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Lettera Orvietana Sommario Quadrimestrale d’informazione culturale dell’Istituto Storico Artistico Orvietano Anno XIII N. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012 La chiesa di S. Biagio pag. 4 Gozzio da Orvieto a Kutná Hora pag. 9 Il Maestro della pittura ermeneutica pag. 10 Un progetto di promozione territoriale on line della Fondazione Cassa di Risparmio: www.inorviewto.it pag. 13 Quando le chiese erano anche cimiteri pag. 15 La produzione artistica di Annibale Angelini in Umbria e a Roma pag. 21 Il nuovo vescovo: mons. Benedetto Tuzia pag. 31 Orvieto e Bolsena: anno giubilare straordinario pag. 31 L a concessione di un Giubileo straordinario rappresenta per la città ed il territorio un’occasione privilegiata di riflessione. È un evento che potrebbe risultare decisivo per le sorti traballanti della Rupe, spesso travagliata da litigiosità insensate, chiu- sa in superficialismi compiaciuti, tronfia di pochezze manifeste, intrisa di personalismi decisionali. Anche nel ricordo di quanto avvenuto per il 750mo della fondazione della Cattedrale, nel ’90, potrebbero con fondatezza prefigurarsi scenari di inconcludenza. Tante commissioni, chiacchiericci d’un paesone intorpidito ed incontri sui massimi sistemi, poi poco o nulla raggiunto nella concretezza. Il rischio che il Giubileo passi inosservato, nella migliore tradizione dell’orvietanità deteriore resta motivo di cocente perplessità. Come più volte rimarcato, quel tanto di splendido che questo centro umbro detiene, rimane patrimonio spesso non divulga- to e valorizzato. Poiché il tempo passa inesorabile e gli appuntamenti si avvicinano anch’essi con inesorabile rapidità, sarebbe poi così tanto ardimentoso per poveri rupestri abitanti “buttar là” grossolane bozze progettuali? Non v’è dubbio che i con- fronti servono e nel momento in cui si dovessero trovar obiettivi condivisi non mancheranno superesperti di settore che tra- durranno i sogni in roboanti piani esecutivi. Nelle nostre certezze, chi di dovere da tempo avrà pensato a: - incontri programmatici con le Amministrazioni delle località una volta riferite al libero Comune medievale magari per una partecipazione al Corteo Storico, per la realizzazione di una rievocazione storica, per l’avvio di rapporti economico-com- merciali e culturali, con tanto di mostra riguardo alle attività peculiari ed ai prodotti locali; - rapporti con i centri di Lanciano, Trani, Ferrara, Alatri, Firenze, Bolsena, Bagno di Romagna, Torino, Asti, Morrovalle, Veroli, Napoli, San Mauro La Bruca, Bois-Seigneur-Isaac, Blanot, Faverney, Santarém, O Cebreiro ed altre per megaconve- gno su tematiche specifiche, per possibili scambi culturali ed incremento di interessi turistici; - incontri sul dialogo ecumenico, finalizzate ad un evento fisso annuale che porti ad Orvieto rappresentanti delle diverse reli- gioni, rimembrando il vecchio e non più utilizzato motto “città della pace”; - relazioni tra Orvieto, Bolsena e Praga; - riapertura della Chiesa di S. Francesco (sede del Convegno eucaristico ottocentesco), magari per mostra permanente sul Corteo storico cittadino; - rassegna pittorico-scultorea sul Giubileo straordinario 2013-2014, con premiazione (alcune opere rimarrebbero patrimonio della città, organizzatrice dell’evento); - concerti di musica sacra; - annullo commemorativo e chi più ne ha più ne metta… Quel che importa è che le manifestazioni giubilari siano motivo di impegno, solidarietà e conversione, rinnovamento religio- so e politico, turistico ed organizzativo per la Rupe. Ne vedremo delle belle! fmdc Il Giubileo ta “Pala di Paciano” conservata nei depositi della Galleria Nazionale del- l’Umbria. Dal Museo è possibile accedere per la prima volta dopo il restauro alla Libreria Albèri: un suggestivo ambiente rinascimentale decorato negli anni del cantiere signorelliano con soggetti profani ispirati al lin- guaggio artistico del maestro. Fu edificata nel 1499 tra la cattedrale e il nucleo più antico dei Palazzi Papa- li, per accogliere la biblioteca del vescovo Antonio Albèri (1423 ca - 1505), già arcidiacono del duomo nonché precettore del futuro papa Pio III Piccolomini. Il ciclo di affre- schi che ne orna le pareti è dedicato ai più famosi autori delle discipline un tempo presenti nelle sezioni della biblioteca. Questo spazio d’eccezione accoglie alcuni incunaboli appartenenti alla collezione di Albèri e oggi conservati presso la Biblioteca Comunale di Orvieto; e inoltre registri originali dell’Archivio di Stato e dell’Archivio dell’Opera del Duomo che docu- mentano gli incarichi e l’attività orvietana di Signorelli. Viene qui esposto anche il problematico mat- tone dipinto con i ritratti di Luca Signorelli e Niccolò Franchi, camer- lengo della Fabbrica, ritenuto opera autografa dello stesso Signorelli. Nella chiesa dei Santi Apostoli, I l 21 aprile 2012 si è aperta al pub- blico la grande mostra dedicata a Luca Signorelli (Cortona 1450 ca - 1523), uno dei più importanti mae- stri del Rinascimento, dopo quasi sessant’anni dalla storica esposizione toscana del 1953. La mostra presenta oltre 100 opere che testimoniano la carriera artistica di Signorelli e si articola in tre sedi espositive: Orvieto, Perugia e Città di Castello. A Orvieto si trova il vero capolavoro di Luca Signorelli: il grandioso ciclo del Giudizio Universale affrescato all’interno della Cappella Nova o di San Brizio in cattedrale (1499- 1504), culmine della pittura rinasci- mentale, con le famosissime immagi- ni del Finimondo, dell’Inferno e del Paradiso. La decorazione, avviata nel 1447 da Beato Angelico, fu portata avanti e compiuta da Signorelli che ne fece vertice sommo del nuovo stile, impareggiabile se non dai grandi maestri, come Michelangelo che ne trasse ispirazione e insegnamento per il Giudizio della Cappella Sistina. Nel Museo dell’Opera del Duomo MODO si conserva la tavola raffigu- rante Santa Maria Maddalena, per l’occasione collocata in uno spazio dedicato all’artista cortonese dove è allestito, e aperto al pubblico, anche il cantiere di restauro della cosiddet- Perugia, Orvieto, Città di Castello 21 aprile - 26 agosto 2012 Luca Signorelli “de ingegno et spirto pelegrino” Duomo, Cappella Nova o di San Brizio, Luca Signorelli, Vela degli Apostoli (g.c. Opera del Duomo di Orvieto) continua a p.2

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Lettera Orvietana

Sommario

Quadrimestrale d’informazione culturaledell’Istituto Storico Artistico OrvietanoAnno XIII N. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

La chiesa di S. Biagio pag. 4

Gozzio da Orvieto a Kutná Hora pag. 9

Il Maestro della pittura ermeneutica pag. 10

Un progetto di promozione territoriale

on line della Fondazione

Cassa di Risparmio: www.inorviewto.it pag. 13

Quando le chiese erano anche cimiteri pag. 15

La produzione artistica di Annibale Angelini

in Umbria e a Roma pag. 21

Il nuovo vescovo: mons. Benedetto Tuzia pag. 31

Orvieto e Bolsena: anno giubilare straordinario pag. 31

La concessione di un Giubileo straordinario rappresenta per la città ed il territorio un’occasione privilegiata di riflessione. Èun evento che potrebbe risultare decisivo per le sorti traballanti della Rupe, spesso travagliata da litigiosità insensate, chiu-

sa in superficialismi compiaciuti, tronfia di pochezze manifeste, intrisa di personalismi decisionali. Anche nel ricordo diquanto avvenuto per il 750mo della fondazione della Cattedrale, nel ’90, potrebbero con fondatezza prefigurarsi scenari diinconcludenza. Tante commissioni, chiacchiericci d’un paesone intorpidito ed incontri sui massimi sistemi, poi poco o nullaraggiunto nella concretezza. Il rischio che il Giubileo passi inosservato, nella migliore tradizione dell’orvietanità deteriore restamotivo di cocente perplessità.Come più volte rimarcato, quel tanto di splendido che questo centro umbro detiene, rimane patrimonio spesso non divulga-to e valorizzato. Poiché il tempo passa inesorabile e gli appuntamenti si avvicinano anch’essi con inesorabile rapidità, sarebbepoi così tanto ardimentoso per poveri rupestri abitanti “buttar là” grossolane bozze progettuali? Non v’è dubbio che i con-fronti servono e nel momento in cui si dovessero trovar obiettivi condivisi non mancheranno superesperti di settore che tra-durranno i sogni in roboanti piani esecutivi.Nelle nostre certezze, chi di dovere da tempo avrà pensato a:- incontri programmatici con le Amministrazioni delle località una volta riferite al libero Comune medievale magari per una

partecipazione al Corteo Storico, per la realizzazione di una rievocazione storica, per l’avvio di rapporti economico-com-merciali e culturali, con tanto di mostra riguardo alle attività peculiari ed ai prodotti locali;

- rapporti con i centri di Lanciano, Trani, Ferrara, Alatri, Firenze, Bolsena, Bagno di Romagna, Torino, Asti, Morrovalle,Veroli, Napoli, San Mauro La Bruca, Bois-Seigneur-Isaac, Blanot, Faverney, Santarém, O Cebreiro ed altre per megaconve-gno su tematiche specifiche, per possibili scambi culturali ed incremento di interessi turistici;

- incontri sul dialogo ecumenico, finalizzate ad un evento fisso annuale che porti ad Orvieto rappresentanti delle diverse reli-gioni, rimembrando il vecchio e non più utilizzato motto “città della pace”;

- relazioni tra Orvieto, Bolsena e Praga;- riapertura della Chiesa di S. Francesco (sede del Convegno eucaristico ottocentesco), magari per mostra permanente sul

Corteo storico cittadino;- rassegna pittorico-scultorea sul Giubileo straordinario 2013-2014, con premiazione (alcune opere rimarrebbero patrimonio

della città, organizzatrice dell’evento); - concerti di musica sacra;- annullo commemorativo e chi più ne ha più ne metta…Quel che importa è che le manifestazioni giubilari siano motivo di impegno, solidarietà e conversione, rinnovamento religio-so e politico, turistico ed organizzativo per la Rupe. Ne vedremo delle belle!

fmdc

Il Giubileo

ta “Pala di Paciano” conservata neidepositi della Galleria Nazionale del-l’Umbria.Dal Museo è possibile accedere perla prima volta dopo il restauro allaLibreria Albèri: un suggestivoambiente rinascimentale decoratonegli anni del cantiere signorellianocon soggetti profani ispirati al lin-guaggio artistico del maestro. Fuedificata nel 1499 tra la cattedrale eil nucleo più antico dei Palazzi Papa-li, per accogliere la biblioteca delvescovo Antonio Albèri (1423 ca -1505), già arcidiacono del duomononché precettore del futuro papaPio III Piccolomini. Il ciclo di affre-schi che ne orna le pareti è dedicatoai più famosi autori delle disciplineun tempo presenti nelle sezioni dellabiblioteca. Questo spazio d’eccezione accogliealcuni incunaboli appartenenti allacollezione di Albèri e oggi conservatipresso la Biblioteca Comunale diOrvieto; e inoltre registri originalidell’Archivio di Stato e dell’Archiviodell’Opera del Duomo che docu-mentano gli incarichi e l’attivitàorvietana di Signorelli. Viene quiesposto anche il problematico mat-tone dipinto con i ritratti di LucaSignorelli e Niccolò Franchi, camer-lengo della Fabbrica, ritenuto operaautografa dello stesso Signorelli. Nella chiesa dei Santi Apostoli,

Il 21 aprile 2012 si è aperta al pub-blico la grande mostra dedicata a

Luca Signorelli (Cortona 1450 ca -1523), uno dei più importanti mae-stri del Rinascimento, dopo quasisessant’anni dalla storica esposizionetoscana del 1953.La mostra presenta oltre 100 opereche testimoniano la carriera artisticadi Signorelli e si articola in tre sediespositive: Orvieto, Perugia e Cittàdi Castello. A Orvieto si trova il vero capolavorodi Luca Signorelli: il grandioso ciclodel Giudizio Universale affrescatoall’interno della Cappella Nova o diSan Brizio in cattedrale (1499-1504), culmine della pittura rinasci-mentale, con le famosissime immagi-ni del Finimondo, dell’Inferno e delParadiso. La decorazione, avviata nel 1447 daBeato Angelico, fu portata avanti ecompiuta da Signorelli che ne fecevertice sommo del nuovo stile,impareggiabile se non dai grandimaestri, come Michelangelo che netrasse ispirazione e insegnamento peril Giudizio della Cappella Sistina.Nel Museo dell’Opera del DuomoMODO si conserva la tavola raffigu-rante Santa Maria Maddalena, perl’occasione collocata in uno spaziodedicato all’artista cortonese dove èallestito, e aperto al pubblico, ancheil cantiere di restauro della cosiddet-

Perugia, Orvieto, Città di Castello21 aprile - 26 agosto 2012

Luca Signorelli“de ingegno et spirto pelegrino”

Duomo, Cappella Nova o di San Brizio, Luca Signorelli, Vela degli Apostoli (g.c. Opera del Duomo di Orvieto)continua a p.2

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Supplemento alBISAO LXV-LXVI (2009-2010)

Piazza Febei, 2 - 05018 OrvietoTel. e Fax 0763.391025

www.isao.it - [email protected]

Direttore responsabile:Francesco M. Della Ciana

In Redazione:Luca GiulianiSerena Pinna

Hanno collaborato:Laura Andreani

Maria Antonietta Bacci PolegriSandro Bassetti Carlo Cagnucci

Alessandra CannistràFrancesco M. Della Ciana

Luca Giuliani Claudia Pettinelli

Serena PinnaAlberto Satolli

Mara Valeri

Autorizzazione del Tribunaledi Orvieto N.13 del 24 agosto 1953

Layout e stampa:Tipografia CeccarelliGrotte di Castro (VT)

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antica fondazione medievale, conces-sa nel 1625 alla Compagnia di Gesùe quindi ristrutturata secondo glischemi delle chiese congregazionaliromane di epoca barocca, è allestitauna sezione contemporanea dedicataalle opere di Fabrizio Clerici (1913-1993) e di Livio Orazio Valentini(1920-2008) che illustrano la ricercaportata avanti in contesti diversi delNovecento nel segno profondo diSignorelli.

A Perugia nella sede della GalleriaNazionale dell’Umbria è illustrata lacarriera artistica di Luca Signorelli.Per sottolineare l’influenza avuta daPiero della Francesca sul giovaneSignorelli la mostra si apre con laMadonna di Senigallia, capolavoromaturo del pittore di Sansepolcroconcesso in prestito dalla GalleriaNazionale delle Marche, affiancato alPolittico di Sant’Antonio da Padova,conservato nella Galleria Nazionale. Dopo l’esordio pierfrancescano, lamostra mette in luce la svolta rappre-sentata dall’incontro presso la bottegafiorentina del Verrocchio con artisticome Perugino e Bartolomeo dellaGatta, tutti documentati in mostracon alcune loro produzioni.Capolavoro giovanile del Signorelli epunto di snodo del percorso espositi-vo è la cosiddetta Pala di Sant’Ono-frio del Duomo di Perugia, realizzatanel 1484 per il vescovo cortoneseDionisio Vannucci. Qui Signorelli,che ha appena concluso la sua brevema esaltante esperienza sui ponteggidella Cappella Sistina, raggiungel’apice della sua potenza espressiva. Il percorso si dipana, poi, attraversouna serie di dipinti, molti dei qualiindiscutibili vertici della pittura rina-scimentale italiana, come il Tondo diMonaco o la Madonna Medici. Neltentativo, in parte riuscito, di rias-semblare opere del Signorelli smem-brate in antico e oggi disperse invarie sedi museali italiane e straniere,vengono poi presentati alcuni fram-menti della pala Bichi, parti dellapala di Matelica e della pala Filippinidi Arcevia, mentre l’Annunciazione diVolterra viene ricostruita in ogni suoelemento. Chiude la rassegna unaselezione di disegni provenienti dalLouvre, dagli Uffizi, dal BritishMuseum e da altre collezioni. Questaparte della mostra è di fondamentaleimportanza per capire quale ruoloabbia avuto la progettazione graficanella costruzione della grandiosa ederoica umanità del Signorelli.

Il monumentale palazzo Vitelli allaCannoniera, a Città di Castello, è ilterzo sito della rassegna, per una pre-cisa scelta dei curatori di non sposta-re dalla Pinacoteca Comunale alcundipinto del maestro cortonese; anzidi incrementare il già importantenucleo esistente con altre opere pro-venienti da collezioni italiane e stra-niere. Al tempo della signoria deiVitelli, Città di Castello offrì al pit-tore molte e importanti occasioni dilavoro. Oltre ai ritratti di alcuniesponenti della famiglia Vitelli,l’artista eseguì infatti svariati dipintiper le principali chiese cittadine, acui guardò con attenzione il giovaneRaffaello: sono il bellissimo Martiriodi San Sebastiano, il gonfalone diSan Giovanni Battista, appenarestaurato, e la gigantesca pala diSanta Cecilia, opera tarda (1517circa), ma di estremo interesse percomprendere il funzionamento dellabottega signorelliana. Dopo il 1510,Signorelli concesse ampio spazio aisuoi collaboratori, pur non mancan-

do di fornire disegni, spunti e ideecompositive. Accanto alle opere dellaPinacoteca, vengono presentati unadecina di dipinti fra i quali il beltondo della Galleria Comunale diPrato, alla cui esecuzione potrebbeaver concorso Francesco Signorelli,nipote dell’artista e suo collaborato-re, i Santi Rocco e Sebastiano dell’Ac-cademia Carrara di Bergamo, unaPresentazione al Tempio di collezioneprivata e una serie, interessantissima,di predelle (di Bucarest, della pala diCastel Sant’Angelo, della pala diFoiano della Chiana, dell’Assunzionedi Cortona) tuttora sottoposte alvaglio della critica per la loro storiascarsamente documentata. La mostra dedicata a Luca Signorellisegna un’ulteriore tappa del percorsoper valorizzare gli artisti più rappre-sentativi della stagione rinascimenta-le in Umbria, inaugurato nel 2004con la mostra Perugino il divin pitto-re, proseguito nel 2008 con lamostra dedicata a Pintoricchio e nel2009/2010 con la mostra dedicata aPiermatteo d’Amelia. Un percorsoche conferma l’importanza dell’Um-bria nel panorama artistico italianotra la fine del Quattrocento e gliinizi del Cinquecento.Come per le altre grandi mostre del-l’Umbria, anche per Signorelli sonopromossi itinerari di visita nei sitiche conservano opere dell’artista, inparticolare nella Valtiberina: i poconoti ma fascinosi affreschi con Storiedella Passione, che il pittore cortone-se realizzò, verso il 1510, nell’Orato-rio di San Crescentino a Morra; lachiesa-museo di Santa Croce diUmbertide con la tavola raffigurantela Deposizione dalla Croce del 1516e, oltrepassando gli attuali confiniamministrativi, lo stendardo di San-t’Antonio, conservato nella chiesaomonima di Sansepolcro. Senzadimenticare che Cortona, la sua cittànatale, conserva alcuni grandi capo-lavori come la Comunione degli Apo-stoli e il Compianto su Cristo mortonel Museo Diocesano.

corpi monumentali, qui espressionedi un significato altro e attualissimo. Il recupero dei Santissimi Apostolicome spazio espositivo in occasionedella mostra Luca Signorelli “de inge-gno et spirto pelegrino”, è una dellesorprese più belle che l’evento haregalato alla città. Ed è significativoche proprio qui abbiano trovatoospitalità quelle opere che sono testi-monianza della fortuna che l’arte delSignorelli ha avuto presso i contem-poranei. È soprattutto l’aspetto formale, lamonumentalità e l’espressività dram-matica delle figurazioni della Cappelladi San Brizio ad aver ispirato Valentinie Clerici. Non poteva essere che altri-menti: la contorsione dei corpi el’emotività evidente dei volti sonomanifestazione di un espressionismoquasi moderno. Con Luca Signorelli l’ermetismo dellapittura del Botticelli e il concettuali-smo di quella di Piero della Francesca,vengono superati in favore di un chia-ro principio di necessità: nel momen-to in cui la Chiesa sente vicinissima lacrisi religiosa, l’arte non deve piùoccuparsi di indagare e contemplare,ma di insegnare, parlare e persuadereil fedele. E la risposta di Luca Signorelli siesprime, sul piano formale, attraversoun’opera di sintesi tra la stasi concet-tuale del linguaggio pierfrancescano, ildinamismo di quella del Pollaiolo e lacostruzione spettacolare del Pinturic-chio. Si sviluppa così una pittura dalforte carattere teatrale che trova certa-mente il massimo compimento negliaffreschi della Cappella di San Brizionel Duomo di Orvieto (15499-1503),ma che era già pienamente presentenelle opere degli esordi. Significativain questo senso la tavola con la Flagel-lazione (1480 ca.), nella Pinacoteca diBrera. (fig.1).Qui l’evidenza delle linee di contor-no e l’amplificazione dei gestirispondono ad una impostazioneintensamente coreografica. Tutti ipersonaggi sembrano bloccarsi inpose studiate, come all’accendersi diun riflettore sulla scena teatrale.Le tre mostre che danno vita a LucaSignorelli “de ingegno et spirto pelegri-no”, raccontano fasi diverse dell’atti-vità pittorica del Signorelli rico-struendo, nella sua complessità, laparabola artistica del pittore corto-nese. La Galleria Nazionale dell’Um-

bria a Perugia, all’interno dellosplendido Palazzo dei Priori, ospitale opere riguardanti l’esordio, pun-tando l’attenzione sull’influenza chesu di lui ha avuto Piero della France-sca. Possiamo così ammirare lasplendida Madonna di Senigaglia(1470 ca.) (fig. 2), capolavoro pier-francescano, con accanto alcunemadonne del pittore cortonese (leMadonne di Boston, Oxford e Vene-zia). Interessante, per le moltepliciinfluenze che vi si possono ricono-scere e dunque tangibile testimo-nianza della capacità del Signorelli disintetizzare varie esperienze figurati-ve, è la Madonna con Bambino ingloria e angeli (1480 ca.) (fig.3) dellaPinacoteca di Brera a Milano. Sitratta del verso della Flagellazione:originariamente uniti in un’unicatavola, le due opere vennero poiseparate. L’iconografia qui è quelladella Vergine che allatta il Bambino:si tratta di una delle tipologie rap-presentative più antiche dellaMadonna con Bambino, in cui laVergine siede in trono con il Figliorivolto verso lo spettatore sedutosulle ginocchia della madre che haun seno scoperto. È un tipo icono-grafico che verrà abbandonato di lì apoco in quanto le disposizioni delConcilio di Trento proibiranno lanudità nella raffigurazione delle per-sone sacre. I termini di riferimentoper Signorelli sono quelli della cultu-ra artistica sviluppatasi alla Corte diUrbino. Se nella Flagellazionel’omaggio alla Flagellazione (1444-1470) (fig. 4) di Piero della France-sca è evidentissimo, non meno rile-vante è notare l’influenza del Pollaio-

L’atmosfera chiara accoglie chientra. È un movimento graduale

dal fuori al dentro e insieme un pas-saggio dal rumore delle macchineche, ovattato all’interno, si mescolacon la voce lontana di Livio OrazioValentini: quanto di più presente lanostra città abbia generato. È soprat-tutto la narrazione di un passaggiodi tempo quella presente nella exchiesa dei Santissimi Apostoli, e delfilo che tiene uniti il lavoro delSignorelli e le opere di chi, LivioOrazio Valentini (1920-2008) eFabrizio Clerici (1913-1993), havoluto interpretare e omaggiarel’opera del pittore cortonese, i suoi

Fig. 1 - Luca Signorelli, Flagellazione (1480 ca.), tavola, m. 0,84 x 0,60, Milano, Pinacoteca di Brera

Fig. 2 - Piero della Francesca, Madonna di Senigallia (1470 ca.), tavola, m. 0,61 x 0,53, Urbino,Galleria Nazionale delle Marche

Fig. 3 - Luca Signorelli, Madonna con Bambi-no in gloria e angeli (1480 ca.), tavola, m. 0,84x 0,60, Milano, Pinacoteca di Brera

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lo nel dinamismo energico, seppurbloccato, espresso dai corpi dellefigure, così come alla pittura fiam-minga sembra proprio rimandare ilprezioso ricamo, reso con estremagrazia e finezza, del manto della Ver-gine in trono. Dopo aver lavorato negli stessi annipresso la Sacrestia della Cura nellaBasilica di Loreto (1479-80 ca.) ,Signorelli è a Roma, coinvolto anchelui nell’impresa decorativa dellaCappella Sistina. È dopo l’esperienza romana cheSignorelli giunge ad una maturitàpiena e ad uno stile riconoscibile.Una testimonianza esemplare è laPala di Sant’Onofrio (1484) (fig. 5)del Duomo di Perugia, spostata perl’occasione all’interno di Palazzo deiPriori. Quest’opera può essere datatatra il 1482 e il 1484 e fu commissio-nata dal vescovo Jacopo Vagnucciper l’altare della cappella dedicata aSant’Onofrio da lui voluta all’inter-no del Duomo. In questo caso

l’abilità di unificare in un linguaggiopittorico coerente e originale variriferimenti stilistici è ancora unavolta evidente: la collocazione su duepiani della composizione rimanda adesempi ferraresi, come quello diErcole dè Roberti; botticelliano èl’angelo musicante; la madonnaimponente seduta in trono è ancorapermeata del linguaggio pierfrance-scano e nel vaso di fiori in primopiano c’è tutta la novità del partico-larismo della pittura fiamminga, chel’arrivo a Firenze del Trittico Portina-ri (1477-1478) (fig. 6) di Hugo vander Goes aveva portato all’attenzionedi tutti. Da questo momento fino alla deco-razione del Giudizio Universale diOrvieto, l’opera di Signorelli dà isuoi frutti più maturi (se si escludo-no alcune scene della vita di SanBenedetto raffigurate nel Chiostrodell’Abbazia di Monte Oliveto nonall’altezza del livello raggiunto, maprobabilmente opere di bottega).

