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SR Scienze e Ricerche N. 55, GENNAIO-FEBBRAIO 2018 ISSN 2283-5873 55.

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SRScienze e RicercheN. 55, GENNAIO-FEBBRAIO 2018

ISSN 2283-5873

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GLI ANNALI 2016

RIVISTA MENSILE · ISSN 2283-5873

[email protected]

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55. Sommario SCIENZE GIURIDICHE

MARCO BUBANI

Cedibilità dei crediti con contenzioso oppositivo pendente; aspetti giuridici e risvolti pratici pag. 5

FRANCESCO ZAMMARTINO

Principio di libera concorrenza e tutela dei diritti sociali a proposito di alcune recenti sentenze del giudice amministrativo pag. 8

SCIENZE DELL’ARCHITETTURASARA ISGRÒ

A memoria del paesaggio di guerra Maquillage e fortificazione campale nel territorio della I e III Armata (1915-1918) pag. 17

SCIENZE POLITICHE E SOCIALIMIRELLA FERRARI, GIULIA MURA, DAVIDE DIAMANTINI

Fattori sociali e individuali nella motivazione all’innovazione in un distretto scolastico pag. 37

COMITATO SCIENTIFICO pag. 45

3n. 55 (gennaio febbraio 2018)

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N. 55, GENNAIO-FEBBRAIO 2018

ISSN 2283-5873 Scienze e RicercheRivista mensilen. 55, gennaio-febbraio 2018

Direzione editorialeLaura Castellucci, Maria Catricalà, Vincenzo Crosio, Pierangelo Crucitti,

Renata De Lorenzo, Roberto Fieschi, Antonio Lucio Giannone, Carlo Manna, Michele Mossa, Francesco Orzi, Paola Radici Colace, Davide Schiffer, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempesta, Brunello Tirozzi, Anna Toscano, Bartolomeo Valentino, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano, Sara Lacasasanta

Editorial BoardElena Agliari, Giovanni Arduini, Angelo Ariemma, Vincenzo Artale,

Franco Bagnoli, Marta Bertolaso, Anna Rosa Candura, Domenico Carbone, Orazio Carpenzano, Paolo Carusi, Laura Castellucci, Claudia Castiglione, Ornella Castiglione, Maria Catricalà, Luciano Celi, Monica Colitti, Carla Comellini, Paolo Corvo, Giovanni Crespi, Vincenzo Crosio, Pierangelo Crucitti, Maria D’Ambrosio, Renata De Lorenzo, Elena Dellapiana, Mirko Di Bernardo, Irene Dini, Roberto Fieschi, Ugo Frasca, Isabella Gagliardi, Massimiliano Giacalone, Lia Giancristofaro, Antonio Lucio Giannone, Francesca Giofrè, Giada Giorgi, Agostino Giorgio, Anna Granà, Domenico Ienna, Maurizio Iori, Agostina Latino, Antonio Maria Leozappa, Caterina Lombardo, Maurizio Lozzi, Paola Magnaghi-Delfino, Pasqualino Maietta Latessa, Anna Manna, Carlo Manna, Emilio Matricciani, Fabrizio Mattei, Alessandra Mazzeo, Filomena Mazzeo, Stefania Giulia Mazzone, Leone Montagnini, Michele Mossa, Vito Napolitano, Maurizio Oddo, Gaetano Oliva, Francesco Orzi, Linda Pagli, Claudio Palumbo, Alessandra Pelagalli, Silvia Peppoloni, Laura Pinarelli, Valentina Possenti, Paola Radici Colace, Francesco Rende, Adriano Ribolini, Elisabetta Rovida, Domenico Russo, Stefano Salmeri, Mariarosa Santiloni, Carmela Saturnino, Davide Schiffer, Antonio Scornajenghi, Raimondo Secci, Matteo Segafreddo, Domenico Tafuri, Franco Taggi, Immacolata Tempesta, Brunello Tirozzi, Anna Toscano, Maria Grazia Turco, Pietro Ursino, Bartolomeo Valentino, Gabriella Vanotti, Emiliano Ventura, Silvano Vergura, Vincenzo Villani, Gabriele Virzì Mariotti, Nicola Zambrano, Aldo Zechini D’Aulerio

Scienze e RicercheSede legale: Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 RomaRegistrazione presso il Tribunale di Roma n. 19/2015 del 2/2/2015Direttore responsabile: Sesto ViticoliGestione editoriale: Agra Editrice SrlTipografia: Andersen Spa

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | SCIENZE GIURIDICHE

SULLA CEDIBILITÀ DEL CREDITO RELATIVO

A POSIZIONI CONTRATTUALI CON PENDENZA

DI GIUDIZIO IN OPPOSIZIONE A DECRETO

INGIUNTIVO DI PAGAMENTO

Per la soluzione delle questioni poste v’è da premettere che la cessione del credito, sul piano processualistico, in-tegra un fenomeno di successione a titolo particolare inter vivos nel diritto ceduto.

Nel nostro ordinamento la disciplina processuale del fe-nomeno successorio a titolo particolare in pendenza di giu-dizio è contenuta nell’art. 111 c.p.c., i cui principi possono essere applicati anche allorquando iI fenomeno successorio si verifichi durante la pendenza di un procedimento instau-rato mediante opposizione a decreto ingiuntivo, non ostan-dovi alcun divieto legislativo alla cessione di un credito sì controverso2.

Con l’opposizione a decreto ingiuntivo viene infatti in-trodotto un giudizio ordinario di cognizione piena che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (art. 633 e ss. c.p.c.) come fase ulteriore ed even-tuale del procedimento iniziato con il ricorso per ingiun-zione, si svolge nel pieno contraddittorio delle parti per le quali è ipotizzabile che si verifichi un fenomeno successo-rio quale la cessione del credito.

SUI POSSIBILI “RISCHI” CONSEGUENTI A DETTE

OPERAZIONI DI CESSIONE DEI CREDITI

Orbene, per effetto della cessione il credito viene tra-sferito al cessionario comprensivo di tutti gli accessori, degli eventuali privilegi ed anche delle garanzie reali e personali.

2 Così Cass. civ. Sez. III, n. 14096 del 01/07/2005; 8 dicembre 2003, n. 73; 6 luglio 2001, n. 9211; 15 settembre 1995, n. 9727; 20 marzo 1991, n. 2955; 7 aprile 1986, n. 2405

Si è sovente discusso nella pratica professionale sulla tematica inerente la cedibilità dei crediti in corso di contenzioso, relativamente ai quali ri-sulta incardinato giudizio ordinario di cognizio-

ne (specificamente) conseguente ad opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento1. Occorre a tal fine analizzare ed approfondire lo studio della problematica con espresso ri-ferimento ai seguenti aspetti:• cedibilità del credito relativo (appunto) a posizioni con-

trattuali con pendenza di giudizio in opposizione a de-creto ingiuntivo di pagamento;

• possibili “rischi” conseguenti a dette operazioni di ces-sione dei crediti;

• adempimenti ad eseguirsi in sede tribunalizia (ovvero diversa A.G.) una volta ceduto il credito;

• eventuale obbligo della cessionaria a subentrare nella posizione della cedente nel giudizio incardinato;

• art. 111 c.p.c. e conseguenze del mancato subentro nel giudizio da parte della cessionaria.

1 Per una disamina relativa alla disciplina del fenomeno successorio a titolo particolare in pendenza di giudizio si veda: CARLEO G. , PELUSO R., Commentario sistematico al codice di procedura civile, Piacenza, 2016; DE MARINI C.M., La successione nel diritto controverso, Roma, 1953; FAZZALARI E., Successione nel diritto controverso, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, pag. 1384 ss.; LASERRA G., Prospettazione ed effettività dell’art. 111 c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, pag. 1285 ss.; LUISO F. P., Successione nel processo, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993; LUISO F. P., in VACCARELLA R., VERDE G. (a cura di), Codice di procedura civile commentato, I, Torino, 1996-1997, sub art. 111; LORENZETTO PESERICO A., La successione nel processo esecutivo, Padova, 1983; MANDRIOLI C., CARRATTA A., Diritto processuale civile, Torino, 2016; MONTESANO L., ARIETA G., Diritto processuale civile, Torino, 2000; MOSCHELLA I., Successione nel processo, in Nuovo dig. it., Torino, 1940, pag. 992 ss.; PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012; ROMAGNOLI U., Considerazioni sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, pag. 314 ss.; ROMAGNOLI U., L’impugnazione della sentenza ad opera del successore a titolo particolare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, pag. 644 ss

Cedibilità dei crediti con contenzioso oppositivo pendente; aspetti giuridici e risvolti praticiMARCO BUBANI

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litigiosa) o di una ben individuata serie di rapporti com-prendenti quello controverso che può verificarsi, sempre in epoca successiva all’instaurazione del processo, sia mor-tis causa (a seguito di legato) che inter vivos (in virtù di trasferimento per atto negoziale, comunque espressione di privata autonomia).

Nel caso di trasferimento per atto tra vivi, la soluzio-ne offerta dalla legge è quella che più garantisce la parte contrapposta all’alienante in quanto, nonostante il trasfe-rimento (e la conseguente perdita della titolarità del diritto in capo ad una parte), non si verificano mutamenti tra i soggetti della lite ed “il processo prosegue tra le parti originarie” (art.111 c.1. c.p.c.); mentre nel caso di trasfe-rimento mortis causa, il processo è proseguito dal suo suc-cessore universale (e non dal legatario) o nei suoi confronti (secondo comma dell’art. 111 c.p.c.).

La stessa norma prevede altresì la possibilità di estro-mettere l’alienante o il successore universale che, lungi dall’essere automatica, è subordinata al consenso di tutte le altre parti. Ciò comporta che, se e fino a quando il con-senso delle altre parti non viene espresso, l’alienante pur a seguito dell’intervento del successore a titolo particolare rimane nel processo come litisconsorte necessario.

In tal senso si esprime anche la giurisprudenza di legit-timità, secondo cui: “Nell’ipotesi della cessione di credi-to si determina una successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso cui consegue, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso di intervento di quest’ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, at-tuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consen-so di tutte le parti “ (ex multis: Cass. 2009, n. 22424; Cass. 5 giugno 1995, n. 6302).

Nella pratica, alla prima udienza utile successiva all’av-venuta cessione del credito, il cedente per il tramite del procuratore (già) costituito, dovrà rilevare a verbale l’av-venuta cessione e chiedere termine al fine di consentire la costituzione in giudizio della cessionaria. Nel caso la cessionaria si costituisca (per intervento o su chiamata) in quella stessa udienza, la cedente potrà chiedere al giudice di essere estromessa, previo consenso di tutte le parti.

SULL’EVENTUALE OBBLIGO DELLA CESSIONARIA

A SUBENTRARE NELLA POSIZIONE DELLA

CEDENTE NEL GIUDIZIO INCARDINATO

Come sopra evidenziato, il processo non subisce di per sé alcuna interruzione sostanzialmente proseguendo tra le parti originarie e la partecipazione ad esso del successore è solo eventuale.

Infatti, ai sensi del terzo comma dell’art. 111 c.p.c. il soggetto acquirente può intervenire (o essere chiamato) nel processo.

La norma pertanto esclude che divenga litisconsorte

Una questione dibattuta è se tra gli accessori del credito rientrino anche le spese giudiziali liquidate nel titolo azio-nato in via esecutiva.

Sul punto la prevalente giurisprudenza di legittimità ha rilevato che, in tema di cessione del credito, la previsione del primo comma dell’art. 1263 c.c. deve essere intesa nel senso che il cessionario di un credito, il cui diritto sia stato riconosciuto con sentenza nei confronti del cedente e che sia rimasto estraneo al processo relativo a tale accertamen-to, pur potendo utilizzare come titolo esecutivo la sentenza favorevole al suo dante causa, non potrà avvalersi di tale sentenza nella parte in cui la stessa reca la condanna alle spese della controparte rimasta soccombente, spettando dette spese al suo dante causa che le ha effettivamente sostenute, atteso che le pronunce relative alle spese del giu-dizio producono i loro effetti solo nei confronti delle parti processuali.

Ove il cedente sia stato estromesso dal processo esecuti-vo, le spese del giudizio devono essere liquidate in favore del cessionario del credito, limitatamente agli esborsi da questi effettivamente sopportati3.

Ciò alla luce del principio che la cessione del credito (ovvero la successione a titolo particolare nel diritto con-troverso) incide solo sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

Un’ulteriore questione concerne la possibilità di ricom-prendere tra gli accessori del credito il maggior danno per inadempimento ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità si è espressa fa-vorevolmente, ritenendo che la locuzione “altri accessori” debba essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessio-ne rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata al diritto stesso che, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la fun-zione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché alla tutela del credito.

Ne consegue che nell’oggetto della cessione di un credi-to deve reputarsi incluso il diritto al risarcimento del mag-gior danno derivante dal ritardo nel pagamento del credito stesso (e maturatosi al momento della cessione), trattandosi di diritto che non può esistere o estinguersi se non con-giuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale4.

SUGLI ADEMPIMENTI CHE DEVONO ESSERE ESE-

GUITI IN SEDE TRIBUNALIZIA UNA VOLTA CEDUTO

IL CREDITO

L’art. 111 c.p.c. ha riguardo all’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, cioè di trasfe-rimento del solo diritto o rapporto in contestazione (res

3 Così, Cass. civ. Sez. III, 25/02/2009, n. 4483; Cass. civ. Sez. III, 23-02-2006, n. 39984 Si veda Cass. civ. Sez. I, n. 9823 del 15/09/1999

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | SCIENZE GIURIDICHE

terzi) e, in particolare, la controparte vittoriosa potrà usare contro il successore il titolo esecutivo che ha ottenuto nei confronti della parte originaria.

Infatti, la sentenza di condanna emessa contro una parte a cui ne è succeduta un’altra a titolo particolare nel corso del processo di cognizione, esplica la sua efficacia anche di titolo esecutivo nei confronti di quest’ultima, pur se in essa sentenza non menzionata; pertanto, il pignoramento dei suoi beni non dà luogo all’espropriazione presso terzi (art. 543 c.p.c.) e il creditore non deve instaurare il proce-dimento di accertamento dell’obbligo ai sensi dell’art. 548 c.p.c., essendo la stessa debitrice, e non terzo.

Parimenti il successore, seppure non intervenuto nel pro-cesso, è legittimato ad avvalersi della sentenza favorevo-le al suo dante causa (milita in questo senso il disposto dell’articolo 475 secondo comma c.p.c. che, nel consentire la spedizione del titolo in forma esecutiva anche ai succes-sori della parte a favore del quale fu pronunciato il provve-dimento o stipulata l’obbligazione, non distingue tra suc-cessori a titolo universale e successori a titolo particolare).

necessario il successore a titolo particolare, il quale ha la possibilità di intervenire o essere chiamato nel processo ovvero di impugnare la sentenza; infatti, la qualità di liti-sconsorte necessario del successore che presuppone la pre-esistenza di una pluralità di parti, si assume solo quando il medesimo intervenga o sia chiamato nel processo, ovvero eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa5.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, ma l’effettivo titolare del diritto in contesta-zione, tanto da poter essere destinatario dell’impugna-zione proposta dall’avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio.

Inoltre, così come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli è anche legittimato ad impugnarla, se-condo l’ultimo comma dell’art. 111 c.p.c., senza che que-sto diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pre-gresse del giudizio.

In altri termini, ogniqualvolta la cessione di un credito avvenga nel corso del procedimento/processo, l’attività sino a quel momento svolta e le pronunce eventualmente emesse trovano la loro disciplina nell’art. 111 c.p.c, assu-mendo il successore a titolo particolare nel diritto contro-verso la posizione di parte e non di terzo.

Ne consegue che tale posizione lo espone, indipendente-mente dall’estromissione del dante causa, agli effetti della decisione pronunciata, che è da lui impugnabile e fruibile in sede esecutiva.

Ove intervenga, il successore a titolo particolare nel dirit-to controverso ha dunque diritto di svolgere tutte le attività processuali consentite al suo dante causa, comprese quelle che comportano la disposizione del diritto medesimo.

Inoltre tale intervento può avvenire in ogni grado o fase del processo, compreso quello di rinvio.

SULL’ART. 111 C.P.C. E SULLE CONSEGUENZE DEL

MANCATO SUBENTRO NEL GIUDIZIO DA PARTE

DELLA CESSIONARIA

L’ultimo comma dell’art. 111 c.p.c., nell’affermare il principio che la sentenza spiega sempre i suoi effetti di-retti anche contro il successore a titolo particolare a pre-scindere se sia o meno intervenuto nel processo, accorda a quest’ultimo il potere di autonoma impugnazione della stessa, apportando eccezionale deroga al principio generale secondo cui la legittimazione ad impugnare spetta alle parti che hanno partecipato al processo all’esito del quale quella sentenza è stata pronunciata.

Quindi, anche nel caso in cui il cessionario non partecipi al processo, la sentenza, ex art. 111, co. 4, c.p.c., farà stato anche nei suoi confronti (in deroga al principio per il quale la sentenza non ha normalmente effetti per i

5 Così Cass. 2006 n. 21773

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corporative]”2, riconosce il libero esercizio dell’attività imprenditoriale attraverso la libertà contrattuale e la libertà di commercio riconosciuta ai privati, ben potendo comun-que lo Stato intervenire massicciamente attraverso imposi-zioni e regole.

L’art. 41 della Costituzione italiana riconosce la libertà di iniziativa economica privata.

L’Assemblea Costituente, che rispecchiava perfettamen-te la società articolata e complessa del tempo3, opta per una soluzione di compromesso e nel sancire il principio del-la libertà di iniziativa economica, ne precisa i contenuti, stabilendone limiti passivi all’art. 41, 2 comma, laddove precisa che l’iniziativa privata “Non può svolgersi in con-trasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e limiti attivi al 3 comma, laddove dispone che “La legge determina i pro-grammi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Detta formulazione non ha mancato di provocare, già all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione, nu-merose e contrastanti interpretazioni4.

2 Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell’ordinamento corporativo, con il R.D. 09 agosto 1943, n. 721.3 Nell’Assemblea Costituente si contrapponevano atteggiamenti di stampo cattolico-sociale, atteggiamenti di stampo comunista ed atteg-giamenti liberali, come quello di Luigi Einaudi per i quali il dirigismo fascista aveva legittimato l’intervento diretto dell’economia dello Stato propenso a pratiche di favoritismo nei confronti di privati.4 La migliore dottrina è apparsa spesso divisa sul valore giuridico da attribuire alla “Costituzione economica”. Si cfr., ex plurimis, E. PrEdiE-ri, Pianificazione e Costituzione, Milano, 1963; C. Lavagna , Istituzioni di diritto pubblico, Roma, 1966; v. OttavianO, Il governo dell’econo-mia: principi giuridici, in La Costituzione economica, Trattato di Diritto Commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, I, Padova, 1977, p. 197 ss.; g. Quadri , Diritto pubblico dell’economia, Padova, 1980; F. MErusi, art. 47 Cost., in Commentario alla Costitu-zione, 1982; g. BOgnEtti, La Costituzione economica italiana, Milano, 1983; M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costi-

1. CENNI SUL PRINCIPIO DI LIBERA CONCORRENZA

NELLA SUA EVOLUZIONE DOTTRINARIA E

GIURISPRUDENZIALE

La concorrenza è oggi da tutti considerata ele-mento necessario per lo sviluppo di un’econo-mia di mercato basata sul pluralismo nell’ac-cesso ai mezzi di produzione nella diversità dei

prodotti offerti ed infine nella libertà di scelta del consu-matore finale.

Nel nostro ordinamento non esiste una definizione di concorrenza, sebbene sia pacifico che detto concetto trag-ga origini dal concetto di libertà di iniziativa economica1.

Il primo vero e proprio intervento legislativo in materia di iniziativa economica privata si ha con il Codice Civile del 1942 laddove l’attività dell’imprenditore assume un ri-lievo giuridico autonomo.

Così l’art 2595 cc che recita: “La concorrenza deve svol-gersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge [e dalle norme

1 Dal suo scarso rilievo in un sistema economico alle origini basa-to sulla produzione agricola e artigianale destinata all’autoconsumo, il concetto di libertà di iniziativa economica comincia a svilupparsi in con-comitanza allo sviluppo del traffico mercantili e dell’economia di scam-bio risalente all’età comunale. Ma riceverà la sua piena consacrazione come principio autonomo solo con la proclamazione, nella Francia rivo-luzionaria, del “principio di libertà del commercio e dell’industria”. Re-stano comunque rare le Costituzioni ottocentesche che riconoscono una tutela all’iniziativa e all’attività economica privata e lo Statuto Albertino non costituisce un’eccezione, ove era riconosciuta la libertà patrimonia-le che, a giudizio di Santi Romano “integra la libertà di attività” (Cfr. santi rOManO, Il diritto pubblico italiano, Milano, 1914, p. 101 ss; si v., tra gli altri, s. cassEsE, Regolazione e concorrenza, in g. tEsaurO E M. d’aLBErti, in Regolazione e concorrenza, Bologna, 2002, p.12. ss).Nella Carta del Lavoro, elaborata in vigenza dell’ordinamento fascista del 21/4/27, si affermerà poi che l’intervento dello Stato nella produzio-ne economica è residuale, qualificando l’iniziativa economica privata come “lo strumento più efficace e più utile nell’interesse della nazione “per “il benessere dei singoli e sviluppo della potenza nazionale”. Cfr. Carta del Lavoro, art.7.

Principio di libera concorrenza e tutela dei diritti sociali a proposito di alcune recenti sentenze del giudice amministrativoFRANCESCO ZAMMARTINODipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli studi di Napoli “L’Orientale

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garanzia che coinvolge non soltanto la fase iniziale di scelta dell’attività, ma anche i successivi momenti del suo svolgimento9, riconoscendo l’unitarietà dell’oggetto tutelato dalla norma e ricomprendendovi le attività economiche non organizzate in forma di impresa anche occasionali ed intellettuali, escludendo però il lavoro subordinato .

Ed è proprio sul concetto di unitarietà della norma che la Corte ha sin da principio fatto leva, anche quando si è discusso dell’operatività dei limiti posti a tale libertà che sarebbero oggetto di un’implicita riserva di legge che discende dai medesimi principi generali informatori dell’ordinamento democratico, secondo i quali ogni limite imposto alle posizione soggettive dei cittadini necessita “del consenso dell’organo che trae da costoro la propria diretta investitura”10.

