditizio italiano dettato dalla legge Amato-Carli e finalizzato ad avviare un ampio processo di razionalizzazione e di privatizzazione. Le Fondazioni sorte da questo processo avevano come missione istituzionale quella di proseguire nell’attività filantro-pica di beneficenza svolta fino ad allora

dalle Casse.Nel 1999 la Fondazione Cariplo decise di promuovere la costituzione di Fondazioni delle Comunità Locali nei territori in cui essa aveva tradizionalmente operato, al fine di perseguire in modo più efficace ed efficiente i propri fini statutari e di favo-rire la crescita di una forte società civile permettendone una concreta e reale attua-zione dei principi di sussidiarietà. Le Fondazioni delle Comunità Locali sono oggi considerate uno degli strumenti più moderni della filantropia. Esse infatti per-mettono di dare concretezza ai principi di solidarietà e responsabilità civile di spe-cifiche realtà territoriali. Nate negli Stati Uniti nei primi anni del 1900, queste or-

Gli uffici di via Gramsci 17, presso l'Università degli Studi di Brescia.

Istituzioni

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ganizzazioni si sono diffuse rapidamente anche in Europa e si sono evolute sino a diventare un punto di riferimento per la comunità. Fondazione Cariplo, da sem-pre impegnata in progetti di solidarietà, si è ispirata al modello di “Community Foundation” americano dando vita anche in Italia alle Fondazioni delle Comunità Locali, con l’obiettivo di favorire attra-verso organismi territoriali autonomi, una più efficace destinazione delle risorse.Le Fondazioni territoriali, attraverso strut-ture autonome e profondamente radicate nel territorio, permettono il raggiungi-mento di quegli obiettivi di efficacia ope-rativa e di trasparenza che Fondazione Cariplo si è posta prioritariamente. L'obiettivo di costituire alcune Fondazioni delle Comunità Locali è oggi pienamente realizzato: 14 sono le Fondazioni che ope-rano a livello provinciale in Lombardia e nei territori di Novara e Verbania.

2. La Fondazione della Comunità Bre-sciana OnlusPer Brescia e provincia si è costituita il 21 dicembre 2001 la Fondazione della Comu-nità Bresciana – Onlus, con l’obiettivo di migliorare il livello di benessere integrale della collettività bresciana e di valorizzare il territorio della provincia.Fondazione di diritto privato, riconosciuta dalla Regione Lombardia, essa non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente fini di solidarietà sociale promuovendo lo sviluppo civile, culturale, sociale, am-bientale ed economico della comunità, so-stenendo coloro che, attraverso una reale progettualità, forniscono concrete risposte ai bisogni del territorio. A tal fine la Fondazione opera finanziando progetti ed iniziative particolarmente nei settori dell’assistenza sociale e sanitaria, della cultura, dell’istruzione e formazione,

dell’imprenditoria sociale, della solidarietà internazionale, della tutela e valorizza-zione delle cose di interesse artistico, della natura e dell’ambiente, della ricerca scien-tifica, e in generale sostenendo iniziative volte a migliorare la qualità della vita ed il rafforzamento dei legami solidaristici e di responsabilità sociale fra tutti coloro che vivono e operano nel territorio della Provincia di Brescia. La Fondazione, con sede a Brescia, in via Gramsci n° 17:a) promuove la raccolta diretta o indiretta di fondi da erogare - unitamente alle ren-dite derivanti dalla gestione del patrimo-nio - a favore di progetti ed iniziative di cui alle suindicate finalità;b) collabora con altri enti privati o pubblici impegnati in iniziative di erogazione a fa-vore di soggetti del territorio bresciano;c) promuove e sostiene iniziative volte a creare, in varie forme, stabili fondi di dotazione destinati agli stessi suoi fini, re-lativamente a specifiche aree territoriali della provincia;d) promuove e attua ogni forma di stabile collaborazione e integrazione con tutti i progetti di organizzazioni non lucrative che operano per la crescita civile, cultu-rale e sociale della comunità bresciana.La Fondazione, operando di fatto dal gen-naio 2002, ha contato su un patrimonio iniziale di 5 milioni di Euro fornito dalla Fondazione Cariplo, che si è impegnata a garantire un ulteriore identico apporto a patto che sul territorio venisse raccolta una somma analoga (mediante donazioni) entro 10 anni dalla costituzione della Fon-dazione comunitaria. Nel 2007 tale tra-guardo è stato raggiunto, grazie alle ge-nerose donazioni raccolte tra i bresciani, con ben 4 anni di anticipo, permettendo all’istituzione di disporre oggi di un pa-trimonio netto di circa 16,5 milioni di Euro.