L’educazione di Pan (1490) (fig.7),opera perduta durante la secondaguerra mondiale e conservata a Ber-lino, era probabilmente l’esempiopiù alto in questo senso per la mira-bile capacità dimostrata dall’artistadi rappresentare con estrema effica-cia l’atmosfera neoplatonica fiorenti-na.In stretta connessione con lo stiledell’Educazione di Pan è la Madonnacon Bambino degli Uffizi (1490) (fig.8), anche questa presente in mostraa Perugia. Anche qui Signorelli rag-giunge, dal punto di vista della raffi-natezza pittorica e della resa espressi-va, uno dei suoi apici. La Madonnaseduta a terra su un prato è intenta asorreggere il Bambino; sullo sfondofigure atletiche dall’alto valore sim-bolico e di grande monumentalità simuovono in un paesaggio caratteriz-zato da antiche rovine e architettoni-che formazioni rocciose. L’opera, chefu donata dal pittore a Lorenzo ilMagnifico, risente della lezione leo-nardesca, soprattutto evidente nelprato in primo piano e nell’atmosfe-ra chiaroscurale che lo permea. Adimostrazione, ancora una volta,della capacità di Signorelli di acco-gliere e sintetizzare le novità che lacultura artistica dell’epoca offriva.Ma è nella decorazione della Cappel-la di San Brizio del Duomo diOrvieto che Signorelli raggiungel’apice della sua produzione (fig. 9).Completata in tempi record (1499-1503) l’opera è certamente la piùspettacolare delle sue rappresentazio-ni. Le tematiche affrontate (Storiedell’Anticristo; Giudizio Universale;Resurrezione della carne; Inferno;Paradiso) sono quelle dell’intera esca-tologia cristiana, scelte allo scopo dispaventare e convincere il fedele aperseguire le verità propugnate dallaChiesa. Gli appelli a seguire la reli-gione individuale incomincianoanche in Italia a farsi sentire, la ribel-lione luterana è, infatti, alle porte.La sua rappresentazione ammonitri-ce e spaventosa avverte i fedeli che ingioco è il destino dell’intera umani-tà. Per questo le sue figurazioni sonocosì affollate e drammaticamenteespressive. Dante e la sua DivinaCommedia sono il modello a cui siriferisce. Ne scaturisce un’opera cheparla con forza al fedele, che loammonisce e sgomenta. È in questaincredibile e spaventosa coreografiache il pittore cortonese, più che inogni altra opera, trova la sintesi per-fetta di tutte le influenze che ha rice-vuto dalla cultura artistica preceden-te e contemporanea, creando un lin-guaggio proprio e autonomo e giun-gendo al capolavoro. Nel 1504 Signorelli realizza un’altraopera per la Cappella Nuova: unaMaria Maddalena (1504) (fig. 10)oggi conservata all’interno delMuseo dell’Opera del Duomo. Erastata concepita per decorare l’altarededicato alla Santa. La pala furimossa nel 1653 per far posto aduna cantoria. L’opera è espressionedel periodo certamente meno inte-ressante del pittore che con ogniprobabilità non riuscì più a dare unarisposta coerente e unitaria agliimpulsi che la pittura del primoCinquecento, caratterizzata dall’am-mirazione e dalla sempre più impo-nente influenza delle grandi opere diLeonardo, Michelangelo e Raffaello,stava diffondendo.Interessante novità della mostradedicata al Signorelli ad Orvieto èl’apertura della Biblioteca Albèri.Dal Museo dell’Opera del Duomo è,infatti, possibile entrare direttamentenella Biblioteca. Accessibile final-mente al pubblico dopo il restauro,ospita al suo interno decorazioni ese-guite dal Signorelli e dalla sua botte-ga negli anni del cantiere della Cap-pella di San Brizio. Si tratta di affre-schi con soggetti profani che celebra-

no gli autori dei più importantivolumi che la biblioteca ospitava. Fuedificata nel 1499 tra la cattedrale eil nucleo più antico dei Palazzi Papa-li, per accogliere la biblioteca delvescovo Antonio Albèri (1423 ca -1505), già arcidiacono del Duomononché precettore del futuro papaPio III Piccolomini, che la donò pertestamento all’Opera del Duomo.Oltre alla possibilità di ammirare ladecorazione, è possibile visionare alsuo interno i registri originali del-l’Archivio dell’Opera del Duomoche documentano gli incarichi el’attività orvietana di Signorelli. Terzo spazio ospitante Luca Signorelli“de ingegno et spirto pelegrino” èpalazzo Vitelli alla Cannoniera, aCittà di Castello. Il Museo già custo-diva molte opere dell’artista cortone-se, poiché con la signoria dei Vitelli,il Signorelli ricevette molte commis-sioni importanti. Purtroppo unbuon numero di opere sono all’este-ro, ma a Città di Castello rimango-no comunque alcune significativiesempi della pittura signorelliana; fraqueste il Martirio di San Sebastiano(1498) (fig. 11). Qui, nuovamenteSignorelli attinge alle soluzione sce-

niche pensate da suoi contempora-nei: in questo caso è ancora Piero delPollaiolo ad ispirarlo con l’opera dimedesimo soggetto da lui eseguitaper la Cappella Pucci della Basilicadella Santissima Annunziata a Firen-ze. Le pose dei Balestrieri e la posi-zione del santo dipendono totalmen-te dalla soluzione pollaiolesca, men-tre signorelliana è la figura in posa dispalle al centro. Signorelli riesceperò, più che Pollaiolo, a far emerge-re tutta la brutalità dell’evento grazieall’uso di un evidente chiaroscuro ealle pose eloquenti assunte dai carne-fici. Tutta l’evoluzione artistica del corto-nese Luca, come lo definisce Giovan-ni Santi nella sua Cronaca Rimata, èdunque narrata nella mostra LucaSignorelli “de ingegno et spirto pelegri-no”. Dagliesordi del pittore a contatto con lapittura di Piero e della corte urbina-te fino all’interpretazione che dell’e-spressività del suo linguaggio è statadata dall’arte contemporanea, adimostrazione dell’attualità e dell’u-niversalità che la produzione artisticadel Signorelli possiede.

Serena Pinna

Fig. 4 - Piero della Francesca, Flagellazione (1444-1470), tavola, m 0,58 x 0,81, Urbino, GalleriaNazionale delle Marche

Fig. 5 - Luca Signorelli, Pala di Sant’Onofrio (1484), tempera e olio su tavola, m. 0,221 x 0,189, Perugia, Museo dell’Opera del Duomo

Fig. 6 - Hugo van der Goes, Trittico Portinari (477-1478), olio su tavola, m. 0,253×0,608, Firenze, Uffizi

Fig. 7 - Luca Signorelli, Educazione di Pan (1490 ca.), tem-pera su tela, m. 0,194×0,257, già nel Kaiser-Friedrich-Museum, distrutto, già a Berlino

Fig. 8 - Luca Signorelli, Madon-na col Bambino (1490), temperasu tavola, m 1,70 × 1,175, Firen-ze, Galleria degli Uffizi

Fig. 9 - Luca Signorelli, Cappella di San Brizio (1499-1503), affresco, Orvieto, Duomo

Fig. 11 - Luca Signorelli, Martirio di San Seba-stiano (1498), tempera su tavola, m. 2,88x1,75,Città di Castello, Pinacoteca comunale

Fig. 10 - Luca Signorelli, Maria Maddalena(1504), Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

La chiesa parrocchiale di Porano,dedicata a San Biagio, è indicata

nelle Rationes Decimarum Italiæ apartire dal pagamento decimaleeffettuato per suo conto dal presbite-ro Iacobus, nel Natale dell’anno12761. Nel 1283 il vescovo France-sco Monaldeschi vi “promuoveva” ilpresbitero Giovanni, originario dellostesso Porano2 e, nel 1297, era regi-strata un’altra corresponsione indenaro per la «Cappellania S. Blasiide Porano»3. Nel secolo successivo lasua comunità di fedeli era visitatadal vescovo di Orvieto Ponzio Perot-to; l’ordinario diocesano di originifrancesi giungeva nella chiesa di SanBiagio il 28 agosto 1357, dopo avervisitato, tra l’altro, le chiese di SantaMaria e Sant’Angelo di Canale,quella di Santa Caterina al Botto, diSanta Maria di “Roccha Bernule” ela omonima di “Castellunchio”. Allametà del Trecento San Biagio erasufficientemente ornata e fu prescrit-to al rettore di far costruire una pic-cola cassa nella quale conservaresotto chiave i paramenti, i calici e lereliquie nonché di presentare al piùpresto una copia dell’inventario deibeni mobili e stabili della chiesa4.Pur essendo “operante” almeno dadue secoli, la chiesa veniva consacra-ta dal vescovo Giorgio della Roveresolo sul finire del Quattrocento (il18 gennaio 14895), come da rogitodel pubblico notaio Tommaso Silve-stri: «essendogli stato assegnato lostesso giorno per l’Uffizio coll’Otta-va»6. Alla metà del Settecento la suaparticolare posizione all’interno delleantiche mura era così descritta: «Lasudetta Chiesa di San Biagio è postada Capo al Castello di Porano, fon-data, ò appoggiata alle Mura Castel-lane da un lato, dall’altro lato laVenerabile Compagnia del SS.moRosario, e da un altro lato la CasaParrocchiale»7. Nei secoli la sua forma originale futrasformata e ampliata subendo,soprattutto all’inizio del Novecento,particolari lavori di ampliamento,finalizzati a rinnovarne sial’estensione che le sue particolaritàarchitettoniche. Prima di questiinterventi e specificatamente nelXVIII secolo, la chiesa aveva al suointerno due cappelle e sei altari; alcentro l’altare maggiore (il cui man-tenimento spettava al curato); sullato sinistro, per chi entrava nellastruttura, si trovava la cappella diSan Francesco («da capo alla chiesa»,dirimpetto all’altra cappella dell’As-sunta; essa spettava alla famigliaSaracinelli, senza dote o peso dimesse), l’altare della Madonna delRosario (il cui mantenimento eradella omonima compagnia) e l’altaredi San Bernardino («da piede allaChiesa», sotto quello del Rosario, acui provvedeva la comunità e gliuomini di Porano); sul lato destro,invece, si trovavano l’altare dedicatoa San Giacinto («quando s’entra inChiesa», da mantenersi a cura delcappellano pro tempore) e la cappel-la definita «dell’Assunta dell’Ospeda-le di Porano» (da capo alla chiesadietro il pulpito, mantenuta dalbeneficiato pro tempore)8. Questadescrizione interna era confermataanche nelle risposte presentate inoccasione della seconda visita pasto-rale del vescovo Giovan BattistaLambruschini (1818), nelle quali sispecificava, inoltre, come il beneficiocurato fosse di jus patronato dellacomunità di Porano, come dal rogito

del notaio Angelo Grimani del 23giugno 1558. Rispetto agli altari, eraattestato il numero di sei e i varipatronati, specificando come la curadell’altare di San Pantaleone (dettoanche di San Francesco) spettasse aiconti Saracinelli, ma risultasse damolti anni sospeso; inoltre, quello diSan Giacinto, dirimpetto al Rosario,doveva essere mantenuto dal cappel-lano e aveva il patronato della comu-nità. Infine, la manutenzione e irestauri della chiesa si ritenevano acarico delle due compagnie delSacramento e Rosario9. Per quantoriguarda gli altari ancora esistentiall’inizio dell’Ottocento, deve esserespecificato come la cappellania diSan Giacinto fosse stata fondata daRutilio (Rotilio) Laurenti nel 161510,come dalla bolla del cardinale Cre-scenzi datata 12 maggio 162311,mentre la statua di san Bernardino(che oggi si trova sul nuovo altareomonimo) risaliva alle celebrazionidel 10 giugno 1888; era stata realiz-zata a Siena e offerta da Luigi Fumialla comunità la quale, in seguito,aveva fatto costruire una nicchia perripararla dalla polvere sull’altare di

allora12. Questa donazione dell’illu-stre archivista e storico, che a Poranoe a san Bernardino aveva rivoltoanche i suoi interessi di studioso conla pubblicazione di un libro nellostesso 1888 e fu anche sindaco delpaese tra il 1896 e il 189813, è coevaad alcuni lavori di restauro in SanBiagio con i quali erano soppressi idue altari dedicati all’Assunta e aSan Giacinto, entrambi di patronatocomunale. Relativamente a questointervento, nella seduta del 10 mag-gio 1888, il consigliere Luigi Fumiesponeva come nell’occasione eranostati rinvenuti, ai lati dell’allora alta-re di San Bernardino, dei pregevoli

dedicarsi all’opera tanto che avevagià fatto redigere una relazione conprogetto di ampliamento «dall’esimoIngegnere Architetto CarloZampi»23. Quest’ultimo, avendoosservato come per l’ampliamentonon si potesse occupare lateralmenteche la sola sacrestia sulla sinistra edall’altro lato solo qualche cameradell’allora casa parrocchiale, arrivòalla determinazione di prolungare lachiesa secondo l’asse longitudinalefino all’orto appartenente alla par-rocchia per circa 5 metri, aprendonel muro di fondo un arco a sestoacuto come i tre già esistenti nelcorpo centrale. Per praticare questarisoluzione sarebbe stato necessariodemolire il vecchio campanile e rico-struirlo sul lato sinistro della faccia-ta, nella zona dove all’interno si tro-vavano gli affreschi di scuola seneseche andavano conservati. Le duecappelle dovevano essere ridimensio-nate e messe in comunicazione colcorpo centrale della chiesa tramitearcate a sesto acuto; esse andavanospostate verso l’orto, fino alla paretedella nuova abside oltre al murocastellano («che per un tratto di circaquattro metri si dovrebbe demoli-re»), costruendo, per quella di destrache era irregolare, dei nuovi muri difondazione. Si sarebbero formatecosì due cappelle con altari addossatiai muri laterali, le quali, trovandosiuna di fronte all’altra, avrebberoconcorso: «a dare carattere di navetrasversa all’ultima parte delle trenavi che precede la tribuna». Alpiano superiore del lato sinistro, siprevedeva la cantoria e l’organo (chesi potevano raggiungere con unascala a chiocciola); sul lato destro,invece, sarebbe stata disposta lasacrestia, con porta comunicante conla cappella e nel piano sovrastanteuna camera a uso magazzino24.In merito a quanto preventivato,nell’Archivio parrocchiale si conservaun «Computo metrico e stima deilavori per l’ampliamento e restaurodella chiesa parrocchiale di Porano»,nel quale sono indicate le varie ope-razioni ritenute necessarie riguardoalla struttura: diverse demolizioni(della muratura ordinaria di tufo o«a luce stabilita» per delle nuovefinestre, del campanile, del tetto, deisoffitti alla fiorentina, delle volte ditufo, dei pavimenti in laterizio),rimozioni (degli infissi, degli scalini,delle soglie), «lavori di terra» (abbas-samento del piano, cavo di terra perle nuove fondazioni), opere murarie(in fondazione, per rinfiancare levolte, ordinarie in elevazione, dallefondazioni al pavimento, per i murilaterali della scala esterna della chie-sa, dal pavimento al tetto, per i muritrasversali verso la cappella di destra,per il muro divisorio della sacrestia,per i nuovi pilastri tra i quali anchequelli dell’abside o della cappella disinistra, per il campanile verso lastrada laterale, verso la piazza o versola chiesa), muratura «ordinaria ditufo a strappo di muro», archi ditufo o «a strappo di muro» (comequello sulla porta centrale della fac-ciata), volte in mattoni o soffitti allafiorentina, intonaco (sia interno cheesterno), pavimenti (da comporsicon «quadrelli di materiale laterizioarrotati»), tetto («compresa la grandee piccola armatura e la copertura inmateriale laterizio»), lavori in pietra-me e tufo (zoccoli, copertine, soglie,architravi, scalini, cornici), lavori difalegname, fabbro, vetraio, stagnaro

va dei lavori di restauro nel pavi-mento e nelle pareti. Le difficoltà diprevedere un ingrandimento eranoconsiderate straordinarie, in quantoin ogni sua parte l’edificio era circo-scritto da case o strade pubbliche,per cui, se si fosse prolungato nellaparte inferiore, avrebbe oscurato leabitazioni circostanti, mentre se sifosse intervenuto sul presbiterio,sarebbe stato necessario distruggerela torre campanaria18. Oltre alle con-dizioni legate all’inadeguatezzadimensionale, di certo alcuni proble-mi erano stati causati anche dallacaduta di un fulmine che nel 1884aveva colpito l’orologio comunale,dividendosi poi in varie scariche cheinvestirono la chiesa creando nonpochi danni. In particolare, furonocolpiti l’altare del Rosario, quasicompletamente distrutto, e quellomaggiore, dove la scarica fu attiratadalla corona di filigrana d’argento edalla trina del manto che rivestivauna statua della Vergine. L’altare erastato ridotto a un «fascio di rotta-mi», tranne la pisside che contenevail Santissimo, la quale, pur essendostato completamente devastato ilciborio, non era stata minimamentetoccata (tanto che il parroco donMarco Spagnoli, parlava di un vero eproprio prodigio), al contrario degliex-voti a san Biagio e alla Madonna,fusi o bruciati, o dei cristalli dellachiesa che andarono tutti in frantu-mi, tranne quello della cappella didestra19.Nel febbraio del 1905, visti i conti-nui richiami e i danni accidentali, ilnuovo parroco don Girolamo Mon-tini invitava l’ingegnere CarloZampi a recarsi nel paese per unostudio d’ampliamento e restauro del-l’edificio che oramai, oltre a nonessere più sufficiente ad accogliere lapopolazione20, era stato dichiaratoinsalubre con risoluzione del Consi-glio comunale dietro parere delcorpo sanitario, anche per la man-canza quasi totale di finestre nellepareti laterali e di fondo che nonpermettevano una regolare ventila-zione21. L’ingegnere si recava a Pora-no per verificare il lavoro e prenderele necessarie misure per la stima, unaprima volta nel marzo del 1905 epoi nel luglio successivo. Sul finiredi ottobre, dopo le ultime delucida-zioni sulle cappelle laterali richiestead agosto, Zampi presentava il pro-getto (cinque tavole di disegni corre-date dal computo metrico, stima deilavori e relazione descrittiva suglistessi) scusandosi per il ritardo sullaconsegna, adducendo al fatto chel’importanza del necessario studioavesse causato uno slittamento deitempi previsti22. Realizzato il proget-to, nel novembre del 1905 il parrocoinviava una supplica al sindaco diPorano Giulio Ranchino e al Consi-glio comunale che ancora vantava ilpatronato dal 1558, richiedendo un:«conveniente sussidio perché l’operapossa effettuarsi, e nel più brevetempo possibile». Nell’istanza donMontini esponeva come negli ultimitrent’anni vari vescovi diocesani inatto di sacra visita avessero manife-stato: «la ristrettezza della ChiesaParrocchiale, inadatta a produrrequei frutti spirituali a cui il popoloha diritto, e resa funesta per la pub-blica igiene anche per difetti di fene-stre che permettano il rinnovamentodell’aria»; per questo, nonostantefosse stato nominato al ruolo da solidue anni, aveva voluto da subito

affreschi risalenti al XIV secolo, perla cui necessaria conservazione eraconveniente spostarlo. Per questoproponeva l’unione delle due cappel-le e di San Giacinto in un unicoaltare, assistendo il parroco con uncontributo di lire 150 per i necessariinterventi. Il tutto portava alla solaconservazione dell’altare dedicato aSan Bernardino (nel quale si trasferi-rono anche tutti i legati ancora offi-ciati) e la conseguente demolizionedegli altri due, per la quale nel lugliosuccessivo il parroco don MarcoSpagnoli inoltrava una sanatoria alvescovo non avendo richiesto pre-ventivamente, né lui né il Comune,le dovute autorizzazioni14. Dopoquesto intervento, la chiesa avevasubito delle modificazioni per unsuo primo ingrandimento, comel’aggiunta di due nuove cappellelaterali, rimanendo comunque al disotto del necessario in quanto misu-rava una superficie per i fedeli di soli115 metri quadrati, per una capacitàdi 350 persone, mentre la popolazio-ne del paese ascendeva nel 1888 a827 anime15 e all’inizio del Novecen-to intorno a 90016. L’esiguità della

chiesa rispetto al numero crescentedei fedeli aveva portato, già dal1821, ad accese dispute sulla presen-za e sull’occupazione delle panche esedie al suo interno che avevano cau-sato un duplice intervento regola-mentare da parte dell’allora vescovoLambruschini e uno del successoreIngami (nel 1888)17. Questo stessovescovo, negli atti di visita nella par-rocchia (cominciata il 10 ottobre1887), aveva fatto mettere a verbalecome, nonostante lo zelo del parrocodon Spagnoli, la chiesa di San Biagiorisultasse ancora troppo angusta inconfronto al numero in costanteaumento della popolazione ed esige-

I lavori di ampliamento della chiesa di San Biagio a Porano

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Il prospetto della nuova facciata come progettato dall’ingegnere Zampi (da G. Muratore, L. Loiali,Paolo Zampi, p. 362) gentilmente concessa

