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Anno XIII - Sped. a. p. Comma 27 art. 2, Legge 549/95- n. 2/97 TO - Aprile 1997 N. 45 Contiene I. P.

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EditorialeEditoriale“Una nuova Pentecoste”. Con

questa immagine, GiovanniXXIII descriveva quelli che

avrebbero dovuto essere gli effetti delConcilio Vaticano II. C’era di che entusia-smare le anime buone. A più di trent’annida allora, stiamo assistendo non a una nuovaPentecoste, ma a una grande apostasia. L’ul-timo numero di 30 Giorni (n. 2, febbraio1997, pp. 16-20) racconta con entusiasmo(degno di miglior causa) l’apostasia dellaChiesa greco-cattolico melchita di Antio-chia, che nel 1724 lasciò lo scisma per riunir-si a Roma. Il suo Patriarca, Maximos VHakim, successore di quel Maximos IV cheal Vaticano II intervenne costantementecontro Roma e il papato e che perciò fucreato cardinale da Paolo VI, appoggia l’ini-ziativa di Elias Zoghby, vescovo emerito diBaalbek, consistente nel chiedere agli “orto-dossi” di Costantinopoli di rientrare nellaloro comunione, senza separarsi (apparente-mente, almeno) da Roma. 25 vescovi mel-chiti su 27 si sono detti d’accordo. Più graveancora, Giovanni Paolo II si è detto d’accor-

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do. Ora, Maximos V e il suo clero hanno af-fermato che il primato del Papa deve essereridotto a come era interpretato nel primomillennio cristiano, per cui, secondo lui,“non si può pensare di proporre agli orto-dossi come pre-condizione all’unità la di-scussione su tutto ciò che i concili dellaChiesa d’Occidente hanno definito nel se-condo millennio, inclusa l’infallibilità delPapa”. E aggiunge: “occorre riconoscere chetutti i concili successsivi alla fine del primomillennio, compresi il Vaticano I e II, nonpossono essere definiti ecumenici (...) essivanno considerati come concili di unaChiesa particolare, la Chiesa di Occi-dente...”. Questa dottrina aberrante, ereticae scismatica, da dove viene? “Abbiamo solopreso sul serio alcuni passaggi delle due let-tere papali Orientale lumen e Ut unumsint...”. Cosa ne pensa Giovanni Paolo II? Aprendere sul serio il suo “magistero”, secon-do un Patriarca cattolico, non resta altro chetornare... nella “chiesa ortodossa”!

Ancora una volta, pertanto, l’attaccodell’eresia si dirige contro l’infallibilità delPapa ed il suo Primato. Per questo ritenia-mo di estrema importanza confutare quantosostiene il teologo della Fraternità San PioX, l’abbé Marcille, a proposito dell’infallibi-

Sommario

“Sodalitium” Periodico - Organo Ufficiale dell’Istituto Mater Boni Consilii - Loc. Carbignano, 36.10020 VERRUA SAVOIA (TO) - Telef.: 0161/839335; Fax: 0161/839334 - C/CP 24681108 -Dir. Resp.: don Francesco Ricossa - Aut. Trib. di Ivrea n. 116 del 24-2-84 - Stampa: TECA - Torino

Editoriale pag. 2Aspetti contemporanei del Giudaismo: mondialismo, plutocrazia, massoneria pag. 3“Il Papa del Concilio”: XXI puntata pag. 18Gli errori di Sì Sì No No. Seconda Parte: il Magistero secondo l’abbé Marcille pag. 30A proposito della recezione dei Documenti del Magistero e del dissenso pubblico pag. 50L’Osservatore Romano pag. 54Rassegna Stampa pag. 62“Accetto la morte in nome di Gesù e della Chiesa”. Vita di S. Tommaso Becket… pag. 67Recensioni pag. 73Vita dell’Istituto pag. 74

In copertina: L’assassinio dell’arcivescovo san Tommaso Becket nella cattedrale diCanterbury (vedi articolo pag. 67). Miniatura del XIII sec.

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lità e dell’autorità del magistero ecclesiasti-co, di quello del Papa come di quello dellaChiesa. Sarebbe una catastrofe se proprioquei cattolici che si oppongono al VaticanoII si unissero al coro dei nemici del Papato edel suo infallibile magistero. Opponendoci aqueste false dottrine, vengano esse dal neo-modernismo trionfante come da un “tradi-zionalismo” sempre più anti-romano, nonpensiamo fare opera di divisione o di sterilepolemica, ma di amore alla Chiesa cattolica,l’unica vera e indefettibile Chiesa di Cristo.

La questione ebraica

da. Ma… che cos’è la comunione con il mondose non la comunione con Dio?» (3). L’Assolutoe il mondo fanno, per il Giudaismo, una solacosa; il Giudaismo nega l’autentica creazionein quanto rifiuta proprio l’unico vero Dio, per-sonale, distinto dal mondo e trascendente.

L’Antico Testamento vive nell’adorazio-ne di “Colui che è”, l’Essere stesso sussisten-te. Le citazioni sopra riportate offrono laprova evidente ed apodittica che il Giu-daismo anticristiano o talmudico ha rottocon l’Antico Testamento, per imporre al suoposto il farisaismo gnostico-panteistico dellaCàbala spuria e del Talmùd, deformazioneesoterica della dogmatica e della morale.

Già il profeta Geremia esclamava: «Comepotete dire “Noi siamo savi e la legge delSignore è con noi?”. Essa infatti è stata falsifi-cata dalla penna ipocrita degli scribi» (4).

Se per Orio Nardi la Càbala spuria è“l’aberrazione della vera dottrina biblica”(5),per Eugenio Zolli, l’ex gran rabbino diRoma convertitosi al Cattolicesimo, «la op-posizione tra ebrei e cristiani si riduce ad unadiversa interpretazione della Bibbia» (6).

Israele, come si può leggere nei Librisanti, tendeva a formarsi un «Dio» a propriaimmagine e somiglianza, rinnegando quellopersonale e trascendente, distinto dalmondo, si foggiava una morale utile (talmu-dica) ed una verità contingente (cabalistica):«La nostra bocca e il nostro cuore non si mi-sero mai d’accordo per adorare lo stessoDio: quella acclamò sempre al Cielo, questofu sempre idolatra dell’oro e dell’usura» (7).

Maximos VHakim, patriarca

greco-cattolico melchita diAntiochia

ASPETTI CONTEMPO-RANEI DEL GIUDAISMO:MONDIALISMO, PLUTO-CRAZIA, MASSONERIA

don Curzio Nitoglia

Il Giudaismo anticristiano: causa prima deimali odierni

Il professor Andrea Dalle Donne ha avutoun’intuizione profonda quando ha detto:

«…l’alternativa di fondo è… quella fra il to-mismo originario e l’umanesimo gnostico-immanentistico. Senonché tale combatti-mento è spiritualmente partecipe di quelloche si sta rivelando davvero l’ultimo: ossiaquello tra l’unico cristianesimo di sempre el’anticristianesimo più radicale» (1).

Panteismo giudaico contro creazionismocristiano

Edmondo Fleg ben riassume la concezionegiudaica di Dio e del cosmo: «Sono ebreo per-ché per Israele il mondo non è finito, lo finisco-no gli uomini; sono ebreo perché per Israelel’uomo non è creato, lo creano gli uomini» (2).Questa dichiarazione non è però un’opinionepersonale di Fleg, ma chiama in causa ilGiudaismo anticristiano nel suo insieme, per-ché «la spiritualità ebraica …è in fondo unacondizione dell’essere in cui… tra la comunio-ne con Dio e con il mondo è preferita la secon-

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Mosè, pertanto (come Adamo e iPatriarchi), era cristiano perché credeva nelMessia venturo, mentre il Giudaismo attualeè anticristiano perché nega la divinità delCristo. L’ebreo Pèrgola, convertitosi alCristianesimo, ha scritto mirabilmente:«Bisogna… distinguere fra il Giudaismoprofetico che servì di preparazione al Cri-stianesimo ed il Giudaismo farisaico, profes-sato tuttora dagli ebrei, che può dirsiGiudaismo in quanto può derivare il suonome dal traditore Giuda Iscariota» (17).

Il dramma del popolo che fu eletto daDio per accogliere il Messia e per farlo co-noscere ed amare dal mondo intero, è quellodi aver sostituito la fede in Dio con la fedenel mondo, di aver preferito il vitello d’oroall’Agnello senza macchia, il “dio”quat-trinoal Dio Trino.

I fratelli maggior-mente separati e la radica-lità dell’anticristianesimo giudaico

Occorre precisare, come fa il professorDalle Donne, che è meglio chiamare ilGiudaismo attuale un sistema piuttosto cheuna religione, in quanto si è insediato nellastoria per mezzo di una falsa tradizione (ocontro-tradizione) gnostica panteistico-cabali-stica, tendente a soffocare l’unica veraTradizione divina (Antico e Nuovo Testa-mento), e presentandosi come una sua alter-nativa esoterico-iniziatica. Tale sistema è voltoa corrompere la retta Tradizione o religione,con una tradizione spuria o “gnosi”, trasmessaper via segreta e riservata ai soli iniziati.«Questa “tradizione” antichissima, sfocia purenegli antichi misteri del paganesimo, infetta dimiti, magie, fantasie e pesanti aberrazioni mo-rali… che ne rivelano l’origine… satanica» (18).

La conoscenza alternativa alla Rive-lazione divina (o gnosi) si è sviluppata pa-rassitariamente in seno al popolo eletto ed èesplosa all’avvento del Messia quando ne hadecretato l’uccisione. Gesù predicava la di-stinzione tra Creatore e creatura, il Regnodei Cieli da conseguire per mezzo della fedee delle buone opere, la conversione dal pec-cato, l’ascesi e la pratica delle virtù; la«gnosi», invece, predica l’identità tra Dio emondo, il paradiso nell’uomo stesso, la sal-vezza mediante la mera conoscenza. IlGiudaismo anticristiano è perciò la sommapiù raffinata e completa della gnosi spuria,che tende a deformare la Rivelazione. È unacontro-religione e come dicevamo sopra, è

Riprovevole manifesto antiebraico. (Tratto da ELENA

ROMERO CASTELLO, “Gli ebrei e l’Europa,2000 anni di storia” Fenice 2000, pag. 100)

«Il Giudaismo non è ciò che la Torah hapromulgato, …bensì ciò che il popolo giu-daico oggi pensa della Torah… Il sistemagiudaico si identifica col farisaismo… NelGiudaismo non è rimasto nulla della predi-cazione dei Profeti; vi domina incontrastato,invece, l’indirizzo creato dai farisei» (8).

Gesù e il Giudaismo farisaico

Nostro Signor Gesù Cristo, la Bontà stessainfinita, ha accusato i giudei anticristiani chia-mandoli figli dell’inferno (9), e dicendo loroche avevano come padre il diavolo (10). GliApostoli dal canto loro si esprimono in modoanalogo. San Paolo asserisce che i Giudei«hanno ucciso il Signore Gesù e i Profeti», eche «non piacciono a Dio e sono diventati inemici del genere umano» (11); San Pietro li ac-cusa (tutti, capi e popolo, eccettuati i pochiche hanno accettato Cristo) di aver crocefissoGesù (12) e San Giovanni condanna gli ebreianticristiani come la “Sinagoga di Satana” (13).

Contro chi afferma che il Giudaismo attua-le è figlio dell’Antico Testamento, è facile di-mostrare il contrario, citando proprio l’AnticoTestamento, a cominciare da Mosè e daiProfeti (14) fino ad Osea (15), dove il Signoreaccusa di malvagità estrema la maggioranzadel popolo ebraico molti secoli prima dell’av-vento di Cristo. Nostro Signore stesso dice aifarisei: «Non crediate che io sia colui che vi ac-cuserà dinanzi al Padre. C’è già chi vi accusa:…Mosè… Infatti se credeste a Mosè crederesteanche a me, poiché egli ha scritto di me» (16).

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definibile come un sistema piuttosto checome una Religione (che ha il compito diriunire, «religare» l’uomo a Dio).

È bene a questo punto aggiungere ulte-riori chiarimenti sull’intensità dell’odio concui il sistema giudaico anticristiano perse-guita Gesù e la sua Santa Chiesa (19).

«Chi… non gioca al Cristianesimo, inquanto ci crede sul serio, è teologicamenteobbligato a riconoscere e a denunciare… chegli ebrei anticristiani, cioè la maggioranza,sono i nostri fratelli maggior-mente separati:separati da Dio Padre, da Dio Figlio, da DioSpirito Santo» (20). La separazione e l’inimici-zia giunge a meritare l’accusa di fondo:«Preferendo il Vitello d’oro a Jahvé, Barabbaa Cristo… e pervertendo in significato mate-rialista la sua altissima vocazione spirituale,l’Israele materialista si ostina in un peccatoimmenso che gli viene ancor oggi rimprove-rato dall’Altissimo: “Due mali ha commessoil mio popolo: hanno abbandonato Me, fontedi acqua viva, per scavarsi delle cisterne… chenon tengono acqua” (21)» (22). E contro iGiudei, definiti dal Mariani “figli del diavo-lo” (23), tremenda è l’accusa di San GiustinoMartire: «La vostra mano è ancora levata,perché ancora dopo che avete ucciso il Cristonon vi siete pentiti, ma odiate e, quando neavete il potere, uccidete anche noi» (24).

La Tradizione autentica e la contro-tradizio-ne spuria

Dio parlava ad Adamo come parlava congli angeli, e gli rivelava i misteri della suavita intima, specialmente l’Unità e Trinità diDio e l’Incarnazione del Verbo (25). Lucifero,per invidia e gelosia, fece cadere Adamo edEva in peccato, ed essi così persero la graziasantificante e i doni preternaturali. Ma Dionella sua infinita bontà accettò la loro peni-tenza e perdonò il loro peccato. Ed ecco cheAdamo trasmise oralmente ai suoi figli laRivelazione ricevuta da Dio, o tradizioneorale verace, giunse così fino ai Patriarchi e aMosè (1900 a.C.), il quale ricevette a suavolta una Rivelazione che mise per iscrittonel Pentateuco (tradizione scritta). Mosèconsegnò tale Rivelazione scritta e orale aGiosuè e ai settanta saggi, che si era associa-to nel governo e fu così sino ai Profeti ed allavenuta del Verbo. A partire da quel momen-to Nostro Signor Gesù Cristo consegnò latradizione orale verace ai suoi Apostoli especialmente al loro capo Pietro, e così sarà

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fino alla fine del mondo per mezzo del Papa(successore di Pietro) ed i Vescovi (successo-ri degli Apostoli), uniti a lui.

Gesù, per mezzo dello Spirito Santo, con-segnò anche una Rivelazione che, messa periscritto nel Nuovo Testamento, ci è stata con-segnata e tramandata dal Magistero dellaChiesa romana (tradizione scritta). Il diavoloha sempre tentato di far sorgere tra gli uomi-ni una conoscenza spuria o «gnosi», che è unafalsa tradizione o contro-tradizione, per ten-tare di corrompere la retta o vera tradizione.

Abbiamo perciò una gnosi ebraica, con-trapposta al Mosaismo, ed una gnosi sedicen-te “cristiana” che si contrappone alla predica-zione o Tradizione apostolica ed al Magisterodella Chiesa. Questa gnosi sedicente «cristia-na», ma in realtà anticristiana e anticristica,non è null’altro che una tradizione spuria emendace, alternativa alla rivelazione divina,una tradizione eterodossa che tende a perver-tire la Rivelazione divina con supposizioni diesoterismo, magia, simbolismo, iniziazioni…

La gnosi ebraica penetrò nel seno dellavera Sinagoga mosaica trasformandola inSinagoga talmudica e la gnosi sedicente “cri-stiana” ha sempre cercato d’infiltrarsi nelseno della Chiesa, con la vana ed orgogliosapretesa di essere una “rivelazone” segreta,esoterica, riservata agli spiriti più elevati (opiù gonfi d’orgoglio). Essa pretende addirit-tura di essere più perfetta di quella trasmes-saci dalla predicazione apostolica!

La reazione della Chiesa alla “gnosi” fuimmediata; conosciamo la vicenda di SimonMago, contemporaneo di S. Pietro (26). Lagnosi sedicente “cristiana” perciò non è nul-l’altro che una setta cancerosa, che cerca d’in-filtrarsi nel cuore del Cristianesimo, per sov-vertirlo diabolicamente. I massoni e i moder-nisti (figli del Giudaismo anticristiano) sonogli odierni iniziati o “gnostici” che cercanod’insinuarsi all’interno della Chiesa e di giu-daizzarla mediante la Càbala e l’esoterismo.

Psicologia ebraica

«Rientra nella psicologia ebraica… trar-re vantaggio da qualsiasi situazione» (27). Lagenialità ebraica è capace - talmudicamente- di costruire un “utile nemico” (28) per er-gersi a vittima ed ottenere così enormi van-taggi, salvo poi abbattere il falso nemico, su-scitato “ad hoc”, una volta terminata la fun-zione assegnatagli, cioè quella di supporto alsuccesso mondiale del popolo “perseguita-

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to”. La tattica insegnata dal Talmùdall’ebreo è quella di agire con prudenza edoculatamente, atteggiandosi sempre a vitti-ma innocente per suscitare simpatia e com-miserazione, ed impadronirsi così delle levedi comando della società, e poterla poi go-vernare da dietro le quinte.

Si può dire che per certi versi il Giu-daismo anticristiano si avvale, in fatto di mo-rale (29), della dottrina e soprattutto della pra-tica della doppia verità, per precisi scopi tatti-ci, pragmatico-utilitaristici. Il Giudaismo, tra-mite la Massoneria, predica per i gojim la de-mocrazia, l’uguaglianza, la libertà, la frater-nità, il pluralismo, il non-esclusivismo, men-tre applica a se stesso ben altri principi:l’esclusivismo razziale e razzista, l’imperiali-smo affamato di dominio universale, il gelosoisolamento all’interno degli stati.

Ma qual è il fine tattico di questa duplicitàtalmudico-farisaica? Semplicemente il domi-nio di Israele sul mondo intero. Infatti, men-tre la “morale interna” del Giudaismo è de-stinata a rafforzare ed a mantenere integro esaldo il Giudaismo, l’altra “morale”, quella“esterna” (o per i gojim), ha come fine dispianare la via al dominio ebraico del mondo.

La filosofia umanistica, illuminista edidealista (di derivazione gnostica, in quantodottrina filosofica essoterica derivata dalla fi-losofia esoterica ed occulta: la gnosi appunto)è l’antecedente del Nuovo Ordine Mondiale.

Israele si è valso dei concetti di «liberté,égalité, fraternité» per arrivare lentamenteall’egemonia sui popoli cristiani che, a partiredall’Umanesimo neopagano, avevano iniziatoun processo di scristianizzazione. Tale egemo-nia, in questi nostri tristissimi tempi, è arrivataad applicare la psicanalisi freudiana, di deriva-zione cabalistica (30), in campo giuridico-pena-le, per togliere allo Stato, una volta cristiano,anche il diritto alla legittima difesa. Le teoriepsicanalitiche infatti hanno impregnato di sé lascuola, la musica, la letteratura, i mass-media(e fra questi, in particolare, la televisione, spes-so strumento di vero e proprio lavaggio del cer-vello, soprattutto per i giovani), hanno reso lepersone ipersensibili, emotive, irrazionali, inca-paci di dominare gli istinti e perciò pronte sem-pre a giustificare il colpevole, e del tutto inca-paci di assumersi le proprie responsabilità (31).Il diritto del singolo, dei genitori, dello Stato adifendersi è stato conculcato nell’epoca attuale.Il Giudaismo infatti sa che fino a quandol’uomo, la famiglia, la città avranno conservatoanche solo un’ombra di ordine (che una volta

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sussisteva negli Stati tradizionali e cristiani,specialmente nella Cristianità medievale) perla Rivoluzione non vi sarà certezza di vittoria.Essa infatti è la distruzione dell’ordine, cioèdella sottomissione dell’intelletto alla Verità,della volontà al Bene, dei sensi all’intelletto ealla volontà. Se l’uomo è ordinato a Dio, e allasua Legge immutabile, la Rivoluzione nonpotrà portare il disordine permanente e costan-te nella società, ma sarà schiacciata da chi, pa-drone di sé perché si è fatto schiavo di Dio (32),non ammette alcun disordine o passione srego-lata che tenda ad allontanarlo da Lui. Solo Diosa quanto la nostra epoca, ormai quasi definiti-vamente cabalizzata, sia dominata dal disordi-ne, dall’egemonia delle passioni e degli istintisull’intelletto e la volontà, dal piacere sulla sop-portazione paziente del dolore, dalla ricchezzadisordinata sull’amore della frugalità, dall’or-goglio sul disprezzo realistico di se stessi.

Ebbene alla fonte di questo disordine ri-troviamo le teorie che nel corso dei secolinacquero dalla «gnosi», o falsa tradizioneparassitaria, la quale ha sempre mirato a so-stituirsi alla vera Religione, così comeSatana, suo diretto ispiratore, ha semprecercato di farsi adorare come Dio.

Il diavolo, ispiratore del Giudaismo anti-cristiano, secondo le parole di Gesù Cristo,è riuscito a far penetrare nelle nostre fami-glie e nella società la più perniciosa corru-zione spirituale e morale, fino a narcotizzareil senso etico dell’uomo moderno, reso tor-pido ed incapace di una sana ed equilibratareazione al male che lo assale.

Chi a fronte di tanto sfacelo pensasse poiche la situazione odierna possa essere sanatadalla vittoria di una falsa destra politica,sbaglia e prende i suoi sogni per realtà.

La «polis» è formata dalle famiglie edagli individui, e fino a quando l’individuonon avrà ritrovato l’ordine con Dio ed in sé,la «polis» sarà in disordine o sottosopra: ri-voluzionata e rivoluzionaria.

È vero che Pio XII ha insegnato che«dalla forma data allo Stato… ne deriva ilbene o il male per le anime (33)», ma Pio XIIsapeva anche che per mettere ordine nellasocietà, per dare una buona forma alla so-cietà, composta di individui associatisi invista di un bene comune, occorre prima ditutto che il singolo sia in ordine e possa cosìportare il suo ordine interiore nella societàstessa (“nemo dat quod non habet”).

L’etica naturale e cristiana, o sana filoso-fia morale, insegna che prima viene l’indivi-

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duo e poi la società, per cui è molto ambiguae pericolosa l’affermazione “politiqued’abord”, come è altrettanto pericoloso asse-rire che il cristiano non deve occuparsi di po-litica (tradizionalmente intesa come scienzamorale applicata alla società). La politicafino a Machiavelli era una scienza praticache si avvaleva della conoscenza per agirerettamente, che aveva cioè come princìpi lalegge naturale e la legge divina; princìpi cheapplicava poi alle famiglie e alla città, perchéognuno potesse conseguire un certo benesse-re temporale, subordinato sempre a quellospirituale. Dio infatti ha voluto crearel’uomo ed elevarlo all’ordine soprannatura-le, senza lasciarlo nello stato di natura pura.

San Pio X, il cui motto era “Instaurareomnia in Christo” diceva «Noi [il Papa e laChiesa] non possiamo non fare politica» e scri-veva: «per restaurare tutte le cose in Cristo,mediante… l’azione, è necessaria la grazia di-vina, e l’apostolo non la riceve se non è unito aCristo. Soltanto quando avremo formato innoi Gesù Cristo, potremo facilmente darlo allefamiglie ed alla società» (34). Perciò “ santifica-tion d’abord et ensuite politique”! DomChautard si domandava: «Donde verrà la sal-vezza della società? (…) Quando la Chiesa ot-terrà il suo trionfo? È facile rispondere con leparole del Maestro divino: “Hoc genus dae-monorum non eicitur nisi per orationem etieiunium” (Mt. XVII, 20). Quando dalle filedel sacerdozio… usciranno una schiera di uo-mini di mortificazione, che facciano risplende-re in mezzo ai popoli il mistero della Croce, al-lora questi popoli, contemplando nel sacerdo-te… mortificato le riparazioni per i peccati delmondo comprenderanno la Redenzione ope-rata dal Sangue di Gesù Cristo» (35).

Anche ai laici compete il dovere di apo-stolato; come diceva S. Pio X ad un gruppodi cardinali francesi: «Qual’è… la cosa piùnecessaria oggi per la salvezza della società?(…) E di avere in ogni parrocchia un gruppodi laici molto virtuosi… e veramenteapostoli» (36). È quindi la santità personale,dei sacerdoti in primis e dei laici poi, a salva-re la società e ad aiutare gli uomini a viveremeglio in ordine al loro fine ultimo: sarebbeperciò un pericoloso errore, soprattutto oggi,voler invertire l’ordine e cominciare dallapolitica (cioè dalla società) prescindendodalla santificazione personale dell’individuo.

La politica, o meglio partitica, moderna èfondata sulle idee rivoluzionarie forgiate dalla“gnosi” per distruggere la società cristiana e la

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Chiesa (se mai fosse possibile). Specialmentela democrazia, che per Aristotele e sanTommaso è una degenerazione della “politìa”o forma di governo nella quale la moltitudine[da non confondersi con la massa indetermi-nata], la “sanior pars” del popolo (37), sceglie ilcapo al quale Dio dà il potere. Quest’ultimopermane in lui abitualmente, tramite la molti-tudine che ne è strumento o canale, ma nellaquale il potere non resta; ed in tale forma digoverno ognuno, purché atto, può essere scel-to a regnare. La democrazia moderna diceche il potere o l’autorità deriva dalla massa,dal basso, dagli uomini e non viene da Dio;dice che il capo della società è solo un deputa-to che rappresenta la massa che governa; diceche la verità consiste nella maggioranza, qua-lunque deliberazione prenda (38).

La democrazia è voluta in vista della“monistica massificazione ebraica, la quale,contro il Cristianesimo… finge demagogica-mente di valorizzare la persona, per asser-virla al totalitarismo senza pari che è…quello dell’unità” (39). Il Talmùd sentenzia:«Bisogna seguire la maggioranza. Quando lamaggioranza dichiara che una cosa è per-messa, lo è; e quando la maggioranza la di-chiara proibita, è proibita» (40). Questa tatti-ca talmudica è voluta in vista del dominiouniversale di Israele sul mondo intero, reso,grazie alla democrazia, una massa informeed amorfa; la stessa “tattica democratica” fusfruttata da Caifa per far crocifiggere Gesùquando disse che un solo uomo doveva mo-rire (Nostro Signore Gesù Cristo) per il po-polo (41). E Pilato, da buon demagogo «vo-lendo accontentare il popolo [e conservare lapoltrona, n.d.r.] rimise… in libertà Barabbae consegnò Gesù » (42).

«Ma quando mai Dio approvò la maggio-ranza in quanto tale?… la maggioranza… delpopolo ebraico… avrebbe avuto ragione, inquanto maggioranza, contro Gesù che erasolo» (43). La verità però non è democratica,non dipende dalla maggioranza! Ma da dovesorge questo “odio delle altezze” (come lachiamava il Giuliotti) tipicamente democrati-co? «Dalla fede nel mondo, per cui la solaumanità osa erigersi… a “causa sui”, deifican-do quanto di più empio si possa escogitare» (44).Anche attualmente il Giudaismo riprende lamassima talmudica secondo la quale la mag-gioranza ha sempre ragione, anche contro ilvolere di Dio, perché essendo l’uomo(l’ebreo) il complemento di Dio, Dio stessodeve prendere lezioni da lui.

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Interessante sull’etica e sulla risoluzione diproblemi attuali è la spiegazione che Shalomdà di una parabola: «Un rabbino (Eliezer) perdimostrare la giustezza della sua opinione chie-se ad un albero di carrube di spostarsi. Si spo-stò il carrubo e avvennero poi molti altri prodi-gi… Ma niente di questo fu accettato comeprova della sua ragione. Rabbi Eliezer non sidette per vinto [e disse] “se la norma segue lamia opinione, che il cielo lo dimostri”. Si udìuna voce celeste che disse: “Che cosa avete dadire contro Rabbi Eliezer? La norma va sem-pre stabilita secondo la sua opinione!” AlloraRabbi Jehoshwa si alzò e disse: “La Torà non èin cielo!”»… Commenta Shalom: questa para-bola del Talmud, Bava’ Mezia’ 49b, significache “nessun singolo (nemmeno Dio) può im-porre la sua opinione. Stabilire le norme spettaalla maggioranza” (45). Tuttavia, per la leggedella doppia verità che abbiamo visto piùsopra, questo principio vale solo per i pagani,per poterli meglio corrompere tramite unaforma di governo nella quale la ragione anchecontro Dio spetta alla maggioranza (così è suc-cesso con le leggi sul divorzio e sull’aborto).Diversa è la situazione per Israele, dove è ilrabbi ad imporre alla maggioranza le sue mire,magari illudendola che sia essa a decidere,come avvenne, abbiamo visto, per la condannaa morte di Gesù, quando il popolo “liberamen-te” scelse di… fare quanto Caifa e il Sinedrioaveano già da tempo decretato.

Che cosa dobbiamo aspettarci?

Secondo Andrea Dalle Donne: «Siccomela maggior parte dell’umanità odierna si fasempre più schiava… di quegli intrusi, distrut-tori e rivoluzionari, non c’è da aspettarsi altroche un castigo di gravità e proporzioni immani.

I credenti… compassionano le varie allu-cinazioni intorno ad un risanamento della si-tuazione politica odierna sia mondiale sianazionale. Ai sogni… tali credenti sostitui-scono il pregare affinché la punizione plane-taria, inevitabile ed ormai pressoché immi-nente, sia utilizzata da Dio per la conversio-ne della maggior parte dei peccatori. Altroche terzo millennio!» (46).

Ultimi sviluppi della rivoluzione gnostica:Giudaismo, alta finanza e mondialismo

Il 29 maggio 1453, sotto la pressione deiTurchi (musulmani), cadde l’Impero Bizan-tino o ex Impero Romano d’Oriente. A

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Bisanzio, non molti anni dopo, a seguitodell’espulsione dalla Spagna (1492) si rifu-giano gli ebrei che non esiteranno a dare«un forte incremento alla Marina turca con-tro l’Occidente cristiano, fino alla battagliadi Lepanto (1571). Da Bisanzio [e anche daVenezia] gli ebrei sviluppano le loro opera-zioni commerciali in Europa, facendo diAmsterdam (Paesi Bassi) la loro principalepiazza finanziaria. Da Bisanzio… influenze-ranno le accademie rinascimentali di ispira-zione anticristiana, diffondendo alla fine del1400 dottrine esoteriche (Càbala) che ali-menteranno i clan rosacrociani… Nel 1655Marrassch ben Israel, gran banchiere diAmsterdam, ottiene dal dittatore OlivierCromwel che gli ebrei, espulsi tre secoliprima siano riammessi a Londra, impegnan-do l’alta finanza… di Amsterdam ad incenti-vare l’economia e la politica inglese. Grazieall’appoggio ebraico, l’olandese GuglielmoIII d’Orange conquista la corona inglese…Nasce a Londra la Massoneria inglese(1688) come strumento di espansione mon-diale dell’imperialismo anglo-ebraico”» (47).

Risultano pertanto chiari i legami tra Giu-daismo e Islàm in funzione anticristiana e quel-li tra alta finanza e neopaganesimo rinascimen-tale. Determinante fu l’influsso dell’Ebraismosull’alta finanza dei Paesi Bassi, che si serviro-no della Massoneria per accrescere e consoli-dare la potenza inglese in Europa, in opposi-zione alla potenza della cattolica Spagna, e perservire al Giudaismo come strumento diespansione mondiale e di cabalizzazione deipaesi cristiani. «Londra eclissò Amsterdam e siavviò verso il suo destino di centro dell’alta fi-nanza mondiale. (…) L’Inghilterra doveva re-stare fermamente attaccata ad Israele. Questoconnubio anzi avrebbe assunto dimensionimondialiste, con l’alleanza anglo-americanadel nostro secolo» (48).

La Massoneria inglese giocò un ruolo diprimo piano nella formazione ed afferma-zione dell’Illuminismo massonico francese,che fu uno dei motori principali dellaRivoluzione del 1789, una delle grandi tappedella giudaizzazione dell’Europa cristiana.

Il ventesimo secolo segna poi lo sposta-mento dell’epicentro dell’alta finanza daAmsterdam-Londra a Wall Street (NewYork), col cui appoggio Lenin poté realizza-re la Rivoluzione bolscevica (1917). Laprima e la seconda guerra mondiale «creanole condizioni per nuove concentrazioni di po-tere, e si delineano organismi soprannazio-

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nali di pressione ideologica e sociale mondia-lista» (49): basti pensare al Bildberg Club(1954) e alla Trilateral Commission (1975),movimenti più o meno occulti, legati stretta-mente all’alta finanza il cui scopo recondito èla formazione di una società multietnica, po-liticamente unita e religiosamente ecumenica(50), cioè il Nuovo Ordine Mondiale che ri-chiama il Regno dell’Anticristo. «Il connubioanglo-ebraico fa di Londra non solo il centrodel [super]-capitalismo internazionale, maanche la loggia madre della Massoneria, de-stinata a propagare l’ideale… della pluto-democrazia moderna» (51).

Gli alti vertici del mondialismo:

a) il Bildberg ClubNel 1954 ebbero inizio in Olanda le con-

ferenze del Bildberg Club, così chiamatedall’albergo in cui si svolsero la prima volta.

Anche se la stampa ne parla, tuttavia èimpossibile conoscere l’oggetto di tali di-scussioni, che rimangono segrete. Talvolta siconoscono anche i nomi dei partecipanti (52),che variano ogni anno, mentre immancabil-mente vi compaiono i rappresentanti deinoti vertici economici (Rockfeller, Ford,Rothschild…).

b) la Trilateral CommissionGià nel 1970 Brzezinski «abbozzava le

grandi linee di una comunità delle nazionioccidentali progredite, fondata sul triangolo[da qui il nome di trilaterale, n.d.a.] Americadel Nord, Europa occidentale, Giappone»(53). Nel novembre 1972 dopo una riunionetra David Rockefeller, Max Konhstan eGeorge Franklin, fu messo a punto il pro-gramma definitivo della Trilateral. Il 23 otto-bre 1973, a Tokyo, si ebbe la sua prima riu-nione. La Trilaterale, tra i cui principali arte-fici si trova l’ex presidente francese Giscardd’Estaing, organizza incontri abituali e rego-lari tra i dirigenti delle principali potenzed’Europa, del Giappone e d’America.

In seno alla Trilaterale sono rappresentatele più potenti organizzazioni e per l’Italia si pos-sono citare La Stampa, la Fiat, La Rinascente. Igrandi nomi della Trilaterale degli anni 70’erano David Rockfeller, Henry Kissinger,Zbigniev Brzezinski, Edmond de Rothshild,Olivier Giscard d’Estaing (fratello dell’ex presi-dente francese), e tra gli italiani i più famosierano Giovanni Agnelli, Guido Carli, UmbertoColombo, Giorgio La Malfa, Arrigo Levi. Larivista della Trailateral si chiama Trialogue.

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c) il R.I.I.A.The Royal Institute of International Affairs

sorse a Londra nel 1919, ed è noto anchecome Chatham House; il ramo americanodello stesso istituto inglese, prese il nome diCouncil of Foreign Relations (C.F.R.). Questeistituzioni, assai influenti sulla politica anglo-americana, sono al centro di varie correnti,quali lo “scozzesismo massonico”, l’“alta fi-nanza mondialista” e la “società teosofica” diAnnie Besant e della Blavatsky. SecondoNardi «la Chatham House è il perno della po-litica inglese» (54). Il Royal Institute ofInternational Affairs ha i suoi diversi diparti-menti: in Italia si chiama I.A.I. (Istituto AffariInternazionali) e I.S.P.I. (Istituto per gli Studidi Politica Internazionale). L’I.A.I. fu creatonel 1965 dalla fondazione Olivetti, dal-l’Associazione di cultura politica “Il Mulino”e dal Centro Studi “Nord-Sud”, su propostadel deputato Altiero Spinelli (deputatoP.C.I.), ma il suo primo patrono è GianniAgnelli; vi esercitarono inoltre il loro influssoGuido Carli e Arrigo Levi.

La Loggia P2

La Loggia P2 fu fondata dal GranMaestro del Grand’Oriente d’Italia AdrianoLemmi nel 1875. Fin dall’inizio ebbe loscopo di occultare l’affiliazione massonicadei suoi membri (oggi si direbbe una loggiacoperta); dal 1961 al 1970 il Gran MaestroGamberini delegò Ascarelli come GranMaestro aggiunto che doveva procedereall’ammissione dei membri della Loggia P2.Nel 1967 Gamberini in persona dispose cheLicio Gelli (55) passasse dalla Loggia Ro-magnosi alla Propaganda 2 della quale, nel1975, venne nominato venerabile.

«Non si può… assolutamente sostenereche la Loggia P2 fosse solo una “ cosiddetta”loggia massonica. Essa aveva tutte le caratte-ristiche necessarie delle altre 496 logge delGrand’Oriente in Italia, ed inoltre avevaanche un legame del tutto particolare con ilGran Maestro, che per più di cento anni èstato contemporaneamente Maestro venera-bile di questa loggia» (56). Nel marzo 1981 duegiudici di Milano perquisirono (duranteun’inchiesta sul caso Sindona) la villa diLucio Gelli, nei pressi di Arezzo, dove scopri-rono parte degli elenchi degli affiliati alla P 2(57). Licio Gelli era un direttore generaledella Permaflex. Il 29 marzo 1965 fu inaugu-rato a Frosinone il nuovo complesso indu-

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striale della Permaflex cui erano presentil’on. Andreotti, il sindaco e Licio Gelli. Il“padre spirituale” di Gelli era un certo FrankGigliotti, cui era stato affidato dalla Mas-soneria americana il compito di ricucire lostrappo verificatosi nella Massoneria italianatra la corrente di destra e quella democratica.Gigliotti era un feroce anticomunista e Gelli,ex-combattente della R.S.I., bussò proprioalla sua porta valendosi dell’amicizia conAndreotti e con alcuni prelati postconciliari.Man mano che Gigliotti invecchiava e tra-montava, sorgeva l’astro di Gelli, che potràcosì continuare la carriera del suo padrino in-trattenendo legami con la “destra” america-na, come conferma la sua presenza alla festadi insediamento di Ronald Reagan (58). Neitabulati scoperti il 17 marzo 1981 a CastiglionFibocchi vi sono i nomi di 950 iscritti alla P 2,ma non tutti… ovviamente.

Tra i 950 figurano 52 alti ufficiali dei ca-rabinieri, 50 dell’esercito, 37 della Guardiadi Finanza, 29 della Marina, 11 questori, 5prefetti, 2 ex ministri, 38 deputati, 14 magi-strati. «Ma i più preoccupanti dei nomi pub-blicati negli elenchi sono quelli che non co-nosciamo: secondo la Commissione parla-mentare di inchiesta l’elenco completo degliiscritti alla P2 conteneva all’incirca 2500nomi, ne mancano quindi 1650» (59). A rileg-gere il progetto politico della P2, il cosiddet-to “Piano di rinascita democratica” si hal’impressione che molti dei suoi punti sisiano realizzati ultimamente. Il progetto diLicio Gelli prevedeva la creazione di unostato “autoritario” sul tipo di repubblicapresidenziale, l’assoggettamento della magi-stratura (che pur recalcitra) al potere politi-co, l’utilizzo di strumenti finanziari per lanascita di due movimenti, uno di sinistra oprogressista e l’altro liberaldemocratico,tendente un po’ a “destra”. «Tali movimentidovrebbero essere fondati da altrettanticlubs… promotori composti da uomini poli-tici ed esponenti della società civile [i tecni-ci], in proporzione di uno a tre. Tutti i pro-motori debbono essere tendenzialmente di-sponibili per un’azione politica pragmatisti-ca con rinuncia alle consuete e fruste chiaviideologiche» (60). In un secondo tempo oc-correrà acquistare o far nascere alcuni setti-manali di battaglia… infine le circostanzedovranno permettere di contare sull’ascesaal governo di un uomo “politico” già in sin-tonia con lo spirito del club [o della loggian.d.a.]. Qualora si volesse dare un’immagine

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sensibile di tale situazione «possiamo pensa-re ad una piramide il cui vertice è costituitoda Licio Gelli… [bisogna poi] ammetterel’esistenza sopra di essa di un’altra piramideche, rovesciata, vede il suo vertice inferiorenella figura di Licio Gelli. Questi infatti è ilpunto di collegamento tra le forze ed i grup-pi che nella piramide superiore identificanole finalità ultime e quella inferiore, doveesse trovano pratica attuazione» (61). È benericordare che dalla intersecazione di due pi-ramidi o triangoli, nasce la stella di David.

Pier Carpi racconta, in un’intervista rila-sciata ad Antonio Socci, che «…nel 1977Gelli crea l’Ompam (Organizzazione mondia-le per l’assistenza massonica), che è una dellecause dell’attacco alla P2. (…) L’organizza-zione… è riconosciuta dall’Unesco, dallaFAO e l’ONU manda osservatori al primocongresso… [L’Ompam] ha posizioni decisa-mente anticomuniste… [Vi è] un protocolloriservato, di guerra al comunismo, approvatoa quel primo congresso del ‘77 in Brasile…[esso] finisce nelle mani del KGB che dà di-sposizioni di distruggere quella temibile orga-nizzazione che poteva disporre di mezzi enor-mi, la P2 e la Massoneria. Si scatena così unasotterranea guerra internazionale» (62).

Influsso mondialista del Giudaismo anticri-stiano

«Nella dispersione, che è la debolezzadella nostra stirpe - hanno ragione di dire gliebrei - noi abbiamo trovato la nostra forza,che ci ha portati alla soglia del dominiomondiale» (63). Gli ebrei non sono restii adammettere la loro enorme influenza sul mo-vimento sinarchico mondialista, che sta pre-parando il Nuovo Ordine Mondiale e laNuova Casa Europea.

Già nel XVII secolo Jan Amos Kominsky(1592-1670) teorizzava una nuova societàpoli-etnica, razziale, politico, religiosa, ten-dente a superare il Cristianesimo nell’esoteri-smo. Le sue teorie alimentarono il Sionismo,portando così all’“Alleanza Israelitica Uni-versale”. Il gran Maestro della MassoneriaCremieux (ebreo) asseriva che «tale alleanzanon si ferma solo al nostro culto, ma si rivol-ge a tutti i culti. Essa vuol penetrate tutte lereligioni… [mira a] far cadere tutte le barrie-re di ciò che un giorno deve essere unito» (64).Ancora Cremieux afferma che «…una Geru-salemme del Nuovo Ordine… deve soppian-tare il doppio sogno imperiale e papale.

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L’Alleanza Israelitica Universale è entratasolo ora in azione, ma già fa sentire da lungila sua influenza» (65). Nello stesso sensoBaruch Levi scriveva a Marx: «Il popoloebraico (…) sarà egli stesso il suo proprioMessia. La sua signoria sul mondo sarà rag-giunta mediante l’unificazione delle altrerazze umane, l’eliminazione delle frontiere edelle monarchie… e mediante l’istituzione diuna repubblica mondiale» (66).

Anche Isidoro Loeb, segretario dell’Al-liance Israelite Universelle ammetteva che«…certo è che con o senza Messia personale,gli ebrei costituiranno il centro dell’umanità,intorno al quale si raggrupperanno, dopo laloro conversione, i non ebrei. I popoli si uni-ranno per prestare omaggio al popolo diDio» (67). Molto realista è Zur Beer quandoafferma che «senza essere stato assorbito,oggi lo spirito ebraico domina là dove primaera appena sopportato… Noi controlliamo ilmercato dell’oro… lo spirito ebraico ha con-quistato il mondo» (68). Jacob de Haas, par-lando della Rivoluzione russa del 1917 affer-ma che essa è una rivoluzione ebraica (69). J.Bidegain si espresse molto apertamente ri-guardo alla Massoneria. «…La Massoneria,la quale è incontestabilmente d’origine giu-daica, è per gli israeliti uno strumento d’azio-ne e di lotta di cui si servono segretamente.Gli ebrei hanno creato la Massoneria al finedi arruolarvi gli uomini che non appartengo-no alla loro razza… Gli ebrei, che non hanno

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perso la fede nella ricostruzione del Tempio,nascondono sotto questa parola simbolica lavolontà di fare del mondo intero un tempiogigantesco in cui i figli di Israele siano sacer-doti e re, in cui tutti gli uomini ridotti allaservitù dell’organizzazione capitalista, lavo-reranno alla gloria di Jahvé » (70).

Senza commento per la loro pregnanzasono le parole di uno studioso ebreo: «Nonesiste che un solo problema sulla terra: il pro-blema di Israele » (71).

Pericoli

Da quanto esposto finora è evidente chel’umanità corre un grave pericolo: è perciò no-stro dovere lanciare un grido di allarme. Conle ultime leggi approvate quasi dappertutto,chiunque osi mostrare la malizia della religio-ne talmudica viene immediatamente accusatodi antisemitismo e condannato. Qualora lecolpe imputate al Giudaismo risultassero ca-lunnie, tale atteggiamento persecutorio sareb-be giusto, ma se si riesce a dimostrare che la“perfidia” (in senso teologico) della religionegiudaica post-biblica è reale, tali condanne do-vrebbero incutere timore soltanto agli sciocchio ai vili. Nel 1970 Umberto Greco (sotto lopseudonimo di Verminjon) scriveva: «Mi pro-pongo di svelare i retroscena che non vedia-mo. L’umanità si trova già sull’orlo di un abis-so, a causa dell’Ebraismo manovrante nell’om-bra, che, qual burattinaio, ci muove» (72).

Il pericolo giudaico-massonico

Il farisaismo è una ideologia animata dadesiderio di vendetta. Lo stesso rabbino capodi Roma Elio Toaff dichiarava nel 1994 ad ungiornalista che gli domandava se non ci fosseun limite di tempo al rancore: «Il limite delrancore è la vita umana» (73). Tale rancoreche gli ebrei nutrono verso ogni “goj” (nonebreo) e specialmente verso i cristiani (74) liporta a vessarli con ogni sorta di soprusi.Marcus Eli Ravage scriveva: «Noi siamo statila causa prima non solo dell’ultima guerra,ma quasi di tutte le vostre guerre» (75).

Historia magistra vitæ

Prima dell’avvento di Gesù Cristo gliIsraeliti erano il popolo eletto da Dio, però sidimostravano già fin da allora (tranne le rareeccezioni dei Patriarchi e dei Profeti) un “po-polo di dura cervice”, avido di denaro fino ad

Cesare Romiti, Giovanni Agnelli con il gran rabbino di Roma Elio Toaff

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adorare il vitello d’oro. Ebbene fin dall’AnticaAlleanza avevano la caratteristica - aggravatasicon il deicidio - di “mettere a fianco di personeche hanno mansioni altamente direttive, dellemogli di stirpe giudaica” (76). Sotto i romani,l’imperatore Tiberio chiamò la comunità ebrai-ca romana “un pericolo per Roma” (77). L’im-peratore Claudio li espulse da Roma. Senecapronunciò la storica frase: “judei victoribus victilegem dederunt” (gli ebrei anche se vinti detta-rono legge ai vincitori) (78). Diocleziano emanòleggi restrittive contro di essi. Cicerone,nell’Oratio pro Flacco, asserisce di aver timoredella compattezza giudaica. Poppea, per esem-pio, la moglie di Nerone era una convertitaall’Ebraismo e proselite della porta (79). Eccoche, da dietro le quinte, s’intravede l’ombra dichi aizzava Roma a perseguitare i cristiani:conferma Tertulliano: «Sinagogæ Judeorumfontes persecutionum» (80).

«L’influenza giudaica tra i Romani diven-ne, ad un dato momento, così preponderanteche si vide per la prima volta, salire sul tronodei Cesari un imperatore di origine ebrea…Settimio Severo Africano… egli, messi amorte i suoi nemici introdusse una pericolosanovità: il servizio militare obbligatorio intutto l’impero ad eccezione degli italici, aiquali invece era proibito. D’ora in poi essierano in balia delle legioni straniere… prepa-rato il terreno come si voleva, ebbe inizio…un periodo d’anarchia e di disastri; Romanon tardò ad essere invasa dai barbari ed…annientata. Si compiva così la vendetta dellaSinagoga per la distruzione di Gerusalemmeoperata da Tito. Oggi vediamo ancora tro-neggiare nel Foro romano l’uno contro l’altrodue soli archi di trionfo: quello di Tito e quel-lo di Settimio Severo… Tengano presente iposteri che se Roma ha vinto Israele, Israeleha distrutto Roma» (81). Non vi è stato popo-lo nel passato presso il quale gli ebrei nonsiano riusciti ad infiltrarsi, e che non abbiasentito ad un certo punto la necessità di libe-rarsi e di difendersi da essi. L’unanimità direazione, come nota anche Bernad Lazare(82), proviene dal fatto che la religione talmu-dica è talmente malevola e pronta al delittoche gli altri popoli sono stati spinti a respin-gerne l’oppressione, anche con la forza.

Giudaismo, bolscevismo e plutocrazia

Come abbiamo già visto, il Giudaismo hafondato la Massoneria per imporre il suo“credo” al mondo intero, quello dei ‘gojim’

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(83), iniziando la sua penetrazione attraversole classi altolocate e seducendo le classi pove-re con il marxismo e il bolscevismo.

Comunismo e supercapitalismo non sonoperciò essenzialmente nemici, anche se sem-brano esserlo o lo diventano accidentalmen-te in alcune circostanze. In realtà sono tenta-coli della stessa piovra, che mediante l’odiodi classe suscitato tra poveri e ricchi, detieneun ferreo potere su tutti, purché siano gojim.È nota l’origine ebraica di Marx, Trotzky eLenin, e delle mogli di Stalin, e di Molotov, ilquale proprio in virtù della parentela con lapotente famiglia dei Karp, poté mantenerebuoni rapporti con quella dinastia dell’altafinanza giudaico-americana (84). Bolscevismoe plutocrazia sono uniti al vertice dalGiudaismo: la contraddizione è solo appa-rente, perché la dittatura comunista nellospogliare della proprietà privata i gojim, larende allo Stato, unico supercapitalista o plu-tocrate. Le masse proletarie sono usate infunzione antiborghese; spesso s’illudonod’instaurare un regime in cui figura la giusti-zia distributiva, mentre verranno spogliatedella libertà e dei beni e poi vessate da unadittatura o tirannia, quella dello Stato-padro-ne (e super-capitalista). A capo di esso, ma-gari celati dietro terze persone (basti pensareal multimiliardario americano Hamer), visono spesso gli ebrei i quali, nel trapasso ge-nerale delle proprietà, si impadronisconoipso facto di tutti i beni dei non ebrei.