Istituzioni45

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Istituzioni 46

La Fondazione, oggi presieduta dal Dott. Giacomo Gnutti, appartiene all'intera co-munità bresciana ed è indipendente da ogni interesse particolare; rappresenta un patrimonio permanente a beneficio della comunità della provincia di Brescia e ga-rantisce che le risorse raccolte verranno perpetuamente utilizzate per il fine per il quale sono state donate; essa distribuisce i propri contributi con la massima traspa-renza, controllando che i beneficiari li utilizzino come stabilito.“Aiuta la comunità a crescere” è il motto della Fondazione, individuato dalla sem-plice lettura degli scopi che la stessa per-segue con il proprio operare. L’attività della Fondazione non si esaurisce però nell’opera di finanziamento di progetti attraverso l’erogazione di risorse eco-nomiche, frutto del patrimonio di cui la stessa dispone. Essa infatti, ha tra le pro-prie finalità primarie quelle di sollecitare la generosità di soggetti privati che, con donazioni o con la costituzione di fondi, possono fare della Fondazione uno stru-mento per operare filantropicamente sul territorio bresciano. Il motto sopracitato esprime dunque anche un’esortazione, un invito alla generosità che la Fondazione rivolge a tutti coloro che sul territorio bresciano abbiano a cuore il tessuto sociale, l’assistenza sani-taria, l’arte, la cultura, l’ambiente e l’istru-zione.Nell’arco di pochi anni l’istituzione ha ot-tenuto formidabili risultati sul territorio, dimostrando una grande capacità di pro-muovere la cultura del dono: dalle origini e fino alla data del 31/12/2008 infatti sono stati donati al patrimonio della Fondazione circa Euro 16,5 milioni (comprensivi di Euro 10 milioni ricevuti da Fondazione Cariplo).I fondi erogati dalla Fondazione nello

stesso arco temporale (e che sono indi-pendenti dal patrimonio suaccennato) sono stati complessivamente pari ad Euro 17,7 milioni.Nel corso del 2008 la Fondazione ha reso disponibili contributi sull’intera provincia per complessivi euro 3.601.525.Maggiori informazioni sono ricavabili consultando il sito internet all'indirizzo: www.fondazionebresciana.org.

3. Fondazione al servizio dei donatori Scopo della Fondazione della Comunità Bresciana Onlus è, fra gli altri, quello di promuovere le donazioni. In particolare la Fondazione può aiutare il donante nella costituzione di un fondo, sia esso perma-nente o temporaneo, o in alternativa, nel finanziamento di specifiche iniziative. Partendo dagli ideali, dalle disponibilità e dalle necessità del donatore, ma anche dalle sue caratteristiche soggettive (per-sona, impresa, ente) la Fondazione può proporre un ventaglio di soluzioni, così da permettere a chi dona di conseguire i propri scopi e di vivere pienamente il pia-cere del dono.Attraverso la costituzione di un fondo il donante può gestire e dare continuità, an-che in via permanente, alla propria atti-vità filantropica. Si tratta di un’alternativa estremamente efficace alla costituzione di una nuova fondazione. E' infatti possibile scegliere se donare: • ad uno specifico progetto fra quelli già selezionati dalla Fondazione;• ad uno dei fondi che sono già stati costituiti;• alla Fondazione per costituire un nuovo fondo che prenderà il nome e avrà le finalità che il donante vorrà stabilire all'atto di donazione; • alla Fondazione per la realizzazione delle proprie finalità statutarie.