9 V. Corte Cost, sent n.13/61; si cfr., anche, sentt. nn. 17/76, n. 59/7610 Così, Corte Cost. sent. n. 4/62.

L ’ e s p l i c i t a proclamazione della libertà di iniziativa e c o n o m i c a connessa (ex art. 42 Cost.) alla proprietà privata ed alle libertà individuali perché intesa come espressione della personalità umana, ha indotto autorevole dottrina a considerare riconosciuto quel liberismo tanto agognato da Einaudi, costituendo il cardine del sistema di “economia mista” ove la libertà di iniziativa economica assurge a diritto fondamentale5.

Al contrario, è stato precisato che l’art. 41 Cost. non ha inteso affermare alcun principio di libera concorrenza, rilevate le limitazioni poste all’iniziativa economica in settori nevralgici dell’economia, che rimanevano dello Stato ispirate ad un modello economico non dedito al conseguimento del profitto quanto più al pareggio del bilancio6.

Differenze di vedute circa l’oggetto tutelato dalla norma che taluni autori hanno ricondotto unicamente all’attività di impresa7, cioè l’attività di colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata ex art 2082 cc, altri8, invece, vi hanno ricompreso la libera professione e la prestazione di lavoro subordinato sulla base della considerazione della libertà economica come espressione del diritto di libertà.

Ma entrambe le tesi interpretative appaiono superate dall’intervento della Corte Costituzionale che ha avuto modo di chiarire come il 1 comma dell’art. 41 fissa una

tuzionale, Padova, 1983; a. PizzOrussO, Su alcuni problemi in materia di fonti del diritto pubblico dell’economia, in AA.VV., Scritti in ricordo di D, Serrani, Milano, 1984, p. 3 ss; s. rOdOtà, art. 44 Cost., in Commentario alla Costituzione, 1984, p. 211; a. PacE, Libertà “del mercato” e “nel mercato”, in Pol. del dir., 1993, p. 327; g.u. rEscignO, Costituzione economica, in Enc. giur., X, Roma, 2001; v. gaLganO, 41 Cost., in Commentario alla Costituzione, in r. BiFuLcO, a. cELOttO, M. OLivEtti, ( a cura di), tomo I, Torino,2006, passim. s. cassEsE, La nuova Costituzione economica, Bari-Roma, 2012, p. 23 ss.5 L. cassEtti, La cultura del mercato fra interpretazioni della Costituzione e principi comunitari, Torino, 1997, p. 184 ss.6 Tant’è che nel corso degli anni, gli ultimi due commi dell’art 41 sono stati considerati la base giuridica per un massiccio intervento dello Stato nell’economia e per il mantenimento di regimi economici monopolistici ed oligopolistici in settori strategici, dichiarati di interesse nazionale. 7 Ex multis, v. sPagnuOLO vigOrita, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1962; A. BaLdassarrE, voce: Iniziativa economica privata in Enc dir., Milano 1971, vol.XXI, p. 5878 Per tutti, F. MazziOtti, Il diritto del lavoro, Milano 1956; c. EsPOsitO, La Costituzione Italiana; Milano, 1954

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sura dell’efficacia delle iniziative economiche intraprese, ma soprattutto un principio che ha permesso l’adeguamen-to costante dell’ordinamento alle nuove dinamiche socio-economiche ed un costante bilanciamento tra le esigenze di utilità sociale, la libera iniziativa economica ed il principio di concorrenza20.

2 . LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL PRINCIPIO

DI CONCORRENZA

Il concetto di concorrenza per quanto non presente alla nascita della nostra Costituzione è stato ben presto ricono-sciuto come manifestazione della libertà d’iniziativa eco-nomica privata, ed ai sensi del secondo e del terzo comma dell’art.41 Cost., è stato oggetto di limitazioni giustificate da ragioni di ”utilità sociale” e da ”fini sociali”21.

In seguito, è stata offerta una nozione più ampia di liber-tà di concorrenza ed è stato osservato, in primo luogo, che essa ha una doppia finalità: da un lato garantisce l’effettiva libertà di iniziativa economica che spetta in egual misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, è diretta alla protezione della comunità, dal momento che l’esistenza di una plura-lità di imprenditori, in concorrenza tra loro, contribuisce ad innalzare la qualità dei prodotti e a calmierare i prezzi22.

Ma per quanto ricondotta nell’alveo dell’art. 41 Cost., in quegli anni, la concorrenza è ancora considerata principio estraneo alla tutela costituzionale ed a conferma di quanto si sostiene è il massiccio intervento dello Stato nell’eco-nomia che perdurerà per tutti gli anni ’70, nonostante il Giudice delle leggi avesse più volte rilevato la violazione della tutela del mercato oggettivamente considerato da par-te delle legislazione vigente23.

Il radicale mutamento di prospettive è intervenuto in Ita-lia sono alla fine degli anni ’80, con la Costituzione eco-nomica europea che proponeva una nuova configurazione del mercato24, introducendo il principio in base al quale il mercato libero e concorrenziale costituisce la condizione essenziale per il benessere economico dei consociati.

Negli anni ‘90 poi la svolta liberistica a livello mondiale e la firma dei Trattati di Maastricht 1992 e di Amsterdam 1997, con cui si delinea la Costituzione europea, la tutela della concorrenza tra imprese elevata a principio fonda-mentale del diritto europeo.

L’Italia inizia così una grande opera di privatizzazione che porterà alla legge Antitrust del 1990 con l’istituzione

domanda ed offerta (Corte Cost. sent. n. 63/91).20 P. PErLingiEri, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ., 1997, p. 185 ss.21 Si cfr. Corte cost., sentt. nn. 46/63 e 97/69; in dottrina, si v., ex multis, Si v. F.g. scOca, voce Attività amministrativa, in Enc. dir., vol. Agg. VI, 2002, pp. 75 ss. ; M. d’aLBErti, voce Concorrenza, in s. cassEsE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pp. 1140 ss.22 Corte Cost. sent.223/82, punto 2 del Considerato in diritto.23 Ivi24 g. aMatO, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1, 1992, p. 16

Riconoscendo nell’intera Costituzione economica (art.41, 42, 43 e 44 Cost.) una chiara ispirazione unitaria, della quale il principio della riserva di legge costituisce certamente una costante11, la Corte ha riconosciuto come necessario l’intervento del legislatore anche in considerazione del limite dell’“utilità sociale” estremamente vago e di difficile qualificazione giuridica12.

Per quanto ritenuta da autorevolissima dottrina, quale esigenza per il raggiungimento di massimi livelli di oc-cupazione e pertanto da intendersi in stretta correlazione con l’art. 4 Cost.13, e come benessere economico collettivo quale progresso di tutti in condizioni di eguaglianza, ricon-ducibile all’art. 3 Cost.14, appare preferibile la tesi di chi ha considerato l’utilità sociale come “principio-valvola” che consente l’adattamento della Costituzione al mutare della società’15, mantenendo così il Testo costituzionale all’altez-za dei cambiamenti dell’esperienza giuridica, economica e sociale.

Trattasi senza dubbio di clausola ampia, tant’è che espri-mendosi la Corte stessa ha affermato che le ragioni ad essa riconducibili non devono necessariamente risultare da esplicite dichiarazioni del legislatore16.

Così il Giudice delle leggi, chiamato a tale valutazione ha inteso sindacare l’illegittimità della norma che violi an-che l’art. 41 Cost., in quanto “l’incidenza spaziale e tem-porale del limite da essa imposto all’iniziativa economica privata sarebbe sproporzionata rispetto all’utilità sociale che il legislatore avrebbe inteso perseguire con la norma impugnata”17, cosicché il legislatore non può prevedere li-miti alla libertà di iniziativa economica oltre la misura che ragionevolmente può sembrare concessa dagli scopi finali-tà che si intendono prefiggersi18.

Così, sono di utilità sociale i beni che godono di tutela costituzionale o che coincidono con interessi costituzional-mente garantiti, i diritti cd. fondamentali ed i diritti socia-li19. Detto principio, in realtà, ha costituito un fattore di mi-

11 Si v. Corte Cost. sent. n. 40/64.12 Luigi Einaudi la riteneva “inconoscibile, in quanto espressione di una norma indeterminata ed indeterminabile”. Cfr intervento nella seduta del 13 maggio 1947, in A.C., II, 39337-38.13 c. MOrtati, Il diritto del lavoro secondo la Costituzione repubblicana, in Problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana; Racc. scritti, III, Milano, 1954.14 V. sPagnuOLO vigOrita, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, cit.15 M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1986.16 Corte Cost. sent. n. 46/63, nella quale sentenza afferma che il giudizio in ordine “all’utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere sui diritti dell’iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo”.17 Corte Cost. sent. 14/87.18 Ivi19 Così sono state validate scelte ricondotte ai limiti posti all’attività imprenditoriale per la tutela del riposo settimanale (Corte Cost. sent. n. 111/74), all’assistenza sociale (Corte Cost. sent. n. 36/69), alle donne lavoratici (Corte Cost. sent. 27/69); così in tema di salute e in materia prettamente economica attinenti all’incremento della produzione (Corte Cost. sentt. n.78/58 n.5/62 n.45/62 n.30/65) ed all’equilibrio tra

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3. VINCOLI DI BILANCIO E TUTELA DEI

DIRITTI SOCIALI: IL RUOLO DEL GIUDICE

AMMINISTRATIVO

Il nostro Stato sebbene non si qualifichi come Stato so-ciale, ai sensi dell’art 3 Cost., 2 comma, affida alla Re-pubblica il compito “di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E benché inizialmente considerata solo come norma pro-grammatica, priva di carattere precettivo, intorno agli anni ‘70 il legislatore è intervenuto in maniera massiccia affin-ché fosse data esecuzione all’articolo e fosse riconosciuta la pienezza di tutela ai diritti sociali a tutela dei lavoratori, con lo Statuto dei lavoratori, in tema di istruzione, con la riforma della scuola iniziata nel ‘63 e proseguita negli anni ‘70, in tema di sanità con l’istituzione delle SSN nel 1978 che ha segnato la fine dello Stato mutualistico in cui l’in-tervento a vantaggio dei disagiati era sono economico con sussidi e rimborsi, all’erogazione di prestazioni e servizi da parte di strutture pubbliche.

Intorno agli anni ’90, però, si assiste ad un’inversione di tendenza nata dall’osservazione che i diritti sociali com-portano degli impegni finanziari, che sfocia nel 2012 nella modifica dell’art. 81 Cost che introduce il cd. vincolo di bilancio per il quale l’ordinamento, ad ogni livello, deve garantire il pareggio tra spese ed entrate36.

Così l’esigenza di assicurare la universalità e la comple-tezza del sistema assistenziale nel nostro Paese “si scontra […] con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una pro-grammazione generale degli interventi di carattere assi-stenziale e sociale, al settore sanitario”37.

E la stessa Corte diviene sempre più attenta alle conse-guenze economiche delle proprie pronunce ed il novella-to art. 81 Cost. amplia il suo sindacato al controllo anche dell’azione economica del legislatore, arrivando così a comprimere le politiche del welfare attraverso un’opera-zione costante di bilanciamento di diritti sociali ed esigenze finanziarie che vedono la prevalenza dei primi solo laddove non si determini la violazione della dignità della persona38.

Ma a fronte di una giurisprudenza costituzionale sempre più attenta ai dettami del legislatore, il giudice amministra-tivo è col tempo legittimato a decidere in tema di servizi sociali e sulle controversie che derivano dalle limitazioni ai servizi, imposte ai privati cittadini per esigenze di bi-lancio39.

Merc. Conc. Reg., n. 3, 2014, p. 509 ss.36 Corte cost., sent. n. 10/15.37 Corte Cost. sent. n. 248/11, punto 6.1 del Considerato in diritto.38 Si v. L. chiEFFi, Evoluzione dello Stato delle autonomie e tutela dei diritti sociali, Padova, 2001, passim.39 L’apertura della giustizia amministrativa a sindacare sui diritti

dell’Autorità Garante della concorrenza e la libera con-correnza diviene valore basilare della libertà di iniziativa economica, funzionale alla protezione degli interessi della collettività; così le esigenze di ”utilità sociale” andranno bilanciate con la concorrenza25 in modo che l’individua-zione delle medesime non appaia arbitraria e non siano perseguite dal legislatore mediante misure palesemente incongrue26 ed in particolare gli interventi del legislatore non condizionino le scelte organizzative degli operatori economici27.

Nel 2001, con la riforma costituzionale28, la tutela del-la concorrenza assurge a principio costituzionale su cui lo Stato, nella ripartizione operata, ha competenza esclusiva29.

La tutela della concorrenza così diviene uno degli stimoli della politica economica statale e quindi la sua accezione non deve essere solo intesa in senso statico, come garanzia di interventi di regolamentazione, bensì anche in senso di-namico, che prevede interventi statali al fine di eliminare squilibri e favorire condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato30.

Le più recenti decisioni hanno posto in luce che la no-zione interna di concorrenza non può non coincidere con quella formulata dall’ordinamento comunitario31 che nel-la sua accezione dinamica consta di interventi regolatori che disciplinano, controllano e sanzionano quelle imprese che attraverso i loro comportamenti condizionano l’assetto concorrenziale dei mercati, ed interventi che hanno quale obiettivo di eliminare i vincoli che si frappongono al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competi-zione tra imprese32.

Così la Corte, interessata ancora dell’argomento, ormai costituzionalizzato il principio di libera concorrenza, pur non fornendo mai una chiara definizione della stessa, la connota di sempre maggiori caratteristiche, evidenziando la necessità che allorché lo Stato membro condizioni l’ esercizio di un servizio all’osservanza di determinati re-quisiti questi non debbano mai essere discriminatori, ben-sì informati ai criteri di necessità e proporzionalità33, così come debba sempre operarsi comunque un bilanciamento con la concorrenza34, qualora vengano in rilievo, interessi di rango costituzionale, individuati nell’art. 41 Cost 35.

25 Corte Cost. sent. 386/96; In dottrina, si cfr. L. dELLi PriscOLi, Il limte dell’utilità sociale nelle liberalizzazioni, in Giur.. comm., 1, 2014, p. 372.26 Corte Cost. sentt. nn. 167/09 e 152/10.27 Corte Cost. sent. 548/90.28 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001.29 Ex multis, G. FaLcOn, Il nuovo Titolo V della parte II della Costituzione , in Le Regioni, 2001, p. 5 ss.; B. caravita, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino, 2002.30 Corte Cost. sent. 14/04, punto 4 del Considerato in diritto31 Corte cost., sent. n. 45/10.32 Si v. Corte Cost. sent. n. 430/07 Punto 3.2.1 del Considerato in diritto.33 Corte Cost. sent. n. 98/13.34 Corte Cost. sent. n. 270/10, punto 10 del Considerato in diritto.35 M. LiBErtini, La tutela della concorrenza nella Costituzione, in

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espressione dell’esercizio di una discrezionalità non ammissibile.

Detto approccio interpretativo è ravvisabile anche quan-do è in discussione il diritto alla salute costituzionalmen-te garantito come tutela della personalità ex art. 2 Cost, e dell’uguaglianza ex art. 3, e perché possa dirsi effettivo deve essere garantito l’accesso ai servizi sanitari a tutti i cittadini.

Val la pena di sottolineare come nel nostro sistema le prestazioni sociali siano sempre state sottratte alle logiche di mercato sulla convinzione che altrimenti non si sarebbe-ro potuti garantire equità ed accessibilità a tutti; ma questo assunto è andato via via modificandosi a causa del neces-sario adattamento alla normativa europea che da sempre ha applicato le regole della libera concorrenza ai servizi sociali45, nonostante la Direttiva 24/2014 ne abbia previsto un regime cd. “alleggerito”46.

Con riferimento alla salute le pronunce del giudice di le-gittimità a tutela del diritto sociale non sono mancate.

Così è stata dichiarata l’illegittimità del provvedimento con il quale l’amministrazione ha rifiutato il rimborso alle cure mediche prestate all’estero, ed è stato imposto alle ASL la somministrazione gratuita di farmaci non ancora inseriti nell’AIFA47.

Inoltre, è stato imposto all’ASL “l’esclusivo impegno economico” laddove le condizioni del malato fossero “ca-ratterizzate da particolare gravità e cronicità”48; tali pro-nunce, nonostante abbiano sollevate perplessità in quanto l’ampliamento di competenze del giudice amministrativo determinerebbe un’invasione della giurisdizione del giudi-ce ordinario, confermano un chiaro favor per i diritti sociali della giustizia amministrativa che, avallata dalla giurispru-denza costituzionale, è poco incline a riconoscere limita-zioni ed impedimenti al loro nucleo essenziale per mere esigenze finanziarie e di bilancio49.

Di estremo interesse è la pronuncia del Tar Toscana del 2011 n. 694, che ha annullato un atto amministrativo poi-ché non riconosceva ad una persona inserita ad una RSA convenzionata con l’USL facente parte dello stesso Siste-ma regionale sanitario, il totale rimborso del contributo sanitario.

45 Su tutte può ricordarsi la sentenza della Corte di Giustizia del 29/11/2007 C-119/06 che afronte di un accordo quadro siglato tra Regione Toscana e le ASL territoriali affidava direttamente ad alcune associazioni di volontariato la gestione del trasporto sanitario. La Corte rigetta il ricorso sulla base delle considerazioni che l’affidamento superava la soglia oltre la quale è prevista la pubblica gara e precisa altresì che qualora un’organizzazione è dedita allo scambio di beni e servizi è qualificabile come impresa, non rilevando affatto la circostanza che trattasi di associazioni di volontariato.46 “…Ogni Stato è libero di fornire i servizi essenziali nelle modalità che ritiene più congrue, nel doveroso rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento degli operatori economici”. Considerato 114 della Direttiva 24/2014.47 Tar Lombardia, sez. III, ord. n. 791/08.48 Consiglio di Stato, sent. n. 339/15; TAR Verona, sent. n. 689/1649 a. PainO, Giustizia amministrativa ed economia, in Dir. e proc. amm., 2015, p. 954 ss.

Il diretto contatto con la realtà ed il costante equilibrio mantenuto tra potere pubblico e diritti dei cittadini, fa sì che attraverso il suo operato possa concretizzarsi la dispo-sizione costituzionale dell’art. 3 e che i diritti alla salute, allo studio ed all’istruzione, possano godere di quell’effet-tività di tutela richiesta ad uno Stato democratico.

Ed in questo costante bilanciamento, per quanto il giudi-ce degli interessi tenga sempre in debito conto le esigenze di pareggio di bilancio di Stato ed enti locali, non manca di rilevare come “il diritto all’istruzione del minore portatore di handicap ha rango di diritto fondamentale”40, il quale va rispettato con rigore ed effettività sia in adempimento ad obblighi internazionali41, sia per il carattere assoluto proprio della tutela prevista dagli artt. 34 e 38, commi 3 e 4, Cost.

L’istruzione, continua il suprema giudice amministrati-vo poiché costituisce uno dei fattori che più incidono sui rapporti sociali dell’individuo, determinandone lo sviluppo personale, è un diritto di cui si assicura la sua piena attua-zione attraverso la predisposizione di adeguate misure di integrazione e di sostegno42.

Detta assunzione ha determinato l’annullamento dell’at-to con cui il Dirigente scolastico ha assegnato un numero non congruo di ore di sostegno all’alunno disabile.

Anche la formazione di classi eccessivamente numero-se costituisce per il Tar della Campania un impedimento alla garanzia del diritto all’istruzione costituzionalmente riconoscciuto)43, che va rimosso.

Ed ancora, in tema di istruzione, a fronte di un provvedimento del dirigente scolastico che assegnava ad un minore disabile solamente 8 ore di sostegno, il Consiglio di Stato non ritiene ammissibile che il vincolo derivante dalla carenza di risorse economiche possa condizionare il diritto al sostegno perché tutto questo significherebbe sacrificare il diritto fondamentale allo studio e all’istruzione44 come

trova il suo punto di inizio con la sentenza n. 140/07 che a fronte di una richiesta avanzata dal giudice ordinario ai sensi dell’art.700 c.p.c. per la sospensione dei lavori di riconversione di una centrale termoelettrica che vede in gioco diritti fondamentali quali la salute, l’ambiente ed il lavoro statuisce che “ribadita […] la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus” non esiste “alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti”. Ne’ questo appare in contrasto con precedenti sentenze in cui si riconosceva la “la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute)” laddove in dette ipotesi “venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, (sentenza n. 191 del 2006). [… Nel caso in esame, invece, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti «tipizzati» normativamente”. E pertanto di competenza del giudice amministrativo.40 Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 5317/2014.41 artt. 7 e 24 della Convenzione Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, ratificata con l. 3 marzo 2009, n. 1842 Consiglio di Stato, sez.VI, sent. n. 5428/15, punto 5 del Considerato in diritto.43 Tar Campania, sez. IV, sent. n. 4706/16, confermata da ordinanza Consiglio di Stato 302/17, che rigetta la sospensione.44 Consiglio di Stato, sez.VI, sent. n. 2023/17, punto 26 del Considerato in diritto.

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amministrativo52, punto di partenza per l’evoluzione del processo amministrativo che all’art. 1 recita: “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo” che, sebbene operino attraverso statuizioni dalle quali non si ritengano vincolate, costituiscono regole di comportamento per gli stati membri e ciò nell’interesse della sicurezza giuridica e dello sviluppo coerente della giurisprudenza relativa alla convenzione.

Alla limitazione conseguentemente subita dal potere le-gislativo dei singoli Stati membri fa, però, da contrappeso un chiaro ampliamento dell’attività del giudice ammini-strativo, il quale avrà il compito, nell’applicazione concre-ta del principio comunitario di adattamento al caso concre-to, operando egli stesso un bilanciamento di interessi tra le regole comunitarie e i diritti fondamentali riconosciuti agli individui nell’ambito dei singoli stati membri, in uno sforzo sempre maggiore della giurisprudenza amministra-tiva per garantire una tutela sempre più ispirata al principio dell’effettività, che guida le decisioni del giudice ammini-strativo53.

E l’importanza del compito del giudice naturale è stato più volte evidenziato, laddove la Corte EDU richiede ai singoli stati la garanzia dell’effettività della tutela e dell’e-quo processo, richiedendo la terzietà dell’organo giudican-te e la possibilità riconosciuta alle parti di esporre le pro-prie ragioni ed utilizzare i mezzi di prova a loro favorevoli in contraddittorio54.

Detto spazio di valutazione del giudice è ancor più evi-dente laddove si consideri che il Trattato che istituisce la Comunità europea ed ora negli art.101 e 102 del TFUE è ricco di termini economici prestati al diritto (es. mercato rilevante o di abuso di posizione dominante), la cui concre-tizzazione ed applicazione al caso concreto è suo compito.