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della legge comunale e provinciale. Ilparroco si ripresentava così al Consi-glio, non avendo altri mezzi percompletare la spesa incontrata per ilavori che nella loro esecuzione ave-vano pienamente soddisfatto i biso-gni della popolazione e le esigenzeigieniche31. Nell’ottobre 1912,l’Ispettorato pei monumenti e scavidel mandamento di Orvieto inoltra-va una nota della Soprintendenzaper la conservazione dei monumentidell’Umbria, dando licenza, dietroparere richiesto, per la distruzione diun dipinto rinvenuto dietro l’altaremaggiore rappresentante la Verginecol Bambino del XVII secolo, defini-to “rozzo”, ma allo stesso tempolamentando come si fosse già postomano ai lavori nelle chiesa prima diaver ottenuto le opportune autoriz-zazioni dagli enti preposti a talicompiti32. Da alcuni preventivi acavallo tra il 1912 e 1913, redattidal muratore Angelo Paoletti, possia-mo desumere come fossero ancora indivenire alcuni dei più importantiinterventi sulla struttura, come ilnuovo piancito, ma anche alcuniarchi, colonne, muri di rinfianco oinnalzamento di quelli già comincia-ti e, ancora, la demolizione del murodella vecchia facciata33. Infatti, allafine del 1912 veniva contattato unnuovo progettista, l’ingegnere orvie-tano Vincenzo Fantella, il quale sirecava a Porano per la prima volta il29 dicembre per prendere visionedella situazione e redigere una nuovaperizia sui lavori necessari e realizza-re il piano di lavoro perl’ampliamento e il disegno di unanuova facciata34.L’incarico conferito al nuovo proget-tista sembrava dare un nuovo impul-so ai lavori, per i quali rimanevanocomunque notevoli problemi econo-mici, visto anche il considerevolenumero di interventi necessari, chesi tentava di ovviare richiedendo sus-sidi dalle autorità statali o religiose.In quest’ottica, nel gennaio del 1913don Montini presenta al vescovo unprogetto di permuta di alcuni terrenidel beneficio parrocchiale con ilcavaliere Francesco Onori, il quale sidimostrava conveniente non soloperché avrebbe permesso di riunirele proprietà (altrimenti sparse intanti piccoli fondi), ma anche perchéportava un introito di lire 148,2035.Nello stesso tempo, il sacerdote redi-geva anche la minuta di una supplicaal papa per ottenere un sussidio, neimodi ritenuti più opportuni dallostesso pontefice; in essa esprimevacome, essendosi trovato nell’assolutanecessità d’ingrandire la chiesa par-rocchiale per provvedere ai bisognidell’aumentata popolazione e almaggior decoro del culto divino, nelcorso dei restauri aveva constatatocome la somma destinata non fossepiù sufficiente al completamentodegli stessi. Per questo, inoltrava unaistanza facendo voto insieme al suopopolo affinché si potesse presto tor-nare a celebrare i divini uffici nellachiesa più ampia e più decorosa36.Il 25 gennaio 1913 l’ingegnere Fan-tella presentava la nuova perizia perl’ampliamento della chiesa di SanBiagio, ammontante alla cifra com-plessiva (tra i lavori eseguiti e quellida farsi) di lire 9.161,95. Tornatouna seconda volta sul luogo (8 gen-naio), l’ingegnere testimoniava comesino a quel momento fossero statieseguiti diversi lavori, tra i quali:«l’abbassamento di tutto il suolodella Chiesa e Sagrestia per metri1,50, nella costruzione di un’abside,e nella regolarizzazione della cappellalaterale destra» e precisava: «I lavorida farsi sono l’innalzamento d’un

muro già cominciato per la nuovafacciata, la demolizione della facciatavecchia con sostituzione di un arco-ne a sesto acuto simile agli altri, ildisfacimento e rifazione del vecchiotetto, e la costruzione di una partenuova del medesimo sopra lo spazioanteriore da aggiungersi alla Chiesa,e i lavori di ornamentazione internied esterni, come cornici, coloritureec.». Più nel particolare, le operazio-ni effettivamente eseguite eranostate: il disfacimento dei pavimenti edella sacrestia, la demolizione deglialtari, delle loro gradinate e delmuro della cappella di destra, loscavo del pavimento compatto e roc-cioso per abbassare i pavimenti, il“taglio” del muro e lo scavo di fon-dazione per la formazione di unanuova abside e un altro ambienteesterno dietro la chiesa (spostato perla costruzione della stessa), altri scaviper una “sottomurazione” attornoalle pareti interne e per un muronuovo della cappella, altri vari muridi fondazione, il tetto e la volta amattoni per l’abside e la cappella, lacostruzione di un arco per la medesi-ma, la costruzione di una finestragotica e di una nicchia per la statuadi san Bernardino, gli scavi e i muridi fondazione per il prolungamentodella chiesa verso la facciata, costrui-ti al momento sino all’altezza dimetri 2,90. I lavori da realizzarsierano, invece, il muro di elevazionesopra quello già costruito sia sullafacciata, sia sopra le pareti laterali, lacollocazione di catene e chiavi diferro per poter collegare i vecchimuri ai nuovi, lo “squarcio” delmuro della vecchia facciata per laformazione di un “arcone” ugualeagli altri e il conseguente abbatti-mento del restante muro di facciata,il disfacimento e la ricostruzione deltetto grande, di quello sopra l’ultimoarco e sulla nuova facciata, porre inopera il calcestruzzo a terra nellaparte nuova, il pavimento di cemen-to idraulico da farsi sopra l’interolastricato della chiesa e della sacre-stia, la costruzione di cornici in pie-tra in stile gotico per il portale, perla rosa centrale e per il coronamentodella facciata, una nuova portad’ingresso, la vetrata e l’inferriata

sopra la porta e la finestra perl’occhio centrale, intonacare la fac-ciata a righe o finta cortina (compre-si i fianchi sporgenti) e dipingerel’interno a righe nelle pareti dovenuove o a finta tappezzeria policro-ma nelle cappelle, decorare l’abside,quindi, una coloritura semplice nellasacrestia e la ricostruzione degli altaricon lavori a stucco e cornici dell’ab-side37. Una volta giurato sulla perizia (il 26gennaio), si poteva dare inizio ailavori38, tanto che in una successivalettera del 20 marzo lo stesso inge-gnere Fantella, scriveva al parrocopuntualizzando: «Ho terminato oradi disegnare la facciata, e appenaposso gliene manderò una copia inpulito. La prego dire al muratore chele misure che gli mandai dal suo gar-zone s’intendono sempre alla distan-za dal piano del futuro pavimentodella Chiesa. Gli dica ora chel’altezza dal centro dell’occhio (ofinestra circolare della facciata) latenga a metri 7,70 dallo stesso pianosuddetto, e che il muro di facciatadev’esser alto nel punto di mezzometri 11,65 e ai lati metri 7,50.Sopra questa altezza si metterà poi ilcornicione che di sarà di pietra o ditufo colorato, come vorrà la Provvi-denza». Da quanto riportato, sembrachiaro ed esplicito come si fosse datofinalmente il nuovo inizio ai lavori,viste le chiare direttive date al parro-co, il quale a sua volta doveva riferir-le a chi si stava occupando material-mente della muratura. Il nuovo inge-gnere continuava con le sue indica-zioni aggiungendo precisazioni sulla«luce del pietrame dell’occhio» e sullegname di abete da utilizzarsi per letravi del nuovo tetto per il qualeaveva già preso accordi con la dittaorvietana Perali39. Lo stesso Fantella,il 1° maggio successivo, informavanuovamente il parroco: «Ho fatto ildisegno della finestra circolare, maprima di riprodurlo in grandezzanaturale vorrei parlare col fabbro chedeve eseguirlo». Particolare quantoscritto di seguito: «Mi farà saperequanto prima il giudizio dell’Inge-gner Zampi sulla scelta dell’uno odell’altro progetto della facciata, per-chè io ho ritirato il disegno senza

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La facciata della chiesa in un’immagine del 1946 (da O. Priolo, Due castelli nei secoli: Porano e CastelRubello, datt., s.d.)

La facciata di San Biagio dopo gli ultimi interventi

o diversi (come la demolizione delmuro del tetto e del soffitto dellacucina della casa parrocchiale, larimozione di materiale vario, maanche dell’organo e della cantoria, laprovvista e posa in opera di dueparafulmini - quanto mai necessariavisto quanto occorso una ventina dianni prima - o di tre altari in terra-cotta e altre varie indennità). Iltutto, sommata anche una cifra for-fettaria per lavori imprevisti, portavala stima per i lavori a lire 15.00025.Nella relazione che accompagnava siapprofondivano in maniera piùlineare i termini dell’intervento, stu-diato dall’ingegnere in maniera arti-colata perché non fosse necessarioeseguirlo in un solo periodo di lavo-ro, scongiurando la chiusura totaledella chiesa al culto e agevolandoanche la sua stessa realizzazioneriguardo le spese necessarie, allequali si sarebbe potuto supplire adintervalli, secondo le risorse e le sov-venzioni ottenute26. Riguardo questaultima questione, dopo la presenta-zione della richiesta di sussidio daparte del parroco per poter realizzarequanto preventivato dallo Zampi, ilConsiglio comunale di Porano adot-tava una delibera con la quale unani-memente plaudeva all’iniziativa,facendo voti affinché potesse riuscirel’opera benefica a vantaggio dellapopolazione. Detto questo, precisavacome fosse impossibile in quelmomento l’elargizione di un qualsia-si sussidio anche minimo, in quantol’Amministrazione era impegnata inopere ingenti ordinate dalla superio-re autorità e suggeriva come, perun’opera di così alta utilità, si potes-se fare tesoro dei beni delle confra-ternite con i quali far fronte allespese occorrenti27. Queste ultime,infatti, oltre a esserne investite legal-mente, avevano come loro scopoprincipale il mantenimento dellachiesa stessa e la conservazione delculto come eseguito già in passato,nonostante la loro spoliazione post-unitaria. Per permettere l’avvio deilavori, con la congregazione del 10

aprile 1908, i confratelli stabilivanol’impiego del sopravanzo dellagestione passata e l’alienazione (pre-via autorizzazione) di due case postenello stesso paese28.Le questioni sui lavori si protrasserosino al settembre 1909, quandoZampi, dopo essere stato esortatoalla redazione, rimetteva il capitolatospeciale di appalto dei lavori, sottoli-neando come, rispetto alla primastima fatta nel 1905, alcuni prezzifossero aumentati ed esso fosse daritenersi comunque parziale, ancheper la deliberazione delle Confrater-nite riunite del Sacramento, Rosarioe Madonna delle Grazie che stabilivadi dare inizio in quel momento soload una prima parte dei lavori29 e,vista la parzialità dell’intervento,impegnavano una cifra minorerispetto a quanto preventivato30. Nel 1912, prima di dare inizio allaseconda parte delle operazioni, ilparroco ricordava come: «A seguitodi vive insistenze della popolazione edell’Autorità vescovile, alcuni anniaddietro, lo scrivente fece compilaredall’egregio ingegnere Zampi unprogetto per restaurare la Chiesaparrocchiale; e il 29 agosto 1912,prima di porre mano ai lavori, sirivolse a cotesta Amministrazionemunicipale, domandando di vederese era il caso che il Comune concor-resse, in qualche modo, alla spesanecessaria. A tale domanda non fudata alcuna risposta; e neppure fusollecitata; poichè lo Scrivente spera-va di poter far fronte alle spese, colricavo della vendita di due fabbricatidella Confraternita. Ma non fu così;poichè dalla vendita si ebbe lasomma di L. 8012,50, mentre laspesa ammontò a L. 10236,97». Alfine di poter ricavare la restantesomma, don Montini si rivolgevaall’Economato Generale di Firenze,dal quale si vedeva rispondere chequell’ente avrebbe concesso un suocontributo, ma solo successivamentea quello eventualmente accordatodal Comune di Porano, obbligato inmerito dalle disposizioni transitorie

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

saper nulla; e poi anche a suo tempola decisione della pietra o del tufoper tutta la parte ornamentale».Nonostante i lavori relativi allamuratura procedessero, Fantellastava ancora terminando il disegnodella facciata, per la quale aspettavadisposizioni circa il materiale per laposa in opera (lo stesso avrebbe pre-ferito realizzarla in pietra e terracottao tutta in tufo salvo lo zoccolo dafarsi in pietra). Inoltre, riteneva indi-spensabile il giudizio dell’ingegnerZampi e chiamava in causa il cano-nico don Domenico Palazzetti circala scelta tra i disegni proposti per lanuova facciata, in quanto i due ave-vano manifestato preferenzediverse40. Nel frattempo, continuava-no i lavori all’interno della strutturae nel mese di giugno sembrava esserestato già demolito e ricostruito unodegli archi gotici ad opera delladitta di Angelo Paoletti. Il muratorepresentava, infatti, una fattura nellaquale erano elencate tutte le fasi, coni relativi costi, necessarie per eseguirele due operazioni: dalla costruzionedell’armatura e delle centine, allademolizione e ricostruzione delnuovo arco di dieci metri lineari,all’intonaco, dalla demolizione deicoppi al loro nuovo rifacimento(necessario per alleggerire il tetto), almuro dei rinfianchi dell’arco sino aldiritto di assicurazione, fissato al7%: il tutto per la cifra di lire 36641.Nel corso dell’anno 1913, don Mon-tini e Fantella si tennero spesso incontatto, facendo riferimento a dise-gni che il committente dovrebbeaver ricevuto, anche se ad oggi, essinon sono stati rinvenuti in Archivioparrocchiale. Inoltre, si parlavaanche di una speciale “Commissionepei restauri della Chiesa di Porano”creata appositamente perl’occasione42. Lo scambio epistolareinteressava soprattutto i preventivi ela conseguente scelta dei materiali odegli artigiani di cui avvalersi. Sipassava da una prima proposta per ledecorazioni in cemento della faccia-ta, dalle quali rimaneva esclusal’ossatura a mattoni del cornicione eil costo del trasporto, a carico delcommittente, sino a quella del mar-mista Ercole Montanucci, il quale,invece, proponeva un prezzo piùbasso per il cemento e la realizzazio-ne di tutte le cornici in Orvieto, tra-sportandole poi sul luogo in pezzi,con la sua assistenza e l’opera di unmuratore e due manovali. Per iltutto sarebbero stati necessari soltan-to tre giorni, a spese del parrocosolamente per quanto riguardava ilavoratori. Il 6 agosto, il primo prez-zo indicato dal Montanucci (600lire) era stato ulteriormente abbassa-to dallo stesso a 525 lire e sarebbestato eseguito secondo il disegno del-l’ingegnere Fantella, del qualel’artigiano aveva già preso visione43.Lo stesso giorno, l’ingegnere chiede-va delucidazioni al parroco riguardoi due pilastri della facciata («la lar-ghezza e la sporgenza anteriore»),mentre il successivo 14 ottobre sisoffermava sul colore delle previsterighe per la facciata, sul quale avevaincaricato di vigilare suo cuginoTommaso Onori, ma purtroppo lostesso aveva dovuto allontanarsi daPorano per raggiungere Roma inseguito alla grave malattia che avevacolpito Faustino Valentini. Questerighe dovevano essere dello stessocolore degli ornati a cemento e risul-tare: «più chiare e le righe biancheabbiano il colore del travertinonuovo. Nel disegno della facciatadomina il colore del travertino scuroe chiaro, ma il colore del cemento èriuscito differente, e quindi si deve

armonizzare con quello». La stessalettera si chiudeva con la speranzache il successivo 1° novembre lachiesa potesse essere finalmenteinaugurata nella sua nuova configu-razione, anche se due successive mis-sive (2 e 14 novembre), contenevanoancora raccomandazioni del proget-tista per quanto riguardaval’esecuzione della facciata e alcunisuoi particolari (lo zoccolo fino alportale, le due “mensolette” sottol’architrave, i due pilastri d’angolo)ancora da porre in essere o da rive-dere attenendosi scrupolosamente alprogetto; lo stesso ingegnere manife-stava come sino a quando non fosse-ro stati realizzati questi lavori non sisarebbe potuto provvedere al collau-do e al pagamento del cementista44. La prima perizia dei lavori era ese-guita dallo stesso Fantella solo a finegennaio dell’anno successivo (inArchivio parrocchiale se ne conservauna minuta); nel prologo della stessasi puntualizzava: «Invitato il sotto-scritto ingegnere a valutare tutti ilavori eseguiti per l’ampliamento erestauri della Chiesa suddetta, com-presa la nuova facciata, fino a tutto ildecorso anno 1913, dopo aver acce-duto più volte sul luogo, sia per diri-gere i detti lavori, sia per ricavare illoro valore a mano che procedevano,riassume qui appresso la descrizionee il prezzo dei medesimi; e aggiungein fine la valutazione di altri lavoriche mancano e di spese da pagare, diguisa che nella seguente perizia sipossa desumere intero e completo ilcosto del detto ampliamento erestauri della Chiesa». Seguiva unlungo elenco degli ottantasei inter-venti realizzati, tra i quali i piùimportanti furono: il disfacimentodei pavimenti, lo scavo del terrenoper abbassare il livello degli stessi,poi riempito in parte con «cementoidraulico con calcestruzzo», sia nellanavata che nelle cappelle di destra(dedicata a san Bernardino) e sinistra(dedicata alla Madonna), la demoli-zione e rifacimento del muro dellacappella di destra (nella quale fu pre-disposta una nicchia per la statua delsanto), la demolizione di tutti glialtari, la “sottomurazione” attornoalle vecchie pareti della chiesa e dellasacrestia, la fondazione e i muri peril prolungamento verso la facciata, ilavori di taglio, scavo, fondazione ecostruzione dell’abside, il nuovo arcodella grandezza della vecchia faccia-ta, la demolizione e rifacimento dellanuova facciata, i tetti per la vecchia enuova costruzione, vario intonaco,verniciature, finestre, cornici, ilrestauro della vecchia porta dellachiesa e della balaustra di legno, laposa in opera della statua in cerami-ca della Madonna nella cappella disinistra e la cornice in legno per lasua nicchia, una nuova porta e unarmadio per la sacrestia. Secondol’ingegnere, erano ancora da eseguir-si quindici interventi, tra i quali:imbiancare la sacrestia, decorare afinta tappezzeria le due cappelle,come era stato realizzato nell’abside,e ancora costruire l’altare maggiore(«di stile a colonnini e lastra incemento con banchina e gradinosuperiore»), due altari di legno per lecappelle laterali, un passaggio inter-no tra la canonica e la chiesa, unaorchestra nuova per l’organo, unnuovo fonte battesimale e un pulpi-to in legno, infine, porre un paraful-mine sulla facciata. Il tutto, all’iniziodel 1914, portava la cifra totale del-l’intervento a 10.236 lire e 97 cente-simi tra i lavori eseguiti e da realiz-zarsi per il progetto di ampliamento,i restauri, la nuova facciata, la dire-zione e liquidazione di tutti i lavori,

oltre alle spese di viaggio e carta bol-lata45. Il 4 febbraio Fantella presenta-va una nuova specifica e precisazionedel suo onorario, ammontante a lire317,14 per l’ultimo stato dei lavorifatto nel dicembre 1913 (con accessoe misurazione sul luogo), giungendopoi sino a 360,78 dopo la periziagenerale riassuntiva e dettagliata ditutti i lavori fatti e da farsi (del 28gennaio 1914) e le relative spese dicarta bollata. In particolare,l’ingegnere doveva essere pagato peraver realizzato una prima perizia suilavori compiuti al 29 dicembre 1912(fatta per poter ottenere il sussidiogovernativo), per il progetto dellanuova facciata con aggiunta di cor-nici in terracotta (un disegno in lapisdell’aprile 1913 con dettagli a gran-dezza naturale da mostrarsi agli scal-pellini per l’esecuzione in pietra, poimodificato nel settembre successivosenza cornici in terracotta, tanto chefu necessaria la realizzazione dinuovi disegni a inchiostro dei detta-gli delle cornici, del portale, dellafinestra e del cornicione, poi eseguitein cemento idraulico dalla dittaVolpi). Inoltre, facevano parte delconto la redazione dei disegni deglistipiti del portale (da ricavarsi con ivecchi in pietra e le conseguenti trat-tative con il marmista Montanucci),della finestra in ferro per l’occhiocentrale (eseguita prima a formadecagonale e ridotta poi a esagonoper ragioni economiche) e dei vetri acolori, l’aver eseguito lo stato deilavori a tutto maggio 1913 (conaccesso e misurazione sul luogo) e levarie spese di viaggio (anche in auto-mobile) per constatare, tra l’altro, lecondizioni di un vecchio arco grave-mente danneggiato nelle operazionidi disfacimento del tetto46.Al 31 ottobre 1915 risaliva una rela-zione di collaudo e valutazione deilavori già eseguiti al momento dellaperizia di inizio 1914 e di quelli rea-lizzati successivamente. Rispetto aquanto compiuto si dichiarava:«Invitati oggidì a fare il collaudogenerale tanto dei primi come diquelli eseguiti dopo la suddettaepoca, riferisce che tutti i lavori sonoda approvarsi perchè fatti con tuttele regole d’arte, tanto per la loro sta-bilità come per la parte decorativa»,mentre per quelli da eseguirsi si spe-cificava: «Dei lavori che restavano afarsi sono stati tutti eseguiti, ad ecce-zione di alcuni, meno strettamentenecessari, cioè il passaggio internol’accomodatura dell’organo47 (alquale è stato sostituito un harmo-nium portatile), l’orchestra e il pul-pito che si sono ritenuti ingombrantie disadatti allo stile della Chiesa. Si èaggiunto invece un altro parafulminesul vecchio campanile, e le due cap-pelle sono state fornite di una vec-chia e artistica cancellata trovata peroccasione». Seguiva, quindi,l’indicazione delle spese per quantoeffettivamente realizzato, passatadalle preventivate 10.236,97 a10.254,19 lire48.Alla fine del 1916, in una dichiara-zione di fine lavori necessaria perrichiedere un sussidio governativo,Fantella esponeva comel’ampliamento e il restauro dellastruttura fossero stati eseguiti in granparte nel corso del 1913 («tantoesterni che interni») e sotto la suadirezione; i restanti lavori furonorealizzati successivamente, tanto che,nell’ottobre del 1915, era statoanche compiuto il collaudo generaleed erano stati valutati i lavoriaggiuntivi, insieme alle spese di pro-getto e di direzione tecnica49.

Luca Giuliani

Note

1 P. Sella (a cura di), Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Umbria, Città del Vaticano1952, (Studi e testi, 161), p. 823 (10853). Per uno studio sulle fonti antiche inerenti la villa equindi il castello di Porano a partire dal 1126, si veda M. Rossi, Porano Note Storiche, Grottedi Castro (Vt) 2000.

2 Orvieto, Archivio vescovile, «Codice A», c. 180r.3 P. Sella (a cura di), Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Umbria, cit., p. 910

(12095).4 Orvieto, Archivio vescovile, «Codice B», c. 18r.5 Ibid., Inventari, «Inventarj della Diocesi», c. 616r.6 Ibid., Visite pastorali, Appendice alla seconda visita Lambruschini 1818, c. 55.7 Ibid., Inventari, «Inventarj della Diocesi», c. 616r.8 Ibid., c. 616rv.9 Ibid., Visite pastorali, Appendice alla seconda visita Lambruschini 1818, c. 55rv.10 Porano, Archivio parrocchiale, Legati Pii San Biagio, Cappellania di San Giacinto, n. 1, c. sciolta.11 Orvieto, Archivio vescovile, Inventari, «Inventarj della Diocesi», c. 633. Cfr., Porano, Archivio

parrocchiale, Amministrazione Cappellania San Giacinto, n. 1, c. 1. 12 Porano, Archivio parrocchiale, Questue e rendiconti di feste, n. 3, c. s.n.13 M. Rossi, Porano Note Storiche, cit., pp. 30-33, 56-57. Sul santo e sul culto conferitogli a Porano

vedi anche N. Brizi, Sanctus Bernardinus Senensis, Orvieto 2009, in particolare le pp. 65-68.14 Orvieto, Archivio vescovile, Protocollo, a. 1888, posiz. 20.15 Ibidem. 16 Orvieto, Archivio di Stato, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788; dalla relazione sui lavori presen-

tata da Carlo Zampi nell’ottobre 1905. Secondo alcuni appunti posti su degli schizzi di pro-getto, in quel momento la popolazione di Porano ascendeva a 887 persone ed era necessarioquindi rendere la chiesa disponibile perché potesse essere frequentata da almeno 800 personecontemporaneamente. Cfr., G. Muratore, P. Loiali, Paolo Zampi, (“Gli orvietani illustri”),Orvieto 2005, pp. 361-363, 376-377.

17 Orvieto, Archivio vescovile, Protocollo, a. 1888, posiz. 20.18 Ibid., Visite pastorali, Visita Ingami, pp. 372-373.19 Porano, Archivio parrocchiale, Memorie, n. 1/2: «Memorie della caduta di un fulmine nella

Venerabile Chiesa Parrocchiale di Porano a di 26 7.mbre 1884».20 G. Muratore, P. Loiali, Paolo Zampi, cit., p. 361. 21 Orvieto, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788; dalla relazione di Zampi dell’ottobre 1905 e dalla

copia di deliberazione delle confraternite del 10 aprile 1908.22 Ibid., da alcune minute di lettere e dalla citata relazione.23 Porano, Archivio parrocchiale, Carteggio tematico, n. 4/1: «Lavori di Ampliamento Chiesa Par-

rocchiale», doc. 1. Nel 2006, in occasione della prima stesura di questo lavoro, una relazionestorica allegata a quella tecnica per dei lavori di restauro, le carte sciolte di questo fascicolosono state riordinate e numerate. Da qui in avanti, l’indicazione numerica dei suoi documentisi riferisce proprio a questa sistemazione.

24 G. Muratore, P. Loiali, Paolo Zampi, cit., pp. 361-363. Cfr., Orvieto, Archivio Zampi, b. 19,fasc. 788; dalla relazione di Zampi dell’ottobre 1905.

25 Porano, Archivio parrocchiale, n. 4/2: «Computo metrico e stima dei lavori per l’ampliamentoe restauro della chiesa parrocchiale di Porano», cc. s.n. La stessa stima (sotto forma di minuta)si trova anche in Orvieto, Archivio di Stato, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788. Cfr. anche G.Muratore, P. Loiali, Paolo Zampi, cit., pp. 362-363.