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Istituzioni47

E' anche possibile scegliere se il proprio contributo dovrà essere destinato alla costituzione di un patrimonio i cui frutti siano perennemente destinati al finanzia-mento di attività d'utilità sociale o se in-vece potrà essere utilizzato fin da subito per la realizzazione di progetti o di altre iniziative.La Fondazione comunitaria può offrire ai donatori i seguenti benefici:a) Semplicità di costituzione: ogni fondo

potrà essere costituito con atto pub-blico o con semplice scrittura privata, a seconda dell’entità, attraverso una donazione, o per testamento.

b) Benefici fiscali a favore dei donatori: le donazioni fatte alla Fondazione della Comunità Bresciana compor-tano vantaggi fiscali. Per le imprese le erogazioni liberali sono deducibili dal reddito complessivo nel limite del 10% del reddito e comunque nella misura massima di 70.000 Euro annui (o in al-ternativa nel limite del 2% del reddito e nella misura massima di Euro 2.065). Le donazioni fatte alla Fondazione da qualsiasi cittadino privato, permettono di ottenere una detrazione d’imposta Irpef pari al 19% su un ammontare massimo erogato di Euro 2.065 (o in alternativa le donazioni sono dedu-cibili dal reddito complessivo nel li-mite del 10% del reddito e comunque nella misura massima di Euro 70.000 annui). Per usufruire dei benefici fi-scali, occorre effettuare i versamenti mediante bonifici bancari, versamenti presso gli uffici postali, o con carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari, conservandone la relativa ricevuta.

c) Trasparenza: la Fondazione è impe-gnata a dare la massima trasparenza al proprio operato, informando costante-

mente e con mezzi appropriati la co-munità bresciana circa il proprio modo di operare, gli obiettivi, la destinazione dei fondi ed i risultati raggiunti.

4. Fondo territoriale per la Valle CamonicaPresso la Fondazione, come già accen-nato, sono già stati costituiti numerosi fondi, ciascuno con nome, finalità e mo-dalità operative proprie. Tra di essi è di recente formazione il Fondo Territoriale per la Vallecamonica, costituito in seno alla Fondazione in data 31 maggio 2007, e promosso dalla Co-munità Montana di Valle Camonica, dalla Banca di Valle Camonica SpA, dal Sol.Co Camunia e dalla Fondazione Camuni-tas. Agli enti promotori si è aggiunto nel giugno 2008 il Rotary Club Lovere Iseo Breno. Il Fondo si compone di 2 sezioni:- la Sezione patrimoniale, in cui le risorse vengono capitalizzate ed incrementano la dotazione iniziale del Fondo (oggi am-montante a nominali Euro 90.000);- la Sezione corrente, ove le risorse sono invece destinate al finanziamento di ini-ziative indicate dalla Commissione di ge-stione del Fondo e deliberate dal Consiglio di amministrazione della Fondazione.Il Fondo Territoriale per la Vallecamonica ha lo scopo di sostenere iniziative di uti-lità sociale che promuovano lo sviluppo civile, culturale, sociale, economico e di tutela ambientale nel territorio della Valle Camonica promuovendo la cultura del dono presso i diversi soggetti pubblici e privati del territorio. Il Fondo intende quindi, di intesa con la Fondazione della Comunità Bresciana, sollecitare quanti possano apportare risorse ad un disegno comune di crescita sociale culturale, ci-vile ed ambientale del territorio della Valle Camonica.

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Istituzioni 48

Dopo un primo bando pubblicato nel 2007, nella seconda metà del 2008, anche su iniziativa degli enti promotori il Fondo, la Fondazione ha attivato un “Bando rac-colta a patrimonio”, uno strumento nuovo e sperimentale (anche se già utilizzato con successo da altre fondazioni comunitarie) che richiede la partecipazione dei benefi-ciari dell’erogazione, chiamati a coinvol-gere concretamente la comunità locale per raccogliere direttamente le donazioni che finanzieranno in parte i progetti.E’ ben chiara in questa iniziativa la fun-zione di intermediario etico svolto dalla Fondazione, affiancandosi ai veri e pro-pri attori che sono, oltre ai partecipanti al Fondo, gli enti che presentano progetti e tutte le persone fisiche e giuridiche che danno il loro contributo.Il bando ha messo a disposizione della comunità valligiana risorse per Euro 100.000, per la metà di fornite dalla Fon-dazione e per l’altra metà apportate, in varia misura, dagli Enti partecipanti al Fondo.I richiedenti hanno potuto presentare i loro progetti (di importo non superiore a euro 25.000) nei settori dell’assistenza sociale, socio sanitaria, della tutela e della valoriz-