Con la già richiamata pronuncia della Corte Costituzio-nale n. 204/04, si afferma l’esigenza di un sindacato pieno e particolarmente penetrante55 e questo sindacato è com-patibile con l’art 6 §1 CEDU, anche in considerazione del fatto che il regolamento 2003/01/CE attribuisce, ai sensi dell’art. 31, al Tribunale di primo grado ed alla Corte di Giustizia la competenza giurisdizionale anche “di merito” sui ricorsi presentati avverso le decisioni sanzionatorie del-la Corte56.

A ciò si aggiunga, che il giudice amministrativo ha com-

52 Decreto legislativo, 02/07/2010 n. 104, G.U. 07/07/2010.53 r. caPOnigrO, Il principio di effettività della tutela nel codice del processo amministrativo, in Foro amm., 2011, p. 1707 ss.54 Ancor più significativa quando si consideri che il giudice amministrativo è oggi chiamato a rapportarsi con le Autorità amministrative indipendenti, tra cui l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).55 Consiglio di Stato, sez.VI, sent.515/04.56 Cosi nel DLgs 3/17 all’art 7 si legge: “Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima”.

In questa decisione, sembra possibile rilevarsi un’inter-pretazione di tipo evolutiva da parte del giudice, in forza dei principi fondamentali del nostro ordinamento, quando si stabilisce che la soluzione adottata dall’autorità ammini-strativa competente contrasta altresì con i principi di unici-tà del sistema sanitario, di finanziamento pubblico dei c.d. LEA e di libertà di scelta del luogo di cura e dell’operatore sanitario.

4. L’INFLUENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO SUL

RUOLO DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO A TUTELA

DEI DIRITTI CONDIZIONATI

Come è noto, il diritto amministrativo disciplina il ruolo, l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazio-ne, e questa intrinseca contrapposizione Stato/cittadino che lo caratterizza ha fatto sì che non esistesse un diritto ammi-nistrativo internazionale.

Ma negli ultimi decenni l’influenza del diritto comuni-tario, attraverso i Trattati e la giurisprudenza della Corte EDU, ha determinato uno sviluppo del diritto interno che ha riguardato proprio i rapporti tra cittadini e poteri pub-blici.

La Pubblica amministrazione deve agire nel rispetto dell’art. 97 Cost. secondo il principio di imparzialità e di buon andamento, sulla base del principio di legalità, che impone l’assoggettamento alla legge, trovando in essa il fondamento dei propri poteri e gli obiettivi del suo agire, con imparzialità, non operando in maniera discriminatoria, sulla base di una adeguata ponderazione di tutti gli interes-si, pubblici e privati coinvolti, e nella massima efficienza, secondo criteri di logicità e di razionalità.

Da tutto ciò, ne discendono gli obblighi di trasparenza, pubblicità degli atti e del contraddittorio, come forma di partecipazione al procedimento di tutti gli interessati50.

Tutto questi principi che permeano il nostro diritto am-ministrativo, così brevemente riassunti, oggi si integrano e si completano nel diritto comunitario che impone chiarez-za e prevedibilità sugli effetti giuridici di atti adottati dalle istituzioni e che importano obblighi ai privati e il principio del contraddittorio, ovvero il diritto dei privati di essere parti agenti nel procedimento amministrativo51.

Ma la regola che regge il diritto amministrativo comuni-tario è la proporzionalità, per la quale le autorità comunita-rie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e/o restrizioni alle li-bertà del cittadino per il raggiungimento degli obiettivi di pubblico interesse.

Ora quanto precisato, cui si aggiunge la sempre più marcata esigenza di dare risposta alla domanda di giustizia nei confronti della PA, ha portato nel nostro sistema all’emanazione del Codice del processo

50 Il rinvio è a F. BEnvEnuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 126 ss. 51 Consiglio di Stato, sent. n. 3470/12.

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giurisprudenza ne ha con il tempo riconosciuto il valore giuridico e chiarito la portata, prima assolutamente elusa dall’autorità garante della concorrenza58.

E se l’assunto di base è che ad un’organizzazione di im-presa che operi in maniera più efficiente, riuscendo a ridur-re il costo del lavoro, non può essere impedita la parteci-pazione e/o aggiudicazione di una gara, il supremo giudice amministrativo nel pronunciarsi in merito ha affermato che l’interpretazione della c.d. clausola sociale in un bando di gara deve seguire i principi nazionali e comunitari in mate-ria di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza per non risultare lesiva della concorrenza, ed in contrasto con la libertà d’impresa, ex art. 41 Cost.

Pertanto l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente “deve essere armoniz-zato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante”59 ed i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltato-re subentrante, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali.

Detta giurisprudenza, che a buon diritto può considerarsi prevalente, ha di fatto condizionato la tutela dei lavoratori a fattori prevalentemente economici quali il modello or-ganizzativo e gestionale prescelti dall’imprenditore, che in concreto tutelano in modo piuttosto fragile i lavoratori, essendosi così operato il bilanciamento a discapito del di-ritto60.

Ma vale evidenziare come il testo novellato dell’art. 50 D.Lgs 50/1661 non riconosce alle stazioni appaltanti la fa-coltà di scegliere se inserire o meno detta clausola nei ban-di, ma ne impone l’inserimento tassativamente.

Da qui una prima sentenza del TAR della Liguria62 che merita essere evidenziata.

Brevemente, la SPA, aggiudicataria del lotto I della gara a procedura aperta indetta dal comune di Genova per il ser-vizio di ristorazione, impugna il provvedimento dirigenzia-le con il quale le è revocata l’assegnazione per mancato rispetto della clausola sociale apposta, che prevedeva l’as-sunzione di tutto il personale della gestione uscente.

Le censure mosse al provvedimento riguardano preva-lentemente l’indeterminatezza della clausola sociale, con riferimento al numero dei dipendenti da assorbire.

Il TAR, rilevata la possibilità di operare detto calcolo già in sede di presentazione dell’offerta, nel rigettare il ricorso, pone l’accento sulla determinatezza della clausola e sul suo carattere cogente.

58 F. ManganarO, La giustizia innanzi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Relazione all’incontro La tutela non giurisdizionale delle situazioni soggettive deboli. I poteri giustiziali delle amministrazioni indipendenti, Napoli, 2 ottobre 200959 Consiglio di Stato, sez., III, sent.2078/17; cfr. anche Consiglio di Stato, sentt. nn. 5598/2015, 1255/2016.60 F. cintiOLi, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecni-ci e “giurisdizionalizzazione”, Milano, 2005, p. 351 ss61 Ad opera dell’art.33 D.lgs. 19/4/17 “disposizioni integrative e cor-rettive al D.lgs. Del 18/4/16 n.50.62 Tar Genova, sent.n. 55/17.

petenze sempre maggiori e la giurisprudenza esclusiva in materia di servizi pubblici, al punto da dover operare un-continuo bilanciamento di interessi, talvolta conflittuali, tra sviluppo dell’economia e tutela dei cittadini, vincoli di bilancio e il welfare, che hanno determinato nella giustizia amministrativa un’apertura sempre maggiore agli aspetti della coesione sociale e consolidamento della democrazia, creando un rapporto di fiducia tra cittadini e pubblico po-tere.

In questo sistema, come già precisato, è facile cogliere con riferimento ai diritti sociali un favor, che sempre meno si presta a limitazioni ed impedimenti per esigenze finan-ziarie e di bilancio.

5. PRINCIPIO DI LIBERA CONCORRENZA E TUTELA

DEI DIRITTI SOCIALI ALLA LUCE DELLE RECENTI

SENTENZE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO

I termini del discorso s’invertono quando a porsi in con-trasto con i diritti sociali è la tutela della concorrenza, an-che se, a dire il vero, ultimamente la giurisprudenza dei TAR offre spunti che mettono sotto una diversa lente di osservazione il fenomeno.

Premesso che la nozione di concorrenza, come abbiamo visto, fa propria quella del diritto comunitario compren-dendo interventi regolatori e di promozione, uno dei campi ove maggiormente si determina l’incontro/scontro tra tute-la della concorrenza e diritti sociali è quella degli appalti.

Il codice degli appalti prevede, all’art. 5057, che la stazio-ne appaltante debba inserire nel bando di gara la clausola sociale e l’aggiudicatario debba, pertanto, garantirne il ri-spetto assicurando un livello occupazionale uguale e/o su-periore al precedente affidatario del servizio, assorbendone tutte le unità lavorative.

Ora precisando brevemente che per clausola sociale si intendono quelle particolari disposizioni con cui la stazio-ne appaltante inserisce nel capitolato di appalto l’obbligo di garantire misure di tutela dei lavoratori già in carico, se ne distinguono alcune maggiormente improntate alla tute-la delle retribuzioni che garantiscono i minimi previsti dal CCNL di categoria, ed altre finalizzate alla salvaguardia dei livelli occupazionali.

A fronte di una giurisprudenza comunitaria piuttosto re-stia a riconoscere nell’opera di bilanciamento dei valori un favor verso la clausola, anche nel nostro ordinamento la

57 Disposizione modificata dal DLgs 56-2017 in vigore dal 20-5-2017: «Per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto».

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La clausola sociale a questo punto consente si una certa flessibilità dell’imprenditore, ma solo riguardo al numero dei lavoratori ed alla qualifica degli stessi e previa verifica del diverso modello organizzativo; l’imprenditore può non assorbire tutto il precedente organico, ma laddove ciò non avvenga non consente in alcun modo il mutamento delle disciplina giuridiche, pertanto, la clausola sociale trascritta impedisce il mutamento del CCNL applicato.

Né tale obbligo si traduce in un vulnus alla par condicio, essendo tutti i concorrenti ben informati sulla sussistenza della clausola.

Laddove, invece, l’obbligo del mantenimento del con-tratto di lavoro sia previsto dallo stesso CCNL di riferimen-to, l’amministrazione è tenuta a prevedere lo spostamento dei lavoratori senza che il nuovo appaltatore possa opporre la libertà di iniziativa economica all’applicazione di tale obbligo, considerato che anche l’appaltatore in fase di con-trattazione è libero di effettuare la scelta del contratto da applicare, scelta che non può avvenire ex post, operando in questo modo un aggiramento della previsione normativa.

Così il giudice degli interessi nel valutare la posizione dei lavoratori non condiziona l’assunzione delle stesse discipline giuridiche ad alcuna valutazione discrezionale dell’imprenditore ne’ alla tutela della concorrenza.

Ancora una volta è il TAR di Genova che in qualità di giudice di prima istanza pone l’accento su aspetti legati alle clausole sociali ed alla tutela della concorrenza inquadran-do il problema dal punto di vista del cittadino/lavoratore e sul diritto a lui riconosciuto, facendo un ulteriore passo in avanti verso la tutela dei diritti sociali.

L’esigenza di una diversa valutazione di questi ultimi era già stata avvertita dal TAR Piemonte68 che, a fronte di una meccanica applicazione delle regole della concorrenza ov-vero ad un distacco dell’applicazione del diritto comunita-rio in tema di servizi sociali, aveva rimesso con ordinanza alla Corte Europea la questione circa il trasporto sanitario ad opera di associazioni di volontariato.

La questione nasceva dalla difficoltà di adattare il diritto comunitario, per cui l’attività di trasporto sanitario è attività avente rilevanza economica e i soggetti che la svolgono sono considerati imprenditori a tutti gli effetti e quindi trat-tati come tali nel libero mercato, alla struttura volontari-stica di queste associazioni ed alla difficile comparabilità, anche astratta, con gli ordinari operatori di mercato.

Non mancando di rilevare come questa difficoltà di com-parazione potrebbe tradursi nell’impossibilità di svolgere qualunque attività al di fuori delle regole di mercato e quin-di di operare secondo la propria ispirazione solidaristica, provocando tutto ciò anche costi che inciderebbero ecces-sivamente sugli enti pubblici che per il rispetto del patto di stabilità a cui sono tenuti dovrebbero farne a meno a discapito dei diritti sociali.

Una decisione che mira, a parere di chi scrive, a consoli-dare quel convincimento che prende sempre più corpo nel

68 Tar Piemonte, sent. n. 640/14.

Lo sviluppo argomentativo del giudice amministrativo è chiaro e coerente laddove precisa che non era affatto indeterminata la clausola contenuta nel bando e che essa garantisce, in ossequio alla normativa contrattuale collettiva, tutto il personale addetto all’unità produttiva interessata, vincolando sia gli offerenti, sia l’amministrazione63, perché la distinzione, con artifizio operata dalla società ricorrente di allocazione del personale, trova un chiaro freno nell’art. 21 del c.s.a. dove è chiaramente indicato che la clausola sociale è relativa “a tutto il personale iscritto nel libro unico del lavoro presente da almeno tre mesi nell’unità produttiva interessata”64, né può essere invocato il necessario contemperamento del principio di libertà economica perché “si osserva che è proprio l’inserimento nella lex specialis della così detta clausola sociale che realizza, a livello del singolo appalto, il necessario contemperamento tra il diritto di iniziativa economica e le finalità sociali di salvaguardia occupazionale”65. Così il TAR nell’operare il bilanciamento di interessi necessario qualora vengano a confronto diritti tutelati in egual misura, nella scelta a tutela del diritto sociale, pone la determinatezza e la cogenza della stessa a base della valutazione, così come aveva già fatto lo stesso Consiglio di Stato che nel riformare una precedente sentenza osservava che la clausola assume portata cogente, sia per gli offerenti che per l’Amministrazione, quando è espressamente prevista dal bando66.

E lo stesso TAR di Genova si è poi pronunciato a di-stanza di qualche mese67 ed ha accolto il ricorso presentato avverso la comunicazione di aggiudicazione di bando pub-blico avvenuta in contrasto con la clausola sociale inserita nel bando.

Nell’analisi del capitolato appare chiaro come, premesso che l’inserimento della clausola sia obbligatorio e che l’as-sunzione dei lavoratori debba avvenire comunque sempre in conformità con l’organizzazione e la gestione aziendale, le condizioni giuridiche dei lavoratori non devono mai es-sere modificate.

Nel caso di specie, il capitolato impone all’aggiudicata-rio l’assorbimento dei lavoratori della precedente affidata-ria con l’obbligo di applicare lo stesso CCNL.

A tal proposito il giudice degli interessi precisa sussi-stere una duplice disciplina in merito: qualora il CCNL di riferimento non contenga alcun riferimento sulla conserva-zione del posto di lavoro, in caso di subentro negli appalti, la disciplina di riferimento è l’art. 50 del DLgs 50/16, oggi obbligatoria, che impone il bilanciamento degli interessi tra l’esigenza di conservazione del posto e la libertà di ini-ziativa economica del datore di lavoro, rimanendo a discre-zione non l’an ma solo il quomodo.

63 Tar Genova, sent. n. 55/17 Punto 4 del Considerato in diritto. Si cfr. anche Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 5725/2013.64 Tar Genova, sent. n. 55/17 Punto 1 del Considerato in diritto.65 Ibidem, punto 5 del Considerato in diritto.66 Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 5725/13 Punto 3.3.2 del Considerato in diritto.67 Tar Genova sent. n. 640 del 21.7.17.

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posizioni dei privati, offre una nuova prospettiva di ana-lisi sulla questione dei diritti sociali, riuscendo a cogliere l’evoluzione dell’ordinamento e a rispondere alle esigenze della comunità sociale.

giudice amministrativo, secondo cui il controllo esercitato sul mercato da parte degli apparati pubblici, sarebbe capa-ce di offrire una maggiore garanzia ai diritti e agli interessi dei cittadini69.

Così il dubbio viene proposto alla Corte di Giustizia eu-ropea richiamando all’uopo gli artt.7 e 9 TFUE e la nuova disciplina sugli appalti che riconosce per l’affidamento di servizi sociali un regime alleggerito rispetto agli altri.

6 . CONCLUSIONI

La storia dei diritti sociali, in via conclusiva, in Italia ha subito un andamento piuttosto altalenante e dopo una fase di quasi totale condizionamento alle esigenze economico-finanziarie dello Stato, sta vivendo oggi un rinnovato vi-gore, determinato soprattutto dalla precisazione della Cor-te Costituzionale della doverosità della loro effettività e dall’impossibilità che i vincoli di bilancio possano lederne il “nucleo fondamentale”.

Ulteriore fattore è dato certamente dal nuovo corso del-la giurisprudenza amministrativa che, timidamente affac-ciatasi al mondo dei diritti, grazie alle sempre più chiare determinazioni della Corte Costituzionale70 e della giu-risprudenza della Corte di Cassazione71, ha ormai aperto il campo ad una nuova concezione del rapporto Pubblica amministrazione/cittadino basato sulla tutela incondiziona-ta della libertà della persona ed a tutte le espressioni della personalità che ne sono conseguenza.

E difatti, oggi la giustizia amministrativa, accogliendo in pieno i principi di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, nonché applicando direttamente gli articoli della Costitu-zione che disciplinano i diritti di seconda generazione72, è sempre più la sede “naturale” in cui si riconosce una tutela effettiva di quelle posizioni giuridiche soggettive che tro-vano fondamento in quei diritti fondamentali sociali, quali l’assistenza, l’istruzione e la salute, a cui migliore dottrina73 ha da tempo attribuito il valore di diritti “insopprimibili”.

La strada appare comunque ancora in salita, in special modo nel settore economico dove il diritto comunitario, che ha queste radici, appare ancora improntato alla tutela del mercato ed alla sua, poco discutibile, supremazia.

Tuttavia, non va assolutamente tralasciata la circostanza per la quale è il giudice di legittimità di prima istanza che, forte delle proprie conquiste e della continua opera di bi-lanciamento di interessi tra esigenze della PA e tutela delle

69 r. FErrara, voce Consumatore (protezione del) nel diritto ammini-strativo, in Dig. disc. pubbl., vol. III, 1989, pp. 515 ss; g. dELLa cana-nEa, Diritto amministrativo europeo, Torino, 2008, p. 250; recentemente si v. a. aPOstOLi, I diritti fondamentali “visti” da vicino dal giudice amministrativo. Un’annotazione a caldo della sentenza della Corte co-stituzionale n. 275 del 2016, in Quad. cost., 2017, p. 270 Corte cost., sent. n. 275/16.71 Cass., sent. n. 17461/06.72 a. PiOggia, Giudice amministrativo e applicazione diretta della Costituzione: qualcosa sta cambiando?, in Dir. Pubb., 2012, p. 49 ss.73 a. BaLdassarrE, Diritti pubblici soggettivi, in Enc. giur., XI, Roma, 1989, p. 12 ss.

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che trovano a loro disposizione un gran numero di bersagli fissi, ancorati al terreno e facilmente individuabili, soprat-tutto in spazi aperti e pianeggianti scarsamente abitabili. I paesaggi di guerra, hanno un significato straordinario per chi li ha vissuti, sono impossibili da dimenticare, perché è impossibile dimenticare quella zolla di terra, quel ciuffo d’erba quando si è sotto il tiro radente di una mitragliatri-ce, come dimenticare quei cunicoli stretti dietro le trincee da cui si emergeva al momento dell’attacco1. E, mentre i soldati vedono poco e niente del loro fronte, fotografano i momenti di sosta, di pausa, di socialità all’interno trincea, la perfetta organizzazione raggiunta dal nemico nel campo

1 Eric J. Leed, Terra di nessuno. Memoria bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna 2014

Negli ultimi anni e soprattutto in occasione della ricorrenza del centesimo anniversario, la me-moria della Grande Guerra ha assunto i tratti di una celebrazione nazionalistica e trova una

posizione centrale nell’immaginario pubblico, soprattutto nelle regioni un tempo attraversate dalla linea del fronte.

Lentamente è maturata la consapevolezza della potenzia-lità comunicativa e del valore di testimonianza storica in-sita nella consistenza materiale dei resti del primo conflitto mondiale e, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ne è nato un dibattito articolato, legato alla crescente do-manda di conoscenza e di fruizione consapevole e al timore del rischio della dispersione di questo patrimonio materiale e immateriale.

Ciò ha messo in moto una grande operazione di valoriz-zazione della memoria, come il progetto Europeana, nel tentativo di riscoprire: fonti, memorie e documenti in testi-monianza della Prima guerra mondiale, nonché le comuni radici della cultura europea. Si è sviluppato un processo di riscoperta della storia culturale della Grande Guerra all’in-terno del quale è compreso lo studio dei linguaggi, della comunicazione, della formazione della memoria a cui la fotografia ha contribuito in modo determinante.

Negli anni della Prima guerra mondiale è esistito un mi-crocosmo rappresentato dalla vita in trincea, dove la visi-bilità si riduce notevolmente, è scarsa e si appoggia a pochi elementi utili a fissarne il ricordo. Difatti, contrariamente a quanto è avvenuto nel corso dell’Ottocento, quando la tecnologia delle armi da fuoco e la loro gittata ancora non dilatano, in estensione e in profondità, le dimensioni del campo di battaglia e una buona vista di lì a poco sarebbe stata del tutto insufficiente a vedere il nemico. Con l’intro-duzione delle polveri in fumi, della macchina fotografica e della fotografia aerea, l’efficacia dei tiri d’artiglieria e dello stesso fuoco di fucileria non sarebbe più dipesa dalla pre-senza del bersaglio nel campo visivo naturale dell’osser-vatore. Il carattere statico dei combattimenti, con il ricorso alla guerra di posizione, facilita l’azione delle artiglierie

A memoria del paesaggio di guerra Maquillage e fortificazione campale nel territorio della I e III Armata (1915-1918)

SARA ISGRÒDipartimento di Architettura,Università degli Studi di Napoli Federico II

Fig. 1. Esempio di trincea con blindamento (III Armata)

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campale (strade, trincee, avamposti, postazioni per mitra-gliatrici, fuciliere, teleferiche, ecc.) che, ormai mimetizzate dall’opera “risanatrice” della natura, spesso sfuggono allo sguardo.

A questa infrastruttura fisica, corrisponde una rete infra-strutturale immateriale altrettanto interessante, che attiene alla percezione da manufatto a manufatto3.