Difficoltà

Tuttavia all’attuazione di questo pianodiabolico si oppone l’intelligenza dei goijm:ecco allora che la Sinagoga talmudica cer-cherà con ogni mezzo di abbassare il livellointellettuale dei popoli e, con esso, la capa-cità di discernimento del pericolo imminen-te; tutto diviene strumento per tale scopo,dalla diffusione dell’immoralità che abbassal’uomo al livello del bruto, alla stampa; daglispettacoli inverecondi ed osceni alla droga;insomma ogni vizio è utile per togliere ai po-poli la facoltà di ragionare.

USA e giudeo-massoneria

Beniamino Franklin (che pure era masso-ne) diceva agli Americani nella ConvenzioneCostituzionale di Boston del 1789: «Se gliebrei non sono esclusi dagli Stati Uniti… frameno di cento anni ci governeranno e ci di-

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struggeranno… io vi avverto… se voi non eli-minate [tramite costituzione o soluzione fina-le geografica e non fisica n.d.a.] gli ebrei… ivostri figli e i figli di essi vi malediranno nellevostre tombe. Le idee degli ebrei non sonoquelle degli americani» (85).

E quando si parla di Americani non biso-gna confondere il popolo americano, primavittima della giudeo-massoneria, con i gover-nanti, per la maggior parte massoni ed ebrei.

Il problema americano

Tuttavia occorre sapere che in America vi èun vero problema: il culto della libertà. La li-bertà, intesa non come facoltà con la quale sisceglie il mezzo migliore per fare il bene, macome “licenza” o libertinaggio: il voler faretutto ciò che piace, anche il male; la libertà direligione, di culto o di espressione. «L’attacca-mento alla libertà [scrive un sacerdote america-no, n.d.a.] rappresenta... l’essenza della culturaamericana» (86). Tale idolatria non è solo ameri-cana; purtroppo oggi tutte le democrazie euro-pee sacralizzano la libertà. Il culto della libertàè strettamente collegato con la Massoneria(anche quella americana), che tende a liberarel’uomo dalla “tirannia” della Chiesa cattolica edi Gesù Cristo! La cultura americana è stataimpregnata di princìpi contrari alla Fede catto-lica, grazie all’influsso che hanno avuto inAmerica la Giudeo-massoneria e il Prote-stantesimo, prima che il Cattolicesimo potesseimpiantarvisi e prosperare. Anche il clero ame-ricano non è stato risparmiato da quest’influs-so. Nel XIX secolo il clero era diviso in duetendenze: i cattolici-liberali e gli anti-liberali. Iprimi facevano proprio il culto della libertà (omeglio della “licenza”); mentre gli anti-liberalilo rifiutavano perché indeboliva la purezzadella Fede. Purtroppo furono i cattolici-liberalia prevalere. Quindi il Cattolicesimo che si è svi-luppato in America ha fatto astrazione (nellamaggior parte dei casi, tranne le debite eccezio-ni) dal principio cattolico della sottomissionedello Stato all’unica vera Chiesa, quella fondatada Gesù Cristo, cattolica apostolica e romana.Essa solo ha diritto alla libertà (poiché solo laverità ha diritti, non l’errore); le altre confessio-ni possono essere tollerate per impedire undanno più grande, ma non sono soggetto di di-ritto. Gesù è Re, non solo del singolo fedele,ma della società dalla quale riceve un cultopubblico, e questo culto è unicamente quelloche Lui ha istituito: il cattolico-romano. Invecein America il diritto alla libertà di azione per

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tutte le scuole di pensiero e le diverse confes-sioni religiose è considerato sacrosanto ancheda una gran parte del clero (e prima ancora delConcilio Vaticano II). Purtroppo anche i catto-lici in America hanno accettato la cultura pro-testante e massonica preesistente negli U.S.A.e vi sono tenacemente attaccati. Hanno cosìunito ciò che Dio aveva diviso: la Fede cattolicacon il culto della libertà assoluta. Rivelare que-ste verità significa forse denigrare l’America?Lascio la parola a don Sanborn (sacerdoteamericano): «Vi è nel sistema americano qual-cosa di assai imperfetto: essa è un Paese chenon professa pubblicamente e ufficialmentenessuna religione... Non è per nulla contrarioall’amore per la propria Patria, segnalare i suoierrori, particolarmente quelli sistematici...Nessuno mi convincerà mai che l’indifferenzadel Governo americano riguardo a Dio siaqualcosa che piaccia a Dio stesso» (87). Quantosiamo lontani da certi “cattolici” italo-brasilianiche pur spacciandosi per “integristi” ci propon-gono come modello l’America, e il liberalismoconservatore americano; qualcuno di essi ègiunto persino a rivalutare la Massoneria ame-ricana perché tollerante in materia religiosa e,naturalmente, anticomunista e filo-latifondista!

Chi governa l’America?

In verità la nazione più fortemente sotto-messa agli interessi ebraici è oggi l’America,dove non sono i presidenti americani a gover-nare quanto invece il Governo centrale ebrai-co o ‘Kahal’, che a sua volta dirige i governiregionali o ‘Kehillah’, le logge e i governi.Paul Finley ha scritto: «Il primo ministrod’Israele ha molta più influenza sulla politicaestera degli Stati Uniti in Medio Oriente, chenel suo Paese» (88). Alain Cotta: «Negli StatiUniti, dove vivono sei milioni di ebrei, il lorovoto, può essere determinante perché la mag-gioranza elettorale... può essere raggiunta gra-zie ad uno scarto del 3 o 4%... Nel 1988 le ele-zioni americane per il Senato richiedevanouno sforzo pubblicitario di 500 milioni di dol-lari» (89). Wrofsky asserisce: «La lobby più po-tente ufficialmente accreditata in Cam-pidoglio è l’American Israel Public AffairsComitee» (90). L’ex primo ministro ingleseClement Attlee fece a suo tempo questa di-chiarazione: «La politica degli Stati Uniti inPalestina era modellata dal voto degli ebrei edalle sovvenzioni delle più grandi ditte ebrai-che» (91). John F. Kennedy, nel suo primo in-contro con Ben Gurion gli disse: «So che sono

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stato eletto grazie al voto degli ebrei america-ni: devo loro la mia elezione. Ditemi che cosadevo fare per il popolo ebraico» (92). DopoKennedy, Lyndon Johnson si spinse ancorapiù lontano. Un diplomatico israeliano scrisse:«[con la morte di Kennedy n.d.a.] abbiamoperso un grande amico, ma ne abbiamo trova-to uno migliore... Johnson è il migliore amicoche lo Stato ebraico abbia mai avuto alla CasaBianca» (93). Infatti Johnson appoggiò larga-mente la guerra dei sei giorni. Oramai il 99%degli ebrei americani difendeva il Sionismo:«Essere ebrei oggi significa essere legati aIsraele» (94). Anche Carter continuò per lastessa via e alla sinagoga di Elisabeth affermò:«Onoro lo stesso vostro Dio. Noi (battisti)studiamo la stessa vostra Bibbia... La soprav-vivenza d’Israele... è un dovere morale»(95).Paul Finey, nel libro They are do speak out,pubblicato nel 1985, ha descritto l’attuale fun-zionamento della lobby sionista e il suo pote-re. Questa vera e propria «succursale del go-verno israeliano» controlla il Congresso e ilSenato, la Presidenza della repubblica, il di-partimento di Stato e il Pentagono, così comei media, ed esercita la sua influenza tantonelle Università quanto nelle Chiese. Nessunadecisione concernente Israele può esserepresa, a livello esecutivo, senza che sia subitoconosciuta dal governo israeliano.

Georges Virebeau ha scritto un interes-sante libro che s’intitola: Mais qui gouvernel’Amerique? In esso si può leggere: «L’Ame-rica vuole dominare il mondo!... La verità èdiversa: non sono gli Americani, il popoloamericano, che vuole dominare il pianeta, male forze che governano l’America» (96). L’au-tore dimostra con numerose citazioni chel’alta finanza controlla il Partito Democraticoe quello Repubblicano, e quindi la politicaamericana. I rappresentanti dell’alta finanzasono Lehman, Baruch, Rosenwald, Gug-genheim, Rockefeller, Lewinsohn...

«Bernard Baruch, del B’nai B’rith, era ilnumero uno del brain trust del presidenteRoosvelt, del quale facevano parte circaaltri sei membri dell’Ordine massonico-ebraico» (97).

«Il presidente Gerald Ford, massone,aveva raggiunto il 33° grado quando prese ilposto di Nixon.

Carter entrò alla Casa Bianca nel 1977...Era stato scelto e lanciato dalla Trilaterale...Nel 1978, Jimmy Carter chiamò al suo fiancoun nuovo consigliere, Edward Sanders, che la-sciò la presidenza dell’American Israel Public

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Affairs Comittee, un’organizazione controllatadal B’nai B’rith, per diventare ufficialmente ilconsigliere del Presidente» (98). QuandoRonald Reagan arrivò alla Casa Bianca, purnon essendo affiliato alla Trilateral, o alC.F.R., o al Bildberg o al B’nai B’rith e neppu-re alla Massoneria, non ruppe con le abitudiniprese dai suoi predecessori: infatti il suo ViceGeorge Bush, era membro del C.F.R. e dellaTrilateral; il suo Segretario di Stato, il generaleHaig, era un adepto del C.F.R., come il suo se-gretario al Tesoro, Donald T. Regan; il suo se-gretario alla Difesa, Weinberger, era dellaTrilateral. Per quanto riguarda Clinton il 16settembre 1992 il Jewish Post scriveva: «Susette consiglieri di Clinton cinque sono ebrei».Nel 1995 i consiglieri ebrei sono nove su dieci.Nel dicembre 1996 Clinton cambia Segretariodi Stato e sceglie Madeleine Albright, ebreanata in Cecoslovacchia (99).

Evidentemente i Presidenti passano, leSocietà segrete restano... «C’è a Washington,una forza più discreta, ma stranamente piùpotente del Presidente della Repubblica:sono le Società segrete, che hanno infiltratoil Governo, il Parlamento e che dettano let-teralmente la loro legge ai rappresentanti delpopolo americano» (100).

L’anticlericalismo

La Chiesa cattolica è il principale nemicodella giudeo-massoneria il cui progetto spe-cifico è di «…lavorare senza tregua per di-minuir[ne] l’influenza. Conviene dunque im-primere nella mente di coloro che professa-no la Religione cristiana le idee di liberopensiero, di scetticismo, di scisma e provoca-re dispute religiose. Logicamente convienecominciare col disprezzare i ministri di quel-la religione… provocando sospetti sulla lorodevozione, sulla loro condotta privata» (101).

È proprio della Sinagoga giudaica vede-re nel clero il suo nemico, come affermò giàSan Giovanni Crisostomo (102); il suo fine,secondo uno dei più grandi studiosi del rab-binismo, è «abbattere la Religione cristiana»(103). Per questo il Verminjon, rifacendosiall’opera dell’ebreo convertito Pèrgola (104),afferma che il Giudaismo non è una religio-ne ma una scuola di empietà.

Il rimedio

Di fronte ad una congiura di tali propor-zioni la salvezza dipende innanzitutto

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dall’intervento di Dio ed anche dalla nostracondotta di vita. Solo se gli uomini, coope-rando con Dio, cercheranno di reagire vin-cendo se stessi e lottando contro la tripliceconcupiscenza, il mondo e il demonio, po-tranno cambiare sostanzialmente le cose.Occorre comprendere che a partire dal dei-cidio il Giudaismo è mosso, nel suo odio aCristo, dall’invidia e dall’orgoglio, come giàaffermava San Tommaso (105), e anche at-tualmente esercita il ruolo di tentatore delleanime, quando non di flagello.

E noi cosa facciamo mentre il Santuariova a fuoco? Ci occupiamo purtroppo di unamiriade di cose contingenti, e forse ancheimportanti, ma non pensiamo a salvarci spe-gnendo il fuoco.

«Ah! Lasciate che sia io - scriveva S. LuigiMaria di Monfort - a gridare dappertutto: alfuoco, al fuoco! Aiuto, aiuto! Al fuoco nellacasa di Dio, al fuoco fin nel Santuario! Aiuto,il nostro fratello viene assassinato; aiuto, sistanno scannando i nostri figli; aiuto, il nostrobuon padre è pugnalato!… Exsurge, Domine,quare obdormis? Exsurge… Signore sorge-te… per formarvi uno stuolo scelto di guardiedel corpo, per proteggere la vostra casa, perdifendere la vostra gloria e salvare le anime,affinché ci sia un solo ovile e un solo pasto-re… Amen!» (106).

Scriveva il Verminjon: «Temo però assaiche il pretendere l’accortezza e la reazioneai nostri giorni, sia cosa affatto impossibile,essendo già forse, realmente, non più intempo. E ciò a causa della degradazione mo-rale a cui siamo arrivati, che ha fatto precipi-tare il livello dell’umano intelletto… aterra… Da sì fatta tenebra come uscirne?Altro non resterebbe che alzare di nuovo illivello della moralità e dell’intelligenza, mada simile cosa ahi, quanto ci troviamo di-stanti. Quante difficoltà ad essa si frappon-gono! Dio ci aiuti!… [Purtroppo] siamo re-stati sì lavati al cervello da non essere piùidonei ad udire cose serie… solo una forzasovrumana ci potrebbe ancora aprire gliocchi… O noi gridiamo oggi a gran voce o lanostra bocca resterà chiusa per sempre» (107).Certamente occorre aver coraggio e fortezzaper non lasciarsi intimidire dai sistemi usatidal nemico. Ad esempio secondo il Ver-minjon, spesso sono gli ebrei stessi ad orche-strare un’artificiosa campagna di antisemiti-smo per localizzare la più forte reazione alGiudaismo e per ottenere dai governi leggiin loro favore e per ridurre al silenzio chiun-

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que osi combatterlo, mobilitando governi,istituzioni e opinione pubblica. (E qui occor-re ribadire che l’antigiudaismo non ha nullain comune con l’antisemitismo e il pregiudi-zio razziale). Non bisogna tuttavia lasciarsiintimidire da queste manovre ma continuarea proclamare la verità, fosse anche usque adeffusionem sanguinis, ricordando che, seanche oggi si appare sconfitti e soccombenti,la vittoria alla fine non mancherà, perché èstata profetizzata da Nostro Signore GesùCristo Verità infallibile: «Portæ inferi nonprævalebunt».

Un patrono nella battaglia contro laGiudeo-massoneria: Padre Kolbe

«Ora che la luce è fatta ed il segreto èmanifesto, è tempo di aprire gli occhi sullagrandezza del pericolo e di riunire le forzedel Cristianesimo alla comune difesa. È que-stione di vita o di morte…Gli oratori e lastampa non legati al massonismo ebraicoparlino chiaro e tondo per illuminare chinon vede sulla macchinazione denunciata…ciò non vuol affatto offendere o venir menoalla carità… è legittima difesa non solo per icorpi ma più per le anime. È seguire l’esem-pio di Cristo, il quale ha avuto parole difuoco contro i dirigenti d’Israele.

Mancanza di carità… sarebbe invece man-tenere un glaciale silenzio sull’azione perverti-trice dei nemici di Cristo e della società» (108).

Di fronte alla diffusa e stupida obiezioneche anche Gesù Cristo era di stirpe ebraica eche perciò occorre venerare il Giudaismo edin esso vedere gli ebrei come fratelli maggio-ri, si deve rispondere con San Tommaso chenon si devono venerare gli angeli ribelli, inodio a Dio Padre, per il solo fatto che furo-no angeli.

Occorre invece, nella carità, mettere inguardia dai rischi del filo-giudaismo imperante;seguiremo in questo le orme di Padre Kolbe(109), che fu instancabile nel denunciare il peri-colo massonico e giudaico e nel richiamaretutti alla vera fede in Nostro Signore Gesù Cri-sto; «…a questo scopo concepì il proposito didedicarsi con tutte le sue forze a far diga controquesti movimenti… [e] in questa prospettiva…fondò la Milizia dell’Immacolata» (110). Il reli-gioso francescano ci ha lasciato un luminoso in-segnamento a riguardo del pericolo giudaico-massonico: «Negli anni precedenti la guerra... aRoma, la mafia massonica... spadroneggiava.(...) Non rinunciò... a sbandierare per le vie

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della città... un vessillo... con l’effigie di S.Michele Arcangelo sotto i piedi di Lucifero!(...) Neppure nello scrivere: “Satana governeràin Vaticano”» (111). Ed ancora rivolto ai masso-ni ed ebrei: «Signori massoni... riflettete... senon è meglio servire il Creatore... piuttosto cheobbedire agli ordini della crudele cricca ebrea,misteriosa, scaltra, mal conosciuta e che viodia? E a voi, piccolo manipolo di ebrei… chenascosti… avete provocato coscientemente giàtante disgrazie ed ancor più ne state preparan-do (...): quale vantaggio ne riceverete? ...Nonsarebbe meglio se anche voi, massoni... raggira-ti da un gruppo di ebrei, e voi capi ebrei, che visiete lasciati sedurre da Satana... riconosceste ilSalvatore Gesù Cristo...?» (112).

Che padre Kolbe ci sia di esempio ed in-terceda per noi ottenendoci la luce necessa-ria per scorgere il pericolo incombente sullaCristianità e la forza per agere contra perdiametrum, usque ad mortem.

Conclusione. Cristianesimo o Giudaismo:ecco la suprema alternativa!

Il Cristianesimo è in opposizione colGiudaismo molto più che col paganesimo ocon qualsiasi altra falsa “religione”. Infatti ilGiudaismo tramite la Càbala spuria e il Tal-mùd ha cercato di seppellire la Bibbia ed hamesso in croce Nostro Signore Gesù Cristo.

Il Cristianesimo è la religione che affer-ma la divinità di Cristo, il Giudaismo è il si-

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stema che la nega più radicalmente e la cro-cifigge: ecco perciò che l’opposizione traCristianesimo e Giudaismo non è soltanto dicontrarietà ma di contraddizione.

Di qui scaturisce la suprema alternativaper gli individui come per le nazioni: o san-tità cristiana o gnosi ebraica.

Termino con la citazione di un’orazionedella III Domenica di Quaresima tratta dalrito ambrosiano: «Oh quanto perfida, perti-nace, l’iniqua gente giudaica, che non vuolericonoscere il Padre celeste e si gloria nelladiscendenza... o ingrata gente! …noi al con-trario… abbiamo preso il posto e il regnodei giudei. Per Cristo Nostro Signore» (113).

Note

1) A. DALLE DONNE, Valenze etico-speculative del reali-smo metafisico, Marzorati, Settimo Milanese 1993, pag. 253.

2) A. CAQUOT- E. GUGENHEIM - L. SESTRIERI, Storiadell’Ebraismo, a cura di H.C. PUECH, Laterza, Roma -Bari 1985, pag. 264.

3) A. CAQUOT- E. GUGENHEIM - L. SESTRIERI, Op.cit., pagg. 242-271 passim.

4) Ger. VIII, 8.5) ORIO NARDI, Il vitello d’oro, Linea diretta,

Milano 1989, pag. 53.6) SANTANGELO, L’ultima battaglia, Adrano

(Catania) 1985, pag. 27.7) F. G. DE QUEVEDO, Obras completas, Madrid

1945, citato da GIOVANNI VANNONI, Le società segretedal ‘6oo al ‘900, Sansoni, Firenze 1985, pagg. 44-365.

8) A. ROMEO, Il Giudaismo, in Il presente e il futurodella Rivelazione biblica, Roma-Parigi-Tournai-New-York 1964, pagg. 204-242.

9) Mt. XXIII, 15 e 33.10) Gv. VIII, 44.11) I Tess., II, 155.12) Atti, II, 14-40.13) Ap. II,9 -III,9.14) Deut. XXXII, 1-33; Is. I, 21; X, 5-11; Ger. VI, 8-

19; XVIII, 13-17; Ez. IX, 9-22.15) Os. X, 15.16) Giov. V, 45.17) D. PERGOLA, L’antisemitismo e i torti degli ebrei,

Torino 1889, pag. 4.18) O. NARDI, Gnosi e Rivoluzione, Grafiche

Pavoniane, Milano 1991, pag. 13.19) Cfr. Sodalitium, n°36, pag. 14-21.20) A. DALLE DONNE, op. cit., pagg. 285-6. 21) Ger. II, 125.22) O. NARDI, Il Vitello d’oro, pag. 250.23) B. MARIANI, L’ateismo degli Angeli, in AA.VV.

Ateismo e Bibbia, Assisi 1988, pag. 220.24) S. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, 133, 6, trad. di

G. Visonà, Milano-Torino 1988, pag. 370.25) Cfr. San Tommaso, Somma Teologica, 1a q. 94

a. 1; 2a 2æ q. 2 a7.26) At. VIII, 18 segg.27) P. C. LANDUCCI, Cento problemi di fede, Assisi

1962, pag. 238.28) Come aveva già fatto con Voltaire, ad esempio.29) Sulla morale talmudica si vedano le citazione di

mons. Pranaitis in Sodalitium n° 36, pagg. 14-21.

Tomba del P. Tomaso da Sardegna a Damasco

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30) Secondo Freud occorre sbarazzarsi di ogni imposi-zione religiosa, in particolare della «Torah». Qui si scorgeil carattere anti-veterotestamentario del Giudaismo post-cristiano, che ha rotto non solo con Cristo, ma anche conMosè (come Gesù stesso insegnò nel Vangelo).

31) Quanti suicidi di tanti poveri ragazzi giovanissi-mi, ormai incapaci di sopportare un rimprovero dei ge-nitori o un brutto voto a scuola!

32) “Cui servire regnare est”.33) Pio XII, Per l’anniversario di Rerum Novarum,

giugno 1941.34) S. PIO X, Enciclica ai Vescovi d’Italia, 11/06/1905.35) DOM CHAUTARD, L’anima di ogni apostolato,

ed. Paoline, Roma 1958, pag. 173.36) Ibid., pag.193.37) Dal sanscrito “pr-nâm”: pienezza, moltitudine.38) Se siamo in dieci sulla cupola di S. Pietro e sei

decidono che dobbiamo buttarci giù, devo farlo anch’io,mio malgrado, in base al principio che la maggioranzaha sempre ragione.

39) A. DALLE DONNE, op. cit., pag. 281.40) Sanhedrin Jerosol. 22 a.41) Gv. XI, 45-53.42) Gv. XII, 12-31.43) A. DALLE DONNE, op. cit., pag. 282.44) A. DALLE DONNE, op. cit., pag. 285.45) Shalom, 30 aprile 1994, pag. 13.46) A. DALLE DONNE, op. cit., pag. 289.47) O. NARDI, Il Vitello d’oro, ed. Linea diretta,

Milano 1989, pag. 24. Si veda anche J. LOMBARD, Lacara oculta de la Historia Moderna, Fuerza Nueva,Madrid 1979, vol. I, pagg. 117-177 e 235-253.

48) O. NARDI, op. cit., pag. 103.49) O. NARDI, op. cit., pag. 25.50) Il magistero episcopale si è così espresso riguar-

do alla società multietnica: «L’unità del Paese nellavera fede costituisce il più alto dei suoi valori spirituali.Tale unità può essere spezzata se si aprono le frontierea correnti immigratorie che vengano a costituire dei tu-mori religiosi!… A totale detrimento spirituale dellepopolazioni cattoliche» . Mons. ANTONIO DE CASTRO

MAYER, Vescovo di Campos, in Problemi dell’Apo-stolato moderno, Parma 1964, pag. 95.

51) O. NARDI, op. cit., pag. 104.52) Si conoscono i nomi dei partecipanti italiani: a

Cesme, in Turchia, dal 25 al 27 aprile 1975, troviamoGiovanni Agnelli, Guido Carli, Roberto Ducci, GiorgioLa Malfa, Arrigo Levi; a Villa d’Este il 24 aprile 1965,Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Franco MariaMalfatti, Alberto Pirelli; a Megive, in Francia, dal 15 al21 aprile 1974, Enzo Bettiza, Alberto Ronchey ; aTorquay in Inghilterra dal 22 al 24 aprile 1976, TinaAnselmi, ad Aquisgrana da 10 al 12 aprile 1980,Giorgio Benvenuto, Barbara Spinelli, Romano Prodi.

53) O. NARDI, op. cit., pag. 204.54) O. NARDI, op. cit., pag. 215.55) Tutti o quasi parlano della P2 come di un’organiz-

zazione massonica di “destra” rifacendosi al passato diLicio Gelli, già milite volontario nella guerra civile spa-gnola contro i comunisti e poi come aderente alla RSI.

Tuttavia «nel 1944 era passato a collaborare con ipartigiani, in particolare con gli uomini del PCI pistoie-se (…) Si era quindi trasformato in delatore dei suoiantichi camerati, stabilendo un contatto con i servizi se-greti italiani» [M. TEODORI, P2: la controstoria, ed.Sugarco, Milano 1986, pag. 19]. Un Gelli quindi ambi-valente, nel contempo fascista e comunista, democri-stiano e informatore dei servizi segreti italiani? No,

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semplicemente massone e in quanto tale “trasversale adogni partito” od organizzazione.

E così non stupisce di saperlo in contatto col KGB[PIERRE DE VILLEMEREST in Centre Europeen d’infor-mation, 7 giugno 1994, n° 6, pag. II], né di apprendereche durante la sua militanza nella R.S.I. era munito di«attestato di un’associazione ebraica all’“eroico amico”che ha liberato dei prigionieri ebrei» [GIANCARLO

PENNA, in Il Giornale, 22 agosto 1994, pag. 3]. « Il primo giro di valzer Gelli lo compie (…) tra il 1943

e il 1945 trasformandosi da repubblichino a collaboratoredei partigiani nonché protetto dal P.C.I.. (…) il secondogiro di valzer Gelli lo compie alla Maddalena dove, nelsettembre del 1945, viene arrestato per reati commessi dacollaborazionista. Su propria iniziativa, al primo interro-gatorio dei carabinieri fornisce una dettagliata lista di 56collaborazionisti della RSI e dei nazisti, dettagliando perognuno fatti e atteggiamenti» [M. TEODORI, op. cit. pagg.54 - 57]. Il 29 settembre 1950 il Centro di controspionag-gio di Pistoia invia al Sifar centrale una nota su Licio Gelli“sospetto agente del Kominform”, descrivendolo comeun personaggio “capace di compiere qualunque azione”,che nel 1944 ha iniziato la collaborazione col P.C.I. e cheancor oggi svolge attività in favore dei Paesi dell’Est co-munista [cfr. M. TEODORI, op. cit., pag. 55]. Inoltre, secon-do il Teodori sono in qualche modo legate alla sua perso-na ventiquattro morti sospette.

Meritano attenzione il libro di ROBERTO FABIANI, Imassoni in Italia, ed. Libri dell’ESPRESSO, Milano 1978,[che mette a nudo l’odio di Gelli per i preti e i suoi rap-porti con Jimmy Carter, il duca di Kent, Gran maestrodella Gran Loggia Unita d’Inghilterra, e la maggiorparte dei politici italiani], quello di Enrico NASSI, LaMassoneria in Italia, ed. Newton, Roma 1994, e quellodi CECCHi, Storia della P2, Ed. Riuniti, Roma 1985.

56) J. STIMPELE, La Chiesa cattolica e la Massoneria,in “Quaderni di Cristianità”, primavera 1986, n° 4, pag.45 e segg.

57) Vi era quasi tutto il vertice delle forze armate edei servizi segreti.

58) M. GAMBINO, La loggia P2: la storia e i docu-menti,. Libera Informazione editrice, supplemento al n°12 di Avvenimenti, anno V, pag. 5.

59) M. GAMBINO, op. cit., pag. 9.60) M. GAMBINO, op. cit., pag. 17.61) M. GAMBINO, op. cit., pag. 13.62) Da IL GIORNALE, 14/5/1994, pag. 11.63) O. NARDI, op. cit., pag. 237.64) H. DELASSUS, Il problema dell’ora presente, De-

sclée, Roma 1907, II vol. pag. 406.65) Cf. Archives Israelites, 1861.66) Revue de Paris, ann. 35, n° 2, pag. 574.67) I. LOEB, La Litérature des pauvres dans la Bible,,

Paris , 1892, pag. 218.68) Die Geheimnisse, 3° ed. 1919, pag. 17.69) In The Macabean citato da O. NARDI, op. cit. pag. 241.70) J. BIDEGAIN, Grand Orient, ses doctrines et ses

actes, pag 186, citato in DELASSUS, Op. cit., pag. 373.71) J. IZOULET, Paris capital des religions, ou la mis-

sion d’Israel, Albin Michel, Paris 1926, pag. 73.72) VERMINJON, Le forze occulte che manovrano il

mondo, tip. S.A.T.E.S., Roma 1970, pag.6.73) La Stampa, 4 novembre 1994, pag. 20.74) Cfr. MONS. G. B. PRANAITIS, Christianus in

Talmude Juddeorum, Pietroburgo 1842.75) Country Magazine, n° 3-4, 1928; citato in

VERMINJON pag. 23.76) VERMINJON, op. cit., pag. 28.

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77) Cfr. SVETONIO, Vite dei Cesari.78) De superstitione, ed. Bipont, 1782, vol. IV, pag. 423.79) cfr. TACITO, Annales, cap. 61, libro X.80) TERTULLIANO, Scorp., c. X.81) VERMINJON, op. cit. pagg. 29-31. Cfr. Anche U.

BENIGNI, Storia sociale della Chiesa, cit. in Sodalitium,n° 43, pagg. 29-33.

82) BERNARD LAZARE, L’Antisemitisme, Documentset Témoignages, Vienne, 1969.

83) Cf. Sodalitium, n° 34, pagg.18-34. 84) “Le grandi forniture americane all’URSS di navi,

armi, macchine, utensili, ecc… passarono tutte attraver-so la Famiglia Karp”. [VERMINJON, op. cit. pag. 43].

85) Citato in VERMINJION, op. cit., pag.73.86) D. SANBORN, The cult of liberty, in Sacerdotium,

n° XIV, pag. 2. 87) Ibid., pagg., 41-42. 88) P. FINLEY, They dare to speak out, Chicago,

Lawrence Hill, 1989, pag. 92.89) A. COTTA, Le capitalisme dans tous ses etats,

Paris, Fayard, 1991, pag. 158.90) MELVIN I. WROFSKY , We are one! American

jewry and Israel, New York, Ander Press-Doubleday,1978, pag. 265.

91) C. ATTLEE, A Prime Minister Remember,Londra, Heinemann, 1961, pag. 181.

92) E. TIVNAN, The lobby, pag. 5693) I. L. KENAN, Israel’s defense line, Buffalo,

Prometheus, 1981, pagg. 66-67. 94) S. AVINERI, The Making of Modern Sionism,

New York, Basis Book, 1981, pag. 219. 95) The Time, 21. 06. 1976. 96) G. VIREBEAU, Mais qui gouverne l’Amerique?,

ed. Henry Coston, Paris, 1991, pag. 3.97) Ibid., pag. 5.98) Ibid., pag. 11.99) Il Foglio, 11, dic. , 1996. La Stampa, 5, febb., 1997. 100) G. VIREBEAU, pag. 14. 101) Discorso-programma tenuto dal Rabbino

Reicborn nel ‘Raleb’ di Praga nel 1880, e pubblicato daSir John Radcliff su Le contemporain l’1/7/1886. Cfr.VERMINJON, op. cit., pag.86.

102) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Contra Judeos, om. I.103) BUXTORFIUS SENIOR, Synagoga Judaica, Basi-

lea, 1603, pag. 24104) DANIELE PERGOLA, Gli ebrei popolo reietto e

maledetto da Dio, Torino, 1886.

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105) SAN TOMMASO D’AQUINO Super Matt. XXVII,18; n°233, Marietti, Torino 1951.

106) SAN LUIGI MARIA DI MONFORT, Preghiera in-fuocata, n° 28 -30.

107) VERMINJON, op. cit., pagg. 145-7.108) VERMINJON, op. cit., pagg. 183.109) «E difficile ritrovare nella storia degli ultimi de-

cenni una figura più eroica e più popolare di Massi-miliano Kolbe». In R. ESPOSITO, Santi e massoni al servi-zio dell’uomo, Bastogi, Foggia 1992, pag. 193.

110) Ibid., pag. 193.111) Gli scritti di Massimiliano Kolbe, Firenze, Città

di Vita, 1975-1978, 3° vol., pag. 771.112) Ibid., pag. 299.113) “Gli ebrei - scrivevano Giuliotti e Papini - non avreb-

bero preso il potere che hanno e non avrebbero tanta traco-tanza, se i cristiani fossero veramente cristiani e non avesseroadottato gli stessi valori giudaici. La conversione dei cristianial Cristianesimo porterebbe la fine del semitismo e perciòall’antisemitismo e forse la conversione degli stessi giudei allaVerità crocefissa in Giudea”. In GIULIOTTI - PAPINI,Dizionario dell’Omo selvatico, Firenze 1923, pag. 190.

VENTUNESIMA PUNTATA: “LA LOTTA PER ILCONCILIO DURANTE LA PREPARAZIONE”: LECOMMISSIONI PREPARATORIE

don Francesco Ricossa

“La Roma che tu conosci e dalla qualefosti esiliato non accenna a mutare,

come pareva che dovesse pur essere, allafine. Il cerchio dei vecchi avvoltoi, dopo ilprimo spavento, torna. E torna con sete dinuovi strazi, di nuove vendette. Intorno alcarum caput [Giovanni XXIII] quel macabrocerchio si stringe. Si è ricomposto, certamen-te” (1). Così scriveva don Giuseppe De Lucaall’arcivescovo di Milano, Giovanni BattistaMontini, il 6 agosto 1959, quando il pontifi-cato del loro comune amico, GiovanniXXIII, muoveva ancora i primi passi dopo lostorico annuncio del 25 gennaio dello stessoanno di un futuro concilio. Le parole di donDe Luca, che presuppongono una sintonia disentimenti nel futuro Paolo VI, ci mostranolo stato d’animo della cerchia di ecclesiasticivicini a Giovanni XXIII al momento di pre-parare il futuro concilio ecumenico: una av-versione che sfiora l’odio serpeggiava tra inovatori, diretta contro i “vecchi avvoltoi”annidati nel Sant’Offizio e nella Curia roma-na in genere. Si trattava forse di avversionipersonali, fondate però certamente su di un

P. Massimiliano Kolbe all’età di 19 anni

“Il Papa del Concilio”

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profondo dissidio dottrinale. Ancor primadel concilio, già la sua preparazione avrebbeinevitabilmente messo allo scoperto la laten-te opposizione tra due mentalità, due teolo-gie, due, potremmo dire, religioni diverse edopposte tra loro. E così fu.

Negli scorsi numeri di Sodalitium ho giàavuto modo di trattare della preparazioneufficiale al Vaticano II: sia della fase ante-preparatoria (1959-1960) (2), che di quellapreparatoria (1960-1962) (3), accennando aiprimi scontri che, proprio in quella sede, siebbero a proposito dello schema sulla libertàreligiosa (4) e di quello, temporaneamentesoppresso, sugli ebrei (5). Nel frattempo,però, sono stati pubblicati i primi due volumidella Storia del concilio Vaticano II (6), diret-ta da Giuseppe Alberigo, il primo dei quali(7) mi permette di approfondire questi temida me troppo superficialmente trattati fino-ra. Nel terzo capitolo di questo volume, perla bellezza di 202 pagine (da pag. 177 a pag.379), viene esaminato il lavoro della Com-missione centrale preparatoria; l’autore diquesto studio, Joseph Komonchak, gli hadato un titolo significativo che ho ripreso perquesta puntata della biografia roncalliana:La lotta per il concilio durante la preparazio-ne. Poiché di questo si è trattato: gli scontritra i Padri nell’aula conciliare, riferiti daigiornalisti di tutto il mondo, furono anticipa-ti, nella discrezione delle riunioni delle variecommissioni, durante il periodo preparato-rio. Un anticipo del concilio vero e proprio,dunque, particolarmente interessante per ilbiografo di A. G. Roncalli, che del VaticanoII presiedette solo la prima sessione, gesten-do invece pienamente la sua preparazione.

Il clima alla vigilia della fase preparatoria

Qual’era, innanzitutto, la situazione nellaChiesa nel periodo che va dall’annuncio delconcilio all’inizio della fase preparatoria? Arischio di ripetermi (ne ho parlato spesso,specie nel n. 36) voglio segnalare al lettorealcune notizie interessanti che si trovanonella Storia del concilio Vaticano II. Datempo esistevano due partiti; quello di colo-ro che volevano restare fedeli alla dottrinadella Chiesa, e quello dei riformatori, ansiosidi riconciliarsi con la mentalità del mondomoderno. Quanto a questi ultimi, già in oc-casione dei vecchi progetti di concilio sottoPio XI e Pio XII, vagheggiavano una riformasimile, almeno in parte, a quella che si rea-

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lizzò effettivamente col Vaticano II: il cardi-nale Ehrle auspicò “un allentamento dellamorsa antimodernista”; il cardinaleCostantini si augurò una “rivalutazione dellafunzione episcopale”, il “ritorno dei prote-stanti”, la “lingua vernacola nella liturgia”(8). Fouilloux, nella Storia del concilioVaticano II, segnala la nascita e l’espansionedei vari “movimenti” (biblico, liturgico, cate-chetico, ecumenico) che verranno “consacra-ti” dal Vaticano II, di una nuova “spiritualitàconiugale”, di una “nouvelle théologie”,segno di “un disagio” “percepibile” “findagli anni Trenta in seno al cattolicesimoNord europeo”. E Roma? Fino al 1950, neiconfronti di questi movimenti Roma “esitadi proposito tra la carota e il bastone”; daquella data, con l’enciclica Humani generis,predomina “il bastone” (9). All’annuncio delconcilio, i cardinali come Pizzardo auspicano“una ripresa dell’enciclica Humani generis”(10); i teologi “romani” si illudono di un con-cilio che, riprendendo il Vaticano I e le con-danne di Pio XII, liquidi la “nuova teologia”,che altro non è che una riedizione larvata delmodernismo (11). Ma un esponenente di spic-co del movimento ecumenico, domBeauduin, di cui ho già tanto parlato, credeche il “diplomatico eloquente e mondano”che aveva conosciuto in Oriente e a Parigi, eche era diventato ora Giovanni XXIII,avrebbe dato “la sua occasione” al movi-mento riformatore con il concilio (12). Le ri-sposte dei dicasteri della curia romana, deivescovi, dei nunzi e delle università cattoli-che alla consultazione della commissioneante-preparatoria del cardinal Tardini, i fa-mosi vota (13), riflettono anch’essi la divisio-ne succitata tra i vescovi e i teologi. Ho giàparlato di quelli dei vescovi italiani, in gran-de maggioranza fedeli all’insegnamento diPio XII (14). Fouilloux, che esamina i votaprovenienti dal mondo intero, distingue traquelli che intendono “coronare quattro seco-li di intransigenza” (predominanti in Italia,Spagna, Irlanda, paesi latino-americani ispa-nofoni...) e quelli che “vanno verso ilVaticano II” (specialmente nell’ “Europa delNord-Ovest”, Germania, Francia, Olanda -con l’Indonesia - e chiese di rito Orientale);meno omogenei i vota africani, asiatici, bra-siliani e statunitensi (favorevoli, questi ulti-mi, alla libertà religiosa). Divisi anche i supe-riori degli ordini religiosi: c’è un “contrastosbalorditivo” tra quello del domenicanoBrowne e quello del francescano Sepinski

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(mentre è abilmente “gesuitico” quello del...gesuita Janssens!). Ad un fronte (conserva-tore) appartengono le università romane delLaterano, dell’Angelicum, dell’Antonianum,del Marianum, del Salesianum, del S.Bonaventura, del collegio di Propaganda;all’altro, i gesuiti dell’Istituto Biblico (cheauspicano, tra l’altro, una “profonda trasfor-mazione del discorso cattolico sul giudai-smo) (15). Insomma, già in questo periodo vierano, seppur latenti, tutti gli elementi peruno scontro. Scontro che un deciso interven-to di Giovanni XXIII in favore dell’ortodos-sia (probabilmente allora ancora maggiorita-ria) avrebbe potuto evitare, reprimendo i co-nati neo-modernisti che ambivano utilizzareil concilio per i propri fini. Ma un attento os-servatore avrebbe potuto già capire ove an-davano le simpatie di Roncalli. Continuare ilVaticano I? No, poiché il concilio si chia-merà Vaticano II (16). Condannare gli errorineo-modernisti? No, perché il concilio sareb-be stato prevalentemente pastorale. E a con-ferma di ciò, egli aveva compiuto “una sceltagravida di conseguenze”: quella di non affi-dare la preparazione del concilio alSant’Uffizio, come aveva fatto invece PioXII solo una diecina di anni prima (nel1948), ma alla congregazione per gli affariecclesiastici, scelta che “lasciava trasparire lapreferenza del papa perché il concilio fossepreparato in un clima e con uno stile diversoda quello tradizionalmente dottrinario e in-transigente del S. Uffizio” (17). Chiaro-veggente, padre Congar scrisse nel suo dia-rio, dopo i primi atti di Giovanni XXIII, chequesti era “un papa [che] minacciava di ab-bandonare un certo numero di posizioni”(18). L’istituzione del Segretariato per l’unitàdei cristiani, affidato al cardinal Bea, pesòancora di più in questo senso nella fase suc-cessiva, quella direttamente preparatoria alconcilio. “Non si potrà tuttavia dimenticare -scrive a proposito Fouilloux - che il votumnon è il solo mezzo di cui dispongono i ve-scovi per preparare il concilio: al momentoin cui rispondono al card. Tardini, molti pre-lati sono occupati nel processo che porteràalla creazione del Segretariato per l’unità deicristiani, processo di ben altra importanza ri-spetto alle loro risposte alla consultazioneantepreparatoria, per quanto interessantiesse siano” (19). Con il Motu proprio SupernoDei nutu, del 5 giugno 1960, venivano costi-tuite le commissioni preparatorie, tra le qualiil segretariato di Bea.

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Quale ruolo per il Segretariato di Bea?

Come l’indica il nome stesso, le Commis-sioni preparatorie dovevano “preparare” glischemi da sottoporre all’approvazione deipadri conciliari. Ho già elencato (Sodalitium,n. 38, p. 11, 16a puntata) le Pontificie Com-missioni preparatorie del Concilio EcumenicoVaticano II, coi nomi dei loro presidenti e se-gretari. Esse erano inizialmente 10 (la cerimo-niale fu aggiunta in novembre) coordinate dauna Commissione centrale presieduta daGiovanni XXIII; a esse si aggiungevano tresegretariati, tra cui quello di Bea. Mentre leCommissioni ricalcavano i dicasteri dellacuria romana (tranne la commissionesull’apostolato dei laici, voluta espressamenteda Giovanni XXIII), i Segretariati erano unanovità. Due di essi (quello per i mezzi di co-municazione e quello per gli aspetti economi-ci e tecnici) erano di poca importanza; restavail Segretariato di Bea per l’ecumenismo. Findal discorso del 25 gennaio 1959, col qualeGiovanni XXIII manifestò la sua decisione diindire un concilio, Roncalli diede a quest’ulti-mo una finalità ecumenica, finalità ribadita inmolti discorsi successivi (19). Quale sarebbestato, allora, il ruolo del Segretariato perl’ecumenismo, nel preparare un concilio checontemplava tra i suoi scopi, per l’appunto,l’ecumenismo? Giovanni XXIII aveva prefe-rito chiamarlo “Segretariato”, anziché“Commissione” (20): cosa significava questadecisione? Un declassamento rispetto alleCommissioni, come sosteneva il card.Ottaviani, oppure un voler dare al Se-gretariato una maggiore libertà d’azione,come Giovanni XXIII aveva detto al cardinalBea? Il Segretariato avrebbe potuto fare deglischemi? Si sarebbe dovuto limitare a informa-re i non cattolici dell’andamento del concilioe della sua preparazione, o si sarebbe occupa-to della disciplina della Chiesa e persino delladottrina, che la Commisssione teologica delcardinal Ottaviani riteneva invece essere disuo appannaggio? Dal peso che il Segre-tariato avrebbe avuto nella preparazione delconcilio, sarebbe dipeso in buona parte l’indi-rizzo successivo del concilio stesso, tutti se nerendevano conto... Ora, Bea non solo riuscì,grazie a Giovanni XXIII, a proporre i proprischemi, ma cercò pure di influenzare quellidelle altre commissioni mediante le cosiddet-te “commissioni miste”. Fu proprio quest’ulti-ma novità a far esplodere i dissensi latenti.Ogni commissione, come vedremo, contava

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tra i suoi membri elementi “conservatori” edelementi “progressisti”: persino la commissio-ne teologica, roccaforte dei “conservatori”,annoverava tra i suoi dei progressisti e, vice-versa, la commissione liturgica e il segretaria-to di Bea, ove dominavano i “progressisti”,avevano nei loro ranghi qualche “conservato-re”. Tuttavia, la maggior parte delle commis-sioni, che ricalcavano i dicasteri della curia,era sostanzialmente fedele a Roma ed i pro-gressisti erano in minoranza. Fu allora cheBea trovò il modo di influenzare tutto il lavo-ro preparatorio a proprio vantaggio, profit-tando dell’istituzione di commissioni miste,che permettevano al suo segretariato di inter-ferire nel lavoro delle altre commissioni.

Le Commissioni miste e le ingerenze di Bea

L’esistenza di commissioni miste per lematerie di interesse comune era prevista dalsegretario della commissione centrale,Pericle Felici (21). Il cardinal Bea ne appro-fittò per cercare di far passare le sue ideenegli schemi delle altre commissioni. Lacommissione teologica, presieduta dal cardi-nal Ottaviani e corrispondente, nella curia, alS. Uffizio, rifiutò anche l’idea di una collabo-razione con altre commissioni. Il segretario,padre Tromp, ne spiegò i motivi nel febbraiodel 1961: la commissione “aveva l’esclusivacompetenza nelle materie dottrinali. (...) Le

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commissioni miste erano adatte quando lastessa questione disciplinare riguardava di-verse commissioni, ma non quando il temaera puramente dogmatico” (22). Semmai, pre-cisò Ottaviani, la commissione teologicaavrebbe dovuto rivedere gli schemi dellealtre commissioni per il loro contenuto teolo-gico. “Tromp non riferì pubblicamente allacommissione teologica che Ottaviani avevarifiutato la richiesta per una commissionemista con il segretariato per l’unità dei cri-stiani per un’altra ragione: quest’ultimo nonera una commissione. Manebimus - aveva ag-giunto il cardinale - domini in domo nostra”(22). In realtà il problema non era solo forma-le, di competenze, ma anche dottrinale:“Questa risposta - annota Komonchak nellaStoria del concilio - riflette la rabbia provatanella commissione teologica sulla propagan-da, come la chiamava Tromp, che Bea stavafacendo in favore delle sue opinioni sullacondizione di membro della Chiesa (23)” (22).La commissione di Ottaviani rifiutò ogni in-tromissione del segretariato di Bea, ad esem-pio, nella redazione degli schemi sulle fontidella Rivelazione e sulla Chiesa: ne seguì un“aperto contrasto” tra i due organismi (24).Non tutte le commissioni si opposero alleproposte di Bea. Quella per la disciplina deisacramenti formò una “commissione mistacon il segretariato per l’unità dei cristiani”.Ne conseguì la decisione di proporre alcunicambiamenti nel codice di diritto canonico“per evitare di offendere la sensibilità ecu-menica”; con ciò il presidente, cardinalMasella, sperava di accontentare il cardinalBea. Questi invece “dissentì immediatamen-te, non essendo d’accordo su numerosi puntiminori e su uno molto importante”, cioè “lariforma del canone che dichiarava invalidoun matrimonio misto celebrato extra formamcanonicam” (un cattolico che sposa una pro-testante, ad esempio, davanti al pastore pro-testante). La commissione per la disciplinadei sacramenti tenne duro, e rifiutò il sugge-rimento del segretariato (25). Senza conse-guenze, la collaborazione con la commissio-ne per gli studi e i seminari, presieduta dalcardinal Pizzardo (che era di tutt’altro indi-rizzo!) (26). La Commissione per le chieseorientali, presieduta dal cardinal G. Cico-gnani, avrebbe dovuto collaborare di più colsegretariato di Bea, non fosse altro perchéGiovanni XXIII aveva affidato a questacommissione le relazioni ecumeniche con gli“ortodossi”. Ma “ci fu un solo incontro senza

Giovanni XXIII si reca all’ultima seduta della III sessio-ne della Commissione centrale preparatoria preconciliare

(alla sua sinistra Mons. Felici, segretario generale della commissione)

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frutto tra la commissione per le chiese orien-tali e il segretariato per l’unità dei cristiani.A dispetto delle richieste del segretariato (...)la commissione (...) non prese alcun contattocon gli ortodossi fino al giugno 1961 (...).All’avvicinarsi del concilio papa Giovanni, inparte per desiderio degli ortodossi, sottrasseil compito di instaurare conversazioni conloro alla commissione per le chiese orientalie l’assegnò al segretariato per l’unità dei cri-stiani” (27). Tuttavia, malgrado il poco attivi-smo ecumenico della commissione, Bea riu-scì egualmente a far passare un suo votum infavore dei privilegi dei Patriarchi orientali (infunzione ecumenica e anti-romana) (28). Beaebbe vita più facile nei suoi rapporti con lacommissione liturgica, il cui segretario eraBugnini, il futuro padre della “nuova messa”.Qui il segretariato intervenne nella battagliacontro il latino nella liturgia, particolarmenteviolenta, come vedremo. Una sottocommis-sione liturgica del segretariato di Bea chiesenel febbraio del 1961 un “uso più largo possi-bile della lingua volgare”. In aprile scese incampo lo stesso Bea: “Bisogna insistere conforza - egli disse - contro l’idea che la lingualatina sia un segno di unità. Più che un segnodi unità essa è un segno di uniformità” (29). Inquesto, il votum del segretariato e il progettodella commissione liturgica erano concordi,pur contraddicendo Pio XII che aveva inse-gnato che “l’uso della lingua latina (...) è unchiaro e nobile segno di unità” (enc.Mediator Dei). Il segretariato di Bea riuscì,quindi, con i suoi “suggerimenti”, a influiresulle altre commissioni ma, bisogna dirlo,solo in parte. Gli schemi più importantierano infatti di spettanza della commissioneteologica. “Non ci fu cooperazione tra lacommissione teologica e il segretariato perl’unità dei cristiani (...)” conclude Ko-monchk, ed il segretariato “si sentì alla fineobbligato, una volta divenuto consapevoledella totale mancanza di sensibilità ecumeni-ca nella commissione teologica, a realizzaredei testi che rappresentavano una chiara eesplicita sfida alla pretesa della commissioneteologica sull’esclusiva competenza sulla dot-trina” anticipando così “lo scontro che sareb-be stato il dramma del primo periodo delconcilio” (30). E Giovanni XXIII? Egli nongradì l’atteggiamento della commisione teo-logica, che rifiutava le commissioni miste colsegretariato di Bea (31), ed autorizzò pertantoesplicitamente il segretariato a redigere isuoi schemi di “sfida” alla dottrina tradizio-

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nale, andando così “oltre l’esplicita formula-zione del Superno Dei nutu” col poter “pre-parare testi su temi centrali per l’ecumeni-smo” (31). Non sarà l’ultima volta che un in-tervento di Giovanni XXIII, andando controle leggi da lui stesso poste, favorirà netta-mente il partito ecumenista ipotecandol’esito finale del Vaticano II.