zazione del patrimonio artistico, storico e ambientale, delle iniziative culturali e dell’istruzione. Il contributo massimo ero-gabile su ogni progetto è stato di 7.500 Euro, non potendo coprire più del 50% dei costi. La Fondazione ha selezionato recentemente i progetti ritenuti migliori e che dimostravano di aver raccolto dona-zioni (a favore della Fondazione) pari al 20% del contributo erogato; tali donazioni costituiranno un incremento della sezione patrimoniale del Fondo territoriale per la Valle Camonica. L’iniziativa del Fondo territoriale e del bando raccolta a patri-monio, che hanno interessato la Valle Ca-monica, replicano dunque a livello locale quanto Fondazione Cariplo ha fatto e fa nei riguardi delle fondazioni comunitarie da essa generate. infine, un dato econo-mico: dalla sua costituzione e fino alla fine del 2008, la Fondazione della Comu-nità Bresciana Onlus ha erogato contri-buti a favore di enti operanti sul territorio camuno per complessivi Euro 1.360.836 pari all’ 11% del totale erogato sull' intera Provincia.

VAIFRO CALVETTI

I primi due Fondi Territoriali presso la Fondazione della Comunità Bresciana.Fondo Terme di Sirmione Manfredo di Collalto e Fondo Territoriale per la Valle Camonica.

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E’ la sua terza pubblicazione. Raccoglie oltre un centinaio di brevi scritti, stesi quasi a mo’ di diario e scrupolosamente datati, nutriti di riflessioni, confidenze, confessioni, stati d’animo i più diversi. Francesco Abondio, oggi settantenne, ex dipendente delle Acque di Boario, è nato e vive a Darfo con la famiglia e qui con-serva gli affetti più cari. Nel 2001 la Tipolitografia Quetti di Arto-gne stampava il suo “diario poetico” in-titolato “Oi de la Valcamonica”; qualche anno dopo pubblicava “Nostalgia” per arrivare, alla fine del 2008, a quelle che ha voluto indicare come riflessioni di un settantenne e che in copertina portano il titolo di “ Ascolta…piccolo uomo”. In genere si tratta di spunti dettati da una vigile introspezione, dalla voglia di capire il mondo, di spiegare il senso della vita e gli accadimenti che ci toccano giorno dopo giorno, soprattutto quando le circostanze si caricano di sofferenza, di malattia, di struggente ricordo di ciò che era e che ora non è più. Ed è stata proprio la malattia invalidante a spingere Francesco Abon-dio a mettere mano alla penna. Nelle sue note, nelle sue poesie, nei suoi spunti di riflessione emergono i ricordi più intimi, le gioie e i dolori, lo stupore incantato e la delusione temperata dai sentimenti e dagli affetti. E allora se è vero che “la notte non finisce mai per chi non dorme”, se capita qualche mattina di “alzarsi col magone”, se attorno si colgono i segni snervanti dell’indifferenza, è pur vero che il libro resta “un amico che non delude mai”.

ASCOLTA... PICCOLO UOMO

Dalla lettura alla scrittura il passo a volte è breve. E quando riaffiora costantemente, ora dopo ora, la visione dolorosa della vita e il senso della precarietà, l’unico appi-glio restano i buoni sentimenti e le cose belle fatte dal Creatore. E così emergono su tutto, come richiamo struggente, i canti alpini e le montagne della Valcamonica. Sono tre volumetti che, pur nelle loro di-messe pretese, fanno bene all’intelligenza e al cuore. Sono da leggere con calma, assaporandone i dettagli e gli stimoli alla riflessione. Si capisce che pensieri ed emozioni sono frutto di esperienze vissute e spesso sofferte. Sono le pubblicazioni di un uomo sem-plice che lotta da dieci anni con coraggio contro il Parkinson.