Il “diritto alla memoria” è un fattore d’identità di questo patrimonio naturale, storico-culturale, afferente la Prima guerra mondiale. Tale premessa impone una precipua conoscenza dei luoghi, quale punto di partenza fondamentale per chi voglia occuparsi di un “progetto di paesaggio”4, con la consapevolezza che ogni azione su quest’ultimo è frutto di un intreccio di protezione, gestione, riorganizzazione, con interventi non solamente

3 C. Battaino, Topografie attive. Reti di Architetture e infrastrutture di guerra, in A. Quendolo (a cura di), Paesaggi di Guerra. Memoria e progetto, Udine 2014, pp. 139-1584 L. Scazzosi, Il paesaggio opera aperta: conservare/trasformare, in La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura. Manuale di teoria e pratica, a cura di P. Donadieu, H. Küster, Firenze 2008, p. 85

dell’osservazione terrestre ed aerea e la letalità della arti-glierie di cui dispone, spesso superiori per qualità e pre-stazioni materiali a quelle dell’Esercito italiano, obbligano ad un ricorso diffuso al mascheramento e all’occultamento sistematico degli apprestamenti difensivi, delle postazioni d’artiglieria, degli automezzi e di tutti i possibili obiettivi.

Nella consapevolezza che paesaggio, memoria collet-tiva e identità culturale sono oggi le diverse facce di un nucleo semantico denso e difficile da maneggiare, la cui struttura semiotica è generata dall’incontro tra la materia del luogo e la memoria degli individui e delle comuni-tà2, si impone un’azione sistematica di riappropriazio-ne della memoria storica, attraverso il riconoscimento, il recupero materiale e la valorizzazione delle testimonianze, non solo architettoniche, connesse all’evento, come “i For-ti”, ma anche le infrastrutture di collegamento e di servizio militare (ferrovie, strade, mulattiere, sentieri sterrati), ol-tre che l’insieme di opere appartenenti alla fortificazione

2 Cfr.: U. Eco, Opera aperta, Milano 1962; ed inoltre: U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano 1975

Fig. 2. Situazione e dislocazione delle Grandi Unità alla data del 17 novembre 1917, da ISCAG, Raccolta documentale, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando Generale del Genio, Ordinamento, B, 284 fasc. 8

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«Occultare non è sempre mascherare, perché spesso una maschera può facilitare la reperibilità della posizione. L’occultamento è questione di luce: occorre che la tinta o il colore che assume l’opera dopo qualche giorno della sua costruzione, ed i giochi di luce ed ombra che esso può ori-ginare nelle varie ore del giorno, non si distingua dalle tinte e dei giochi stessi del restante terreno7» (fig. 4), ponendo l’accento sulla necessità di ottenere l’effetto ottico voluto mediante un’idonea combinazione di colore, luci e ombre8.

La prima Circolare d’indole tattica emanata dal Coman-do Supremo pochi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia già contiene osservazioni sull’importanza del maschera-mento delle trincee; mentre la n. 160 del 6 giugno 1915,

dente, senza fare alcuna menzione al mascheramento.7 Manuale per l’ufficiale del genio in guerra, fasc. I, Fortificazione campale, guerra di fortezza, lavori di mina, Ispettorato Generale del Ge-nio, Torino 1915 e 19188 Ibidem

compatibili, ma consoni ai caratteri dei luoghi, conosciuti e rispettati nella loro specificità; su una stessa area, alcuni elementi saranno protetti, altri gestiti, altri riorganizzati e innovati volontariamente5.

ISTRUZIONI DI MAQUILLAGE

Durante gli anni che precedono lo scoppio della Grande Guerra prende forma rapidamente, tra le molteplici attivi-tà dei Comandi del Genio d’Armata, il servizio masche-ramenti, grazie al pronto e geniale adattamento adottato dagli ufficiali italiani in risposta alle numerose innovazioni di carattere tecnico che in quegli anni modificano profon-damente le tecniche di guerra con nuovi mezzi di offesa e di difesa.

La pubblicazione n. 116, Istruzione sui lavori del cam-po di battaglia, emanata nel 1913 dall’Ufficio Istruzioni e Manovre del Comando del Corpo di Stato Maggiore rac-comanda di realizzare sistemazioni difensive poco visibili in lontananza e dissimulate con zolle d’erba e ramaglia. È inoltre previsto l’allestimento di finte batterie “traditrici”, per ingannare il nemico sull’esatta dislocazione dei propri schieramenti d’artiglieria, e il mascheramento delle trincee con cespugli, frasche ed erba (fig. 3). Nel testo si precisa come tutti lavori siano da ispirarsi al principio dell’occul-tamento, evitando, per quando possibile, l’irregolarità delle forme, gli spigoli vivi ecc., e uniformando il colore al ter-reno circostante, così da sfruttare il principio del masche-ramento grazie a rilievi naturali e/o artificiali, muri, ma più frequentemente a siepi naturali o appositamente realizzate con “ramaglie”, filari di alberi, ecc6.

5 L. Scazzosi 2008, pp. 72-886 Pubblicazione n. 116 dell’Ufficio Istruzioni e Manovre del Comando del Corpo di Stato Maggiore, Istruzione sui lavori del campo di batta-glia, 1913. Circolare n. 250 del febbraio 1915, Norme complementari all’Istruzione sui lavori del campo di battaglia, che aggiorna la prece-

Fig. 3. Tipo di Mascheramento con cortina. da ISCAG, Raccolta documentale, Mascheramenti, b. H. 8.1., f. 1.

Fig. 4. Tipo di Mascheramento con quinte. Veduta prospettica.da ISCAG, Raccolta documentale, Mascheramenti, B. H. 8.1., f. 1.

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Comando Supremo dirama la circolare Mezzi per impedire al nemico di individuare le nostre batterie11, che richiama le norme sul mascheramento dei pezzi di artiglieria, delle riservette munizioni, del ricovero dei serventi e ritorna sulla costruzione di batterie simulate, già contenute nel fascicolo Criteri di impiego d’artiglieria12 dell’aprile 1916. Con la circolare n. 15637, del gennaio 1917, emanata con la consapevolezza che, nell’approntamento delle posizioni difensive, i comandi di grande unità non si sarebbero attenuate alle norme dei lavori di fortificazione campale emanate dallo stesso Comando Supremo, giacché in numerosi tratti del fronte le linee italiane risultano mal tracciate e peggio protette e mascherate, Cadorna richiama i Comandi d’Armata, precisando che «il primo occultamento degli organi difensivi in genere deve ottenersi con un ben studiato tracciato, scegliendo i punti del terreno, del quale occorre sfruttare ogni elemento naturale mascherate e, tralasciando tutte le emergenze e i rilievi artificiali. Quando invece non è possibile avvalersi di elementi di sito favorevoli, occorre di porre ogni arte nelle sistemazioni di tali organi e particolarmente dei posti comando e osservazione, mascherandoli opportunamente e con cura, schermi artificiali di piccole siepi, se il terreno si presta e se ciò riesce intonato col paesaggio circostante,

11 Circolare del Reparto Operazioni del Comando Supremo, Mezzi per impedire al nemico di individuare le nostre batterie, settembre 191612 Circolare del Reparto Operazioni del Comando Supremo, Mezzi per impedire al nemico di individuare le nostre batterie, settembre 1916

redatta su informazioni degli addetti militari italiani sui vari fronti di guerra e dedicata ai criteri di approntamen-to di opere di fortificazione campale, di difese accessorie come reticolati e ai metodi di distribuzione delle stesse, precisa che «il mascheramento delle opere e delle orga-nizzazioni campali è, specie nelle organizzazioni tedesche in quelle austriache, molto curato. Sono impiegati a tale scopo frasche, ramaglie, zolle, eccetera. E di notte si oscu-rano in modo assoluto le trincee e gli abitati prossimi. Un mascheramento efficace è sempre la siepe che nasconde la vista della trincea, mentre opportunamente diradata, per-mette l’azione di fuoco»9. Nello stesso mese, Luigi Cadorna (Pallanza, 1850 - Bordighera, 1928) ritiene utile richiamare i Comandi d’Armata e di Corpo d’Armata alla rigorosa applicazione delle norme in vigore sull’impiego delle ar-tiglierie, in particolare quelle relative al mascheramento degli schieramenti e di assicurare quest’ultimo anche alla visione aerea, in ispecie nei tratti delle vie di comunica-zione allo scoperto, ricorrendo a teloni sostenuti da pali, o a frasche, ramaglie, graticci, strisce di stoffe per occultare i camminamenti delle posizioni più avanzate10 (fig. 5a,b).

Anche il Re Vittorio Emanuele III, nel corso delle sue frequenti ispezioni al fronte, nell’aprile del 1916 esprime alcuni suggerimenti al Comando della III Armata sul metodo di mascheramento delle strade, nonostante la III Armata abbia già affrontato il problema dell’occultamento delle opere difensive (batterie, trincee, ricoveri) con mezzi più solleciti quali la tinteggiatura delle parti murarie, l’“inerbamento” di tratti di terreno denudati e la ricostruzione della vegetazione arborea, avendo cura di non alterare sensibilmente il territorio e possibilmente uniformandosi alle caratteristiche delle colture circostanti. Nel settembre dello stesso anno il Reparto Operazioni del

9 Circolare del Comando Supremo, n. 160, 6 giugno 1915.10 «Nell’intento di togliere al nemico la possibilità di seguire dagli osservatori delle sue trincee i movimenti di uomini e materiali che si compiono, sia su strade a portata di cannoni, sia sulla zona delle trin-cee avanzate, in corrispondenza di piste o lungo camminamenti che per la natura del terreno non si sono potuti rendere profondi a sufficienza, presso tutti gli eserciti si pone una cura particolare nel disporre, lungo i tratti scoperti degli accennati percorsi, mezzi adatti di mascheramento. «I mezzi generalmente adottati per il mascheramento delle grandi strade consistono in teloni di colore appropriato applicati a pali; e, talvolta, allorché per un determinato percorso le strade stesse sono dominate, i predetti teloni, opportunamente sorretti, sovrastano per il necessario svi-luppo la comunicazione. Così il tratto di strada scoperto e pure sottratto all’osservazione aerea. Nella zona più avanzata, in corrispondenza dei passaggi obbligati o di quei camminamenti di scavo limitato, e che sol-tanto con grande lavoro potrebbero essere approfonditi nella necessaria misura, vengono impiantati durante la notte mezzi più semplici costituiti in massima o da graticciate di frasche, talvolta rinforzato internamente con terra mista a paglia tritata, da sacchi a terra, convenientemente di-sposti, da ramaglie e sterpaglia composta per una certa altezza lungo il margine dei percorsi da occultare, ed infine da strisce di tela di 1,50 m circa di altezza assicurate con stoppi a paletti di legno infissi nel terre-no e opportunamente intervallati. Tratto-tratto, lungo il mascheramento, trovasi feritoie, o rilasci di determinata ampiezza per l’immediata ispe-zione del terreno esterno. Uno schermo formato da strisce di tela è stato testé proposto a questo comando da un non nostro osservatore che per molto tempo prestò servizio sul tratto di fronte fra San Michele e Monte Sei Busi», Circolare del Comando Supremo, n. 160, 6 giugno 1915.

Fig. 5a. Mascheramento a festone

Fig. 5b. Mascheramento di ramaglia.Da ISCAG, Raccolta documentale, Mascheramenti, B. H. 8.1., f. 2b.

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po sovente assumono proporzioni ingenti e vengono allo-cate sotto tettoia che per essere allestite con mezzi diversi da quelli in uso per le costruzioni preesistenti sul posto si rivelano facilmente ad occhio anche meno esperto di quello dell’osservatore d’aeroplano o del tecnico che con minu-ziosa analisi interpreta le fotografie prese dall’alto. […] Le attuali tettoie, baracche di mole troppo imponente, appari-scenti per contorno geometrico ben definito […] devono anzitutto essere truccate, per così dire, con tinte piatte, che tendono a confondersi con i toni dominanti nel terreno at-tiguo, e deformino quasi, per illusione ottica, i profili trop-po rigidi, facendo sparire contrasti di colore. Infine per le baracche o tettoie da costruirsi a nuovo si preferiranno i tracciati irregolari, deformati ancora con aggiunte di reti o stuoie opportunamente disposte e colorate»16.

A causa del carattere generalmente statico degli obiettivi, ciò che viene visto, riconosciuto e individuato sulla carta, è automaticamente distrutto dal fuoco dei cannoni, obici e mortai o, a distanze maggiori, fuori dalla gittata delle artiglierie, dai bombardamenti aerei. Anche nelle zone arretrate della Lombardia e dell’Emilia, minacciate da bombardamenti aerei, insieme alle misure di difesa contraerea si uniscono le predisposizioni proprie del mascheramento e del mimetismo per proteggere alcuni obiettivi sensibili quali le industrie dedite alla produzione bellica, le caserme, gli scali portuali, i depositi e via dicendo. L’importanza raggiunta dal servizio di mascheramento è testimoniata dalla situazione riassuntiva riguardante il collocamento delle reti da mascheramento presso i reparti operanti dal 1° aprile al 21 maggio 1918, che vede la distribuzione di 42.050 reti e la richiesta di altre 133.695 per le esigenze delle varie armate17. Durante la battaglia del Solstizio, le predisposizioni attuate dall’Esercito italiano per ridurre la visibilità delle linee difensive e degli spostamenti di truppe e mezzi risultano efficaci, tanto che Armando Vittorio Diaz (Napoli, 5 dicembre 1861 - Roma, 29 febbraio 1928) ne pone in risalto il buon rendimento nella circolare n. 132 del luglio 1918, Esperienze della recente battaglia18. Si giunge, infine, alla pubblicazione di regolamenti sulle tecniche di mascheramento come Materiale di mascheramento da parte dell’ufficio Tecnico del Comando Supremo, e Norme per la difesa contro la ricognizione aerea da parte dell’Ufficio Informazioni del Comando della III Armata. Quest’ultimo contiene, in bibliografia, un notevole elenco di pubblicazioni in gran parte di provenienza inglese e francese, ed altre ottenute dalla traduzione di documentazione tedesca requisita. Qui si sottolinea come i tre mezzi principali di difesa contro il pericolo delle ricognizioni aeree siano rappresentati dalla velocità dei movimenti − da attuare di massima nell’arco

16 Ibidem17 F. Cappellano, L’Esercito italiano e il mascheramento nella Grande Guerra, in F. Cappellano, M. Leonardi, D. Zendri, Invisibili al nemico, Rovereto 2004, p. 4518 Circolare del Comando Supremo, Esperienze della recente batta-glia, n. 132, luglio 1918.

coperture di zolle erbose diligentemente disposta, oppure in diversa maniera, cercando sempre di lasciare al suolo il suo aspetto primitivo e naturale […] è necessario di estendere sempre e maggiormente la messa in opera di schermi a graticciata, stuoie, o di altri mezzi (piantagioni vive, eccetera) disposti lungo i margini delle comunicazioni (strade, mulattiere) esposte all’osservazione nemica e soggetto al suo tiro d’artiglieria, impiantando anche in alto, nei punti convenienti di tali arterie, delle quinte per coprire dalla vista di posizioni nemiche dominanti13». Nel marzo del 1917 Cadorna torna sull’argomento illustrando ai comandi di grandi unità e comandi del Genio le tecniche allora in voga nell’esercito francese per il mascheramento di pezzi di artiglierie, di vie di comunicazione, di opere campali e di osservatori avanzati14.

Con la circolare n. 18192 del 191715 si sollecitano le va-rie armate a costituire laboratori per l’approvvigionamento dei materiali mascheranti come le reti mimetiche, e altri sistemi di osservazione, avvalendosi di soldati “artisti”, specialmente di pittori scenografi, similmente a quanto già praticato presso i principali eserciti alleati. Nello stesso anno, una nuova circolare sul tema del mascheramento, emanata dal Comando Supremo, punta a sensibilizzare an-che i reparti dell’Intendenza e dei servizi arretrati rispetto alla linea del fronte sulla necessità di dissimulare, soprat-tutto in vista di ricognizioni aeree, tutti gli elementi d’im-portanza militare e, in particolare, i magazzini e i depositi (in zone di guerra), infrastrutture, queste, che per la loro estensione, visibilità e vulnerabilità risultano le più esposte alle minacce nemiche. I provvedimenti di mascheramento non devono cioè limitatasi ai soli materiali e opere insisten-ti sulla prima linea o nelle sue immediate vicinanze. «[…] Occorre invece tenere ben presente che tutto ciò che può costituire oggetto di attenzione e di ricerca da parte del ne-mico deve essere accuratamente sottratto alla sua indagine. […] (fig. 6a) le accolte di materiali e di munizioni che trop-

13 Circolare del Comandi Supremo n. 15637, gennaio 191714 Già nel novembre del 1915 il Comando Supremo aveva diramato una corposa circolare contenente un atlante di tavole sui criteri di siste-mazione delle posizioni difensive campali francesi ed inglesi. Infatti, i primi esperimenti per la ricerca di un metodo razionale di maschera-mento furono condotti dall’esercito francese, che fin dai primi giorni di guerra era rimasto impressionato dalla potenza e dalla precisione dell’ar-tiglieria tedesca. L’idea di un camuffamento dipinto fu sviluppato per primo da Guirand de Sceuola, un ritrattista parigino alla moda arruolato nell’arma di artiglieria. Nel 1914 di sua iniziativa aveva dipinto dei teli di canapa con cui coprì la postazione di artiglieria alla vista degli osser-vatori nemici. Il Comando supremo francese fu colpito dall’esperimenta e de Sceuola venne subito promosso da soldato semplice a tenente e ag-gregato alla prima sezione di mimetizzazione militare della storia. Ven-nero reclutati altri pittori, compresi artisti di fama e un reparto motoriz-zato viaggiò lungo la linea del fronte a mascherare postazioni di artiglie-ria, osservatori, posti comando, aeroporti, eccetera. In Francia nel 1918, 1.200 uomini 8.000 donne erano occupati in elaboratori di Camouflage sotto la supervisione di de Sceuola, divenuto poi capitano. L’esempio francese venne presto seguito dagli altri eserciti belligeranti ed anche da quello italiano istituì la specialità mascheratori nell’ambito dell’arma del genio. F. Cappellano, Evoluzione del mascheramento, in F. Cappellano, M. Leonardi, D. Zendri, Invisibili al nemico, Rovereto 2004.15 Circolare del Comando Supremo n. 18192, maggio 1917

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Fig. 6a. Difese accessorie, da Atlante di Fortificazione Campale, Regia Accademia Militare, Torino 1902.

Fig. 6b. Ordinamento difensivo delle accidentalità del terreno, da Atlante di Fortificazione Campale, Regia Accademia Militare, Torino 1902.

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«Il mascheramento naturale, rispetto a quello artificiale ha il vantaggio di resistere sull’obiettivo che si intende nascondere; così che non giovi al nemico l’aver fotografato in precedenza il terreno per sorvegliarne poi le successive modificazioni. Altro vantaggio è dato dall’esercitare la sua efficacia protettiva già durante la costruzione dell’opera, la quale quindi non può essere sorpresa dalla ricognizione fotografica in fase disviluppo. I mascheramenti artificiali possono altresì imitare sia opere dell’uomo che oggetti naturali».

Il mascheramento d’erba viene ottenuto creando sulla terra smossa un vero prato artificiale, oppure simulandolo con le reti di rafia. La seminagione preferita è il seme di loglio italico che dà i primi risultati in 15-20 giorni. Le reti d’erba, ordinariamente in filo di ferro leggero e maglie di 4-5 cm di lato sono ancorate a una matassina di rafia lunga 30 cm e colorata di verde, i cui capi formano due ciuffi di una decina di centimetri di lunghezza. Alla fibra di rafia, nota per la sua leggerezza, resistenza e flessibilità si può sostituire la “careza”, erba palustre, sensibilmente più fra-gile e pesante della rafia, o piante come il pungitopo e ma-teriali derivanti dal legno come truciolo di Carpi (salicina) o la cosiddetta “lana di legno”.

Altri sistemi di mascheramento consistono nel piantare alberi e arbusti, (fig. 6b) soprattutto lungo le strade, ovvero ramaglie da collocare intorno all’obiettivo da difendere, in virtù del fatto che i cumuli di ramaglie hanno un ottimo

ti dall’impiego operativo delle sezioni mascheratori italiane. Cfr.: Co-mando III Armata, Ufficio Informazioni, Norme per la difesa contro la ricognizione aerea, s.d. [ma 1918].

notturno; dalla capacità di mascherare le opere di difesa, anche e soprattutto quelle di fortificazione campale e di trarre in inganno il nemico mediante la costruzione di obiettivi e lavori fittizi. In particolare, l’interpretazione delle fotografie aeree consente di rilevare una sagoma, dalla proiezione delle ombre proprie e di quelle portate; così, anche un “rilievo” dall’ombra propria e dall’immagine stereoscopica; il colore, dagli effetti di chiaroscuro. A ciascuno di questi elementi deve poi essere applicato uno specifico criterio di mascheramento. Mascherare una sagoma significa sfumarne i contorni e cancellarne la forma geometrica, mentre per rendere difficoltoso l’apprezzamento di un rilievo occorre ridurre al minimo il numero dei piani dell’oggetto. Le regole generali, e di universale applicazione del mascheramento, rispondevano a precisi principi: 1) il mascheramento di un oggetto o di un’opera dovrebbe

iniziarsi prima ancora che l’oggetto sia posto o l’opera iniziata;

2) bisogna evitare a qualunque costo l’uniformità, il tipo, nel mascheramento. I più ingegnosi mascheramenti diventano inutili se ridotti ad uno schema uniforme, perché al nemico, combinando i risultati delle ricognizioni con quelli di tutte le altre informazioni, viene presto o tardi a conoscerlo ed interpretarlo, con la stessa sicurezza con la quale si decifra un documento di cui si possiede il cifrario;

3) il mascheramento deve essere intonato all’ambiente e al terreno19.

19 Alla realizzazione dell’opera contribuiscono anche i dati provenien-

Fig. 6c. Rivestimenti, da Atlante di Fortificazione Campale, Regia Accademia Militare, Torino 1902.