26 Orvieto, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788; dalla relazione di Zampi dell’ottobre 1905.27 Porano, Archivio parrocchiale, Carteggio tematico, n. 4/1: «Lavori di Ampliamento Chiesa Par-

rocchiale», doc. 2.28 Orvieto, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788. Sui doveri delle confraternite verso la chiesa parroc-

chiale vedi anche Orvieto, Archivio vescovile, Visite pastorali, Appendice alla seconda visitaLambruschini 1818, c. 55v.

29 Orvieto, Archivio Zampi, b. 19, fasc. 788.30 G. Muratore, P. Loiali, Paolo Zampi, cit., pp. 362-363.31 Porano, Archivio parrocchiale, Carteggio tematico, n. 4/1: «Lavori di Ampliamento Chiesa Par-

rocchiale», doc. 3.32 Ibid., doc. 4. 33 Ibid., docc. 5-6.34 Ibid., docc. 20, 24.35 Ibid., doc. 7r. In Archivio parrocchiale vedi anche i due fascicoli inerenti questa permuta nella

serie Beneficio parrocchiale, n. 1/2: «Copia semplice dell’atto di permuta di terreni tra la Parroc-chia di S. Biagio in Porano ed il Cavalier Francesco Onori» e n. 1/3: «Progetto di permuta di ter-reni fra la Parrocchia di Porano ed il Signor Cav. Francesco Onori». Sulla questione vedi ancheOrvieto, Archivio vescovile, Protocollo, a. 1913, posiz. 11 (solo l’annotazione nel relativo registro).

36 Porano, Archivio parrocchiale, Carteggio tematico, n. 4/1: «Lavori di Ampliamento Chiesa Par-rocchiale», doc. 7v.

37 Ibid., doc. 8.38 Ibidem.39 Ibid., doc. 9.40 Ibid., doc. 10.41 Ibid., doc. 11.42 Ibid., docc. 12, 23. La speciale Commissione si trova citata nella scelta delle decorazioni per la

nuova facciata o nel fallito tentativo di acquisto di un organo dall’Opera del Duomo.43 Ibid, docc. 12-14.44 Ibid., docc. 15-18.45 Ibid., doc. 19.46 Ibid., doc. 20. Sul danneggiamento dell’arco e la sua successiva parziale demolizione vedi

anche il doc. 19, punto n. 43.47 Per quanto riguarda la ricerca di un nuovo organo sono interessanti i docc. alla posizione 23.

Tra l’aprile e il maggio del 1916, il parroco don Girolamo Montini, in accordo con la “Com-missione pei restauri della Chiesa di Porano”, cercò di acquistarne uno usato di proprietà del-l’Opera del Duomo di Orvieto, che si trovava in Cattedrale, per la somma di lire 400. L’offertanon era accettata dalla Deputazione dell’Opera che stabiliva essere necessarie per l’accordoalmeno 500, da pagarsi anche in due rate.

48 Ibid., doc. 22. Cfr., , doc. 19.49 Ibid., doc. 24.

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Il fatto storico a cui ci si richiama èun accordo del 1573 fra le fami-

glie Monaldeschi e Farnese, chedominavano rispettivamente suicontigui contadi di Orvieto e diCastro, in virtù del quale a una qua-rantina di nuclei familiari alleronesiche accettarono di trasferirsi ad Arle-na vennero concessi, in temporaneoesonero da tributi, terreni da disbo-scare per renderli edificabili, rimet-terli a coltura e ricreare così la loronuova dimora nel paese castrense, inprecedenza distrutto, per farlo risor-gere a nuova vita. La copia dell’atto, rogato nel castellodi Valentano il 18 novembre 1573dal notaio Luciano Silvestri diCastro, e confermato il 13 gennaio1575 nel castello di Torre Alfina dalnotaio Domenico De Lucii diOrvieto, è conservata nell’Archiviodi Stato di Viterbo. Le parti con-traenti furono Giraldo Giraldi, pro-curatore di Ottavio Farnese, secondoduca di Castro, e i rappresentanti diquaranta famiglie di Allerona, con lamediazione di Sforza Monaldeschi,duca di Orvieto1.

1.1 L’oggetto del contrattoIl duca Ottavio Farnese, come silegge nel contratto, per invogliare lefamiglie alleronesi a trasferirsi con-cesse loro, a titolo di favore e diincoraggiamento, la tenuta di Arlenache poteva essere disboscata per rica-varne, come di fatti è avvenuto, deiterreni coltivabili e costruirci le caseper abitarci con le generazioni futu-re. Le famiglie trasferitesi furonomantenute esenti per dieci anni dagabelle relative all’utilizzo di cose peruso personale e per i loro lavori, madovevano pagare le molende ordina-rie e il sale a un baiocco la libbra.Furono lasciati alle suddette famigliei proventi del macello, della pizzi-cheria, dell’osteria, del forno e deidanni dati, non includendo la partespettante al podestà, al fine però difabbricarci la chiesa. Al termine deidieci anni le famiglie trasferitesidovettero pagare un canone annuodi riscatto contro garantito in solidodai cittadini orvietani Silvio diBisenzo e Girolamo Palazzi. Nel dettaglio i patti fondamentaliche regolarono l’accordo furono iseguenti: “ - In primo luogo il signor Giraldo, anome del Duca, concede per i prossimidieci anni alle famiglie nominate inpremessa e a quelle altre sempre prove-nienti da Allerona che si aggiungeran-no entro un mese, fino ad un totale diquaranta famiglie, e che ratificheran-no questo contratto con i relativi capi-toli, le tenute indicate sopra con i loroconfini, da disboscare per ricavarci ter-

reni coltivabili. Le suddette quaranta famiglie, o colo-ro che abiteranno in questa tenuta neidieci anni, dovranno pagare ogni anno375 scudi d’oro in oro nel mese dimaggio in occasione della fiera diToscanella lasciando un idoneo deposi-to a garanzia, se possibile nello Statodi Castro o altrimenti in quello diOrvieto, forma di sicurtà da potersiescutere in via principale.- I rappresentanti intervenuti, anche anome delle famiglie nominate in pre-messa e di quelle che dovranno arriva-re fino al numero complessivo di qua-ranta famiglie, si obbligano ad inse-diarsi nella tenuta di Arlena e nelcastello di Arlena e in capo ai diecianni avranno fabbricato case murateper loro abitazioni, alla pena di 25scudi da levarsi incontinente a quellafamiglia che avrà mancato di adem-piere a questo capitolo, somma da ver-sarsi all’erario ducale.- Il signor Giraldo, a nome del Duca,promette che per i suddetti dieci anniqueste quaranta famiglie sarannomantenute esenti da ogni gravezzasalvo che personale, a condizione peròche paghino le molende ordinarie e chelevino il sale a un baiocco la libbra, epaghino le tratte sul grano come fannogli altri abitanti dello Stato e per dipiù saranno mantenuti esenti dagabelle relative a utilizzo di cose peruso personale e per i loro lavori.- Si dichiara che le suddette famiglie,in ordine alle cause civili, criminali edei danni dati, saranno sottopostedirettamente al podestà in carica aTessennano e a quel tribunale dovran-no andare a farsi amministrare la giu-stizia. - Il signor Giraldo, a nome del Duca,promette che Sua Eccellenza Illustrissi-ma lascerà alle suddette famiglie i pro-venti del macello, pizzicheria, osteria,forno e dei danni dati, non includen-do però la parte spettante al podestà...al fine però di fabbricarci la chiesa, eper maggior sicurezza della sua realiz-zazione fa promettere che queste fami-glie eleggeranno ogni anno un deposi-tario autorevole in mano del quale siabbiano a sborsare i nominati proven-ti.- I rappresentanti promettono, a nomedelle quaranta famiglie che verrannoad abitare qui, che andranno a maci-nare a quel mulino di Sua Ecc.za Ill.ma che sarà loro indicato dal signorGiraldo o da chi per lui.- I rappresentanti suddetti, a nomedelle quaranta famiglie, promettonoche lasceranno in piedi otto alberi persoma di terreno che disboscheranno indetta tenuta di Arlena e inoltre che ilegnami che smacchieranno non lidaranno né venderanno ai forestieri enon li porteranno a vendere fuori delterritorio dello Stato, alla pena di duescudi per ciascuna volta che contrav-verranno, da versarsi all’erario ducale.- I suddetti promettono che questefamiglie non impianteranno vigne,orti e prati in numero superiore aquello che sarà assegnato dai ministridi Sua Ecc.za Ill. ma.- Si dichiara che il presente Capitolatoha durata solo per i prossimi diecianni passati i quali con Sua Ecc.za Ill.ma e i suoi ministri si dovrà trovareun nuovo accordo per governarsi per ilfuturo.- Il pagamento dei predetti onericomincerà a decorrere dall’inizio del1575 e l’esborso si farà ogni anno amaggio, come detto sopra, dunque ilprimo pagamento avverrà a maggiodel 1575”2.

1.2 Il contesto storicoPer comprendere meglio questoavvenimento può essere utile unabreve analisi del contesto storico incui è venuto a collocarsi perchéproietta Allerona e Arlena in unadimensione geografica più ampia;infatti questi documenti ci consento-no un collegamento col tempo pas-sato al quale fanno prendere forma eci rendono riconoscibili azioni edinamiche umane che acquistano unalto valore simbolico e non soltantola funzione di ricordo.Il Cinquecento, alba dell’età moder-na, è stato il secolo dei viaggiatoriCristoforo Colombo, AmerigoVespucci, Bartolomeo Diaz, Vascode Gama, contrassegnato da grandispostamenti e migrazioni da un ter-ritorio all’altro. E’stato il secolo dellarivoluzione copernicana, il secolodelle scoperte sensazionali di Leonar-do da Vinci che aveva progettato (esperimentato) le macchine per vola-re, la pompa, la pressa idraulica e inquest’epoca venne inventata la stam-pa. Prosperarono anche le arti, nel-l’accezione più ampia del termine,dalle espressioni figurative all’archi-tettura, agli studi scientifici, storici eletterari. Sul piano religioso la Chie-sa, col Concilio di Trento celebratosotto Paolo III Farnese, progettava erealizzava il proprio rinnovamentofacendo rifiorire la dimensione dellospirito. Il 1575 fu l’anno di un giu-bileo molto importante indetto daGregorio XIII, il papa della riformadel calendario, e che rappresentòl’ideale coronamento di tuttal’attività di restaurazione cattolicasvolta nel decennio precedente dopola conclusione del Concilio di Tren-to.Nonostante tutto ciò, sul finire delsecolo permanevano condizionisociali avverse. Ovunque si registra-vano ampie sacche di povertà causatedalle guerre, dalla disoccupazione,dalle malattie, dalla vecchiaia e sifaceva strada l’idea che la miseriafosse una colpa, quasi un castigodivino contro il quale non c’erarimedio3. Una situazione che portò,invece, gli ordini religiosi a creareuna rete di luoghi pii (monti fru-mentari, confraternite, ospedali ecc.)per cercare di alleviare la situazionecon opere umanitarie.E’ comprensibile perciò che anche lemigrazioni nei territori interni faces-sero parte della ricerca di soluzioniagli estremi disagi.Sul piano strettamente locale si ètrattato dunque dello spostamentodi un gruppo di famiglie da Allero-na, nel contado orvietano governatodai Monaldeschi, ad Arlena, nel con-tado di Castro sotto la famiglia Far-nese. Quanto alle motivazioni, pro-veremo a dimostrare come possonoavervi concorso diversi fattori, da unlato l’estrema situazione di povertà

in cui vivevano gli abitanti di Allero-na, gravati oltretutto da una serieinnumerevole di imposte, e sollecita-ti perciò dal bisogno di riscattoanche attraverso la ricerca di nuoveterre da coltivare, dall’altro le strate-gie politiche e militari delle famiglieregnanti nei rispettivi contadi.La storia locale ci testimonia fecondirapporti tra Allerona e Orvieto nelcorso dei secoli, non nascondendoperò che le guerre e l’instabilità poli-tica ancora nel Quattrocento aveva-no riversato pesanti conseguenze sulterritorio alleronese. Nel 1407, nellaguerra tra Orvieto e Acquapendenteera stata distrutta l’abbazia di SanPietro Aquaeortus, nel 1413 fu lostesso castello a subire profondidanni a causa della guerra che videopporsi Orvieto e l’antipapa Giovan-ni XXIII da un lato, ed il re diNapoli Ladislao d’Angiò dall’altro.Alle mire espansionistiche deiMonaldeschi sul contado, si intrec-ciarono alcuni anni più tardi quellesu Orvieto di Francesco Sforza, con-dottiero del duca di Milano FilippoMaria Visconti, per difendere unpiccolo feudo ad Acquapendente inposizione strategica tra Firenze eRoma. Alla fine del secolo Alleronasubì l’ennesima distruzione provoca-ta dal passaggio dell’esercito di CarloVIII che nel 1494 attraversò il con-tado di Orvieto facendo gravi danniin tutti i castelli4. Nel 1534 i conservatori della pace,magistratura di vertice del Comune

di Orvieto, al fine di risollevare lesorti del castello, concessero agliuomini di Allerona di istituire ungiorno di fiera ogni anno per la ven-dita di merci e bestiame in occasionedella festa di sant’Ansano per favori-re la presenza di mercanti da tutto ilterritorio orvietano5. Non disponiamo di dati sufficientiper comprendere se questo provvedi-mento favorì la ripresa economica diAllerona, ma più di un dubbio appa-re legittimo. A livello demografico,infatti, fra il 1540 ed il 1541 si veri-ficò un calo del 14,5% (da 344 abi-tanti a 294), con una lievissimainversione di tendenza fra il 1541 eil 1544 (+ 1%)6. Nel 1568 si aprì uncontenzioso fra la comunità e ilvescovo di Orvieto, il cardinaleGirolamo Simoncelli, per la soluzio-ne delle decime del grano e dellebiade prodotti nei terreni in localitàFontalone, che gli abitanti del castel-lo avevano cessato di versare daquattro o cinque anni. Si giunse adun accordo nel 1570 nel quale si sta-bilirono quantitativi minimi per ilfuturo, ma anche a compensazionedel passato, habita considerationepaupertatis et inopie dictorum homi-num et villicorum dicti castri7. Dal punto di vista economico, ilComune di Allerona nel 1574 si reg-geva con le seguenti entrate: dai pro-venti della tassa generale sul posses-so, dei danni dati, delle decime,della gabella dei pesi e misure, daidazi, dalle opere delle vigne, dadenari accettati da più persone, dalletasse sui cavalli morti, dai denari delgrano del podere Mulinello, dallatassa del taglione. Inoltre, sui cittadi-ni gravavano molti altri prelievi, dal-l’imposizione per il predicatore dellaQuaresima, all’imposta del catastonuovo a quella sul porto di Civita-vecchia, all’imposizione camerale esussidio apostolico8. A conferma di questo stato di indi-genza, nel successivo 1575 avvenneil trasferimento delle quaranta fami-glie alleronesi ad Arlena la cui rico-struzione rientrava nei disegni dellafamiglia Farnese.Arlena di Castro, situata a nord diTuscania, nella zona centrale delViterbese, sorge sui resti di Contene-bra, un antico insediamento etruscodistrutto dai Romani durante la con-quista della Tuscia. Gli abitantiscampati crearono in seguito duenuovi centri, Arlena e Civitella diArlena. Successivamente nel Medioe-vo le popolazioni si riunirono defini-tivamente nei pressi dell’attualeborgo rifondato appunto dai nucleidi famiglie di Allerona. Le condizioni economiche e socialidi Arlena in quel periodo dovevanoessere disastrose, anche se c’è da direche un simile processo di ripopola-mento interesserà, in questo periodo,numerosi paesi del Patrimonio9.

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Quando gli alleronesi rifondarono il paese di Arlena di Castro

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1.3 Gli attori:i Monaldeschi e i FarneseCome premesso, resta ora da focaliz-zare l’attenzione sui principali prota-gonisti di questo evento, SforzaMonaldeschi e Ottavio Farnese,rispettivamente a capo dei Ducati diOrvieto e Castro. Senza indugiaresugli aspetti di tutta la storia dellacasata Monaldeschi, dalla presuntaorigine longobarda10 all’affermazionenell’Orvietano tra il XII e XIII seco-lo e alle complesse e interessantivicende belliche e familiari, gioveràricordare alcuni fra i personaggi chesi sono distinti più degli altri, comeFrancesco Monaldeschi, vescovo diOrvieto nel 1279 e di Firenze nel1290, ma soprattutto Ermanno dellaCervara,che nel 1334 divenne il veroSignore di Orvieto dopo essere statonominato gonfaloniere del Popolo edella Giustizia “a vita”, Bertramo,fratello di Ermanno, che fu vescovodi Orvieto. Dopo Ermanno emerse-ro Ugolino e Benedetto di Boncontedella Vipera e poi ancora Masseodell’Aquila, Napoleuccio di PietroNovello del Cane11. Nel Quattrocen-to si devono ricordare, non permeriti militari ma artistici, Gentile eArrigo Monaldeschi della Vipera,Pietro Antonio della Sala, figlio diGentile Monaldeschi12. Nel 1527,anno del “sacco di Roma”, CamilloMonaldeschi dovette vedersela conl’esercito di Carlo V in lotta conFrancesco I per il predominio sull’I-talia. Seppe però ben organizzare laresistenza, portando da Trevinano ungruppo di uomini bene armati e cosìil castello della sua residenza di TorreAlfina poté resistere all’assalto13. Nel corso del XVI secolo la famigliaMonaldeschi non rivestiva più quelruolo dominante che aveva avutonella storia orvietana dei periodi pre-cedenti, ma erano comunque lafamiglia “più nobile e antica diOrvieto” che esercitava un ruolo diegemonia sociale e culturale di parti-colare evidenza, raccogliendo uncospicuo circolo di letterati ed artistiche aveva il perno delle proprie rela-zioni culturali soprattutto nella figu-ra di Monaldo Monaldeschi che,come letterato e storico, si era dedi-cato alla stesura dei suoi CommentariHistorici e aveva allacciato rapporticon vari eruditi contemporanei14.Suo fratello Sforza, invece, nel 1553,alla morte del padre Camillo, avevaereditato i possedimenti di TorreAlfina e cioè le case dentro e fuori lemura e il castello, che fece abbellire,dove da quel momento stabilì il cen-tro operativo15. A lui si deve anche lacostruzione di un palazzo di famigliaad Orvieto, oggi sede del Liceo Arti-stico, dopo aver ospitato la Fonda-zione Lazzarini e il Seminario Vesco-vile. Se con Monaldo si sviluppava laproduzione letteraria dei Monalde-schi, con Sforza si intensificarono irapporti con l’ambiente dei Farnesedel Ducato di Castro in specie con ilduca Ottavio Farnese16. La decaden-za della famiglia culminò definitiva-mente nel 1664 con la cessione diTorre Alfina alla CameraApostolica17.I Farnese discendenti da una fami-glia originaria della Tuscia, di etnialongobarda, titolare del feudoCastrum Farneti (odierna Farnese)posto sotto la protezione di Orvieto,rivestirono fra il XII e il XIII secolocariche militari e religiose nei territo-ri tra Orvieto e Tuscania. Ma lapotenza della Famiglia, che nel XVIsecolo divenne una delle più impor-tanti d’Europa, si deve ad Alessan-dro, legato da stretta amicizia aLorenzo e Giovanni dei Medici,divenuto papa nel 1534 col nome di

Paolo III. A lui, uno dei più autore-voli pontefici dell’età moderna, sideve la rinascita della Chiesa con ilConcilio di Trento. Questo papanon trascurò invece il rafforzamentodella propria famiglia e difatti asse-gnò a suo figlio Pier Luigi, avutoprima di abbracciare il sacerdozio, ilDucato di Castro, composto danumerosi feudi a ovest del Lago diBolsena, e la Contea di Ronciglione,dopo avergli concesso il Ducato diParma e Piacenza18, meritandosi perquesto l’ostilità di molte casate nobi-liari e l’accusa di nepotismo. Il terri-torio di Castro corrispondeva a unagrossa fetta dello Stato della Chiesa,tanto vasto e fertile da essere chia-mato il “granaio di Roma”, tantoimportante dal punto di vista politi-co e strategico perché si estendevasulle due principali vie di collega-mento con Roma, la Cassia el’Aurelia che andarono così soggetteall’amministrazione dei Farnese. Dopo la morte del pontefice, avve-nuta nel 1549, la famiglia continuòad annoverare tra i suoi membri altriuomini di primo piano quali Ales-sandro Farnese, primogenito di PierLuigi, creato cardinale nel 1534 einviato come vescovo a Parma, el’altro figlio di Pier Luigi, Ottavio,che fu dopo il padre il secondo ducadi Castro dal 1545 al 1547 e ancoradal 1553 al 158619.Ai fini della nostra ricerca interessala figura di Ottavio, artefice conSforza Monaldeschi della ricostruzio-ne di Arlena, in una continuità dirapporti fra le loro famiglie e soprat-tutto del legame dei Farnese con iMonaldeschi, con la città e il territo-rio di Orvieto attestato dalle fontidocumentarie orvietane e puntual-mente ricostruiti per i secoli XII-XIV insieme al ruolo di capitani euomini d’arme dei principali espo-nenti della famiglia come fedeli ser-vitori della Chiesa20. I Farnese, per il prestigio del loronome e per gli incarichi svolti,hanno lasciato traccia del loro opera-to a Orvieto soprattutto nel periododel primo Trecento, anche se “nonne diventano mai signori e la lorofortuna è destinata ad esprimersi inaltre aree geografiche”21.C’è poi da aggiungere come il conte-nuto di lettere originali, conservatepresso l’Archivio di Stato di Orvieto,confermi il reale legame tra le duefamiglie ben oltre l’alleanza politicafino a trattare faccende reali comuni.Da queste lettere, quasi tutte indiriz-zate ai conservatori della Pace diOrvieto, emerge un continuo richia-mo al legame affettivo con la città,supportato da esempi passati e con-suetudini consolidate22. Ai legamiaffettivi fece seguito anchel’imparentamento tra le due dinastieavvenuto tra il 1524 e il 1528 quan-do Bartolomeo Farnese sposò Iolan-da Monaldeschi23 nonché, secondoquanto scrive il Perali, l’iscrizionealla nobiltà orvietana di papa Farne-se che durante il pontificato fu aOrvieto con tutta la sua corte moltevolte tra il 1536 e il 154524. Col pontificato di Paolo III ebberogrande incidenza nella vita di Orvie-to sia Pier Luigi Farnese che unfiglio spurio del pontefice, TiberioCrispo, anch’egli ascritto alla nobiltàdi Orvieto, canonico della Cattedra-le, creato cardinale nel 1544; dal1551 (epoca della costruzione delpalazzo a Orvieto vicino al monaste-ro di S. Bernardino, oggi Palazzodelle Finanze) ebbe come proprioagente Nicola Monaldeschi.Come si è visto, molteplici erano gliintrecci e gli interessi che stavanoalla base di strategie comuni fra le

del valore di cinque lire, uno a SantaMaria principale chiesa del dettocastello e l’altro a Sant’Angelo (che erala seconda parrocchia del paese).Nella chiesa dedicata a quest’ultimoera eretto, tra gli altri, un altarededicato a San Rocco, come risultadalla seconda visita pastorale delvescovo di Orvieto Giacomo IVSannesio27, poiché questo santo figu-rava, insieme ad altri fra i protettorie patroni del castello di Allerona,come riportato al capitolo primo delquarto libro dello Statuto del 1585.Mentre degli originari cognomi alle-ronesi sembra essere sopravvissutosolo Evangelisti, più abbondantirisultano essere i toponimi comunitra i due paesi, seppure con qualchevariante (Via del Poggetto, La Pianta-ta, Fosso del cerro (Il cerrone), Pianac-ce, Banditella, Poggio delle guardie(Casetta delle guardie), Mandrioli(Mandrioncino), Vignaccio.

Gli studi portati avanti in vista dellapubblicazione del più volte citatoStatuto di Allerona del 1585, curatanel 2010 dalla Deputazione di Storiapatria dell’Umbria, hanno permessodi rifocalizzare l’attenzione su tantifatti di quell’epoca tra cuil’avventura ben riuscita verso Arlena,che dopo tanti secoli è rivissuta nellaprimavera dello scorso 2011 nell’in-contro tra le due comunità di oggi,premessa di un auspicata ripresa deirapporti verso nuove collaborazioniquasi all’insegna del motto virgilianoantiquam exquirite matrem28.