GIAN MARIO MARTINAZZOLI

Francesco Abondio

Letture

FRANCESCO ABONDIO, Ascolta piccolo uomo, Quetti Artogne, 2009

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GIORGIO GAIONI

Il gruppo Alpini di Angolo Terme ha re-centemente edito un volume-ricordo di Giorgio Gaioni (1926-1998) che reca il titolo “Sul Cappello” (Tip. Camuna, Breno) Padre di famiglia, insegnante, scrittore, poeta, uomo politico, Alpino, il Nostro lasciò in Valcamonica ampia trac-cia di sé. Il curatore della pubblicazione, Giuliano Ganassi, in sede di prefazione scrive: “Il volume dedicato a Gaioni in-tende essere una canzone corale, dove più voci si fondono per cantare le qualità di questo grande personaggio. Una canzone alla buona come quelle che il maestro Giorgio non disdegnava di can-tare insieme agli amici durante una gita in montagna, o nel corso di una delle tante ricorrenze alpine che lo hanno visto tra i protagonisti. Alla buona sì, ma comunque capace di muovere sentimenti, fare affiorare ricordi, portare a riflettere su alcuni valori irrinun-ciabili”. Ecco che così, accanto a contributi di molti amici che ricordano l’uomo, appa-iono stralci di suoi scritti, tratti dalla molte cose di cui l’uomo di lettere si occupò: fiabe, racconti, “bòte”, poesie, discorsi, riflessioni sul dialetto camuno, preghiere, ecc., ecc. Ed a proposito di orazioni, è celebre quella brevissima, scritta per Giovanni Paolo II, in occasione della sua venuta sulla Lobbia Alta, il 16 luglio 1988 (XXV Pellegrinag-gio in Adamello): “Signore, che tutti gli Alpini rimangano fedeli alle loro tradi-zioni di bontà, onestà, coraggio e coerenza

e siano sempre uomini forti e credenti che si prodigano per costruzione della civiltà dell’amore”. Si faceva dianzi cenno alle testimonianze scritte di molti: oltre al sindaco di An-golo, Mario Maisetti, Sira Borboni, don Franco Corbelli, Vera Zappia, Angelo Bet-toni, Ferruccio Minelli, Gianni De Giuli, Eugenio Fontana, Adriano Sigala, Nicola Stivala, Paola Abondio. Ma, per tornare alle pagine firmate dal defunto e presenti nel volume, sempre Ganassi sostiene: “Non potevano mancare poi gli scritti del

La copertina del volume “Sul Cappello”

Letture

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maestro Giorgio, alcuni articoli e racconti pescati tra la sterminata produzione lette-raria, con l’attenzione di trovare qualcosa di inedito, o di poco conosciuto per dare testimonianza della sua vena narrativa. In particolare ci si è avvalsi della preziosa collaborazione tra lo scrittore ed il giorna-lino parrocchiale di Angolo Terme che ha avuto l’onore di presentare in anteprima una quarantina dei suoi racconti. Ed a nome della comunità religiosa ango-lese s’è espresso il parroco di allora, don Franco Corbelli (oggi monsignore arci-prete di Breno): “Oso parlare a nome della comunità di Angolo che il prof. Gaioni ha amato e servito con amore: come giovane insegnante ed educatore dei piccoli nella scuola elementare; come animatore, rifon-datore e strenuo sostenitore del gruppo Alpini e di ogni attività da questo pro-mossa in loco e fuori; come scrittore: con la penna di Gaioni il nostro “Angolo” è

diventato oggetto e soggetto di letteratura, provinciale solo per la diffusione dei testi e non certo per la qualità della parola”. Una particolare parte dell’opera, ed esat-tamente il III capitolo, è dedicata all’uomo di cultura. Qui Eugenio Fontana testimo-nia: “Pochi come te, Giorgio, possono uscire dalla vicenda di questo mondo con la certezza, la consolazione ed il premio di non lasciare nemici, perché tua grande forza morale e spirituale fu la tua serenità, il tuo candore: canto della mente che ti poneva in ascolto delle montagne nel mo-mento in cui si spalancano all’aurora, o si nascondono nel tramonto. Hai conosciuto l’ingratitudine, l’ingiustizia e la sconfitta, senza mai smarrire o offuscare la limpi-dezza, la luminosità della tua anima, senza voler essere un inutile eroe, per rimanere fedele alla tua umanità.