Il lavoro delle commissioni preparatorie

Per chiarire le idee al lettore, ricordo bre-vemente quale doveva essere il lavoro dellecommissioni preparatorie. La fase anteprepa-ratoria, diretta dal cardinale Tardini, aveva de-ciso, in base ai vota dei vescovi, i temi da trat-tare durante il concilio; il compito delle com-missioni preparatorie, istituite il 5 giugno 1960ma che iniziarono il loro lavoro solo il 14 no-vembre seguente, era di preparare gli schemidei futuri documenti conciliari che i Padriavrebbero dovuto approvare. Dopo che questidocumenti furono discussi e approvati dallesingole commissioni, essi vennero inviati allacommissione centrale (presieduta da GiovanniXXIII) che iniziò così i suoi lavori nel giugnodel 1961; a novembre dello stesso anno lacommissione centrale preparò il regolamentodel concilio, trattò delle materie miste edemendò gli schemi ricevuti, mediante il lavorodi tre sottocommissioni. Il periodo preparato-rio si chiuse così nel giugno 1962 (il 6 agosto fupromulgato il regolamento e l’11 ottobre ini-ziò il concilio stesso). Vediamo adesso “lalotta durante la preparazione” in seno a ognisingola commissione, iniziando da quelle cheebbero minore importanza, per soffermarcipoi sullo scontro dottrinale tra commissioneteologica di Ottaviani e segretariato per l’unitàdi Bea (l’esame del lavoro della commissioneliturgica è rinviato a una prossima puntata).

Le commissioni minori

La commissione sui vescovi. Essa ribadì ilprincipio teologico tradizionale secondo ilquale “mentre l’ufficio dei vescovi deriva di-rettamente dall’istituzione di Cristo, la giuri-sdizione particolare, della quale un vescovogodeva nella propria diocesi, proveniva dalpapa come sua causa prossima”; siamo quiben lontani dal concilio! Forte disaccordo cifu sulla questione, disciplinare, delle dimissio-ni da presentare una volta compiuti i 75 annidi età (32). Non mi dilungo sui lavori dellacommissione per la disciplina del clero (33).

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La commissione per i religiosi. Essa in-tendeva seguire la dottrina di Pio XII: lottaall’attivismo e al naturalismo, condannadell’opinione secondo la quale si dovevaonorare “più il matrimonio che la verginitàe il celibato” (34). Anche in questo caso, ilconcilio è lontano!

La commissione per la disciplina dei sa-cramenti. Ho già parlato della nefasta influen-za che esercitò Bea, riuscendo a formare unacommissione mista con la commissione per ireligiosi. Altra innovazione, la proposta deldiaconato permanente senza obbligo di conti-nenza: cinque membri della commissione sitrovarono in disaccordo con questa proposta,che è contraria alla tradizione apostolica (35).

La commissione per gli studi e i semina-ri. Decisamente avversa al neo-modernismofu la commissione presieduta dal cardinalPizzardo. Si denunciavano gli errori moder-ni: “il comunismo ateo, il socialismo, il natu-ralismo, il materialismo, il laicismo, il libera-lismo, lo statalismo, l’evoluzionismo, l’uma-nesimo esagerato, il razionalismo, il razzi-smo, l’intellettualismo, il volontarismo,l’agnosticismo e il pragmatismo”, si espone-vano “i diritti del magistero ufficiale delpapa e dei vescovi”, “regola prossima di ve-rità in materia di fede e morale”, si ricorda-va l’“assenso religioso interiore” dovuto“anche al magistero non infallibile” e si vo-levano ribadire e anche estendere le 24 tesidi san Tommaso (cosa che venne “fortemen-te criticata” in commissione centrale!) (36).

La commissione per le missioni. La com-missione del cardinale Agagianian, rifiutan-do le nuove idee sulle missioni, ribadiva l’in-segnamento del magistero al proposito e ri-fiutava la “collaborazione” con le altre com-missioni. Si sottolineava l’unicità del ruolodel papa nella cura delle missioni (provocan-do, in commissione centrale, le ire del cripto-scismatico Maximos IV Saigh). Ci furono sì“disaccordi” (tra Paventi, Buijs e Kowalskida un lato, e Seumois dall’altro) ma gli sche-mi della commissione ribadivano comunqueil concetto di missione orientata alla salvezzadelle anime e alla plantatio ecclesiæ dipen-dente da Roma recepita dal codice di dirittocanonico, concezione “inaccettabile per ilConcilio” secondo Seumois e, ancor più,Congar. Infatti, il concilio attaccò, in seguito,la concezione tradizionale delle missioni (37).

La commissione sull’apostolato dei laici.“Questa commissione fu aggiunta all’ultimomomento alle commissioni preparatorie per

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espresso desiderio di papa Giovanni” (nota au-tografa del 1 giugno 1960). “Probabilmenteperché non corrispondeva a nessuna congrega-zione romana, solo il 10% del suo personaleproveniva dalla curia”. Tuttavia, “era evidentel’assenza dei teologi che nel precedente decen-nio avevano fatto i maggiori sforzi per ap-profondire la teologia del laicato [in senso neo-modernista, n.d.a.]: Congar, Philips, Rahner,Schillebeeckx, von Balthasar e Chenu” (38).Faceva parte del personale, però, uno dei padridella libertà religiosa, Pavan. Non mancarono“forti disaccordi”; nell’elaborazione di untesto, il “principale oggetto della disputa fu lapartecipazione dei laici alle associazioni mistee neutrali per la giustizia sociale. Il testo finalesi dichiarava a favore dei difensori di questo at-teggiamento, almeno in determinati luoghi ecircostanze” (39), andando così contro uno deicapisaldi del pontificato di san Pio X.

La commissione per le chiese orientali. Diquesta commissione ho già avuto modo di par-lare al proposito della sua scarsa attività “ecu-menica”, in conseguenza di che GiovanniXXIII le tolse la cura dei rapporti con gli “or-todossi” per affidarla esclusivamente al segre-tariato di Bea. Questa commissione affidata alcard. Gaetano Cicognani, fu un indirettocampo di battaglia tra i due veri protagonisti(e antagonisti) del concilio e della sua prepara-zione: la commissione teologica di Ottaviani eil segretariato di Bea. Lo schema sui patriarchiorientali, ad esempio, porta le tracce delle dueposizioni antitetiche. Una prefazione al testo,redatta da “un piccolo gruppo di esperti roma-ni”, esponeva la dottrina cattolica conforme aquella della commissione teologica: “Per dirit-to divino ci sono solo due livelli di autoritàgiurisdizionale nella chiesa, il pontificatum su-premum e l’episcopatum subordinatum (iltesto diceva anche che i vescovi ricevono laloro autorità mediante Romano Pontifice).Tutti gli altri gradi di autorità esistono solo exinstitutione ecclesiastica. Tra questi era l’auto-rità dei patriarchi, un potere sovra-episcopaleche è una partecipazione all’autorità primazia-le del pontefice romano e pertanto soggetto alsuo potere di cambiarlo, aumentarlo o dimi-nuirlo”. Il testo stesso dello schema, invece, re-cepiva i suggerimente del “votum preparatoper l’unità dei cristiani”, pesantemente anti-romano e filo-orientale: valorizzazione delladignità patriarcale, soppressione dei patriarca-ti latini, precedenza dei patriarchi sui cardinalistessi, elevazione dei patriarchi al cardinalato.Altre riforme: nuovi riti, modifica della disci-

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plina dei matrimoni misti e della comunicazio-ne nelle cose sacre coi non cattolici, distinzio-ne tra chi promuove uno scisma e chi nasce inesso (considerato “in buona fede”) (40).

Segretariato per la stampa e i mezzi di co-municazione. Onore al merito al piccolo or-ganismo di Mons. O’Connor! “Sola tra tuttele commissioni preparatorie” concluse i suoischemi con “dei canoni (Si quis dixerit...) checensuravano quelli che non erano d’accordocon gli insegnamenti esposti...”. I canoni dicondanna, comuni a tutti i concilii precedenti,furono soppressi poi dalla commissione cen-trale (41). Il piccolo episodio la dice peròlunga sulla mentalità allora corrente.

La commissione liturgica e la battagliasul latino. Ne parlerò, a Dio piacendo, inuna prossima puntata dedicata alle riformeliturgiche di Giovanni XXIII.

La commissione teologica

Essa aveva come compito di investigare“le questioni riguardanti la sacra Scrittura, lasacra Tradizione, la fede e i costumi”(Superno Dei nutu) e corrispondeva pratica-mente alla Suprema sacra congregazione delSant’Uffizio. Era quindi, per natura, la roc-caforte dell’ortodossia cattolica, anche se, innetta minoranza, annoverava tra i suoi mem-bri i celebri esponenti della “nuova teologia”,Yves Congar o.p. e Henri de Lubac s.j., leidee dei quali erano state condannate da PioXII nell’enciclica Humani generis. La presen-za di questi teologi in una commissione che“sognava di conciliarizzare Humani generis”(42) lascia perplessi: fu dovuta a una pressionedall’alto (nel caso del cardinale Ottaviani,quindi, presidente della commissione, daGiovanni XXIII in persona) oppure fuun’idea di Ottaviani stesso per tenere sottocontrollo i due capi dell’opposizione e lasciarcredere che la sua commissione non era‘oscurantista’ come si diceva? (43). In ognicaso ciò dimostra come, sotto GiovanniXXIII, fosse divenuto impossibile ignorare oaddirittura censurare i “nuovi teologi”, comeinvece si fece (blandamente) sotto Pio XII.La prospettiva della commissione, tuttavia,restava quella di un concilio di condannadegli errori moderni, come durante ilVaticano I (44): le “pericolose teorie moder-ne” sulla sacra scrittura, “il comunismo, il lai-cismo, l’esistenzialismo ateo, il relativismomorale, il materialismo, il naturalismo, il libe-ralismo, il nazionalismo esagerato, il moder-

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nismo e la massoneria” (45). In venti mesi dilavoro la commissione produsse otto testi, cheesprimono la fede della Chiesa fino al pontifi-cato di Pio XII (incluso): una nuova formuladi una professione di fede e sette progetti dicostituzioni conciliari; tra di essi quelli sullefonti della rivelazione e sulla Chiesa verrannotrattati a parte, in quanto al centro degli at-tacchi eterodossi del segretariato di Bea; glialtri sono brevemente esaminati di seguito.

La nuova formula della professione difede (46). Essa esprime “un utile sommariodella visione della fede che i leaders dellacommissione teologica credevano necessariopresentare in risposta alla crisi dottrinale chevedevano intorno a loro”. Ottaviani nespiegò lo spirito: combinare la professione difede tridentina col giuramento antimoderni-sta (citato otto volte con la Pascendi) pre-stando attenzione soprattutto agli errori at-tuali (ricavati soprattutto dalla Humani gene-ris, citata sette volte). Dopo il credo Niceno-Costantinopolitano, seguivano tredici para-grafi, inquadrati da due sul magistero. A pro-posito del magistero, ricordava l’obbligo diaderire anche al magistero ordinario univer-sale e alle encicliche. Quanto agli errori, è im-pressionante vedere condannate idee oggidiffuse ovunque, se non addirittura approva-te o favorite dal concilio o dal post-concilio,tra le quali “il laicismo”, “il rifiuto della chie-sa cattolica come unica vera chiesa”, “lenuove teorie sulla salvezza dei bambini chemuoiono senza battesimo”, “i rilievi sui pec-cati della chiesa” (con i quali Giovanni PaoloII ci occuperà da qui al giubileo del 2000!),“l’abbandono della dottrina dell’inferno”...Nell’intenzione della commissione teologicaquesta professione di fede avrebbe dovutoessere approvata dal Papa prima del concilioed essere pertanto imposta a tutti i padri con-ciliari. “Tatticamente” si trattava di “un’azio-ne decisiva” che avrebbe ipotecato tutto ilVaticano II; questo, per Ottaviani, era legitti-mo, giacché la nuova professione di fede“non conteneva dottrine ancora discusse”,ma già insegnate dal magistero. Ma questoera il punto! La futura maggioranza concilia-re non accettava il magistero della chiesacome definitivo, e voleva rimetterlo in discus-sione. Presentata in commissione centrale(presieduta da Giovanni XXIII), la nuovaformula fu criticata severamente proprio per“il tentativo di chiudere molte questioni an-cora legittimamente discusse” facendo un“eccessivo ricorso all’autorità delle encicli-

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che”, che, evidentemente, si volevano affos-sare. Con “sdegno” si rifiutò soprattutto laproposta che la professione di fede fosse ap-provata prima del concilio (22 gennaio 1962).Ma ancora l’11 ottobre 1962, il futuro cardi-nale Ciappi, in un articolo su L’OsservatoreRomano, si aspettava che il Vaticano II fosseinaugurato con la nuova professione di fede:il giorno dopo, Giovanni XXIII, col famosodiscorso di apertura del concilio contro i“profeti di sventura” smentì, nel modo piùclamoroso, le illusioni dei buoni.

Lo schema sul deposito della fede (47).Scopo dello schema era “riprendere e svilup-pare l’insegnamento del Vaticano I o confer-mare, con la suprema autorità del concilio,gli insegnamenti della Pascendi [contro ilmodernismo] e dell’Humani generis, partico-larmente di quest’ultima, i cui tentativi dischiacciare la nouvelle théologie erano rite-nuti senza successo”. In questo, i periti dellacommissione teologica non avevano torto,poiché il Vaticano II approverà le tesi diquesta “nuova teologia” condannata da PioXII! Un capofila della “nuova teologia” eraproprio il futuro “cardinale” de Lubac,membro della sottocommissione che si dove-va occupare di questo schema. Ma egli era inminoranza, e si sentiva “come un ostaggio,talvolta anche come un imputato, in seno aquesta sottocommissione”. Da qui il fattoche l’amico Congar lo trovò, con Janssen eDelhaye, “scoraggiati e inaciditi” poiché, conun commento che fa trasparire il vecchioanimo gallicano, “è tutto un affare diRomani”, i quali non tengono conto dei sug-gerimenti del Lubac. Ma come farlo, d’altraparte? Incaricato di esporre gli argomenti ra-zionali sull’esistenza di Dio, Lubac si oppo-ne: “Il concilio non doveva tentare neppurein generale di tracciare le prove dell’esisten-za di Dio” (alle quali, modernisticamente, deLubac non credeva). Per de Lubac Teilhardde Chardin, il gesuita apostata, era un “au-tentico testimone di Gesù Cristo”; lo sche-ma, invece, aveva preparato la condannadelle sue tesi, ribadendo, tra l’altro, il mono-genismo (tutti gli uomini, cioè, discendonoda una prima coppia creata da Dio). Col-legata con questa dottrina, quella del peccatooriginale: un altro gesuita, dell’IstitutoBiblico, padre Lyonnet, aveva negato che inRomani 5, 12 san Paolo parlasse del peccatooriginale; Mons. Spadafora (Lateranense) gliricordò che questa era l’infallibile interpreta-zione del concilio di Trento! Anche questa

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tesi di Lyonnet avrebbe dovuto essere con-dannata. Conseguenza del peccato originale:il paradiso è precluso agli infanti morti senzabattesimo. Lo schema riaffermava questadottrina contro le recenti (1961) teorie diDander. E contro de Lubac stesso, “respin-geva gli errori che mettevano in discussionela gratuità dell’ordine sovrannaturale e nega-vano la sua necessità” e ribadiva il concettotradizionale di rivelazione come “dottrina” enon come “esperienza”. De Lubac capì chela condanna lo riguardava: “ma le energicheproteste sue e di Congar”, e persino le mi-nacce di dimettersi dalla commissione (maiattuate!) valsero a far cancellare quel testodallo schema!

Lo schema sull’ordine morale (48). Anchenel campo della teologia morale non manca-vano pericolose tendenze che Pio XII e ilSant’Uffizio avevano cercato di sradicare.Papa Pacelli aveva parlato dei pericoli di una“nuova morale” (1952) che il sant’Uffizio ad-ditò nella morale o etica “della situazione”(1956). Si tendeva a ripudiare il concetto diordine naturale e il valore delle norme ogget-tive. Padre Hürt (il principale collaboratore diPio XII nella stesura dei documenti sulla mo-rale), prese in mano i lavori della commissio-ne per ribadire le grandi linee del magistero,contro gli errori moderni (espressamente cita-ti Oraison e Teilhard). Per far ciò dovette iso-lare (e lo fece senza mezzi termini!) dei mem-bri o dei consultori favorevoli alle dottrinecondannate dal recente magistero: Häring,Janssen, Delhaye, dalle posizioni “incompati-bili” con quelle del resto della commissione!

Lo schema sulla castità, il matrimonio, lafamiglia e la verginità (49). Anche in questocaso, i teologi “romani” Hürt e De Lio dovet-toro lottare per imporre (solo nello schema!)le tesi del magistero, specialmente di Pio XI ePio XII, contro gli errori moderni: la “deni-grazione del sesso o la sua mistica esaltazio-ne, pansessualismo e sessuolatria, falso fem-minismo, la separazione del sesso dal matri-monio, il razzismo e l’eugenismo, lo psicolo-gismo, il libertinismo sessuale, il determini-smo biologico, il falso personalismo nelle ma-terie sessuali, il sensualismo edonistico e lapubblica immoralità”. I punti più attaccati: lanegazione dell’autorità paterna nella fami-glia, la negazione della superiorità della ver-ginità sul matrimonio, la questione della so-vrappopolazione e, soprattutto, quella dei finidel matrimonio. Alcuni autori infatti, sullafalsariga della filosofia personalista, cercava-

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no di negare alla “procreazione e educazionedella prole” il ruolo di fine primario del ma-trimonio che gli dà la natura; tra questi furo-no condannati von Hildebrand, Doms,Krempel, Michel ecc. Quando il solito Häringdifese, in sede di commissione, le nuove ideepersonaliste, molto opportunamente Hürt gliricordò che la sua posizione “contraddiceval’insegnamento della Chiesa”. È questa la tra-gedia del Vaticano II, che fonda la sua illegit-timità: esso si è permesso, come Häring, diconsiderare che il magistero della Chiesafosse l’opinione personale dei Papi che il con-cilio poteva liberamente affossare, dimentica-re e contraddire! E oggi gli errori del perso-nalismo sono apertamente professati daKarol Wojtyla nelle sue “encicliche” come semai Pio XII li avesse condannati! (50).

Lo schema sulla Vergine Maria (51). Ben280 vescovi avevano richiesto, nei vota per ilconcilio, la definizione solenne della media-zione universale di Maria, e 45 la definizionedella sua maternità spirituale. Lo schemaproponeva pertanto queste verità “contro iminimalisti e coloro che lo ritenevano un im-pedimento all’unità cristiana”. Tra gli errori,si condannava quello di negare la perpetuaverginità di Maria, anche durante e dopo ilparto. Discusso in commissione centrale, ci fuuno scontro proprio sulla dottrina concernen-te Maria Mediatrice: “Principali oppositorifurono Liénart, Montini, Godfrey, Ritter,Julian e Alter, parecchi dei quali fecerocenno alle difficoltà ecumeniche che la di-chiarazione avrebbe causato”. Ma la commis-sione teologica tenne duro: “Passare sotto si-lenzio questo punto [Maria Mediatrice ditutte le grazie] avrebbe provocato scandalo inmolti fedeli, in quanto ciò sarebbe venuto daun certo complesso di inferiorità verso i pro-testanti” mentre “riservare solo a Cristo il ti-tolo di mediatore sarebbe stata quasi una im-plicita confessione che la Chiesa aveva erratoper svariati secoli in materia di fede”!Sappiamo che Roncalli, ai suoi tempi, giudi-cava inopportune le definizioni dell’assunzio-ne in cielo di Maria e la festa della sua rega-lità (entrambe opera di Pio XII) (52); nessundubbio, quindi, che egli favorisse, nella com-missione centrale, le posizioni anti-marianedel futuro Paolo VI, vanificando l’esplicita ri-chiesta dei 280 vescovi di cui sopra...

Lo schema sulla dottrina sociale dellaChiesa (53). In esso non si doveva trattare deirapporti tra stato e Chiesa (cf lo schemasulla Chiesa). Fin dall’inizio ci furono dis-

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sensi tra i periti: “Pavan e Jarlot, che aveva-no preso parte alla preparazione dell’encicli-ca di papa Giovanni, Mater et magistra, in-contrarono l’opposizione di Tromp eGundlach, il principale autore dei documen-ti sociali di Pio XII, e invece escluso da uneffettivo ruolo nella preparazione della re-cente enciclica”. Pavan, futuro “cardinale” euno dei padri della dottrina (eterodossa)sulla libertà religiosa, fu nominato diretta-mente da Giovanni XXIII (54). Cosa ne pen-sasse Gundlach è chiaro da questa sua nota:“L’enciclica Mater et magistra, a causa dellasua natura più pastorale, non è assolutamen-te d’ostacolo a che anche nella Costituzionedogmatica venga proposta chiaramente ladottrina sociale della Chiesa sancita daiRomani Pontefici a partire da Leone XIII,anzi, in alcuni punti essa postula piuttostoquale complemento una esposizione dottri-nale fondata sui princìpi immutabili”. Lacommissione produsse due testi, presentatitardi in commissione centrale, e fondatisulla legge naturale e il “classico insegna-mento sociale della chiesa cattolica”.

Valutazione generale. La commissioneteologica era certamente la più importantedelle commissioni preparatorie, come ilSant’Uffizio era la “suprema” tra tutte lecongregazioni della curia. Nel suo seno ci fu-rono già i primi scontri tra difensori del ma-gistero (fino a Pio XII incluso) e rappresen-tanti della “nuova teologia”; ma questi ulti-mi erano minoritari e isolati. I guai iniziaro-

La preghiera dell’“adsumus” prima di una seduta dellaCommissione centrale preconciliare

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no con la commissione centrale, presiedutadallo stesso Giovanni XXIII: “Benché ilpresidente della Commissione teologica[Ottaviani] vi ripugnasse, è la Comissionecentrale, nettamente meno omogenea nellasua composizione, che aveva l’ultima parolain tutte le materie. La scuola romana vi eraancora in vantaggio, ma vi doveva difenderele posizioni a prezzo di dibattiti a volte tesi”(55). Ma se la commissione centrale costrin-geva la teologica a annacquare il suo vino, ilSegretariato per l’unità dei cristiani sarebbediventato un vero e proprio “contro-Sant’Uffizio” (56). Il segretariato e la com-missione liturgica costituivano “due organi-smi di spirito eterogeneo” rispetto agli altri,portatori di un progetto di Concilio non solodiverso ma opposto e contradditorio conquello della commissione teologica, comevedremo nella prossima puntata sugli sche-mi sulla Rivelazione e sulla Chiesa.

APPENDICI

Mentre scrivo l’interminabile biografiaroncalliana, nuovi documenti mi per-

mettono di completare quanto già detto nellescorse puntate. Ringrazio don DonaldSanborn, Olivier Saglio ed il prof. Zocco chemi hanno segnalato le fonti per queste tre in-teressanti precisazioni.

Roncalli e il modernismo (appendice alla 2ªpuntata, pubblicata sul n. 23 di Sodalitium).

Testimonianza del noto scrittore RomanoAmerio, perito del vescovo di Lugano al con-cilio Vaticano II, recentemente scomparso:“Sono a pranzo da mons. Jelmini con ilNunzio a Berna, mons. Gustavo Testa. Nellaconversazione conviviale si toccano ilManzoni e il Fogazzaro, per i quali il Nunziomostra vivo interesse. Dopo il pranzo, mons.Jelmini mi prega di accompagnare il Nunzioa visitare la Valsolda. Durante la gita che ciconduce alla villa di Oria e poi a tutte le chie-se della valle, mons. Testa mi narra cose diestremo interesse. È conterraneo, coetaneo,compagno di studi, amico intrinseco di PapaGiovanni XXIII che egli nomina sempre fa-migliarmente come Giovanni. (...) Della sim-patia di mons. Testa per il Fogazzaro è unatestimonianza singolarissima quella che eglimi narrò, aprendosi con me, estraneo, a con-fidenze che mi parvero indiscrete. Nel 1903,essendo entrambi chierici, Testa propose

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all’amico di far visita a Fogazzaro in compa-gnia di don Brizio Casciola. Erano gli anni incui il pensiero religioso dello scrittore era vi-vamente impugnato e molti ecclesiastici sim-patizzanti venivano, anche dall’estero, a visi-tarlo nella villa di Oria. Roncalli fu prontissi-mo a dissuaderlo, e le precise parole furono:Sei matto? Non capisci che compromettiamola nostra carriera? Appena rientrato aLugano, mi affretto a notare qui la stupefa-cente rivelazione. (Sabato, 20 giugno 1959)”(Romano Amerio, Zibaldone II, edizioni delCantonetto, Lugano, 1991, n. 227, pag. 37).Non si potrebbe riassumere meglio la perso-nalità di Angelo Giuseppe Roncalli, di comelo fa, involontariamente, il suo amicoGustavo Testa. La visita mancata a Fogaz-zaro si situa nel 1903, tra i due romanziPiccolo mondo moderno (1901) e Il Santo(1905, messo all’indice dei libri proibiti) ovel’eroe è l’eremita Piero, che rappresentavaappunto don Brizio Casciola, pionieredell’ecumenismo e della libertà religiosa,(nonché amico di Buonaiuti, futuro prete as-sistente alla prima messa di don Roncalli), dicui ho parlato in Sodalitium, n. 42, pag. 64.Don Roncalli non dissuase gli amici dalla vi-sita al Fogazzaro per motivi dottrinali, masolo per motivi di... carriera! Il sen. Andreottiha quindi ben colto le differenze tra Roncallie Buonaiuti quando scrisse che questi, a dif-ferenza dell’altro, “non seppe aspettarel’evolversi dei tempi e ruppe clamorosamentecon la Chiesa” mentre il suo amico bergama-sco divenne il “papa” vagheggiato nel Santodi Fogazzaro grazie alla sua prudenza e, è ilcaso di dirlo, alla sua ambizione.

Roncalli e la massoneria (appendice alla 19ªpuntata, pubblicata sul n. 42 di Sodalitium).

Il 26 settembre 1996, il signor OlivierSaglio ci ha spedito la traduzione francese diuna lunga intervista che gli è stata concessada Padre Malachi Martin a New-York, igiorni 12 e 17 settembre dello stesso anno.Secondo Malachi Martin, sia GiovanniBattista Montini che Angelo GiuseppeRoncalli sarebbero stati iniziati alla masso-neria, quest’ultimo da Vincent Auriol, aParigi. Ho potuto personalmente verificarele dichiarazioni scritte e firmate da MalachiMartin. Padre Martin, autore di molti libritradotti anche in italiano, già professore alPontificio Istituto Biblico, fu in stretto con-tatto col cardinale Bea dal 1958 al 1964,

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quando ancora apparteneva alla Compagniadi Gesù. Attualmente vive a New-York. Alpari delle altre testimoninze pubblicate neln. 42 di Sodalitium, non considero le affer-mazioni di Malachi Martin come una provadecisiva sulla affiliazione masssonica diRoncalli; esse meritano però di essere ag-giunte alle precedenti, aumentando il nume-ro dei testi a carico...

Roncalli e il B’nai B’rith (appendice alle 17ªe 18ª puntate, pubblicate sui numeri 40 e 41di Sodalitium).

È un vero peccato che abbia letto soloora, dopo aver già scritto le due puntate suirapporti tra Giovanni XXIII e il Giudaismo,il libro molto ben documentato di RabbiArthur Gilbert, The Vatican Council and theJews (The World Publishing Company,Cleveland and New York, 1968). Rabbinoricostruzionista, Arthur Gilbert è stato di-rettore del National Department of Inter-Religious Cooperation of the Anti-Defa-mation League of B’nai B’rith; un membrodunque del ben noto ordine massonico persoli ebrei. Nello scorso numero, ho riferito,a pag. 26, quanto scrive Beozzo (nella Storiadel concilio Vaticano II) citando, per l’ap-punto, il rabbino Gilbert, su di un incontrotra Giovanni XXIII e una delegazione delB’nai B’rith. Posso ora far riferimento diret-to al libro di Gilbert (specialmente allepagg. 34-36, 42 e 292). Il 24 dicembre 1959,vigilia di Natale, la sinagoga di Colonia, inGermania, fu imbrattata con delle svastiche.In breve, il fenomeno si ripetè in Germaniae negli Stati Uniti, provocando le consuetedichiarazioni di appoggio alla comunitàebraica da parte del Consiglio Mondialedelle Chiese, dell’arcivescovo “ortodosso”Iakovos (su di lui, cf Sodalitium, n. 44 pag.25), del luterano Dibelius e, tra i cattolici,dei vescovi statunitensi e del cardinalLiènart, che vi dedicò una lettera pastoraleanticipatrice del documento conciliareNostra ætate (cf La Documentation catholi-que 1960 coll. 297-302). Non si unì al coro laRadio Vaticana. Allora il B’nai B’rith puntòin alto, chiedendo e ottenendo una udienzada parte di Giovanni XXIII, concessa il 18gennaio 1960 (per una strana coincidenza, laConferenza episcopale italiana ha fissato al18 gennaio, dal 1990, la data annuale della“Giornata di riflessione e di approfondi-mento dei rapporti tra ebraismo e cristiane-

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simo”), per discutere del riemergere dell’an-tisemitismo dimostrato dalla “epidemia disvastiche” iniziata alla vigilia di Natale (il fe-nomeno sembra essersi ripetuto recente-mente con la profanazione delle lapidi prov-visorie del cimitero ebraico di Roma, profa-nazione avvenuta poco dopo la “messa” ce-lebrata per Erik Priebke dal sacerdote sale-siano don Composta. Sui quotidiani IlGiornale di Milano e Il Tempo di Roma èscoppiata una feroce polemica tra coloroche sostenevano che la profanazione era unamessinscena e quanti rispondevano indignatidi fronte a questa ipotesi). Gilbert riporta leseguenti parole di Giovanni XXIII rivoltealla delegazione del B’nai B’rith: “Voi sietedell’Antico Testamento e io del NuovoTestamento, ma spero che progrediremoverso la fraternità dell’umanità; io prego inquesto senso... I recenti avvenimenti mihanno molto rattristato e accorato, poichénon solo violano un diritto naturale dell’es-sere umano, ma rovinano anche la compren-sione tra fratelli davanti a Dio” (pag. 42).

Nel suo libro, Rabbi Gilbert espone e elo-gia le riforme liturgiche volute da GiovanniXXIII per favorire gli ebrei (pagg. 30-31), nonstima in generale i membri delle commissionipreparatorie, ma definisce conosciuti e ap-prezzati dalla comunità ebraica americanaJohn Coutney Murrey (padre della libertà re-ligiosa al Concilio), John McKenzie e JeanDanielou, uno dei pionieri delle relazioni giu-daico-cristiane in Francia (pag. 46). Ma sop-prattutto apprezza la creazione del Segre-tariato da parte di Giovanni XXIII: “Fu unaproposta rivoluzionaria”, scrive (pag. 49), ri-ferendo del discorso della Pentecoste del1960. Nel novembre del 1961 ebbero luogo icontatti tra il rappresentante di GiovanniXXIII, Agostino Bea, e quelli delle comunitàebraiche: Nahum Goldmann, per il CongressoMondiale Ebraico (WJC) e Label Katz per ilB’nai B’rith (BB) (pag. 56) Fu deciso l’inviodi un Memorandum di queste due associazio-ni (pag. 57) il 27 febbraio 1962; di questoMemorandum Gilbert cita le seguenti parole:“In quanto ebrei, consideriamo la lotta control’antisemitismo come parte integrante delleaspirazioni umane a un mondo migliore. Ciòche è per noi, e dovrebbe esserlo per laChiesa, una fonte di profonda afflizione, è ilfatto che, con qualche rara eccezione, l’agita-zione e gli incidenti antisemiti accadono neipaesi europei nei quali il Cristianesimo haavuto o ha la più forte influenza formatrice.

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Noi osiamo esprimere la convinzione che nelmondo contemporaneo, ovunque l’antisemiti-smo costituisce una minaccia per la comunitàgiudaica, sia nello stesso tempo anche unasfida alla Chiesa. Se ci rivolgiamo alla Chiesacattolica in particolare a riguardo della que-stione ebraica, ciò è perché nella sua liturgia,in molte formule dei suoi catechismi e in certepratiche commemorative, senza parlare deimanuali di devozione largamente in uso, sitrovano riferimenti denigratori degli ebrei edel loro posto nella storia. Purtroppo non sipuò negarlo: gli ignoranti e i malevoli posso-no mal interpretare o deformare e sfruttarequesti riferimenti per fomentare l’odio deglialtri e promuovere delle cause in aperto con-flitto con gli insegnamenti della Chiesa sullafratellanza tra tutti gli uomini” (pag. 57). L’American Jewish Committee inviò altri dueMemoranda, che riprendevano in dettagliol’analisi del B’nai B’rith: occorreva correggerel’insegnamento catechistico della Chiesa(“The image of the Jews in Catholic Tea-chings” del 27 giugno 1961) e la sua liturgia(“Anti-Jewish Elements in Catholic Liturgy”del 17 novembre 1961); Gilbert pubblicabuona parte dei due testi (pagg. 58-59) infor-mandoci ancora sull’influenza di rabbi Hechele di Jules Isaac; la risposta di Bea fu l’inclusio-ne dei desiderata degli ebrei nello schema deJudæis preparato dal suo segretariato (pagg.59-61). Dopo il provvisorio affossamentodello schema per l’intervento dei paesi arabi el’imprudenza dell’israeliano Wardi, GiovanniXXIII, come sappiamo, lo rilanciò, esentan-dolo da ogni controllo della commissione teo-logica. Gilbert è entusiasta dell’inizio delConcilio (pag. 67) e soprattutto del discorsodi apertura di Giovanni XXIII (quello controi “profeti di sventura, cf pagg. 68-71).Entusiasta, anche il rabbino Toaff che ricordòle richiesta già presentate dal memorandumdel BB: “Gli ebrei sperano che il Concilioprenderà delle decisioni che favoriscano lapace, la comprensione, la cooperazione e latolleranza tra gli uomini... Oggi, giudaismo ecristianesimo sono uniti in una stessa lotta persostenere la libertà religiosa, una delle espres-sioni fondamentali della civiltà”. Toaff esortòancora il Concilio a eliminare “tutte le espres-sioni denigratorie ancora presenti nella litur-gia e nell’insegnamento del catechismo... Gliebrei si aspettano ancora dai Padri delConcilio la condanna solenne e non equivocadi tutte le forme di antisemitismo...” (pag. 71).Il 19 ottobre 1962, ricorda Gilbert, Giovanni

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XXIII elevò il segretariato al rango di com-missione conciliare, mentre si delineava inConcilio una maggioranza che Gilbert chia-ma, esplicitamente, “liberale” (pagg. 72-73).Nella seconda sessione del Concilio, dopo lamorte di Giovanni XXIII, Bea potè presenta-re il suo capitolo sugli ebrei “non su nostrainiziativa, ma in ragione di un espresso ordinedi Papa Giovanni XXIII, di felice memoria”(pag. 96). I giochi erano fatti. Parlando dellamorte di Giovanni XXIII, Rabbi Gilbert potèscrivere: “Certamente, in tutto il corso dellastoria, nessun Papa aveva mostrato una atti-tudine di amicizia verso il giudaismo ed il po-polo ebraico così chiara e ferma comeGiovanni XXIII” (pag. 85).

Note

1) G. DE LUCA e G.B. MONTINI, Carteggio 1930-1962, a cura di P. VIAN, Brescia 1992, pag. 232, citato daGIUSEPPE ALBERIGO, L’annuncio del concilio. Dalle si-curezze dell’arroccamento al fascino della ricerca, inStoria del concilio Vaticano II, diretta da G. ALBERIGO,Il Mulino, Bologna, 1995, vol. I, pag. 38.

2) Sodalitium n. 36, XIV puntata.3) Sodalitium, n. 38, XVI puntata, pagg. 11-14.4) Sodalitium, n. 38, XVIpuntata, pagg. 13-14.5) Sodalitium, n. 41, XVIII puntata, pagg. 46-48.6) Vedi la nota 1. L’opera, a cura dell’Istituto per le

scienze religiose di Bologna, sarà pubblicata in cinquevolumi con la collaborazione di 51 autori, ed è edita invarie lingue grazie alla collaborazione delle case editriciIl Mulino, di Bologna, e Peeters, di Lovanio.

7) Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’an-nuncio e la preparazione (gennaio 1959-settembre 1962).

8) ETIENNE FOUILLOUX, La fase ante-preparatoria(1959-1960); Il lento avvio dell’uscita dall’inerzia, inStoria del concilio Vaticano II, op. cit., pagg. 79-80.

9) E. FOUILLOUX, op. cit., pagg. 96-105.10) GIUSEPPE ALBERIGO, L’annuncio del concilio.

Dalle sicurezze dell’arroccamento al fascino della ricer-ca, in Soria del concilio Vaticano II, op. cit., pag. 36.

11) E. FOUILLOUX, op. cit., pag. 110, che citaPiolanti, Gillon, Mayer, Di Fonzo, Roschini, Philippede la Trinité.

12) E. FOUILLOUX, op. cit. , pag. 104. Su domLambert Beauduin, cfr la 4ª e 7ª puntata su Sodalitium,n. 25, pagg. 23-26 e n. 28, pag. 20.

13) Occupano otto volumi degli Acta et documentaconcilio Vaticano II apparando.

14) Cfr Sodalitium, n. 36, pagg. 8-11 (14ª puntata).15) Ho qui riassunto quanto Fouilloux scrive da pag.

124 a pag. 164.16) Giovanni XXIII annotò questa sua decisione sul

suo diario il 4 luglio 1959, la comunicò a Tardini il 14luglio (che lo riferì ai presidi delle facoltà ecclesiastichetre giorni dopo) e l’annunciò pubblicamente in una al-locuzione nella basilica dei XII Apostoli del 7 dicembredello stesso anno. Cfr G. ALBERIGO, op. cit., pagg. 66-67). Come ho ricordato nelle scorse puntate, il Vati-cano I era stato solo sospeso da Pio IX nel 1870, e si eraprogettato più volte di portarlo a termine.

17) G. ALBERIGO, op. cit., pagg. 63-64.

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18) YVES CONGAR O.P., Mon journal, pag. 3, in G.ALBERIGO, op. cit., pag. 40.

19) Op. cit., pag. 112. Oltre a quanto già da me scrit-to sull’argomento (cf Sodalitium, nn. 37 e 38) si veda,sui precursori del Segretariato, G. ALBERIGO, op. cit.,pagg. 52 ss.

20) Sulla questione e la sua portata, cfr Sodalitium,n. 38, pag. 9 e nota 37.

21) J. KOMONCHAK, op. cit., pag. 183.22) ibidem, pagg. 183-184 e nota 27.23) Sulla questione, Sodalitium, n. 38, pagg. 9-11. Vi

tornérò nella prossima puntata.24) J. KOMONCHAK, pagg. 291ss.25) Ibidem, pagg. 199-200. Il nuovo “codice di dirit-

to canonico” ha recepito il desiderio del segretariatocon il canone 1127.

26) Ibidem, pag. 201.27) Ibidem, pag. 213; vedi anche pagg. 346-347: “In

realtà c’era stata ben poca cooperazione tra il segreta-riato per l’unità dei cristiani e la commissione per lechiese orientali sul tema degli osservatori o su qualsiasialtra questione”.

28) Ibidem, pag. 216.29) Ibidem, pagg. 234-235.30) Ibidem, pagg. 304-305.31) Ibidem, 377, e nota 631.32) Ibidem, pagg. 192-193.33) Essa intendeva riservare alla Santa Sede la que-

stione dell’ordinazione dei pastori protestanti convertitie alle conferenze episcopali quella dell’abito ecclesiati-co e della tonsura. Cfr ibidem, pag. 196.

34) Ibidem, pag. 198.35) Ibidem, pag. 199.35) Ibidem, pagg. 202-203, note 97 e 102.36) Ibidem, pagg. 205-208.37) Congar e Philips erano però membri della com-

missione teologica, e Rahner di quella sui sacramenti.38) J. KOMONCHAK, op. cit., pagg. 208-212.39) Ibidem, pagg. 213-217.40) Ibidem, pag. 218 e nota 158.41) CLAUDE BARTHE, Trouvera-t-Il encore la foi sur la

terre?, François-Xavier de Giubert ed., Parigi, 1996, pag. 80.42) Cf J. KOMONCHAK, op. cit., pag. 243, nota 245. Tra gli

“anti-romani” si possono contare anche G. Philips e L.Cerfaux (cf pagg. 249-249) C. Colombo, Häring, Delhayeecc. Divisioni, certo di minore importanza, ci furono pure trai rappresentanti della medesima “scuola romana”, opponen-do da un lato P. Tromp e l’Università gregoriana (gesuiti), edall’altra il S. Uffizio e la Lateranense (Parente, Piolantiecc.): cfr. KOMONCHAK, pagg. 242 n. 242, 245, n. 253, 248 ecc.

43) Ibidem, pag. 250.44) Ibidem, pag. 244.45) Ibidem, pagg. 252-256, nelle quali si trovano

tutte le citazioni che riporto su questo argomento.46) Ibidem, pagg. 256-262, come sopra.47) Ibidem, pagg. 263-268, come sopra.48) Ibidem, pagg. 268-264, come sopra.49) Sulle posizioni al proposito di Giovanni Paolo II, cf

Sodalitium nn. 38, 39, 40 rubrica “L’OsservatoreRomano”. Lo schema della commissione condannava, tral’altro, chi pensava che “la distinzione dei sessi” era “unadimensione dell’immagine di Dio nell’uomo” (op. cit., pag.272), tesi che è il vero “cavallo di battaglia” di Wojtyla!

50) J. KOMONCHAK, op. cit., pagg. 274-278.51) Cfr Sodalitium, n. 27, pagg. 21-22, e n. 29, pag. 6.52) J. KOMONCHAK, op. cit., pagg. 278-280.53) Ibidem, pag. 278, n. 356.54) C. BARTHE, op. cit., pag. 89.55) Ibidem, pag. 107.

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GLI ERRORI DI SI SI NO NO

SECONDA PARTE: IL MAGISTERO SECONDOL’ABBÉ MARCILLE

don Giuseppe Murro

Nel numero precedente di Sodalitiumavevamo annunciato una risposta all’ar-

ticolo dell’abbé Philippe Marcille apparsosulla rivista Sì Sì No No, (1) con il titolo:“GRANDEZZA e VULNERABILITÀ delMagistero ordinario e universale dellaCHIESA” ed in seguito pubblicato in fran-cese con poche variazioni nel libro “Eglise etContre-Eglise au Concile Vatican II” (2) conil titolo: “La crise du Magistère Ordinaire etUniversel”. Nel presente articolo faremo ri-ferimento al testo pubblicato sulla rivista SìSì No No, che trascrive “la conferenza tenu-ta dall’abbé Philippe Marcille in occasionedel II Convegno teologico di Sì Sì No No”(Albano Laziale, gennaio 1996).

Scrive Sì Sì No No (il cui direttore èl’abbé du Chalard, sacerdote della Fra-ternità S. Pio X): “L’autore vi affronta, concompetenza e fedeltà alla grande teologiacattolica, un argomento di estrema gravità,sul quale è necessario avere idee ben chiarenell’attuale crisi della Chiesa” (3). LaFraternità S. Pio X pertanto fa sua la posi-zione dell’abbé Marcille (membro di questasocietà). Purtroppo dopo aver letto gli arti-coli in questione su questo “argomento diestrema gravità”, il lettore non ne esce certocon le idee più chiare.

ABBREVIAZIONI

M. = abbé Philippe Marcille.FSPX = Fraternità Sacerdotale S. Pio X.S. = Sì Sì No No.M.O.U. = Magistero Ordinario e Universale.I. P. = Insegnamenti Pontifici - La Chiesa,

Edizioni Paoline, Roma 1961.DS = Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion

Symbolorum definitionum et declaratio-num, XXXVI ediz., Herder, 1976.

Conc. Vat. = Concilio Vaticano, indicando ilConcilio celebrato in Vaticano dal-l’8/12/1869 al 20/10/1870, comunementechiamato Concilio Vaticano I.

Dottrina

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Scopo dell’articolo di M.

Scrive M.: “L’unanimità morale dell’epi-scopato in comunione col Vescovo di Romainsegna formalmente come obbligatoriedelle dottrine manifestamente in opposizio-ne con la tradizione apostolica. Ora secondoil Concilio Vaticano I, il deposito della fedesi trova nell’insegnamento del MagisteroOrdinario Universale. Il deposito della fedecontraddirebbe, dunque il deposito dellafede? (4). Come il magistero odierno puòcontraddire il magistero costante ed unani-me di ieri?… È a questa domanda che iooggi mi propongo di rispondere” (5).

Facendo questo l’abbé M. si propone digiustificare la posizione dottrinale e praticadella FSPX contro i sostenitori del ConcilioVaticano II e i fautori della vacanza dellaSede Apostolica, i quali usano il medesimoargomento dell’infallibilità del M.O.U. perarrivare a delle conclusioni opposte tra loro,tuttavia concordi nel considerare errata laposizione della FSPX. Riuscirà M. a dimo-strare la sua teoria? Secondo Sodalitium as-solutamente no; metterà anzi in evidenzauna serie di tesi più o meno contrastanti conl’insegnamento tradizionale della Chiesa.

Prima di esaminare queste tesi devo fare unrilievo preliminare sul metodo utilizzato da M.

Approssimazioni e falsificazioni

“La relazione che segue è un riassuntomolto semplificato di un enorme lavoro ini-ziato da dieci anni” (6). Malgrado i dieci annidi lavoro, l’articolo di M. non sembra gode-re di quella scientificità richiesta in teologia.Mi riferisco innanzitutto alle citazioni: essesono quasi sempre approssimative e soventeaddirittura falsificate.

Spesso e volentieri M. non cita la paginain cui trovare i riferimenti allegati, costringen-do il lettore ad una lunga e a volte vana ricer-ca. Spesso riferisce il pensiero di un autoresenza citarlo tra virgolette, per cui non si sa see in che misura deve essere veramente attri-buito all’autore citato o a M.: del Billot adesempio viene dato solo il numero della tesi,senza altre indicazioni. Queste approssimazio-ni sono segno di superficialità oppure servonoa nascondere delle vere e proprie falsificazio-ni? Il dubbio mi è venuto dopo aver controlla-to alcune citazioni. Ecco gli esempi più gravi.

1) M. afferma che “il Vacant pensa chela nota più elevata che possa darsi ad un in-

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segnamento del M.O.U. è proxima fidei” (7);anche “se il Concilio Vaticano I dice che sideve credere di fede divina e cattolica l’inse-gnamento del M.O.U., il Vacant dice che lanota più elevata che possa darsi ad un inse-gnamento di questo medesimo magistero èproxima fidei” (8). Come unico riferimentoegli dà il libro del Vacant Le MagistèreOrdinaire Universel et ses organes, senza al-cuna indicazione di editore e di pagina.Esaminerò più in là quanto questa afferma-zione di M. sia erronea. Mi sono chiesto im-mediatamente: come è possibile che un teo-logo serio come Vacant affermi una taleenormità? Ho consultato pertanto Vacant inEtudes Théologiques sur les Constitutions duConcile du Vatican d’après les actes duConcile (9), che afferma esattamente il con-trario di quanto gli fa dire M. “Non bisognadimenticare - dice Vacant - che il Conciliodel Vaticano pone il magistero ordinarioallo stesso livello dei giudizi solenni, senzafare nessuna distinzione tra le verità che nesono l’oggetto. I teologi fanno lo stesso.Perciò il magistero ordinario possiedeun’autorità sufficiente per rendere di fedecattolica una verità che era di fede divina”(10). È vero che nel successivo n. 663, Vacantafferma che nella pratica sarà difficile di-scernere quando il M.O.U. si è pronunciatocon questa autorità; ma bisogna aggiungereche per Vacant questo sarebbe possibile permezzo degli insegnamenti della Santa Sede(11). M. non ha quindi presentato in manieraoggettiva e completa il pensiero di Vacant.