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austriache per mancanza di punti d’osservazione, per la scarsa consistenza dell’aeronautica italiana e per il nume-ro ridotto di palloni osservatori disponibili. Nel mentre, la fotografia aerea raggiunge livelli di rendimento impensati all’inizio della guerra, essendo in grado di svelare tutti i se-greti dell’organizzazione difensiva avversaria nei suoi più minuti particolari; l’interpretazione delle fotografie aeree, grazie agli apparati di ingrandimento e alla tecnica stere-oscopica, consente di trarre deduzioni importanti sull’at-tività dell’avversario, evidenziando i rilievi anche minimi e tutte le particolarità del terreno, le strutture difensive e i lavori del campo nemico. Di pari passo al progresso delle ricognizioni aeree progredisce anche lo studio del modo di occultare i materiali e i lavori di guerra per mezzo di ma-scheramenti (figg. 9-16). È da sottolineare che nella guerra di posizione, la ricognizione fotografica ha quasi intera-mente sostituito quella a vista, la quale si limita soprattut-to alla ricerca dei soggetti da fotografare. La ricognizione fotografica, infatti, risulta vantaggiosa perché in grado di fornire un documento oggettivo da studiare con tutta cal-ma mediante le più minuziose indagini analitiche, per poi essere confrontato in ogni momento con quanto ripreso in altre fotografie, documenti trafugati al nemico, deposizio-ni di prigionieri e tutto quello che, insomma, può definirsi fonte di informazione. Tali documenti hanno inoltre una così elevata precisione da rendere possibile non soltanto la trasposizione di tutti i dati desunti dalla fotografia sulla cartografia a disposizione, ma anche il controllo e il suc-cessivo aggiornamento dello stesso. Munito di potentis-simi e perfezionati apparecchi fotografici, l’aeroplano da ricognizione riesce a ritrarre i più minuti particolari della macchina guerresca e degli aspetti del suolo (figg. 17-18). Gli aviatori, fotografando da bassissima quota il nemico in fuga sull’Altopiano della Bainsizza, ottengono immagini di soldati austriaci nell’atto della corsa veloce; o, ancora, gli aviatori alleati riescono addirittura a fotografare i ber-retti bianchi di artiglieria della marina tedesca intenti alla manovra dei loro pezzi nelle retrovie delle Fiandre.

Per opporsi a tale precisione raggiunta negli apparecchi ottici, l’arte di nascondersi ha dovuto far progressi egualmente rapidi: con il passare del tempo viene infatti sistematizzata, partendo da iniziative isolate intraprese dai singoli Comandi, in modo da farne una vera scienza. Per nascondere le opere di difesa, inizialmente si seguono due concetti fondamentali, diametralmente opposti: mascherare le opere stesse in modo da occultare la loro presenza; eseguire altre opere fittizie così da trarre in inganno il nemico, circa la vera ubicazione dell’opera che si intende proteggere.

I mascheramenti possono a loro volta essere visibili o invisibili, e tanto nel primo che nel secondo caso, natura-li (alberi, siepi ecc.) o artificiali (reti mimetiche, coloriture intonate all’ambiente, ecc.). Quelli visibili vengono ulterior-mente distinti in palesi e occulti, sulla base di un criterio da non confondersi con quello della visibilità, giacché un ma-scheramento palese (ad esempio una “frasca” che nasconde

rendimento per coprire materiale di scavo, colmare depres-sioni, smussare angoli, rilievi ed evitare così la formazione di ombre e di sagome pericolose. Mentre i pergolati di viti si prestavano bene a mascherare strade, piste e camminamenti.

Le reti mimetiche sono di varie dimensioni: quelle pic-cole, spesso intelaiate con assi di legno per mascherare feritoie, ingressi di gallerie, ricoveri, e quelle grandi, uti-li soprattutto per i mascheramenti provvisori. Sulle prime vengono agganciate fronde, rami, muschio, scorze d’al-bero, erba, fieno, paglia, tele o panni; nelle seconde vi si intrecciano strisce di stoffa o ciuffi di rafia e altre piante. A disposizione, ci sono anche reti con guarnizioni occasio-nali o stabili. La guarnizione della rete a strisce di stoffa, studiata con grande cura, è destinata a riprodurre il colore e le forme minute del terreno sottostante e ricostruirne in modo perfetto la fisionomia. L’impiego delle stuoie di pa-glia di erbe palustri, analogo a quella delle reti, risulta però meno diffuso e comunque sempre completato con altro materiale di guarnizione, come ramaglie, muschio, fango, strati di terra, eccetera. Nei centri abitati si fa ricorso an-che a rottami, adoperati in cumuli sparsi su reti metalliche per il rivestimento di impalcature. Nel mascheramento di scavi, come le trincee, trovano impiego essenziale le reti, la rimozione completa dei cumuli di terra e l’eliminazione delle vie di accesso. Si procede anche al mascheramento “a chiazze” che consiste nel dipingere larghe macchie multi-colori e multiformi sulla superficie del manufatto da celare (fig. 6c). La chiazzatura, a forma geometrica, generalmente sconsigliata, torna invece utile per trarre in inganno il ne-mico sull’uso e sulla grandezza di un edificio, difficilmente occultabile in altra maniera20.

IL MAQUILLAGE A DIFESA DELLE RICOGNIZIONI

AEREE

A fine maggio del 1915, nell’obiettivo di economizzare le forze e imbastire linee di difesa più solide, il Comando austriaco attua un sagace sfruttamento del terreno occupan-do, su tutta la linea del fronte italiano, le linee di cresta, fortificandosi in posizioni elevate, dominanti e facilmente difendibili con forze relativamente ridotte, dalle quali si dominano, con l’osservazione e il fuoco d’artiglieria, le sottostanti linee italiane (fig. 7). Questa situazione rimarca il notevole stato di soggezione del Regio Esercito, esposto alla mercé degli osservatori nemici, i quali possono regi-strare facilmente ogni movimento italiano, fin dalla zona delle retrovie; situazione ulteriormente gravata dal tipo di schieramento delle forze: messo in atto in fretta e furia riti-rando grandi unità dagli altri fronti o formato da riservisti e giovani leve reclutate sul posto, per poi essere mandato in linea personale pressoché impreparato (fig. 8). Soprattutto sul Carso e lungo il corso dell’Isonzo, l’esercito di Cadorna non riesce a controbattere l’azione delle bocche da fuoco

20 Comando Supremo, Ufficio Tecnico, Materiali di Mascheramento, s.d. (ma 1918)

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Fig. 7. Nello schema risulta un riepilogo di quanto esposto nelle Norme complementari circa l’organizzazione offensiva e difensiva di una località, spesso proposta “solo a titolo di esempio” per la costituzione di un caposaldo, e i particolari (profili, elementi di copertura ecc.) delle trincee, dei camminamenti, degli appostamenti sono quelli che risultano dalle figure precedenti (figg. 7-8).ISCAG, Raccolta documentale, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando della III Armata, agosto 1916, Norme fondamentali per la costruzione e la difesa di fortificazioni campali.

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Fig. 10.

Fig. 8.

Fig. 9.

Il tipo di trincea campale su terreno piano proposto è quello rappresentato dalla fig. 8 a cui seguono esempi di trincee per tiratori in ginocchio e per tiratori seduti. L’altezza del parapetto è in genere fissata a circa mezzo metro dal terreno naturale. Per terreni a fondo acquitrinoso o roccioso si propongono invece trincee o ripari sopraelevati (figg. 9 e 10). In generale le trincee e i ripari devono essere scoperti, ma non mancano esempi di trincee coperte, rinforzate (fig. 11) e di appostamenti o di ripari difesi da un “tettuccio” (fig. 12).I camminamenti (o trincee di comunicazione) proposti – per la generalità dell’impiego – sono tendenzialmente scoperti (fig. 13); mentre sono coperti e blindati solo quando emergono dal terreno (acquitrinoso o roccioso) o ancora tutte le volte in cui il loro impiego viene mutuato come ricovero di breve attesa (fig. 14). Coperti e blindati (blindamenti leggeri) sono invece i ricoveri per uomini di riserva, per depositi di materiali d’assalto, di cartucce, di granate a mano ecc. fatta eccezione per condizioni speciali del terreno; ancora blindati sono, in genere, gli appostamenti per mitragliatrici, (fig. 15).Interessa il particolare suggerito per mascherare le feritoie della fucileria (fig. 16), che poteva essere applicato anche a quelle delle mitragliatrici. Il graticcio “A”, ricoperto di fasci d’erba o di “frasche”, girando a cerniera sul bordo inferiore viene poi sollevato fino al bordo superiore per mezzo di un piccolo puntello, così da mascherare l’apertura di fuoco, oppure durante gli attacchi a fuoco può rimanere sul fondo.Da ISCAG, Raccolta documentale, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando della III Armata, agosto 1916, Norme fondamentali per la costruzione e la difesa di fortificazioni campali.

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Fig. 11.

Fig. 12.

Fig. 13.

Fig.14.

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una pubblicazione del Comando della III Armata nei primi mesi del 1918: Norme per la difesa contro la ricognizione aerea22, in cui si dà un’impronta organica alla materia, og-getto di studio, frutto non solo dell’esperienza, ma anche della lettura delle plurime pubblicazioni fatte dai Comandi alleati e dai documenti tecnici forniti dall’Ufficio Informa-zioni.

Il mascheramento di interi siti difensivi, pur essendo praticamente impossibile, raggiunge ottimi risultati evitando l’interruzione del percorso regolare di trincee o argini sistemati a difesa, ovvero mettendo in evidenza postazioni di mitragliatrici o quant’altro necessario alla difesa.

Il materiale di mascheramento più abitualmente impiegato è costituito da graticci, arelle di canne, stuoie colorate e chiazze intonate all’ambiente o sporcate di terra e ricoperte di frasche o ghiaia, a seconda del terreno. Spesso, per ottenere un migliore risultato, viene modificata una vasta zona erpicando la terra scoperta o tagliando l’erba.

Nel mascheramento stradale sono utilizzati i festoni di caresina per strade larghe e scoperte, e quelle di segon per strade alberate. Interi tratti di strade alberate, appezzamenti di terreno cinti da alte piante e cortili, vengono ricoperti da superfici di arelle, intrecci di pavera e reti mimetiche sospese, utili a nascondere importanti postazioni militari all’osservazione aerea.

Uno studio diligente degli effetti di luce ed ombra ha reso molto difficile l’identificazione del rilievo di diverse postazioni, quali obici da 280 mm a San Biagio di Callalta, Monastier, Meolo; parchi automobilistici a Casale sul Sile, Lancenigo, Spercenigo; sezioni da ponte e careggi di batte-ria in tutta la zona di Molino Toso, depositi di munizioni a San Michele del Quarto, magazzini del Genio ed Artiglie-ria divisionali, ecc.

Autocarri, carri, cassoni, barche ed ogni altro materiale di forma caratterista ed identificabile viene ricoperto da “mascheramenti” che ne comprendono interi gruppi così

22 Ivi

il traffico su di una strada, senza alcuna pretesa di nasconde-re l’andamento della strada stessa) ed uno occulto (un covo-ne di paglia che nasconda una mitragliatrice) sono più che visibili, ma il discrimine sta nel creare o meno sospetto della loro presenza al nemico.

MAQUILLAGE NEL TERRITORIO DELLA III ARMATA

Le notizie e le norme qui esposte sono tratte da relazioni delle Sezione mascheramenti del Comando del Genio della terza Armata21.

I lavori effettuati dalla sezione mascheramenti hanno, sin da principio, un ben determinato indirizzo, grazie a

21 Comando III armata, Ufficio Informazioni, Norme per la difesa contro la ricognizione aerea, s.d. (ma 1918).

Fig. 15.

Fig. 16.

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da togliere le ombre intermedie; quando tali materiali risultano isolati si cerca invece di modificarne la sagoma orizzontale e le ombre portate sul terreno.

Gli allineamenti di baracche sono perlopiù sconsigliati, così pure la ripetizione di elementi geometrici tipica delle costruzioni di evidente carattere militare; per queste strutture i mascheramenti più utilizzati sono quelli con arelle colorate ad imitazione di tegole o con festoni di paglia e pavera con opportune modificazioni di sagoma, qualche volta con aggiunta di finti fumaioli o di altri particolari per modificare convenientemente anche le ombre portate e dare intera l’impressione che si tratti di case o capanne rustiche.

Le barche preparate sul greto o sulle isole, vengono mascherate con arelle e festoni, con frasche, strati leggeri di ghiaia e reti mimetiche che richiamano l’effetto erboso o ghiaioso e sono in grado di creare ampie ondulazioni senza spigoli vivi e senza ombre portate.

Interessanti gli “altri artifizi”, d’iniziativa privata, quali il mascheramento di osservatori (finti alberi), di proiettori (finti carri di paglia o ghiaia sulle ferrovie, finti alberi), di colombaie (capanne, macerie finte), di appostamenti, di mitragliatrici (macerie, cumuli di ghiaia all’orlo di strade o nelle cave, finti pagliai, ammassi di fascine, legname, ecc.). Per le speciali caratteristiche del terreno sul quale opera la III Armata, il mascheramento delle postazioni delle batterie, pur variando nei dettagli in ogni singolo caso, è ottenuto seguendo alcuni tipi fondamentali: • batterie all’orlo di strade alberate (senza piste);• batterie tra filari di alberi e sotto pergolati di viti, con i

quattro pezzi in unico filare o in filari diversi, a seconda che questi siano normali o paralleli alla direttrice di tiro (con piste nelle carreggiate, o nei filari stessi, o nei fos-sati);

• batterie sull’oro di fossati e tra gli alberi, con efficaci risultati di occultamento ottenuti mediante il posiziona-mento di porzioni delle stesse su ponticelli di circostanza (piste del fossato stesso posizionate su graticci o peda-ne);

• batterie su due sezioni in condizioni di mascheramento varie;

• pezzi isolati nascosti sotto cespugli, finti pagliai e finte capanne.

Il sistema di mascheramenti degradanti in ampia sfumatura (per i quali si sono studiate le reti mimetiche) viene via via abbandonato poiché le ondulazioni che ne risultano, pur se in grado di riprodurre esattamente la vegetazione circostante, determinano frequenti dei giochi di chiaro-scuro facilmente rilevabili all’esame stereoscopico delle fotografie eseguite dall’alto. Inoltre, i mascheramenti così fatti vengono spesso segnalati dalle impronte di calpestio lasciate dagli uomini addetti alla manutenzione.

A completare il mascheramento offerto dalla vegetazione, invece, vengono impiegate reti mimetiche, posizionate in

Fig. 17.

Fig. 18.

Figg. 17-18. Si riportano due esempi schematici di occupazioni di alture; il primo (fig. 17) contempla un’altura a larga cresta,; il secondo (fig. 18) riporta una serie di alture a salienti e rientranti. Per le linee fortificate sui terreni alti e spesso arrotondati, vengono descritte fortificazioni con tracciato curvilineo e convergente agli estremi, ovvero un tracciato pressoché circolare, definito nelle Norme “tracciato ad anello” da ISCAG, Raccolta documentale, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando della III Armata, agosto 1916, Norme fondamentali per la costruzione e la difesa di fortificazioni campali.

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colore “maquillage”, affidata a pittori decoratori; e della costruzione di intelaiature e centine per il montaggio dei mascheramenti affidata invece a falegnami e carpentieri23.

IL TERRITORIO DELLA I ARMATA. ALCUNE RIFLESSIONI

PER LA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO DI

GUERRA

Fino all’inizio del XX secolo, nessuna guerra era stata tanto connessa alla fisicità del terreno come la Prima guer-ra mondiale che – come è noto – è stata un conflitto di posizione e di trincea in grado di segnare il paesaggio del Paese sia al fronte che nelle retrovie, con innumerevoli tracce oramai immobili e storicizzate: trincee, fortificazioni verticali e ipogee, ricoveri, strade e ponti, sentieri, ecc.

Il meraviglioso scenario montano e pedemontano, inclu-so tra i limiti naturali che cingono a Ovest la vallata dell’A-gno e ad Est quella del Brenta nel territorio provinciale di Vicenza (all’epoca territorio della I Armata), è ancor oggi fortemente intriso delle testimonianze della Grande Guerra, anzi, proprio quell’evento, ne ha fortemente e indissolubilmente connotato l’ambiente incorporandolo definitamente nella storia.

Qui si è davanti ad uno dei più interessanti esempi di simbiosi fra natura e storia. Il paesaggio di guerra, un palin-sesto di camminamenti, fortezze, gallerie, trincee, spesso sommerso dalla vegetazione, dimenticato e in alcuni casi “ingoiato” dalle condizioni atmosferiche avverse, si palesa con la sua “aura”24, anche a causa del ritiro dei ghiacciai che ne stanno in parte restituendo reperti e manufatti per-fettamente conservati.

A chi si occupa della conservazione e della trasmissio-ne alle generazioni future di queste “memorie”, nel senso più ampio del termine, si rileva un interesse nel parlare di degrado, vestigia, autenticità, e quindi nel condurre la ri-flessione sul restauro, la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio, non solo come problema di consi-stenza fisica, ma soprattutto come occasione per un possi-bile rapporto con il passato legato alla “comprensione del sentimento”25. Emerge dunque un concetto di autenticità strettamente legato sia alla materialità dell’opera sia al tema della fruizione dell’opera stessa, «fruizione leggibile attraverso l’esperienza della percezione dell’aura: il passa-to sopravvive come testimonianza nell’unicità e irripetibi-lità dell’insieme degli apporti materici stratificati nel tempo che rappresentano appunto quell’insostituibile e irripetibile hic et nunc che distingue in modo specifico quella e non un’altra opera, perduto il quale è perduto il suo valore di

23 In ogni squadra si trovava generalmente un falegname, incaricato di preparare l’intelaiatura, un pittore decoratore, che doveva eseguire i necessari ritocchi di colore. 24 W. BEnjaMin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino 1995, pp. 124-12525 U. gaLiMBErti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Mi-lano 1999, p. 710

alto e ai lati dei filari di alberi e di viti che abbondano in gran parte delle zone di operazioni.

Per i grossi calibri viene adoperato spesso un sistema che, pur soggetto a critiche − giacché può dar modo al nemico di servirsi di punti di riferimento ben visibili − garantisce ottimi risultati sia nella costruzione di finti pagliai e finte capanne rustiche nei pressi delle case coloniche, sia nello sfruttamento di rovine, di cave di ghiaia e di vecchi baraccamenti per mascherare le piazzole; mascheramento, quest’ultimo, che presenta il vantaggio di permettere una grande libertà di movimento, anche in zone già sterrate.

Il mascheramento a chiazze di colore maquillage larga-mente adottato da francesi, inglesi e tedeschi per artiglie-rie, carri d’assalto e, più ampiamente, per case, ville, campi d’aviazione e baraccamenti, trova invece scarso impiego presso la III Armata; quest’artificio (basato sul principio che un sistema di macchie di colore a contrasti violenti possa scomporre le cose in una quantità di dettagli indefi-niti che diano come somma il colore dell’ambiente) è effi-cace solo per l’osservazione a vista e in terreno ondulato e sconvolto; non dà invece alcun risultato in un terreno piano e a coltivazioni regolari, come quello della pianura vene-ta, e ciò trova conforto in alcune prove fatte nella Villa Saltore e in gruppi di baracche per deposito di munizioni a Pozzetto e a Catron, con esiti non convenienti al terreno dell’Armata suddetta.

Si è consigliato, dunque, di appoggiarsi sempre alle li-nee regolari della coltivazione, allineando piccole baracche sotto filari di alberi o parallelamente alle strade e di ma-scherarle con arelle a chiazze di colore intonato al terreno o collegarle fra loro con mezzi di circostanza; di prestare una sempre maggiore cura nell’evitare l’attraversamento in diagonale dei campi, dando in tal modo una sicura indica-zione della cosa da occultare.

Le strade inghiaiate vengono ricoperte con frasche secche, polvere di carbone, terra e fieno.

Nei campi di aviazione, vista l’impossibilità di un ma-scheramento completo, si è preferito costruire hangars isolati e lontani nei quali venivano ricoverati i velivoli e, all’occorrenza, messi al riparo gli apparecchi lasciando vuoti gli hangars ordinari.

I materiali necessari vengono allestiti in appositi labora-tori: a Carpenedo, Sant’Artemio, e a Mestre.

Il laboratorio di Carpenedo ha prodotto mascheramenti intonati al terreno e alla vegetazione delle zone di Cavallino, Taglio del Sile e Basso Piave; quello di Sant’Artemio, imitazione di pergolati, vigneti, piantagioni di granturco. A tutto questo vanno aggiunti inoltre festoni di pavera, paglia, caresina e segon per mascheramenti stradali, mascheramenti superiori e laterali di sezioni automobilistiche, di sezioni da ponte, carreggio e depositi munizioni e materiali. La produzione di questi festoni è affidata anche al laboratorio graticci, arelle e stuoie di Carpenedo.

Nel laboratorio di Mestre ci si occupa invece della coloritura di reti mimetiche, arelle e stuoie a chiazze di

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sistemi di messa in opera, talvolta soverchiando la preci-sione delle ripresa fotografiche in volo. Il maquillage, a tutti gli effetti si è configurato come un’espediente tecnico da un lato, dall’altro si è materializzato in quello strato di sacrificio, posto a tutela di sistemi difensivi spesso menzio-nati nell’ambito della fortificazione campale e delle tante vite umane che abitavano le trincee.

La sua rimozione, sotto l’azione dell’artiglieria nemica e per lo scorrere del tempo che, inesorabilmente, ha portato alla cancellazione dei “segni sul territorio”, non lo docu-menta.

Oggi il maquillage di guerra è prodotto della ricerca sto-riografica, infatti è possibile leggerlo e comprenderlo sine-steticamente attraverso i documenti, le varie circolari sopra richiamate ed alcune foto d’archivio.

Inevitabilmente, la fotografia attuale racconta di quei percorsi e di quei paesaggi a seconda della loro importanza, restituendo l’immagine di un paesaggio che è cambiato rispetto a quello degli anni della guerra, e vi è anche un rapporto differente che fa da sfondo a una storia puntuale e propria di alcune parti del territorio italiano; al riguardo non è da sottovalutare il fenomeno del rimboschimento, che ha inesorabilmente cancellato le tracce e i segni (camminamenti, trincee, ecc.) che abbiamo cercato di raccontare, e con il quale dobbiamo confrontarci (figg. 18-31).

Diverse tracce del passato, seppur prive di eccellenza, sono spontaneamente riconosciute, dalla società, come componenti del patrimonio comune e come segni costitui-tivi di identità o di memoria collettiva28. E, in tal senso va letta la legge n. 78 del 2001.

Tra i tanti beni culturali minori, infatti, un particolare posto rivestono ora, per l’ordinamento italiano, le vestigia della Grande Guerra, come elementi di memoria, storia

28 R. Bernini, Il Patrimonio storico della Prima guerra mondiale. Pro-getti di tutela e valorizzazione a 14 anni dalla legge del 2001, Roma 2015, p. 16

testimonianza e la stessa credibilità dell’oggetto»26.Con la legge n. 78 del 2001 sulla “Tutela del Patri-

monio storico della Prima guerra mondiale”27, è stata regolamentata la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale, affidando allo Stato e alle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, il compito di promuovere la ricognizione, la catalogazione, la manutenzione, il restauro, la gestione e la valorizzazione delle “testimonianze” relative. I forti, le architetture costruite, sono stati i primi ad essere oggetto di attenzio-ne, ma questi fanno parte di un sistema molto complesso e articolato dal quale non possono e non devono essere di-sgiunti, per cui occorre affrontare il problema della tutela, del restauro, della valorizzazione del patrimonio della Pri-ma guerra mondiale come “sistema”, unitamente all’altro grande tema del restauro del paesaggio alpino, quale bene collettivo ricco di risorse, di identità e di valori.