ERMETE GIORGI

G. Ganassi, Sul Cappello, Tipografia Camuna, Breno, 2009

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150 ANNI DELLE TERME

Con la prefazione di Michela Vielmi e ponendo in appendice un saggio di Re-nato Conti su ‘Una civiltà dell’acqua. La Valcamonica, le Terme di Boario e lo stile Liberty’, è offerto ai cultori di storia e delle tradizioni, ma anche a quanti amano il proprio territorio sia come memoria e traccia del tempo sia come attualità e lo vogliono custodire e migliorare per il fu-turo, un volume che mancava per un’ese-gesi valutativa dei 150 anni delle Terme, compiuta da G. Franco Comella.Nella prefazione dell’architetto Michela Vielmi, cui molto si deve per la spettaco-lare rinascita delle Terme, c’è la chiave di lettura del volume: lampi di prosa e di immagini che permettono in fase conclu-siva una composizione vitale ed essen-ziale, partendo dalla landa acquitrinosa e fissando l’interesse nell’excursus storico. Del saggio di Conti viene sottolineata la naturale equazione fra acqua e civiltà, come simbolo di ben-essere fisico e rela-zionale. Così in prefazione.Il pesante compito di Comella, storico camuno dalla straordinaria capacità, di rendere fonte di emozione quanto scrive e noi si legge, parte ab imis, frazionando il tempo in 21 argomenti.Boario, area urbana, ha una vita quasi tutta novecentesca. I primi decenni sono fondamentali per le Terme: nel 1905 nasce la Società Termale Casino Boario; nel 1913 ecco il prodigio del nuovo colonnato ad esedra sormontato dalla cupola circolare opera dell’architetto svizzero Americo Marazzi.

Seguono momenti alterni, dai conflitti mondiali alla ricostruzione postbellica che riporta vitalità operativa; si conia lo slogan ‘Boario fegato centenario’.Comella detta la data di nascita del ter-malismo di Boario: il primo giugno 1858 apre il nuovo stabilimento e Gaetano Fe-derici di Gorzone ne è il fondatore.Comella si sofferma, poi, sui momenti della Belle époque; ricorda il Teatro Igea; accenna al Grand Hotel des Thermes che la nuova proprietà vuole riportare agli an-tichi fasti; ripresenta i primi alberghi.

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G. Franco Comella, C’era una volta Casino Boario, Cenni di storia e vecchie immagini, a cura di TERME di BOARIO, 2008.

Un capitolo particolare è dedicato al Ma-razzi; questo argomento sta molto a cuore allo storico gianichese, che ne aveva già parlato assieme a Paola Macario nel n . 5 del gennaio 2006 della rivista ‘Il postale’ (quaderni di cultura e politica del lago d’Iseo, della Franciacorta e della Valle Camonica). Tra i ricordi, ancora, l’arrivo del tramway e del treno, la vaghezza oggi perduta dei paeselli d’intorno.Importanti pagine sono dedicate alle sor-genti: l’Antica Fonte, la Fonte Sacco o Silia, la Fonte Igea, la Fonte Fausta. Ci sono accenni all’idrologia medica, alle cartoline umoristiche a tema, alle foto ri-cordo degli anni 30. Gli ultimi passaggi riguardano l’architettura razionalista e i momenti della rinascita, partendo dal 1948 fra nuovi alberghi e nuove attività commerciali.

La seconda parte del libro è affidata a Renato Conti, autore di spiccata globalità culturale che passa dall’acqua come mito nel tempo a mezzo benefico di oggi, in una mantenuta atmosfera di sacralità. L’at-tenzione allo stile Liberty-floreale precede il rilievo al manifesto pubblicitario (e qui Conti cita Toulouse Lautrec e Jules Ché-ret), nel quale dominano il paesaggio, le figure femminili, la mitologia. Le ultime pagine sono dedicate al Parco e alla collina sacra di Luine.L’impaginazione del libro è di Claudio Vanoli, mentre la Cittadina, azienda gra-fica di Gianico, cura fotolito e stampa.Le illustrazioni di pertinente interesse sto-rico sono numerosissime e danno un tocco di eccellenza alla pubblicazione.