2) M. sostiene che nel Magistero l’infalli-bilità è “un accidente correlativo all’obbligodi credere di fede divina e cattolica per il fe-dele” (12) e per dimostrare ciò cita in nota ilcard. Billot, nel “De Ecclesia” Tesi XVII:“Ora, l’ordine di credere fermamente senzaesaminare l’oggetto… può generare un veroobbligo solo se l’autorità è infallibile” (13). Illettore disattento penserà: quel che dice M.deve esser vero, dato che si appoggia sull’au-torità di Billot. Ma in questa frase attribuitaa Billot è detto semplicemente che solo l’au-torità infallibile può imporre l’atto di Fede:se c’è possibilità di errore, se l’autorità non èinfallibile, non vi può essere atto di Fede;senza infallibilità non c’è obbligo di credere.Quindi Billot afferma tutto il contrario diquanto dice il Nostro: l’infallibilità non è unaccidente correlativo all’obbligo di credere, èuna conditio sine qua non, una condizionesenza la quale non vi può essere atto di fede.

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Abbiamo poi cercato la frase attribuita aBillot, nella Tesi XVII del Trattato “DeEcclesia”. La Tesi consta di circa trenta pagi-ne, suddivise in paragrafi: M. non indica néla pagina, né tantomeno il paragrafo. Dopoaver riletto due o tre volte le trenta pagine,non siamo riusciti a trovare la famosa frase:se è di Billot, dove si troverà? Questa voltaM. non solo non ha presentato il pensierodell’autore in maniera oggettiva, lo ha stra-volto senza darne i giusti riferimenti.

3) Secondo M. uno dei casi storici di er-rore del S. Pontefice sarebbe quello del PapaOnorio: S. Sofronio avrebbe disobbedito adun ordine formale di Onorio, “il che gli valsedi essere per questo scomunicato”. La fontedi questa notizia strabiliante si trova allanota 48 (14): “DTC, voce Honorius, col. 123”.Abbiamo cercato invano nel DTC (che èlungi dall’essere di orientamento “romano”)quest’episodio, così come in vari libri diStoria Ecclesiastica: non è mai esistita unascomunica del Papa Onorio a S. Sofronio!

4) Per giustificare le consacrazioni epi-scopali contro il divieto del Papa (come hafatto Mons. Lefebvre nel 1988, continuandoa riconoscere la legittimità di GiovanniPaolo II), M. cita dom Gréa, dando come alsolito un riferimento insufficiente. SecondoM., dom Gréa affermerebbe che i Vescovihanno un potere di supplenza rispetto alPapa fino al punto di poter consacrare deiVescovi, quando si realizzano delle condizio-ni precise: pericolo per l’esistenza della reli-gione, impotenza del pastore locale, “nessu-na speranza di soccorso dalla Santa Sede”(15). Abbiamo consultato il testo di dom Gréa(16): afferma, per l’ultima condizione, “nessu-na speranza di ricorso alla Santa Sede”, cioèquando è fisicamente impossibile ricorrere alPapa. M. sostituendo furtivamente “soccor-so” a “ricorso” ha mutato il pensiero di domGréa. Per Mons. Lefebvre la possibilità di ri-corso vi è stata. D’altra parte dom Gréa af-ferma in tutto il paragrafo la necessità per iVescovi di essere dipendenti ed in comunio-ne con il Pontefice anche in tali frangenti.

Le tesi dell’abbé Marcille

Le tesi esposte dall’abbé M. sono connes-se tra di loro per cui se vogliamo capire il suopensiero dobbiamo vederne l’insieme; nontutte hanno la stessa gravità. Raggrupperemopertanto i diversi argomenti che nel suo arti-colo si trovano in maniera sparsa. Tratteremo

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del Magistero Ordinario e Universale, delMagistero Ordinario del Papa, dell’infallibi-lità, dell’indefettibilità della Chiesa, dellaRegola della Fede, della Teologia Romana equindi ne tireremo delle conclusioni.

Il Magistero Ordinario e Universale

Sembra che l’abbé M. non abbia capitocosa sia il M.O.U., né quale sia il motivodella sua infallibilità: in pratica nullifica ilM.O.U. riducendolo alla Tradizione.

a) Soggetto del M.O.U.Secondo la dottrina cattolica il soggetto

del M.O.U., cioè chi ha il diritto di poter ado-perare questo Magistero, è costituito dalcorpo dei Vescovi, successori degli Apostoli,uniti e sottomessi al Pontefice Romano (17).M. comincia col dire che soggetto del M.O.U.sono tutti i Vescovi, anche quelli che nonhanno potere di giurisdizione: “La giurisdizio-ne attuale su dei battezzati non è necessaria”(18). Ma la dottrina della Chiesa insegna l’op-posto: solo i Vescovi con giurisdizione fannoparte della Chiesa docente e dunque essi solicostituiscono il soggetto del M.O.U. (19).

Per M. invece, per essere soggetto delM.O.U., piuttosto che la giurisdizione, sarànecessaria la fede: “È soggetto del Ma-gistero Ordinario e Universale ogni Ve-scovo che ha la fede” (20). La prova della suaaffermazione è tratta da Franzelin, che ri-corda come “S. Cipriano esigeva che il neo-eletto all’episcopato esponesse la sua fede”(21). Non si rende conto il Nostro che questaprofessione di fede esterna è necessaria af-finché il neo-eletto possa essere in comunio-ne con il Papa e ricevere così la giurisdizio-ne! Ma l’errore di M. non è una svista: hasostituito furtivamente il criterio oggettivo(la giurisdizione) con uno soggettivo. Comesi farà a sapere se il Vescovo ha o no lafede? “Per mezzo delle lettere di comunione[che danno la giurisdizione] con il PonteficeRomano” risponde lo stesso Franzelin, qual-che riga più in giù; questa soluzione nongarba a M. Tuttavia sostituendo il criteriosoggettivo a quello oggettivo, come fa M.,ne deriva che, di qualsiasi Vescovo, indipen-dentemente da ogni giurisdizione, si potràaffermare o negare che ha la fede ed è sog-getto del M.O.U. Infine dobbiamo rilevareche anche qui la citazione di Franzelin (ap-prossimativa, come al solito) è troncata ed ilsuo pensiero è distorto.

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Sempre a proposito del soggetto delM.O.U., M. fa un’altra confusione: se unVescovo da solo non è infallibile, perché do-vrebbero esserlo tutti quanti insieme?“Come il Magistero dell’insieme dei Vescovipuò essere infallibile se non lo è quello delsingolo Vescovo?” (22). Ma la risposta è sem-plice: a causa dell’indefettibilità della Chiesa.M. insiste: il Vescovo diocesano costituisce“un organo fallibile” (23). Rispondiamo: sì, sepreso individualmente, in quanto insegnanella sua diocesi. No, in quanto egli fa partedel Corpo dei Vescovi (uniti fra di loro e sot-tomessi al Pontefice Romano) ed insegnaqualcosa che riguarda la fede o la morale: intal caso, vi è l’assistenza dello Spirito Santoche preserva dall’errore (cosa che non acca-de per il singolo Vescovo).

Ma al Nostro questo non sembra possibi-le: “Un’assistenza collettiva dello SpiritoSanto [è] assurda, dice, perché gli accidentisoprannaturali possono inerire solo in unanatura personale ragionevole e perciò nonpossono essere innestati su un essere colletti-vo” (24). Facciamo solo notare a M.: quando iVescovi sono riuniti nel Concilio Ecumenico,c’è o no “l’assistenza collettiva dello SpiritoSanto”? E se c’è, perché non potrebbe esser-vi nel M.O.U.? Ripetiamo ancora: i singoliVescovi non sono assistiti, il corpo dei Ve-scovi sì. Non avendo capito questo, M. tirafuori il sofisma: a volte la maggior partedell’Episcopato sbaglia, dunque il soggettodel M.O.U. non è sempre infallibile: “Comeconcepire che ad una data epoca la maggio-ranza… dell’Episcopato cattolico possa indi-care una falsa direzione, possa impartire uninsegnamento contrario alla Tradizione?”(25). Anche qui la risposta è la medesima: èpossibile che uno o molti o tutti i Vescovisenza il Papa possano errare, perché nonhanno l’assistenza divina; ma non è possibileche i Vescovi con il Papa sbaglino, perché intal caso vi è l’assistenza dello Spirito Santo.Insegna Leone XIII: “L’ordine episcopalesoltanto si deve reputare collegato, comeCristo comanda, con Pietro, se a Pietro è sot-tomesso e gli obbedisce: altrimenti esso si di-sperde necessariamente in una molteplicitàconfusa e disordinata” (26).

L’intento di M. era dunque di distruggereil soggetto del M.O.U.: chi ha il potere diesercitarlo, diceva, a volte può sbagliare. Cisembra di aver spiegato in maniera chiarache la dottrina cattolica insegna il contrario: ilsoggetto del M.O.U. non può mai sbagliare.

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b) Appartenenza alla ChiesaUn errore analogo di M. riguarda l’ap-

partenenza alla Chiesa: “È membro dellaChiesa, inestirpabilmente membro dellaChiesa, ogni battezzato che ha la fede (ladebita sottomissione ne è una conseguen-za)” (27). Ora se la sottomissione ai Pastorilegittimi è solo una conseguenza e non qual-cosa di essenziale, può non esserci! Questatesi di M. è in accordo con la dottrina ecu-menista del Conc. Vaticano II (UnitatisRedintegratio, 3) e di Giovanni Paolo II (Utunum sint, 66, 77; 13, 17), per cui anche imembri delle altre religioni cristiane sonomembri imperfetti della Chiesa, a causa delBattesimo e della fede. Contro questa dot-trina Pio XII già aveva parlato nella MysticiCorporis: fanno parte dei membri dellaChiesa “esclusivamente”: 1) i battezzati, 2)che professano la vera fede, 3) che non sisono separati dalla Chiesa (sono sottomessiai Pastori legittimi, il che esclude gli scisma-tici), 4) che non furono separati con pene (lascomunica) dalla legittima autorità (28). Perappartenere alla Chiesa dunque, la sottomis-sione al Pontefice non è una conseguenzadella fede, ma è qualcosa di essenziale che siaggiunge alla Fede, tanto quanto il fatto dinon aver ricevuto la scomunica. M. tace ipunti 3) e 4), con la sua solita approssima-zione, e falsifica la dottrina cattolica.

Questo ci mostra la mentalità di M.: haescluso la necessità della sottomissione alRomano Pontefice sia per essere soggettodel M.O.U., sia per essere membro dellaChiesa. Si tratta di due errori gravissimi chedenotano una tendenza scismatica.

c) Scopo del M.O.U.Secondo le parole del Conc. Vat. (29), il

M.O.U. può insegnare quelle verità rivelateche devono essere credute con un atto difede divina e cattolica. Ora tali verità costi-tuiscono i dogmi di fede, che sono infallibili,definitivi, irreformabili. Ma M. non è d’ac-cordo: inizia con l’affermare che questo ma-gistero non dà giudizi irreformabili (30),neanche definitivi (31), per concludere allafine che non è infallibile (32). Nel punto suc-cessivo, sulla nota del M.O.U., tratteremoqueste sue affermazioni; qui ci chiediamosoltanto: a cosa servirà il M.O.U.? A “tra-smettere il deposito”, risponde il Nostro (33),il quale ignora forse che, per volontà di Dio,il fine di tutto il Magistero della Chiesa (enon solo del M.O.U.) è ordinato a custodire,

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trasmettere, spiegare il deposito della fede.“È compito indubitato della Chiesa di custo-dire e propagare la dottrina di Cristo inalte-rata ed incorrotta” (34), dice Leone XIII.

d) Nota teologica del M.O.U.È una questione di massima importanza.

Riprendiamo quanto abbiamo preannuncia-to nel paragrafo sulle approssimazioni e fal-sificazioni. Il Conc. Vat. ordina di credere difede divina e cattolica gli insegnamenti delM.O.U. Per l’abbé M. la definizione conci-liare non va bene, perché distrugge tutta laposizione della FSPX, ed ecco cosa escogita:quando il M.O.U. ripete una cosa già defini-ta solennemente, solo allora il suo insegna-mento merita la nota teologica “di fede” (35);se no, l’assentimento richiesto sarà inferiore,“molto più debole”, cioè “prossimo allafede” (36). «La parola “infallibile” non è usa-ta nel testo del Vaticano I, e con ragione»(37), dice il Nostro. Da ciò deriva che l’obbli-go di aderire ad una proposizione propostadal M.O.U. è inferiore rispetto all’obbligo diaderire ad una proposizione proposta dalmagistero straordinario, dato che il M.O.U.non è infallibile.

L’affermazione di M. è molto grave per-ché nega la definizione del Concilio per cuiqualsiasi insegnamento del M.O.U. è di fede:“Devono essere credute di fede divina e cat-

tolica tutte quelle cose che sono contenutenella parola di Dio scritta o tramandata e chesono proposte a credere dalla Chiesa comerivelate da Dio sia con un giudizio solenne,sia con il magistero ordinario e universale”(DS 3011) (29). La definizione è stata ripetutaanche dal Codice pio-benedettino (can. 1323,§1) ed è di una tale chiarezza che non è possi-bile sbagliarsi. Pio IX già nella Tuas libenteraveva insegnato che l’atto di fede non deveessere limitato alle verità definite, ma deveestendersi a quello “che è trasmesso come di-vinamente rivelato dal magistero ordinario ditutta la Chiesa sparsa sulla terra” (38). È evi-dente che l’atto di fede può essere fatto solose l’insegnamento è infallibile.

Letti questi testi, ci chiediamo: come puòun prete cattolico negare la definizione solen-ne di un Concilio Ecumenico? La risposta èevidente: M. arriva a tal punto per giustifica-re la posizione della FSPX. In questo modosvuota il M.O.U. del suo valore particolare,quello di essere un Magistero di per sé infalli-bile, ed al quale tutti devono credere con unatto di fede divina e cattolica. L’autorità diquesto Magistero riposa sui Vescovi uniti alPapa, i quali non possono sbagliarsi perchécostituiscono la Gerarchia della Chiesa che èindefettibile. Se fosse vero quel che dice M.,il M.O.U. sarebbe infallibile solo quando ri-pete cose… già infallibili! Sarebbe un’infalli-bilità di fatto e non di diritto (39): lo SpiritoSanto non avrebbe più nessuna funzione par-ticolare, insegnerebbe delle verità che sonosolo “prossime alla fede”! Per comprenderemeglio la gravità di quanto afferma M., ricor-diamo l’intervento di Mons. d’Avanzo duran-te il Concilio Vaticano del 20/6/1870 a nomedella Deputazione della fede (40): «…Permet-tetemi di ricordare come l’infallibilità si eser-cita nella Chiesa. Di fatto noi abbiamo duetestimonianze nelle Scritture sull’infallibilitànella Chiesa di Cristo, Lc XXII: Ho pregatoper te, ecc., parole che riguardano Pietrosenza gli altri; e la fine di Matteo: Andate, in-segnate, ecc., parole che sono dette agli apo-stoli ma non senza Pietro… Vi è dunque unduplice modo di infallibilità nella Chiesa; ilprimo è esercitato dal magistero ordinariodella Chiesa: Andate, insegnate… Perciò co-me lo Spirito Santo, spirito di verità, dimoranella Chiesa tutti i giorni; così tutti i giorni laChiesa insegna le verità di fede con l’assisten-za dello Spirito Santo. Insegna tutte questecose che sono sia già definite, sia contenuteesplicitamente nel tesoro della rivelazione ma

Sopra la teologia romana;sotto, la teologia dell’abbé Marcille...

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non definite, sia infine sono credute implici-tamente: tutte queste verità la Chiesa le inse-gna quotidianamente, sia per mezzo del papaprincipalmente, sia per mezzo di ognuno deivescovi che aderiscono al papa. Tutti, papa evescovi, sono infallibili in questo magisteroordinario dell’infallibilità stessa della Chiesa:differiscono solo in questo, che i vescovi nonsono infallibili da se stessi, ma hanno bisognodella comunione con il papa, dal quale sonoconfermati; il papa ha bisogno solo dell’assi-stenza dello Spirito Santo che gli è stata pro-messa (…). Anche con l’esistenza di questomagistero ordinario, succede a volte che leverità insegnate da questo magistero ordina-rio e già definite siano combattute da un ri-torno dell’eresia, o che delle verità non anco-ra definite, ma tenute implicitamente o espli-citamente, devono essere definite; e allora sipresenta l’occasione di una definizione dog-matica». L’altro modo di infallibilità, dirà poiMons. d’Avanzo, è quello solenne, che ilPapa può esercitare o da solo o riunendo unconcilio ecumenico.

e) Magistero Ordinario e Magistero solenneConclusione logica che trae il M. da

quanto ha detto prima (41): tra Magisterostraordinario e M.O.U. vi è una distinzioneessenziale, e non solo accidentale; affermareche vi è solo differenza accidentale condur-rebbe, dice, alla collegialità! M. non riesce acapire che i Vescovi, sottomessi al Papa, co-stituiscono un corpo, la Chiesa docente, lagerarchia della Chiesa come affermavaanche S. Pio X (42); ora “gerarchia” non vuoldire “collegialità”. La teoria di M. è un’in-novazione eterogenea. Salaverri, ad esem-pio, insegna l’opposto: “I modi di esercitareil Magistero…, ordinario, cioè fuori dalConcilio, straordinario, cioè nel Concilio,convengono essenzialmente in questo, cheentrambi costituiscono un atto di tutta laChiesa docente sottomessa al PonteficeRomano; differiscono accidentalmente nelfatto che il modo straordinario comporta inpiù la riunione locale dei Vescovi” (43).Zubizarreta insegna: “Il corpo dei Vescoviin unione con il Pontefice Romano, sia riu-nito in concilio sia disperso nel mondo, è ilsoggetto del magistero infallibile, poichéquesto corpo di Pastori in comunione con ilPontefice Romano è il successore del colle-gio apostolico e con diritto ereditario ha ri-cevuto l’incarico di insegnare, governare esantificare gli uomini insieme alla prerogati-

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va dell’infallibilità” (44). Mons. Zinelli alConcilio Vaticano affermava: “L’accordodei vescovi dispersi ha lo stesso valore chequando sono riuniti: l’assistenza infatti èstata promessa all’unione formale dei vesco-vi e non solo alla loro unione materiale” (45).

L’abbé M. è talmente accecato dalla pas-sione di voler giustificare la FSPX, che nonvede la gravità della sua affermazione: se ladifferenza tra Magistero Ordinario e Magi-stero straordinario non è soltanto accidenta-le, avremmo allora nella Chiesa due Ma-gisteri! Ciò porterebbe ad una divisione eframmentazione della funzione insegnantedella Chiesa che, nel trasmettere il depositodella Rivelazione, a volte sarebbe assistitadallo Spirito Santo, a volte no. Ma nella filo-sofia tomista la funzione è determinata dalsuo oggetto: se l’oggetto (trasmettere laRivelazione) è uno solo, ad esso corrispon-derà una funzione sola. «Bisogna insistere an-cora poiché le sane nozioni di metafisica rea-lista sembrano dimenticate. Sotto pena di ca-dere in una sorta di “nominalismo”, la teolo-gia deve leggere la realtà della Rivelazione,alla luce della ragione illuminata dalla fede, enon “etichettare” senza occuparsi del conte-nuto… Il modo di un atto è una qualificazio-ne accidentale che non cambia la specifica-zione della funzione, del potere o della po-tenza che esercita l’atto! Di conseguenza, seuna categoria di proposizioni rientra nell’og-getto del Magistero, questi può qualificarla egiudicarla infallibilmente, sia esercitando unatto solenne, sia con la semplice esposizionedella dottrina… Il modo di proposizionedella dottrina non può, in alcun caso, intacca-re o cambiare la natura e l’estensione dell’og-getto, poiché l’oggetto è determinato sola-mente dalla natura e dal fine del Magistero,come ricordano le parole stesse di NostroSignore (Mt XXVIII, 20) e di S. Paolo (ITim. VI, 20: “La Chiesa del Dio vivente, co-lonna e firmamento della verità”): la Chiesa èassistita per qualificare il rapporto di ogniproposizione col deposito rivelato. Il Magi-stero è il potere divinamente assistito peroperare questa qualifica» (46).

M. dice (47) di aver trovato la sua teorianel libro di Vacant citato più sopra.Abbiamo già visto, alla pag. 31, che Vacantinvece afferma la dottrina tradizionale e poidistingue: de jure il M.O.U. può definire unaverità da credersi di fede cattolica: “IlConcilio del Vaticano pone il magistero ordi-nario allo stesso livello dei giudizi solenni…

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Perciò il magistero ordinario possiede un’au-torità sufficiente per rendere di fede cattoli-ca una verità che era di fede divina” (10).Secondo Vacant, de facto la Chiesa, nel defi-nire un “nuovo” dogma (48) o nel condannareun’eresia, per maggior chiarezza utilizza ilmagistero solenne perché nella pratica è piùfacile riconoscere l’insegnamento infallibilein un atto del magistero solenne che in unodi quello ordinario. Ma Vacant non escludeche la Chiesa possa utilizzare anche de factoil magistero ordinario: in tal caso si potrà ri-conoscere la sua infallibilità per mezzo“degli atti della Santa Sede” (11), cioè delMagistero del Papa. Per far ben capire qual èil pensiero di Vacant, e quanto M. lo ha falsi-ficato, riportiamo un altro passaggio semprea proposito del M.O.U.: «Questo modo dimagistero risponde più pienamente alla mis-sione che Gesù Cristo ha affidato ai suoiapostoli; difatti ha ordinato loro di diffonder-si in tutte le nazioni, per insegnare, tutti igiorni, tutta la sua dottrina. Le sue parolesono formali: “Andate ad istruire tutti i popo-li ed insegnate loro a conservare tutto ciò chevi ho detto, ed io sarò con voi tutti i giornifino alla fine dei tempi” (Mt 28, 19-20). È conquesto insegnamento che la Chiesa si è stabi-lita e che la dottrina di Gesù Cristo è statamanifestata al mondo, prima delle definizio-ni solenni dei Concili e della Santa Sede, edè la prima regola di fede di cui i Santi Padrihanno invocato l’autorità» (49).

Inoltre dopo il Concilio Vaticano, laChiesa ha dato ulteriori insegnamenti sul valo-re del M.O.U., che un cattolico deve seguire.

Pio XI insegna: “Il magistero dellaChiesa - stabilito per volere divino in terra,allo scopo di custodire perennemente intattele verità rivelate, e di portarle con sicurezzae facilità alla conoscenza degli uomini - ognigiorno, è vero, è esercitato per mezzo delPontefice Romano e dei Vescovi che sono incomunione con lui; ma ha pure il compito diprocedere alla definizione di qualche puntodi dottrina, con riti o decreti solenni, quan-do fosse necessario resistere con più forzaagli errori ed alle contestazione degli eretici,o quando bisognasse imprimere con più pre-cisione e chiarezza certi punti di dottrinanelle menti dei fedeli” (50). “Disdirebbe adun cristiano… il ritenere che la Chiesa, daDio destinata a maestra e reggitrice dei po-poli, non sia abbastanza illuminata intornoalle cose e circostanze moderne; ovvero ilnon prestarle assenso ed obbedienza se non

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in ciò che essa impone per via di definizionipiù solenni, quasi che le altre sue decisioni sipotessero presumere o false, o non fornite disufficienti motivi di verità e di onestà” (51).

Pio XII, a proposito del dogma dell’As-sunzione, ha dichiarato che il M.O.U. insegna“in modo certo ed infallibile” che la veritàdell’Assunzione della Madonna in Cielo “èverità rivelata da Dio e contenuta in quel di-vino deposito che Cristo affidò alla suaSposa… Il Magistero della Chiesa, non certoper industria puramente umana, ma per l’as-sistenza dello Spirito di verità, e perciò infal-libilmente, adempie il suo mandato di conser-vare perennemente pure ed integre le veritàrivelate, e le trasmette senza contaminazione,senza aggiunte, senza diminuzioni” (52).

Il rev. padre Barbara illustra bene questaverità: Papa e Vescovi continuano l’azionedi insegnare di Nostro Signore in due modi,come il Maestro stesso faceva: «In un modosemplice e ordinario, quello che Gesù utiliz-zava abitualmente: “E parlava loro secondola sua maniera di insegnare… Udite. Il semi-natore uscì per seminare… Si porta la lucer-na per metterla sotto il moggio o sotto illetto? o non piuttosto per metterla sul cande-labro?” (Mc 4, 2; 21). In un modo solenne estraordinario… Cominciava allora con qual-che formula solenne: “In verità, in verità vidico” (…) “Beati voi” o “Guai a voi”. Il ma-gistero non ha inventato nulla… ha adottatoper insegnare i modi di fare di Gesù» (53).

In conclusione: gli insegnamenti delM.O.U. sono infallibili, e dunque molto dipiù che “teologicamente certi” o “prossimialla fede”, come pretende M.

f) Natura del M.O.U.Abbiamo già dimostrato, alle pagg. 32 e

36, che il M.O.U. è l’insegnamento dellaGerarchia della Chiesa, cioè dei Vescoviconcordi fra di loro, uniti e sottomessi alPontefice Romano (17). Questa unione colPontefice fa in modo che essi siano assistitidallo Spirito Santo e dunque siano infallibili.Senza l’unione e la sottomissione non vi èassistenza né infallibilità.

M. non accetta la dottrina cattolica e scri-ve: “L’accordo moralmente unanime del-l’Episcopato su un punto di fede è un pro-prio del Magistero Ordinario Universale enon il suo costitutivo formale”; in altre paro-le, per lui l’accordo non è essenziale. In que-sto modo, dice, si salva l’indefettibilità delM.O.U. in caso di crisi nella Chiesa (54), per

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cui può capitare che l’unanimità dei Vescovisbagli nell’insegnare una verità; nei tempi dicrisi, il M.O.U. può non essere percepibile.Rispondiamo ancora una volta: i Vescovisenza il Papa non sono infallibili; uniti e sot-tomessi al Papa sono infallibili quando inse-gnano una dottrina contenuta nel deposito.Questa unione dunque dei Vescovi e la lorosottomissione al S. Pontefice è essenziale:daremo altre prove a proposito del rapportotra Magistero del Papa e Vescovi.

Per M. il M.O.U. non può dare definizio-ni definitive irreformabili (55). Da ciò do-vremmo concludere logicamente che non èinfallibile, in quanto il Conc. Vaticano inse-gna che bisogna credere di fede divina e cat-tolica tutto ciò che il M.O.U. insegna (DS3011) ed i teologi affermano che il Magisteroè infallibile quando si esprime in maniera de-finitiva (56). Perciò diciamo: se il M.O.U. nondà una definizione definitiva ed irreformabi-le, allora il suo insegnamento non è infallibi-le; ma se la dà, allora lo è. Si è già vista la di-stinzione fatta da Vacant sulla possibilità dejure e de facto di tali definizioni (pagg. 35-36).

g) Deficienza del M.O.U.M. ha negato la natura del M.O.U.: non

è Magistero infallibile, non merita di esserecreduto di fede, nei tempi di crisi non è per-cepibile. M. adesso affonda i suoi colpi con-tro questo Magistero. “Il Magistero Ordi-nario e Universale può trovarsi completa-mente all’oscuro o anche inclinare apparen-temente verso l’eresia” (57); può “non soloessere oscuro, ma anche sembrare indicareuna falsa direzione” (58). L’argomento del“Magistero oscuro” non è nuovo; era giàstato propugnato dai liberali durante e dopoil Concilio Vaticano, per rifiutare o per smi-nuire l’infallibilità del Magistero ex cathedradel Papa (59).

Per spiegare l’oscurità del M.O.U., M. dàcome esempio il caso dell’eresia ariana: ilConcilio di Nicea, dice, non regolò “tutte lequestioni connesse”, “non diede risposta aparecchi ragionamenti degli ariani e l’eresianon cessò” (60). L’enormità di questo esempiobalza agli occhi: difatti quando la Chiesa defi-nisce una dottrina esplicitamente, implicita-mente risponde a tutte le questioni che lesono connesse. Come tutti gli eretici, gli aria-ni si aggrappavano alle “questioni connesse”per non sottomettersi alla definizione delConcilio. Così pure il Concilio di Trento nonha potuto trattare tutte le obiezioni del prote-

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stantesimo, e l’eresia non cessò; S. Pio X con-dannò il modernismo, e sappiamo bene chenon cessò. Il Conc. Vaticano ha condannatoil gallicanesimo, eppure non è cessato (ecco-me!). Colpa del Magistero, o degli eretici chenon lo accettarono? Forse M. crede, comeGiovanni Paolo II, che sia la Chiesa ad esserecolpevole delle eresie e degli scismi? Oppurepensa che l’eresia sia dovuta solo ad un erro-re dell’intelligenza e non della volontà?

M. dà un altro esempio di oscurità delM.O.U.: durante il Grande Scisma d’Oc-cidente, dice, non si sapeva chi era il Papaed il M.O.U. su questo punto così importan-te “è rimasto oscuro per 50 anni” (61).Rispondiamo che la questione del GrandeScisma non era una questione di Magistero,ma innanzitutto di giurisdizione: sapere chiera il vero Papa. Inoltre durante il GrandeScisma i Vescovi erano divisi fra di loro, nonerano uniti e dunque mancava una dellecondizioni essenziali all’esistenza delM.O.U., l’unione dei Vescovi fra di loro.

h) Riduzione del M.O.U. alla TradizioneVeniamo ora a scoprire qual’è l’idea di

M. sul M.O.U. Egli riduce il motivo dell’in-fallibilità del M.O.U. all’argomento apologe-tico della Tradizione. Spiego con un esem-pio: se la Chiesa cattolica e la Chiesa orienta-le scismatica su una dottrina dicono la stessacosa (ad es. che la Cresima è un Sacra-mento), dal loro consenso si conclude chequesta affermazione deve essere vera e pro-venire dalla Tradizione Apostolica. Difattil’accordo su un punto di dottrina da parte didue Chiese separate è dovuto al fatto chequesta dottrina era creduta prima della loroseparazione e risale quindi agli Apostoli. M.cita S. Agostino e Tertulliano, che parlanodell’accordo tra le Chiese primitive: se il me-desimo insegnamento si trova nelle diverseChiese, è segno che esso proviene dallaTradizione apostolica. Parallelamente in filo-sofia si dimostra che se tutto il genere umanoconsidera come vera un’opinione, questadeve essere realmente vera: difatti “un’opi-nione ammessa in ogni tempo e in ogni luogoha necessariamente una causa unica”, la ra-gione umana, la quale di sua natura aderiscealla verità (62). Per questo motivo M. dàmolta importanza al fatto che il M.O.U.debba essere un insegnamento di Vescovi“dispersi” nel mondo: “Appunto perché di-sperso, il suo insegnamento (moralmente)unanime è un testimone sicuro della predica-

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zione apostolica” (63). Se i Vescovi dispersinel mondo intero insegnano tutti la stessacosa, tale dottrina non può avere altra origi-ne che l’insegnamento degli Apostoli.

Ma la Tradizione non ha nulla a che vede-re con l’infallibilità de jure del corpo episco-pale unito: si tratta di due cose specificata-mente distinte. Nella Tradizione, noi scopria-mo l’origine apostolica di una dottrina dalletestimonianze ripetute in più luoghi; nell’in-fallibilità, noi apprendiamo che una dottrinaè rivelata dal pronunciamento attuale infalli-bile dell’autorità della Chiesa, assistita dalloSpirito Santo nella sua dichiarazione.

M. ammette che il M.O.U. può essere infal-libile nell’istante in cui si pronuncia: ma subitosi contraddice affermando che per essere sicuridi questa infallibilità occorre che questoMagistero sia “costante per un certo lasso ditempo” (64), “costante, impartito… a più gene-razioni” (65). Dunque non è più infallibile da séstesso: ancora una volta contraddice la defini-zione del Conc. Vaticano (DS 3011), aggiun-gendo una condizione che il Concilio non dà.(Sul “lungo tempo”, rimandiamo a quanto di-remo sull’estensione dell’infallibilità del Papa).

La posizione di M. ricalca un errore diffu-so: il M.O.U. sarebbe infallibile quando inse-gna verità che sono state credute sempre edappertutto, secondo una tesi falsamente at-tribuita a S. Vincenzo da Lerino. Dice M.:“Ciò che bisogna cercare avidamente e segui-re come regola di fede, è il consenso costanteed unanime dei Padri”, cioè quello che è statoinsegnato sempre e dappertutto nella Chiesa(“semper et ubique”) (66). Sodalitium ha già ri-sposto a quest’errore (67). Ricordiamo che ilcanone di S. Vincenzo serve per riconoscere laregola remota o oggettiva della fede (laTradizione) e non la regola prossima o diretti-va (il Magistero infallibile). Riprendiamo leparole del Card. Franzelin durante il Conc.Vaticano: «Si interpreteta il canone contro lamente dell’autore se lo si riferisce a quella cheè chiamata la norma direttiva infallibile nellaChiesa cattolica. Infatti per il Lerino riguardala norma oggettiva (cioè la divina tradizione),come lo mostra il contesto; e così il canoneproposto contiene un criterio per riconoscerela “tradizione della Chiesa cattolica” permezzo della quale, “in unione con l’autoritàdella legge divina, la fede divina è difesa”.Tutt’altra cosa è sapere se il detto canone con-tiene una condizione necessaria perché unadottrina possa essere definita infallibilmentecon il Magistero della Chiesa cattolica. Questo

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Vincenzo non l’ha mai insegnato, anzi hadetto proprio il contrario… Si allontana il ca-none leriniano dal suo vero senso se, a suonome, si reclama il consenso universale ol’unanimità di tutti i vescovi perché una dottri-na possa essere definita come dogma di fededal Magistero della Chiesa, nel quale si trovala norma direttiva della fede. Si pervertirebbequesto canone leriniano cercando in esso allostesso tempo la norma oggettiva e la normadirettiva, come se l’unica norma infallibiledella Fede cattolica si trovasse nell’accordocostante e universale della Chiesa; allora, inmateria di fede, solo quel che sarebbe statocreduto da un accordo costante sarebbe asso-lutamente certo e infallibile, e nessuno po-trebbe credere nulla, di questa fede divina cheè assolutamente e infallibilmente certa, senzache lui stesso veda quest’accordo costante euniversale della Chiesa» (68).

La conclusione logica della confusione diM. è la seguente: se il M.O.U. insegna solociò che è predicato dappertutto “su un lungoperiodo di tempo”, quando vi è una contro-versia tal Magistero sarà divergente ed oscu-ro (69). Rimandiamo i lettori a quanto abbia-mo già detto al punto h) di questo para-grafo. M. non si rende conto che parla di uncaso ove i termini si contraddicono: se c’èdivergenza allora non c’è unione e non c’èneanche M.O.U. Quando invece c’è ilM.O.U., allora non vi è più divergenza.

Conclusione. Terminiamo con le paroledi Zapelena (70): «Il collegio episcopale, chesuccede al collegio apostolico, è infallibilenel proporre una dottrina rivelata o legataalla Rivelazione… Ora questo collegio nelmagistero ordinario o disperso dei vescovinon è inferiore rispetto al magistero straor-dinario o conciliare. Dunque i vescovi nonsono meno infallibili quando insegnano inmaniera concordante con il loro magisteroordinario, che quando esercitano il loro ma-gistero straordinario o solenne. Difatti l’assi-stenza e le promesse di Cristo non sono pernulla limitate all’esercizio del magistero so-lenne e straordinario; ma anzi riguardanopiuttosto il magistero ordinario e quotidianodei vescovi: “Io sono con voi tutti i giornifino alla fine dei tempi” (Mt 28, 20».

Il Papa

A proposito del S. Pontefice sembra chel’abbé M. non creda né all’infallibilità delMagistero ordinario del Papa, né che egli sia

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la Regola prossima della fede; di conseguen-za il rapporto tra Magistero del Papa eMagistero dei Vescovi è falsato.

a) L’infallibilità del Magistero Ordinario delPapa

M. nega esplicitamente l’infallibilità delMagistero Ordinario del Papa: “Bisogna direche il Papa non è infallibilmente assistito nelsuo Magistero Ordinario anche se diretto atutta la Chiesa” (71). Il suo ragionamento èsemplice: il Conc. Vaticano nella famosa de-finizione (riportata nella Nota del M.O.U.,DS 3011) afferma che la Chiesa è infallibilecon il Magistero solenne o con quello ordina-rio ed universale, e dunque, conclude, “nonesistono altri atti di Magistero infallibile nellaChiesa” (72). M. si sbaglia. Innanzitutto per-ché in quel punto “la Deputazione della fedenon ha avuto per nulla l’intenzione di tratta-re, né direttamente né indirettamente, laquestione dell’infallibilità del sommo ponte-fice” (73), precisava Mons. Martin il 31 marzo1870 ai Padri Conciliari. M. conosce questodiscorso, dato che ne cita una parte, ma tacesu questa frase. Come mai?

Inoltre negare l’infallibilità del Papa nelsuo Magistero ordinario è grave, dato che sitratta di una conclusione teologica certa (74), in-segnata per di più dal Magistero della Chiesa.

Il Conc. Vaticano ha definito che ilSommo Pontefice “gode di quella infallibilitàdi cui il Divin Redentore volle che la suaChiesa fosse dotata” (DS 3074); con questadichiarazione furono condannati i Gallicani,per i quali “il Papa è inferiore alla Chiesanelle questioni della fede” (75); il Papa non èdunque in nessun modo inferiore allaChiesa. Ora la Chiesa è stata dotata delmodo straordinario e ordinario di infallibilità(DS 3011). Anche il Papa perciò può eserci-tare la sua infallibilità con un duplice modo.

Il S. Pontefice ha nella Chiesa “tutta lapienezza del potere supremo” (DS 3064):perciò deve avere anche tutti i modi di eser-cizio di questo potere supremo. Ora il pote-re supremo di infallibilità è dato alla Chiesacon un duplice modo, straordinario e ordi-nario. Dunque il S. Pontefice ha il potere diinfallibilità anche in modo ordinario, altri-menti bisognerebbe concludere che il supre-mo potere di infallibilità, almeno nella ma-niera in cui è esercitato, sarebbe più ristrettonel Papa che nella Chiesa. Ciò non può esse-re, dato che il Papa ha tutta la pienezza delpotere supremo senza nessuna limitazione.

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Il S. Pontefice ha il triplice potere di go-vernare, insegnare, santificare. Se il suo in-segnamento fosse infallibile solo quando de-finisce solennemente, sarebbe allora moltoraro; molti Pontefici non l’avrebbero maiutilizzato, non avrebbero mai svolto il ruolodi “confermare i fratelli” e i fedeli nonavrebbero avuto dal Capo della Chiesa, dalVicario di Cristo, nessun insegnamentocerto. Questo ripugna alla struttura dellaChiesa ed alle promesse di Nostro Signore aS. Pietro. Durante il Conc. Vaticano, Mons.Gasser così rispondeva a chi affermava cheil Pontefice, nel dare delle definizioni, do-vesse osservare una certa forma: “Ciò nonpuò esser fatto, infatti non si tratta di unacosa nuova. Già migliaia e migliaia di giudizidogmatici furono emanati dalla Sede apo-stolica; ma dov’è mai il canone che prescrivela forma da osservare in tali giudizi?” (76).

Pio XI: “Il Magistero della Chiesa - cheper divina Provvidenza fu stabilito nelmondo affinché le verità rivelate si conser-vassero sempre incolumi e facilmente e consicurezza giungessero alla conoscenza degliuomini - benché sia esercitato ogni giornodal Romano Pontefice e dai Vescovi in co-munione con lui, ha pure l’ufficio (munus)di procedere opportunamente alla definizio-ne di qualche punto di dottrina con riti e de-creti solenni, se accada di doversi opporrepiù efficacemente agli errori e agli assaltidegli eretici oppure di imprimere nellementi dei fedeli punti di sacra dottrina spie-gati con più chiarezza e precisione” (77). Daquesto testo si deduce che il Magistero èuno solo, con due modi di espressione.

Pio XII: «Né si deve ritenere che gli inse-gnamenti delle Encicliche non richiedano, diper sé, il nostro assenso, col pretesto che iPontefici non vi esercitano il potere del loroMagistero Supremo. Infatti questi insegna-menti sono del Magistero ordinario, di cuivalgono pure le parole: “Chi ascolta voi,ascolta me” (Lc X, 16); e per lo più, quantoviene proposto e inculcato nelle Encicliche, ègià, per altre ragioni, patrimonio della dottri-na cattolica. Che se poi i Sommi Pontefici neiloro atti emanano di proposito una sentenzain materia finora controversa, è evidente pertutti che tale questione, secondo l’intenzionee la volontà degli stessi Pontefici, non può piùcostituire oggetto di libera discussione fra iteologi» (78). Ancora Pio XII: «Non è forse ilMagistero… il primo ufficio della NostraSede Apostolica? (…) Sulla Cattedra di

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Pietro, Noi siamo assisi unicamente perchéVicario di Cristo. Noi siamo il suo Rap-presentante sulla terra; siamo l’organo permezzo del quale fa sentire la sua voce Coluiche è il solo Maestro di tutti (Ecce dedi verbamea in ore tuo, Ger. 1, 9)» (79). Precisamentetramite il Magistero Ordinario Leone XIIIdefinì la questione sulla validità delle ordina-zioni anglicane, Pio XII sull’uso dei cosiddetti“metodi naturali” (80) e sulla materia e formadel Sacramento dell’Ordine.

b) Il Papa è Regola prossima della fedeÈ una verità insegnata dal Magistero

della Chiesa oltre che dall’unanimità dei teo-logi. Rimandiamo i lettori all’articolo appar-so nel numero scorso di Sodalitium (81). Èanche una conclusione logica dell’infallibilitàdel Magistero Ordinario del Papa: se de jurenon può sbagliare, tutti - Vescovi e fedeli -devono abbracciare la dottrina che insegna.

M. afferma che il Papa è la Regola vi-vente della fede solo con il magistero solen-ne (82), non con il Magistero Ordinario altri-menti “questo significherebbe, dice, che ildeposito della fede si trova nel magisterodel Papa vivente: il che è prossimo all’ere-sia” (83). Ma una cosa è il deposito dellaFede, un’altra la Regola che permette di di-scernere quanto è contenuto e quanto si op-pone a questo deposito. Si è visto che ilMagistero della Chiesa insegna il contrario,come ad esempio il Catechismo di S. Pio X:“Nell’obbedienza a questa suprema autoritàdella Chiesa e del Sommo Pontefice, per lacui autorità ci si propongono le verità dellafede, ci s’impongono le leggi della Chiesa eci si comanda tutto ciò che è necessario albuon regime di essa, sta la regola della no-stra fede” (84). Perciò se la regola della fedesi trova anche nella disciplina che ci imponeil Papa, a più forte ragione si trova nel suoMagistero Ordinario. Non avendo capitoquesto, M. falsa, oltre che il pensiero diVacant, anche quello di dom Gréa: “Per lui,dice M., il deposito della fede è sempre nelMagistero Ordinario del Romano Ponteficeche lo comunica incessantemente al corpoepiscopale… Questa tesi è rigettata dalVacant” (85). Dom Gréa invece afferma cheil Papa ci insegna quali sono le verità rivela-te da Nostro Signore, e che i Vescovi ricevo-no il suo insegnamento per trasmetterlo aifedeli: «Come potremo dire che Gesù Cristoparlerà nella Chiesa? (…) Egli vi ha provve-duto con l’istituzione di un Vicario che è il

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suo organo permanente, il custode ed il pre-dicatore infallibile della sua parola, ed “in-torno al quale” (86) tutti i vescovi si riunisco-no, si uniscono a lui e ricevono da lui il pote-re di formare con lui e per mezzo di lui unsolo ed unico magistero della Chiesa univer-sale» (87). Dom Gréa parla quindi diMagistero e non di deposito della fede. Perquanto riguarda Vacant, abbiamo dimostra-to alle pagg. 31 e 35-6 che M. non presentaoggettivamente il suo pensiero.

c) Rapporto tra Magistero del Papa eMagistero dei Vescovi

M. afferma che il Papa gode soltanto diun’assistenza divina più grande di quella deiVescovi (88). Rispondiamo: tra Papa eVescovi vi è una distinzione essenziale e nondi grado, il Papa ha difatti un’assistenza unicada parte dello Spirito Santo che i Vescovi,considerati singolarmente, non hanno.

Secondo M. il Magistero Ordinario delPapa ed il M.O.U. non sono sullo stesso li-vello: “È falso equiparare, come fa domNau, il Magistero Ordinario Pontificio indi-rizzato a tutta la Chiesa al MagisteroOrdinario Universale” (89). Rispondiamoche entrambi questi Magisteri sono infallibi-li. La distinzione consiste solo in questo:l’infallibilità del M.O.U. è stata definita so-lennemente, quella del Papa è una conclu-sione teologica certa.

Per M. la teologia romana ha commessoun errore: considerare che il Magistero deiVescovi è un riflesso del Magistero romano(90). “I Vescovi sono… l’eco della dottrinaapostolica, non della dottrina romana” (91).Innanzitutto M. si contraddice, perché lui stes-so afferma che l’oscuramento del M.O.U.(cosa per lui possibile) è causata dal “venirmeno della Sede di Pietro” (92). Inoltre abbia-

La sala del congresso di Sì Sì No No

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mo visto, a proposito della Regola della fede,che anche i Vescovi sono istruiti dal Papa, ilquale ha la funzione di confermarli nella Fede.Come S. Pietro era il Capo degli Apostoli, cosìil S. Pontefice è capo dei Vescovi. M. ricono-sce che il Papa ha il potere di “giurisdizioneuniversale”, ma inspiegabilmente non gli rico-nosce il Primato nella “funzione dottrinale”, lapotestas docendi: una tal maniera di vedere lecose sarebbe, dice, pericolosa, perché “porta avedere nel Sommo Pontefice anzitutto unafunzione dottrinale” (93).

L’opposto insegna Leone XIII: “È allaSanta Sede, innanzitutto, ed anche, sotto lasua dipendenza, agli altri pastori stabilitidallo Spirito Santo per governare la Chiesadi Dio, che appartiene di diritto il ministerodottrinale. La parte dei semplici fedeli si ri-duce ad un sol dovere, accettare gli insegna-menti che loro sono impartiti, uniformare adessi la loro condotta e secondare le intenzio-ni della Chiesa” (94).

Il Conc. Vat. ha definito: «Insegniamoperciò e dichiariamo che (…) questo poteredi giurisdizione del Romano Pontefice, es-sendo veramente episcopale, è immediato:quindi i pastori di tutti i ranghi e di tutti i ritie i fedeli, sia singolarmente che tuttiinsieme, sono tenuti al dovere della subordi-nazione gerarchica e della vera obbedienza,non solo nelle questioni che riguardano lafede e i costumi, ma anche in quelle relativealla disciplina e al governo della Chiesa dif-fusa su tutta la terra. Di modo che, conser-vando l’unità di comunione e di professionedella stessa fede col Romano Pontefice, laChiesa di Cristo sia un solo gregge sotto unsolo sommo pastore (Gv 10, 16). Questa è ladottrina della verità cattolica, dalla qualenessuno può allontanarsi senza pericolo perla propria fede e la propria salvezza» (95).Abbiamo visto a proposito della nota teolo-gica del M.O.U., che Mons. d’Avanzo inse-gnava: «Perciò come lo Spirito Santo, spiritodi verità, dimora nella Chiesa tutti i giorni;così tutti i giorni la Chiesa insegna le veritàdi fede con l’assistenza dello Spirito Santo.Insegna tutte queste cose che sono sia giàdefinite, sia contenute esplicitamente nel te-soro della rivelazione ma non definite, siainfine sono credute implicitamente: tuttequeste verità la Chiesa le insegna quotidia-namente, sia per mezzo del papa principal-mente, sia per mezzo di ognuno dei vescoviche aderiscono al papa. Tutti, papa e vesco-vi, sono infallibili in questo magistero ordi-

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nario dell’infallibilità stessa della Chiesa:differiscono solo in questo, che i vescovi nonsono infallibili da sè stessi, ma hanno biso-gno della comunione con il papa, dal qualesono confermati; il papa ha bisogno solodell’assistenza dello Spirito Santo che gli èstata promessa (…)» (40).

d) Estensione dell’infallibilitàM. sostiene che l’assistenza al Papa varia

secondo le persone a cui si rivolge: “È certa-mente maggiore quando si indirizza allaChiesa Universale che quando s’indirizza aduna nazione; è minore se si rivolge ai battez-zati della diocesi di Roma, minore ancora sesi rivolge ad un gruppo di pellegrini” (96).Ciò è falso: poco importa a chi si rivolge ilPapa, se la dottrina che insegna vale pertutta la Chiesa, essa è infallibile. D’altraparte non vi sono “gradi” nell’assistenzadello Spirito Santo: o c’è ed allora preservadall’errore, oppure non c’è. Inoltre M. stes-so si contraddice successivamente: difatti af-ferma, e questo è vero, che una lettera del S.Pontefice, anche se indirizzata ad un Pa-triarca, concerne di fatto la Chiesa universa-le e dunque costituisce Magistero OrdinarioPontificio (97). Gregorio XVI, indirizzandosial Vescovo di Friburgo, insegna: “[Quelloche noi diciamo] è conforme agli insegna-menti ed agli avvisi che voi già conoscete, ovenerabile Fratello, per averli appresi dalleNostre Lettere o Istruzioni scritte a diversiarcivescovi e vescovi, sia nelle Lettere delNostro predecessore Pio VIII, stampate peri suoi o per i Nostri ordini. Poco importa sequeste Istruzioni siano state indirizzate sol-tanto a qualche vescovo che aveva chiestoinformazioni alla Sede Apostolica: quasi cheagli altri vescovi fosse stata concessa la li-bertà di non attenersi a quelle decisioni!”(98). Allo stesso modo Pio XII ha definitouna questione di morale, in un discorso di-retto alle ostetriche (80).