Claudio Urbani

paese di provenienza dei loro padri il13 giugno del 1664, quasi un secolodopo il trasferimento ad Arlena deiprimi nuclei familiari25. Insieme alle proprie esperienze lavo-rative, gli alleronesi hanno portatocon sé e trapiantato ad Arlena leproprie tradizioni religiose. Ne sonouna prova l’intitolazione della nuovachiesa parrocchiale a S. GiovanniBattista, uno dei principali protettorie patroni della comunità alleronesedi allora, come risulta dal prologodello Statuto medievale del castellodel 1585 e dal capitolo sedicesimodel secondo libro. Altre devozioni trasportate nellanuova cittadina furono quelle relati-ve alla Madonna Assunta in Cielo ea S. Rocco, ancora oggi testimoniatedalla presenza di una pala bifaccialedi epoca seicentesca, vanto dellachiesa parrocchiale di Arlena. Occor-re notare in proposito che allaMadonna Assunta è intitolata alme-no dal Milleduecento la chiesacastellana di Allerona. Nel corso delsecoli del basso Medioevo, quandoAllerona era formalmente sottomessaa Orvieto, vigeva la consuetudineche i castelli sottomessi del contadooffrissero un cero alla chiesa catte-drale di Santa Maria di Orvieto inoccasione della festa dell’Assunzionee sfilassero in processione26. Taleconsuetudine perdurava ancora nel1585, come si evince dallo Statutocomunale di quell’anno al capitoloXI del libro primo ove è detto cheAllerona doveva offrire un cero delvalore di dieci lire alla chiesa diSanta Maria di Orvieto e altri due

famiglie Monaldeschi e Farnese.La ricostruzione di Arlena, qualun-que sia stata la volontà iniziale, fufavorita perciò dalla contiguità geo-grafica dei due Ducati, dagli strettirapporti d’affari e di scambio, maanche dai vincoli di parentela che sierano stretti fra le due famiglie.

Considerazioni finaliLa rifondazione di Arlena avvenne inun periodo storico tranquillo che siera aperto con la Pace di Cateau-Chambrèsis, stipulata nel 1559 traFilippo II di Spagna e Enrico II diFrancia. Questa pace sancì la com-pleta egemonia spagnola sull’Italia,ma significò soprattutto la fine dellelotte fratricide fra Stato e Stato, fracittà e città, che per secoli avevanoassorbito ed esaltato le energie delnostro paese. Vicerè e gendarmi diMadrid garantivano l’assetto datoalla Penisola, che infatti rimase pres-sappoco inalterato fino ai primi delSettecento.Il Paese però era stremato, devastatodalle invasioni, demograficamenteimpoverito dalle pestilenze. L’operazione, che è stata fatta passarenegli atti notarili più come un bene-volo accoglimento da parte del ducadelle richieste di terra delle famigliealleronesi, in realtà ha avuto uncosto, solo in parte alleviato dall’e-senzione di alcune tasse.Delle famiglie trasferite non siamoin grado di rappresentare la lorocomposizione né il numero com-plessivo delle persone e la loro età. Sipuò supporre che si sia trattato ingran parte di persone giovani ocomunque non molto avanti con glianni, che avevano una lunga attesadi vita e in cerca per essa di un avve-nire migliore. Gli anziani non avreb-bero avuto gli stessi stimoli peraffrontare un completo trapianto divita e magari potrebbero essere statitrattenuti da un legame affettivo piùstretto con il loro ambiente nativo.Dovette trattarsi oltretutto, di perso-ne che non lasciavano beni di pro-prietà, visto che andavano a procu-rarsi futuri terreni e dimore. Inoltre,saranno state in prevalenza personeabili nelle attività di disbosco etaglio della legna, visto che insiemeall’agricoltura il bosco è stata larisorsa più importante di Alleronanei secoli fino alla prima metà delNovecento dello scorso millennio.Infine, di persone inclini all’avventu-ra, amanti del nuovo e del rischio.Non dev’essere stata comunqueun’emigrazione tutta d’un colpo,avvenuta cioè con un taglio netto.Trattandosi, infatti, di un paese daricostruire, è lecito supporre che adArlena non vi fossero stabili dimoree che i boscaioli alleronesi abbianoseguito le usanze avite, costruendosidelle capanne nel bosco per dimorar-vi nella stagione silvana, specie neiperiodi di cottura della legna perricavarne il carbone, una pratica cheè rimata i vita fra gli alleronesi alme-no fino a mezzo secolo del Novecen-to. In virtù di questa prassi, alcunialleronesi avranno certo fatto ritornoal loro paese di origine per curare ipropri interessi, mentre altri sarebbe-ro rimasti ad Arlena, per provvederealla vendita della legna o del carbonee per occuparsi di problemi di inse-diamento più stabili.A riprova di tutto ciò, si possonotrovare delle convincenti confermenegli atti del notaio Luigi Andreanidi Orvieto che riportano contratti dicompravendita di ex alleronesi nel

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Note1 Si tratta di documenti, provenienti dall’Archivio Storico Mandamentale di Valentano, collocati

nel Fondo Notai di Castro tra gli atti del notaio Luciano Silvestri, vol. III, 1572/1582, cc. 38r-40r, cc. 58v-61r.La notizia di questo fatto storico è stata riportata da P. Flaminio Maria Annibali nel testo Noti-zie storiche della Casa Farnese, Parte II (1818, pp. 60-62), da Gaetano Romano Moroni nelDizionario di erudizione storico ecclesiastica, Da San Pietro ai nostri giorni (1840-1861, pp. 74-75) e più recentemente nel testo intitolato Emergenze archeologiche e storico-artistiche del territo-rio comunale di Arlena di Castro (1992, p. 25) curato dall’Amministrazione Provinciale diViterbo e dall’Amministrazione Comunale di Arlena di Castro.

2 Archivio Storico di Viterbo, Storico Mandamentale di Valentano, Fondo Notai di Castro,notaio Luciano Silvestri, vol. III, 1572/1582, c. 39rv.

3 Black Christopher F., Le confraternite italiane del Cinquecento, pp. 21-31.4 R. Abbondanza (a cura di), Statuto di Allerona del 1585, DSPU, pp. XVIII-XIX. 5 Archivio di Stato di Orvieto, Archivio Storico del Comune di Orvieto (in seguito ASO), Rifor-

magioni, 243, c. 560rv (4 maggio 1534). 6 Archivio Comunale di Allerona (in seguito ACA), Libro del comune, aa. 1535-1568, cc. 67r-

70r, 77r-80r, 91r. 7 Ivi, aa. 1568-1580, c. 36v.8 Ivi, aa, 1568-1580.9 AA.VV., Emergenze archeologiche e storico-artistiche del territorio comunale di Arlena di

Castro, p. 25.10 Tra il 756 e il 774, scrive Monaldo Monaldeschi, “regnando dunque in Italia Desiderio, fu

Orvieto da esso restaurato, con altri luoghi di Toscana e d’Italia, com’egli fa manifesto nel suoeditto, parte del quale è registrato sopra nel primo libro di questi Commentari Historici. Etallora fu edificato un Castello a capo del piano dell’Alfina, da Orvieto lontano otto miglia;dov’era una sola Torre fatta in fortezza; onde il Castello prese il nome da quella torre: doveconcorsero quelli di Meana, Monte Cuccione, di Valcelle e d’altri luoghi ruinati in torno, perle guerre passate. E’ situata la Torre predetta nel mezzo de cassero di detto Castello, ampliato, earricchito di belle, e magnifiche habitationi da Signor Sforza Monaldeschi della Cervara“. (Cfr.M. Monaldeschi, Commentari Historici della Città di Orvieto, Venezia, appresso FrancescoZiletti, 1584, libro IV, pp. 22-23. La fonte cui fa riferimento Monaldeschi per la ricostruzionestorica è Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, in M. Montalto, Vicende storiche di Torre Alfi-na, Torre Alfina, 2000, p. 14).

11 J. Jacobelli, La rete dei Monaldeschi dell’Orvietano, p. 8.12 J. Jacobelli, Ivi, p. 22.13 http://it.wikipedia.org/wiki/Monaldeschi.14 S. Manglaviti, Urbisveteris antiquae ditionis descriptio, pp. 3-16. 15 AA. VV., I Monaldeschi nella storia della Tuscia, p. 123.16 http://it.wikipedia.org/wiki/Monaldeschi.17 http://www.canino.info/inserti/ monografie/i_farnese/storia_farnese/.18 Ivi. 19 Ivi.20 M. Rossi Caponeri, Orvieto e i Farnese (secc. XIII – XV): la documentazione esistente. I Farnese

nella Storia d’Italia, Atti del XXII Congresso Nazionale dell’A.N.A.I, pp. 123-129 e Documen-tazione farnesiana ad Orvieto (secc. XIV–XVI), Gradoli, 1987, p. 52.

21 Ivi, p. 129.22 Ivi, p. 53.23 Ivi.24 P. Perali, Orvieto note storiche di topografia e d’arte dalle origini al 1800, p. 174.25 ASO, Notarile mandamentale, II Versamento, n. 558, cc. 47-48, 49-50.26 E. Carpentier, Orvieto a la fin du XIII siecle. Ville et campagne dans le calastre de 1292, Paris,

Centre National de la Recherche Scientifique, 1986, p. 59.27 AVO, Visite Pastorali, Seconda Visita Sannesio, 12 settembre 1616, c. 68v.28 “Dardanidae duri, quae vos a stirpe parentum prima tulit tellus, eadem vos ubere laetoaccipiet

reduces. antiquam exquirite matrem. Hic domus Aeneae cunctis dominabitur oris et nati nato-rum et qui nascentur ab illis” (Virgilio, Eneide, libro III, versi 94-98), nel significato italiano“Dardanidi forti, la terra dei padri che a voi diede l’origine prima, è quella che attende nelgrembo fecondo il vostro ritorno. Cercate l’antica madre! Ivi la stirpe di Enea, i figli dei figli equanti vedranno la luce dei secoli saliranno alti al dominio su tutte le genti”. La frase dell’E-neide e’ quella detta dall’oracolo di Apollo a Delo (che viene male interpretata da Enea che sidirige a Creta invece di andare subito in Italia).

“Lettera Orvietana” è consultabile on line nei siti:www.isao.it - www.orvietoedintorni.it

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Un evento per la città. Nuovamostra del Maestro della pit-tura ermeneutica al Palazzo deiSette, con opere recenti digrande interesse e consistenza.

Non v’è dubbio che la testimo-nianza artistica e culturale di

Pier Augusto Breccia riveste partico-lar rilievo nella spesso confusa com-pagine della produzione pittorica delnostro tempo. Per chi segue questopoeta-artista nell’evolversi dell’e-spressività concettuale attraverso lamaterializzazione visionaria del rap-porto dell’umano con il trascenden-te, questo è un ulteriore, determi-nante tassello di un iter mai ultimodi straordinaria esperienza comuni-cativa. La grandezza di Breccia staproprio in questa incessante ricercadi certezze, attraverso la libera prati-ca dell’interpretazione. Dal dogmatismo estetico ottocente-sco idealistico e positivistico ai tenta-tivi espressionistici, sino al dissolvi-mento graduale del figurativo con gliastrattismi e gli atteggiamenti nichi-listici del secolo scorso… serviva unanuova via… che poi nuova non è,ma che appare così applicata consapiente determinazione all’esplica-zione pittorica che diviene illumi-nante segno di salvifico riscontroall’evanescenza di false promesseideologiche mai addivenute alla con-cretezza del vissuto, dello sperimen-tato, del fondante, del determinato.Con semplice afflato poetico, diestrema profondità e raffinatezza,nella sua lucida e scabra essenzialità,l’opera di Breccia si immerge in undialogo filosofico-spirituale di situa-zioni estreme date dalla pratica arti-stica, nel metafisico tentativo dicomunicazione tra esistente e tra-scendente per mezzo della cifra,quella cifra che a sua volta è manife-stazione all’umana progenie di unoltre sentito e manifestato. In talsenso viene utilizzata l’ermeneutica,come metodo d’indagine interpreta-tiva soggettiva, funzione esegeticaspirituale per la comprensione dell’e-sistenza, ancoraggio confortante diriflessione. Dalla visione gnoseologi-ca illuministica al sistema ermeticoellenistico, esoterico alchemico, alladeriva nichilista esistenzialista delsecolo scorso. Con piacere avviamoconfronti con le aperture dialogicheermeneutiche, che di sicuro apporte-ranno benefici effetti alle tante, pres-santi richieste di verità.

Risponde il Maestro

Che cosa s’intende per pitturaermeneutica?La pittura ermeneutica non è un“altro modo di dipingere” nel sensodi una corrente stilistica o di unnuovo “trend” avanguardistico con-temporaneo, ma un modo-altro diintendere l’arte: un modo, cioè, cheaffida all’arte visiva (e non solo aquella) una funzione rivelatrice del-l’Essere nel senso in cui questo vieneproposto dalla filosofia ermeneuticadel Novecento, e in particolar modo

da Heidegger. L’orizzonte dell’Essereentro il quale si muove il pensieroermeneutico del Novecento traspareinfatti in ogni punto dell’esistente,tanto nella nostra esistenza personalequanto in quella del nostro universoe del nostro mondo (ciò che Heideg-ger chiama l’”esser-ci”). Dunque il senso piùvero ed autentico di noi stessi e dellecose che ci circondano va ricercatonon più e non soltanto su un pianologico razionale, ma prima di tuttoattraverso l’interpretazione personaleche noi diamo a noi stessi e alle coseattraverso la nostra immaginazione ela nostra sensibilità, aprendoci al lin-guaggio dell’Essere ed accogliendo innoi stessi la sua significabilità sem-pre-ultima e mai-ultima. Un approc-cio, dunque, quello dell’Ermeneuti-ca, tutt’altro che dogmatico o meta-fisico nel senso più tradizionale dellaparola. La pittura ermeneutica siinquadra in quest’ottica, offrendoallo spettatore un linguaggio signifi-cabile rivelatore dell’Essere, aperto algioco di un’interpretazione personaleche nel dare un senso dinamicoall’immagine, dà un senso altrettantodinamico anche a se stesso. Non piùdunque uno spettatore passivo,messo di fronte ad un’immaginedescrittiva di un fatto o di una cosa,tutto intento a catturare l’idea o ilracconto che l’artista ha voluto pro-porre, ma uno spettatore chiamatoad interpretare l’immagine facendolaegli stesso - con la propria cultura, lapropria esperienza, la propria inno-cenza - diventare “fatto” o “cosa”all’interno della sua stessa coscienzae nell’orizzonte della sua stessa esi-stenza. L’Essere, che è la radice uni-versale della nostra esistenza, trasparecosì nell’esser-ci individuale,ampliandone i limiti e proiettandoneil senso in una dimensione che lotrascende all’infinito.E’ ovvio che, senza la libera parteci-pazione dello spettatore all’interpre-tazione ermeneutica dell’immagine,questa non avrebbe altro significatose non quello di un “nulla”. Ma laproposta ermeneutica consentecomunque, a chi vuole, di uscire daquel “nichilismo” di cui è impregna-ta la cultura e, soprattutto, l’artevisiva del nostro tempo.

Qual è il concetto di cifra? Il concetto di cifra è fondamentalesia per la filosofia ermeneutica cheper la mia pittura. Qualsiasi linguag-gio rivelatore dell’Essere deve infattisfuggire ai limiti della convenziola-niltà, ossia ai limiti impostigli dallesignificazioni “ultime”. Quello chenella tradizione metafisico-religiosaviene proposto come “logos” o come“verbo” è di fatto il linguaggio allasua origine: quello cioè che nasce dalsilenzio e che proprio da lì dà origi-ne alla “parola”. Ogni linguaggiocreativo, dunque, si propone sulpiano dell’esistente con l’aspetto diun linguaggio cifrato. La cifra del-l’Essere si apre così alla significazioneda parte dei sensi e della ragione,lasciandosi tradurre liberamente sulpiano dell’esistente come “simbolo”o infine come “parola”, rischiandocosì di scadere nella ristrettezzadelle significazioni dogmaticamenteultime. Il linguaggio dell’arte, tutta-via, e in particolar modo quello diuna pittura che si propone comeermeneutica, è esposto molto menoad un rischio del genere. Proponen-dosi, infatti, nella forma di una

significabilità intellettiva ed emozio-nale di tipo poetico (meglio sarebbedire “poietico”), possiede in se stessola capacità di conservare la propria“cifra” perennemente aperta a sem-pre nuove significazioni.

Può esser individuato un rapportoprivilegiato tra gnosi ed approccioermeneutico nell’ambito della pro-duzione artistica e culturale?L’ermeneutica, sia sul piano filosofi-co che su quello artistico, non hanulla a che fare con quella che siintende comunemente come “gnosi”.La prima pretende un rapporto conil trascendente (in particolare nelpensiero di Jaspers) che ha la caratte-ristica di un rapporto mistico (speciein Heidegger), o di una vera e pro-pria “grazia” (come nell’esistenziali-smo spiritualista di Marcel, moltovicino alla visione cristiana dell’esi-stenza). La gnosi, invece, quella cheviene definita “spuria” per distingerlada quella “pura”, o illuminata dallaGrazia, non ha alcun bisogno di untrascendente che si riveli, ma preten-de di costruirselo attraverso praticheo metodi razionalmente fabbricati(anche quando si tratta di pratichecosiddette magiche o esoteriche). Lagnosi “spuria”elabora un linguaggiodi “simboli” precostruiti.L’ermeneutica - o gnosi “pura” - siapre al dono della “cifra”.

La funzione esegetica della spiri-tualità?Il termine “spiritualità” è uno deitermini più ambigui dei quali si ser-vono tanto l’arte che la filosofia,attribuendogli in maniera pregiudi-ziale un carattere di purezza ed unaqualità eccelsa rispetto ai limiti dellafisicità. Ora, tutto ciò può esser veroin alcuni casi; ma non dobbiamodimenticarci che lo spirito dell’uomoè uno “spirito libero”.Basta fare un’esegesi dello “spirito”umano attraverso l’analisi dei fatti edegli eventi della storia - ma baste-rebbe pure un esame di coscienzapersonale - per rendersi conto diquante sopraffazioni e di quantimisfatti esso è responsabile in ognispazio e in ogni tempo dell’esser-ci.La trasparenza dell’Essere nell’esser-ci ermeneutico - soprattutto incampo morale - non libera certa-mente lo spirito umano dalle propriedebolezze e dai propri limiti, puroffrendogli una possibilità di riscattoo una qualche forma di sublimazio-ne, attraverso la quale il male e lacolpa non vengono cancellati, mapiuttosto redenti (questo tema è fon-damentale nella filosofia di Ricoeur).Solo lo Spirito Santo ha la pretesa dioffrire allo spirito umano la comple-ta salvezza. L’arte, dal canto suo, siaccontenta di mettere in armonia letante contraddizioni dello spiritoveicolandole senza alcuna cancella-zione verso la loro originale pienezzae la loro irrazionale bellezza. Proprioper questo la pittura ermeneuticanon sarà mai una pittura dogmatica,pur permettendo, a chi vuole, diintravvederci i suoi dogmi cultural-religiosi. Essa, piuttosto, lascia tra-sparire in ogni suo punto il continuocontrasto tra il buio e la luce, ilrotondo e lo spigoloso, il grigio e ilcolore, che costituiscono di fattol’irrinunciabile impalcatura delnostro edificio esistenziale, tanto spi-rituale che fisico.

Francesco M. Della Ciana

Il Maestro della pittura ermeneuticaOpere recenti di Pier Augusto Breccia alla Rupe

Acinque anni di distanza dalla sua ultima mostra al Palazzo dei Sette(Dicembre 2007) e a trent’anni dal suo esordio come pittore presso la

Galleria Maitani, è ritornato ad Orvieto – luogo d’origine della sua famigliapaterna – Pier Augusto Breccia, artista internazionalmente affermato e rico-nosciuto come il caposcuola della pittura ermeneutica. L’autore ha propostoqui 60 sue opere – tutte ad olio su tela – eseguite negli ultimi cinque anni,assolutamente inedite per il pubblico orvietano. In particolare, la mostra hapresentato, nel suo contesto, un più che interessante gruppo di opere dal tito-lo provocatorio “Città in-esistenti”, recentemente esposto presso il MuseoManege di Sanpietroburgo (agosto 2011) per la prima volta visibili in Italia.Queste città “in-esistenti”, che abitano cioè dentro di noi, si propongonocome la metafora del luogo e dell’altrove di noi stessi nella loro indissolubileunità: dove il luogo si presenta già di per sé come forma concreta dell’altroveproprio perché la cifra dell’Essere e l’apparente chiarezza dell’Esserci, nellavisione ermeneutica che sottende l’intero linguaggio pittorico di Breccia, sonouna cosa sola. Contraddizioni, paradossi, angosce, paure, esaltazioni, cadute,momenti di sconforto e di speranza: sono queste le fondamenta sulle quali siregge la complessa architettura di quelle città in-esistenti che fioriscono, cre-scono, muoiono e rinascono insieme a noi e dentro di noi, accompagnandociad ogni istante della nostra esistenza. Sono le città-coscienza, nelle cui piazze,nei cui vicoli, nelle cui strade, nei cui edifici possiamo mostrarci o nasconder-ci nella più assoluta nudità di noi stessi. Tutta la pittura di Breccia si confron-ta comunque da sempre con i temi più classici dell’ontologia metafisica. Pro-prio perché ermeneutico, il suo linguaggio cifrato resta universalmente apertoall’interpretazione personale, recuperando e risolvendo così, in chiave onirica,o ironica, quei temi di cui, nella tradizione occidentale, si occupano di solitola filosofia e la teologia in maniera ben più pesante e dottrinale. Accanto ai 60 dipinti, alcuni dei quali davvero monumentali, sono statiesposti anche disegni preparatori relativi alle opere in mostra o a quelle diprossima realizzazione. In anteprima si sono potute infine ammirare duegrandi tele destinate ad una mostra internazionale sul tema dell’acqua pressoil Museo Oceanografico di Montecarlo nell’ottobre p.v.

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Nella seconda metà del XIIIsecolo sono scoperti i ricchi

giacimenti d’argento a Kutná Horain Bohemia, e la città che originaria-mente è mineraria, è velocementetrasformata in città regia. Grazie allasua ricchezza entra in concorrenzacon Praga nel settore economico,politico e culturale. Re Venceslao IIchiama Gozzio da Orvieto per orga-nizzare tutta la trafila dall’estrazionedell’argento, alla raffinazione, al cal-colo e alla preparazione della lega,alla fusione, alla laminazione, alconio delle monete chiamate Grossipraghesi (Ceco: pražský groš. Latino:grossi pratense. Tedesco: Prager Gro-schen. Polacco: Grosz praski) in cir-colazione dal 1300 al 1644. Chi èGozzio da Orvieto? Di lui si cono-scono poche ma importanti notizie.