In tutto ciò si rileva, come fatto importante, il maquilla-ge del paesaggio di guerra, un fenomeno complesso, per i diversi aspetti antropologici, sociali, oltre che per i tec-nicismi e gli espedienti artistici messi in campo, apparen-temente marginale, ma che ha tenacemente contemperato l’esigenza di occultare i sistemi di difesa alle ricognizioni aeree, con quella del continuo progredire, nelle forme e nei

26 A. QuEndOLO, Paesaggi di guerra: “questioni di restauro” per un patrimonio ad alta complessità; intervento al seminario Paesaggi Mili-tari. Fortificazioni e Prima guerra mondiale. Conoscenza, restauro e valorizzazione/Military Landscapes. Fortifications and World War I. Knowledge, Restoration and Enhancement a cura di S. Isgrò, promosso da: Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, Dottorato di ricerca in Architettura, Patrimonio architettoni-co e paesaggio: Storia e Restauro dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, tenutosi a palazzo Gravina a Napoli, 15 giugno 2017.27 Legge 7 marzo 2001, n. 78 - “Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 2001.

Fig. 19. Trincea scoperta affiorante sul terreno, con rivestimento di paletti e tavolame (III Armata).

Fig. 20. Trincea scoperta affondata con rivestimento sul fronte di graticci e paletti, e sul rovescio di muro a secco (III Armata).

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che lo costituiscono: da quelli strutturali, che ci restituisco-no una tridimensionalità differente (anche in rapporto al “fosso” generato dalle granate scoppiate) a quelli morfolo-gici e formali, dalle componenti della copertura vegetale ai materiali di progetto che lo strutturano anche da un punto di vista formale e che ci permettono, poi, di gestirne le tra-sformazioni con i materiali che, spesso, sono quelli della botanica e della vegetazione. Ciò perché il paesaggio, in cui gli elementi naturali sono i principali componenti, è la vera “opera d’arte” in continuo mutamento; un mutamento necessario, inevitabile, inarrestabile e irreversibile, per l’a-zione degli uomini e della natura31 e, pertanto, deve essere gestito nel rispetto della storia dei “segni”.

Il paesaggio si presenta, sì, come un “documento d’ar-chivio”, pieno di tracce materiali e immateriali, ma non

31 L. Scazzosi, Il paesaggio opera aperta: conservare/trasformare, in La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura. Manuale di teoria e pratica, a cura di P. Donadieu, H. Küster, R. Milani, Firenze 2008, p. 78

e identità collettiva, sia italiana che europea. La legge non prevede un vaglio che dia luogo a un atto di vincolo da parte dell’amministrazione statale29. Si riferisce automaticamente a tutto ciò che sia una traccia materiale, immobile e mobile, direttamente o indirettamente, realiz-zata per l’attività bellica della Prima guerra mondiale o per suo ricordo, memoria o documentazione, o connotata come teatro di eventi di quel conflitto. Ossia, si tratta di elementi che compongono un imponente paesaggio storicizzato: è questo il punto di riferimento e concetto centrale30.

Dunque, si impone la necessità di leggere il paesaggio, a scala territoriale, mediante la comprensione degli elementi

29 Diverso è lo spirito del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, che richiede, per la tutela, un’eccellenza storico-artistica. Ovvero, il Codice opera con un giudizio da formare di volta in volta e si esprime, con un apposito provvedimento dichiarativo (vincolo) che assoggetta la cosa a un regime di ingerenza pubblica sulle facoltà proprietarie: perché il suo valore culturale, che testimonia la civiltà, è appunto un valore pubblico, che non appartiene al singolo proprietario ma alla Nazione.30 R. Bernini 2015, p. 17

Figg. 21-22. Trincee con blindamento di lamiera ondulata. Gli schizzi si riferiscono a trincee scavate in terreni che pur non avendo bisogno di rivestimenti, possono eventualmente accoglierlo. Questi tipi di trincee sono stati molto impiegati nelle difese della I Armata (in special modo in Val Lagarina), e della III Armata.

Figg. 23-24. Trincee rivestite e blindate, ricavate da quelle del 1° tipo e del 2° tipo a Portule (Asiago)

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so un approccio olisti-co al tema, mediante il quale strutturare non solo il progetto di re-stauro e conservazione degli elementi “forti” del sistema − quali i forti, le caserme, le infrastrutture − ma so-prattutto il restauro del territorio e la valorizza-zione del sistema pae-saggio-forti: per mezzo sia del riconoscimento e la messa a sistema del dato fisico, “la struttura materiale” e tangibile, sia di quella “immate-riale”, ovvero percetti-va e sensoriale, così da vivere le due polarità estreme dello spazio e della poetica, la vita del monte e la profondità della caverna.

Dunque occorre par-tire da una riflessione più ampia sul senso del recupero e del ri-ciclo del territorio, di paesaggi e manufatti fragili e marginali35, così da sviluppare, at-traverso un’analisi ap-propriata, un indirizzo metodologico utile alla definizione di un pro-getto globale che tenga conto di diversi fatto-ri, quali ad esempio la potenzialità dei luoghi, la natura delle opere e delle azioni antropiche, le modalità di percor-renza, la comprensione delle testimonianze, dei significati impressi nel-la materia e sulle tracce marcate nel paesaggio.

35 F. De Maio, A passo di Soldato. I teatri di guerra tra restauro e riciclo nella ricerca dello IUAV, in A. Quendolo ( a cura di), Paesaggi di Guerra. Memoria e progetto, Udine 2014, pp. 95-104

statico, bensì in conti-nua evoluzione, dove le tracce del passato si intrecciano con quelle che il presente va la-sciando e che lo modi-ficano continuamento, attraverso l’azione degli uomini e della natura32.

È indispensabile uno studio che riconnetta i diversi oggetti disseminati nel territorio in una prospettiva storica e paesaggistica, attraverso la catalogazione dei manufat-ti e dei siti con potenzialità archeologica33, redigen-do apposite cartografie tematiche a supporto degli strumenti di pia-nificazione alle diverse scale34. Infatti, la man-canza di una visione generale nell’approc-cio alla valorizzazione rischia di determinare iniziative prive di partico-lari attrattive, quando inve-ce potrebbero essere coor-dinate in modo da formare un unico e nuovo sistema culturale, paesaggistico e ricettivo che, se adeguata-mente messo in rapporto con le altre offerte del territorio, potrebbe rap-presentare un’interes-sante offerta turistica.

L’obiettivo da perse-guire è quello di restitu-ire, attraverso il rispetto delle attuali condizio-ni percettivo-visive di quei luoghi, la com-prensione e l’apprezza-mento dei valori esteti-ci, simbolici, identitari del paesaggio di guerra.

Ciò è possibile attver-

32 L. Scazzosi, Leggere il paesaggio. Confronti internazionali/Rea-ding the landscape. International comparisons, Roma 200233 V. Foramitti, Paeasaggi di guerra e geografia militare in Friuli Ve-nezia Giulia, in A. Quendolo ( a cura di), Paesaggi di Guerra. Memoria e progetto, Udine 2014, pp. 111 - 12834 Ibidem

Figg. 25,26. Trincee il cui blindamento è ottenuto con lastroni curvi di cemento a leggera armatura interna (spesso di rete di filo di ferro); le figure sono ricche di particolari. I lastroni sono stati spesso costruiti in cantieri vicini alle trincee e talvolta sulle stesse, impiegando però apposite armature centinate di legno. Nelle figure non è indicato alcun rivestimento ai fronti e dossi delle trincee.

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Fig. 29. Trinceramento coperto ad archi di cemento armato, piastra di acciaio frontale di protezione per i tiratori, rivestimento spesso e muri di sostegno in muratura di pietrame; costruito lungo l’argine del torrente Grigno1.

1 Si ringrazia l’ISCAG, Istituto di Storia e Cultura dell’Arma del Genio (RM).Tutte le iconografie appartengono al Fondo Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando della III Armata, agosto 1916, Norme fondamentali per la costruzione e la difesa di fortificazioni campali.

Fig. 27. Trincea coperta di arconi di cemento armato e rivestita di muratura di calcestruzzo.

Fig. 28. Trincea coperta con arconi di cemento armato con pareti dello stesso materiale; tipo largamente impiegato dalla III Armata nei trinceramenti sul Torre ed Isonzo.

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– Raccolta documentale, Guerra Italo-Austriaca 1915-1918, Comando Generale del Genio, Ordinamento, Si-tuazione e dislocazione Grandi Unità alla data del 17 novembre 1917

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genze scolastiche (Leithwood e Azah, 2016), il coinvolgi-mento dei diversi attori del sistema educativo (Diamantini, 2014) o l’azione dei docenti in quanto “agenti istituzionali” (DiMaggio, 1988).

A livello internazionale la ricerca ha elaborato negli ul-timi decenni una sorta di possibile “menù delle policies”, la cui realizzazione è condizionata dall’azione dei decisori politici nazionali e locali (Fast, 2016).

Recentemente nel contesto scolastico italiano, le istanze di innovazione hanno avuto un impulso enorme verso la digitalizzazione delle pratiche didattiche e amministrative, ponendo in modo concreto il problema di dover risponde-re alle problematiche connesse al bisogno di diffondere l’innovazione in organizzazioni complesse come le scuo-le (Piano Nazionale Scuola Digitale, 2016). Le forme e le modalità di utilizzo che le tecnologie assumono rimangono però difficilmente definibili a priori: le tecnologie vengo-no incorporate secondo pattern spesso non previsti dai loro creatori, inserendosi nelle prassi istituzionali già esistenti e riflettendo elementi delle relazioni sociali radicate in un determinato contesto. Il loro utilizzo e, conseguentemente, l’innovazione educativa che ne deriva, è in questo senso “socialmente plasmata” (Agaliano, Noss e Witty, 2001).

Questo articolo si inserisce nella riflessione sul difficile rapporto tra variabili sociali e personali nei percorsi d’inno-vazione all’interno del mondo scolastico, tramite un’anali-si sul campo che ha permesso all’indagine di pervenire a un case-study, che ha coinvolto tre diversi comuni italiani.

Nel primo paragrafo viene illustrato lo scenario relati-vo alla diffusione delle ICT sia in generale, sia nel mondo dell’educazione, all’interno del quale emergono spinte in-novative e resistenze in una situazione controversa troppe volte ancorata al mantenimento dello status quo. Nel se-condo paragrafo viene fornita una breve sintesi dei principi base del progetto “Distretto Digitale”, promosso dall’Uni-versità degli Studi di Milano-Bicocca e focalizzato sulla re-alizzazione di un profondo percorso d’innovazione all’in-

ABSTRACT

L’articolo affronta la tematica dell’innovazione in contesto scolastico, con un particolare focus sullo sviluppo di percorsi di digitalizzazione, evidenziando il ruolo giocato dai fattori sociali e personali nella motivazione al cambiamento dei soggetti coinvolti. Analizzando la relazione tra le competenze personali e le condizioni lavorative, su un campione di 420 docenti, emergono atteggiamenti positivi ma anche di resistenza al cambiamento, prodotto dall’introduzione delle Information and Communication Technologies (ICT). I risultati consentono di formulare una serie di indicazioni utili a sviluppare attività di supporto ai processi di innovazione, con una particolare attenzione al ruolo giocato dalle relazioni interpersonali e dai vissuti collettivi.

INTRODUZIONE: L’INNOVAZIONE NEL MONDO

DELLA SCUOLA

Quando si parla di innovazione, sia nel mon-do della scuola, sia, più in generale, in quello delle grandi organizzazioni, si fa riferimento a processi che possono essere interpretati come

tecnologici, politici o culturali (Acker, 1990) e tali approc-ci emergono anche nelle ricerche empiriche sviluppate col fine di approfondire queste dinamiche. Gli studi sull’esito dei processi di innovazione nelle istituzioni, e più speci-ficatamente nelle istituzioni scolastiche, hanno da tempo intrapreso la ricerca dei fattori in grado di vincere “l’alta resistenza al cambiamento” che si riscontra nei contesti or-ganizzativi (Zucker, 1987). Tra i fattori riconosciuti, si fa riferimento a quelli legati al macro-contesto, quali il siste-ma economico e quello delle norme culturali, alle policy di innovazione diramate a livello nazionale (Vanderlinde and van Braak, 2010), a quelli relativi al contesto specifico, come l’attività delle autorità pubbliche locali e delle diri-

Fattori sociali e individuali nella motivazione all’innovazione in un distretto scolasticoMIRELLA FERRARI, GIULIA MURA, DAVIDE DIAMANTINIDipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università di

Milano-Bicocca

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contemporaneo, centrale nella realizzazione dell’uo-mo.

L’urgenza di introdur-re processi innovativi nel mondo della scuola si scon-tra con il dubbio latente, presente tra molti docenti, che le tecnologie non sia-no veramente un agente di miglioramento. Molti ricer-catori si stanno dedicando ad approfondire e valutare i vari aspetti di questa transi-zione con approcci discipli-nari diversi, che includono

la pedagogia (Calvani, Fini, Ranieri, 2014), la sociologia (Diamantini, Mura, 2018) e le scienze informatiche (Re-penning et al., 2015).

Sembra necessario, per mettere in luce il maggior nu-mero di aspetti utili ad approfondire la complessità del tema, un approccio multidimensionale che tenga presente la complessità della società contemporanea e cerchi di in-dagarne le forme, gli strumenti e, non ultimo, gli obiettivi. Un tema di questa natura impone di superare una prospet-tiva unidimensionale e deterministica (Besozzi, 2016) e di articolare le indagini tra il polo dell’azione individuale e il polo del funzionamento delle istituzioni.

È abbastanza consolidato vedere al centro della rifles-sione sulla relazione tra individui e tecnologie la questione educativa: introdurre media tecnologici a scuola dovrebbe voler dire favorire una didattica che si rivolge alla persona, che stimola l’inclusività e la conoscenza del mondo, che pone al centro l’individuo, promuovendone le sue qualità, la sua unicità, nonché la sua originalità. Il contributo dei media digitali spinge in questa direzione, offrendo un ven-taglio di strumenti, possibilità di apprendimento, e rinno-vati stili di insegnamento che si indirizzano verso la “per-sonalizzazione” (Sandrone Boscarino, 2008).

A livello internazionale il monitoraggio della diffusione delle tecnologie in ambito scolastico ha diversi punti di riferimento, tra i quali la Survey of schools: ICT in Education (Wastiau et al., 2013), realizzata su incarico della Commissione Europea, che ha coinvolto più di 190.000 rispondenti in 31 nazioni europee, arrivando a offrire una descrizione dettagliata delle tendenze in Europa. La ricerca conferma l’indicazione che laptop, tablet e notebook per la didattica iniziano a essere pervasivi solo in alcuni dei Paesi investigati. I dirigenti e gli insegnanti lamentano spesso la scarsità delle apparecchiature digitali nelle scuole, specialmente LIM e Laptop. Molti studenti usano ancora troppo poco le ICT; i docenti utilizzano i media digitali per comunicare con i genitori o per misurare l’apprendimento degli studenti, ma raramente li usano in modo creativo per comporre contenuti innovativi o preparare lezioni interattive. Le risorse digitali, gli esercizi su piattaforme

terno dei distretti scolastici interessati dall’indagine. Nel terzo paragrafo vengo-no presentati i dati raccolti durante lo svolgimento del-la ricerca, evidenziando i fenomeni più significativi.

Infine, nelle conclusioni si tenta di evidenziare lo specifico ruolo che i diver-si fattori di carattere sociale e individuale, giocano nel favorire o contrastare un percorso d’innovazione tec-nologica in ambiente scola-stico.

LA DIFFUSIONE DELLE ICT E LA SCUOLA

Sono ormai numerosi gli studi sulla diffusione del-le ICTs tra le generazioni più giovani, sia in Europa (ad es. Willemse et al. 2014), che in altri paesi (ad es. Blair, Claster e Claster, 2015). I risultati, in modo concorde, ci restituiscono uno scenario in cui smartphone e tablet sono onnipresenti; l’uso dei Social Network diventa sempre più capillare, così come il consumo di video e musica: in ge-nerale i ragazzi sono sempre più online rispetto al passato.

I dati nazionali offerti da ISTAT (2015), descrivono un Paese dove il 68% della popolazione tra i 16 e i 74 anni ac-cede regolarmente al Web a fronte di un 81% della media europea. Le differenze sociali pongono i ceti più deboli in fondo alla classifica, evidenziando un distacco di 22 punti percentuali tra operai, pari al 69%, e manager o liberi pro-fessionisti in crescita verso il 91%. Internet viene usato più nel Nord-Est che al Sud. La giovane età, un titolo di studio più elevato e una condizione professionale che offre mag-giori possibilità economiche incrementano l’uso della rete e, allo tempo stesso, cresce l’uso degli smartphone, pos-seduti oggi dal 70% della popolazione. Interessanti sono i dati sulla connessione a banda larga per famiglie: quando il capofamiglia è un operaio l’accesso a Internet è pari al 28%; ove un dirigente, imprenditore o libero professionista sale al 50%.

Permane anche il digital divide tra generazioni e prove-nienze geografiche e sociali che aveva caratterizzato il de-cennio precedente: seppure il gap sia leggermente diminu-ito, non siamo ancora in linea con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea1.

Emergono nuovi stili e modelli di vita. È indispensabile una nuova cultura che guardi anche in modo critico alla tecnologia come una componente ineludibile del vivere

1 Lanciata nel maggio 2010, l’Agenda digitale per l’Europa (DAE) si propone di aiutare i cittadini e le imprese europee ad ottenere il massimo dalle tecnologie digitali. È la prima di sette iniziative pilota del program-ma Europa 2020. Maggiori informazioni sono disponibili a questo ind-irizzo: http://www.agid.gov.it/agenda-digitale/agenda-digitale-europea

The article addresses the topic of innovation in a school context, with a particular focus on the development of processes of digitalization, highlighting the role played by social and personal factors on the motivation to change of the involved subjects. Through the analysis of the data collected on a sample of 420 teachers, the relationships between personal competences and characteristics of the working situation with positive attitude and resistance to the change brought by the introduction of ICT are highlighted. The results allow to formulate some useful indications for the development of activities supporting the innovation processes, with particular attention to the role played by interpersonal relationships and experiences as a community.

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nità virtuali e di pratica tra insegnanti e non sia solo una strategia didattica per gli studenti (Ranieri e Manca, 2013). La costruzione di comunità di pratica contribuirebbe ad aiutare i docenti, che avrebbero la possibilità di condivi-dere problemi, scelte, processi e prodotti in ambienti col-laborativi, atti alla diffusione delle buone prassi didattiche (Persico e Pozzi, 2013).

I processi d’innovazione in ambito scolastico, come in ogni altra organizzazione, incontrano sempre un certo grado di resistenza a prescindere dagli obiettivi e dalle forme della loro realizzazione, ma possono ugualmente elicitare reazioni positive (Piderit, 2000). Tra le variabili identificate come influenti nella reazione delle persone di fronte al cambiamento si contano ad esempio variabili personali come l’ottimismo, l’autocontrollo e l’autostima (Wanberg e Banas, 2000) e altre legate la contesto, come ad esempio il tipo di management organizzativo o le modalità di trasmissione delle informazioni relative al cambiamento (Oreg, 2006).

IL PROGETTO “DISTRETTI DIGITALI”

Il progetto dell’Università di Milano-Bicocca chiamato “Distretto Scolastico Digitale” ha coinvolto, tra gli altri, tre comuni situati nell’Area Metropolitana Milanese, (Rho, Pero e Carugate) e ha costituito la base per la ricerca pre-sentata qui di seguito. Questi tre comuni sono contraddi-stinti da una serie di caratteristiche sociali ed economiche omogenee: sono comuni con un reddito medio pro-capite medio-basso (circa il 33% in meno rispetto a quello di Mi-lano) e con percentuali di residenti stranieri piuttosto alte, compresa tra l’8% di Carugate ed il 15% di Rho (ISTAT 2016).

Gli istituti scolastici comprensivi presenti sul territorio sono 6 (uno a Pero, uno a Carugate e quattro a Rho) e sono frequentati da circa 6000 studenti e più di 800 docenti.

Nel 2013 il livello di competenze digitali presenti negli istituti scolastici e l’infrastruttura disponibile non erano in grado di rispondere alle crescenti esigenze di digitalizza-zione, sia per quanto riguardava gli aspetti amministrativi che per quelli didattici. Nessuno degli istituti comprensivi aveva una copertura Wi-Fi e le connessioni Internet di tipo fisso disponibili (principalmente ADSL) risultavano lente e insufficienti per rispondere alle necessità basilari. Per que-sto motivo le amministrazioni locali decisero di aderire al progetto denominato “Distretto Scolastico Digitale” e pro-mosso dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che si poneva come obiettivo quello di favorire lo sviluppo di distretti scolastici omogenei capaci di coinvolgere tutte le strutture del territorio in un processo d’innovazione tecno-logica e di gestione della governance. Il progetto prese av-vio nel 2014, con la definizione di un piano di rinnovamen-to infrastrutturale, sviluppandosi poi in una serie di azioni concrete. I partecipanti al progetto vennero selezionati e, quindi, accolti su base volontaria; in quanto l’obbligo da parte del MIUR di procedere alla digitalizzazione degli

dedicate, i test on-line, i quiz e le simulazioni sono usati ancora raramente durante le lezioni. Nonostante ciò, i docenti dimostrano una predisposizione positiva nei confronti delle ICT e mettono in luce un impatto positivo nell’apprendimento mediato dalle tecnologie.

La partecipazione a programmi di formazione sull’uso delle ICT è raramente obbligatoria. Appare il contrasto tra l’interesse degli insegnanti alla formazione e la concreta possibilità di usare le ICT: molti di loro le utilizzano in ambienti extra lavorativi e solo nel tempo libero. Gli studenti si dimostrano fiduciosi nell’uso delle ICT e le usano per attività collegate alla scuola sempre più nella maggior parte dei Paesi coinvolti nell’indagine.