Altro errore di M. consiste nel conside-rare che “un atto magisteriale isolato delPapa” non è infallibile: occorre che tale in-segnamento sia costante, di “lunga durata”(99). Abbiamo già risposto a questa teoria:M. riduce l’infallibilità del Magistero ad unargomento apologetico, quello della Tra-dizione. L’assurdità di questa affermazioneè evidente: quando S. Pio X condannò i mo-dernisti, trattandosi di un documento “isola-to” (il primo) sarebbe stato lecito dubitaredella sua infallibilità! Lo stesso avvenne

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quando Pio XII condannò la “nouvelle théo-logie” in Humani Generis, o quando LeoneXIII definì l’invalidità delle Ordinazioni an-glicane! Rispondiamo con S. Agostino:“Roma locuta, causa finita” (100).

e) “Errori” dei Sommi PonteficiNell’insegnamento del Papa vi può esse-

re un errore materiale, che non ha nessunainfluenza sulla fede o sulla morale. Vi posso-no essere inoltre delle cose più o meno op-portune, secondo la prudenzialità dell’atto:in tal caso non spetta a noi giudicare, saran-no poi i Papi successivi a decidere eventual-mente in maniera diversa; ma non vi puòmai essere nell’insegnamento del Papa qual-cosa di nocivo alla fede o alla morale.

M. invece, dopo aver sminuito l’infallibi-lità del Magistero Ordinario del Papa, fini-sce per negarla, come ha fatto prima per ilM.O.U. “Dei papi, dice, possono dare unmagistero imprudente, dannoso per la fedeo erroneo” (101), un’Enciclica può essere“gravemente nociva al bene della Chiesa”(102). Non ci soffermiamo sulla parola “im-prudente”, ma M. non ha il diritto di affer-mare il resto, se vuol essere cattolico. Difattila Chiesa ha condannato le medesimeespressioni, utilizzate dal Concilio di Pistoia,secondo cui nella disciplina della Chiesa vipuò essere qualcosa di “pericoloso o noci-vo” (103). Ora se neanche nella disciplina puòaccadere una cosa del genere, a fortiorinell’insegnamento del Papa! Così ancora laChiesa ha rivendicato l’infallibilità nei de-creti liturgici (104), che sono meno importantidei decreti dottrinali del S. Pontefice. M. ad-dirittura afferma che “è accaduto di fatto”che la Chiesa Romana ha insegnato “un er-rore” ed ha prescritto “un male” (105), con-traddicendo così l’insegnamento del Conc.Vat.: “(…) Questa Sede di Pietro rimanesempre immune da ogni errore, secondo lapromessa divina del nostro Signore…Questo carisma di verità e di fede che non èmai defettibile, è stato accordato da Dio aPietro ed ai suoi successori su questa catte-dra, perché esercitassero questo loro altissi-mo ufficio per la salvezza di tutti, perchél’universale gregge di Cristo, allontanato peropera loro dall’esca avvelenata dell’errore,fosse nutrito con il cibo della dottrina cele-ste, e, eliminata ogni occasione di scisma,tutta la Chiesa fosse conservata nell’unità e,stabilita nel suo fondamento, si ergesse in-crollabile contro le porte dell’inferno” (106).

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Leone XIII, Satis Cognitum: «… GesùCristo ha istituito nella Chiesa un magisterovivente, autentico e, per di più, perpetuo,che Egli ha investito della propria autorità,ha rivestito dello spirito di verità, ha confer-mato con i miracoli, e ha voluto e ha severis-simamente ordinato che gli insegnamentidottrinali di questo magistero fossero rice-vuti come i suoi propri. Tutte le volte che laparola di questo magistero dichiara che taleo tale verità fa parte dell’insieme della dot-trina divinamente rivelata, ognuno deve cre-dere con certezza che questo è vero; perchése ciò potesse in qualche maniera esserefalso, ne conseguirebbe, cosa evidentementeassurda, che Dio stesso sarebbe l’autoredell’errore degli uomini… I Padri delConcilio Vaticano non hanno dunque pub-blicato qualcosa di nuovo, ma non hannofatto altro che conformarsi all’istituzione di-vina, all’antica e costante dottrina dellaChiesa e alla natura stessa della fede, quan-do hanno formulato questo decreto: “Bi-sogna credere di fede divina e cattolica…”[segue la citazione del Cap. 3 della DeiFilius, DS 3011, n.d.a.] (107)». È evidente cheLeone XIII dà qui un’interpretazione auten-tica della definizione conciliare.

Veniamo ora alla lista degli “errori” che,secondo M., avrebbero commesso i Papi (108).Notiamo subito che a sostenere la possibilitàdi “error facti” da parte del Sommo Pontefice,al dire del DTC, furono i giansenisti, i gallica-ni e gli anti-infallibilisti al Conc. Vaticano (109).Questi sono i predecessori di M.! Egli affermadi aver preso molti esempi da Journet (110):prendere Journet come guida in queste mate-rie è prendere una pessima guida. Journet di-fatti ha introdotto nella teologia la mentalitàliberale di Maritain e di Paolo VI, il quale,non a caso, gli diede il cappello cardinalizio.

Quanto al fatto che Onorio avrebbe sco-municato S. Sofronio (108), abbiamo visto cheè falso (nel paragrafo sulle approssimazionie falsificazioni).

San Pietro, “spinto da motivi umani, dàl’esempio opposto a ciò ch’egli stesso avevaprescritto”, dice M. (111). Ma si tratta di compor-tamento e non di insegnamento di S. Pietro!

Giovanni XII concesse a Fozio di esserein comunione con lui (108): M. stesso ammet-te che il Papa venne ingannato. M. portaquesto esempio per provare che il Papa puòsbagliare quando concede ad un Vescovo lacomunione: ma quest’atto non appartiene alMagistero. M. si serve di questo caso per in-

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trodurre la questione di una scomunica com-minata ingiustamente dal Papa (112). Si tengapresente che anche in tali casi, rari, tutti i fe-deli devono credere che la scomunica è giu-sta (DS 1272) e lo scomunicato deve sotto-mettersi sia interiormente che esteriormente(CJC can. 2219 §2).

Atanasio e Papa Liberio nella crisi ariana:M., che cita questo episodio per ben 7 volte,accusa Papa Liberio di essere stato favorevoleagli ariani. Ciò è completamente falso. Liberioviene accusato dai non cattolici di aver firma-to una professione di fede ariana o filo-ariana.Rispondiamo a questa accusa: 1° non si è certiche Papa Liberio abbia firmato qualcosa; 2° seha firmato, non si sa quale documento; 3°qualunque cosa Liberio abbia firmato, se l’hafatto, l’avrebbe fatto mentre era in esilio pri-gioniero dell’imperatore: ora un documentoestorto in prigione non ha nessun valore; 4°Liberio, prima e dopo il suo esilio, ha combat-tuto l’arianesimo (per questo fu mandato inesilio), ed ha sempre professato la fede inte-gra. M. dice ancora che “per 30 anni si ebbeuna quasi-unanimità morale dell’Episcopatoin favore dell’eresia… confermata dal silenzio(se non dalla complicità) di Liberio” (113): ciò èstoricamente falso, perché molti Vescovi furo-no contro gli ariani, come S. Eusebio, S. Ilarioe lo stesso Liberio, che Mons. Benigni defini-sce “il secondo Atanasio”.

La condanna di Galilei: M. stesso è alcorrente che tale condanna venne approvatasolo in forma communi, fu dunque l’atto diuna Congregazione e non del MagisteroPontificio (108). Tuttavia anche in tal caso,come per tutti gli insegnamenti della Chiesa,spiega Salaverri, occorreva che i cattoliciaderissero “corde et ore” (114). Anche se viera un errore materiale, bisognava sottomet-tersi, perché era insegnamento “sicuro”. Taleadesione non solo non comportava nessunerrore contro la fede e la morale, ma era ne-cessaria: “In quei momenti vi fu la necessità,dice Salaverri, di preservare i fedeli dal gravepericolo di dubitare dell’inerranza dellaScrittura, con la quale non si vedeva comepotessero conciliarsi le opinioni di Galilei, al-lora dibattute aspramente. Al decreto, consi-derato in questo senso, che è il senso vero eproprio, bisognava che i fedeli dessero il loroassenso moralmente certo; questo assensoera relativo e condizionato, e cioè dovevadurare finché il progresso della scienza aves-se mostrato che non vi era più il pericolo chefosse negata la dottrina di fede sull’inerranza

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della Sacra Scrittura” (115). Anche Journet,che non tiene la stessa posizione di Salaverri,afferma la necessità di accettare e sottomet-tersi al decreto della Congregazione (116).Non si vede dunque come M. possa dire chesi trattò di errore del Magistero Pontificio, ecome possa rifiutare la sottomissione ai de-creti delle Congregazioni.

La soppressione dei Gesuiti da parte diClemente XIV (108): l’approvazione di unOrdine religioso verte sul fine, la regola, leleggi, nel loro rapporto con la dottrina catto-lica; l’infallibilità non riguarda il giudizio pru-denziale, cioè se quest’approvazione o even-tuale soppressione (come quella dei Gesuiti)è opportuna o prudente (117). Tutti si sottomi-sero all’ordine del Papa; anche S. Alfonso af-fermò la necessità della sottomissione.

Nicola I proibì la tortura e Innocenzo IV(e non Innocenzo V, come dice M.) la per-mise nel codice inquisitoriale (108). Rispon-diamo che entrambi avevano ragione:Nicola I vietò la tortura fatta in maniera in-discriminata, Innocenzo IV la permise condei limiti. Non si capisce come M. abbia po-tuto seguire su questo un autore liberalecome Journet, il quale attacca vari Papi -pure S. Pio V! - per denigrarli (118).

L’enciclica “Au milieu” di Leone XIII:“sembra ortodossa… di fatto fu gravementenociva al bene della Chiesa” (119). Abbiamogià visto all’inizio di questo paragrafo chenon è possibile la presenza di qualcosa dipericoloso, nocivo, erroneo negli atti ponti-fici. Ma M. afferma cose ben peggiori suquesta Enciclica (120).

Il Papa Leone XIII: secondo l’abbé Marcille, preferì “la cassaforte” al “tabernacolo”!

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1° “Ci si può domandare, dice M., se untale testo non contenga implicitamente la di-chiarazione sulla libertà religiosa”. Qui M. èin piena assurdità. Sia per il contesto: LeoneXIII ha combattuto fortemente contro il libe-ralismo (basti pensare all’Enciclica Libertas).Sia perché con quest’accusa M. si dà la zappasui piedi: in tal modo il Concilio Vaticano IIsarebbe “tradizionale” nel ripetere l’insegna-mento di un Papa pre-conciliare. La provache il “Card.” Seper e i post-conciliari hannocercato senza successo (121), ora è M. a darla!

2° M. insulta il Papa: “Il testo di LeoneXIII significa grosso modo: salvate la cas-saforte e sacrificate il tabernacolo”; il mede-simo Papa avrebbe avuto “indolenza” nelcondannare gravi eresie. «Sotto Leone XIIIla scienza teologica, la pietà, la fedeltà allaSanta Sede non avevano nessun valore, se siportava l’etichetta di “refrattario”». “L’ina-udito culto della personalità… circondò quelPapa”. Che tristezza, sentir dire tutto questoda un sacerdote cattolico!

3° M. afferma che durante questoPontificato vi fu «un’“opacizzazione” dellaChiesa: essa non lascia più vedere NostroSignore Gesù Cristo». Se la Chiesa non la-scia più vedere Gesù Cristo, vuol dire chenon è più la vera Chiesa! La stessa espres-sione è stata adoperata da Karol Wojtyla in“Tertio Millennio adveniente”: l’opposizionealla Chiesa Cattolica li trova d’accordo.

Per delle espressioni ingiuriose controPapa Leone XIII, S. Pio X, pur stimandol’abbé Barbier, fece mettere una sua operaall’Indice dei libri proibiti. Le espressionidell’abbé M. meriterebbero la stessa pena, eben di peggio!

Rispondiamo infine brevemente al pro-blema. Leone XIII non afferma nell’Enci-clica “Au milieu” che in Francia il potere èlegittimo. Afferma solo due cose: da un lato,l’unità dei cattolici; dall’altro, il dovere deicattolici di essere sottomessi al potere costi-tuito, se lo richiede l’esigenza del bene co-mune (una rivolta avrebbe causato mali peg-giori). Riprendiamo le parole dell’abbéBelmont scritte a questo proposito: “La criti-ca all’insegnamento di Leone XIII, che è di-venuta una sorta di moda, rassomiglia fintroppo al libero esame perché possiamo noiaccettarla o anche solo prenderla in conside-razione… D’altra parte è ingiustissima e di-strugge l’autorità del magistero pontificio.Coloro che, da molto tempo, minimizzanoquesta autorità non fanno altro che seminare

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la zizzania nel campo del Padre di famiglia, enutrono uno stato d’animo distruttore chenon risparmierà nulla” (122).

Altro errore citato da M. è “la scomunicaingiusta fulminata da Pio XI contro i difensoridell’Action Française” (108). Non possiamo fareuno studio particolare sull’Action Française(A. F.) o sul suo fondatore e capo CharlesMaurras, che, purtroppo, era ateo. Notiamosolo che, pur affermando anche molte cosegiuste, l’A. F. era animata da principi naturali-sti. M. oltre a non badare a ciò, ignora forseche il S. Uffizio aveva preparato la condanna il29/1/1914 e che era stata approvata dal Papaallora regnante, S. Pio X, il quale preferì nonpubblicarla in quel momento per motivi di op-portunità. Si può discutere dunque sull’oppor-tunità o meno di questa condanna, ma non sulfatto, ammesso anche da S. Pio X, che moltetesi di Maurras erano condannabili. RiusciràM. a credere che proprio il santo patrono dellaFraternità cui egli appartiene non avrebbeobiettato nulla alla condannare l’A. F.?Dovrebbe meditare su questa frase di Pio XI:“Pio X era troppo anti-modernista per noncondannare questa specie particolare di mo-dernismo politico, dottrinale e pratico, con ilquale noi siamo confrontati” (123).

Erronea sarebbe pure una lettera di PioXI ai Vescovi di Francia, in cui il Papaavrebbe proibito loro “di ordinare ai cattolicidi non votare per un candidato sostenitoredel laicismo” (124). Abbiamo cercato invanoquesta lettera negli Acta Apostolicæ Sedisdel 1924: ancora una volta, la citazione è sba-gliata e perciò non abbiamo potuto leggere iltesto del Papa. Ma possiamo dire che piùvolte la Chiesa ha affermato che in determi-nate circostanze, per evitare un maggiormale, non è sempre moralmente illecito vo-tare per un non cattolico, se questi garantiscedi agire senza recare alcun danno alla ChiesaCattolica. S. Pio X, con il Patto Gentiloni,permise esattamente questo ai cattolici italia-ni per contrastare il socialismo: votare per undeputato liberale, che garantiva seriamentedi non legiferare contro la religione cattolica.Sarà M. più cattolico di S. Pio X?

f) OffeseLa gerarchia della Chiesa, è definita da

M. “clan al potere” (125): per quanto possaessere ironica l’intenzione di M., l’espressio-ne è offensiva.

M. avversa la tesi secondo la quale “chiobbedisce al Papa ha sempre ragione” (126);

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il suo modo di esprimersi è almeno mal so-nante. Per altre espressioni offensive, siveda il punto precedente.

Indefettibilità della Chiesa

La Chiesa Cattolica è indefettibile, secon-do la promessa di Nostro Signore fatta a S.Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderòla mia Chiesa, e le porte dell’inferno non pre-varranno contro di essa” (Mt 16, 18). Poiché laChiesa cattolica è stata istituita da Dio, nonpuò mai venir meno; ella è, diceva S. Pio X,“indefettibile nella sua essenza, unita con vin-colo indissolubile con il suo Sposo” (127).

M. nega praticamente il dogma dell’inde-fettibilità: per lui la Chiesa è soltanto “quasi”indefettibile, spesso… ma non sempre!Sostiene che la “deficienza della Chiesa ro-mana” (128) è possibile, perché le promessefatte da Nostro Signore valgono “al di fuoridei periodi eccezionali di grave crisi” (129); “lepromesse d’indefettibilità di Nostro Signorefatte alla sua Chiesa garantiscono una cosasola: la relativa rarità e la relativa brevità diqueste gravi crisi” (130), la Chiesa in alcuni mo-menti della storia può “perdere la verità” (131).Esempi storici: la crisi ariana in cui la Chiesasarebbe venuta meno per ben “30 anni” (132);il “grande scisma d’Occidente: 50 anni” (133);sotto il Pontificato di Leone XIII vi fu«l’“opacizzazione” della Chiesa: essa non la-scia più vedere Nostro Signore Gesù Cristo»(134): abbiamo già esaminato tutti questi esem-pi alle pagg. 37 e 42-44. Per M. la defettibilitàinveste sia il M.O.U. che il Papa (135).

Rispondiamo che se Dio ha istituito unareligione e l’ha dotata di un Magistero infal-libile, quest’ultimo deve restare tale, peren-nemente, senza interruzioni. “E poiché, in-segna Leone XIII, la Chiesa è tale per vo-lontà e istituzione divina, essa deve rimane-re tale in perpetuo; se non rimanesse semprenon sarebbe certamente fondata per l’im-mortalità” (136).

La Teologia Romana

Tutti sanno che la Chiesa Romana è Madree Maestra di tutte le Chiese, e che la teologiafedele a Roma ed al suo Vescovo è quella piùvicina alla dottrina della Chiesa. Proprio Mons.Lefebvre, gran difensore dei teologi romani,come ad esempio la scuola di Solesmes (137), sitrova ad avere un discendente che attacca lateologia romana. È la contro-prova che, per di-

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fendere la posizione della FSPX, bisogna anda-re contro la buona teologia.

M. ha attaccato il Papa e la sua indefetti-bilità; deve logicamente attaccare anche laTeologia Romana. “La portata dell’autorità[del Papa] ci sembra spesso esagerata da teo-logi troppo desiderosi di concentrare tuttal’autorità ecclesiastica nel Papa” (138). Rispon-diamo, come già detto per il rapporto traPapa e Vescovi, che il Conc. Vatic. ha defini-to che nella Chiesa il Papa ha l’autorità su-prema e monarchica: «Questa è la dottrinadella verità cattolica, dalla quale nessuno puòallontanarsi senza pericolo per la propriafede e la propria salvezza» (139). M. insiste:“Certi teologi pur degni di stima” sono cadutinella tentazione ed hanno commesso degli er-rori impliciti “che non sono senza conseguen-ze”. “E così le fiammeggianti dichiarazioni diromanità di Solesmes, sulla linea di dom Nau,è [sic] sfociata nell’infedeltà a Cristo, perché -hanno pensato - era meglio rischiare di esserecontro Cristo col papa anziché essere conCristo contro il papa” (140). Un protestantenon parlerebbe diversamente: per essere fe-deli a Cristo bisogna essere contro il papa.

Oltre che Solesmes, il Nostro attacca piùvolte alcuni teologi romani quali dom Nau(141), dom Gréa (142), Billot (143). Al contrariocita senza nessuna riserva dei progressistiquali Von Hildebrand (144), Journet (145),Congar (146), o un gallicano come Bossuet(147). Cosa dire? Per convincere M., più chel’autorità del Papa, dei Vescovi, dei teologicattolici, varranno le parole del Direttore diSì Sì No No, che ha detto: “Il complessoanti-romano è proprio dei modernisti”! (148).

Così Sì Sì No No fondato da don Puttiper essere un giornale “antimodernista” ac-coglie, come testimonia implicitamente ilsuo Direttore, articoli di evidente tendenzamodernista!

Disciplina attuale

1) Il Vescovo-faroCome comportarsi nell’epoca attuale? M.

ha una risposta: nei periodi di crisi,l’Episcopato svolge “un’azione particolare”(149); “In caso di crisi, è talvolta… un Ve-scovo-faro che serve da riferimento” (150).Noi sapevamo che c’è un unico faro della ve-rità, il Papa (P. Vallet). M. ci informa chequesto può spegnersi, mentre l’altro no:“Momentaneamente può essere un faro perla Chiesa più che quello del Papa, il magiste-

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ro di un Vescovo venerabile” (151). M. inau-gura così una nuova teologia che potremmochiamare “episcopaliana-marinara”. Ma,quel che è grave, inaugura una nuova regoladella fede, non più quella oggettiva cheNostro Signore ci ha dato, il Magistero infal-libile di Pietro, ma una soggettiva e fallibile:“un Vescovo del quale l’esperienza avrà di-mostrato che merita fiducia, e, una volta ac-cordata questa fiducia, [bisogna] accettare ilsuo insegnamento” (152). In questo modo M.imita i giansenisti che anteponevano l’auto-rità di un Padre della Chiesa, S. Agostino, aquella del Magistero infallibile; M. anteponel’autorità del Vescovo-faro, scelto dalla pro-pria esperienza. Tra i Vescovi-fari del passa-to M. ci indica Bossuet, che dovette spegner-si anche lui quando sostenne le tesi gallicane(153). Tra i Vescovi-fari di oggi, M. non lo dicema è chiaro lo stesso, vi è Mons. Lefebvre edi Vescovi da lui consacrati nel 1988. Perciònon vale più il detto “ubi Petrus ibi Ecclesia”,ma “ubi pharus ibi Ecclesia”!

Come abbiamo già visto nel paragrafosulle falsificazioni, M. fonda la sua tesi “sullafunzione straordinaria dell’Episcopato” fal-sando il pensiero di dom Gréa. Nei periodi di

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crisi, secondo M. i Vescovi possono agire in-dipendentemente dal Papa; per dom Gréa in-vece, “i vescovi, sempre dipendenti in questocome in tutte le cose dal Sommo Pontefice eagendo in virtù della sua comunione, cioè ri-cevendo da lui tutto il loro potere, usano que-sta facoltà per la salvezza del popolo” (154).

M. fa intendere che i vescovi consacrati daMons. Lefebvre, così come il Vescovo-faro,hanno una “giurisdizione supplita” (155). Ri-spondiamo che tali vescovi non hanno nessu-na giurisdizione perché non sono mai stati nédiocesani né titolari, dunque non hanno la“sollecitudine della Chiesa universale”; d’altraparte neanche Mons. Lefebvre ha mai avutoné giurisdizione fuori della sua diocesi (di cuiera privo dal 1962), né magistero. La giurisdi-zione difatti viene dal Papa e non dai fedeli.

2) La Fede dei fedeli è più sicura dell’inse-gnamento dei pastori

La dottrina cattolica insegna che laChiesa docente (Ecclesia docens), formatadal Papa e dai Vescovi, è infallibile perché as-sistita dallo Spirito Santo; i fedeli (Ecclesiadiscens) hanno un’infallibilità nell’atto di cre-dere, dovuta all’insegnamento infallibile chehanno ricevuto. M. sovverte quest’ordine, edafferma che i fedeli hanno una fede infallibileindipendente dai loro Pastori. “In periodi dicrisi la fede dei fedeli può essere, per cono-scere un punto di fede, un criterio più sicurodell’insegnamento attuale dei Pastori” (156);addirittura è più facile consultare «la fededell’“Ecclesia credens”» che la Chiesa docen-te (157). Come prova della sua affermazione,M. dà il riferimento di una tesi di Franzelin(158). Leggiamola: «A questo magistero perpe-tuo, indefettibile ed infallibile, per la stessaistituzione di Cristo, corrisponde una perpe-tua “obbedienza della fede” per i credenti.Dunque come lo Spirito Santo conserva sem-pre immune dall’errore la predica e la testifi-cazione nell’unità dei pastori e dei dottori;così per mezzo di questa stessa infallibile te-stificazione dei docenti [Ecclesia docens],conserva sempre immune dall’errore la fededi quelli che sono insegnati [Ecclesia discens],i quali per mezzo dell’obbedienza della fedepermangono nel consenso e nella comunionecon l’unanimità dei pastori: Cristo è il Verbodel Padre, i Vescovi… sono nel pensiero diCristo, i fedeli nel giudizio dei Vescovi» (159).M. afferma inoltre che Franzelin dà moltiesempi probanti che la fede dei fedeli è piùsicura del consenso dei Vescovi: invece gli

“Ubi pharus ibi Ecclesia”!

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esempi illustrati da Franzelin (pag. 104) ri-guardano i casi di singoli Vescovi che errava-no, mentre i fedeli permanevano nella fede.Solo in questo senso la fede dei fedeli può es-sere più sicura di quella di alcuni Vescovi(anche molti, ma mai tutti se sono uniti aPietro): e ciò solo perché questi fedeli credo-no quanto hanno ricevuto dalla chiesa docen-te. Ancora una volta M. altera il pensierodegli autori per i bisogni della causa. Ri-portiamo nuovamente l’insegnamento diLeone XIII: “È alla Santa Sede, innanzitutto,ed anche, sotto la sua dipendenza, agli altripastori stabiliti dallo Spirito Santo per gover-nare la Chiesa di Dio, che appartiene di dirit-to il ministero dottrinale. La parte dei sempli-ci fedeli si riduce ad un sol dovere, accettaregli insegnamenti che loro sono impartiti,uniformare ad essi la loro condotta e secon-dare le intenzioni della Chiesa” (160).

Conclusione

L’abbé M. potrebbe obiettare di aver co-munque affermato la dottrina cattolica in al-cune frasi da noi contestategli. Però, se anchecosì fosse, l’ha svuotata del suo significatoperché in realtà la nega. Anche gli ariani af-fermavano che “Gesù è Dio”, ma in realtàpensavano che era una creatura di Dio.

M. ha mutato la nozione di infallibilità: èinfallibile solo ciò che di fatto (e non anche didiritto) non erra. Ha poi sostituito, come cri-terio della Fede, al Magistero infallibile delPapa e dei Vescovi la Tradizione, interpretatada lui stesso, dai fedeli, da un Vescovo-faro,insomma con un criterio soggettivo. In questosi avvicina alle tesi degli scismatici “ortodos-si”, per cui la Tradizione è la regola prossimadella fede (e non quella remota). Si avvicinaanche ai giansenisti, nel rifiutare il Magistero

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vivente della Chiesa e si avvicina ai gallicaninel negarne praticamente l’infallibilità. M.vuol diminuire l’infallibilità del Papa (legitti-mo) e dei Vescovi e provare che si può lorodisobbedire, per poi chiederci un atto di fedecieco nel “Vescovo-faro”, nel capo carismati-co, che di fatto non sbaglia mai.

Noi preferiamo obbedire al Papa, a quel-lo vero che ha autorità: preferiamo confor-marci ai suoi insegnamenti piuttosto che aquelli di chiunque altro.

«Il Papa è il guardiano del dogma e dellamorale; è il depositario dei principî che for-mano onesta la famiglia, grandi le nazioni,sante le anime; è il consigliere dei principi edei popoli; è il capo sotto del quale nessunodebba sentirsi tiranneggiato, perché rappre-senta Dio stesso; è il padre per eccellenzache in sé riunisce tutto ciò che vi può esseredi amorevole, di tenero, di divino.

Sembra incredibile, ed è pur doloroso,che vi siano dei sacerdoti ai quali si debbafare questa raccomandazione, ma siamopurtroppo ai nostri giorni in questa dura, in-felice condizione di dover dire a dei sacer-doti: amate il Papa!

E come si deve amarlo il Papa? Nonverbo neque lingua, sed opere et veritate (IGv 3, 18). Quando si ama una persona sicerca di eseguirne i voleri, di interpretarne idesideri. E se nostro Signor Gesù Cristo di-ceva di sé: si quis diligit me, sermonem meumservabit (Gv 14, 23), così per dimostrare ilnostro amore al Papa è necessario ubbidirgli.

Perciò quando si ama il Papa, non si fannodiscussioni intorno a quello che Egli dispone oesige, o fin dove debba giungere l’obbedienza,ed in quali cose si debba obbedire; quando siama il Papa, non si dice che non ha parlato ab-bastanza chiaro, quasi che Egli fosse obbligatodi ripetere all’orecchio d’ognuno quella vo-lontà chiaramente espressa tante volte nonsolo a voce, ma con lettere ed altri pubblicidocumenti; non si mettono in dubbio i suoi or-dini, adducendo il facile pretesto di chi nonvuole ubbidire, che non è il Papa che coman-da, ma quelli che lo circondano; non si limita ilcampo in cui Egli possa e debba esercitare lasua autorità; non si antepone all’autorità delPapa quella di altre persone per quanto dotteche dissentano dal Papa, le quali se sono dottenon sono sante, perché chi è santo non puòdissentire dal Papa». Sono le parole di S. PioX (161). La Fraternità che porta il suo nome do-vrebbe maggiormente meditare e far meditareai cristiani che la seguono, queste parole.

«Orbene in quest’unica Chiesa di Cristonessuno si trova, come nessuno persevera,senza riconoscere e accettare con l’ubbidienzala Suprema autorità di Pietro e dei suoi legit-timi successori»

Pio XI, Mortalium animos, I. P. 873.

«Il criterio primo e massimo della fede, laregola suprema ed incrollabile dell’ortodossiaè l’obbedienza al magistero sempre vivente edinfallibile della Chiesa, costituita da Cristo co-lumna et firmamentum veritatis, colonna e so-stegno di verità».S. Pio X, Con vera soddisfazione, 10-5-1909, I. P. 716.

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Note

1) Anno XXII, n. 8, del 15/5/96 pagg. 1-7 e n. 9, del30/5/96, pagg. 1-5.

2) Actes du 2ème Congrès Théologiques de Sì Sì No No,Publications du Courrier de Rome, 1996, pagg. 255-286.

3) Sì Sì No No, 15 maggio 1996, n. 8, pag. 1, col. 1.4) Questa affermazione è una delle tante prove della

superficialità di M. Il deposito della fede non consistenel M.O.U., ma nella parola di Dio scritta o tramandata(Scrittura e Tradizione). Il M.O.U., al pari del Magi-stero solenne, è la regola o criterio infallibile per saperequali verità sono effettivamente contenute nellaRivelazione (vedi D 1792 e DS 3011).

5) S. n. 8, pag. 1, col. 1-2.6) Questa frase si trova solo nell’edizione francese

citata all’inizio di quest’articolo, La crise du MagistèreOrdinaire et Universel, pag. 256.

7) S. n. 8, pag. 6, col. 1.8) S. n. 9, pag. 2, col. 2 e pag. 5, nota 40. Testo fran-

cese, pag. 267 nota 23 da controllare.9) JEAN-MICHEL-ALFRED VACANT, Etudes Théo-

logiques sur les Constitutions du Concile du Vaticand’après les actes du Concile, Delhomme et Briguet,Paris - Lyon, 1895.

10) VACANT, Ibidem, Tomo 2, cap. III, par. IV, art.107, n. 662, pag. 120.

11) VACANT, Ibidem, Tomo 2, n. 663, pag. 122, nota 3.12) S. n. 8, pag. 3, col. 1.13) S. n. 8, nota 7.14) S. n. 9, pag. 3, col. 1; pag. 5 nota 48.15) S. n. 9, pag. 4, col. 3.16) DOM A. GRÉA, De l’Eglise et de sa divine consti-

tution, Tome premier, l. II, 2ème partie, cap. IV, § 3,pagg. 218-9, Maison de la Bonne Presse, Paris 1907.

17) V. ZUBIZARRETA O.C.D., Theologia dogmatico-scholastica ad mentem S. Thomæ Aquinatis, vol. I,Theologia Fundamentalis, Tratt. II, Q. XIX, a. III, § 3,n. 458 e ss., Bilbao 1948, pagg. 394-6.

18) S. n. 8, pag. 3, col. 3.19) Vedi: SALAVERRI, Sacræ Teologiæ Summa,

Teologia Fundamentalis, T. III De Ecclesia Christi, L.2, c. 2, a. 1, n. 541-2, B.A.C., Madrid 1962, pag. 665-6.

20) S. n. 8, pag. 4, col. 2.21) S. n. 8, pag. 6, nota 20. I. B. FRANZELIN, De

Divina Traditione et Scriptura, sectio I, cap. I, Tesi IX,punto I, Roma 1896, pag.76.

22) S. n. 8, pag. 6, col. 1.23) S. n. 9, pag. 2, col. 2.24) S. n. 9, pag. 1, col. 1.25) S. n. 9, pag. 2, col. 3.26) Enc. Satis Cognitum, 29/6/1896, I. P. n. 605.27) S. n. 8, pag. 4, col. 2.28) PIO XII, Mystici Corporis, DS 3802, in Soda-

litium, n. 43, pagg. 23-24.29) Costituzione Dei Filius , cap. 3 De Fide,

24/4/1870, DS 3011.30) S. n. 8, pag. 2, col. 1.31) S. n. 8, pag. 2, col. 2.32) S. n. 8, pag. 3, col. 2.33) S. n. 8, pag. 2, col. 2.34) Satis cognitum, I. P. n. 576.35) Per la spiegazione delle note teologiche, vedi Gli

errori di Sì Sì No No, in Sodalitium, n. 44, pag. 51 e pag.54 nota 4.

36) S. n. 8, pag. 5, col. 3; pag. 6, col. 1; S. n. 9, pag. 2col. 2 e pag. 5, nota 40.

37) S. n. 8, pag. 6, col. 1.

48

38) PIO IX, Tuas libenter, 21/12/1863, all’Arcive-scovo di Monaco, DS 2875-80, in Sodalitium n. 41, L’in-fallibilità della Chiesa, pag. 68-9.

39) Vedi Sodalitium n. 41, pag. 58.40) Mansi 52, 763 D9-764 C7. Testo riportato da

ABBÉ BERNARD LUCIEN, L’infaillibilité du Magistère or-dinaire et universel de l’Eglise, Documents deCatholicité, 1984, pagg. 21-3.

41) S. n. 9, pag. 2, col. 3.42) Vehementer nos, I. P. n. 683.43) SALAVERRI, op. cit., n. 546, pag. 667.44) ZUBIZARRETA, op. cit., n. 461, pag. 396.45) MONS. ZINELLI, Mansi 51, 676A. In LUCIEN, op.

cit., pag. 31.46) P. L. M. DE BLIGNIERES, L’infallibilità del

Magistero Ordinario, Pro manuscripto, pag. 12.47) S. n. 8, pag. 6, col. 1; n. 9, pag. 2, col. 2.48) Nuovo per la nostra conoscenza esplicita, ma

che era contenuto implicitamente nella Rivelazione,terminata con la morte dell’Apostolo S. Giovanni: cfSodalitium, n. 44, pagg. 49-50.

49) VACANT, Etudes théologiques… n. 625, pag. 93.50) PIO XI, Mortalium animos, 6-1-1928. DS 3683. Il

testo è riportato in I. P. n. 871.51) PIO XI Casti Connubi, 31/1/1930, I. P. n. 904-5.52) PIO XII, Munificentissimus Deus, 1/11/1950, I. P.

n. 1291. Cfr. Sodalitium, n. 41, pag. 69.53) R. P. BARBARA, Analyse critique des actes du

IIème Congrès théologique de la Fraternité Saint Pie X -janvier 1996, Critica al congresso, Quarta critica, punto c).

54) S. n. 9, pag. 2, col. 1; vedi anche nota 46.55) S. n. 9, pag. 2, col. 2.56) LUDOVICO BILLOT S. I., De Ecclesia Christi,

Tomus prior, Roma 1927. Ad es. vedere la Quæstio X,pagg. 410-8.

57) S. n. 9, pag. 2, col. 2; vedi anche pag. 3, col. 258) S. n. 9, pag. 3, col. 3.59) BILLOT, op. cit., pagg. 658-660.60) S. n. 9, pagg. 4-5, nota 39.61) S. n. 9, pag. 5, nota 42.62) S. n. 9, pag. 1, col. 2 e 3.63) S. n. 9, pag. 2, col. 2; pag. 3, col. 2 e 3. Lo stesso è

affermato dal R. P. PIERRE-MARIE, “L’autorité duConcile” in Eglise et Contre-Eglise… pagg. 307 e ss.

64) S. n. 9, pag. 5, nota 44.65) S. n. 9, pag. 2, col. 3. R. P. PIERRE-MARIE, op.

cit., pagg. 304 e ss.66) S. n. 9, pag. 4, col. 1.67) Sodalitium, n. 41, pagg. 71-2.68) Mansi 52, 26-27. Citato da B. LUCIEN, Le canon

de St Vincent de Lérins, in Cahiers de Cassiciacum, n. 6,pagg. 83-95.

69) S. n. 9, pag. 3, col. 2.70) T. ZAPELENA, De Ecclesia Christi, pars altera,

Gregoriana, Roma 1940, pagg. 60 e ss. In ABBÉ B.LUCIEN, L’infaillibilité…, pag. 68.

71) S. n. 8, pag. 6, nota 28.72) S. n. 8, pag. 3, col. 1.73) Intervento di MONS. MARTIN a nome della Depu-

tazione della Fede durante il Conc. Vaticano, il31/3/1870. Citato da B. LUCIEN, L’infaillibilité…, pag. 17.

74) Questo punto è spiegato molto bene da R. P.NOEL BARBARA, in La Bergerie du Christ et le loupdans la Bergerie, éd. Forts dans la Foi, Tours 1995,pagg. 177 e ss.

75) Mansi, 49, 673; 52, 1230. In SALAVERRI, op. cit., n. 647.76) MONS. GASSER, Relazione alla 84ª congregazio-

ne generale, 11-7-1870, Mansi 1215.

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77) PIO XI, Mortalium animos, 6/1/1928, DS 3683, I.P. 871.78) PIO XII, Humani Generis, 12-8-1950, I. P. n. 1280.79) PIO XII, Commossi, 4-11-1950, I. P. n. 1295.80) P. N. BARBARA, op. cit., pag. 158.81) Sodalitium n. 44, pagg. 48-49.82) S. n. 8, pag. 6, nota 24: nel testo francese è chia-

mato “straordinario”.83) S. n. 8, pag. 6, nota 24.84) S. PIO X, Catechismo Maggiore, Breve Storia

della Religione, ed. Ares, Milano 1991, pag. 290.85) S. n. 8, pag. 7, nota 31.86) «S. Ignazio d’Antiochia chiama gli apostoli: “quel-

li intorno a Pietro” Epist. ad Smyrn., n. 13. Questa espres-sione significa presso i Greci la corte del sovrano e la di-pendenza del suo seguito»: nota nel testo di dom Gréa.

87) DOM A. GRÉA, op. cit., Tome premier, l. I, cap.VI, § 2, pag. 82. Vedi anche l. II, cap. 2, § 3, pag. 145-146.

88) S. n. 8, pag. 5, col. 1; n. 9, pag. 1, col. 1.89) S. n. 8, pag. 5, col. 3; pag. 6, nota 8.90) S. n. 8, pag. 5, col. 2; pag. 6, nota 5.91) S. n. 8, pag. 5, col. 2.92) S. n. 9, pag. 5, nota 55.93) S. n. 8, pag. 6, nota 24.94) LEONE XIII, In mezzo, 4-11-1884, I. P. n. 458.95) Conc. Vat., Const. Pastor Aeternus, 18/7/1870,

DS 3060.96) S. n. 8, pag. 5, col. 1.97) S. n. 9, pag. 5, nota 48.98) GREGORIO XVI, Non sine gravi, al Vescovo di

Friburgo, 23/5/1846, I. P., vol. I, n. 190.99) S. n. 8, pag. 5, col. 1.100) Serm. 131, 10, 10.101) S. n. 9, pag. 3, col. 1; pag. 1, col. 1; n. 8, pag. 5,

col. 1.102) S. n. 9, pag. 3, col. 2.103) PIO VI, Auctorem fidei, 28-8-1794, DS 1578.104) DS: 1198-1200, 1645, 1657, 1727-34, 1745-59,

3315-9.105) S. n. 8, pag. 5, col. 2.106) Pastor Aeternus, DS 3070 e 3071.107) I. P., vol. I, n. 571-2.108) S. n. 9, pag. 2, col. 3; pag. 3, col. 1. 109) DTC, Dictionnaire de Théologie Catholique,

voce Honorius Ier, col. 125-6. Ricordiamo che il DTC èlungi dall’essere di orientamento “romano”.

110) S. n. 9, pag. 5, nota 51: JOURNET, L’Eglise duVerbe Incarné, t. I, pag. 428, excursus 5. Il riferimentoesatto è: T. I, cap. IV, pagg. 347-51 e cap. VII, pagg.428-33. Desclée, de Brouwer, Parigi, 1941. Il caso diClemente XIV non siamo riusciti a trovarlo

111) S. n. 9, pag. 4, nota 37.112) S. n. 9, pag. 5, nota 49.113) S. n. 9, pag. 3, col. 2.114) DS: 2390, 2879, 2895, 2922, 3407, 3884. D 1880,

soppresso in DS.115) SALAVERRI, op. cit., l. 2, c. 2, a. 3, nn. 682-3,

pagg. 712-3.116) JOURNET, op. cit., pag. 431.117) SALAVERRI, op. cit., a. 2, n. 727-9. Sodalitium, n.

41 pag. 66.118) JOURNET, op. cit., pag. 351, nota 1.119) S. n. 9, pag. 3, col. 2.120) S. n. 9, pag. 5, nota 52.121) Mons. Lefebvre e il Sant’Uffizio, Volpe

Editore, 1980, pagg. 11-13 e 25-69.122) ABBÉ H. BELMONT, Léon XIII et saint Thomas

d’Aquin, in Notre-Dame de la Sainte-Espérance, jan-vier 1994, n. 92, pag. 6.

49

123) PIO XI, Chirographe à Paulin-Pierre Andrieu,Archevêque de Bordeaux, 5-1-1927; in Actes de S. S. PieXI, Tome IV, Année 1927 et 1928, Maison de la BonnePresse, Paris 1932.

124) S. n. 9, pag. 3, col. 2.125) S. n. 8, pag. 4, col. 2.126) S. n. 9, pag. 2, col. 1.127) S. PIO X, Iucunda sane, 12-3-1904, I. P. 667.128) S. n. 8, pag. 4, col. 3.129) S. n. 9, pag. 1, col. 3.130) S. n. 8, pag. 6, nota 22.131) S. n. 9, pag. 2, col. 3.132) S. n. 9, pag. 3, col. 2.133) S. n. 9, pag. 5, nota 56.134) S. n. 9, pag. 3, col. 2.135) S. n. 9, pag. 2, col. 1 e 2; pag. 3, col. 1 e 2.136) LEONE XIII, Satis Cognitum, 29-6-1896, I. P. n. 544.137) R. WILTGEN, Le Rhin se jette dans le Tibre, Ed.

du Cèdre, 1976, pag. 243.138) S. n. 8, pag. 4, col. 3.139) Conc. Vat., Const. Pastor Aeternus, 18/7/1870,

DS 3060.140) S. n. 8, pag. 5, col. 3.141) S. n. 8, pag. 6, note 5, 6, 24.142) S. n. 8, pag. 6, note 24 e 31.143) S. n. 8, pag. 6, nota 28.144) S. n. 8, pag. 6, nota 21: fu l’iniziatore della

nuova teologia sul matrimonio.145) S. n. 9, pag. 3, col. 1.146) S. n. 9, pag. 5, nota 41.147) S. n. 9, pag. 5, nota 47.148) Si tratta del discorso di apertura del Congresso

Teologico, tenuto dall’abbé E. du Chalard de Taveau,Direttore di S., in omaggio a Mons. Francesco Spa-dafora. Abbiamo sotto gli occhi il testo francese: Egliseet Contre-Eglise… pag. 11.

149) S. n. 9, pag. 4, col. 2 e 3.150) S. n. 9, pag. 5, nota 47.151) S. n. 8, pag. 5, col. 2.152) S. n. 9, pag. 4, col. 2.153) DS 2281 e ss.154) DOM A. GRÉA, op. cit., pagg. 218-219.155) S. n. 9, pag. 4, col. 3.156) S. n. 9, pag. 2, col. 1.157) S. n. 9, pag. 3, col. 2.158) S. n. 9, pag. 4, nota 38.159) I. B. FRANZELIN, op. cit., sectio prima, c. II, T.

XII, pag. 97.160) LEONE XIII, In mezzo, 4-11-1884, I. P. n. 458.161) S. PIO X, Vi ringrazio, ai membri dell’Unione

Apostolica, 18/12/1912, I. P. 750-2.

«Voi vedete quanto siano fuori di stra-da quei cattolici, che… si arrogano il dirittodi giudicare gli atti dell’autorità (…), contrap-ponendo il giudizio fallace di qualche personasenza autorevole competenza, o della propriaprivata coscienza… al giudizio e al precetto dichi per divino mandato è legittimo giudice,maestro e pastore» S. Pio X, Con vera soddisfazione, 10-5-1909, I. P. 717.

ULTIMA ORASì Sì No No, 1997 n. 2, pag. 5 pubblica un trafilettoriguardo agli errori da noi rilevati su Sodalitium n. 44(pag. 54). Gli argomenti del presente articolo dannogià una risposta. Seguirà un’analisi più dettagliata.

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Pubblichiamo, come appendice all’articolo didon Murro sul magistero, un documento della

“Sacra Congregazione per la dottrina della fede”che tratta sostanzialmente dello stesso argomentoe denuncia, questa volta contro i “progressisti”, lostesso male, ovvero, la svalutazione del magisterodovuto a una mancanza di fede. I lettori diSodalitium sanno che non riconosciamo come au-tentico l’insegnamento post-conciliare, a causadella vacanza formale della Sede apostolica: que-sto non riconoscimento vale quindi anche per ilpresente documento. Tuttavia ci rallegriamo nelvedere sostanzialemente confermata la dottrinacattolica sul magistero. Questo punto comunepuò essere anche un punto di partenza per un di-battito, non più eludibile, sulla conformità delVaticano II e dei documenti conciliari con il ma-gistero della Chiesa. Mons. Bertone ricorda chel’attuale dissenso nei confronti di una dottrina giàinsegnata dalla Chiesa non toglie nulla al valore ealla obbligatorietà di questa dottrina. Se questovale per l’invalidità dell’ordinazione sacerdotaledelle donne, perché non deve valere anche, adesempio, per la condanna della libertà religiosa oper la posizione tradizionale della Chiesa sul giu-daismo? La nostra attitudine, apparentementesconcertante, non nasce da una rivolta nei con-fronti del magistero della Chiesa ma, al contrario,dall’adesione scrupolosa a questo stesso magiste-ro. Pubblicando in appendice questo documentovorremmo contribuire alla comprensione di que-sta nostra posizione e a ribadire la nostra opposi-zione a ogni dottrina che svilisce il valore del ma-gistero ecclesiastico, venga essa dal fronte “pro-gressista” come dal fronte “tradizionalista”.

Sodalitium

A proposito della recezione deiDocumenti del Magistero e del

dissenso pubblicoTarcisio Bertone Arcivescovo emerito di Vercelli

Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede (Tratto da L’Osservatore Romano 20 dicembre 1996)

(...) D’altra parte si sono levate anchevoci discordanti e dissenzienti da parte diteologi, associazioni e gruppi ecclesiastici,che hanno problematizzato sia il contenutoe il fondamento teologico degli insegnamen-ti dei suddetti Documenti, sia il loro valore evincolo dottrinale, contestando che si possaqualificare tali dottrine come definitive o ad-dirittura come proposte infallibilmente dalMagistero. Appare pertanto conveniente ri-

50

flettere sulle principali difficoltà formulate ariguardo del valore e del grado di autorità ditali interventi magisteriali.

I. Sotto il profilo dottrinale, anche allaluce del quadro descrittivo delle reazioni edelle principali critiche ai suddetti documentimagisteriali, sembra di dover rilevare conspeciale attenzione alcuni aspetti nodali chenel clima teologico ed ecclesiale odierno sonofonte di confusione e di ambiguità, e compor-tano conseguenze negative nella prassidell’insegnamento della teologia e del com-portamento di alcuni ambienti ecclesiastici:

1) In primo luogo si deve segnalare latendenza a misurare tutto con il parametrodella distinzione tra “Magistero infallibile” e“Magistero fallibile”.

In tal modo l’infallibilità diventa la misuradominante di tutti i problemi di autorità finoal punto da sostituire di fatto il concetto di au-torità con quello di infallibilità. Inoltre siconfonde spesso la questione dell’infallibilitàdel Magistero con la questione della veritàdella dottrina, supponendo che l’infallibilitàsia la pre-qualifica della verità e della irrefor-mabilità di una dottrina, e facendo dipenderela verità e la definitività di una dottrina dall’in-fallibilità o meno del pronunciamento magi-steriale. In realtà la verità e la irreformabilitàdi una dottrina dipende dal depositum fidei,trasmesso dalla Scrittura e dalla Tradizione,mentre l’infallibilità si riferisce soltanto algrado di certezza dell’atto dell’insegnamentomagisteriale. Nei diversi atteggiamenti criticinei confronti dei recenti documenti delMagistero si dimentica inoltre che il carattereinfallibile di un insegnamento e il carattere de-finitivo e irrevocabile dell’assenso ad esso do-vuto non è una prerogativa che spetta soltantoa ciò che è stato “definito” in modo solennedal Romano Pontefice o dal Concilio Ecu-menico. Allorché i Vescovi sparsi nelle singolediocesi in comunione con il Successore diPietro insegnano una dottrina da tenersi inmodo definitivo (cfr LG 25, § 2) godono dellastessa infallibilità, propria del Magistero delPapa “ex cathedra” o del Concilio.

Occorre quindi ribadire che nelleEncicliche “Veritatis splendor”, “Evangeliumvitæ”, e nelle stessa Lettera Apostolica“Ordinatio Sacerdotalis”, il Romano Ponte-fice ha inteso, sebbene non in una forma so-lenne, confermare e riaffermare dottrine cheappartengono all’insegnamento del Magisteroordinario e universale, e che quindi sono datenersi in modo definitivo e irrevocabile.

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Inoltre, si deve anche tener presente che sel’autorità degli insegnamenti del Magisteroconosce gradi diversi tra loro, ciò non significache l’autorità di un grado minore possa essereconsiderata a livello delle opinioni teologicheoppure che al di fuori dell’ambito dell’infalli-bilità conterebbero solo le argomentazioni erisulterebbe impossibile una comune certezzadella Chiesa in materia dottrinale.

2) In secondo luogo, queste considera-zioni risultano molto significative per quan-to concerne l’adesione all’insegnamento di“Veritatis splendor” e “Evangelium vitæ”, di“Ordinatio sacerdotalis” e anche del“Responsum” e della Lettera della Congre-gazione per la Dottrina della Fede circa laricezione della comunione eucaristica daparte dei fedeli divorziati risposati: trattan-dosi di insegnamenti proposti o confermatidal Magistero senza ricorrere al modo defi-nitorio (giudizio solenne), è diffusa l’ideache tali insegnamenti siano rivedibili e rifor-mabili in un’epoca successiva o forse sottoun altro pontificato. Tale idea è del tuttopriva di fondamento e manifesta un’erratacomprensione della dottrina della Chiesacattolica sul Magistero.