Nasce in Orvieto intorno al 1260,studia nell’antica Università diOrvieto che, secondo alcuni storici,sarebbe di origine antichissima, risa-lendo addirittura al 1013 e la cuipresenza è largamente attestata neidocumenti del XIII secolo prima diessere riconfermata, nel 1377, dalcardinale Egidio Albornoz. A questoantico Studium, la cui attività è par-ticolarmente vivace nel campo deldiritto, sono legati, tra gli altri, inomi del monaco benedettino Gra-ziano, toscano abitante in Monifierodi San Felice di Bologna morto nel11511, e di Goççius-Gozio-Gezio2 diOrvieto3 creatore della Zecca boemadi Kutná Hora e autore dello Iusregale montanorum. Gozzio deve averfrequentato l’importante Zecca diOrvieto facendo tesoro di quantovede. Orvieto, infatti, è sede dallametà del XIII secolo a quella delXVI di una Zecca per il conio dimonete: le ultime notizie di moneteconiate in Orvieto dalla Zecca citta-dina risalgono al tempo del cardinaleFilippo Antonio Gualterio4, mortonel 1728, magnifico numismaticoche colleziona una raccolta ricchissi-ma di monete e medaglie, andatedisperse dopo la sua morte, tra lequali alcuni esemplari delle raremonete della Zecca orvietana. Daquesta Zecca, molto efficiente, CarloI d’Anjou, re di Napoli, trovandosiin Orvieto, in ben altre faccendeaffaccendato, visitando la Zecca erimanendone affascinato dalle tecni-che di lavorazione e soprattutto dilega, invia sabato 16 maggio 1282,un ordine scritto ai suoi zecchieri diBrindisi, Tommaso d’Affitto e Gia-como Castaldo, dimoranti in Brindi-

si, affinché si rechino a Chiarenza(Zecca importante in provincia diCatania, N.d.A.), portando seco1.600 libbre di bulzonale5, perché si«devono battere in quella Zecca inuovi piccoli tornesi». Edoardo Martinori6 nella pubblica-zione annuale del 1910 della Rivistaitaliana di numismatica e scienze affi-ni riporta all’anno 1338 il documen-to che segue che testimonia la pre-senza di Angelo da Orvieto allaZecca di Montefiascone: «Die XImens. iul. 1338 de mandato dominicapitanei Patrimonii tradidit domi-nus Hugo thesaurarius Ser Checomagistri Petri de Senis qui de man-dato dicti domini capitanei et supra-dicti thesaurarii venerai de Senis adeorum mandata pra moneta cuden-do iuxta (mandatum) eisfactum perdominum nostrum quod possintfacere cudi monetam in Patrimonioet reversus de Senis, venit apudMontemflasconem primo die mensisMaii et continue stetit usque ad XIdiem mensis julii ad expensas the-saurarie cum uno equo et uno famu-lo, et Angelus de Urbeveteri cumuno famulo per unum mensem, etpacta nobiscum fecit de cudendamoneta retenta delibacione usque admensem pro suis operibus … quibuscorecit et expensis suis eundo etredendo X floren7. (Documento ine-dito comunicatomi dall’AvvocatoAntonelli di Montefiascone)».Questo Angelo da Orvieto potrebbeessere un omonimo del celebrearchitetto (1317: † 1368), che lavoranella sua città al duomo e ad alcunipalazzi e a Città di Castello erige,almeno in parte, il Palazzo delComune nello stesso anno dell’invioalla Zecca di Montefiascone (1338)e quello del podestà (1368) firmati:architector Urbe de Veteris Angelus. AGubbio a lui si attribuisce il Palazzodei Consoli, dove la sua firma è sulportale, e altri palazzi. Egli è unegregio esponente dello stile gotico-romanico contenuto del tempo, chesa bene inquadrare nell’ambiente.Nel 1317 restaura l’acquedotto diPerugia. Inoltre, l’importanza e lafama della Zecca di Orvieto sonoanche dimostrate dal fatto che papaUrbano V nel 1364 chiama il diret-tore orvietano della Zecca a dirigerein Avignone la Zecca pontificia, nelquale ufficio continua ancora nel1368, come riferisce monsignorGarampi8 intorno ai provvedimenti ecapitoli da osservarsi nella formazio-

tient à la structure théorique desquatre livres, qui présente pour lapremière fois avec autant de clarté laforme juridique des entreprises et ledroit des personnes et des groupes. Ilenregistre en les classant les diffé-rents types de contrats que l’on ren-contre dans le monde de l’Europecentrale, et qui visent à activer laprospection et l’exploitation miniè-res»1. Nella Repubblica Ceca così si ricor-da tuttoggi lo Ius regale montanorum: „právo t žit horu” i „právo horního regálu”, známý také jakoConstitutiones iuris metallici, bylhorní zákoník a mincovní reformavydaná v roce 1300 Václavem II.Zákoník upravoval podmínky pro t žbu a zpracování st íbra. Napíklad p esn stanovil podíl krále na tžb a ražb st íbra i zavedl novouminci Pražský groš. Obsahoval taképravidla k zajišt ní bezpe nosti práce,p edpisy o výplat mezd, délcepracovní doby a také protikoali ní p edpisy, zakazující horník m a kovám samostatn se organizovat ve spolcích. Tento zákoník, vydaný zapomoci právník z Itálie (hlavní podílna vytvo ení zákoníku m l Gozzius z Orvieta), byl na svou dobu velicepokrokový. Zákoník byl díky svýmustanovením, jež zatím nem laobdoby, p eložen do mnoha jazyka byl používán v mnoha zemích svta. V zemích Koruny eské tentozákoník platil až do roku 1834, kdybyl nahrazen obecným hornímzákoníkem.

Sandro Bassetti

Note1 Pierre Le Lorrain De Vallemont, Gli ele-

menti della Storia, tomo III, pag. 150,Venezia, Girolamo Albrizzi editore, 1718.

2 Tommaso conte Piccolomini Adami, GuidaStorico-Artistica della Città di Orvieto, Siena,Tip. all’ins. di S. Bernardino, 1883, p. 311.

3 Il beato Angelo Gozio è il primo priore delconvento di S. Domenico in Orvieto. Tom-maso conte Piccolomini Adami, Guida Sto-rico-Artistica della Città di Orvieto, Siena,Tip. all’ins. di S. Bernardino, 1883, p. 329.

4 Filippo Antonio Gualterio, cardinale,discendente di un’antica famiglia orvietana,figlio di Stanislao Gualterio, gonfaloniere diOrvieto, e di Anna Maria Cioli, nobile diTodi. Bisnipote del cardinale Carlo Gualte-rio (1613-1673) e zio del cardinale LuigiGualterio (1706-1761). Sepolto nelDuomo di Orvieto all’interno della Cappel-la di San Brizio assieme allo zio GiannottoGualterio e al prozio cardinale Carlo,entrambi arcivescovi di Fermo, e al fratello,Ludovico Anselmo vescovo di Todi. FilippoAntonio è creato cardinale da papa Cle-mente XI nel 1706. Riceve il titolo di SanCrisogono nel 1708. Dal 1709 è arcivesco-vo di Todi, fino a quando il titolo passa alfratello Ludovico Anselmo, nel 1714.Ottiene poi il titolo di Santa Cecilia (1724)e infine quello di Santa Prassede (1726). Ènominato prima cardinale protettore diScozia e poi cardinale protettored’Inghilterra.

5 Bronzo vecchio.6 Edoardo Martinori (Roma, 1854: † 1935) è

un numismatico, viaggiatore e alpinista ita-liano, pioniere in Italia della pratica dellosci. Ingegnere di professione, coltiva vastiinteressi che fanno di lui una figura di «raf-finato intellettuale, viaggiatore, sportivo econoscitore di lontani mondi». Martinoriricopre la carica di vice presidente dell’Isti-tuto Italiano di Numismatica.

7 Arch. Vat. Introit et exit n. 154 e 166.8 Giuseppe Garampi, Saggi di osservazioni sul

valore delle antiche monete pontificie, Roma,1766, documenti nn. 12 e 18, p. 41, 46.

9 Per signoraggio è comunemente intesol’insieme dei redditi derivanti dall’emissionedi moneta. Nell’antichità, quando la basemonetaria consiste di monete in metalloprezioso, chiunque disponga di metallo pre-zioso può portarlo presso la Zecca di Stato,dove è trasformato in monete con l’effigiedel sovrano. I diritti spettanti alla zecca e alsovrano sono esatti trattenendo una partedel metallo prezioso. Il signoraggio in talecontesto è dunque l’imposta sulla coniazio-ne, noto anche come diritto di Zecca. Ilvalore nominale della moneta e il valoreintrinseco delle monete non coincidono, acausa del signoraggio e dei costi di produ-zione delle monete. L’imposta sulla conia-zione serve poi a finanziare la spesa pubbli-ca. Nel caso in cui lo Stato possieda minieredi metallo prezioso, il signoraggio coincidecon la differenza tra il valore nominale dellemonete coniate e i costi per estrarre ilmetallo prezioso e coniare le monete. Giàcon i romani, da Settimio Severo si puòparlare di signoraggio: questo imperatoredimezza la quantità di metallo preziosocontenuto nelle monete, mentre lascia inva-riato il valore nominale.

10 Rodolphe-Madeleine Cleophas Dareste dela Chavanne, Études d’histoire du droit,Paris, L. Larose et Forcel, 1889, p. 161.

11 Adolf Zycha, Das böhmische Bergrecht desMittelalters auf Grundlage des Bergrechts vonIglau, 2 voll., Berlin 1900, p. 40.

ne della lega, e battitura delle mone-te d’argento della Zecca predetta. Gozzio, secondo l’«invito» del re, sireca a Kutná Hora portandosi dietroun numero considerevole di collabo-ratori della Zecca di Orvieto tantoche la zecca centrale è denominataancor oggi «Corte Italiana», perchéesperti italiani (orvietani) vi vivono evi lavorano. Gozzio e alcuni suoicollaboratori stilano quattro libridenominati Ius regale montanorum(il quarto è scritto completamenteda Gozzio che ha profonda cono-scenza del diritto romano). Lo Iusregale montanorum, noto anchecome Constitutiones Juris Metallica èun codice di diritto minerario e dimonete emesse nel 1300 VenceslàoII, che disciplina le condizioni perl’estrazione e la lavorazione dell’ar-gento nonché il signoraggio9. Sonoincluse anche le norme per garantirela sicurezza, le norme sul pagamentodei salari, orari di lavoro e dei rego-lamenti dei minatori e fabbri chepossono auto-organizzarsi in associa-zioni. Il presente codice, pubblicatocon l’assistenza di avvocati prove-nienti dall’Italia, è molto progressistaper il suo tempo. Il codice è, a causadella sua nomina che non ha equiva-lenti, tradotto in molte lingue ed èutilizzato in molti paesi. Nelle terreceche, questo codice è applicato finoal 1834, quando è sostituito da uncodice generale superiore.Tanto per rimanere nel tema diNemo Propheta in Patria leggiamocome si ricorda Gozzio d’Orvieto inEuropa. Scrive il giurista francese RodolpheDareste (1824: † 1911): «Le roiVenceslas II voulut le reprendre et fitvenir d’Italie, à cet effet, ua docteuren droit civil et canonique, M°Gozzi, d’Orviéto. Cette fois c’étaitde droit romain qu’il s’agissait; maisle droit romain n’eut pas plus desuccès auprès des barons tchèquesque le droit allemand. Il ne resta decette seconde tentative qu’une loi surl’explicitation des mines et sur lacondition des ouvriers mineurs.Rèdigée en quatre livres, sur lemodèle des Institutes de Justinien, ellefut promulguée en l’an 1300, sous lenom de Ius regale montanorum»10.Adolf Zycha, storico del diritto(Vienna 1871: † Bonn 1948), pro-fessore all’università di Friburgo inSvizzera (1898), all’università tedescadi Praga (1903) e alle università diGiessen (1919) e di Bonn (1923)così ricorda Gozzio d’Orvieto:«Cependant, la zone minière de Kut-tenberg (Kutná Hora), soit 30 km2,où certains filons atteignalent uneconcentration d’argent de l’ordre de2,5 %, connaissait a la fin du XIIIe

siècle une activité fébrile; la produc-tion d’argent affiné aurait atteint oumême dépassé les 5 tonnes à l’année,et nécessitait un ajustement moné-taìre. Le Ius regale montanorum ouConstitutiones juris metallici, promul-gué en 1300 en même temps qu’uneloi sur la monnaie, comportait deséléments de la pratique et des usagesde Kuttenberg, qui se diffusèrentainsi à l’ensemble de la Bohême, etprenait, dans sa rédaction par le juri-ste Gozzio d’Orvieto, et la dédicacepar le roi Wenceslas II a tous lesmineurs de son royaume (montanissuis per regnum Bohemiæ universis)une portée nationale, et une réputa-tion qui dépassa les frontières de laBohéme. La particularité de ce statut

Nemo Propheta in PatriaGozzio da Orvieto

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Lo scorso 5 gennaio è stato pre-sentato, presso la Biblioteca

Comunale di Allerona, il secondonumero della collana “QuaderniAlleronesi”, dedicato alla storia dellachiesa di Santa Maria del Poggio eredatto da Claudio Urbani.L’iniziativa si colloca all’interno del-l’anniversario venticinquennale dellastessa Biblioteca Comunale e si basasullo studio di una chiesa filialetanto più importante perché dipatronato, ossia sotto la responsabili-tà più o meno diretta, sia nellamanutenzione straordinaria cheordinaria, della comunità di Allero-na; una chiesa degli alleronesi, diquella che una volta era detta la“commune”. Oggi si direbbe dei cit-tadini (parafrasandone e, forse,imbarbarendone un po’ il senso edistaccandolo dalla sua radice etimo-logica), di una di quelle associazionidi fatto che nel corso dei secoli sisono formate nei piccoli paesi persoddisfare, tra l’altro, anche i bisognidella popolazione. Un insieme dirappresentanti che si occupavanodella gestione dei beni comunali, cheprendevano decisioni in determinatematerie di arbitrio della comunità. Eche cosa c’è di più importante per lapopolazione della cosiddetta ammi-nistrazione dell’istruzione? Un temache si collega direttamente al testodal quale emerge una attenzione spe-cifica per la storia “particolare”(quella che qualcuno definisce “pic-cola”, attributo quanto mai sbaglia-to): la storia della gente comune,soprattutto quella dei piccoli borghi,una storia unita, perché legata allaspecificità, e di persone che vivevanola stessa situazione e a volte, mipiace pensare, la stessa vita, di gene-razione in generazione. Un filo con-duttore del quale cambiano gliaddendi ma non il risultato, cioè labellezza e l’unicità di tutti gli splen-didi paesi dell’Orvietano, borghi chevenendo da realtà legate all’incastel-lamento (anche tardo), alle mura,alle rocche, alle fortezze, pur oggi,nella modernità più sfrenata, vivonola loro identità locale, soprattuttonei periodi di crisi, nel quale è sinto-matico il voler ricollegarsi al passatoattraverso la riscoperta di tradizioni,usi, costumi e anche la produzionedi opere come questa che ne esaltanole prerogative.La piccola chiesa del Poggio Vecchiooggi non esiste più, in quanto abbat-tuta a fine Ottocento; essa era senzacura d’anime, non aveva redditi pro-pri e si reggeva con le elemosine e icanoni dei beni affittati, denaro poirimpiegato per elargire censi. Nel corso del Settecento,l’assegnazione dei censi, ossia di pre-stiti più o meno cospicui (del qualel’autore ci propone una bella carrel-lata, quanto mai interessante perchéricca di antroponimi e toponimi,ossia nomi di persona e di localitàdella Allerona che fu) può essereintesa come una sorta di creditoagrario per la conduzione dei terreni.Con il tempo, questa attività di pre-stiti cominciò a fruttare una certadisponibilità di denari, spesso rein-vestiti per i compensi degli ammini-stratori, per le spese per il culto(come l’acquisto di cera, olio o arre-di sacri) e per lo svolgimento di fun-zioni e feste religiose. La chiesa, ingergo definibile filiale, ossia sottopo-sta dal punto di vista religioso allaparrocchiale, era, come già detto, di

jus patronato della comunità, oggipotremmo dire che la comunità nefosse responsabile, ma non era cosìsemplice. Infatti, quello del patrona-to è un concetto che va oltre laresponsabilità più o meno diretta; sitrattava di un sistema legato diretta-mente a quello beneficiale chegarantiva, dietro la corresponsione diun insieme di beni e della loro ren-dita, l’obbligo da parte di chi lo rice-veva di assolvere ai servizi connessi.Le rendite erano assegnate al titolaredi un ufficio ecclesiastico, come inquesto caso per la chiesa in oggetto,ed era un sistema che si configuravaaddirittura dal periodo medioevale,venendo regolarizzato dalle emana-zioni del Concilio di Trento. Quellobeneficiale era il diritto di percepire ifrutti dai beni della chiesa, ossia daibeni di proprietà di quel dato bene-ficio (chiesa parrocchiale, filiale, cap-pellania, legato...) in cambio del-l’amministrazione di determinatefunzioni prefissate, come la celebra-zione di messe e, nel nostro caso,anche la gestione scolastica diretta-mente connessa.Il patronato, a sua volta, non eradirettamente la possibilità di nomi-nare un religioso a un dato compito,ma più specificatamente un dirittocon il quale chi lo assumeva (fami-glie, religiosi, conventi e nel nostro,ma anche in tanti altri casi, le comu-nità) aveva la possibilità di proporreall’ordinario diocesano un nominati-vo di persona gradita ad assumere undato ruolo che il vescovo, dopo lerelative indagini, poteva confermareo di rispedire al mittente per unaproposizione più gradita.Di fatto però il giuspatronato laicalenon poteva essere calpestato libera-mente, esso si ricollegava, probabil-mente, all’erezione della stessa chiesavoluta espressamente dagli alleronesi;di converso, lo stesso diritto com-portava, da parte di chi lo acquisiva,l’accollo delle spese di gestione, ordi-narie o straordinarie, che inevitabil-mente si sarebbero presentate nelcorso del tempo. Tra le mansioni direttamente con-nesse alla chiesa filiale del PoggioVecchio, oltre all’aspetto devozionale(e da qui il titolo che Urbani dà alsuo lavoro), vi erano anche quellerelative alla nomina del maestro discuola, per cui il cappellano sceltoper officiare questo luogo non pote-va essere un religioso qualunque, madoveva assurgere a funzioni, oggidiremo, pedagogiche. Infatti, oltre acelebrare la seconda messa domeni-cale e gli uffici legati al suffragio deidefunti che per le loro anime o perquelle dei loro cari lasciavanosomme in denaro o, anche, benimobili e immobili, egli doveva elar-gire la prima istruzione ai ragazzialleronesi, era quindi necessario chefosse preparato e al tempo questonon era così pacifico. Il disposto,infatti, era relativo non solo all’Otto-cento e ai secoli precedenti, ma risa-liva addirittura al Cinquecento,quando gli atti della visita post-tri-dentina del vescovo Binarino ci por-tano a conoscenza di una situazionenon idilliaca riguardo la stessa istru-zione dei religiosi in tutta la diocesi.Nel 1573, anno nel quale comincia-va la citata visita apostolica, esistevagià la chiesa del Poggio Vecchio, chel’autore, rifacendosi a una deliberacomunitaria, indica come precedentealmeno all’anno 1561, anche se non

ne trova traccia nei due statuti dellacomunità di Allerona (peraltro conopera meritoria già trascritti e pub-blicati); nel 1573 gli atti della visitaparlano di una chiesa di piccoledimensioni (con due altari), affidataad un santese (ossia un amministra-tore temporaneo) e denominata“Madonna del Po’ Vecchio”, fuorima nei pressi del castello di Alleronae, come detto più volte, sotto la curadella comunità dello stesso castro. Laquestione della cura non riguardaval’esclusiva proprietà o gestione daparte della comunità, in quanto lechiese diocesane sono comunque dipertinenza vescovile, ma proprio iltema del patronato. Esso era la pos-sibilità che aveva la comunità diAllerona, in quanto soggetto che

aveva eretto la chiesa o che comun-que ne aveva ereditato il dirittoanche per restauri effettuati o per unqualunque lascito, di amministrarnei beni tramite delegati, suggerendoun nome nuovo in caso di vacanza omorte del cappellano o rettore. Tral’altro, dal libro emergono moltospesso questioni, comunali o vesco-vili, per le nuove nomine a volteosteggiate e non accettate. La gestio-ne comunale presupponeva da partedello stesso Consiglio l’onere relativoai necessari lavori da farsi, comequelli stabiliti addirittura nel 1586,riguardo un ingrandimento dellachiesa stessa. Dunque la Comunitàprima e il Comune poi ebbero unaparte importante e di responsabilitànella vita e nella gestione della chiesadel Poggio Vecchio, anche se le cosecominciarono a mutare all’inizio delXIX secolo. Nel 1809, in occasione della primavisita pastorale del vescovo Lambru-schini, questi affrontava insieme aipriori della comunità le questioni

legate al giuspatronato laicale dellachiesa e la sua trasformazione in ungiuspatronato ecclesiastico. Su sugge-rimento delle stesse autorità comu-nali, il vescovo trasformaval’amministrazione tramite camerlen-go eletto dal Consiglio comunale,che ogni due anni rendeva conto delproprio operato, destinando le entra-te a favore di un cappellano. Questi,oltre alla gestione, doveva manteneree soddisfare gli obblighi imposti:dire Messa, confessare e insegnare aifanciulli i principi scolastici e diprima educazione. I priori manife-starono esplicitamente la volontà dilasciare il giuspatronato della chiesa,in modo che il patrimonio fossedestinato “a titolo di sacra ordinazio-ne”, cioè ai fini della costituzione di

un beneficio da assegnare a un chie-rico o sacerdote del posto. Erarichiesta al vescovo, probabilmenteper questioni economiche o perlimitare uno degli oneri gravanti,l’erezione di una cappellania conobbligo annesso della scuola da farsia beneficio della gioventù, in mododa unificare in un unico esponenteecclesiastico lo svolgimento di tuttele mansioni, superando la distinzio-ne tra l’incarico del culto nelle manidel pievano-rettore e della scuola inquella del cappellano. A tale iniziati-va, da principio si mostrava contra-rio l’allora pievano don GeremiaDella Vecchia, detentore del titolo direttore della chiesa del Poggio Vec-chio, il quale successivamente, senti-to il parere vescovile, dava il proprioassenso tenendo conto delle richiestedelle autorità e della popolazionelocale. Tra le condizioni imposte dal pieva-no, prima che con le rendite fosseordinato in sacris un chierico, vi eral’obbligo di fare la scuola pubblica di

mattina a tutti i giovani del castelloe distretto di Allerona, senza preten-dere altro emolumento, l’obbligo dicelebrare indispensabilmente lamessa in tutti i giorni festivi percomodità dei fedeli, ma dopo laprima parrocchiale, di assistere gra-tuitamente a quelle solenni cantate,alle funzioni religiose e agli uffizisacri che per loro natura richiedeva-no la presenza di numerosi ministri,coadiuvare il pievano in tutto esostituirlo in caso di assenza senzaesborso di soldi. Stabilito il tutto, il14 settembre 1809, monsignor Lam-bruschini emanava un decreto concui erigeva la cappellania o beneficioassegnandola, come richiesto dairappresentanti della comunità, a donGiovanni Cristofori, il quale assume-va, oltre alle rendite, anche diversioneri da rispettare, come la celebra-zione della festa della Madonnal’ultima domenica di maggio e unamessa cantata in ogni ultima dome-nica del mese. Nel corso dell’anno, ilcappellano aveva l’obbligo di cele-brare sei anniversari e cinquantasettemesse piane in suffragio dei benefat-tori defunti.Al momento, la chiesa possedeva ilminimo indispensabile di paramentie arredi sacri e una statua di legnorappresentante Maria SS. Assunta inCielo, posta sull’altare dell’Assuntanella pievania di Santa Maria, unamacchina con quattro angeli e treserafini di cartapesta per ornamentodella statua stessa, nonché alcuni exvoto in oro e argento. Riguardo lostato patrimoniale ed economico, tracanoni, censi, case, terreni ed elemo-sine, aveva un’entrata pari a 67 scudie 69 baiocchi, diminuiti anche per ilmancato introito dovuto all’utilizzocome locali di scuola di una casaposta all’interno delle mura delcastello che non portava frutti nonessendo affittata.L’inventario redatto da don Gere-mia, e sottoscritto dall’incaricatodon Giovanni Cristofori, alla datadel primo novembre 1809 registravadelle entrate inerenti beni stabili,canoni (per una casa in contrada LaPiazzetta e per diversi terreni), fruttidi censi, rendite annue da terreni, damistumi, da uva, dalla canapa, dagliolivi, da grano, da macchie e da altridiversi interessi.Dicevamo da principio come il testosi occupi di ricostruire la storia diuna chiesa che non esiste più, omeglio, “sacrificata” in nome dellarestaurazione, con conseguente allar-gamento della parrocchiale internaalle mura dedicata all’Assunzione diMaria; anche questo tema delladevozione mariana del popolo allero-nese emerge da questo e da altri testidi Urbani, una devozione alla madredi Dio, quella che nella DivinaCommedia, nella preghiera recitatada San Bernardo nel canto XXXIII,era invocata, in una delle sue piùsplendide rappresentazioni, come:«Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/ umile e alta più che creatura, / ter-mine fisso d’etterno consiglio, / tuse’ colei che l’umana natura / nobili-tasti sì, che ‘l suo fattore / non dis-degnò di farsi sua fattura» (vv.1-6).Un culto che tra le popolazioni sisviluppa maggiormente nel periododella Controriforma; una venerazio-ne che avvicina a Dio, attraverso lasua mediatrice Maria, la figura umi-lissima eletta nell’eternità per la sal-vezza degli uomini. La devozione in

Riflessioni sparse sul secondo numero dei “Quaderni Alleronesi”