L’impatto, in generale, sull’apprendimento è positivo, nonostante il basso accesso registrato in alcuni Paesi dell’Unione. L’uso dei media digitali è tanto correlato alle competenze degli insegnanti quanto all’esistenza delle tecnologie nelle scuole: ossia laddove sono presenti insegnanti esperti nell’uso, i ragazzi esprimono pareri favorevoli all’utilizzo delle ICT in classe. Alcuni, a questo riguardo, ritengono che alzando il livello di conoscenza e l’uso delle ICT a scuola, si potrebbe giungere a un maggiore professionalizzazione del corpo docente e un maggior coinvolgimento decisionale delle istituzioni politiche locali.

Nella survey si evidenzia come solo il 40% degli studenti dell’indagine ritenga i propri docenti preparati all’uso delle ICT e li valuti come “confident and supportive teacher” (ibidem). In Europa solo alcuni Paesi hanno formalizzato e accolto le indicazioni dell’Agenda Digitale: l’Italia, assieme a Croazia, Austria e Grecia, purtroppo non lo ha ancora fatto in maniera programmatica. In particolar modo si evidenzia un divario tra strumenti e presenza in aula di “supportive teachers” (ibidem).

Lo studio evidenzia il bisogno di accostarsi a una ‘sen-sibilità’ di matrice sociale e interdisciplinare, anche con-fidando nel supporto dell’esperienza pedagogica, per ana-lizzare in profondità i motivi che impediscono o limitano l’uso delle risorse tecnologiche in contesto scolastico.

Più nel dettaglio, per quanto riguarda la scuola italiana, la situazione è ancora embrionale; tale condizione è dettata da un lato dai ritardi nella formazione degli insegnanti, e dall’altro dalle scarse dotazioni informatiche, nonché dagli inadeguati investimenti in tecnologia digitale nella scuola (Avvisati et al., 2013) messi in campo negli anni passati. La formazione dovrebbe fornire ai docenti una padronanza a livello metodologico e tecnologico tale da far loro capire come la professionalità specifica risieda in misura rilevante nella capacità di selezionare, in base agli obiettivi prefissa-ti, le strategie e gli strumenti più efficaci sia tecnologici che di altra natura (Midoro, 2015).

Diversi autori (Walmsley, 2012) attribuiscono alle co-munità di pratica un ruolo cruciale nel motivare i docenti ad un uso migliore e più solido delle tecnologie didattiche. È importante che la cultura della condivisione si diffonda anche nella scuola, per ottimizzare il lavoro e creare comu-

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L’uso delle tecnologie

L’autovalutazione dei soggetti rispetto al proprio livel-lo di competenza informatica è tendenzialmente positiva, solo il 21% dei rispondenti si considera “appena sufficien-te” o “insufficiente”, mentre il 52% di essi valuta le proprie capacità come “discrete” e il 27% come “buone”. Il 90% usa regolarmente la posta elettronica a casa, e il 52% la usa a scuola. Internet viene usato a casa dal 92% dei rispon-denti e a scuola dal 71%. Le funzioni più utilizzate tra gli utenti di Internet sono: ricerche a uso scolastico (94,5%); ricerche per uso personale (90,2%); formazione personale (81,2%); progetti didattici (80,2%). L’84% dei rispondenti usa WhatsApp o un altro programma di Instant Messaging e il 51% ha un profilo su un Social Network come Face-book.

In aula, i docenti affermano di usare la tecnologia “spes-so” (40%) e “a volte” (36%), in percentuale minore riten-gono di usarla “sempre” (11%), “raramente” (8%) e “mai” (5%). Gli strumenti più utilizzati sono la LIM (77%), i sof-tware per creare presentazioni e i mobile device (entrambi 42%), i CD Rom allegati ai testi (36%) e i software per la redazione dei testi (32%). Solo il 25% dei rispondenti non ha partecipato ad alcun corso di formazione sull’introdu-zione delle ICT a scuola negli ultimi 2 anni.

Nel complesso è possibile affermare che si tratti di un campione non esperto ma certamente alfabetizzato a livello informatico, che ha, nella maggior parte dei casi, integrato le tecnologie nella propria quotidianità, fuori dal lavoro, ma anche a scuola.

Ambiente di lavoro e attitudine al cambiamento

Utilizzando una selezione di item della ASSET scale (Cartwright e Cooper, 2002) è stato valutato il livello di stress nell’ambiente di lavoro. Quattro fattori di stress presi in considerazione organizzano gli item nelle seguenti sottoscale:- Work - Life balance;- Relazioni sul lavoro;- Pressione lavorativa;- Fedeltà al lavoro.

Le affermazioni sono state valutate attraverso una scala Likert che va da 1 (per nulla d’accordo) a 5 (molto d’ac-cordo).

Complessivamente (Tabella 1) si delinea un campione soddisfatto rispetto alla relazione con i colleghi ed emo-tivamente legato al proprio lavoro. Meno positive sono le valutazioni dell’impegno richiesto, sia a livello di tempo sia di pressione: si evidenzia soprattutto una scarsa sod-disfazione rispetto al monte ore e al limitato controllo del proprio lavoro. L’impatto della tecnologia nello svolgi-mento delle proprie mansioni è valutato in modo modera-tamente negativo.

istituti si manifestò solo più tardi nel 2016.Il progetto prevedeva la completa digitalizzazione di

tutte le infrastrutture scolastiche; la pianificazione di un esteso percorso di formazione per l’intero corpo docente e la promozione di nuovi modelli di governance, attraverso il coinvolgimento di tutti gli stakeholders (docenti, ammi-nistratori scolastici, genitori, amministrazione locale, part-ner metodologici, didattici e tecnologici) nelle successive fasi di pianificazione degli interventi e delle iniziative di disseminazione. L’introduzione di modelli di governance condivisa, strategia scelta per poter consolidare il senso di comunità tra gli attori coinvolti (Healey, 2010), ha richie-sto necessariamente l’attuazione di un percorso di capacity building, ovvero di rinforzo delle capacità di realizzazio-ne di funzioni chiave, soluzione di problemi, definizione e raggiungimento di obiettivi e comprensione delle neces-sità di sviluppo (Milèn, 2001). Il modello di gestione del progetto si è quindi basato sulla creazione di comunità di pratica, meglio definite come gruppi di persone che con-dividono interessi o passioni e che attraverso interazioni ripetute aumentano le loro abilità. I membri di una comuni-tà di pratica sviluppano un repertorio di risorse condivise: esperienze, storie, strumenti, modalità di risoluzione dei problemi (Wenger, 2011).

LA RICERCA

Strumenti e raccolta datiI questionari analizzati in questo articolo sono stati rac-

colti in una fase intermedia del percorso formativo intra-preso dagli insegnanti dei comuni di Rho, Pero e Carugate, ovvero in un contesto già fortemente stimolato da inter-venti di innovazione digitale e nel mezzo di un processo di cambiamento profondo, non completamente assimilato.

Il questionario, somministrato in modalità carta e matita e compilato su base volontaria e anonima, è composto da domande a risposta chiusa volte ad analizzare i seguenti punti:1) il livello di diffusione delle ICT tra i docenti;2) il livello di stress sul posto di lavoro;3) l’atteggiamento dei docenti nei confronti dei progetti di

innovazione digitale a scuola;4) la relazione tra queste tre variabili.

Campione

Il campione è costituito da 420 insegnanti di cui il 6% della scuola dell’infanzia, 61% della primaria, 32% secon-daria di primo grado e l’1% della secondaria di secondo grado; in prevalenza donne (89% dei rispondenti) di età media piuttosto elevata. Solo il 25% dei rispondenti ha, in-fatti, meno di 40 anni, mentre il rimanente 75% si attesta tra i 41 e i 66 anni. Gli intervistati possiedono un diploma nel 48,5% e una laurea nel 51,5% dei casi, e insegnano una materia dell’area umanistica nel 63% e scientifica nel 37% dei casi.

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questo cambiamento mi permetterà di lavorare meglio) e negativo (es: non mi piace questo progetto di innovazio-ne). In generale (Tabella 2) i docenti sembrano manifestare un’attitudine positiva relativamente all’implementazione di progetti di innovazione digitale nel proprio istituto. Il cambiamento viene visto come stimolante e la disponibi-lità all’impegno dichiarata è alta. Permane comunque un discreto livello di incertezza rispetto agli esiti di un cam-biamento come quello descritto.

Tabella 1: Valori medi e deviazione standard agli item della ASSET scale

Media DS

Work - Life balance

Spesso devo lavorare in orari difficilmente conciliabili con la mia vita sociale (nel fine-settimana, la sera tardi…) 3,4 2,1

La tecnologia ha reso il mio lavoro ancora più impegnativo 3,2 1,9

Il mio lavoro interferisce con la mia vita personale 3,1 1,9

Lavoro spesso molte più ore di quante vorrei 4,1 2,0

Relazioni sul lavoro

Al lavoro mi sento isolato 1,8 1,4

Non ho buone relazioni con i miei colleghi 1,6 1,3

Al lavoro le mie idee e i miei suggerimenti non sono presi in considerazione 2,3 1,6

Il mio lavoro è noioso e ripetitivo 1,5 1,1

Nel lavoro non ricevo dalla dirigenza e dai colleghi il supporto che vorrei 2,7 1,7

Pressione lavorativa

Non ho abbastanza tempo per fare il mio lavoro bene come vorrei 3,2 1,9

La formazione che ricevo non è adeguata alle richieste del mio lavoro 2,9 1,7

Non ho le risorse ed i materiali necessari per poter svolgere al meglio il mio lavoro 2,6 1,7

Ho scarso controllo su molti aspetti del mio lavoro 4,5 2,2

Fedeltà al posto di lavoro

Questa scuola merita tutto il mio interesse e la mia dedizione 4,7 1,7

La mancanza di occasioni di lavoro migliori è una delle ragioni principali per cui rimango nella scuola 1,6 1,3

Non lascerei il lavoro in questa scuola perché sento di avere una responsabilità nei confronti di colleghi e studenti 4,4 2,0

Mi sento emotivamente legato alla scuola in cui lavoro 2,6 1,6

Anche se in parte vorrei, per me è molto duro pensare di lasciare il mio lavoro in questa scuola 3,2 2,1

La valutazione dell’attitudine al cambiamento specifico è stata misurata attraverso una scala ampiamente validata “Attitude toward change” (Dunham et al., 1989), preceduta da un scenario redatto ad hoc (Klecker e Loadman, 1999) che descriveva l’implementazione di un’innovazione digi-tale in contesto scolastico.

Gli items valutavano su una scala Likert da 1 a 5 il grado di accordo con una serie di affermazioni che rappresenta-vano il cambiamento in modo positivo (es: probabilmente

Tabella 2: Valori medi e deviazione standard della scala Attitude toward change

Media DS

Attitudine positiva

Sono contento alla prospettiva di questo cambiamento 4,2 1,8

La maggior parte dei miei colleghi trarrà beneficio da questa innovazione 3,8 1,7

Penso che i cambiamenti legati a questa innovazione saranno stimolanti 4,6 1,7

Probabilmente sarò in grado di suggerire ai colleghi nuovi approcci da adottare 3,6 1,7

Probabilmente questo cambiamento mi permetterà di lavorare meglio 4,4 1,7

Sono disposto a fare tutto quello che posso per supportare questo processo di cambiamento 4,7 1,6

Credo che questa innovazione possa contribuire a migliorare situazioni lavorative insoddisfacenti 3,8 1,7

Attitudine negativa

Farò fatica ad accettare le novità 2,8 1,7

Non mi piace questo progetto di innovazione 2,4 1,7

Penso che i cambiamenti legati a questa innovazione saranno frustranti 2,5 1,7

La maggior parte delle volte i cambiamenti al lavoro sono irritanti 2,7 1,6

Credo che esiterò a mettere in pratica le nuove idee legate a questa innovazione 2,5 1,6

Temo che questo cambiamento possa creare più problemi di quanti non ne risolva 2,9 1,6

Temo che questo cambiamento possa crearmi dei problemi 2,6 1,6

È difficile prevedere se questo cambiamento avrà un esito positivo 3,8 1,7

Vengono quindi create le sotto-scale “Attitudine positiva” formata da 7 items (Crombach’s Alpha = ,859), e “Attitudine negativa” formata da 8 items (Chrombach alpha = ,830).

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per le funzioni più basiche, sia nel privato che a scuola (anche grazie alle fasi iniziali del progetto che sono state già implementate). Si tratta di soggetti già alfabetizzati, che ritengono di avere un discreto livello di padronanza rispetto alle risorse digitali.

Messi di fronte all’ipotesi di un progetto di innovazione volto a introdurre le tecnologie digitali a scuola, i docenti manifestano un atteggiamento prevalentemente possibili-sta, aperto e positivo. Valori più bassi, comunque signifi-cativi, vengono rilevati in relazione alla resistenza al cam-biamento.

Le variabili che correlano con un atteggiamento positivo al cambiamento sono varie. La più importante è quella re-lativa alla fedeltà al posto di lavoro: più è forte il legame emotivo con la propria scuola, più è positiva la valutazio-ne dell’impatto del cambiamento proposto. Stesso trend si registra per l’autovalutazione del livello di conoscenza delle ICT: una maggiore sicurezza nelle proprie capacità si accompagna a una valutazione più positiva del progetto di innovazione descritto. Infine, ma in modo non meno mar-cato, si rileva una correlazione negativa con l’età: i docenti più giovani sono anche quelli che esprimono valutazioni più positive.

Per quanto riguarda invece l’atteggiamento negativo al cambiamento, la variabile che correla maggiormente è l’autovalutazione del livello di conoscenza delle ICT: una valutazione negativa delle proprie risorse e capacità è le-gata a un atteggiamento negativo rispetto agli esiti del pro-getto di innovazione descritto. Il secondo fattore è invece la valutazione del work/life balance: chi percepisce il pro-prio lavoro come particolarmente invasivo e in contrasto con la vita privata manifesta anche un atteggiamento più negativo rispetto alla possibilità di un cambiamento digita-le. Correlazioni meno accentuate si registrano, infine, con l’età (specularmente rispetto a quanto già visto, al crescere dell’età cresce l’atteggiamento negativo) e con la percezio-ne di relazioni lavorative insoddisfacenti e non supportive

Le correlazioni

Le analisi hanno quindi cercato di evidenziare quali sia-no le variabili correlate alla propensione al cambiamento, sia per quanto riguarda l’attitudine positiva che quella ne-gativa. Rispetto ai dati socio-anagrafici rilevati, solo l’età mostra una correlazione, moderata, e praticamente specu-lare, con le due scale del cambiamento. Si osserva infatti una correlazione negativa (Kendall’s tau b = -,167; sig > ,000) con l’attitudine positiva, e una correlazione positiva con l’attitudine negativa al cambiamento. Il genere, il titolo di studio, il grado scolastico di insegnamento e la materia non mostrano invece alcuna correlazione (Tabella 3).

Viene quindi calcolata la correlazione di queste scale l’auto-valutazione del livello di competenza informatica dei docenti e con le scale relative alla percezione dell’am-biente di lavoro (Tabella 4).

Delle cinque scale prese in esame, solo due correlano con l’attitudine positiva a un’innovazione digitale in contesto scolastico. Si tratta di correlazioni forti, sia per la fedeltà, dedizione alla scuola (Kendall’s tau b = ,363; sig >,000) sia per l’autovalutazione delle proprie capacità informatiche (Kendall’s tau b = ,217; sig > ,000), mentre nessuna corre-lazione significativa emerge con le altre variabili in esame.

Per quanto riguarda invece l’attitudine negativa all’in-novazione, la correlazione più rilevante è proprio con l’au-tovalutazione delle capacità informatiche (Kendall’s tau b = -0,319; sig > ,000), (a una peggiore autovalutazione cor-risponde maggiore ostilità al cambiamento), seguita dalla valutazione dell’impatto del lavoro sulla vita personale (Kendall’s tau b = ,245; sig > ,000), e, ma ad un livello molto più leggero, dalla valutazione del livello di stress la-vorativo (Kendall’s tau b = ,107; sig > ,000).

DISCUSSIONE

La diffusione delle ICT tra i docenti è alta, soprattutto

Tabella 3: Dati socio-anagrafici e atteggiamento verso il cambiamento

Età Sesso Titolo di studio Grado scolastico di insegnamento Materia

Tau b Sig. χ2 Sig Tau b Sig Tau b Sig. Tau b Sig.

Att. Pos. -,167 ,000 Not sig. Not sig. Not sig Not sig.

Att. Neg. ,168 ,000 Not sig Not sig. Not sig. Not sig.

Tabella 4: autovalutazione competenza ICT, ASSET scale e atteggiamento verso il cambiamento

Autovalutazione ICT Fattore relazioni lavoro Fattore work/life balance Fattore fedeltà lavoro Fattore stress lavoro

Tau b Sig. Tau b Sig. Tau b Sig. Tau b Sig. Tau b Sig.

Att. Pos. 0,217 ,000 Not sig. Not sig. 0,363 ,000 Not sig.

Att. Neg. -0,319 ,000 0,156 ,000 0,245 0 Not sig. 0,107 0,012

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | SCIENZE POLITICHE E SOCIALI

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(maggiore è la percezione, maggiore è l’atteggiamento ne-gativo al cambiamento).

CONCLUSIONI

Numerosi studi hanno mostrato come l’esito di processi di innovazione sia legato a una complessa interazione tra fattori sociali e individuali. Nell’ambito delle istituzioni educative, oltre alle indagini sull’impatto di diversi stili di gestione da parte delle dirigenze scolastiche (Evans, 1996; Lambert, 2003), sempre più spesso si guarda alle interazioni tra pari come momento fondamentale di elaborazione tesa all’innovazione. Per esempio nella sua analisi Bridwell-Mitchell (2015) focalizza l’attenzione sulla comunità degli insegnanti, concettualizzata come un gruppo di pari in cui, a diversi elementi di esplorazione (innovazione vs socializzazione, coesione vs diversità, convergenza vs divergenza normativa e cognitiva tra i partecipanti) corrispondono gradi di interesse differenti nei confronti dell’innovazione istituzionale.

Il campione preso in esame in questa ricerca presentava comportamenti ambivalenti: si alternavano atteggiamenti entusiastici a diffidenza e preoccupazione. Tale situazione di base risulta perfettamente in linea con i risultati delle ricerche precedentemente prese in considerazione.

Le analisi hanno permesso di evidenziare il differente impatto dei fattori sociali e individuali sulla propensione positiva e sulla resistenza al cambiamento.

Tra i fattori individuali, nello specifico, si nota l’impatto positivo della competenza percepita, sottolineando l’importanza della formazione dei soggetti e andando incontro a tutte le teorie che sostengono il valore della competenza individuale come critica nella motivazione alla riuscita (Abrami, Poulsen e Chambers, 2004). Per quanto riguarda i fattori sociali, si evidenzia un pattern più complesso di processi interdipendenti (Ghun, 2009): se da un lato il legame affettivo rispetto al proprio lavoro gioca un ruolo importante nella motivazione al cambiamento, la percezione di un carico di lavoro eccessivo e di relazioni insoddisfacenti con i colleghi, e soprattutto con i superiori, aumenta la diffidenza e la negatività. Il progetto all’interno del quale la ricerca si è svolta, era incentrato sull’idea della creazione di una comunità estesa sia all’interno dell’organizzazione scolastica che sul territorio, scontratasi nella pratica con i fattori che sono stati messi in luce dalle analisi riportate.

Le azioni di supporto ai processi d’innovazione devo-no quindi prevedere una serie di operazioni di rinforzo in parallelo per permettere di intervenire a tutti i livelli: raf-forzando la rete sociale e agendo sui valori vissuti a livello comunità; e stimolando un grado di attaccamento che vada oltre a quello sottostante la semplice comunità di pratica.