Infatti considerando l’atto dell’insegna-mento, il Magistero può insegnare una dot-trina come definitiva o con un atto definito-rio o con un atto non definitorio. Anzitutto ilMagistero può proclamare una dottrinacome definitiva, e quindi da credersi confede divina o da tenersi in modo definitvo,mediante un pronunciamento solenne delPapa “ex cathedra” o del concilio ecumeni-co. Tuttavia il Magistero ordinario pontificiopuò insegnare come definitiva una dottrinain quanto essa è costantemente conservata etenuta dalla Tradizione e trasmessa dalMagistero ordinario e universale. L’eserci-zio del carisma dell’infallibilità in questa ul-tima fattispecie non si configura come attodefinitorio del Papa, ma concerne ilMagistero ordinario e universale, che ilPapa riassume con il suo formale pronuncia-mento di conferma e di riaffermazione (ge-neralmente in una enciclica o LetteraApostolica). Se si sostenesse che il Papadeve intervenire necessariamente con unadefinizione “ex cathedra” ogni qual voltaegli intenda dichiarare come definitiva unadottrina in quanto appartenente al depositodella fede, ciò comporterebbe implicitamen-te la svalutazione del magistero ordinario euniversale, e l’infallibilità verrebbe riservata

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soltanto alle definizioni solenni del Papa odel concilio, in una direzione difforme ri-spetto all’insegnamento del Vaticano I e delVaticano II, che attribuiscono carattere in-fallibile anche agli insegnamenti delMagistero ordinario e universale. Quantopoi alla natura peculiare di un insegnamentodel Magistero pontificio che intenda sempli-cemente confermare o riproporre una cer-tezza di fede già vissuta consapevolmentedalla Chiesa o affermata dall’insegnamentouniversale dell’intero corpo episcopale, essasi può vedere non di per sé nell’insegnamen-to della dottrina stessa, ma nel fatto di di-chiarare formalmente da parte del RomanoPontefice che si tratta di una dottrina chegià appartiene alla fede della Chiesa ed è in-segnata infallibilmente dal Magistero ordi-nario universale come divinamente rivelatao come da tenersi in modo definitivo.

Alla luce di tali considerazioni, sembrasia un problema fittizio chiedersi se tale attopontificio di conferma dell’insegnamento delMagistero ordinario e universale sia infalli-bile o meno. Infatti, pur non essendo per séuna definizione dogmatica (come il dogmatrinitario niceno o il dogma cristologico cal-cedonense o i dogmi mariani), il pronuncia-mento pontificio di conferma gode dellastessa infallibilità di cui gode l’insegnamentodel Magistero ordinario e universale, che in-clude il Papa non come semplice Vescovo,ma come Capo del Collegio Episcopale. Aquesto proposito, è importante precisare cheil “Responsum ad dubium” della Con-gregazione per la Dottrina della Fede circala dottrina insegnata nella Lettera Apo-stolica “Ordinatio Sacerdotalis”, menzionan-do il carattere infallibile di questa dottrinagià in possesso della Chiesa, ha inteso sem-plicemente richiamare che essa non è propo-sta infallibilmente soltanto a partire da que-sto Documento Pontificio, ma che in essoviene confermato ciò che dappertutto, sem-pre e da tutti è stato tenuto come apparte-nente al deposito della fede. Essenzialequindi è conservare il principio che un inse-gnamento può essere proposto infallibilmen-te dal Magistero ordinario e universale,anche con un atto che non ha la forma so-lenne di una definizione.

3) Si è sollevata inoltre da qualche partela questione del riconoscimento di una dot-trina insegnata come rivelata o come da te-nersi definitivamente dal Magistero ordina-rio e universale, e si è detto ad esempio che

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per tale riconoscimento occorre che siaesplicitamente manifestato il consenso una-nime dell’intero corpo episcopale non solodi proporre una determinata sentenza, maanche di dichiarare il suo carattere assolutoe definitivamente vincolante. Di qui il dub-bio che tali requisiti non si riscontrerebberoin materia della dottrina circa la non ammis-sione delle donne all’ordinazione sacerdota-le né circa alcune norme universali dellalegge morale naturale.

Tali interrogativi e dubbi sollevati sem-brano tuttavia non tenere conto di alcunifattori che, pur brevemente, si debbonomenzionare:

a) Il Magistero ordinario e universaleconsiste nell’annuncio unanime dei Vescovicongiunti col Papa. Esso si esprime in ciòche tutti i vescovi (incluso il Vescovo diRoma, che è il Capo del Collegio) comune-mente testimoniano. Non si tratta di manife-stazioni straordinarie, ma della vita normaledella Chiesa, di ciò che senza particolari ini-ziative viene predicato come dottrina uni-versale nella vita ecclesiale quotidiana.“Questo Magistero ordinario è così la formanormale dell’infallibilità della Chiesa” (1).

Ne segue che non è affatto necessario chetutto ciò che fa parte della fede debba diven-tare esplicitamente dogma; è invece normaleche la sola comunanza dell’annuncio - che in-clude non solo parole, ma anche fatti - propon-ga la verità; il rilievo particolare ed esplicitodella definizione dogmatica è propriamenteun caso straordinario, provocato per lo più damotivi del tutto particolari e ben precisi.

b) Inoltre, allorquando si parla della ne-cessità di verificare il consenso effettivo ditutti i vescovi sparsi per l’orbe o addiritturadell’intero popolo cristiano in materia di fedee di morale, non si deve dimenticare che taleconsenso non può essere inteso nel senso pu-ramente sincronico, ma deve essere compre-so in senso diacronico. Ciò significa che ilconsenso moralmente unanime abbracciatutte le epoche della Chiesa, e solo se si ascol-ta questa totalità, si rimane nella fedeltà agliApostoli. «Se da qualche parte - osserva inun suo saggio l’Em.mo Cardinale Ratzinger -si venisse a formare una “maggioranza” con-tro la fede della Chiesa di altri tempi, essanon sarebbe affatto maggioranza» (2).

Merita inoltre osservare che la concordiadell’episcopato universale in comunione conil Successore di Pietro sul carattere dottrina-le e vincolante di un’affermazione o di una

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prassi ecclesiale in epoche trascorse nonviene annullata o ridimensionata da alcunidissensi che potrebbero emergere inun’epoca posteriore.

c) Infine, con speciale riferimento all’inse-gnamento circa l’ordinazione sacerdotale dariservarsi soltanto agli uomini, occorre ricor-dare che la Lettera Apostolica “OrdinatioSacerdotalis” ha confermato che tale dottrinaè conservata dalla costante e universaleTradizione della Chiesa ed è stata insegnatacon fermezza dal Magistero nei documenti piùrecenti (n. 4). Ora, è noto che la Tradizione èluogo ermeneutico dove opera e si esprime informe diverse - tra le quali la persuasione pa-cifica - la coscienza veritativa della Chiesa. Inquesto specifico caso, con unanimità e stabi-lità la Chiesa non ha mai ritenuto che ledonne potessero ricevere validamente l’ordi-nazione sacerdotale, e in questa stessa unani-mità e stabilità si rivela non una propria deci-sione della Chiesa, ma la propria obbedienzae dipendenza dalla volontà di Cristo e degliapostoli. Di conseguenza nella Tradizione uni-versale in materia, nei suoi tratti di stabilità edi unanimità, si riscontra un obiettivo insegna-mento magisteriale definitivo e vincolante inmodo incondizionato (3). Il medesimo criteriodeve essere applicato anche per altre dottrineriguardanti le norme morali universali: l’ucci-sione di un essere umano innocente è sempregravemente immorale; l’aborto è sempre gra-vemente immorale; l’adulterio o la calunnia èsempre un male... Tali dottrine, pur non es-sendo state finora dichiarate con giudizio so-lenne, appartengono tuttavia alla fede dellaChiesa e sono proposte infallibilmente dalMagistero ordinario e universale.

In conclusione, perché si possa parlare diMagistero ordinario e universale infallibile, sideve esigere che il consenso tra i Vescoviabbia come oggetto un insegnamento pro-posto come formalmente rivelato o comecertamente vero e indubbio, tale quindi darichiedere da parte dei fedeli un assensopieno e irrinunciabile. Si può condividerel’istanza della teologia di condurre analisiaccurate nella ricerca di motivare l’esistenzadi tale consenso o accordo. Tuttavia non èfondata l’interpretazione che la verifica diun insegnamento infallibile del Magisteroordinario e universale richiederebbe ancheuna particolare formalità nel dichiarare ladottrina in oggetto. Altrimenti si cadrebbenella fattispecie della definizione solennedel Papa o del Concilio ecumenico. (4)

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Le suddette chiarificazioni appaiono ogginecessarie non per rispondere a sottili e sofi-sticate questioni accademiche, ma per re-spingere una interpretazione riduttiva esemplificatrice dell’infallibilità del Magi-stero, offrendo nello stesso tempo principiteologici corretti per l’interpretazione delvalore degli insegnamenti magisteriali e laqualità delle dottrine.

II. Accanto alle suddette considerazioni eprecisazioni sotto il profilo dottrinale e teolo-gico, è opportuno sviluppare anche alcune ri-flessioni e orientamenti circa i rimedi al pro-blema del dissenso pubblico. Non è possibilequi prendere in esame l’ampiezza dei risvoltidi ordine pastorale e operativo, implicati intale questione, ma è utile puntualizzare alcunifondamentali aspetti che sembrano essere allabase e alla radice di tale fenomeno Soltantocosì si potrà evitare di proporre rimedi a ca-rattere meramente empirico ed episodico.

1) Non si può tralasciare il dato di fondo, cheappare certamente primario: la vera e profondaradice del dissenso è la crisi di fede. (...)

2) La crisi spirituale di fede comportacome una delle sue prime manifestazioni lacrisi dell’autorità del Magistero, che è crisinell’autorità della Chiesa fondata sul voleredivino. Si contrappone artificiosamente l’au-torità e la libertà, staccandole dalla questionedella verità.

3) Il rimedio primario sembra quindi datrovarsi nell’impegno verso una formazionespirituale, dottrinale, intellettuale seria econforme all’insegnamento della Chiesa.

A questo riguardo, si possono mettere inevidenza alcuni importanti elementi:

a) Innanzitutto la necessità di una forma-zione teologica organica e sistematica. La cre-scente specializzazione della teologia tende aduna frantumazione della stessa, fino a faredella teologia una collezione di teologie. Lateologia nella sua unità organica rischia di nonessere salvaguardata e mentre aumentano leinformazioni sui particolari, si perde la visioneunificante di fondo. Allo stesso modo occorreinsistere sulla responsabilità dei Vescovi e lacatechesi nella formazione degli operatori dellacatechesi, che deve rafforzare il senso dellafede e di appartenenza alla Chiesa.

b) La necessità di una sana formazione fi-losofica, nella quale sia irrinunciabile l’istan-za metafisica, di cui si avverte oggi in diversicentri di studi una preoccupante carenza.

c) La necessità di riequilibrare l’esigenzadi salvaguardare il diritto del singolo con

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l’esigenza di conservare e tutelare il dirittodella comunità e del popolo di Dio alla verafede e al bene comune. Vorrei attirare l’at-tenzione sul fatto che la vera tensione non ètra la difesa del diritto del singolo e la difesadel diritto della comunità, ma tra chi difendeil diritto dei più forti e potenti culturalmentee il diritto di chi è più debole e indifeso difronte alle tendenze corrosive antiecclesiali.

d) L’urgenza di formare un’opinionepubblica ecclesiale conforme all’identità cat-tolica, libera dalla sudditanza all’opinionepubblica laicista che si riflette nei mass-media. L’apertura ai problemi del mondo,peraltro, deve essere bene intesa: essa sifonda sul dinamismo missionario di far co-noscere a tutti la rivelazione di Cristo e dicondurre tutti al mistero di Cristo.

4) Dal punto di vista disciplinare, apparequanto mai opportuno ricordare che iVescovi sono tenuti ad applicare in modoeffettivo la disciplina normativa dellaChiesa, specialmente quando si tratta di di-fendere l’integrità dell’insegnamento dellaverità divina. Ciò, nel contesto di una ripre-sa e di una forte riproposizione del messag-gio cristiano e della vita spirituale ad operadi una rinnovata evangelizzazione.

Del resto non è superfluo mettere in risal-to e chiarire, soprattutto nel momento eccle-siale attuale, che appare alquanto refrattarioconsiderare nella giusta prospettiva il dirittoe la legge canonica, che l’osservanza e l’appli-cazione della disciplina ecclesiastica, non è diopposizione e di ostacolo alla vera libertà eall’obbedienza e allo Spirito, ma è strumentoindispensabile perché la comunione nella ve-rità e nella carità sia effettiva e ordinata.

L’applicazione della norma canonica ri-sulta quindi una protezione concreta a favo-re dei credenti contro le falsificazioni dellaDottrina rivelata e contro l’annacquamentodella fede, provocato da quello “spirito delmondo” che pretende di presentarsi comevoce dello Spirito Santo.

In questo contesto, sembra di grande ri-lievo richiamare anche il “Giuramento di fe-deltà”, pubblicato nel 1989 in occasionedell’entrata in vigore della “Formula dellaProfessio Fidei”, che esprime l’impegnopubblico a bene esercitare il proprio ufficiodi fronte alla Chiesa e di fronte alle istituzio-ni e persone per le quali è stato assunto.

Il giuramento di fedeltà, così come più ingenerale, l’osservanza della disciplina cano-nica, esprime propriamente l’unità organica

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2) J. RATZINGER, La Chiesa , Milano 1991, p. 71. 3) Nel passato fino a questi ultimi decenni, i teologi e

i canonisti, che trattarono il problema, sono stati unani-mi nel considerare l’esclusione delle donne dal conferi-mento del sacerdozio ministeriale come qualche cosa diassoluto e che era fondato nella divina Tradizione apo-stolica. Si veda come esempio quanto P. Gasparri affer-mava nel Tractatus canonicus de sacra ordinatione (t. 1,Parisiis 1893, p. 75): “Et quidem prohibentur sub poenanullitatis: ita enim traditio et communis doctorumcatholicorum doctrina interpretata est legem Apostoli:et ideo Patres inter haereses recenset doctrinam qua sa-cerdotalis dignitas et officium mulieribus tribuitur”.

4) J. Kleutgen, nel commento al secondo schemasulla Chiesa proposto nel Concilio Vaticano I, definiscele dottrine del Magistero ordinario infallibile quelle che“sono ritenute o trasmesse come indubbie” (tamquamindubitata tenentur vel traduntur). Cfr. Mansi LIII, 313.

Anche in questo numero, per ragioni ditempo e di spazio, abbiamo dovuto rinuncia-

re a pubblicare la conclusione del commentoall’“enciclica” Ut unum sint (cfr., per la primaparte, Sodalitium, n. 43, pagg. 18-29). Ne profit-tiamo per esporre dei brevi commenti ad altridocumenti di Giovanni Paolo II, a partiredall’estate dell’anno scorso. Naturalmente siamocostretti a fare una cernita, data l’abbondanzadel materiale. Il quindicinale Si si no no (chemaltrattiamo in altre pagine del bollettino),pubblica spesso interessanti critiche all’esegesi diGiovanni Paolo II (cfr. ad esempio, l’articolo“L’ombra della nuova esegesi sulla regina delleprofezie messianiche nella catechesi papale” inSi si no no, n. 18, 30 novembre 1996), alle qualirinviamo volentieri; l’unica, grave riserva: ilfatto che Si si no no attribuisca questi errori acolui che riconosce come Papa legittimo.

Sodalitium

Karol Wojtyla, l’evoluzionismo e il mono-genismo

Il 22 ottobre 1996, Giovanni Paolo II hainviato un messaggio (in francese) ai parte-cipanti all’assemblea plenaria della Pon-tificia Accademia delle Scienze, nel 60° an-niversario della fondazione della medesimada parte di Pio XI. Prendendo spunto dalprimo tema prescelto dall’assemblea, “quel-lo dell’origine della vita e dell’evoluzione”(n. 1), Giovanni Paolo II ha inviato ai con-

gressisti, tra le altre, le seguenti osservazioni(cfr L’Osservatore Romano, 24 ottobre 1996,pag. 6 per il testo francese e pagina 7 per latraduzione italiana):

“Prima di proporvi qualche riflessionepiù specifica sul tema dell’origine della vita edell’evoluzione, desidero ricordare che ilMagistero della Chiesa si è già pronunciatosu questi temi, nell’ambito della propria com-petenza. Citerò qui due interventi. Nella suaenciclica Humani generis (1950) il mio pre-decessore Pio XII aveva già affermato chenon vi era opposizione fra l’evoluzione e ladottrina della fede sull’uomo e sulla sua vo-cazione, purché non si perdessero di vista al-cuni punti fermi” (n. 3). Dopo aver ricordatol’altro documento (un suo discorso alla stes-sa Accademia del 31 ottobre 1992 sul casoGalileo) Giovanni Paolo II prosegue:

“Tenuto conto dello stato delle ricerchescientifiche a quell’epoca e anche delle esigenzeproprie della teologia, l’Enciclica Humani ge-neris considerava la dottrina dell’‘evoluzioni-smo’ un’ipotesi seria, degna di una ricerca e diuna riflessione approfondita al pari dell’ipotesiopposta. Pio XII aggiungeva due considera-zioni di ordine metodologico: che non si adot-tasse questa opinione come se si trattasse diuna dottrina certa e dimostrata e come se ci sipotesse astrarre completamente dallaRivelazione riguardo alle questioni da essa sol-levate. Enunciava anche la condizionie ne-cessaria affinché questa opinione fosse com-patibile con la fede cristiana, punto sul quale

di azione e di governo con la fedeltà alla pro-fessione di fede e alla verità cristiana. In talmodo, il senso di identità e l’appartenenzaalla Chiesa sono garantiti anche dal Diritto,che impedisce di supporre di appartenere aduna Chiesa fantomatica, costruita solo sullapropria misura, ma alla Chiesa della succes-sione apostolica, della Parola scritta e tra-mandata autoritativamente, dei sacramentivisibili e della comunione cattolica. (...)

Note

1) J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, Brescia1971, p. 180.

LL’’OOSSSSEERRVVAATTOORREE RROOMMAANNOO

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ritornerò. Oggi, circa mezzo secolo dopo lapubblicazione dell’Enciclica, nuove cono-scenze conducono a non considerare più lateoria dell’evoluzione una mera ipotesi. Èdegno di nota il fatto che questa teoria si siaprogressivamente imposta all’attenzione dei ri-cercatori, a seguito di una serie di scoperte fattenelle diverse discipline del sapere. La conver-genza, non ricercata né provocata, dei risultatidei lavori condotti indipendentemente gli unidagli altri, costituisce di per sé un argomentosignificativo in favore di questa teoria” (n. 4).

Dopo aver dato questo riconoscimentoalla teoria dell’evoluzione, Giovanni Paolo IIprecisa però che “laddove [una teoria] nonviene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoilimiti e la sua inadeguatezza. Deve allora esse-re ripensata”. D’altra parte, una teoria scienti-fica di questo genere “prende in prestito alcu-ne nozioni dalla filosofia della natura. A dire ilvero, più che della teoria della evoluzione,conviene parlare delle teorie dell’evoluzione.Queste pluralità derivano da un lato dalla di-versità delle spiegazioni che sono state propo-ste sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altrodalle diverse filosofie alle quali si fa riferimen-to. Esistono pertanto letture materialistiche eriduttive, e letture spiritualistiche. Il giudizio èqui di competenza propria della filosofia e, an-cora oltre, della teologia” (n. 4). GiovanniPaolo II è chiaramente favorevole (ci man-cherebbe altro!) a una “lettura spiritualistica”dell’evoluzione. Ma in cosa consiste? L’uomo,riprende Giovanni Paolo II, “è stato creato aimmagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1, 28-29). La costituzione conciliare Gaudium etspes ha magnificamente esposto questa dottri-na, che è uno degli assi del pensiero cristiano.Essa ha ricordato che l’uomo è ‘la sola creatu-ra che Dio abbia voluto per se stesso’ (n. 24).(...) È una persona (...). È in virtù della suaanima spirituale che la persona possiede,anche nel corpo, una tale dignità. Pio XIIaveva sottolineato questo punto essenziale: se ilcorpo umano ha la sua origine nella materiaviva che esisteva prima di esso, l’anima spiri-tuale è immediatamente creata da Dio (‘animaenim a Deo immediate creari catholica fidesnos retinere iubet’, Enc. Humani generis...)”(n. 5). Dopo aver ricordato così “la condizio-ne necessaria” per conciliare fede e evoluzio-ne, Giovanni Paolo II condanna in questi ter-mini la concezione materialista dell’evoluzio-ne: “Di conseguenza, le teorie dell’evoluzioneche, in funzione delle filosofie che le ispirano,considerano lo spirito come emergente dalle

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forze della materia viva o come un sempliceepifenomeno di questa materia, sono incompa-tibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltreincapaci di fondare la dignità della persona”(n. 5). Wojtyla ammette che il concetto diuomo testè esposto (con una “discontinuitàontologica” dovuta alla improvvisa creazionedell’anima da parte di Dio) e quello dell’evo-luzione (con una “continuità fisica” tra l’uomoe i suoi antenati non umani) costituiscono“due punti di vista apparentemente inconcilia-bili” (n. 6); tuttavia essi possono e debbonoessere conciliati. Il messaggio termina con unaesortazione al rispetto della vita umana (n. 7).

La eco del messaggio di Giovanni Paolo IIsull’evoluzionismo

Un insegnamento è fatto per essere capito.Nel clima attuale di mea culpa della “Chiesa”inaugurato da Giovanni XXIII e portato al pa-rossismo da Giovanni Paolo II (che lo ha “con-sacrato” in Tertio millennio adveniente) ilMessaggio è stato inteso come una riabilitazio-ne di Darwin, e non poteva essere diversamen-te: l’unico evoluzionismo universalmente cono-sciuto è quello ateo e materialista, e non certol’alquanto fantomatico “evoluzionismo spiri-tualista” approvato da Karol Wojtyla. Da qui ledichiarazioni dei giornali (del 24 ottobre) e deicommentatori, che non sono però essenzial-mente divergenti da quello che ha inteso (congioia o con scandalo) la gente comune: “Il Papasi riconcilia con la scienza” titola Il Resto delCarlino: “Un messaggio all’AccademiaPontificia riabilita Darwin e i suoi seguaci”. “IlPapa: forse discendiamo dalle scimmie” (IlGiornale, 24 ottobre), “Papa Wojtyla arruolaDarwin” (La Stampa), “Darwin riabilitatodalla Chiesa” (Le Monde, del 25 ottobre), ecc.“Gli scienziati applaudono”, perché vedononella dichiarazione di Giovanni Paolo II unavallo del loro ateismo: così, ad esempio,Margherita Hack (“la Chiesa per la prima voltaaccetta in maniera solenne che l’ipotesi evolu-zionistica è una teoria provata”), non senza ap-profittarne per infierire sullo sconfitto: “Un ri-conoscimento positivo, ma la Chiesa ancorauna volta arriva tardi” (Tullio Gregory).Barone e Massarenti, su Il Sole 24 Ore (27 otto-bre, pag. 27) plaudono alle ammissioni diWojtyla ma respingono ateisticamente ogni vi-sione spirituale dell’uomo e del mondo: la pacetra scienza e fede avverrà solo con la totale di-sfatta della fede. Gli atei si divertono persinonel constatare che “il Papa” è ormai diventato

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“un eretico” (rispetto ai criteri del cattolicesi-mo di una volta): egli è addirittura “gnostico”per L’Unità, quotidiano dell’ex-partito comuni-sta, ed è modernista per il liberale SergioRomano: “Il Messaggio papale - ed è questo amio avviso l’aspetto più interessante - è un tar-divo omaggio al metodo storico di un movi-mento spirituale, il modernismo, che la Chiesacondannò con l’enciclica Pascendi dominicigregis emanata da Pio X nel settembre 1907”(Panorama, 7 nov. 1996, pag. 17). Se tra i laici ilfilosofo ex-marxista e neo-liberale Colletti sca-giona Wojtyla dall’accusa (o dal merito, secon-do lui) di aver riabilitato Darwin, non si mancaperò di notare, con lo stesso Colletti, che l’evo-luzionismo spiritualista di Wojtyla può esserequello di Teilhard de Chardin o quello di HenriBergson (cfr Il Foglio, 25 ottobre), autori noncerto ortodossi! Invano, pertanto, GiovanniCantoni (su Il Secolo d’Italia), Antonio Socci(su Il Giornale), il card. Tonini (su Il Carlino) sisforzano di spiegare che “il papa” è ancora“cattolico”! Se lo scopo di parlare è quello difarsi capire - come abbiamo detto - GiovanniPaolo II avrebbe probabilmente fatto meglio anon scrivere il Messaggio del 22 ottobre cheavrà certamente scosso la fede di molti credentisenza convertire un solo incredulo.

Il messaggio del 22 ottobre è conforme allaretta dottrina?

Senza dubbio, scrive il reggente di Alle-anza Cattolica, Giovanni Cantoni, sul quoti-diano di Alleanza Nazionale del 25 ottobre.

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Anche noi vorremmo che fosse così ma, an-cora una volta, non è possibile. Oltreall’(in)opportunità di questo Messaggio, oc-corre infatti sottolineare criticamente alcunipunti del discorso wojtyliano.

1) Una presentazione tendenziosa delpensiero di Pio XII. Giovanni Paolo II, permascherare la novità (rispetto al magisteroecclesiastico) della sua opinione evoluzioni-stica, cerca di presentarsi come in continuitàcol magistero di Papa Pio XII, e ciò propriocitando l’enciclica Humani generis, documen-to che condanna esplicitamente tutti gli erroriche il Vaticano II spaccerà in seguito comeverità. Dubito che Humani generis verrà maicitata da Giovanni Paolo II altrimenti che per“cristianizzare” l’evoluzionismo. Ma era que-sta, in realtà, l’intenzione di Papa Pacelli? Pernulla. Suo scopo era, al contrario, condanna-re varie teorie che, per l’appunto, si rifaceva-no all’evoluzionismo. In un altro passaggiodell’enciclica aveva già condannato l’evolu-zionismo filosofico e quello politico (“Alcuni,senza prudenza né discernimento, ammettonoe fanno valere per origine di tutte le cose il si-stema evoluzionistico, pur non essendo essoindiscutibilmente provato nel campo stessodelle scienze naturali, e con temerarietà so-stengono l’ipotesi monistica e panteisticadell’universo soggetto a continua evoluzione.Di questa ipotesi volentieri si servono i fautoridel comunismo per farsi difensori e propagan-disti del loro materialismo dialettico e toglieredalle menti ogni nozione di Dio”. Enchiridiondelle encicliche, vol. 6, n. 705). In seguito (neriparlerò) condannerà il poligenismo, comeincompatibile con la fede cattolica (E.E.,737).Quanto all’evoluzionismo (inteso qui solocome semplice ipotesi secondo la quale ilprimo uomo avrebbe ricevuto l’anima diret-tamente da Dio mentre il corpo “proverrebbeda materia organica precedente”) Pio XIIcondanna quanti agiscono “come se fosse giàdimostrata con totale certezza la stessa originedel corpo umano dalla materia organica pree-sistente (...) e ciò come se nelle fonti della divi-na rivelazione non vi fosse nulla che esiga inquesta materia la più grande moderazione ecautela”. Infatti, la teoria evoluzionistica,anche limitata alla sola origine del corpo delprimo uomo, e pur avendo ammesso la crea-zione diretta dell’anima di questo primouomo da parte di Dio, pone dei problemi perquel che riguarda la “divina rivelazione”, percui Pio XII ricorda a teologi e scienziati che“tutti” devono essere “pronti a sottostare al

Communicatio in sacris tra Giovanni Paolo II el’“arcivescovo” anglicano di Canterbury

Leonard Carey a Roma il 5 dicembre 1996

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giudizio della Chiesa alla quale Cristo ha affi-dato l’ufficio di interpretare autenticamente laSacra Scrittura e di difendere i dogmi dellaChiesa” (E.E. 736). La cosa è tanto più im-portante che Pio XII, nella stessa enciclica(nn. 738-739) ribadisce la condanna dellaChiesa contro quanti negano il genere storicodei primi undici capitoli della Genesi! Pio XIInon metteva quindi sullo stesso piano evolu-zionismo e anti-evoluzionismo, come inveceafferma il Messaggio di Giovanni Paolo II,ma condannava alcuni tipi di evoluzionismoed invitava alla massima prudenza anche neiconfronti di un evoluzionismo moderato che,se pienamente dimostrato, poteva eventual-mente essere compatibile con la fede.

2) Per Giovanni Paolo II l’evoluzionismo“non è più solo una mera ipotesi”. Invito il let-tore a rileggere il Messaggio di Giovanni PaoloII che ho riportato in questo articolo. In esso,chiaramente, egli afferma che, “oggi, circamezzo secolo dopo la pubblicazione del-l’Enciclica [di Pio XII] nuove conoscenze con-ducono a non considerare più la teoria dell’evo-luzione una mera ipotesi”. Quindi, per Wojtyla,l’ipotesi evoluzionista è stata scientificamentedimostrata o, per lo meno, è più probabile chela sua negazione: “è degno di nota che questateoria si sia progressivamente imposta all’atten-zione dei ricercatori...”, per cui le loro ricerchecostituiscono “un argomento significativo a fa-vore di questa teoria”. Tra l’altro GiovanniPaolo II lava i suddetti “ricercatori” da ogni so-spetto di pregiudizio nelle loro ricerche: essi, inuna materia che tocca così da vicino la fede,avrebbero lavorato “indipendentemente gli unidagli altri” ottenendo nei loro risultati una“convergenza” in favore dell’evoluzionismo“non ricercata né provocata”! Ora, chi non sa,invece, che per molti ricercatori l’evoluzioni-smo è una “fede” contro il dogma della creazio-ne? Il Prof. Di Trocchio (dell’Università diLecce) in Le bugie della scienza (Mondadori,1993) dedica un intero capitolo (Falsi fossili eanelli mancanti) ad alcune celebri truffe “scien-tifiche” degli evoluzionisti, ove al primo postodei truffatori troneggia il gesuita Teilhard deChardin, da Wojtyla pubblicamente elogiato inuna famosa “lettera” del 10 giugno1981 (cfSodalitium, n. 27, p. 3)! E ai pregiudizi dei piùnoti evoluzionisti (tra i quali Rostand, Monodecc.) dedica varie pagine Mons. Landucci (inLa verità sull’evoluzione e l’origine dell’uomo,La Roccia, Roma, 1984) dimostrando che essisostengono questa teoria non tanto perché di-mostrata quanto piuttosto per non dover am-

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mettere la creazione del mondo. Wojtyla nonignora certo questo clima che condiziona pe-santemente la “libera ricerca degli scienziati”, eche, nonostante ciò, non pochi di essi ancoroggi negano l’evoluzione (sono noti in ItaliaFondi e Sermonti) in quanto ipotesi dimostratafalsa dalla scienza. Ma se l’ipotesi evoluzionisti-ca non ha, in realtà, fatto dei passi avanti dal1950 (data di Humani generis) a oggi, e restatuttora una mera ipotesi, allora Karol Wojtylacade totalmente nel rimprovero che Humanigeneris rivolge a quelli che, incuranti dei datidella Rivelazione, danno per dimostrata l’evo-luzione. Per puro divertimento del lettore, se-gnalo l’interpretazione del Messaggio “pontifi-cio” data da Giovanni Cantoni nell’articolo giàsegnalato; secondo il suo difensore d’ufficio,Giovanni Paolo II voleva dire: “l’evoluzionismonon è più solamente un’ipotesi non perché si siatrasformato in una certezza, ma perché, a fron-te di molte ipotesi, cioè di molti dati di fatto in-dipendenti tra loro, si configura come una teo-ria, cioè un’insieme di ipotesi”. Basta rileggereil Messaggio di Giovanni Paolo II per capireche Cantoni bara e, se bara, è perché lui stessoè imbarazzato dal discorso wojtyliano, che nonaccetta veramente ma solo a parole, cioènell’interpretazione del tutto fantasiosa che egline vuole dare. In realtà, Giovanni Paolo II diceche, rispetto al 1950, vi sono molti nuovi argo-menti in favore dell’evoluzione e che pertantoessa non è più una mera ipotesi. Tuttavia, ac-certati questi dati sperimentali favorevoliall’evoluzionismo, si constata l’esistenza di varie“teorie” evoluzionistiche che si fondano nonsolo su queste prove di fatto ma anche su pre-supposti filosofici. A questo titolo, non tutte leteorie evoluzionistiche sono accettabili. Se l’in-terpretazione di Cantoni fosse corretta, biso-gnerebbe credere che prima del 1950 l’evolu-zionismo fosse solo una ipotesi sperimentale, enon vi si aggiungessero anche molteplici “teo-rie”: cosa falsissima, tanto è vero che Pio XIIcondannava già allora alcune “teorie” evoluzio-nistiche incompatibili con la fede, ammettendola libera discussione su altre! Il vano tentativodi difendere l’ortodossia di Giovanni Paolo II èpertanto, nel suo stesso fallimento, una confer-ma involontaria delle gravi carenze dottrinalidel pensiero wojtyliano che si pretendeva difen-dere svuotandolo del suo significato.

3) Una grave omissione del messaggiowojtyliano: il monogenismo e il peccato origi-nale. Ma passiamo al punto più grave delMessaggio wojtyliano. Non si tratta tanto diuna affermazione, quanto di una omissione.

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L’omissione, però, è gravissima e si configuraquasi come una implicita negazione di unaverità di fede. Supponiamo per un attimo chePio XII abbia veramente dato pari dignitàall’ipotesi evoluzionistica come al suo contra-rio e che oggi, dopo cinquant’anni, le scienzenaturali si siano pronunciate a favoredell’evoluzionismo (tesi di Giovanni PaoloII). In questo caso, occorre, tra i vari evolu-zionismi, adottarne uno che sia compatibilecon la fede cristiana. È qui che si situa lagrave omissione di Giovanni Paolo II.Secondo Giovanni Paolo II, già Pio XII“enunciava già la condizione necessaria affin-ché questa opinione fosse compatibile con lafede cristiana, punto sul quale tornerò” (n. 4).Notiamo bene: la questione è della massimaimportanza: compatibilità di una teoria con lafede. Per Giovanni Paolo II (che pretende ci-tare Pio XII) c’è una “condizione necessaria”:una sola, al singolare. Come promesso, que-sta condizione viene data al n. 5: che l’animaumana sia stata creata direttamente da Dio;essa non può essere “emergente dalle forzedella materia viva” o “semplice epifenomenodi questa materia”. “Pio XII - ricorda Wojtyla- aveva sottolineato questo punto essenziale”(n. 5). Questo punto sta a cuore a GiovanniPaolo II perché esso fonda la “dignitàdell’uomo”, creato a immagine e somiglianzadi Dio, dignità rovinata da un evoluzionismopuramente materialistico. Nel pensiero diWojtyla - che è un pensiero personalista an-tropocentrico - questa verità di fede ha unposto eccezionale, secondo la falsarigadell’ambiguo testo di Gaudium et spes n. 24(cf Sodalitium n. 39, pag. 36 segg.). Per lui, glievoluzionismi materialisti, più che contrarialla fede, sono “incompatibili con la veritàdell’uomo” e “incapaci di fondare la dignitàdella persona” (n. 5), peccati capitalissimi tratutti i peccati! Ma Wojtyla dimentica (?) dicitare un’altra condizione posta, con moltamaggior enfasi, da Pio XII, il monogenismo,condizione che deve tutelare un’altra veritàdi fede (un po’ meno gloriosa per la dignitàdella persona umana, è vero): il peccato origi-nale! “I fedeli - scrisse Pio XII - non possonoabbracciare quell’opinione i cui assertori inse-gnano che dopo Adamo sono esistiti qui sullaterra veri uomini che non hanno avuto origi-ne, per generazione naturale, dal medesimocome progenitore di tutti gli uomini, oppureche Adamo rappresenta l’insieme di moltiprogenitori; non appare in nessun modo comequeste affermazioni si possano accordare con

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quanto le fonti della Rivelazione e gli atti delmagistero della Chiesa ci insegnano circa ilpeccato originale, che proviene da un peccatoveramente commesso da Adamo individual-mente e personalmente, e che, trasmesso a tuttiper generazione, è inerente in ciascun uomocome suo proprio” (E. E. n. 737). Pio XIInon fa che ricordare la sacra Scrittura; mi li-miterò a citare San Paolo: “Da un solo uomoDio ha tratto tutto il genere umano per popo-lare la superficie di tutta la terra” (Atti, 17, 26-27); “Il primo uomo, Adamo, fu fatto animavivente” (1 Cor. 15, 45). L’unità d’origine delgenere umano è una verità di fede presuppo-sta a un’altra, quella del peccato originale:“Come per un sol uomo il peccato è entratonel mondo e con il peccato la morte, cosìanche la morte si è estesa a tutti gli uomini,perché tutti hanno peccato (...) E dunque,come per il peccato di un solo la condanna èvenuta su tutti gli uomini, così per la giustiziadi un solo a tutti gli uomini viene la giustifica-zione che dà la vita” (Rom 5, 19-19). Questadottrina scritturale è confermata dal Conciliodi Trento, “sul primo uomo, sul suo stato digiustizia originale, i suoi privilegi (in partico-lare quello dell’immortalità) e sul peccatooriginale trasmesso a tutti gli uomini in quan-to essi discendono da Adamo” (Denz.-U 101,133, 174, 176, 789, 791). Un decreto del 1909“mette l’unità del genere umano tra i punti didottrina che toccano i fondamenti della reli-gione cristiana” (Denz.-U 2121-2123). Il con-cilio del Vaticano (I) avrebbe dovuto definiresolennemente questa verità dichiarando: “Sequalcuno negasse l’origine di tutto il genereumano da un solo progenitore, Adamo, siaanatema” (cfr GARRIGOU-LAGRANGE o.p.,voce Monogenismo sull’Enciclopedia cattoli-ca). Karol Wojtyla crede a queste verità? Seci crede, perché le ha occultate in un discorsoin cui avrebbe dovuto necessariamente con-fessarle? Cosa si può rispondere all’editorialedi Le Monde (che interpreta però i sentimen-ti di tanti) quando scrive: “Le conseguenze diquesta riabilitazione possono essere conside-revoli. La distanza presa così dalla letturafondamentalista (sic) della Bibbia rischia dicompromettere tutto l’edificio dogmatico cri-stiano, fondato sul peccato originale e l’esi-stenza del male, che ha plasmato le nostrementalità occidentali. Senza la nozione di col-pevolezza ereditaria, legata alla deriva del‘primo uomo’, Adamo, dei dogmi capitalidella fede cristiana, come il peccato originalee la Redenzione, non sono comprensibili”

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(editoriale del 25 ottobre 1996, pag. 17). Cisembra che a questo punto, di fronte a tantoscandalo, i fedeli cattolici abbiano il diritto aun definitivo chiarimento non da parte delCantoni di turno ma da parte del responsabi-le stesso: crede o non crede Karol Wojtylache Adamo, il primo uomo, creato da Dio instato di grazia, ha peccato, e che questo pec-cato viene trasmesso per via di generazione atutti gli uomini, che da lui discendono, all’ec-cezione di Nostro Signore e della ImmacolataVergine Maria? Non è chiedere troppo acolui che pretende essere il successore di sanPietro, il cui compito è di “confermare nellafede” i suoi fratelli. A questo compitoGiovanni Paolo II ha mancato, ancora unavolta, con il Messaggio del 24 ottobre 1996.

Post scriptum: dopo aver scritto questoarticolo abbiamo preso conoscenza di quan-to pubblicato al proposito da Sì sì no no (15dic. 1996, pp. 3-7) in Evoluzionismo oteilhardismo? Il “Messaggio” di GiovanniPaolo II all’Accademia delle scienze. L’arti-colo, del quale consigliamo la lettura, è inte-ressante soprattutto per stabilire qual’era ilvero pensiero di Pio XII (cf punto 1° dellanostra disamina) e i seri problemi che ancheun evoluzionismo “spiritualista” pone allaretta esegesi della Sacra Scrittura.

SANT’AMBROGIO: “violatore della libertà edella giustizia” (GIOVANNI PAOLO II)

Da qui al 2000, secondo il progetto cheGiovanni Paolo II ha esposto in Tertio mil-lennio adveniente, si moltiplicheranno i “meaculpa della Chiesa”, ovvero l’umiliazionedella Chiesa cattolica sotto le accuse di KarolWojtyla e degli altri settatori della riformaconciliare. Queste parole sono dure, è vero,ma sorgono spontanee dall’amore per laChiesa ed i suoi Santi. In attesa dell’annun-ciato mea culpa per “l’antisemitismo cristia-no” e per l’Inquisizione, possiamo già segna-lare le accuse gravissime che Giovanni PaoloII ha rivolto al grande dottore e padre dellaChiesa, Sant’Ambrogio, vescovo di Milano.Per colmo di ironia, l’offesa a questo grandeSanto si trova in una “Epistola Apostolica”(Operosam diem, pubblicata da L’Osser-vatore Romano del 6 dicembre 1996) cheGiovanni Paolo II ha indirizzato, il 1° dicem-bre 1996 a Carlo Maria Martini, “arcivesco-vo” di Milano, proprio in preparazione alXVI centenario della morte del Santo (4aprile 397). Certo, Giovanni Paolo II ricono-

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sce in Sant’Ambrogio “uno dei grandi Padridella Chiesa ancora indivisa” (n. 29) [comese la Chiesa, una, potesse essere divisa, ecome se “ortodossi” e protestanti fosserodelle parti, divise dalla cattolica, della Chiesaun tempo indivisa], e lo indica persino aesempio di ecumenismo (n. 29). Nonostanteciò, Giovanni Paolo II approva dei gestipoco ecumenici di Sant’Ambrogio: comequando contrastò, nel 385, l’ordine imperialedi cedere agli ariani una basilica (n. 3) ocome quando, nel 384, si oppose alla doman-da del prefetto dell’Urbe di ripristinare inSenato la statua della dea Vittoria (n. 7).Sant’Ambrogio poté quindi opporsi ai paga-ni e agli ariani senza incorrere nelle censuredi Giovanni Paolo II; purtroppo, la sua op-posizione alle pretese degli ebrei sembra,dopo il Vaticano II, assolutamente imperdo-nabile: sarebbe rimettere in discussione lateoria del massone Jules Marx Isaac, secon-do il quale i Padri della Chiesa sono colpevo-li, irrimediabilmente colpevoli, di aver prati-cato un “insegnamento del disprezzo” neiconfronti del giudaismo, disprezzo che, indefinitiva, sarebbe sfociato nell’“Olocausto”.

“Se gli riuscì di coniugare fermezza edequilibrio negli interventi già menzionati - nellaquestione cioè dell’altare della Vittoria e quan-do fu richiesta una basilica per gli ariani - ina-deguato si rivelò invece il suo giudizio (ipsiustamen iudicium imperfectum emersit) nell’affa-re di Callinico, quando nel 388 fu distrutta la si-nagoga di quel lontano borgo sull’Eufrate.Ritenendo infatti che l’imperatore cristiano nondovesse punire i colpevoli e neppure obbligarlia porre rimedio al danno arrecato, andava ben

L’“arcivescovo” anglicano di Canterbury LeonardCarey predica in presenza di Giovanni Paolo II a Roma

il 5 dicembre 1996 nella chiesa dei SS Andrea e Gregorio al Celio

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oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale,pregiudicando l’altrui diritto alla libertà ealla giustizia (inficiens aliorum ius ad liberta-tem adque iustitiam)” (n. 12). Così scriveGiovanni Paolo II di Sant’Ambrogio: egliavrebbe violato l’altrui (degli ebrei) libertà(nell’approvare la distruzione della sinagogadi Callinico) e la giustizia (nel pretendere che icristiani non fossero costretti a ricostruire aloro spese la sinagoga distrutta). Ora, concul-care la giustizia e la libertà è (oggettivamente)un peccato mortale (del quale Sant’Ambrogiomai si pentì) per cui dovremmo concluderneche: o il Santo sapeva quel che faceva, e alloraegli si troverebbe all’inferno (!), oppure non losapeva, e allora il Dottore della Chiesa era unignorante (!) in materia di giustizia. A tantoconduce l’aberrante e gravemente ingiuriosaaffermazione di Operosam diem n. 12...

Ma cosa accadde veramente a Callinico?Consigliamo, come abbiamo fatto, la letturadelle due epistole di Sant’Ambrogio su questaquestione. Basti dire che persino The JewishEncyclopedia (alla voce “Ambrose”, vol. 1,coll. 488-489; New York-London, 1907) e lapiù recente Encyclopædia Judaica (voce“Ambrose”, vol. 2, col. 801; Jerusalem), fonti aldi sopra di ogni sospetto (di antisemitismo, be-ninteso) riferiscono entrambe quanto Gio-vanni Paolo II occulta, e cioè che il Vescovo e icristiani di Callinico distrussero la locale sina-goga [un tempio gnostico fu demolito da deimonaci, ma ciò non offusca Giovanni Paolo II]come ritorsione per le numerose chiese e basi-liche cristiane (quelle di Damasco, Beirut,Gaza, Ascalona...) che gli ebrei avevano demo-lito sotto il regno del loro amico e protettoreGiuliano l’apostata (sì, proprio lui, l’idolo degli“antisemiti” neo-pagani!). Nessun imperatoreaveva mai dato l’ordine agli ebrei di ricostruirequelle chiese a proprie spese, come invece ilcristianissimo Teodosio faceva invece con isuoi correligionari, obbligandoli a ricostruire lasinagoga di Callinico! Si comprendono allora leproteste di sant’Ambrogio nella sua epistola aTeodosio, il suo rifiuto di celebrare la Messa sel’imperatore non avesse ritrattato il suo ordine,la sua vittoria finale con la revoca della ingiustadecisione di Teodosio.

Giovanni Paolo II aveva già offeso lamemoria di Santa Caterina da Siena; ora of-fende Sant’Ambrogio... Nelle litanie deiSanti si pregava Dio di umiliare i nemicidella Chiesa (Ut inimicos Sanctæ Ecclesiæhumiliare digneris, Te rogamus audi nos);fino a quando sopporteremo che Karol

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Wojtyla umilii la Chiesa e i suoi Santi peramore dei suoi nemici?

Post scriptum: Sant’Ambrogio chiama lasinagoga “luogo d’incredulità, dimora d’em-pietà, ricettacolo di follia, condannato daDio stesso” (Ep. 74, n. 14).

ANCORA SULLA SANTITÀ DEGLI“ORTODOSSI” ERETICI E SCISMATICI...

Se Giovanni Paolo II non teme di criticarei Santi, purché cattolici, non ha il minimo rim-provero da muovere a chi, staccandosi dallacomunione con Pietro e cadendo nello scismae nell’eresia, si è separato dalla Chiesa. Anzi,fuori dalla Chiesa è possibile giungere alla san-tità, a persino a quel vertice della santità che èil martirio. Sempre sulla linea di Tertio millen-nio adveniente Giovanni Paolo II ha ribaditoche la nota di santità si trova anche fuori dallaChiesa cattolica: “E che dire - ha dettoall’Angelus del 25 agosto 1996 - della grandeesperienza di martirio, in cui ortodossi e cattoli-ci, nei Paesi dell’Est europeo, sono stati acco-munati in questo nostro secolo? (...) Veri marti-ri del XX secolo, essi sono una luce per laChiesa e per l’umanità (...). Se al termine delSecondo Millennio essa è ‘diventata nuova-mente Chiesa di martiri’ (Tertio Millennio ad-veniente, n. 37), possiamo sperare che la lorotestimonianza, raccolta con cura nei nuovimartirologi, e soprattutto la loro intercessione,affrettino il tempo della piena comunione tra icristiani di tutte le confessioni, e in specialmodo tra le venerate Chiese Ortodosse e laSede Apostolica” (L’Osservatore Romano, 26-27 agosto 1996, pag. 1). È possibile che moltidi questi “ortodossi” vittime del comunismosiano salvi a causa dell’ignoranza invincibiledella vera Chiesa; è però impossibile che ci siavera santità e vero martirio fuori dell’unicavera Chiesa, la Chiesa cattolica, ed è impossi-bile che delle persone che professarono unafede contraria alla vera fede cristiana siano ad-ditati, come santi, all’esempio dei fedeli catto-lici. Se la santità fiorisce fuori dalla Chiesa, al-lora la Chiesa non è la sola Chiesa di Cristo, ela “piena comunione con la Sede Apostolica”diventa facoltativa per la salvezza e la santifi-cazione di un cristiano. Queste sono le conse-guenze dell’ecumenismo di Giovanni Paolo II.

SUA SANTITÀ... ARAM I (MONOFISITA)...

...Ha presenziato alla “concelebrazione”presieduta da Giovanni Paolo II il 25 gen-

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naio nella Basilica di San Paolo Fuori leMura. In questa occasione, Giovanni PaoloII ha, tra l’altro, affermato: “L’abbraccio dipace del Catholicos [Aram I] e del Vescovodi Roma, successore dell’Apostolo Pietro, ela benedizione che essi daranno insieme, nelnome del Signore, testimoniano il reciprocoriconoscimento della legittimità della suc-cessione apostolica” (n. 4; cfr L’OsservatoreRomano, 27-28 gennaio 1997, pag. 5). Conqueste parole Giovanni Paolo II riconosce aun prelato illegittimo, poiché eretico, scisma-tico e separato da Roma, il privilegio di esse-re un legittimo successore degli apostoli (haquindi l’apostolicità formale), che condividecon Giovanni Paolo II il compito “di trasmet-tere fedelmente la fede ricevuta dagliApostoli” (n. 4). Compito al quale sia l’unoche l’altro si sono malauguratamente sottrat-ti. (Obiezione: il 13 dicembre 1996 “SuaSantità” Karekin I, “Catholicos-Patriarca ditutti gli Armeni”, aveva firmato una “dichia-razione comune” con Giovanni Paolo II, se-condo la quale sarebbe identica la fede degliArmeni e dei Cattolici, e le antiche divergen-ze teologiche, risalenti al Concilio diCalcedonia, sarebbero dovute a “fattori lin-guistici, culturali e politici”, e a “modi diver-genti di esprimere tale fede” . Cfr O.R., 14 di-cembre 1996, pag. 5. Quindi, gli armeniAram I e Karekin I hanno la nostra stessafede. Risposta: Karekin I non ha sottoscrittonessun adesione al Concilio di Calcedonia. Èoffensivo per la Chiesa pensare che essaabbia trattato da eretica monofisita una co-munità che invece era ortodossa. È pericolo-so per la fede pensare che essa possa espri-mersi con formule divergenti. E in ogni caso,dato e non concesso che questi armeni nonsiano più monofisiti, resta che essi non rico-noscono, ad esempio, nel Papa il capo dellaChiesa. Restano pertanto eretici e scismatici,e non possono assolutamente godere di una“legittima successione apostolica”).