Santa Maria del Poggio vecchio: una chiesa non solo per il culto

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questa chiesa si esprimeva anche conla presenza di ex-voto, oggetti donatiall’immagine di Maria (che Perali farisalire addirittura al Quattrocento).Di questi ex-voto abbiamo notiziagià negli atti della prima visita pasto-rale del vescovo Sannesio, che giun-geva ad Allerona nel 1607. In essatrovava un’immagine della Madonnadipinta sul muro dalle cui bracciapendevano ex voto d’argento (chenel 1742 ammontavano a 76); ilsecondo altare era corredato diimmagini della Beata Vergine e deiSanti Giovanni e Ansano, indicatinello Statuto del 1585 come advocatidel Castello. All’interno di questachiesa, la prima che accoglieva adAllerona nella vecchia configurazio-ne della strada venendo da Orvieto,come può ricostruirsi dal Catastogregoriano, si veneravano tutte lefigure più importanti della devozio-ne alleronese, Sant’Ansano e Maria,la protettrice degli umili.Proprio questa caratteristica è quellache la avvicina al culto delle popola-

zioni che a lei si rivolgono comeintermediaria verso l’Altissimo,espressa nei secoli ad Allerona mate-rialmente con l’erezione di numerosechiese ed edicole. Questa devozione non scongiuròl’abbattimento della chiesa del Pog-gio Vecchio, la quale, già dalla visitapastorale del 1856 di monsignorVespignani, denotava segni di fati-scenza; la situazione, solo pochidecenni dopo, era ribadita negli attidel vescovo Briganti che la descrivein pessimo stato nel 1872. Anzi, ildocumento era ancora più significa-tivo, in quanto nell’occasione ilvescovo faceva mettere a verbalecome tutte le chiese di Alleronaerano “non troppo rispondenti alvero decoro del culto di Religione”,richiamando il popolo e il clero aporre rimedio alla situazione, preve-dendo anche un ingrandimento dellachiesa plebana.Nel 1878 la chiesa del Poggio Vec-chio, le cui rendite erano oramai

venute meno anche per il mutamen-to dei costumi e delle consuetudini,vedeva il crollo di una parte del suotetto, tanto che con decreto Brigantine ordinava la demolizione el’utilizzo del materiale residuo perl’ingrandimento della chiesa plebanaall’interno delle mura, giustificando-si dicendo essere: “più necessarioritenere minor numero di chiesedecorose, che maggiore senza scopo”.I tempi stavano evidentemente cam-biando dopo l’unità d’Italia, la stessacomunità non era più una associa-zione di fatto di cittadini, ma ormaiun antenato del Comune della legis-lazione contemporanea: un’anticaistituzione che, dopo l’emanazionedel Codice di diritto civile e poidella Costituzione, diverrà il cosid-detto ente territoriale, assurgendo anuovi e più impegnativi compiti chenon si limiteranno alla mera ammi-nistrazione della “cosa commune”,alle privative, agli appalti, alla gestio-ne del diritto al patronato, ma saran-no ampliate - in primis nella nuova

figura istituzionale del sindaco - aquestioni ben più complesse come lasicurezza della popolazione (deman-data per legge e sotto la responsabili-tà del primo cittadino), l’anagrafe, laleva, l’esecuzione di opere pubblichesino alle questioni di igiene, ediliziae polizia locale. Permane ad Alleronala funzione inerente la gestione sco-lastica, poi trasferita in migliori loca-li realizzati sul finire del XIX secolo.Sono questi chiari segnali del muta-mento dei tempi, delle abitudini edel paesaggio; le chiese, che prece-dentemente erano il centro della vitae dell’urbanistica, man mano vedonovenire meno queste prerogative acausa anche della inferiore concen-trazione di disponibilità economicheper la loro conservazione e, comeaffermato forse con una punta dirassegnazione dallo stesso vescovoBriganti, in tutta la diocesi sonoabbattute o vendute per altre desti-nazioni delle chiese filiali, a volte,come ad Allerona, per gravi carenze

strutturali e a vantaggio delle parroc-chiali, adeguate alla popolazione e aibisogni religiosi o umani dei fedeli.Per quanto riguarda la funzionedirettamente connessa all’istruzione,è lecito supporre che molti perso-naggi spiccatamente importanti, siareligiosi che laici e originari delpaese, abbiamo avuto i primi rudi-menti nella scuola del Poggio Vec-chio. Questa fu tenuta dall’Ammini-strazione comunale attraverso il pro-prio maestro, il cappellano dellachiesa, fino al 1860 secondo le dis-posizioni del Governo pontificio e,successivamente, con quelle delRegno d’Italia: le prime notizie diquesto duplice incarico si hannoaddirittura dal 1584, quando eraaffidato a tal don Domenico Biagio-ni.Tra i diversi personaggi, nella secon-da metà del Cinquecento deve esserecitato Mutio Cappelletti, cittadinodi Orvieto, ma originario di Allero-na, che fece fortuna con il commer-cio a Venezia e alla morte (1611)lasciò nel proprio testamento la dis-posizione di elargire un annuo vitali-zio, cinque scudi, proprio per lachiesa del Poggio Vecchio. Si credeabbiamo potuto avere una primaistruzione in questa scuola anchealtri alleronesi illustri come LuigiBellafronte, nato a Allerona il 19dicembre 1801, poeta con attività inmolte città italiane, il poeta Germa-no Scargiali (alleronese acquisito chescrisse rime scelte, tra le quali uncomponimento dedicato alla chiesadella Madonna dell’Acqua, altrafiliale della stessa Allerona) o donLuigi Raffaelli, nato ad Allerona nel1841, tra l’altro autore di alcunicomponimenti e preghiere ancorainediti ritrovati recentemente nellechiese di S. Giovanni Evangelista edella Madonna della Cava di Orvie-to. Ancora don Americo Posarelli,nato anch’egli ad Allerona il 4 giu-gno 1863 (la famiglia del padre eraoriginaria di Monteleone d’Orvieto),laureatosi in Scienze naturali, inse-gnò presso l’Istituto Nazzareno diRoma e fu scelto e indirizzato allosvolgimento della carriera universita-ria, privilegio al quale rinunciò per igravi problemi di salute della madre;di seguito divenne arciprete di Ficul-le. Don Posarelli fu una mente eccel-sa e contribuì ai lavori di restaurodella chiesa alleronese di SantaMaria Assunta, nella quale volle fos-sero impressi dei passi estrapolatidalla Sacra Scrittura che ne denota-no una conoscenza molto approfon-dita.Inoltre, non è da trascurare il nume-roso apporto alla classe religiosa daparte di cittadini della comunità diAllerona, legato a doppio filo, siaalla presenza di una scuola di primolivello ad Allerona che al CollegioCappelletti di Orvieto, nel qualealcuni ragazzi alleronesi poteronoapprofondire i propri studi usu-fruendo di un ulteriore lascito prele-vato dai beni del mercante e per ilquale erano scelti e inviati presso lasede diocesana dai rappresentantidella comunità e amministratori.Nella sola parrocchia di CastelViscardo, per esempio, balza subitoall’occhio un dato notevolmenteinteressante, in quanto si registrauna buona percentuale di nominatial ruolo di pievano (soprattutto nelXIX e XX secolo) provenienti dallacomunità di Allerona, segno di unatradizione ben instaurata e consoli-data nel tempo, oltre il periodo diedificazione della stessa chiesa delPoggio Vecchio.

Luca Giuliani

Quando nel 1263 tra le mani di Pietro da Praga, a Bolsena, nellachiesa di Santa Cristina, si compì il Miracolo, il sangue sgorgò

copioso e bagnò i marmi che si trovavano sul pavimento vicino all’alta-re. Bolsena custodisce gelosamente quattro di quelle pietre. Una quintapietra (cm. 12x17) fu donata alla parrocchia di Porchiano del Monte(Amelia) su richiesta del parroco don Roberto Strada (1602) supportatadalla supplica del vescovo di Amelia a quello di Orvieto, cardinale Giro-lamo Simoncelli, per l’antica devozione degli abitanti di Porchiano versoSanta Cristina.Le pietre vennero sistemate in appositi ciborietti di marmo rosso realiz-zati da Ippolito Scalza, illustre scultore e architetto orvietano, autore deipiù bei palazzi di Orvieto e della chiesa di S. Niccolò di Baschi(sec.XVI). Ora tre di queste lapidi sono custodite (a partire dal 1863)sull’altare della chiesa nuova del Miracolo, incastonate sulla parete in treciborietti con sportellini in metallo dorato, inseriti in una custodia dilegno scolpita e dorata che copre l’originale di marmo rosso.La quarta pietra è esposta nel suo reliquiario sull’altare maggiore dellacappella, e questo soltanto dal 1987, in occasione della festa del CorpusDomini. Soltanto nel 1811 i bolsenesi portarono in processione per levie della città la Santa Pietra in un reliquiario di legno di non grandepregio. Verso la fine dell’800 si cominciò a pensare all’opportunità direalizzare un nuovo reliquiario. L’architetto Paolo Zampi (che restauròil Duomo di Orvieto cancellando gran parte delle opere rinascimentali eriportandolo alla semplicità del Medioevo) presentò uno schizzo, manon fu accettato. Anche il progetto dell’architetto romano AntonioSacco non ebbe successo.Intanto i bolsenesi si davano un gran da fare per raccogliere soldi conspettacoli, concerti vocali e strumentali. Si giunse così al 1937, anno incui fu consigliato al parroco, don Giulio Vannini, l’orafo orvietanoMaurizio Ravelli, già molto conosciuto ed apprezzato per il restauro delprezioso reliquiario del Corporale del Duomo di Orvieto, nonché per larealizzazione del grandioso ostensorio donato da Elvira Cerretti al Semi-nario di Sidney (1935). Ravelli presentò il progetto, insieme ad unmodello in gesso (in scala), nel giugno del 1938: fu accettato. Il prezzorichiesto dall’artista fu di 20.000 lire (un modesto appartamento aRoma ne costava 40.000 all’epoca). L’opera doveva essere consegnata per la festa del Corpus Domini del ’39.Sopraggiunsero dei problemi personali del Ravelli e ci furono dellemodifiche da apportare al progetto: gli smalti al posto dei rilievi. Quindiritardo nell’esecuzione. Era già il maggio del 1940. A Bolsena era tuttopronto per la processione: il reliquiario fu portato per le vie incompletoin molti particolari.L’opera fu terminata il 14 aprile 1941. Finiva un incubo durato quaran-ta anni. Il costo era aumentato e aveva raggiunto la somma di 31.500lire.

M. A. Bacci Polegri

Le pietre del Miracolo

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Èonline dal 18 maggio 2012www.inorvieto.it, progetto di

web marketing e di promozione ter-ritoriale della città di Orvieto e dellesue eccellenze editato, tramite lasocietà Orvieto Arte- Cultura-Svi-luppo, dalla Fondazione Cassa diRisparmio di Orvieto per favorirel’economia del turismo nel territorio.Ideato secondo le più attuali formedi Information & CommunicationTechnology, il progetto è stato realiz-zato in modalità bilingue (italia-no/inglese) da Akebia Internet Expe-rience, impresa orvietana di comuni-cazione e marketing di Fabrizio Cac-cavello e Laura Ricci da sempreimpegnata nelle più moderne edefficaci soluzioni sul web.Caratterizzato da un logo che rivisi-ta, alludendo al “sopra” e al “sotto”della Rupe, il rosone del Duomo eche è completato dal claim “Orvietointensamente semplice”, il progettoInOrvieto.it è teso a valorizzare ecomunicare lo spirito di un territoriocomposto da molteplici fattori dieccellenza e in grado di offrire variee intense esperienze, godibili conagio e facilità grazie alle concentratedimensioni spaziali e al disteso stiledi vita. Dalla qualità del paesaggio edell’ambiente alle esperienze di sto-ria, arte e cultura; dalla felice ubica-zione climatica e geografica alla qua-lità dei collegamenti e dei servizi;dalle possibilità di sport, eventi ebenessere alle produzioni artigianalidi pregio; dal legame storico-cultura-le che la città ha sempre avuto con ilvino all’ottima e sana qualità dell’e-nogastronomia. Lo scopo è quello diattrarre e fidelizzare visitatori dall’I-talia e da altri luoghi del mondo; diinteressarli al prodotto “Orvieto” edi stimolarli a vivere, con tempi dipermanenza più lunghi, il territorio;di renderli parte attiva nella sua pro-mozione tramite pratiche di socialnetwork. Il progetto è stato infatti attuatoanche in modalità di “social mediamarketing”, ha la sua pagina Face-book ed è presente sui principalisocial network: Twitter, You Tube,Foursquare, Google Places, Insta-gram. Basato, oltre che su una rigo-rosa tecnologia, sulle più attuali stra-tegie dei contenuti, continuerà aessere gestito da Akebia conl’implementazione di ulteriori testi,video, foto, itinerari, conl’aggiornamento costante in modali-tà bilingue e con la proposta deglieventi e dell’offerta turistica presentea Orvieto, con tecniche di socialmarketing. Sarà inoltre possibile,come è proprio del web, profilareflussi e utenti, così da assestare lesuccessive strategie. È la prima voltache Orvieto si affaccia sul web conun prodotto così congegnato e inte-grato, con una tale ricchezza di con-tenuti, di belle e invitanti immaginie di numerosi video, che ci si augurapossano contribuire ad attrarre nuovivisitatori. Il tutto realizzato anche inlingua inglese per il turismo estero.Anche questo – una vasta e adeguatapromozione web in lingua inglese –per la nostra città mancava, e vadato atto alla Fondazione Cassa diRisparmio di Orvieto di aver indivi-duato una necessità impellente e, inlinea con le proprie linee di inter-vento, di avervi provveduto.“Il progetto – spiegano da Akebia –può, in modo del tutto innovativo,definirsi “social” non solo perché è

interconnesso con i più diffusi socialnetwork e perché tanto più lo sarànella gestione, ma anche perché èfrutto del lavoro d’équipe di varie ediverse professionalità che Akebia hacoinvolto nella sua realizzazione eperché vi hanno generosamente con-tribuito, nel raccontare la città inalcuni video, personalità di spiccodell’ambiente culturale cittadino. Ilracconto crossmediale, la comunica-zione delle emozioni, lo stimolodella curiosità e del desiderio di fareesperienze si confermano semprepiù, sul web, come strategie vincenti.Anche Google ha cambiato il suoalgoritmo, e anche se è sempre diffi-cile intuire e calcolare quello che ilgrande colosso ha in mente, pare chei motori di ricerca premieranno sem-pre più non le tecniche prive di con-tenuti ma i contenuti di qualità, lenarrazioni ben fatte. Il web è praticarelazionale per eccellenza, quandoesiste ‘racconto’ attraverso i socialnetwork diventa un passa parola digrande efficacia promozionale; tantopiù è relazionale se, attraverso unapratica concreta di relazione nellacittà, a collaborare al racconto sono icittadini stessi. È proprio in questaottica che, per la sigla musicale deicontenuti video, invece di ricorrere amusiche già pronte è stato indettoun concorso per la creazione di unJingle originale, vinto da MarcoCocchieri. Altro fatto interessante, alivello nazionale, è che una Fonda-zione bancaria abbia deciso di inve-stire su uno strumento così innovati-vo. Accade talvolta negli Stati Uniti,ma non ancora in Italia”. Proprio per queste ragioni di novitàe contemporaneità, il progettowww.inorvieto.it sarà portato comeun esempio innovativo di socialmedia marketing al workshop “WebMarketing di territorio come strate-gia relazionale”, che terrà per contodi IWA Italia nella prestigiosa vetri-na di SMAU Milano. Anche questoun modo di promuovere, presso unpubblico qualificato, il nome e leprofessionalità della città di Orvieto. Per quanto riguarda il mercatonazionale Akebia ha realizzato, tra i

principali lavori, i portali giornalisti-ci www.mondofuoristrada.it ewww.autoruote4x4.com dedicati almondo della trazione integrale ewww.ilgiornaledelcilento.it. Un pro-getto di notevole interesse tecnologi-co e sociale è il sito web dell’Associa-zione Italiana Dislessia(www.dislessia.it). Sempre per AID,Akebia ha sviluppato una web appli-cation complessa per la gestionedelle migliaia di soci e delle attivitàintegrate delle oltre 90 sezioni pro-vinciali. Ma il programma di svilup-po tecnologico di maggiore rilievoche ha visto impegnata Akebia negliultimi 3 anni è il progetto “Smart-Control” (www.smartcontrol.it), unsoftware accessibile di Knowledg-management che è in grado di con-trollare progetti web complessi e diagevolare gli autori dei contenuticon strumenti autoriali di facile uti-lizzo. Ha inoltre realizzato, in paral-lelo con l’obbligo per la PubblicaAmministrazione dell’albo pretorioonline, un software proprietarioaccessibile di semplice uso e consul-tazione per la gestione di questa fun-zionalità.Lo sviluppo di piattaforme accessibi-li, nato come fattore preminente-mente etico, si è nel tempo rivelatocome un formidabile strumento diIT marketing, in quantol’accessibilità garantisce una buonanavigazione sia in situazioni di han-dicap (fisico o tecnologico) sia inpresenza delle più moderne e avan-zate tecnologie (palmari, webTV,iPhone, iPad e altri Tablet). Offreinoltre una maggiore trasparenza aimotori di ricerca, che catturano epongono in breve tempo ai primiposti delle SERP un prodotto realiz-zato con una buona programmazio-ne accessibile.Anche www.inorvieto.it, prodotto acui Akebia tiene particolarmente, èstato ovviamente realizzato in questamodalità, tra l’altro perfettamente inlinea con quelle che sono, perl’intera Umbria, le azioni dell’Asses-sorato regionale al Turismo, che staandando sempre più convintamenteverso la promozione del brand

Umbria tramite il web e le modernestrategie di social media marketing.“La nostra decisione di puntare deci-samente sull’innovazione e le nuovetecnologie – ha detto recentementel’assessore Fabrizio Bracco nel pre-sentare i risultati di una ricerca sulmarketing 2.0 presentata in Regione- corrisponde a una nostra chiarascelta, in quanto l’online è essenzialeper superare rapidamente un gapstorico dell’Umbria e per mettersipienamente al passo con la competi-zione. E tra gli aspetti virtuosi delsocial media marketing rispetto almarketing tradizionale, l’assessoreBracco ha elencato i costi misuratirispetto a costose fiere, ai classicieducational tour e ad altre azioninon misurabili che spesso poco pro-ducono, la pervasività e la perma-nenza sul web dei contenuti e delleazioni che si mettono in atto, la pos-sibilità di monitorare e vagliare conbuona dose di scientificità i risultati.La ricerca è stata curata tramitel’analisi di una vasta campionaturadelle conversazioni generate in rete,attraverso post e tweet, a seguito delcongresso di TBU (Travel BloggersUnite), che si è svolto ad Assisi nel-l’aprile scorso, e delle successiveescursioni in Umbria di un centinaiotra i circa duecento travel bloggerche vi hanno partecipato, organizza-te dall’Assessorato al Turismo dellaRegione secondo sei itinerari temati-ci. Anche Orvieto era compresa inuno di essi. L‘Umbria ideale da visi-tare, secondo la web reputation chene è scaturita, è “piccina”, nel sensodi rarità e ricercatezza dei suoi aspet-ti affascinanti e minuti; è tranquilla,come un mondo “in piccola scala e amisura umana, nel quale ritrovare sestessi”; è, nel cuore dell’Italia e del-

Un progetto di promozione territoriale della città e delle sue eccellenze

Orvieto intensamente semplice Voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio

A realizzarlo Akebia,azienda sempre più lanciatanella progettazione webe nel social media marketing

l’Europa, una “stazione” obbligata,quasi inattesa e assolutamente danon perdere in un percorso piùampio verso mete più note; è un“tesoro nascosto ricco di tesorinascosti” in cui non si può nonritornare; e, infine, è soprattuttoautentica, originaria, una meta perviaggiatori consapevoli e per intendi-tori, un vero e proprio bacino discoperte e di eccellenze fuori daglischemi rispetto agli standard delturismo medio. Quanto alla tagcloud di Orvieto, restituisce la perce-zione di una città bella e interessantenel suo insieme, con una certa fre-quenza lessicale di “Wow” e di “per-fect” e una densità tutt’altro cheindifferente degli aggettivi “beauti-ful” e “Etruscan”: una confermadelle certezze degli Orvietani, chedeve indurre a salvaguardare e raffor-zare questi aspetti, ma anche a lavo-rare maggiormente su quei tesorinascosti e su altre potenzialità che iblogger viaggiatori hanno enfatizzatonei topic più discussi in generale,quali natura, qualità, enogastrono-mia, socialità, cultura, medioevo,spiritualità.Una ricerca netnografica (neologi-smo che unisce “etnografia”, la clas-sica scienza descrittiva delle culture,e “net”, la rete), questa commissio-nata dall’Assessorato al Turismo, cheattraverso l’analisi del web, a tortodefinito “mondo virtuale”, cattura ilmodo di pensare e di agire di perso-ne ben reali. Un processo indotto acampione, in questo caso, ma cheavviene praticamente ogni giorno -per l’Umbria, per Orvieto e per ognialtro luogo del mondo - attraversomigliaia e migliaia di opinioni e nar-razioni spalmate sulla rete attraversoi social network.Di particolare interesse anche i cin-que tipi individuati del viaggiatorecontemporaneo di qualità: l’addicted,ossia il compulsivo dipendente dallatecnologia, sempre più diffuso esempre pronto a condividere sulweb; il cronista, che viaggia per vive-re e raccontare esperienze; lo scopri-tore, che cerca particolari nascosti,originali e non banali; il fotografo,alla ricerca di situazioni e atmosfereda fissare con l’obiettivo; il socializ-zatore, che ama essere connesso siacon i compagni di viaggio che con ilnetworking professionale e passiona-le. Per Akebia, che ha partecipato allapresentazione sia per interessed’impresa sia per misurare e collega-re il prodotto www.inorvieto.it conle strategie turistiche regionali, dallequali come microrealtà Orvieto nonpuò ovviamente prescindere, è statauna piacevole conferma verificareuna perfetta sintonia. Del resto ilprogetto InOrvieto.it, voluto efinanziato dalla Fondazione Cassa diRisparmio di Orvieto, si basa suipresupposti di una più vasta masimile ricerca, quanto a metodologia,dell’Osservatorio sul web dell’Uni-versità Bocconi di Milano, a suotempo presentata al VeneziaCamp2010 da Roberta Milano, docente di“Web Marketing per il Turismo” allaFacoltà di Economia dell’Universitàdi Genova, una delle massime esper-te del settore in Italia.

È online www.inorvieto.it

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

rà a quegli Orvietani che posseggonouna casa, non acquisita ma ricevutain eredità da chi ad Orvieto ha con-dotto una vita di lavoro e di sacrifi-cio al servizio di una comunità che siriconosceva in un contesto sereno eresponsabile di civile coabitazione edi rispettoso dovere di puntualepagamento di giuste imposte.

Mara Valeri

Lettera apertaAlla città che muore

Orvieto, in un aprile desolato diquesto tristissimo 2012, consapevoliche il 2013 e seguenti, non sarannocerto migliori… e nemmeno, pur-troppo, uguali.