SEBASTIANO PAPALE

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CONVENTI NELLA LOMBARDIA ALPINA

La pubblicazione conclude la serie di vo-lumi che la Banca di Valle Camonica ha dedicato negli ultimi anni al ciclo L’alta Lombardia nel Medioevo mediante l’illu-strazione - sotto i diversi profili storici e artistici - della presenza e dell’evoluzione di monasteri, pievi, castelli, dimore si-gnorili e conventi, analizzati in particolar modo in un’ottica di sviluppo del vasto territorio che si estende tra i laghi d’Iseo e di Como. Al ricercatore camuno Oliviero Franzoni il compito di curare tale volume, con particolare riferimento ai conventi della Valle; a Piergiovanni Damiani è af-fidato il territorio del lago di Como e ad Elisa Gusmeroli, l’area alpina valtellinese. Negli ultimi secoli del medioevo si diffu-sero in maniera massiccia ordini religiosi noti come “ mendicanti”, i cui componenti vivevano di elemosine, del personale la-voro manuale e della pratica della predi-cazione itinerante. Più tardi, lungo la Valle Camonica, si avvicendarono gli Umiliati, i benedettini, i frati Francescani, tutti ac-comunati dalla fiduciosa ricerca di Dio e dal netto rifiuto nei confronti della vio-lenta società dell’epoca. Tutti questi fatti contingenti rappresentarono l’humus per la diffusione di tanti eremiti sul territorio, che conducevano una vita ritirata in luoghi appartati, cui seguì la creazione di alcuni ospizi, nati dall’esigenza di fornire asilo d’urgenza dei frati. Così come Brescia all’indomani del concilio di Trento vide la diffusione di Ordini quali i Gesuiti, Te-atini e Somaschi, così il territorio camuno si caratterizzò per la diffusione di una rete

di cappellanie, confraternite ed istituti lai-cali e si dovette attendere l’Ottocento per assistere al rinvigorimento dei Conventi dei Cappuccini a Borno e a Lovere e due monasteri di Clarisse, mentre sorgeva sui ruderi del cenobio francescano la casa di spiritualità, l’Eremo dei Santi Pietro e Pa-olo. Gli aderenti ad alcune confraternite fondate nel XII Secolo in Lombardia, noti come Umiliati, per la pratica dell’umiltà come imitazione della vita di Cristo ave-vano insediamenti a Cemmo ed a Esine.I Francescani, improntati sull’assoluta povertà vivevano di elemosina, tra pre-ghiera ed apostolato, inizialmente noti come “Conventuali”, termine con il quale

Letture

La copertina: Eremo dei Santi Pietro e Paolo, Madonna con il bambino, affresco sec. XV

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si soleva indicare tutti coloro che apparte-nevano ai frati minori, si divisero succes-sivamente in Osservanti, Riformati e Cap-puccini, per poi essere riuniti nel 1897. Tra i diversi conventi presenti sul nostro terri-torio, richiama l’attenzione la particolare storia che ha caratterizzato il Convento di San Pietro di Bienno (oggi Eremo dei Santi Pietro e Paolo), fondato negli anni 1228 – 1230 ad opera di Sant’Antonio di Padova. Dopo l’avvicendamento di Frati Minori e Conventuali, gli edifici rimasti deserti, affidati alla sorveglianza del cano-nico della pieve di Cividate, necessitavano di sostegni finanziari per la celebrazione delle messe. Grazie a lasciti più o meno co-spicui, inizialmente fu possibile edificare solo il campanile della chiesa. In seguito, quando le entrate si fecero più consistenti, si realizzarono le manutenzioni straordi-narie. La custodia della chiesa, la celebra-zione delle funzioni e la conservazione della suppellettile sacra vennero affidate all’arciprete di Cividate don Gianbattista Guadagnino. Nel contempo il complesso fu venduto nel 1770 alla deputazione della Comunità di Valle Camonica con l’intento di trasformarlo in un collegio con scuole pubbliche, sezione staccata del seminario diocesano di Lovere. Il progetto non andò a buon fine per mancanza di fondi e cat-tiva volontà politica e in breve tempo fu sottoposto a spoliazioni e ad atti di vanda-lismo e dopo diversi passaggi di proprie-tari, nel 1961 i fratelli Morandini disposero la donazione del terreno ex conventuale a favore della fondazione “Alma Tovini Domus”, affinché venisse eretta una casa di esercizi spirituali. La casa rappresentò l’omaggio spirituale offerto dalla Diocesi