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SCIENZE POLITICHE E SOCIALI | SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | COMITATO SCIENTIFICO

Giacomo Mauro D’Ariano (Università degli Studi di Pavia)

Alessandra De Lorenzi (Università Ca’ Foscari Venezia)Carlo del Papa (Università degli Studi di Udine)Andrea Ferrara (Scuola Normale Superiore)Roberto Fieschi (Università degli Studi di Parma)Andrea Frova (Sapienza Università di Roma)Alessandro Gabrielli (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)Maurizio Iori (Sapienza Università di Roma)Gaetano Lanzalone (Università degli Studi di Enna Kore)Luca Malagoli (Istituto A. Volta di Sassuolo)Lino Miramonti (Università degli Studi di Milano)Annamaria Muoio (Università degli Studi di Messina)Alessandro Pascolini (Università degli Studi di Padova)Luigi Pilo (Università degli Studi dell’Aquila)Nicola Umberto Piovella (Università degli Studi di

Milano)Franco Taggi (Istituto Superiore di Sanità)

Area 03. Scienze chimicheVincenzo Barone (Scuola Normale Superiore)Ignazio Blanco (Università degli Studi di Catania)Vincenzo Brandolini (Università degli Studi di Ferrara)Irene Dini (Università degli Studi di Napoli Federico II)Francesca Caterina Izzo (Università Ca’ Foscari Venezia)Marcello Locatelli (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Savino Longo (Università di Bari)Salvatore Lorusso (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Placido Mineo (Università degli Studi di Catania)Neri Niccolai (Università degli Studi di Siena)Stefano Protti (Università degli Studi di Pavia)Andrea Pucci (Università di Pisa)Carmela Saturnino (Università degli Studi della Basilicata)

AMBITO A - SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE,

CHIMICHE E DELLA TERRA

Area 01. Scienze matematiche e informaticheElena Agliari (Sapienza Università di Roma)Stefano Bistarelli (Università degli Studi di Perugia)Andrea Bonfiglioli (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Lorenzo Carlucci (Sapienza Università di Roma)Umberto Cerruti (Università degli Studi di Torino)Luca Di Persio (Università degli Studi di Verona)Alberto Facchini (Università degli Studi di Padova)Luca Granieri (Università degli Studi di Napoli Federico

II)Paola Magnaghi-Delfino (Politecnico di Milano)Paolo Maria Mariano (Università degli Studi di Firenze)Vito Napolitano (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Linda Pagli (Università di Pisa)Mario Pavone (Università degli Studi di Catania)Giorgio Riccardi (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Gloria Rinaldi (Università degli Studi di Modena e

Reggio Emilia)Brunello Tirozzi (Sapienza Università di Roma)Pietro Ursino (Università degli Studi dell’Insubria)Guido Zaccarelli (Università degli Studi di Modena e

Reggio Emilia)

Area 02. Scienze fisicheFabrizio Arciprete (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Franco Bagnoli (Università degli Studi di Firenze)Adriano Barra (Sapienza Università di Roma)Alessio Bosio (Università degli Studi di Parma)Maria Grazia Bridelli (Università degli Studi di Parma)

Comitato scientifico

N. 55 (GENNAIO-FEBBRAIO 2018)

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COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018

Pietro Tagliatesta (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)

Vincenzo Villani (Università degli Studi della Basilicata)

Area 04. Scienze della TerraVincenzo Artale (Enea)Giovanni Bruno (Politecnico di Bari)Claudio Cassardo (Università degli Studi di Torino)Michele Lustrino (Sapienza Università di Roma)Enrico Miccadei (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Silvia Peppoloni (istituto Nazionale di Geofisica e

Vulcanologia)Laura Pinarelli (Consiglio Nazionale delle Ricerche)Adriano Ribolini (Università di Pisa)Giovanni Santarato (Università degli Studi di Ferrara)Michele Saroli (Università degli Studi di Cassino e del

Lazio Meridionale)

AMBITO B - SCIENZE DELLA VITA E DELLA SALUTE

Area 05. Scienze biologicheSilvia Arossa (Università Politecnica delle Marche)Giuseppe Barbiero (Università della Valle d’Aosta)Mario Bortolozzi (Università degli Studi di Padova)Maurizio Francesco Brivio (Università degli Studi

dell’Insubria)Stefania Bulotta (Università degli Studi Magna Græcia di

Catanzaro)Antonella Carsana (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Bruno Cicolani (Università degli Studi dell’Aquila)Renata Cozzi (Università degli Studi Roma Tre)Pierangelo Crucitti (Società Romana di Scienze Naturali)Roberta Di Pietro (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Guglielmina Froldi (Università degli Studi di Padova)Erminio Giavini (Università degli Studi di Milano)Gianni Guidetti (Università degli Studi di Pavia)Caterina La Porta (Università degli Studi di Milano)Fabrizio Loreni (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Stefania Marzocco (Università degli Studi di Salerno)Fabrizio Mattei (Istituto Superiore di Sanità)Elisabetta Meacci (Università degli Studi di Firenze)Salvatore Nesci (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Mario Pestarino (Università degli Studi di Genova)Giovanni Fulvio Russo (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Roberto Sandulli (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Valeria Specchia (Università del Salento)Renata Viscuso (Università degli Studi di Catania)Nicola Zambrano (Università degli Studi di Napoli

Federico II)

Area 06. Scienze medicheAmedeo Amedei (Università degli Studi di Firenze)Adriano Angelucci (Università degli Studi dell’Aquila)Nicola Avenia (Università degli Studi di Perugia)Cesario Bellantuono (Università Politecnica delle Marche)Antonio Brunetti (Università degli Studi Magna Græcia di

Catanzaro)Marco Cambiaghi (Università degli Studi di Torino)Marco Carotenuto (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Angelo Cazzadori (Università degli Studi di Verona)Maria Esposito (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Paolo Francesco Fabene (Università degli Studi di

Verona)Davide Festi (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Lucio Achille Gaspari (Università degli Studi di Roma

Tor Vergata)Maurizio Giuliani (Università degli Studi dell’Aquila)Roberta Granese (Università degli Studi di Messina)Paolo Gritti (Università degli Studi della Campania Luigi

Vanvitelli)Ciro Isidoro (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Antonio Simone Laganà (Università degli Studi di

Messina)Angelo Lavano (Università degli Studi Magna Græcia di

Catanzaro)Filomena Mazzeo (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Massimo Miniati (Università degli Studi di Firenze)Letteria Minutoli (Università degli Studi di Messina)Luigi Muratori (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Francesco Orzi (Sapienza Università di Roma)Letizia Polito (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Edoardo Raposio (Università degli Studi di Parma)Giuseppina Rizzo (Università degli Studi di Messina)Elisabetta Rovida (Università degli Studi di Firenze)Davide Schiffer (Università degli Studi di Torino)Tullio Scrimali (Università degli Studi di Catania)Leandra Silvestro (Università degli Studi di Torino)Bartolomeo Valentino (Università degli Studi della

Campania Luigi Vanvitelli)Marco Zaffanello (Università degli Studi di Verona)

Area 07. Scienze agrarie e veterinarieSergio Angeli (Libera Università di Bolzano)Monica Colitti (Università degli Studi di Udine)Francesco Contò (Università degli Studi di Foggia)Edo D’Agaro (Università degli Studi di Udine)Tullia Gallina Toschi (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | COMITATO SCIENTIFICO

Alessandra Mazzeo (Università degli Studi del Molise)Gianfranco Militerno (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)Giuseppe Morello (Università degli Studi di Palermo)Alessandra Pelagalli (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Patrizia Serratore (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Dominga Soglia (Università degli Studi di Torino)Francesco Sottile (Università degli Studi di Palermo)Antonio Stasi (Università degli Studi di Foggia)Francesco Vizzarri (Università degli Studi del Molise)Aldo Zechini D’Aulerio (Alma Mater Studiorum

Università di Bologna)

AMBITO C - SCIENZE DELL’INGEGNERIA E

DELL’ARCHITETTURA

Area 08. Ingegneria civile e ArchitetturaFilippo Angelucci (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Michele Betti (Università degli Studi di Firenze)Alberto Bologna (Politecnico di Torino Università degli

Studi di Genova)Francesco Saverio Capaldo (Università degli Studi di

Napoli Federico II)Alessandra Carlini (Università degli Studi Roma Tre)Orazio Carpenzano (Sapienza Università di Roma)Arnaldo Cecchini (Università degli Studi di Sassari)Carlo Coppola (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Alessandra Cucurnia (Università degli Studi di Firenze)Sebastiano D’Urso (Università degli Studi di Catania)Elena Dellapiana (Politecnico di Torino)Caterina Cristina Fiorentino (Università degli Studi della

Campania Luigi Vanvitelli)Antonio Formisano (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Giada Gasparini (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Francesca Giglio (Università Mediterranea di Reggio

Calabria)Francesca Giofrè (Sapienza Università di Roma)Anna Granà (Università degli Studi di Palermo)Angela Giovanna Leuzzi (Università degli Studi di

Camerino)Angelo Luongo (Università degli Studi dell’Aquila)Michele Mossa (Politecnico di Bari)Maurizio Oddo (Università degli Studi di Enna Kore)Ivana Passamani (Università degli Studi di Brescia)Giovanni Perillo (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Lucia Pietroni (Università degli Studi di Camerino)Bernardino Romano (Università degli Studi dell’Aquila)Cesare Renzo Romeo (Politecnico di Torino)Giovanni Santi (Università di Pisa)

Vincenzo Sapienza (Università degli Studi di Catania)Michelangelo Savino (Università degli Studi di Padova)Massimiliano Savorra (Università degli Studi del Molise)Maria Grazia Turco (Sapienza Università di Roma)Antonella Violano (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)

Area 09. Ingegneria industriale e dell’informazioneSergio Baragetti (Università degli Studi di Bergamo)Salvatore Brischetto (Politecnico di Torino)Eugenio Brusa (Politecnico di Torino)Federico Cheli (Politecnico di Milano)Gianpiero Colangelo (Università del Salento)Giorgio De Pasquale (Politecnico di Torino)Sergio Della Valle (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Alberto Gallifuoco (Università degli Studi dell’Aquila)Giancarlo Genta (Politecnico di Torino)Alessio Giorgetti (Scuola Superiore Sant’Anna di Studi

Universitari e di Perfezionamento)Giada Giorgi (Università degli Studi di Padova)Agostino Giorgio (Politecnico di Bari)Massimo Guarnieri (Università degli Studi di Padova)Giuliana Guazzaroni (Università Politecnica delle

Marche)Francesco Iacoviello (Università degli Studi di Cassino e

del Lazio Meridionale)Luigi Landini (Università di Pisa)Francesco Lattarulo (Politecnico di Bari)Basilio Lenzo (Sheffield Hallam University - UK)Vinicio Magi (Università degli Studi della Basilicata)Carlo MannaSalvo Marcuccio (Università di Pisa)Raffaele Marotta (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Emilio Matricciani (Politecnico di Milano)Luciano Mescia (Politecnico di Bari)Dino Musmarra (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Anna Gina Perri (Politecnico di Bari)Carlo Eugenio Rottenbacher (Università degli Studi di

Pavia)Carlo Santulli (Università degli Studi di Camerino)Gaetano Valenza (Università di Pisa)Silvano Vergura (Politecnico di Bari)Gabriele Virzì Mariotti (Università degli Studi di

Palermo)Antonio Zuorro (Sapienza Università di Roma)

AMBITO D - SCIENZE DELL’UOMO, FILOSOFICHE,

STORICHE, LETTERARIE E DELLA FORMAZIONE

Area 10. Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artisticheEnrico Acquaro (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)

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Emanuela Andreoni Fontecedro (Università degli Studi Roma Tre)

Donella Antelmi (IULM - Libera Università di Lingue e Comunicazione)

Angelo Ariemma (Sapienza Università di Roma)Carlo Beltrame (Università Ca’ Foscari Venezia)Antonella Benucci (Università per Stranieri di Siena)Alessandra Calanchi (Università degli Studi di Urbino

Carlo Bo)Gian Paolo Caprettini (Università degli Studi di Torino)Alberto Carli (Università degli Studi del Molise)Giovanna Carloni (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)Ornella Castiglione (Università degli Studi di Milano

Bicocca)Maria Catricalà (Università degli Studi Roma Tre)Fulvia Ciliberto (Università degli Studi del Molise)Carla Comellini (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Massimiliano David (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)Cosimo De Giovanni (Università degli Studi di Cagliari)Roberto De Romanis (Università degli Studi di Perugia)Pierangela Diadori (Università per Stranieri di Siena)Emanuele Ferrari (Università degli Studi di Milano

Bicocca)Francesca Ghedini (Università degli Studi di Padova)Antonio Lucio Giannone (Università del Salento)Mirko Grimaldi (Università del Salento)Maria Teresa Guaitoli (Alma Mater Studiorum Università

di Bologna)Rosa Lombardi (Università degli Studi Roma Tre)Anna Manna (Sapienza Università di Roma)Paola Martinuzzi (Università Ca’ Foscari Venezia)Maria Grazia MeriggiTrinis Antonietta Messina Fajardo (Università degli Studi

di Enna Kore)Anna Lucia Natale (Sapienza Università di Roma)Paolo Nitti (Università degli Studi di Torino)Gianni Nuti (Università della Valle d’Aosta)Gaetano Oliva (Università Cattolica del Sacro Cuore)Alessio Persic (Università Cattolica del Sacro Cuore)Marco Perugini (Università degli Studi Guglielmo

Marconi)Paola Radici Colace (Università degli Studi di Messina)Vincenza RosielloDomenico Russo (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Mariagrazia Russo (Università degli Studi della Tuscia)Mariarosa Santiloni (Fondazione Ippolito e Stanislao

Nievo)Matteo Santipolo (Università degli Studi di Padova)Sonia Saporiti (Università degli Studi del Molise)Raimondo Secci (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Matteo Segafreddo (Università Ca’ Foscari Venezia)Giuseppe Solaro (Università degli Studi di Foggia)

Silvia Stucchi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)

Alessandro Teatini (Università degli Studi di Sassari)Immacolata Tempesta (Università del Salento)Paolo Torresan (Università Ca’ Foscari Venezia)Patrizia Torricelli (Università degli Studi di Messina)Maria Grazia Tosto (Conservatorio di Musica Statale

Fausto Torrefranca)Guido Vannini (Università degli Studi di Firenze)Gabriella Vanotti (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Emiliano Ventura Maria Teresa Zanola (Università Cattolica del Sacro

Cuore)

Area 11. Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologicheMario Alai (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)Giovanni Arduini (Università degli Studi di Cassino e del

Lazio Meridionale)Antonio Ascione (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Barbara Barcaccia (Sapienza Università di Roma e

Associazione di Psicologia Cognitiva-Scuola di Psicoterapia Cognitiva srl APC-SPC)

Marta Bertolaso (Università Campus Bio-Medico di Roma)

Sergio BonettiLeonardo Caffo (Università degli Studi di Torino)Andrea Candela (Università degli Studi dell’Insubria)Anna Rosa Candura (Università degli Studi di Pavia)Paolo Carusi (Università degli Studi Roma Tre)Luciano Celi (Università degli Studi di Trento - CNR)Rosa Cera (Università degli Studi di Foggia)Margherita Ciervo (Università degli Studi di Foggia)Stefano Colloca (Università degli Studi di Pavia)Rosa Conte (Università di Macerata)Vincenzo CrosioGiuseppe Curcio (Università degli Studi dell’Aquila)Francesca Cuzzocrea (Università degli Studi di Messina)Marco D’Addario (Università degli Studi di Milano

Bicocca)Maria D’Ambrosio (Università degli Studi Suor Orsola

Benincasa)Chiara d’Auria (Università degli Studi di Salerno)Fabrizio Dal Passo (Sapienza Università di Roma)Paola Dal Toso (Università degli Studi di Verona)Daria De Donno (Università del Salento)Renata De Lorenzo (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Barbara De Serio (Università degli Studi di Foggia)Mirko Di Bernardo (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Elena Getana Faraci (Università degli Studi di Catania)Isabella Gagliardi (Università degli Studi di Firenze)Uberta Ganucci Cancellieri (Università per Stranieri

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SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018 | COMITATO SCIENTIFICO

Dante Alighieri di Reggio Calabria)Maria Amata Garito (UTIU - Università Telematica

Internazionale Uninettuno)Lia Giancristofaro (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Enrico Giora (Università Vita-Salute San Raffaele)Antonio Godino (Università del Salento)Massimiliano Gollin (Università degli Studi di Torino)Paola Gremigni (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Domenico Ienna (Sapienza Università di Roma)Alessandra Cecilia Jacomuzzi (Università Ca’ Foscari

Venezia)Caterina Lombardo (Sapienza Università di Roma)Paola Magnano (Università degli Studi di Enna Kore)Pasqualino Maietta Latessa (Alma Mater Studiorum

Università di Bologna)Gianna Marrone (Università degli Studi Roma Tre)Stefano Maso (Università Ca’ Foscari Venezia)Stefania Giulia Mazzone (Università degli Studi di

Catania)Paolo Molinari (Università Cattolica del Sacro Cuore)Leone Montagnini (Biblioteche di Roma)Federica Monteleone (Università degli Studi di Bari Aldo

Moro)Giovanni Moretti (Università degli Studi Roma Tre)Laura Moschini (Università degli Studi Roma Tre)Giuseppe Motta (Sapienza Università di Roma)Antonella Nuzzaci (Università degli Studi dell’Aquila)Susanna Pallini (Università degli Studi Roma Tre)Claudio Palumbo (Università degli Studi di Parma)Rossano Pazzagli (Università degli Studi del Molise)Luciana Petracca (Università del Salento)Irene Petruccelli (Università degli Studi di Enna Kore)Olimpia Pino (Università degli Studi di Parma)Emanuele Poli (Università degli Studi di Pavia)Francesco Randazzo (Università degli Studi di Perugia)Luca Refrigeri (Università degli Studi del Molise)Orsola Rignani (Università degli Studi di Firenze)Franco Riva (Università Cattolica del Sacro Cuore)Milena Sabato (Università del Salento)Leonardo Sacco (Sapienza Università di Roma)Stefano Salmeri (Università degli Studi di Enna Kore)Flavia Santoianni (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Marco Santoro (Università degli Studi Suor Orsola

Benincasa)Paolo Scarpi (Università degli Studi di Padova)Antonio Scornajenghi (Università degli Studi Roma Tre)Vincenzo Paolo Senese (Università degli Studi della

Campania Luigi Vanvitelli)Fabrizio Manuel Sirignano (Università degli Studi Suor

Orsola Benincasa)Stefano Soriani (Università Ca’ Foscari Venezia)Domenico Tafuri (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)

Anna Toscano (Campus Numérique Arménien - UCLy, Lyon)

Gabriella Valera (Università degli Studi di Trieste)Angelo Ventrone (Università di Macerata)Renato Vignati (Università di Macerata)

AMBITO E - SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE E

SOCIALI

Area 12. Scienze giuridicheGaetano Armao (Università degli Studi di Palermo)Elena Bellisario (Università degli Studi Roma Tre)Angela Busacca (Università Mediterranea di Reggio

Calabria)Catalisano Giovanni (Università degli Studi di Palermo)Antonietta Chiantia (Università degli Studi di Messina)Daniele Coduti (Università degli Studi di Foggia)Angela Cossiri (Università di Macerata)Maria Raquel de Almeida Graça Silva Guimarães

(Universidade do Porto - Portugal)Giovanni Di Cosimo (Università di Macerata)Chiara Fontana (Università degli Studi di Napoli Federico II)Lorenzo Gagliardi (Università degli Studi di Milano)Giancarlo Guarino (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Rolandino Guidotti (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Inés Celia Iglesias Canle (Universidad de Vigo - España)Agostina Latino (Università degli Studi di Camerino)Antonio Maria Leozappa (Università degli Studi Niccolò

Cusano)Massimiliano Mancini (Sapienza Università di Roma)Simone Mezzacapo (Università degli Studi di Perugia)Silvia Nicodemo (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Marco Gaetano Pulvirenti (Università degli Studi di

Catania)Biancamaria Raganelli (Università degli Studi di Roma

Tor Vergata)Carlo Rasia (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Francesco Rende (Università degli Studi di Messina)Gennaro Rotondo (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Gianpaolo Maria Ruotolo (Università degli Studi di di

Foggia - King’s College London)Fabrizia Santini (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Lorenzo Scillitani (Università degli Studi del Molise)Domenico Siclari (Università per Stranieri Dante

Alighieri di Reggio Calabria)Giuseppe Spoto (Università degli Studi Roma Tre)Nicola Triggiani (Università degli Studi di Bari Aldo

Moro)Anna Lucia Valvo (Università degli Studi di Enna Kore)

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COMITATO SCIENTIFICO | SCIENZE E RICERCHE • N. 55 • GENNAIO FEBBRAIO 2018

Maria Rosaria Viviano (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli)

Area 13. Scienze economiche e statisticheRossella Agliardi (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Vincenzo Asero (Università degli Studi di Catania)Antonio Attalienti (Università degli Studi di Bari Aldo

Moro)Giuliana Birindelli (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Domenico Bodega (Università Cattolica del Sacro Cuore)Sabrina Bonomi (Università degli Studi eCampus)Antonio Botti (Università degli Studi di Salerno)Luigi Bottone (Università Carlo Cattaneo - LIUC)Rossella Canestrino (Università degli Studi di Napoli

Parthenope)Antonio Capaldo (Università Cattolica del Sacro Cuore)Antonella Cappiello (Università di Pisa)Laura Castellucci (Università degli Studi di Roma Tor

Vergata)Fausto Cavallaro (Università degli Studi del Molise)Luciano Consolati (Università degli Studi Guglielmo

Marconi)Giovanni Crespi (Università della Valle d’Aosta)Gaetano Cuomo (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Mariantonietta Fiore (Università degli Studi di Foggia)Massimo Franco (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Riccardo Gallo (Sapienza Università di Roma)Massimiliano Giacalone (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Pierpaolo Giannoccolo (Alma Mater Studiorum

Università di Bologna)Pierpaolo Magliocca (Università degli Studi di Foggia)Giuseppe Marotta (Università degli Studi di Modena e

Reggio Emilia)Monica Palma (Università del Salento)Elisa Pintus (Università della Valle d’Aosta)Maria Cristina Quirici (Università di Pisa)Alessia Sammarra (Università degli Studi dell’Aquila)Barbara Scozzi (Politecnico di Bari)Claudio Socci (Università di Macerata)Michela Soverchia (Università di Macerata)Riccardo Stacchezzini (Università degli Studi di Verona)Caterina Tricase (Università degli Studi di Foggia)Erica Varese (Università degli Studi di Torino)

Area 14. Scienze politiche e socialiLuca Benvenga (Università del Salento)Giovanni Borriello (Università degli Studi Roma Tre)Domenico Carbone (Università degli Studi del Piemonte

Orientale Amedeo Avogadro)Luigi Colaianni (Università degli Studi di Padova)Ivo Colozzi (Alma Mater Studiorum Università di

Bologna)Paolo Corvo (Università degli Studi di Scienze

Gastronomiche)Giuliana Costa (Politecnico di Milano)Ugo Frasca, (Università degli Studi di Napoli Federico II)Sara Gentile (Università degli Studi di Catania)Michele Lanna (Università degli Studi della Campania

Luigi Vanvitelli)Andrea Lombardinilo (Università degli Studi G.

D’Annunzio Chieti Pescara)Maurizio LozziVincenzo Memoli (Università degli Studi di Catania)Andrea Millefiorini (Università degli Studi della

Campania Luigi Vanvitelli)Fortunato Musella (Università degli Studi di Napoli

Federico II)Cristiana Ottaviano (Università degli Studi di Bergamo)Paola Panarese (Sapienza Università di Roma)Gianluca Pastori (Università Cattolica del Sacro Cuore)Pasquale Peluso (Università degli Studi Guglielmo

Marconi)Mario Pesce (Università degli Studi Roma Tre)Valentina Possenti (Centro Nazionale di Epidemiologia,

Sorveglianza e Promozione della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità)

Irene Ranaldi (Sapienza Università di Roma)Andrea Spreafico (Università degli Studi Roma Tre)Luca Toschi (Università degli Studi di Firenze)Roberto Veraldi (Università degli Studi G. D’Annunzio

Chieti Pescara)Fabio Zucca (Università degli Studi dell’Insubria)

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INTRODUZIONEMARTA BERTOLASO E MIRKO DI BERNARDO - Questioni Epistemologiche Emergenti nelle Bio-Discipline. Epistemic Values at the intersection of Bio-Techno-Practice. An Introduction to Biodisciplines 1 . FILOSOFIA DELLA BIOLOGIA L’ABBÉ PHILIPPE DALLEUR - Philosophy, Biology and Technology 2. BIO-LOGIA - ALESSANDRO GIULIANI - Le insidie della complessità e l’ansia del controllo totale3. BIO-ECONOMIA - GIANLUCA ORICCHIO AND MARCELLA TROMBETTI - The Economics of Corporate Life Expectation: a Biological Perspective4. BIO-DIRITTO - CLAUDIO SARTEA - Bio-law: justice concerning human life5 . BIO-POLITICA - MARGHERITA DAVERIO - Biopolitica: una prospettiva valutativa 6. BIO-FILOSOFIA - ILARIA MALAGRINÒ - Bio-filosofia e prâxis

www.scienze-ricerche.it - [email protected]

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