IL DIRITTO ALLA “LIBERTÀ RELIGIOSA”SAREBBE FONDATO SULLA RIVELAZIONE

Nel passato anno 1996 Giovanni Paolo IIha dedicato molti dei suoi discorsi in occasio-ne dell’Angelus domenicale ai testi delVaticano II, a trent’anni dalla sua conclusio-ne. Ricordiamo solo quanto detto da lui il 18febbraio 1996 a proposito della dichiarazioneDignitatis humanæ sulla libertà religiosa.“La Dignitatis humanæ, in nome della retta

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ragione e della rivelazione proclama un verodiritto alla libertà religiosa”, diritto definitoin DH n. 2. Sottolineiamo l’importanza diquesta interpretazione “autentica” del famo-so testo conciliare; per Wojtyla, questa dot-trina, che contraddice il magistero e la prassidella Chiesa, sarebbe rivelata da Dio. Il pro-blema posto da Dignitatis humanæ è, quindi,ineludibile per la coscienza di tutti i cattolici.

IL “MARTIRIO” DI EDITH STEIN

In un curioso discorso, nel quale GiovanniPaolo II applica il termine “illuminismo”all’illuminazione che l’uomo può ricevere daDio con i doni dello Spirito Santo (cfr OR 12-13 agosto 1996, pag. 4: Giovanni Paolo IIoffre una profonda lettura teologica e storicadell’Illuminismo. A conclusione del Colloquiointernazionale dedicato al tema ‘Illuminismooggi’ svoltosi dall’8 al 10 agosto a CastelGandolfo), Karol Wojtyla ritorna sulla suaprediletta Edith Stein. Dopo aver ricordatoche ella fu “collaboratrice di Husserl” (filo-sofo ebreo, padre della fenomenologia, la fi-losofia wojtyliana incompatibile con la scola-stica in genere e san Tommaso in particola-re), Giovanni Paolo II afferma: “Allo stessotempo, è stata ammessa, con la palma del mar-tirio, nel martirologio della Chiesa. Sappiamoche è stata arsa, come figlia del popolo ebreo,nei forni di Auschwitz”. Edith Stein non fuarsa viva, come lo lascia credere GiovanniPaolo II (solo il cadavere fu cremato!). È in-dubitabile però che morì in campo di concen-tamento. Fu martire, come è stata proclamatada Giovanni Paolo II? Forse, giacché ella siconvertì al cristianesimo e divenne monaca diclausura, e tale era quando fu deportata.Certamente, non fu martire “come figlia delpopolo ebreo”. Questo non vuol dire che sialecito uccidere qualcuno solo perché “figliodel popolo ebreo” (ogni uccisione diretta diun innocente è un crimine), ma vuol dire cheper essere “martire della fede cristiana” oc-corre, va da sé, essere uccisi in odio alla fedecristiana, e non per un altro motivo, qualeche sia. È veramente desolante dover ricorda-re delle cose che dovrebbero essere evidenti,e che invece non lo sono più. [In nota: già nelsuo discorso ai membri della Associazionedelle Vittime del Campo di Concentramento diAuschwitz-Birkenau (O.R. 10-11 giugno1996, pag. 1), Giovanni Paolo II aveva attri-buito a tutte le vittime di Auschwitz, cristianee non cristiane, il titolo di “martiri”].

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GIUBILEO... A ROMA O A GERUSALEMME?

Dal 1300 l’Anno Santo invita i cattolicidel mondo a recarsi a Roma, capitale dellacristianità. Il Giubileo del 2000 non ha piùun polo, Roma, ma due: Roma e Gerusa-lemme. “Ogni anno l’Opera Romana Pelle-grinaggi - dice Giovanni Paolo II in occasio-ne della V giornata del Malato celebrata l’11febbraio scorso (O.R. 13 febbraio 1997, pag.6) - propone un gesto profetico di pace:quest’anno è previsto un pellegrinaggio adHebron alla tomba dei Patriarchi, luogosacro per le tre grandi religioni monoteiste,quale auspicio di pace nella Terra Santa.Prego affinché tale gesto, nel nome del co-mune padre Abramo, costituisca l’inizio diuna nuova fioritura di pellegrinaggi di ricon-ciliazione, in vista del Grande Giubileodell’anno Duemila. Possano Roma e Geru-salemme diventare i poli di un universale pel-legrinaggio di pace, sostenuto dalla fede

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nell’unico Dio buono e misericordioso” (n.3). Cosa ne penserà il “comune padreAbramo”? È certo, che egli, fedele a GesùCristo, non riconosce i figli che GiovanniPaolo II gli attribuisce. Secondo la carne,molti musulmani e moltissimi ebrei discen-dono da Abramo, mentre moltissimi cristia-ni non hanno nulla a che vedere con lui. Alcontrario, secondo lo spirito e la fede, solo icristiani sono figli di Abramo. Già dicevaGiovanni Battista agli ebrei: “Non vogliatedire tra voi stessi: ‘Noi abbiamo Abramo perpadre’ perché io vi dico che Dio può suscita-re da queste medesime pietre figli adAbramo” (Mt 3, 9). E ai giudei increduliGesù disse che né Abramo (Gv 8, 39) néDio (Gv 8, 42) era loro padre, ma il diavolo:“Voi avete per vostro padre il diavolo” (Gv8, 44). Le parole di Giovanni Paolo II su unDio comune ed un Padre comune (Abramo)a cristiani, musulmani ed ebrei sono quindicontrarie alla Sacra Scrittura.

* “Un ebreo ha ucciso i due figli per paurache l’ex moglie li allevasse secondo la fedecattolica: lo ha confessato in lacrime lui stes-so, ieri, all’inizio del processo. Avi Kostner,questo il suo nome, ha quindi ammesso diaver strangolato la figlia di 12 anni e ucciso ilfiglioletto di dieci con una overdose di tran-quillanti. (...) ‘Se non potevano vivere daebrei, che almeno morissero da ebrei’, haconcluso davanti ai giudici esterrefatti”. Il de-litto è avvenuto due anni fa a Newark, nellostato del New Jersey (USA).

(Il Giornale, 20/2/97, p. 21).

Rassegna Stampa…✄

*La Comunità ebraica accusa le amba-sciate tedesche di fomentare una campagnaantisemita. Dal 1990, una legge assicura agliebrei russi che desiderano emigrare inGermania un trattamento di favore: “Non cisono controlli, l’ingresso è garantito, e unavolta in Germania lo stato fornisce loro aiutisociali, abitazione, e una assistenza nella ri-cerca di un lavoro”. Per l’ex-ambasciatoretedesco in Ucraina, Arnot, molti di questi im-migrati sono dei falsi ebrei che organizzano“una truffa colossale” ai danni dello stato.

(da La Stampa, 9/2/97, p. 9).

* “I Rothschild corteggiavano il PCI”. L’ex-finanziere “rosso” Giuliano Peruzzi rivela tutti icontatti tra i celebri banchieri e il partito comunista italiano negli anni ‘70.

(Su Il Giornale del 30 ottobre 1996).

* Roma, 4 febbraio: Silvio Berlusconi haincontrato il premier israeliano Netanyahu.Berlusconi ha dichiarato: “Noi siamo statisempre schierati in difesa dei valori che lostato di Israele rappresenta”. “Berlusconi -che ha ricordato come sia stato il suo gover-no a spingere per l’accordo fra Israele eUnione Europea - è stato invitato ad andarein visita in Israele”.

(Secolo d’Italia, 5/2/97, p. 7).

* Il grande speculatore George Soros, (chenel 1992 provocò la caduta della lira con laperdita per lo stato di 40mila miliardi), ha in-contrato a New York il segretario del PDSMassimo D’Alema, l’11 settembre 1996.Subito dopo “si è messo a comprare ragguar-devoli quantitativi di titoli di Stato italiani...”.

(Il Foglio, 10/10/96, p. 1).

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* “Una gaffe sugli ebrei fa perdere a BobDole [massone, candidato alla presidenzadegli U.S.A. contro Clinton, n.d.r.] ulterioriconsensi”. “Parlando a Washington di frontealla più antica e grande organizzazione ebrai-ca del mondo, la B’nai B’rith, ha commessouna gaffe che gli farà perdere ulteriori consen-si”, paragonando gli ebrei ai disabili (quale èlui) nelle discriminazioni subite. “Noi ebrei nonconsideriamo il fatto di essere ebrei un handi-cap, ma un privilegio”, gli ha risposto il prof.Berenbaum. “I problemi dei disabili sono unacosa, la discriminazione razziale un’altra...” hadetto Tommy Baer, del B’nai B’rith.

(Il Foglio, 9/10/96, p. 1).

* Distinzione tra l’antisemitismo (terminenato “in Germania tra la fine degli anni 70 el’inizio degli anni 80 del secolo scorso”) e lagiudeofobia, “che ha radici religiose”. “La dif-ferenza è in questo” sostiene l’ambasciatoreSergio Romano: “per l’antisemita l’ebreo èuna pianta da estirpare; per il giudeofobo èun uomo da convertire”.

(La Stampa, 31/8/96, p. 24).

* “Hitler a Vienna era amico degli ebrei”. Losostiene la storica Brigitte Hamann nel suolibro La Vienna di Hitler (La Stampa, 17/10/96,p. 25). “Bryan Rigg, americano di origini ebrai-che”, professore a Cambridge, ha scritto che“almeno 77 alti ufficiali” “imparentati con ebreiper nascita o per matrimonio” continuarono afar parte dell’esercito tedesco anche dopo il1935, poiché “lo stesso Hitler certificò cheerano ‘puri ariani’ di sangue tedesco”. Tra isoldati tedeschi di origine ebraica, c’era ancheil futuro cancelliere Helmut Schmidt.

(Il Giornale, 3/12/96, p. 22).

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* “L’ex rabbino capo (sefardita) OvadiaYossef ha ordinato con un verdetto rabbinicospeciale a quei postini che siano anche ebreipraticanti di rifiutarsi di distribuire plichi po-stali sospettati di contenere in qualsiasiforma il verbo di Gesù”. D’altronde, “la leggeisraeliana vieta la diffusione di materiale dicarattere missionario...” ( I l Giornale,28/11/96, p. 22). Actualité Juive definisce lapropaganda dei missionari “veleno nella cas-setta postale” e i missionari stessi, secondo ilrabbino Tsvi Cohen, “gente malefica che nelpassato è riuscita a distruggere centinaia difamiglie del nostro popolo” (12/12/96, p. 22).

* “Il fascismo ebbe tante anime, e cosìanche l’antisemitismo che fu sia della sinistrasia dei gruppi più nazionalistici. Preziosi eFarinacci furono senz’altro antisemiti, Balbo elo stesso Mussolini no. Anzi, il Duce fu anchesionista, ebbe contatti con WladimirJabotinsky, fondatore del Likud, grande per-sonaggio e tipo tosto assai...”.

(Sergio Romano, Il Giornale, 20/12/96, p. 6).

* Dopo la sua rielezione, Bill Clinton hafatto due nomine importanti: William Cohenalla Difesa, e agli Esteri Madeleine Albright, fi-glia del diplomatico cecoslovacco di origineebraica Joseph Korbel. Ma sia Cohen che laAlbright, come pure Sandy Berger (nuovoCapo del consiglio di sicurezza della CasaBianca) sono “ebrei di nome ma non di fatto”per il politologo Walter Lacqueur (Il Giornale,9/12/96, p. 14; Il Foglio, 11/12/96, p. 1).Queste le dichiarazioni ad extra. Ad intra, peril lettore ebraico, si scrive: “La designazione diMadeleine Albright alla carica di segretario distato è stata estremamente bene accolta inIsraele, ove si è acquisita una solida reputa-zione con i suoi interventi alle Nazioni Unite,coi quali è riuscita a moderare delle risoluzionianti-israeliane, il che le ha valso il rispetto e lastima della comunità ebraica americana”

(Actualité Juive, 12/12/96, p. 11).

* “Noi siamo tutti figli del Concilio”. È unaaffermazione del rabbino Rudin riportata concompiacimento da Mons. Hoeckeman, se-gretario della Pontificia commissione per irapporti religiosi con l’ebraismo.

(Avvenire, 16/1/97).

* Carità. Guido Fubini risponde così alla di-chiarazione del Presidente della Repubblica se-condo la quale i morti [della guerra civile italiana‘43-’45] sono tutti uguali: “No, signor Pre-sidente, i morti non sono tutti uguali. Ci sono imorti che amo e i morti che odio. I morti cheammiro e i morti che disprezzo (...) I mortisenza sepoltura passati per il camino e senzatomba e i morti sulla cui tomba sputeremo ineterno (...) Ci sono i morti il cui nome va ricor-dato in benedizione e i morti il cui nome va can-cellato in maledizione. No, Signor Presidente, imorti non sono tutti uguali”.(da Ha Keilla, bimestrale ebraico torinese, dicembre 1996).

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* “Forsennati non della giustizia ma della ven-detta”; tra questi “forsennati” Indro Montanelliannovera anche “la comunità israelitica romana”per il suo comportamento nel caso Priebke

(Corriere della Sera, 22/1/97; affermazione ritrattata il 27 gennaio successivo!).

* “Ha dato al suo popolo una settimana,minacciando, in caso di risposta negativa, dichiedere il battesimo per sé, la moglie e iquattro figli ancora in Israele. Ruggero Curiel,un ebreo veneziano da una trentina d’anni re-sidente a Tel Aviv, non ha accolto con favoreil secco no dato alla sua richiesta di ospitarel’anziana madre, cattolica, dalla casa di ripo-so della comunità israelitica di Venezia”

(Il Corriere della Sera, 27/1/93).

* “Importanti sviluppi nel dialogo interreli-gioso”: così titola l’Osservatore Romano (5marzo 1997, p. 8) riferendo di un simposiosul “futuro delle relazioni giudeo-cattolichenel mondo e in Israele/Terra Santa”. Tra leassociazioni ebraiche presenti, l’immancabileB’nai B’rith rappresentata dal rabbino Rosen;per il Vaticano, la Pontificia commissione peri rapporti religiosi con l’ebraismo presiedutadal “cardinale” Cassidy.

* “Tutti i Cohen sono discendenti diAaron”: lo annuncia trionfante Actualité Juive(9/1/97, p. 17), sulla base di una ricerca ge-netica diretta dal prof. Karl Skorecki, della fa-coltà di medicina di Haifa, in Israele. Loscopo ultimo di queste ricerche genetichepotrebbe essere la restaurazione del sacer-dozio dell’Antico Testamento (e quindi delTempio di Gerusalemme).

* Alleanza Nazionale. “Così naufraga il grande piano” di Fini (almeno per ora): farsi ricevere, e le-gittimare, dal premier israeliano Netanyahu. “La Destra trattava in segreto da due anni”, affidando lamissione israeliana a tre suoi esponenti: Marco Zacchera, Roberto Tana e Patrizia Andreassi(quest’ultima “moglie di un ebreo” e membro “da anni” della “comunità romana”) (La Stampa,19/12/96, p. 6). Le avances del partito di Fini erano appoggiate dal presidente del partito diNetanyahu in Italia, il Likud, Isacco Meghnagi: “Alleanza Nazionale è filo-israeliana”, dichiara, ram-mentando la visita di Fini alle Fosse ardeatine (1993), la condanna dell’antisemitismo, anche se ma-scherato da antisionismo, al congresso di Fiuggi (1995) e la nomina di Meghnagi stessoall’Assemblea nazionale di AN (Il Giornale, 20/12/96, p. 6). Ma una fuga di notizie ha permesso alquotidiano israeliano Yediot Ahronot di pubblicare il telegramma segreto che l’ambasciatore israe-liano in Italia, Giuda Millò, aveva inviato al suo governo contro la visita di Fini in Israele. Per cui, letrattative sono saltate. Eppure Alleanza Nazionale aveva già dato prova della sua disponibilità. “Cichiedono fatti - racconta la Andreassi - fatti concreti”. “È la stessa richiesta che avanza il presidentedel Centro Wiesenthal, che accetta persino di incontrare Fini nel suo studio di via della Scrofa. E lerichieste israeliane sono di diversa natura: (...) eliminare i testi revisionisti (persino quelli di Nolte), farvisita a Auschwitz, dare una mano nella caccia a chi è ancora sfuggito alla giustizia. E Fini? In via ri-servata il capo di An - come racconta la Andreassi - ‘apre gli archivi dell’MSI alla Wiesenthal, offre ilpatrocinio gratuito alla comunità israelitica romana nel processo contro Priebke’, protesta pubblica-mente contro l’Argentina che rifiuta l’estradizione dell’ex ufficiale nazista” (La Stampa, 19/12/96, p.6). Tutto invano, per l’opposizione di Millò, Tullia Zevi e della comunità ebraica italiana. Ma Fini nondemorde: dichiara di “non ritenere realistica la divisione di nuovo di Gerusalemme, che deve restare(...) sotto la sovranità di Israele” (Secolo d’Italia, 28/1/97, p. 4) e fa pubblicare sul quotidiano di par-tito (Secolo d’Italia, 4/2/97, p. 6) un articolo che dimostra come tutta la politica del Msi era semprestata favorevole a Israele contro i Palestinesi fin dagli anni ‘50 (“La Destra italiana e Israele. Nellastoria dell’intero dopoguerra si possono rintracciare le prove di una scelta di campo inequivocabile.Sottotitolo: Proprio la condanna dell’antisemitismo ha caratterizzato la svolta di Fiuggi).

* Francia. Jacques Chirac, benché moltovicino alla comunità ebraica francese, ha ap-poggiato recentemente la causa palestinese.Questo non porterà fortuna al presidentefrancese, secondo il giornalista FrançoisBrigneau che in un articolo (Chirac et lamalédiction d’Israel) apparso su Nationalhebdo (n. 641, 31 ott.-6 nov. 1996, p. 18)spiega come una analoga presa di posizionecostò il posto a De Gaulle nel 1969 e poi aGiscard, e danneggiò politicamente Pom-pidou. Il capo del governo, Juppé, ha prestoriabilitato i neo-gollisti, appoggiando le richie-ste ebraiche di risarcimenti per le vittimedell’ultima guerra.

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* Spacciatori di droga. Otto ufficiali israeliani hanno rivelato che nel 1967, durante la guerra dei seigiorni, l’esercito egiziano fu battuto anche perché era stato rifornito di hashish da agenti dei servizi segretimilitari israeliani “al punto di impedire loro qualsiasi capacità operativa” (La Stampa, 23/12/96, p. 10).

* Risarcimenti I. La legge italiana n. 96/55 prevede “la concessione dell’assegno di bene-merenza ai perseguitati per motivi razziali”, ma la Corte dei Conti aveva respinto più volte dellerichieste di ottenimento del suddetto assegno presentato da dei cittadini di origine ebraica, poi-ché essi, ancora bambini ai tempi delle leggi razziali mussoliniane, non avevano subito perse-cuzione fisica. Ma ultimamente “la Corte dei Conti ha fatto retromarcia sul problema degli in-dennizzi ai cittadini ebrei vittime di persecuzione razziale, dopo aver negato nei mesi scorsi conalcune sentenze l’esistenza dei presupposti per il risarcimento da parte dello Stato, in quantosarebbero venuti a mancare alcuni requisiti fissati dalle norme in vigore, fra cui quello relativoall’aver subito una violenza fisica. Con una decisione depositata alcuni giorni fa, esattamente il13 novembre, la sezione giurisdizionale della magistratura contabile per il Friuli-Venezia Giulia ètornata sui suoi passi e ha fornito un’interpretazione estensiva dell’intera materia riguardante gliindennizzi per leggi razziali” (Il Giornale, 21/11/96, p. 14). Contro le prime sentenze della Cortedei Conti si era schierata la Comunità ebraica e anche Alleanza Nazionale, con una interroga-zione parlamentare di Gustavo Selva (che fu accusato di affiliazione alla loggia massonica P2),sottoscritta da Gasparri e Tatarella (Il Giornale, 21/12/96, p. 4).

* Risarcimenti II. L’ex sindaco di Trieste Manlio Cecovini (noto massone) ha suggerito allaComunità ebraica locale di svolgere ricerche sull’oro “sottratto dai nazisti agli ebrei triestini trail 1943 e il 1945”. Il “tesoro”, che è composto di 5 bauli, del valore complessivo di più di 8 mi-liardi di lire, si trova in un magazzino della Tesoreria centrale dello Stato, e contiene “preziosipresumibilmente confiscati agli ebrei e non potuti restituire”, perché in realtà non si sa chisiano i proprietari (Il Giornale, 4 gennaio e 2 febbraio 1997).

* Risarcimenti III. Nell’autunno del 1996 il senatore USA Alphonse D’Amato ha lanciatouna nuova campagna: dopo il boicottaggio internazionale della Libia e dell’Iran, l’accusa allebanche svizzere di aver trattenuto nei loro caveau i conti bancari degli ebrei “vittime dell’olo-causto”. La polemica è “esplosa fortissima dopo la richiesta dell’Agenzia ebraica di un fondod’indennizzo per le vittime dell’olocausto (250 milioni di franchi, secondo la richiesta diAvraham Burg, presidente dell’Agenzia) respinta con insolita durezza dall’ex presidente confe-derale, Jean-Pascal Delamuraz: ‘Un ricatto’” (La Stampa, 19/1/97, p. 11). Delamuraz ha do-vuto chiedere scusa a Edgar Bronfman, presidente del Congresso Mondiale ebraico (“LaSvizzera si scusa con gli ebrei: pronti a cooperare”, Il Giornale, 16/1/97, p. 24) e l’ambascia-tore svizzero negli USA, che si opponeva alla richiesta, è stato destituito. L’Agenzia ebraicaaveva infatti proclamato: “Boicottate la Svizzera”; “È nostra intenzione - hanno detto Burg eSinger in un comunicato - proporre alle organizzazioni ebraiche internazionali che si occupanodella questione un pacchetto di misure economiche e politiche tali da chiarire alle autoritàsvizzere, alle banche e alla popolazione svizzera che l’unica politica per loro possibile è dicooperare con i rappresentanti delle organizzazioni ebraiche” (Il Giornale, 6/1/97, p. 11). “Leminacce dell’Agenzia ebraica (...) hanno comunque messo in allarmel’Associazione dei banchieri svizzeri. E quest’ultima ha alzato la voce chie-dendo al governo un gesto distensivo” (ibidem, 7/1/97, p. 19). Da parteloro, le Banche (Credito Svizzero, Società di Banca Svizzera e Unione delleBanche Svizzere) hanno creato un fondo di 100 milioni di franchi svizzeri(circa 113 miliardi di lire) “a favore delle vittime dell’Olocausto” (Il Giornale,6/2/97, p. 22). Infine, cede anche il governo svizzero: il presidente ArnoldKoeller ha proposto al parlamento (che dovrà approvare la misura) lacreazione di un fondo di 7 miliardi di franchi svizzeri (circa 8mila miliardi dilire). “Con questa iniziativa, ha aggiunto il presidente, gli svizzeri ‘farannodel bene a quanti hanno sopportato indicibili sofferenze 50 anni fa” (IlGiornale, 6/3/97). Il settimanale svizzero, Gazzetta Ticinese, si chiedeormai: “La Svizzera è un protettorato?” (9-15/10/96). Il senatore USA

Alphonse D’Amato

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* Diocesi di Ferrara. “La legge di Dio e lastoria sacra del Primo Testamento è rivela-zione divina anche per il Nuovo Testamento.(...) Gesù non è venuto per abolire la legge e iProfeti, ma per compierla, e la Legge dureràsino alla fine del mondo...”. Queste parole sileggono su La Voce di Ferrara-Comacchio(11/1/97), settimanale diocesano, in un arti-colo non firmato scritto in occasione dell’ot-tava “Gior-nata di rifles-sione e di ap-profondimen-to dei rap-port i tra e-braismo ecr i s t i anes i -mo”. Due let-tori hannoscritto dellelettere di pro-testa controquesto art i-colo, pubbli-cate in un nu-mero succes-sivo de La Voce (25/1/97, p. 7). Ma un’altralettera non è mai stata pubblicata. La poteteleggere in questo numero di Sodalitium:

«Signor direttore,sono rimasto molto interessato dalla di-

scussione, aperta dalla Voce del 25 gennaio,sulla “abrogazione” dell’Antico Testamento. Iltema è al cuore della nostra fede!

Sottoscrivo pienamente la citazione dellaDei Verbum, ma essa non risolve il problema.La legge di Mosè era composta di precettimorali, cerimoniali e giudiziali (San Tommaso,I-II, q. 99). La citazione di Matteo 5, 17-18vale certamente per i precetti morali, cheGesù ha portato a compimento, perfezionan-doli. Ma quelli cerimoniali e giudiziali sonoabrogati (San Tommaso, I-II, q. 103, a. 3 e 4,q. 104, a. 3) e attualmente la loro osservanzasarebbe nociva alle anime: “Se vi fate circon-cidere, Cristo non vi gioverà a nulla” (Gal. 5,2). Per cui è del tutto fuorviante sostituirel’espressione “Primo Testamento” a quella ri-velata di “Vecchio Testamento” (2 Cor. 3, 14):un “primo” può coesistere con un “secondo”,mentre il “vecchio” è sostituito dal “nuovo”:“parlando di un patto nuovo ha reso anticoquello di prima: e ciò che si è fatto antico edè invecchiato, è vicino a scomparire” (Ebrei,8, 13). “Mutato il sacerdozio, deve mutareanche la legge” (Ebrei, 7, 12): ora non vige

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* Teologia: “...nel Vangelo che ci parla incontinuo dell’amore del prossimo si trovano

frasi come questa, in sanGiovanni: ‘A partire da quel

momento i Giudei cercaronodi far morire Gesù’. Dellefrasi di questo genere non

sono innocenti. Bisogna cheio, leggendo la miatradizione cristia-na, ne sia co-

sciente”. Sono le pa-role di Mons. Teissier,

“arcivescovo” di Algeri.(Messages du Secours

Catholique, n. 494, luglio-agosto 1996, p. 10).Mons. Teissier,

“arcivescovo” di Algeri

* Portogallo. Il 5 dicembre 1996, esatta-mente 500 anni dopo il decreto di espulsionedegli ebrei dal Portogallo, il parlamento porto-ghese, alla presenza del presidente dellaRepubblica, Jorge Sampaio, di origine ebraica,e del presidente del parlamento israeliano, DanTichon, ha abrogato il suddetto decreto.Sampaio ha dichiarato: “Quando è necessariodobbiamo combattere il razzismo, la xenofo-bia, il fondamentalismo, la discriminazione,l’esclusione, l’intolleranza, il settarismo”. Il 4 di-cembre, a Porto, è stata scoperta una lapideportante la seguente iscrizione: “Alla memoriadi tutti gli ebrei portoghesi, vittime dell’infamedecreto del 1496 (...). Che sia ricordata la be-nedetta memoria di coloro che hanno segreta-mente giudaizzato, a rischio della vita, e chepurtroppo sono così spesso morti martiri,Vittime dell’Inquisizione portoghese”. Lo stessogiorno è stata inaugurata la sinagoga diBelmonte, per accogliere i marrani battezzatiche vogliono tornare apertamente all’ebraismo.

(Actualité Juive, n. 498, 12/12/96).

Mons. Caffarra ed il rabbino Luciano Caro

* “È volata qualche scintilla a fine ottobre fraItalia e Israele”. Il Bollettino della comunità ebrai-ca (dic. 1996, p. 6) si riferisce alle dichiarazionedel ministro degli esteri italiano Dini rilasciate alCorriere della Sera il 20 ottobre. Dini avrebbedetto che Israele farebbe “tutta una serie di pro-vocazioni per mettere fuori i palestinesi daGerusalemme”! Il Bollettino della comunitàebraica cita pertanto soddisfatto le dichiarazioniantitetiche a quelle di Dini rilasciate da MassimoD’Alema, Giorgio La Malfa, Furio Colombo eAntonio Martino (ministro degli esteri col gover-no Berlusconi: “il nostro ministro degli esteri do-vrebbe pensare e riflettere prima di parlare”).

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più il sacerdozio di Aaron, ma quello di Cristo;quindi è mutata la Legge, checché ne dica laVoce secondo la quale essa “durerà sino allafine del mondo”. Sino alla fine del mondo du-rerà semmai il “nuovo ed eterno Testa-mento”! Potrei continuare a lungo, citandotutte le lettere di San Paolo, che quasi nonparlano d’altro...

Dire chiaramente la verità è la base indi-spensabile per ogni dialogo sincero e fruttuoso.A Lei un cordiale saluto, sperando in una rispo-sta chiarificatrice da parte del Suo giornale».

Giovanni PaoloII con il gran

rabbino diRoma Elio

Toaff inVaticano il 15

aprile 1996

“Accetto la morte in nome diGesù e della Chiesa”. Vita di S.Tommaso Becket, Arcivescovo

di Canterbury

SECONDA PARTE: TOMMASO BECKETDIVENTA CANCELLIERE E POI ARCIVESCOVO.

don Ugolino Giugni

Amico del re e suo cancelliere

Nel 1154 Enrico II salì al trono e fu incoro-nato dall’arcivescovo di Canterbury

Teobaldo. Il regno di Enrico aveva ridestatosperanze di più grande giustizia e prosperitàper l’Inghilterra. L’arcivescovo, per prevenirele malvagie influenze con le quali i cattivi corti-giani cercavano di pervertire il re spingendoload opprimere la Chiesa, per arricchirsi, o quan-tomeno a non tutelarne i diritti, cercò di affian-cargli un uomo integerrimo che lo consigliasseper il meglio. La sua scelta cadde naturalmentesu Tommaso Becket. Tramite alcuni vescovi,consiglieri reali, lodò talmente la prudenza, lafedeltà, la sincerità e rettitudine del Becket cheEnrico espresse il desiderio di conoscerlo.

Tommaso fu presentato al re. L’umoregaio e vivace, il portamento, il suo modo diparlare, la sua gentilezza ed ossequiosità, lamaturità di spirito che prometteva consiglisaggi da parte sua e lo spirito lontano dalvizio che avrebbe influenzato in bene i co-stumi del principe piacquero tanto al re chesubito lo creò suo cancelliere (1).

Con il nuovo incarico crebbero i possedi-menti e le ricchezze di Tommaso che diven-ne uno dei più potenti baroni del regno; fu,anche incaricato dell’educazione del figlioprimogenito del re che formò nel timore diDio, l’amore dei popoli e lo zelo per la reli-gione fino al dono della vita se necessario.Ebbe la ricca prebenda di Hastings, la custo-dia dei castelli di Berkhamsted e di Eye, ilgoverno della torre di Londra e di conse-guenza si vide in poco tempo circondato daogni sorta di persone sempre pronte a strin-gersi intorno ai potenti. Mostrò subito ungran lusso per appagare forse il suo anticodesiderio di magnificenza e di larghezza.Suppellettili preziosissime e vasi d’oro ed’argento, abiti sontuosi, cani, falconi e ca-valli delle migliori razze, grandi banchetti efestini; aveva costantemente settecento sol-dati armati a sue spese. Molti figli di grandidel regno erano inviati presso di lui per esse-re educati nella sua famiglia ed erano riman-dati a casa una volta armati cavalieri.

“In mezzo però a tanta grandezza e son-tuosità egli seppe conservarsi puro e casto edinvano Enrico cercò espugnarne la virtù coninsidie e con arti indegne di un re, indegnissi-me d’un cristiano. (…) Tale era la virtù diquest’uomo che pure sfoggiava cotanto inlusso ed in vanità; sotto le vesti dorate e framagnificenze egli nascondeva un’anima cri-stiana e pia” (2). Per conservare la virtù im-piegava i mezzi di difesa e di forza della reli-gione: nei momenti liberi, dopo aver sbrigatogli affari della sua carica, si dedicava con fer-vore alla preghiera che costituiva la sua deli-

Agiografia

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zia. Si imponeva privazioni in mezzo all’ab-bondanza in cui viveva e praticava in segretodiverse austerità che aveva letto nelle vite deisanti anacoreti dell’Egitto e della Palestina.

Tommaso, nella sua veste di cancelliere,era concorde col re nel comportamento enegli atti, era serio quando si doveva, sapevascherzare quando era il momento, godeva diaccompagnare il re nei giochi e nella caccia,divideva con lui la mensa ed i viaggi. Enricolo considerava fidissimo e lo amava più dichiunque altro. Il Becket, conscio del suo do-vere, combatteva contro l’avidità dei curiali,e le prepotenze dei baroni, ora per l’onore el’interesse del re, ora per il vantaggio dellaChiesa o l’utilità dei popoli. L’abilità e l’intel-ligenza del Becket risultarono preziose per ri-portare l’ordine nel paese tribolato dagli stra-scichi della guerra civile. Con i baroni usavala maniera forte spalleggiato da Enrico: unaparte del suo lavoro di cancelliere consistettenell’obbligare i baroni a smantellare le for-tezze costruite senza l’autorizzazione regia.

L’Inghilterra, che sotto il regno di Ste-fano era stata agitata da guerre di ogni gene-re, era, a dire di un contemporaneo, “neiprimi mesi del regno di Enrico un nido di la-droni, e quasi ogni sua città, verso il mare[era] singolarmente una spelonca di assassi-ni”. Ma con l’opera di Tommaso Becket inpochi mesi cambiò aspetto. “Diroccati i ca-stelli che servivano di rifugio ai malvagi,tolto il ricovero dei boschi ai malviventi,

riacquistati i diritti della corona usurpati daiprepotenti, restituite le paterne possessioni aidiseredati. I ladroni spaventati dalla forcatornavano a vita onesta e la pace e la sicurez-za nuovamente sorgevano in ogni parte aprosperare il commercio” (3). Certamente ilBecket in tali circostanze si comportò con se-verità (alcuni lo accusarono di eccessiva cru-deltà per essere un ecclesiastico); ma non losi può biasimare in quanto egli agiva in qua-lità di magistrato e come tale, visti i tempi,doveva usare mezzi appropriati! D’altraparte “Il nobile regno d’Inghilterra rinnova-vasi come novella primavera, la Chiesa Santaveniva onorata, gli episcopati e le abbazieerano date ad uomini onesti senza simonia,le cose del re, col divino aiuto, tutte cammi-navano bene, l’Inghilterra si arricchiva, gode-va grande abbondanza…” (4). Il re Enrico loriteneva come un altro se stesso, un fratelloamatissimo più che un suddito ed un mini-stro, alle volte infatti giocavano insiemecome se fossero fanciulli. Della sua amiciziacol re si narra il seguente aneddoto: ordina-riamente Tommaso, da cancelliere non por-tava abiti ecclesiastici (secondo un abitudinecomune al suo tempo) ma ricchissime vestialla moda laica, sovente più belle di quelledel re. Un giorno durante l’inverno passandoassieme ad Enrico II a cavallo per le vie diLondra, incontrarono un vecchio mendicanteche rabbrividiva nei suoi cenci. “Non sarebbeuna buona azione dare a quel poveretto unmantello caldo?” suggerì il re, ed alla rispo-sta affermativa del cancelliere, con un rapidogesto e una gran risata afferrò il mantello fo-derato di pelliccia di Becket, glielo strappòdalle spalle ed esclamando “voglio che il me-rito sia tuo!” lo gettò al povero mendico cheguardava la scena sbalordito (5).

Nel 1158 il Becket fu inviato a Parigicome ambasciatore per trattare del matrimo-nio del figlio del re d’Inghilterra con Mar-gherita primogenita del re di Francia. In que-sta occasione egli sfoggiò una magnificenzaal di fuori dell’ordinario. Aveva al seguitoqualcosa come duecento persone tra soldati,chierici, scalchi, servitori armigeri, figli di no-bili armati a cavallo. Carri, cani, uccelli, fal-coni, tappeti ed ogni sorta di vettovaglie ecibi completavano la spedizione. Al passag-gio del corteo gli abitanti uscivano per veder-lo e saputo che si trattava “solo” del cancel-liere del re d’Inghilterra si facevano un’ideameravigliosa della grandezza di quel sovra-no, poiché un suo ministro viaggiava con un

Enrico II sul trono (Miniatura del XIII sec.)

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così grande seguito. Giunto a corte fece re-gali ad ogni visitatore acquistandosi il favoredi tutti, concluse egregiamente l’affare delmatrimonio, acquisì inoltre al suo re cinquefortezze che stavano ai confini delle terre delre di Francia e che per antico diritto spetta-vano al duca di Normandia. Sulla via del ri-torno riuscì ad arrestare Guido di Laval, la-drone e nemico del suo sovrano.

L’anno seguente Tommaso partecipò afianco di Enrico II alla spedizione di guerracontro il conte di Tolosa. Egli armò a suespese settecento cavalieri e ne mantenne1200 sul campo di battaglia con il loro segui-to di 4000 uomini. Fu il braccio e la mente diquesta spedizione; il re lo volle sempre al suofianco per usufruire dei suoi consigli.Combatté egli stesso accanto ai suoi uomini,compiendo prodigi di valore con un pugno disoldati, come quando disarcionò Engeralmodi Trie, valoroso cavaliere francese, con ilquale si era scontrato, prendendogli anche ilcavallo. Il suo valore gli meritò l’ammirazio-ne dei suoi stessi nemici. Conservò i presidiconquistati, altri ne espugnò e quandoEnrico dovette ritirarsi da Tolosa, soloTommaso tra tutti accettò di restare a presi-diare i castelli conquistati precedentemente.

Per sette anni Tommaso Becket governòl’Inghilterra, come cancelliere di Enrico II,ma il Signore voleva ora che colui che avevamostrato tanto zelo per il re d’Inghilterrafosse trovato “servo fedele e prudente” delRe dei re, una volta posto al governo diquella sua chiesa.

“Presto mi odierete quanto ora mi amate,perché non accetto l’autorità che vi voletearrogare negli affari della Chiesa”.

Mentre Tommaso si trovava in Francia alseguito del re, l’arcivescovo di CanterburyTeobaldo più volte l’aveva scongiurato di ri-tornare in patria, poiché si sentiva semprepiù infermo e vecchio ed aveva bisogno delconsiglio del suo arcidiacono. Egli infattimorì il 18 aprile del 1161 lasciando vacantela più alta dignità della chiesa inglese. Pocoprima di morire Teobaldo aveva scritto aEnrico: « Vi raccomando la santa Chiesa diCanterbury, dalle cui mani per mio mezzo ri-ceveste il governo del regno… A me il quale,benché indegno, per divina disposizione laressi fin qui come ho potuto, sostituite taleuomo che non si mostri indegno di tanta sede;tale uomo che ami la religione e che per i suoi

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meriti venga stimato degno amico di Dio.(…) Sire non cercate in quest’affare l’utile vo-stro ma la gloria di Dio e vi assicuro che, sevoi procurerete la sua causa, Egli farà la vo-stra maggiore utilità… ». Poco tempo dopovedendo che il re ormai inclinava il suoanimo a usurpare i poteri della Chiesa, il pioarcivescovo, ormai morente gli scriveva an-cora: « Ricordate che la gloria del principeCristiano risplende singolarmente nell’esse-re fedele al pio servizio di quel Signore dalquale viene ogni principato; tenesse bene inmente come la eredità della pace, della gloria,della esultazione, si perpetui a chi acqueta leprocelle della Chiesa sofferente e a chi conavventurato o fedele ossequio procura che lasacra sposa di Cristo possa restare unita allosposo nella divina dilezione. Ma insieme nonmai dimenticasse come provochi contro di sél’ira onnipotente del Signore colui che nonvede con affetto pieno di commiserazione leagitazioni della Chiesa ed in lei opera o lasciaoperare tumulti e discordie o, coll’abusaredella potestà che gli è concessa, favorisce e colsuo consentimento ringagliarda quella mali-zia che non vuole reprimere ed estinguere;poiché è cosa certa che l’inimicizia tra i duepoteri è indubitata cagione di rovina airegni, fomite agli scismatici e sicuro indizio didannato e cadente principato » (6). Paroleprofetiche, quelle di Teobaldo che facevanopresagire lo scontro tra il principe ed il futu-ro arcivescovo se il primo non avesse desisti-to dalle sue intenzioni di opprimere laChiesa inglese. Enrico d’altra parte, ritenevadi riuscire vincitore nella lotta tra i due pote-ri proprio facendo eleggere arcivescovo diCanterbury il suo amico e cancelliereTommaso Becket, pensava che essendogliegli devoto e fido non gli avrebbe procuratodelle opposizioni e dei contrasti.

La consuetudine all’epoca era ancora chefosse il sovrano a designare la persona delvescovo che doveva poi essere approvata dalPapa regnante. La lotta delle investiture,come già detto nella puntata precedente (7),(e qui si trattava proprio dell’investitura cle-ricale più importante d’Inghilterra…), con ildissidio tra il Papa Alessandro III e FedericoBarbarossa, fa da sfondo alla nostra storia.

Il favore che il Becket godeva presso il relo designava come il più probabile successoredi Teobaldo, tanto che tutti i cortigiani lochiamavano già il futuro arcivescovo. Daparte sua il Becket rispondeva che la vita pub-blica che aveva condotto fino ad allora sem-

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brava escluderlo da una carica così santa eterribile e che conosceva quattro poveri pretiche avevano più diritto di lui a quella dignità.

In generale il clero era contrario all’ele-zione del cancelliere poiché poteva giusta-mente temere, non conoscendo a fondo ilBecket, che egli avrebbe curato di più gli in-teressi della corona che quelli dell’altare.Mons. Benigni scrive al proposito: « Strana fula prevenzione dell’ambiente ecclesiastico,forzato a dare a Tommaso la successione diTeobaldo. La fama del cancelliere ligio al reper reprimere i baroni rubesti, fece temere aiprelati elettori che conoscevano bene Erricoe credevano di conoscere bene Tommaso,che questi diventasse… uno strumento regioper falcidiare i diritti e privilegi della signoriaecclesiastica. Il fatto mostrò quale fosse l’altamentalità dell’uomo che avea studiato dirittonell’università bolognese donde il Barbarossatrasse i dottori romanisti per affermare la“lex regia”, e che era stato a Roma tutta fre-mente della riscossa ecclesiastica [ispiratadall’idea gregoriana…! n.d.a.] contro l’op-pressione cesarea. Pochi, opiniamo, hannovisto chiaro in quella mentalità del cancellierefatto primate. Allora tutti si ingannarono: ilre nelle sue speranze, il clero nei suoi timori »(8). Altri opponevano il fatto che Tommasoera stato cortigiano e soldato, dimenticoquasi della sua dignità ecclesiastica, non sa-rebbe stato forse più dissipatore e divoratoredel gregge che pastore? Avrebbe osato op-porsi ai potenti laici, ed incontrare l’ira deisuoi antichi amici? La storia mostrerà che levie di Dio non sono quelle degli uomini; Egli,come già era avvenuto altre volte, poteva sce-gliersi dei servitori fedeli e santi anche inmezzo al mondo, tra soldati e avidi cortigiani.

Il re rimase fermo nella sua intenzione difare eleggere il Becket a primate d’Inghil-terra; a nulla valsero le sue proteste di inde-gnità d’incompatibilità della sua vita anticacon la santità della carica: Tommaso capivache se non voleva disobbedire a Dio avrebbedovuto, di lì a poco, rompere con il re. Eglidisse apertamente a Enrico II, quando questigli comunicò la sua decisione: “Se Dio vorràper sua disposizione che sia così, voi ben pre-sto mi toglierete la vostra benevolenza. Prestomi odierete quanto ora mi amate, perché nonposso accettare in coscienza l’autorità che vivolete arrogare negli affari della Chiesa. Gliinvidiosi trovata l’occasione propizia si collo-cheranno tra noi e spenta ben presto l’amici-zia, attizzeranno un odio perpetuo”.

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Il re non fece alcuna attenzione alle pa-role del cancelliere ed dispose affinché lecose andassero secondo il suo desiderio. IlBecket da parte sua si rifiutava di accettare,sapeva per esperienza a quali lotte dovevaessere preparato il primate d’Inghilterra(l’esempio di S. Anselmo d’Aosta non erapoi molto lontano) e non si sentiva pronto asostenerle. Becket finì per accettare soltantodopo l’insistenza del cardinale legato EnricoPisano che riuscì a persuaderlo.

Appena avvenuta l’elezione canonica,Tommaso fu dichiarato libero da tutti gli im-pegni e le promesse di corte. Il sabato diPentecoste del 1162 a Canterbury Tommasofu ordinato sacerdote ed il giorno dopo, do-menica dell’ottava, alla presenza del figlioprimogenito del sovrano e di molto popolo enobiltà accorsa, ricevette la consacrazioneepiscopale da Enrico, vescovo di Winchester,essendo vacante la sede di Londra a cui spet-tava per diritto la consacrazione del Primate.Uno dei primi atti del novello vescovo fud’inviare dei legati al Papa Alessandro III,che si trovava a Montpellier, per chiedere ilPallio (9), simbolo della giurisdizione, che glifu subito concesso, Tommaso Becket diven-tava così arcivescovo vedendo approvata daRoma la sua elezione, manteneva però per ilmomento l’offico di cancelliere del regno.

“Quattro occhi vedono meglio di due”.Tommaso Becket cambia modo di vivere

Investito della nuova carica pastoraleBecket dovette riflettere sulle gravi obbliga-zioni che essa portava con sé; egli fu prestoripieno del desiderio di adempierla con tuttolo zelo di cui era capace. Guardandosi indie-tro considerava come perso il tempo consa-crato agli affari del mondo; pregò quindiDio di santificarlo affinché potesse degna-mente lavorare al servizio della Chiesa e delsuo popolo. « Tommaso incaricò il suo fida-to chierico Eriberto di Boseham di avvisarlodi tutto quanto sentiva dire di lui e lo cor-reggesse di qualunque difetto od eccesso po-tesse scoprire nel suo operare dicendo che“quattro occhi vedono meglio di due”.

D’ora in poi Tommaso non sarà più illeggero e snello cavaliere, il guerriero intre-pido, il nobile splendido: sarà soltanto ilservo fedele di Dio » (10). La consacrazioneepiscopale lo aveva separato dal mondo edagli interessi umani; da quel momento eglidoveva dare tutto se stesso a Cristo, combat-

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tere per il Suo onore e per la libertà dellaChiesa Sua sposa. L’arcivescovo, posto inalto a capo di tutta la chiesa inglese, dovevaessere luce e sale per illuminare e per con-servare; tutte le virtù dovevano splendere inlui, poiché i sudditi si informano al modellodel superiore. In lui doveva trovarsi l’abne-gazione dei confessori e la fermezza dei mar-tiri, infatti contro di lui si sarebbero scagliatitutti i nemici della Chiesa; tutti gli usurpato-ri, tutti gli ambiziosi ed i rapinatori lo avreb-bero preso come loro nemico. Nella suaumiltà Becket si sentiva privo di queste dotied era conscio di trovarle soltanto nel costa-to del Redentore e nell’amore di Gesù, poi-ché come dice l’Apostolo “chi mi separeràdalla carità di Cristo? La tribolazione, l’angu-stia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecu-zione, il ferro? … Ma io supererò tutto perColui che mi ha tanto amato” (Rom. VIII,35). Tommaso prese quindi come modelliGesù ed il suo predecessore Anselmo.

La consacrazione episcopale avevaormai trasformato il Becket in un altrouomo; l’uomo vecchio aveva ceduto il postoall’uomo nuovo che si era rivestito di Cristo.Nei primi mesi di episcopato, allo scopo diperfezionarsi entrò nel monastero dei cano-nici regolari a Chirstcurch di Canterburydove si osservava la regola di san Benedetto.Qui si cinse sotto la veste di un cilicio chenon smise più fino alla morte e si diede a pe-nitenze e ad austerità gravissime; breve ilsonno, scarso il cibo, lunga la preghiera,quasi continue le veglie. Soddisfaceva tantoai doveri di arcivescovo che a quelli di cano-nico regolare di quel monastero; era solitodire “se fin qui abbiamo vissuto tiepidamen-te fu per il fuoco di gioventù e per l’ignoran-za, ma da ora non ci resta più alcuna scusa”.

Ogni giorno, ad imitazione di Gesù, lava-va i piedi a tredici poveri poi li serviva a tavo-la e congedandoli donava loro quattro mone-te d’argento. Duplicò le già consistenti ele-mosine per i poveri e i derelitti istituite dalsuo predecessore Teobaldo, dimodoché aquest’opera erano consacrate praticamentetutte le decime della sua Chiesa. Era nemicodell’ozio, origine come diceva, di molti deivizi che affliggono l’uomo; o pregava, o medi-tava, o leggeva soprattutto gli scritti del suosanto predecessore Anselmo del quale avevasempre con sé un libretto di orazioni. Aglieretici e agli scismatici non dava mai pace mane impugnava infaticabilmente le dottrine;con gli scomunicati non voleva trattare.