al papa Bresciano Paolo VI ed è per questo motivo che all’antico nome di San Pietro fu affiancato quello di San Paolo. Nella primavera del 1966 l’Eremo ha intrapreso la propria ricca e variegata attività, a tutti ben nota, ricevendo in occasione della be-nedizione del compimento delle opere un messaggio da papa Giovanni Paolo II con il quale riconosceva all’iniziativa il merito di aver recuperato a vita nuova un centro di fede e di preghiera, posto in posizione in-cantevole, riportando quel luogo benedetto alla sua primitiva destinazione, quella di irradiare negli animi la luce del Vangelo e i valori supremi della fede cristiana, sor-gente inesauribile di gioia e pace.

LUISA BULFERETTI

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Eremo dei Santi Pietro e Paolo, vista aerea

O. FRANZONI, (a cura di) Conventi nella Lombardia alpina, Tipografia Camuna, Breno, 2008, Copyright Ubi-Banca di Vallecamonica

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I CENTO ANNI DI MATTEO RE

Testimonianze

Un secolo di vita raggiunto il 18 dicembre 2008, cent’anni portati con energia fisica e lucidità di pensiero invidiabili: è il traguardo raggiunto da Matteo Re, padre del cardinale Giovanni Battista, Prefetto della Congrega-zione per i Vescovi. Un secolo di vita com-piuto nell’assoluta ordinarietà delle cose di sempre. Matteo Re, infatti, a dispetto della sua veneranda età, ha conservato lo stile semplice, sobrio e laborioso che ha carat-terizzato il lungo corso della sua esistenza. Ancora adesso, tutti i giorni lavorativi, dopo la messa mattutina nella parrocchiale di Borno e dopo la prima colazione scende nella falegnameria e si dedica alla sua atti-vità di sempre, la stessa che gli ha permesso in passato di mantenere la numerosa fami-glia composta di sette figli. E proprio qui a Borno trascorre i suoi giorni, seguito da vi-cino (anche se conserva un’incredibile auto-nomia) dai figli Franca e Giuseppe che sono rimasti in casa. E’ stato un piacere incon-trarlo il giorno prima del compleanno nella sua bottega mentre, da solo, stava piallando le piccole ante di un mobile destinato alla nuova casa di famiglia di Croce di Salven, pochi chilometri fuori paese, in direzione della Val di Scalve. “E’ l’unico mio diver-timento, è l’unica possibilità che ho di far passare il tempo” ci ha spiegato con argu-zia. E intanto il ragionamento fila con per-fetta lucidità, ricorda fatti ed episodi lontani ma anche vicini, non gli manca lo spirito di osservazione, sale con speditezza una stretta scala a chiocciola che porta ai piani superiori della casa, non accetta di essere troppo protetto e tanto meno vuole essere compatito, a dispetto di quei cent’anni che ha la certezza di avere raggiunto e superato. Inevitabilmente gioie, sofferenze e fatiche si sommano. Tra le tante cose belle ricorda “la prima messa di don Giovan Battista e poi

la creazione a cardinale, le belle giornate passate a Roma”. E dire che in quest’ultima occasione papà Matteo aveva già 93 anni. La voce gli si affievolisce quando ricorda la moglie Antonietta, morta già da ventidue anni. Alla fine della conversazione, con un po’ di insistenza, riusciamo a farci dare la ricetta… di così lunga vita. “ Bisogna evi-tare i vizi - dice - perché quelli portano alla morte prima del tempo”. Una sentenza che sembra essere la sigla di un’intera vita vis-suta con semplicità ma anche con intensità, sempre sorretta da una fede robusta.

GIAN MARIO MARTINAZZOLI

Matteo Re

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È IN INTERNET AL SITO:www.eremodibienno.it

(pubblicazioni)

LETTEREDALL’EREMO