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Zelo per il bene della Chiesa e primi contrasti

Poneva la più grande diligenza in tuttoquello che riguardava la Chiesa; in modo par-ticolare nell’ordinazione dei chierici. Poichécolui che si mette nello stato ecclesiasticosenza aver la vocazione non perde solo sestesso, ma trascina con sé tante altre animeed è causa di tanti scandali e dolori per laChiesa, Tommaso non lasciava accedere nes-suno agli ordini sacri senza averlo prima esa-minato personalmente. Lo faceva con la mas-sima sollecitudine non fidandosi in questoesame che di se stesso, conscio che la respon-sabilità del male o del bene che ne sarebberoderivati sarebbe ricaduta sulle spalle del ve-scovo; esaminava accuratamente la pietà, labontà di vita, la dottrina del candidato. “Se fadanno alla Chiesa un sacerdote non buono,spesso e ancora di più le fa danno e forsemaggiore un sacerdote ignorante, e compren-dendo come sarebbe ingiustizia ed iniquitàeguale mostrare ai popoli come esemplarenel bene un malvagio e mostrare alle genticome maestro uno privo di scienza” (11).

Tra le altre cure per la restaurazionedella Chiesa inglese si adoperò per procurareun nuovo vescovo alla sede di Londra, cheera vacante da qualche anno, nella personadi Gilberto Folioth, già vescovo di Hereford.Costui era amico del Becket ed aveva datopiù volte in passato prova di attaccamentoalla Santa Sede e di zelo per la libertà dellaChiesa, cosicché il primate s’adoperò per ot-tenerne l’elezione dal Papa e per vincere leripugnanze dell’eletto. “Gilberto venne final-mente eletto e sulle prime andò mirabilmen-te daccordo con il suo primate sostenendonei diritti, aiutandone le opere e difendendo iprivilegi della sede cantuariense contro l’am-bizione e la superbia dei baroni e di qualcheprelato. Se questa armonia non si fosse mairotta, se quei due cuori generosi e fatti per lavirtù avessero camminato sempre di conser-va, se le passioni dell’uno non fossero venutea turbare la pace, l’Inghilterra non avrebbeforse avuto a piangere sul santuario profana-to, sulla religione avvilita. (…) Le sorti avve-nire dell’Inghilterra stavano nelle mani di treuomini, uno santo, uno debole, uno malva-gio; Tommaso di Canterbury, Gilberto diLondra, Ruggero di York (12). L’unione e laconcordia di questi tre avrebbe fatto fiorire ilregno nella pace e nella abbondanza, avreb-be ritornato in onore e in potenza la Chiesa,avrebbe posto un argine insuperabile alla

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avidità de’ signori, ma lo spirito malvagio lidisgiunse e ne vennero sventure alla patria,alla corona, al santuario. Grande provviden-za almeno che i dolori e la morte di Tom-maso distrussero le iniquità di Ruggero e ri-donarono Gilberto alla virtù, dacché il san-gue de’ martiri è sempre fecondo” (13).

Il Becket analizzò l’operato dei suoi prede-cessori e vedendo che con poca giustizia in al-cuni casi avevano donato terre e diritti ai baro-ni ed ai potenti loro congiunti si sforzava di re-cuperare alla Chiesa i beni perduti e di riacqui-starne i diritti. Quando la giustizia o la pruden-za lo richiedevano, conoscendo la noncuranzaaltezzosa e la superbia dei baroni, parlava lorocon franchezza e anche con forza, senza guar-dare ai titoli, ai meriti aviti, alla potenza o allafierezza, usava indulgenza con coloro che eranodisposti a riconoscere il loro torto, mentre con iprepotenti, coi pertinaci, si mostrava inesorabi-le. Assai severo con gli oppressori dei poveri,severissimo coi rapitori delle loro sostanze, re-putava fatte a sè le ingiurie fatte a coloro chesoleva chiamare con ardente affetto “padroni,fratelli, figli”. Inutile dire che questo modo dioperare gli procurava l’avversione di coloro chesi credevano offesi nei diritti che pur non ap-partenevano loro, e molti volevano vendicarsicontro di lui. Molti chierici cortigiani comincia-rono ad avere timore di lui paventando di per-dere i loro benefici, magari acquisiti con simo-nia. “Ma come assalire un uomo che prima diriformare gli altri aveva riformato se stesso?Come risentirsi quasi di capricci vanitosi delleopere di un uomo che dava l’esempio di ognibella virtù, che pareva non padrone de’ suoibeni ma dispensatore ed amministratore de’poveri? E quello che dava più da pensare,come accusare così tosto di usurpazione di di-ritti colui che ne aveva avuto fino a ieri in manola custodia e la protezione? Le leggi egli le co-nosceva, della fedeltà al suo principe avea datotante prove che sarebbe stato malo consigliocercare di metterlo in dubbio. Molti e potenticertamente erano i nemici di Tommaso, dap-prima frenati dal suo grande potere, dappoifatti deboli dalla sua virtù” (14). Poiché egli go-deva ancora della stima e dell’amicizia del reche lo amava come suo servitore e ministro fe-dele, per perdere Tommaso bisognava ingan-nare Enrico; togliere l’affetto dal cuore del so-vrano e sostituirvi la gelosia e l’odio; a ciò si im-pegnarono con scaltrezza i nemici del Becket.

Tutto quello che l’arcivescovo faceva veni-va interpretato a torto e a traverso. La pietàera ritenuta superstizione, la giustizia crudeltà,

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lo zelo per l’integrità dei diritti ecclesiastici su-perbia o avarizia, l’austerità della vita ed il suocambiamento di costumi era indicato comeun’ipocrisia per dominare gli ignoranti ed icreduli. Il favore del re tratteneva molti diquelli che si ritenevano offesi da lui, ma alcuni,più arditi, passarono la Manica (poiché il so-vrano si trovava nelle sue terre sul continente)e vennero a sussurrare sospetti alle sue orec-chie lamentandosi della “sfrenata cupidità disignoreggiare del nuovo arcivescovo”, insi-nuando anche che il Becket voleva appro-priarsi del supremo potere. Queste dicerie nonmancarono di fare del male: ascoltate dappri-ma come calunnie, poi con indifferenza, finiva-no per essere credute almeno in parte e a radi-care il sospetto nel cuore di Enrico (15), ma eglisi riservò di trattare la cosa una volta tornatoin patria. Quando Enrico II ritornò in Inghil-terra incontrò con festa ed allegria il suo anti-co cancelliere, che gli riportò il figlio della cuieducazione si occupava. Indescrivibile fu l’af-fetto con il quale i due vecchi amici si abbrac-ciarono; ogni sospetto era sparito dalla mentedel re, che non si saziava di dare segni di onoree familiarità all’arcivescovo, tanto grande eraancora sul suo animo il potere e l’influenza delBecket. Le male lingue tacquero rimandandoad un momento più propizio le loro accuse. Inogni caso questo fu l’ultimo incontro in cui ilre d’Inghilterra si mostrò con l’arcivescovo diCanterbury tale come si era sempre mostratocon il suo cancelliere. Enrico II avrebbe dovu-to rendersi conto del cambiamento del suo an-tico ministro, comprendere di avere ormai di-nanzi a sè un uomo in rottura con il passato,ma preferì chiudere gli occhi…

Verso la Pentecoste del 1163 Papa Ales-sandro III aveva convocato un Concilio aTours, al quale presero parte 17 cardinali,124 vescovi e 414 abati. Tommaso Becket, inquanto primate di Canterbury, vi si recò

S. Tommaso Becket ritorna in Inghilterra (da un salterio inglese del XIV sec.)

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come rappresentante di tutto il regno; vi fuaccolto con grande onore e rispetto da tutti ipresenti e lo stesso pontefice gli mostròsegni particolari di affetto e stima. In questoconcilio furono condannati alcuni erroridell’epoca e fu rafforzata la posizione diAlessandro III contro l’antipapa Vittorefatto eleggere dal Barbarossa (era un mo-mento di scisma) (16). A Tours si manifestòanche l’inconciliabile contrasto tra Can-terbury e York per il primato in Inghilterra:l’arcivescovo Ruggero si sarebbe posto finoalla fine dalla parte del re, contro TommasoBecket (12).

Fu al ritorno dal concilio che Becket, ve-dendo la difficoltà di adempiere nello stessotempo il duplice officio di arcivescovo diCanterbury e di cancelliere, decise di riman-dare al re il gran sigillo di stato, chiedendoglidi nominare un altro Cancelliere al suoposto. La sua era una risoluzione presa conl’intenzione di adempiere al meglio i suoi do-veri, ma il re la prese come un’offesa. Il favo-re dei principi, osservano alcuni, è un pesoche non si può scaricare quando si vuole.Enrico si ritenne come ingiuriato che unuomo da lui colmato di grazie non fosse piùgeloso degli incarichi affidatigli, e cominciò aconcepire verso di lui un’avversione che nonattendeva che una scintilla per tramutarsi inodio, come lo stesso Tommaso aveva predet-to prima di essere eletto arcivescovo.

Il 1163 si chiuse per il Becket con la con-sacrazione di due vescovi per le sedi Wor-chester e di Hereford da lungo vacanti e perle quali egli aveva dovuto insistere lunga-mente presso Enrico affinché lasciasse alclero la libertà per l’elezione canonica.Ruggero di Glocester fu eletto vescovo diWorchester, Roberto di Melun, noto dottodel suo tempo, fu fatto vescovo di Hereford.

Note

1) Il Cancelliere “oltre la custodia del gran sigillo, allo-ra avea il godimento delle prelature e badie vacanti, ammi-nistrava le baronie ritornate alla corona, sedeva in consi-glio anche non chiamato e, quasi un primo ministro, firma-va qualunque commissione, scrittura o patente ed entravanello spedire tutti gli affari importanti”. ABATE PIETRO

BALAN, San Tommaso di Cantorbery e dei suoi tempi, Tip.Dell’Imm. Concezione Modena 1867, pagg. 36-37.

2) BALAN, op. cit., pag. 38.3) BALAN, op. cit., pagg. 39-40.4) Scrive il biografo contemporaneo Guglielmo

Fitz-Stephen, citato dal Balan (op. cit. 40).5) Cfr. I Plantageneti, della serie “Le grandi fami-

glie d’Europa” Mondadori 1973, pag. 23.6) Lettere citate dal BALAN, op. cit., pagg. 76-78.

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7) Cfr. Sodalitium n. 44 pagg. 41-45. Se il lettore desi-dera saperne di più sulla questione delle investiture eccle-siastiche può consultare quanto ho già scritto al propositonella vita di S. Gregorio VII. Cfr “Ci rivedremo aCanossa… san Gregorio VII e la sua epoca”, 2ª parte, inSodalitium n. 32 pagg. 3-26 in particolare i paragrafi sullariforma gregoriana e sulla fine della lotta per le investiture.

8) Mons. UMBERTO BENIGNI, Storia sociale dellaChiesa, vol. V, La crisi medievale, Francesco VallardiMilano 1933, pag. 235.

9) Il Pallio (dal latino Pallium) è un paramento aforma di banda circolare di lana bianca, ornata di croci efrange nere che pendono anteriormente e posteriormen-te. Viene portato sopra la pianeta durante le funzioni li-turgiche dal Papa, dai patriarchi e dagli arcivescovi. Essoè il segno della giurisdizione arciepiscopale e viene datosempre e solo dal Sommo Pontefice poiché ogni giurisdi-zione nella Chiesa, sulla terra, viene attraverso di lui.

10) BALAN, op. cit., pag. 83.11) BALAN, op. cit., pag. 100.12) Di lui si è già parlato nella prima parte di que-

sto articolo. Cfr Sodalitium n. 44 pag. 45.13) BALAN, op. cit., pag. 111.14) BALAN, op. cit., pag. 103.15) In genere si diceva che la calunnia non piaceva

a Enrico II, di cui si racconta questo episodio. Ad untale che pensava di accattivarsi, il suo favore sparlandodel vescovo di Worcester, il re rispose nel modo se-guente: “Forse credevi, pezzo di canaglia, che giacchéio posso dire quel che mi piace ad un membro della miafamiglia o al mio vescovo, tu o qualunque altro poteva-te fare altrettanto, calunniandolo e minacciandolo? Astento mi trattengo dal cavarti gli occhi!” (in JOHN

HARVEY, I Plantageneti, Dall’Oglio 1965). Questo spie-ga la grande amicizia dimostrata in quell’incontro alBecket, malgrado le calunnie udite contro di lui.

16) Secondo alcuni autori in occasione del concilio diTours, S. Tommaso Becket, cercò di essere sollevato dalPapa dal suo incarico pastorale, poiché gli sembrava ancheche la sua elezione fosse avvenuta per ispirazione del re.Alessandro III rifiutò le dimissioni del Becket ma per pa-cificarne la coscienza delicata, volle sanare ogni irregola-rità dandogli nuovamente per mano ecclesiastica l’ufficiopastorale. Di questo fatto non ci sono documenti ma solotestimonianze orali. Cfr. BALAN op. cit., pag. 138.

SEGNALIAMO AI LETTORI ALCUNI DEI LIBRICHE ABBIAMO RICEVUTO IN REDAZIONE:

* R. P. NOEL BARBARA. “Analyse critiquedes actes du IIème Congrès Théologique de laFSPX-Janvier 1996” e “Souvenez-vous dansvos prières de M. l’abbé Delmasure”. Fortsdans la Foi, 16 rue des Oiseaux, F 37000 Tours.

Nel primo opuscolo, l’autore critica le tesidel II congresso teologico di Sì Sì No No. DonMurro si è limitato all’intervento dell’abbéMarcille, P. Barbara fa una breve panoramicadi tutti i discorsi di quel congresso. Il secondoopuscolo raccoglie alcuni documenti sul no-

Recensioni

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stro caro confratello deceduto a Cannes l’11settembre scorso: l’omelia pronunciata da donNitoglia ai suoi funerali, il comunicato delladiocesi, l’omaggio del comune di Théoule-sur-Mer, la lettera con la quale l’abbé Delmasurecomunicò la sua decisione di lasciare la par-rocchia per difendere la fede cattolica.

* R. P. GEORGES VINSON. “Que vais-jefaire de ma vie?” e “Dieu est-Il facultatif?”Maison St Joseph, F 38470 Serre-Nerpol.

Si tratta di due testi direttamente al servi-zio della pastorale: un volumetto di 22 paginesu uno dei problemi più importanti della vita:quello della vocazione, e un libro di apologe-tica (tema sempre d’attualità, oggi più chemai) ove Padre Vinson abborda un po’ tutti iproblemi in maniera volutamente popolare,senza le esigenze del teologo (ad es. per l’in-fallibilità, si potrebbe precisare che essa nonsi estende solo a ciò che è rivelato ma anche aciò che è connesso col rivelato, ecc.).

* HENRY COSTON (présente) “Antoine deRivarol et l’émigration” e “L’âge d’or des annéesnoires. Le cinéma, arme de guerre?” PublicationsH. C., B. P. 92-18, 75862 Paris Cedex 18. I libri diHenry Coston, uno dei padri nobili dell’anti-massonismo, non hanno bisogno di racco-mandazioni. La reedizione di un opuscolo del1795 attribuito a Rivarol fornisce a Costonl’occasione di descrivere le luci e le ombredell’ambiente degli emigrati sfuggiti allaRivoluzione massonica... tra i quali però nonmancavano i massoni. In L’âge d’or... Costoninizia la sua biografia e, nello stesso tempo,svela il ruolo della massoneria e dell’ebra-ismo (come pure dei loro avversari) nel ma-neggiare quell’arma di guerra che è il cinema.Come sempre nei libri di Coston trovereteuna miniera di documentate informazioni.

* EDOARDO SPAGNUOLO. La rivolta diMontefalcone. Ed. Nazione Napoletana (Via S.Maria a Cubito, 628 - 80145 Napoli). L. 15.000.

Si moltiplicano gli studi sulle Insorgenze,un po’ meno quelli contro il cosiddetto Ri-sorgimento. Il libro di Spagnuolo descrive unainsurrezione popolare durante la conquista delRegno delle Due Sicilie; il suo merito principa-le (assai raro nella nostra pubblicistica) è che sifonda su documentate ricerche d’archivio.

* ION MOTZA. Corrispondenza col Welt-Dienst (1934-1936). Ed. all’insegna del Veltro,Parma. L. 18.000. Il volumetto pubblica la cor-rispondenza della guardia di ferro romena IonMotza, caduta durante la guerra di Spagna, coitedeschi del “Servizio mondiale”. Interessantiaccenni alla figura di Mons. Benigni.

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* UMBERTO BARTOCCI. America: unarotta templare. Edizioni della Lisca, Milano,1995. L. 22.000. Abbiamo ricevuto molti libridi sapore esoterico, segnaliamo solo questosaggio di un professore universitario complot-tista che spazia dalle crociate alla Rivoluzioneamericana. La storia e le scienze sarebbero ilfrutto di un complotto giudaico-templare con-tro la Chiesa (complotto che l’autore sembravagamente approvare). Tra i complottatoriviene arruolato Cristoforo Colombo. Cosa cisarà di vero in tutto ciò? Anche il professoresembra dubitare, a volte, delle sue tesi fondatesu coincidenze “che non possono essere solodelle coincidenze”. Per i curiosi inguaribili.

* CLAUDE BARTHE. Trouvera-t-il encorela Foi sur la terre? Une crise de l’Eglise, histoi-re et questions. F. X. de Guibert, Paris, 1996.

Abbiamo letto il libro dell’abbé Barthe:merita una più ampia recensione critica checontiamo pubblicare sul prossimo numero.

* Segnaliamo infine, senza ancora averliletti, due libri sulla devozione alla Madonnadel Buon Consiglio. Si tratta di Madre delBuon Consiglio di Giovanni Scognamiglio (maattenzione: è un militante della T.F.P.), pressoL’Attesa, via Sacconi 4/B - 00196 Roma (su li-bera offerta), e di Storia e tradizione del san-tuario della Madonna del Buon Consiglio acura dei Padri Agostiniani di Genazzano(L. 15.000). Un ultimo consiglio (che è unbuon consiglio!): il libro La passione delSignore del Padre gesuita Luis de la Palma, darichiedere alle edizioni Ares di Milano.

Vita dell’Istituto

Ordinazione sacerdotale di don Geert Stuyver.È questo l’avvenimento più lieto, la grazia

più grande, per il nostro Istituto: l’ordinazione sa-cerdotale di don Stuyver, e quella al suddiacona-to di don Carlos Ercoli. Dopo il ritiro predicato aVerrua da don Nitoglia e don Ricossa, e dopoaver rinnovato il giuramento anti-modernista, gliordinandi sono partiti per il Belgio, ove il 3 no-vembre 1996 Mons. Mc Kenna o.p. ha conferitoloro la sacra ordinazione. Dobbiamo ringraziaredi cuore il Vescovo, che si è spostato dagli StatiUniti, ed il parroco di Steffeshausen, don PaulSchoonbroodt, che ci ha accolto nella sua bellissi-ma chiesa, costruita da lui dopo essere stato al-

Errata Corrige: su Sodalitium n. 44, pag. 59. Perordinare il libro di R. Garaudy, il n° di Tel. delleedizioni Graphos è il seguente: 010/2468071.

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lontanato, nel 1988, per la sua fedeltà alla Chiesacattolica, dalla chiesa parrocchiale. Don Scho-onbroodt è stato anche prete assistente del novel-lo sacerdote, e ha tenuto l’omelia. Don Geert eravisibilmente commosso durante tutta la cerimo-nia, resa più solenne dai canti della magnifica co-rale parrocchiale, e particolarmente alla fine,quando ha benedetto per la prima volta i suoi ge-nitori, i famigliari e i superiori. Il giorno dopo hacelebrato la prima messa letta a Steffeshausen, epoi si è fermato qualche giorno in Belgio, offren-do per la prima volta il divin sacrificio nella cap-pella che fu di suo zio, don Valery Stuyver, aZele. In seguito ha fatto ritorno a Verrua, ove staterminando gli studi teologici per essere abilitatoalle confessioni. Durante le vacanze di Natale èstato invitato dal parroco della sua famiglia, edha celebrato la santa messa, il 28 dicembre, sullostesso altare su cui suo zio celebrò a sua volta,tanti anni prima, la sua prima messa. Il parroco diErpe-Mere ha tenuto una bella omelia sul sacer-dozio davanti ai numerosi fedeli (ai quali donGeert ha preferito non fosse distribuita la santacomunione). Poiché l’ordinazione aveva avutoluogo in Belgio, don Geert ha voluto cantare lasua prima messa solenne a Torino, per i fedeliitaliani, presso i quali ha iniziato il suo ministerosacerdotale; prete assistente e predicatore è statodon Ricossa (19 gennaio 1997). Don Stuyver ènato a Gent il 14 maggio 1964 da Paul Stuyver eLeona Van Der Putte. Nel 1988 si è laureato ineconomia e dal 1988 al 1992 ha insegnato in unascuola secondaria. Nel 1992 è entrato in semina-rio a Verrua, guidato nella scelta da suo zio, donStuyver, e da Padre Barbara. Dal 6 aprile 1993 èmembro dell’Istituto Mater Boni Consilii.Terminati i suoi studi teologici in Italia, donStuyver dovrebbe tornare in Belgio per svolgerviil suo ministero sacerdotale, iniziando così l’apo-stolato del nostro Istituto in quel paese. Intanto,si è avvicinato al sacerdozio, con l’importantepasso del suddiaconato, il nostro seminarista ar-gentino Carlos Ercoli che, a Dio piacendo, sosti-

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tuirà don Stuyver in Italia quando questi rien-trerà in Belgio, prima di iniziare a sua volta l’apo-stolato dell’Istituto in Argentina.

Don Cazalas inizia il suo ministero in Francia.L’ordinazione di don Stuyver è stata anticipata persostituire don Thomas Cazalas, il quale ha lasciatol’Italia per iniziare, quale membro dell’Istituto, ilsuo apostolato in Francia. Dal mese di ottobre,quindi, don Cazalas risiede a Tours, 29 rued’Amboise, in un appartamento dell’AssociationForts dans la Foi adiacente alla cappella SaintMichel, e aiuta il R. P. Barbara nel suo ministero.Due domeniche al mese, don Cazalas si reca aRaveau oppure a Crezan per la celebrazione dellamessa. A Tours, don Thomas ha già dato la primacomunione a Mathilde Métivier (1 novembre),Richard Guillotin e Bertrand de l’Espinay (8 di-cembre), ha benedetto le nozze di Sylvain Charatcon Estelle Blanchet (17 gennaio) e battezzato ilpiccolo Augustin Thily (26 gennaio). PadreBarbara ha anche affidato a don Cazalas l’insegna-mento del catechismo, con le attività connesse (adesempio, un pellegrinaggio a Pontmain il 23 e 24febbraio). Riteniamo molto importante il fatto cheun sacerdote francese dell’Istituto sia stabilmentepresente in Francia, e ringraziamo Padre Barbaraper la fiducia che accorda ai nostri sacerdoti. Glialtri centri in Francia sono invece ancora raggiuntida Verrua: don Nitoglia e don Giugni proseguonoil lavoro del compianto abbé Delmasure a Cannes,mentre don Murro ha festeggiato, nel febbraio1997, i dieci anni della cappella di Annecy!

Seminario San Pietro Martire. Continuanogli studi dopo gli esami di febbraio; purtroppoJaime Siordia è rientrato in Messico, a disposizio-ne dei suoi superiori. Sotto la direzione di CarlosErcoli, i seminaristi hanno intensificato le attivitàdel catechismo, organizzando gite, giochi e persi-no creando, a Verrua, un campo da pallacane-stro, per mantenere anche durante l’anno scola-stico il buono spirito di fervore delle colonie esti-ve della Crociata eucaristica. Viene anche curatoil canto e la musica: i primi apprezzabili risultatialla messa di mezzanotte di Natale a Torino.

Spagna e Belgio. Don Nitoglia è tornato inSpagna a gennaio. Se gli amici di Arenas de Iguñasono stati, come sempre, accoglienti, non egual-mente si può dire di tutti a Barcellona, dove alcunisono stati impressionati dalle calunnie di chi non civuole bene. Pazienza! Don Ricossa ha sostituitodon Medina a Drogenbos (Bruxelles) ai primi dinovembre, ed ha celebrato (ma non predicato,ignorando totalmente il fiammingo) a Zele. Graziea tutti gli amici belgi per l’ospitalità.

Un depliant sull’Istituto Mater Boni Consiliiè a vostra disposizione. Lo abbiamo pubblicato invarie lingue: fiammingo, francese, inglese, italia-no, spagnolo e tedesco (per non offendere nessu-no seguiamo l’ordine alfabetico!). Esso è disponi-bile per tutti i fedeli e specialmente per sacerdoti,responsabili di gruppi o associazioni che volesse-ro far conoscere attorno a sé la nostra opera.

L’urna di S. Simonino portata in processione per le viedi Trento l’8 maggio 1955 (Foto Giorgio Rossi Trento)

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Conferenze. Don Nitoglia ha presentato illibro di E. Ratier, Misteri e segreti del B’nai B’ritha Milano (il 25 ottobre) e a Gavirate, in provinciadi Varese (il 19 novembre). Don Curzio tieneanche regolari corsi sulla dottrina sociale dellaChiesa e le encicliche dei Papi a Torino, e nume-rose conferenze a Roma. Sempre a Roma,nell’oratorio san Gregorio VII, conferenza di donRicossa sulla Tesi di Cassiciacum seguita da di-battito, il 5 gennaio.

Parlano di noi. Lecture et Tradition (B. P. 1,86190 Chiré-en-Montreuil, Francia) ha recensito illibro dell’abbé Cekada, Non si prega più come prima.Le preghiere della nuova messa. I problemi che pon-gono ai cattolici, edito da Sodalitium (n. 233-234, p.56). Civitas Christiana di Verona (n. 5-6, ottobre 96-gennaio 1997, p. 92) pubblica un’ampia recensionedel libro di Ratier, Misteri e segreti del B’nai B’rith. Ilnumero speciale de Il silenzio di Sparta (suppl. al n.6, dicembre 1996, pp. 8-10) dedicato al temaMassoneria e dintorni pubblica un articolo-recensio-ne (Genealogia del B’nai B’rith) di Maurizio Blondetal libro di Ratier. Secondo Blondet, però, il docu-mento conciliare Nostra ætate non avrebbe mutato ladottrina della Chiesa sull’ebraismo, malgrado le van-terie al riguardo del B’nai B’rith. Ancora una voltaGiovanni Paolo II ha degli avvocati d’ufficio che glifanno dire il contrario di quello che egli pensa (adesempio, chiamando gli ebrei “fratelli maggiori” vor-rebbe paragonarli a Esaù! Questo è il “magistero” diBlondet, non certo quello di Giovanni Paolo II...).Purtroppo certe verità non possono essere ammesseneppure da scrittori che non esitano, in altri campi, aprendere posizioni scomode e pericolose. Faits &Documents, la lettera d’informazioni confidenziali diEmmanuel Ratier (n. 17, 1-15 dic. 1996, p. 11) ha re-censito l’ultimo numero di Sodalitium francese e an-nuncia che Sodalitium tradurrà in italiano l’altrolibro di Ratier, Les guerriers d’Israël. NazioneNapoletana (n. 1, febbraio 1997, p. 4) ha pubblicatol’indirizzo (ed il numero di telefono sbagliato) delnostro oratorio san Gregorio VII a Roma (grazie lostesso!). Linea invece (gennaio 1997, p. 11) segnalal’oratorio di Roma col numero di telefono giusto

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(però è pubblicità a pagamento!). Segnala Soda-litium la rivista Continuità di Livorno (anno 1, n. 6, p.3). Il Giornale dell’Arte (n. 150, dic. 96, p. 8) pubblicauna intervista al pittore Mazzonis sul quadro intitola-to La Chiesa cattolica che si trova nel nostro oratoriodi Torino (Cf Sodalitium, n. 44, p. 78 e copertina).Chiesa viva (n. 280, gen. 1997, pp. 12-15) di Bresciariprende da Sodalitium la recensione al libro diGaraudy fatta da don Nitoglia. Elio D’Aurora accen-na al nostro direttore parlando della “messa di sanPio V” sulla Rivista Lasalliana (n. 3, 1996, p. 198).Sodalitium era presente alla mostra libraria L’Altralibreria, organizzata dal Circolo culturale G. B. Vicodi Alessandria dal 4 al 6 ottobre 1996 (p. 14 del cata-logo). Nuova continuità ideale ricorda la messa alcampo celebrata da don Ricossa a Monte Manfrei(n. 7-8 del 1996, p. 2). La Repubblica Salute del 13marzo pubblica molte lettere contro l’obbligo di“staccare la spina” nel caso dei “malati terminali”,tra le quali una del nostro direttore. Gli articoli diSodalitium riescono a influenzare anche gli ambientipiù ostili; è con vero piacere, ad esempio, che consta-tiamo come gli articoli su Giovanni XXIII sono statisostanzialmente ripresi dal dott. Carlo AlbertoAgnoli in un suo libro e nella sua conferenza al 2°convegno teologico di Sì sì no no del 2-5 gennaio1996 (Cf Tradizione Cattolica, n. 2, 1996, p. 35),anche se non è stato ritenuto opportuno citare lafonte. Poco importa il nome che le diffonde, purchéle buone idee siano diffuse...

Parlano male di noi... la rivista di sinistraAvvenimenti (15/1/97, pp. 10-11), citando obiterdictus il nostro bollettino in un pittoresco articolostile anni ‘70 sulla “internazionale nera” (Metti unsolstizio a messa coi nazi...); la rivista ebraicaDispatch from Jerusalem (organo del movimentoBridges for Peace) in un vecchio numero del mag-gio-giugno 1994 (per la quale saremmo antisemi-ti)... il Bulletin de l’Occident Chrétien (n. 34, feb-braio 1997, p. 1), per il quale invece saremmoebrei... e, dulcis in fundo, la Fraternità San Pio X.L’abbé Simoulin, ex-direttore di Ecône e attuale“priore” di Lione attacca direttamente uno scrittodi Padre Vinson, in un articolo intitolato Mate-rialiter/Formaliter. Per darvi una idea dell’obietti-vità con la quale riassume la tesi di Mons. Guérard,l’abbé Simoulin scrive che, secondo questa posizio-ne “abbiamo un papa che non è papa”! Per chi lodesidera, possiamo inviare il testo di una nostrabreve risposta all’articolo dell’abbé Simoulin.Almeno, bisogna dar atto all’abbé Simoulin di avertentato di dare una risposta alla Tesi (seppur cari-caturandola) senza attaccare le persone che la so-stengono. Non è quanto ha fatto l’abbé Lorber,“priore” di Bruxelles (e questo ci dispiace partico-larmente a causa della nostra antica amicizia). Sulbollettino della Fraternità in Belgio, Pour qu’Ilrègne (Febbraio-marzo 1997) è stata pubblicatauna “diffida” contro Padre Vinson e contro i sacer-doti redattori di Sodalitium. Ma nel metter in guar-dia i suoi lettori, l’abbé Lorber non ha minimamen-te risposto ai nostri argomenti, limitandosi a coprir-

L’ordinazione sacerdotale di don Stuyver aSteffeshausen in Belgio

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ci di fango e di insulti a livello personale. Una ri-sposta più dettagliata alla “diffida” dell’abbéLorber (che inviamo ai lettori belgi), può essere ri-chiesta da chi lo desidera al nostro indirizzo. Daparte nostra, ribadiamo che la nostra polemica conla Fraternità San Pio X non è una questione di per-sone (molte delle quali stimabilissime) ma di dot-trina, e che non desideriamo altro che l’unione deicuori nella fruizione della medesima Verità.

Manifestazione a Trento per San Simonino. Il10 novembre 1996, dei militanti di SodalizioCattolico di Ferrara, Ravenna, Brescia e Milano,accompagnati dal nostro don Francesco Ricossa,hanno distribuito a Trento, davanti alla Cattedrale,alla chiesa di san Pietro e per le strade della città,migliaia di volantini sul caso di San Simonino daTrento, l’innocente fanciullo martirizzato il 23marzo 1475 nel corso di un omicidio rituale. Unostriscione recante la scritta “Ridateci sanSimonino” era visibile per tutti davanti alla Cat-tedrale. Assieme al volantino, è stata organizzatauna raccolta di firme, mirante a ottenere una revi-sione del decreto vescovile del 28 ottobre 1965 (lostesso giorno della promulgazione del decreto con-ciliare Nostra ætate), con il quale Mons. Gottardisopprimeva il culto liturgico di san Simonino, co-patrono di Trento, per riguardi ecumenici versol’ebraismo. La manifestazione di fede e di devozio-ne verso san Simonino, che si è chiusa con la santamessa, ha avuto uno straordinario successo, susci-tando tanta simpatia tra i cattolici trentini che nonhanno dimenticato il loro patrono, e riportandoall’onor del giorno il martire occultato (anche fisi-camente, poiché il suo corpo è stato sepolto inluogo ignoto) al quale sono state dedicate le ome-lie domenicali in Cattedrale, ed un servizio televisi-vo di RAI 3. Il giorno seguente, quasi tutti i princi-pali quotidiani davano ampio spazio alla notizia:da quelli di Trento (L’Adige e L’Alto Adige) aquelli nazionali: Corriere della Sera, Resto delCarlino, L’Unità, ecc. Il Giornale concludeva così ilsuo articolo: “I fedelissimi del piccolo martirehanno inoltre scritto una lettera accorata alla com-missione liturgica della curia arcivescovile diTrento: ‘Ci sembra che l’autorità della Chiesa si sia

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sufficientemente pronunciata e che l’abrogazioneufficiale del culto dichiarata da Mons. Gottardi siada considerarsi nulla e di nessun effetto. Fiduciosinell’intercessione di san Simonino, per l’onore delquale le rivolgiamo [si tratta di Mons. IginoRogger, n.d.a.] questa domanda, la salutiamo cor-dialmente, in attesa di poter nuovamente pregaredavanti al corpo di questo piccolo santo’. Dall’altodella sua nuvoletta Simonino ringrazia di cuore. Epromette miracoli”. La prima reazione ufficiale èquella - a dir poco scomposta - di don SilvioFranch: “Gargarismi antiebraici”, “sono dei ko-meinisti moderni con interessi antiebraici, dunquepericolosi”, “l’antisemitismo è la vergogna di noicristiani: con gli ebrei abbiamo fortemente pecca-to”, “falsi cristiani, gente che ha questo livore den-tro...”, “questa gente sta seduta sul grande sofàdella loro religione, dove fanno i loro sporchi biso-gni di borghesucci dello spirito”, “fanatici e pazzi”,“non vadano a cercare il corpicino di quel bimbo,ma vadano in gita a Auschwitz” (11 novembre).Più moderato (ma è facile esserlo a paragone didon Franch) Mons. Rogger della commissione li-turgica, che il 12 novembre ribadisce la soppressio-ne del culto e l’occultamento delle reliquie. Il 13novembre i giornali hanno pubblicato le risposte ele precisazioni del Sodalizio Cattolico (che ribadi-sce il proprio rifiuto dell’antisemitismo e la propriaestraneità al movimento di Mons. Lefebvre), men-tre il 15 anche Avvenire parla della faccenda. Nelfrattempo, la radio diocesana di Trento compivaun passo da noi molto apprezzato: il 14 prendevacontatto per telefono con don Ricossa e mandavain onda una sua intervista. Dobbiamo dire che laradio della Curia ha presentato obbiettivamente ilcaso storico di san Simonino e ha dato piena li-bertà al nostro direttore di esporre a lungo la pro-

Don Geert Stuyver mentre celebra un messa nella chiesadi Erpe-Mère in Fiandra

Il Martirio di S. Simonino di Trento(scultura in legno del XV secolo)

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pria posizione. In seguito si è svolto un interessan-te dibattito tra don Ricossa e don Franch, duranteil quale quest’ultimo, trovandosi nell’impossibilitàdi rispondere, è tornato alla tattica degli insulti, percui il giorno dopo i giornali titolavano: “Lite frapreti sul culto del Simonino”. Su nostra richiesta laRadio diocesana aveva promesso di inviarci la re-gistrazione della trasmissione e, in seguito a nostrosollecito, ha affermato di averla già inviata perposta, ma a distanza di quattro mesi non si è vistonulla... Preoccupata da questa relativa benevolen-za, la (sparuta) comunità ebraica ha ritenuto benedi muoversi in prima persona: il 19 novembre ildott. Sergio Marini, di religione ebraica, è stato ri-cevuto da Mons. Sartori, vescovo materialiter diTrento, su richiesta di don Franch, “responsabiledella pastorale diocesana per il dialogo interreli-gioso e l’ecumenismo”. Mons. Sartori ha avallatole incredibili dichiarazioni di don Franch (“donSilvio ha già manifestato pubblicamente la sensibi-lità e l’orrore della Chiesa per certe iniziative”) e,gentilmente, ci ha dato del pazzo (“È gente che haperso la testa”). Ma ciò non è bastato al dott.Marini, “che ha chiesto un atto ufficiale dellaChiesa”. Detto fatto. Mons. Sartori fa pubblicareuna sua dichiarazione sulla vicenda da L’Adige (23novembre: “Piena solidarietà per i fratelli ebrei”).Mons. Sartori ribadisce “la necessità che la comu-nità diocesana perseveri nel cammino dell’ecume-nismo e del dialogo interreligioso secondo le diret-tive della dichiarazione conciliare Nostra ætate e gliorientamenti del sinodo diocesano del 1986”.Secondo Sartori, valgono come norme direttivequelle del Segretariato per l’unità dei cristiani ri-guardanti i rapporti con gli ebrei del 1 dicembre1974 e del 24 giugno 1985, per cui egli condannacome “un falso culto” il culto di san Simonino, ap-provato dalla Chiesa, e dichiara che gli ebrei con-servano la loro “insopprimibile dignità di popoloeletto”. Sodalizio Cattolico ha risposto a Mons.Sartori col seguente comunicato del 27 novembre:

«Comunicato alla StampaRiguardante l’articolo di Mons. Giovanni MariaSartori pubblicato su L’Adige del 23/11/1996.

Sodalizio Cattolico, venuto a conoscenzadell’articolo di Mons. Sartori (titolo redazionale: Ilvescovo di Trento: “Piena solidarietà per i fratelliebrei”) che, benché non diretto al Sodalizio o aicattolici trentini firmatari della petizione in favoredella restaurazione del culto di San SimoninoMartire, lo coinvolge direttamente, conscio delproprio dovere (e diritto) di rispondere a un docu-mento così grave e importante,

Ribadisce la propria ferma condanna dell’anti-semitismo, nei termini utilizzati dal magistero dellaChiesa (cf Decreto del S. Uffizio del 25 marzo1928), ma nel contempo

Chiede pubblicamente a Mons. Sartori:1) Se egli accetti come documento del mede-

simo magistero la Bolla Beatus Andreas di PapaBenedetto XIV e, in caso affermativo, come eglipossa qualificare di “falso culto” quello prestatodalla Chiesa cattolica a san Simonino.

2) Se egli accetti come documenti del mede-simo magistero della Chiesa l’atto di consacrazio-ne al Sacro Cuore di Gesù nel quale Papa Pio XIricorda la verità rivelata (cf, ad esempio: Mt 21,41; Rom. 9, 25-26; 1 Tes. 2, 15-16) secondo laquale gli ebrei sono “i figli di quel popolo che ungiorno fu il prediletto (quæ tamdiu populus electusfuit)”, ed il succitato decreto del S. Uffizio del 25marzo 1928 che qualifica il popolo ebraico di po-polo che “fu depositario delle promesse divinefino a Gesù Cristo” e di popolo “un tempo elettoda Dio (populum olim a Deo electum)” e, in casoaffermativo, come possa egli parlare della “loro in-sopprimibile dignità di Popolo eletto”.

3) Se egli creda che “alcuni riferimenti ostili opoco favorevoli agli ebrei” che si trovano neiVangeli riportino esattamente le parole ed i fatti diGesù, oppure se essi “riflettono le condizioni deirapporti tra ebrei e cristiani che cronologicamentesono molto posteriori a Gesù”, come sostiene lanota del Segretariato per l’unione dei cristiani,“Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella cate-chesi della Chiesa cattolica” (24 giugno 1985),mettendo implicitamente in dubbio che Gesùabbia mai pronunciato quelle parole che gli attri-buiscono i Vangeli, forse a causa di affermazionicome quelle del rabbino Henry Siegman secondoil quale “i Vangeli restano una fonte importante diantisemitismo” (Dieci anni di relazioni giudeo-cri-stiane, Gerusalemme, 1-3 marzo 1976). PurtroppoMons. Sartori sembra aver già risposto presentan-do questa “nota” del 1985 come un “punto fermodi riferimento” per la Chiesa di Trento affinché “tuttine vivano fedelmente lo spirito”.

Il Sodalizio Cattolico, sicuro del fatto che laChiesa non può contraddirsi, si sente pertantoautorizzato, fino a che Mons. Sartori non dichia-rerà, fugando ogni dubbio, di accettare il magiste-ro della Chiesa anche nei documenti citati inquesto».

Ultima processione in onore di S. Simonino a Trento l’8maggio 1955, in presenza del vescovo. Per Mons. Sartorisi tratta di un falso culto! (Foto Giorgio Rossi, Trento)

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Nel frattempo, il 24 novembre, la trasmissionetelevisiva di cultura ebraica Sorgente di vita, dedi-cava la sua puntata al caso di Trento, ricollegando-lo, grazie alle informazioni di un caro confratello,con l’altro caso che coinvolse l’Istituto qualcheanno fa (Cf Sodalitium, n. 37 pp. 52-56). Infine, ci-tiamo gli interventi del mensile della comunitàebraica romana Shalom, del novembre e dicembre1996 (nn. 10 e 11), nei quali si parla di una parteci-pazione (inesistente) di cattolici veronesi alla ma-nifestazione del 10 novembre, forse (pensiero ma-lizioso) per permettere un intervento dello zelantedott. Papalia di Verona (zelante nell’applicare lalegge “Mancino”, s’intende). Quando a dicembreci fu la deprecabile profanazione del cimiteroebraico di Roma (furono spostate alcune lapidiprovvisorie e lasciate per terra delle svastiche),Tullia Zevi, rappresentante delle Comunità ebrai-che italiane dichiarò: “il raid nazista è frutto delpregiudizio cattolico”, prova ne sia “che questifatti avvenivano, come questa volta, a ridossodelle grandi feste cristiane”. “Ci vorranno genera-zioni perché [il Vaticano II] sia assimilato” ha ag-giunto la Zevi, parlando di un “antisemitismo cri-stiano” (il “più antico”, distinto da quello “scienti-fico” di Chamberlain e da quello “antisionista” le-gato alla questione palestinese). “Nell’ultimo epi-sodio sembra di riconoscere tracce dell’antico anti-semitismo cristiano come nel risorgere a Trentodel culto di san Simonino” (Il Resto del Carlino, 31dic. 1996). In realtà, più che la manifestazione diTrento, deve aver dato fastidio la messa perPriebke, celebrata dal professore salesiano donComposta; sempre segno, comunque, di una nontotale assimilazione del Vaticano II.

Sodalitium e Sodalizio cattolico. Sempre suShalom viene scritto: “L’associazione [SodalizioCattolico] afferma di non avere nulla a che fare conla corrente fondata da Mons. Lefebvre. Tuttavianon si può non notare come Sodalizio Cattolicoospiti sul proprio sito [internet] le paginedell’Istituto Mater Boni Consilii, di cui si presuppo-ne condivida le finalità. L’Istituto infatti ha lo stes-so indirizzo e numero telefonico di Sodalitium, pre-sumibilmente organo di stampa di SodalizioCattolico” (n. 11, dic. 1997, p. 7). L’errore è com-prensibile a causa della somiglianza dei nomi (chesarebbe auspicabile mutare proprio per evitare taleconfusione), ma già nel n. 44, p. 77, di Sodalitiumavevamo chiaramente scritto, a proposito del-l’Istituto (il cui bollettino è Sodalitium) e delSodalizio Cattolico, “che si tratta di due realtà asso-lutamente distinte e indipendenti l’una dall’altra”.Questo tanto più che proprio nel dicembre 1996, ilvicepresidente di Sodalizio cattolico è uscito daquesta associazione per fondare il Sodalizio cattoli-co italiano (al quale appartiene il sito internet inquestione), mentre il Sodalizio Cattolico ha mutatonome in quello di Regnum Christi. L’Istituto MaterBoni Consilii, che ha finalità esclusivamente reli-giose, è una realtà assolutamente distinta sia daRegnum Christi che da Sodalizio cattolico italiano,

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e assicura l’assistenza spirituale di alcuni compo-nenti di queste associazioni solo in quanto personeprivate. Con questo non vogliamo affatto causareun danno alle predette associazioni, con le qualicontinueremo a collaborare in azioni di comune in-teresse, ma solo disgiungere chiaramente i fini e leresponsabilità, come di dovere per un Istituto reli-gioso aperto a tutti i fedeli e i gruppi, e che non siidentifica con nessuno di essi.

Battesimi, matrimoni, defunti. Abbiamo giàparlato dei sacramenti amministrati a Tours dadon Cazalas: aggiungiamo qui quanto riguarda isuoi confratelli. Il 10 marzo 1997 a Luynes, inProvenza, è stato battezzato, da don Giugni,Olivier Gastin. Il 12 ottobre 1996, nella chiesa di S.Maria Maddalena di Pollier Pittet (Vaud, Sviz-zera), don Murro ha benedetto le nozze diAlexandre Waizenegger e di Carole FrançoiseRatton. Sodalitium rivolge i suoi più sentiti augurialle famiglie Gastin e Waizenegger.

Il 24 gennaio è mancata a Genova LucianaDella Casa, vedova Giugni. Era la nonna del no-stro don Ugolino, il quale ne ha celebrato i funeralia Verrua il 28 gennaio, e l’ha accompagnata alla se-poltura al cimitero monumentale di Torino. La si-gnora Giugni aveva fatto con profitto gli esercizispirituali di Sant’Ignazio e, nei lunghi anni dellasua ultima malattia, riceveva spesso i santi sacra-menti da don Murro e da suo nipote, che ha avutoancora la ventura di amministrarle l’estrema unzio-ne e il viatico il 20 gennaio. Alla famiglia Giugni lepiù sentite condoglianze di tutto l’Istituto.

Due fedeli sono mancati in Francia: Jean deVarax, il 3 febbraio a Lione, e M.me Coreyer aCannes, il 12 febbraio. È alla famiglia de Varaxche dobbiamo la decisione di celebrare la messaanche a Lione, per cui siamo particolarmente vici-ni a Madame de Varax in questo momento dolo-roso, come pure ricordiamo lo zelo di MadameCoreyer per il culto divino in quanto organistadella cappella N. D. des Victoires a Cannes; li ri-cordiamo entrambi nelle nostre preghiere. Pre-sentiamo poi le nostre condoglianze al Co-mandante Rouchette per la perdita della moglieGermaine (il 14 marzo), alla signora de Gantes,per la morte della madre Thérèse de Gerin-Ricard(l’11 gennaio) e alla comunità di Clos-Nazareth diCrézan, per la scomparsa, dopo lunghe sofferenzesopportate con spirito religioso, di suor Mariadella Natività (il 17 gennaio). A tutti questi fedeli,e a tutti i fedeli cristiani defunti conceda il Signoreil perdono dei propri peccati e la vita eterna.

SODALITIUM SU INTERNET:A partire dalla fine del mese di aprileSodalitium avrà un sito Internet al seguen-te indirizzo: www.plion.it/sodali

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SS. MESSE

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- Non si fanno abbonamenti a “Sodalitium”. Il nostro periodico viene inviato gratuitamente atutti coloro che desiderano riceverlo.- Preghiamo tutti coloro che, per qualsiasi motivo, non desiderano ricevere “Sodalitium” di comu-nicarlo gentilmente alla nostra redazione.- Il nostro Istituto Mater Boni Consilii ed il suo periodico “Sodalitium” non hanno altri introitiche le vostre offerte senza le quali non possono vivere.

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“Sodalitium” PeriodicoLoc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) presso CPM TORINO NORD

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ITALIA

Verrua Savoia (TO): Istituto Mater BoniConsilii - Località Carbignano, 36. Tel. (0161)83.93.35. Nei giorni feriali, S. Messa alle ore7,30. Tutte le domeniche S. Messa ore 18,00.Benedizione Eucaristica tutti i venerdì alleore 21. Il primo venerdì del mese, ora santaalle ore 21.

Torino: Oratorio del S. Cuore, Via Thesauro3 D. S. Messa il primo venerdì del mese etutti i giovedì, alle ore 18,15 e confessionidalle ore 17,30. Tutte le domeniche, confes-sioni dalle ore 8,30, S. Messa cantata alle ore9,00; S. Messa letta alle ore 11,15. Catechismoil sabato pomeriggio.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21- Tel.(0341) 58.04.86. SS. Messe la lª e la 3ª dome-nica del mese alle ore 10, e confessioni dalleore 9,30.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada perFogliano - Tel. (0536) 94.12.52. S. Messa tuttele domeniche alle ore 11. La 3ª domenica delmese S. Messa alle ore 9.

Bologna: S. Messa la 3ª domenica del mese, alleore 11,30. Per informazioni rivolgersi aVerrua Savoia.

Ferrara: S. Messa la 1ª, la 2ª, e la 4ª domenicadel mese. Per informazioni rivolgersi aVerrua Savoia.

Firenze: Via Ciuto Brandini, 30, presso laProf.ssa Liliana Balotta. SS. Messe la lª e la 3ªdomenica del mese alle ore 18,15 e confessionidalle ore 17,30.

Roma: Oratorio S. Gregorio VII. Via Pietrodella Valle 13/b. S. Messa la 1ª e la 3ª dome-nica del mese, alle ore 11.

FRANCIA

Annecy: 11, avenue de la Mavéria. SS. Messe la2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 10 econfessioni dalle ore 9,00. Tel. dall’Italia:0033 4.50.57.88.25.

Lione: (2ème) 36, rue Comte. S. Messa la 2ª e la4ª domenica del mese alle ore 17, e confessionidalle ore 16,30. Tel. dall’Italia: 00334.78.42.14.79.

Cannes: N.D. des Victoires, 4, rue Fellegara. S.Messa la 2ª e 4ª domenica del mese alle ore10,15.

Tours: 29 rue d’Amboise. S. Messa tutte le do-meniche alle ore 10,30.

SPAGNA

Arenas de Iguña: 39450 Carrettera general,n. 90, presso le signore Maria e Pilar Alejos.Per informazioni: Tel. dall’Italia (0034)(942).82.66.57.

Tassa Riscossa - Taxe Perçue. TORINO CPM