Mia cara ORVIETO, nel ricordo degli anni trascorsi, daquando, io piccola, mio padre trasferìla residenza della famiglia nel tuo belvivere, ti rivedo ancora come eri, miadiletta città, accogliente, attiva, pienadi vita, di una vita serena, dove ladimensione umana concedeva agli abi-tanti una frequentazione cordiale divicinato e al cui interno tutti si cono-scevano.Ricordo, da allora, per molti anni, le

tue vie brulicanti di giovani studenti,di militari che si alternavano neiperiodi dell’addestramento di leva,delle accademiste giunte da ogni parted’Italia, attrattiva di sguardi virili,mentre una moltitudine variopinta evociante ti invadeva nei giorni dimercato nell’affollata Piazza del Popo-lo, oggi spopolata. A sera ci si ritrovava tutti al Corso,rigorosamente percorso in un procederea destra che lo divideva in due flussivivaci, luogo di furtive occhiate dinascenti simpatie , di un cordialesalutarsi, e brevi soste con amici ritro-vati. I negozi, allora molti e articolativariamente, secondo attività commer-ciali specializzate in settori che con-

sentivano assortimento e scelta, contri-buivano, con le loro insegne, a renderepiù variopinto l’ambiente. Nelle caldesere estive, la Piazza del Duomo ciaccoglieva, seduti sulle sue “schiace”tra lo stupore di coloro che, noi com-presi, restavano incantati dalla mera-vigliosa Cattedrale che sovrastava laPiazza come una madre premurosa .A lei, come sempre ed ancora oggi,faceva da contraltare il campanile diMaurizio che, coi suoi rintocchi cimisurava il tempo che, ahimé, fuggivaportandoci via gli anni più belli e piùsereni, vissuti tra le tue case, memoriadi storia, di stili, di vite passate. Tiabbiamo molto amata, specialmentenei momenti più difficili, timorosi chela guerra, come tante guerre passate erivalità medievali di cui resta ricordonelle tue torri mozzate, rompesse queltuo sereno articolarsi in vie e viuzzedove orti e giardini e finestre affollatedi gerani, mescolavano i loro coloriin poetiche visioni e scorci deliziosi. Dove è oggi tutto questo? Ogni voltache torno ti riconosco sempre meno: ilsilenzio delle tue vie è interrotto sol-tanto dall’eco di qualche passo stancoper gli anni; o dal veloce transitare digruppetti chiassosi di scolaresche o dituristi impegnati in una “toccata efuga” o in un rapido pasto riscaldatosu qualche tavolino all’aperto lungo lavia principale.Ovunque si nota il degrado di unafrequentazione abitativa ridotta, sotto-lineata dal succedersi di locali com-merciali connotati dai cartelli “affitta-si” che cominciano ad ingiallirsi per ilpassare dei mesi. A quanto da me notato sopra, siaggiunga lo scarso servizio di collega-mento del centro storico con l’abitatodella Stazione che cessa quasi alvespro: alcuni turisti trafelati una serami chiedevano angosciati come poterraggiungere lo scalo dove avevanolasciato la loro vettura… Nemmenol’ombra di un taxi. Non credo cheabbiano avuto , della tua ospitalità edei tuoi servizi, un buon ricordo.Ultimamente sono rimasta scandaliz-zata dall’esibizione, in ore ancora dapasseggio, di rifiuti lasciati appoggiatiai lati dei negozi chiusi o in procintodi chiudere una giornata sempre piùpovera. Il richiamo alla mente di altrerealtà italiane è stato immediato.La recente limitazione del traffico, checostringe a continui peripli con entra-te ed uscite seriali intorno alle tuemura, compresa la presenza di par-cheggi H sempre occupati, nonché il“dovere” usufruire dei parcheggi sot-terranei, cari ed ingiustificati in perio-di di ristrettezze e di disavanzo, quan-do bastava lo spazio scoperto dell’excampo di calcio e quello libero all’in-terno dell’area del “casermone”, semprepiù isolato e fatiscente, e scomodi perchi non ha più la prestanza della gio-ventù o è impedito da cause fisiche,trattiene la gente da quell’osmosi dicittadini dallo scalo al centro storico,creando una frattura nei rapporti,consolidati dal tempo, tra cittadini diserie A e di serie B e contribuendo allospopolamento progressivo delle tue viegià avviato dallo spostare “in basso”scuole, uffici e quanto altro… Non sono certo quei personaggi più omeno noti, che hanno acquistato unaresidenza al tuo interno per trascorrer-vi qualche giorno all’anno, o i congres-si politici di un giorno, che bastano arendere “viva” una città.Ogni volta che torno a vederti lasequela di attività chiuse si allunga edè, per me, un dolore che mi spingesempre più a rallentare le mie visite,

Nel 1957, costretta dalle vicissi-tudini della vita, a trasferirmi

lontano da Orvieto ove peraltroavevo trascorso il periodo precedentefin dall’età di quattro anni, e doverestavano mio padre e mia madre,ho mantenuto per questa “allora”straordinaria cittadina un affetto eduna nostalgia che ho trasferito neimiei scritti e che sono aumentati colpassare degli anni rendendo il mioperiodico tornare desiderato e gradi-tissimo.Purtroppo, da alcuni anni a questaparte, tornare ad Orvieto è divenutouna sofferenza che aumenta di voltain volta per come, di volta in volta,la città si presenta cambiata, nonnell’aspetto, ma nel suo porsi comesistema di vita razionale in continuodegrado per vari fattori, macroscopi-ci per chi non vi abita continuamen-te e che lasciano scontenti i residentisia del centro ma anche dei centriabitati del comprensorio a causadelle crescenti difficoltà di transito,di sosta, di costrizione a giri conti-nui di entrata ed uscita dalle mura,per raggiungere anche il propriogarage se ci si illude di poter passaredove fino a poco tempo fa “si sape-va” di poter passare.Città divenuta deserta perl’abbandono progressivo di coloroche vi tenevano attività variamenteassortite sostituite dal ripetersi dinegozi sempre più massificati. Noncostituiscono un vivere attivo lepoche persone che hanno acquistatoappartamenti in centro per trascor-rervi qualche giorno di relax, né gliorganizzatori di “incontri” politici oculturali che durano lo spazio di unmattino.Orvieto si presenta sempre piùdeserta, in un’agonia che sa già didecomposizione. Non so capacitarmi di quale strate-gia si celi dietro a tutto questo senon una perversa volontà di valoriz-zare alcune parti del Comune perdelle cause intuibili e da molti ipo-tizzate. Ora aspetto la “batosta” chel’Amministrazione comunale impor-

limitandomi a quelle strettamentenecessarie per quegli interessi localilegati al passato dei miei genitori cheti hanno anch’essi amata contribuen-do, con il loro lavoro, a quel tuo vivereattivo di cui sentiamo sempre nostal-gia. Mi ritorna in mente il libro “La ven-detta del villano”, di Leoni, attentoosservatore e profeta dell’attuale tuadecadenza, che sa già di invasionedevastante di vegetazione e abbandonoprogressivo come tante città anticheinvase dalla jungla. Molti non ricorde-ranno quel libro, molti non lo conosco-no. Andrebbe ristampato per indivi-duare la strategia di molti anni passatidi cui molti orvietani non hannosaputo cogliere il fine e reagire.Molti fatti, dubbiosi alla ribalta dellacronache dei nostri giorni, ovunquediffusi, richiamano una memorialunga.Con affetto e nostalgia.Altrove nel mondo, aprile 2012

Tua Mara

Lamentele da“Orvietaniveraci”

Avevamo accolto qualche cambia-mento politico locale con sollievo,dopo così tanti anni di inalterata,passiva, continuità. Alcuni di noi come residenti nelComune, altri come ivi non stabil-mente residenti, ma con parte diimmobili ad Orvieto, ereditati daigenitori, e quindi ivi residenti tem-poraneamente nei vari periodi del-l’anno, speravamo di vedere almenol’inizio di una ripresa del centro sto-rico lasciato ad agonizzare da trascu-ratezze delle passate amministrazio-ni. Quelli di noi, che ricordano “la bellae serena” Orvieto, hanno assistitoimpotenti al suo progressivo e pre-meditato degrado di vita quotidianae non possono non constatare, pur-troppo, che dalla fase di agonia diOrvieto si è passati al suo quasidecesso.Quelli di noi che vengono a soggior-narvi, di tanto in tanto nell’annoper brevi periodi, si accorgono ancorpiù dei residenti (comunque arrab-biati, per usare un eufemismo) diquanto la situazione si sia aggravata:soprattutto dopo le recenti restrizio-ni al traffico e conseguente divieto ditransito in zone prima accessibili(vedi Piazza Sant’Andrea, così cipiace ancora chiamarla da Orvietaniveraci), costringendo al continuoperiplo fuori delle mura per il ripe-tuto entrare ed uscire fuori PortaMaggiore e rientro a Porta Romanaed altro conseguente slalom tra vico-li e vicoletti per ritrovarsi poi a Piaz-za Cahen; l’orario ridotto alla sera per il trasfe-rimento tra lo Scalo e il centro senon con i mezzi propri (e le suindi-cate difficoltà); lo sconcio, all’ora di chiusura deinegozi, offerto dalla vista di scarti esacchetti di immondizia, richiamoalla mente di altre simili visioni dialtre parti del Paese, mentre ancorasi transita a piedi; l’inutile spesa del parcheggio sotter-raneo dell’area preesistente, ad hocdestinata, dell’ex campo sportivo,come anche l’utilizzo dell’area delmoribondo ex Casermone, al postodelle agevoli ed economiche possibi-lità di parcheggio presenti in passato,ambedue facilmente da sistemarsi

con posti di sosta a pagamento (alconfronto, di questi tempi, del costoeconomico sostenuto dall’Ammini-strazione), la situazione obiettiva dei sottopar-cheggi, scomodi per chi non ha piùla prestanza giovanile e per di piùpoco transitati e quindi non sicuridi questi tempi quando è sera; la difficoltà per le persone anziane odisabili, nel dover sostenere unaspesa, eccessiva, per il tempo neces-sario al disbrigo di quanto occorre,per risalire, uscire e trasferirsi alpunto di arrivo (e viceversa); l’impossibilità, per i portatori di H,

di trovare un posto auto libero all’in-terno della città;ed infine il disagio dell’aver creatouna netta separazione, per le suindi-cate difficoltà, tra cittadini delloScalo e del centro (rimasti pochi edanziane per lo più).Non si eccepisca che esistono i mezzipubblici che, però, non possono cir-colare per dimensione ed altro nellevie a traffico limitato, con poche fer-mate, alla periferia, quando fa fred-do o piove e per il cessare presto, asera, in concomitanza con la chiusu-ra del servizio della Funicolare. Disagi poco importanti? Forse perquanti siano nel vigore degli anni, oche, forse agevolati da non so qualiprivilegi, hanno, forse, dove lasciare iloro mezzi.Noi Orvietani, invece, non lo credia-mo, visto che molte persone hannodeciso di non raggiungere più il cen-tro ma di “arrangiarsi” allo Scalo onelle frazioni dello Scalo, creandouno scollamento nei rapporti tra cit-tadini divenuti di serie B con quellidivenuti di serie A ed avvalorandocosì la strategia accorta di chi satrarre vantaggio dalla situazione.Ogni volta, nei nostri ritorni, nonpossiamo che constatare la sequela dinegozi chiusi e l’incremento delnumero dei cartelli con scritto “ven-desi”, perché anche i pochi chehanno tentato di resistere, stannosmobilitando e se ne vanno. Cui prodest?Siamo consapevoli delle difficoltàdell’Amministrazione cittadina. Pur-troppo però la città sta diventandoun cimitero, quasi disabitata se nonda pochi anziani residenti, in diffi-coltà per i pochi negozi di generinecessari ed anche di utilità spicciola, cari neiprezzi per compensare le poche ven-dite, e organizzati quasi solamentesulle vie principali per un turismo“mordi (poco) e fuggi”.Abbiamo “sentito” che si vorrebbetogliere l’antico pozzo che insistesulla Piazza dell’Erba per trasferirlo aPiazza della Repubblica per far spa-zio ad un parcheggio, visto il ridi-mensionamento di quello di PiazzaVitozzi, anche questa decisioneincomprensibile. Lasciamo il pozzo dove sta da tempoimmemorabile e lasciamo liberaPiazza Sant’Andrea di presentarsisenza fronzoli e libera di essere alservizio di chi, abitando ad Orvieto,vi transita, e non dei pochi e fugge-voli forestieri (in previsione semprepiù pochi viste le premesse).I rimedi? Sarebbero molti…. Ma iltempo è avaro e coloro che hannotramato fidando sullo scontento dinon pochi stanno affilando le lameper le prossime elezioni (se non sare-mo già tutti deceduti per lo sconfor-to)!!!!!.

Un gruppo di “Orvietani veraci”

La città... dei silenzi

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

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Una delle conseguenzemacroscopiche, forse

inavvertita come dirompentenovità, della scomparsa dellaStato Pontificio dalla carta geograficadell’Italia unita fu la creazione di civi-ci cimiteri diffusi nel territorio inogni municipio, in sostituzione dellechiese che per secoli erano state i luo-ghi si sepoltura dei morti.Tutte le civiltà hanno mostrato unacura particolare per il culto dei morti,tanto che in molti casi le testimo-nianze archeologiche di tombemonumentali e di vaste necropolisono prevalenti rispetto a quelle degliinsediamenti urbani, avendo questiultimi subito nei secoli le maggiorimodificazioni e distruzioni.Il caso di Orvieto etrusca è, in questosenso, esemplare perché gli scaviarcheologici hanno restituito da unlato molti reperti distribuiti nell’areaurbana sopra la rupe ancora insuffi-cienti per ricostruire una attendibilemappa della città, (FERUGLIO 1988,pianta pp. 86-87), mentre dall’altrohanno rimesso in luce i regolariimpianti a maglia ortogonale dellenecropoli di Crocifisso del Tufo e diCannicella costruite sulle pendicidella collina sottostante (KLAKOWICZ

1972, pianta VII e KLAKOWICZ 1974,pianta II).Della città etrusca di Velzna/Orvieto,distrutta dai romani nel 264 a.C. e, sipuò dire, traslata nella nuova Volsi-nii/Bolsena, resta quindi l’immaginenetta dell’urbanistica delle necropoli;alla precisa geometria di questaimmagine si contrapporrà, quasi sim-bolicamente, quella della planimetriadel tutto irregolare delle catacombescavate a fianco di S. Cristina a Bol-sena, mentre lentamente si disfaceval’impero romano e si affermava il cri-stianesimo (cfr. CARLETTI, FIOCCHI

NICOLAI 1989).Con la rifondazione della città sullarupe orvietana, dopo circa sette seco-li in cui gli insediamenti d’epocaromana si erano distribuiti a valle enel territorio, il più antico esempio disepolture collocate in prossimità diun impianto chiesastico è quello dellachiesa paleocristiana sottostante lacollegiata dei SS. Bartolomeo eAndrea: ai margini del pavimento amosaico, datato ancora con poca con-vinzione al VI secolo (SATOLLI F.2009, p. 122), e oltre il perimetrodella chiesa sono emerse dagli scavialcune tombe a cassone e diverse altresepolture (IORIO 1995, pp. 50-51).Con lo sviluppo della città altomedie-vale questa chiesa, sede vescovile eposta accanto al nuovo palazzocomunale nella piazza centrale, ebbela massima importanza (SATOLLI

1988, pp. 128 sgg.), tanto che nelsecolo XI fu ricostruita ad un livellosuperiore, interrando il pavimento amosaico, in forma basilicale successi-vamente modificata dalle imponentistrutture del doppio transetto convolte a sesto acuto.Siamo agli inizi del Trecento, quandoera ormai da tempo invalso l’uso diporre sepolture anche all’interno dellechiese, dove le famiglie nobili e/o piùabbienti della parrocchia occupavanoi posti di maggior visibilità.E’ il caso, in S. Andrea, dell’edicolasepolcrale della famiglia Magalotti,addossata ad uno dei pilastri deltransetto nella 1° metà del XIV seco-lo: un basamento, con lo stemma difamiglia ripetuto quattro volte, sulquale poggiano due colonne tortiliche sorreggono un arco acuto triloba-to concluso da una cuspide; l’edicolafu completata nella seconda metà delsecolo da un affresco sulla parete difondo con la Madonna col bambino esanti (BON VALSASSINA 1996, p. 28).Nella stessa chiesa e della stessa epocabasso-medievale si trovano altri dueesempi di sepolcri: il primo è quellodi una piccola arca con un foro qua-drilobato al centro e con iscrizione incaratteri gotici, datata MCCC e riferitaai resti BEATI STEPHANI CORDA DE

FERRO DE CIVITATE TEMETENSI, cioèdi un tal Stefano Cuordiferro nonmeglio identificato né per il luogod’origine, né per i motivi della beati-ficazione, né per le circostanze che loportarono a Orvieto (FICARELLI 1962,pp. 357-359).Il secondo è quello di un sarcofago

con lo scudo gotico della famigliaTimei, ancora in auge nel ‘500 –‘600: lo stesso stemma si trova infattiscolpito sulle finestre del palazzo difamiglia in via del Corso e in un notostemmario seicentesco (INSIGNA FAMI-LIARUM… 1640 ca., n.136).E’ molto probabile che la collocazio-ne originaria dei sepolcri non siaquella attuale, ma che abbiano piut-tosto subito spostamenti durante unadelle risistemazioni interne della chie-sa dal medioevo ai restauri del Gio-vannoni del 1926-1929, che conser-varono anche altre lapidi funerarie ocommemorative dei secoli XVII-XIX

murate sulla parete di controfacciatae su una parete del transetto.Naturalmente la prassi di sepoltureall’interno e all’esterno delle chieseera estesa anche a quelle suburbane:recenti scavi archeologici, che hannoriportato alla luce i resti della chiesadi S. Pietro in vetere – sepolti da oltrecinque secoli, tanto da esserne cancel-lata anche la memoria del sito –hanno mostrato esemplarmente i varitipi di fosse individuali e comuni coni relativi reperti osteologici (SATOLLI

F. 2007, pp. 241-244).Delle chiese sulla rupe la più antica –a parte quella paleocristiana sotto S.Andrea – è S. Giovenale, dove si tro-vano gli esempi più significativi dilastre tombali a pavimento con ilritratto inciso del defunto.Una di queste lastre in pietra rossaappartiene al sepolcro di BonuccioMonaldeschi, del 1350, come si evin-ce dall’iscrizione in caratteri gotici(ANNO D.NI MCCCL. HIC IACET COR-

PUS BONUTII D.NI PETRI ET D.NI

MONALDI CUIUS ANIMA REQUIESCAT

IN PACE): questo sepolcro fu trasferitotra le colonne della navata nella partepiù bassa del pavimento dalla cappel-la a cornu evangeli dell’altare maggio-re dove in origine si trovava (PARDI

1896, p. 90).Un’altra simile lastra di pietra è quel-la della tomba dell’orvietano UgolinoMalabranca – patriarca di Costanti-nopoli e “lettore illustre dello studiodi Parigi”, come lo definisce il Fumi –che morì ad Acquapendente nel1374, fu tumulato nella vicina chiesadi S. Agostino e di lì trasferita in S.Giovenale (FUMI 1891, p. 217). Oltrealla tipologia della tomba a pavimen-to di cui s’è detto, restauri condottidalla Soprintendenza ancora in corsohanno portato alla luce un altro tipodi deposito funerario finora scono-sciuto: dietro un affresco trecentescodella parete di controfacciata, in cor-rispondenza di uno stemma nonidentificato, si è potuto notare che unconcio di tufo nascondeva una nic-chia - poi richiusa – con una croceaffrescata sul fondo e i pochi resti diun defunto. C’è da dire infine che,oltre quella di Malabranca, altresepolture furono trasportate dallachiesa di S. Agostino, dopo la suasoppressione, nell’orto attiguo allachiesa di S. Giovenale dove fino al1920 si potevano vedere i resti di unantico cimitero (PACETTI, s.a., p. 51);il cimitero è menzionato anche da serTommaso di Silvestro che nel suoDiario annotò per decenni i nomi deimorti a Orvieto, con le cause del

decesso e il luogo di sepol-tura (TOMMASO DI SILVE-STRO, 1923).Le numerose informazioni

di Ser Tommaso offrono una testimo-nianza diretta delle pratiche mortua-rie a Orvieto tra la fine del Quattro-cento e gli inizi del Cinquecento, maoggi bisogna tenere presente che daallora in avanti tutte le chiese orvieta-ne sono state almeno una volta com-pletamente ristrutturate al loro inter-no e alle più antiche sepolture, alcunedelle quali eliminate o traslate, sisono continuamente aggiunte nuovetombe, anch’esse non sempre rimastein situ.Nella chiesa di S. Domenico, peresempio, il ben noto monumento DeBraye di Arnolfo di Cambio ha subi-to tanti di quei spostamenti, consmontaggi, rimontaggi e diversi adat-tamenti (MARCHETTI 2009, p. LXI),che con gli ultimi restauri non è statapossibile una sua ricostruzione se nonipotetica.Un corretto ripristino, basato su pre-cisi studi e indagini (FAGLIARI ZENI

BUCHICCHIO 1995), è stato invecequello ottenuto con il restauro dellatomba Petrucci, un complesso archi-tettonico articolato intorno alla cap-pella della famiglia, eccezionale esem-pio – non solo per Orvieto – di archi-tettura funeraria ipogea progettata erealizzata da Michele Sanmichelinegli anni 1516-1522 all’interno delperimetro murario dell’abside dellachiesa (DAVANZO 2010).Ancora nel ‘500 fu sistemata a paretenell’attigua cappella a sinistra dell’ab-side l’edicola sepolcrale di VincenzoAviamonzi, morto nel 1553, sotto unaffresco con un Cristo in pietà del tipodi quello dipinto da Pietro di NicolaBaroni nella cappella di S. Brizio induomo e sopra lo stemma affrescatodi famiglia sorretto da due putti e,accanto, fu murata la lapide funebredi Valeriano Aviamonzi, morto dueanni dopo; per la stessa chiesa fu scol-pito da Ippolito Scalza il monumentofunebre di Gerolamo Magoni, mortonel 1596 (SATOLLI 1993, pp. 30-32).Queste sepolture sono ancora visibiliperché si trovano – come si trovavano– nel transetto di S. Domenico, unicaparte della chiesa rimasta in piedidopo la sciagurata demolizione dellenavate nel 1934, a seguito della qualescomparvero anche tutte le cappelleallineate lungo le navi laterali, con-cesse in juspatronato a famiglie e/oconfraternite come accadeva regolar-mente nelle chiese trasformate dopola controriforma, prime fra tutte ilduomo e S. Francesco che erano lepiù grandi e le più ambite.Chi volesse ricostruire le concessioni

Quando le chiese erano anche cimiteri

Planimetrie delle necropoli di Crocifisso del Tufoe di Cannicella (da KLAKOWICZ 1972 e 1974)

Pianta delle catacombe di S. Cristina a Bolsena(da CARLETTI, FIOCCHI NICOLAI 1989)

Pianta della chiesa sottostante la collegiata deiSS. Bartolomeo e Andrea disegno 1928 (daSATOLLI 1996)

Foto aerea dello scavo della Chiesa di S. Pietro “in vetera” (al centro) e due sepolture con i resti degli inumati (da SATOLLI F. 2007)

CHIESA DI S. ANDREAsotto:Arca con i resti di Stefano Cuordiferro, 1300 a fianco:Edicola sepolcrale della famiglia Magalotti, Iªmetà XIV sec.al centro:Sarcofago della famiglia Timei, XV sec. con,sopra, gli stemmi Magalotti e Timei (da INSIGNA

FAMILIARUN...)

CHIESA DI S. GIOVENALELastra sepolcrale di Benuccio Monaldeschi, 1350

Uno stemma affrescato (sec. XIV) con sotto un depositofunerario ricavato dietro un concio di tufo

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Lettera ON. 32-33 set. 2

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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTOAbbreviazioni: ASO: Archivio di Stato, Orvieto.

AODO: Archivio dell’Opera del Duomo, Orvieto BISAO: Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano

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FUMI 1891Fumi Luigi, Orvieto. Note storiche e biografiche, Lapi, Città di Castello 1891.INSIGNA FAMILIARUM 1640 ca.INSIGNA FAMILIARUM QUAE IN CIVITATE NOBILI URBEVETANA ANNO DOMINI MDCXL

VIGEBANT…, mss. in AODO, pubblicato in ORSINI Filippo, BETTOJA Maurizio, Lostemmario Cartari dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Orvieto, in “BISAO” L-LVII

(1194-2001) 2002, pp. 501-553.IORIO 1995Iorio Ruggero, Le origini della diocesi di Orvieto e di Todi alla luce delle testimo-nianze archeologiche, Ed. Porziuncola Assisi 1995KLAKOWICZ 1972Klakowicz Beatrix, La necropoli anulare di Orvieto. Crocifisso del Tufo – Le Conce,“L’Erma” di Bretschneider. Roma 1972).KLAKOWICZ 1974Klakowicz Beatrix, La necropoli anulare di Orvieto. Cannicella e terreni limitrofi,“L’Erma” di Bretschneider. Roma 1974).LO PRESTI 2006Lo Presti Aldo, Premessa, in Lo Presti A., Satolli A., Sborra M., Lo spazio di una tregua. Il

- che presupponevano anche sepoltu-re – rilasciate dall’Opera del Duomoa famiglie nobili orvietane relativa-mente alle nuove cappelle create conle trasformazioni cinquecenteschepuò ricorrere in prima istanza alledescrizioni dell’interno della catte-drale esistenti prima che fosse sman-tellato tutto con i ripristini di fineOttocento (CLEMENTINI 1704 eMAIOLI 1828).Tutto ciò in aggiunta alle numerosealtre sepolture a pavimento già per-messe nei secoli passati e agli altrimonumenti funerari che si permette-ranno in seguito agli orvietani, con-cedendo la stessa opportunità ancheai vescovi, a partire dal vescovo Vanzi,“orvietani” per nomina papale(SATOLLI 2010, pp. 263-4).In S. Francesco, invece, dove nel Cin-quecento gli altari rinnovati eranostati concessi in juspatronato a fami-glie nobili – come i Signori Avveduti,Bisenzi, Missini, Saracinelli, ecc(SATOLLI 1987, p. 238) – si può anco-ra controllare direttamente come lepseudo-cappelle create al tempo dellaristrutturazione settecentesca eranoancora appannaggio delle stesse fami-glie, anche se estinte, che sono ricor-date negli esuberanti stemmi baroc-chi in stucco delle famiglie imparen-tate che ne avevano ereditato i beni,come mostra lo stemma bipartitoCoelli/Febei.Quasi al termine dei lavori di com-pleto rifacimento dell’interno dellachiesa fu murata sul pavimento lalastra sepolcrale di Federico Valenti,morto nel 1771, che la moglie Virgi-nia Marabottini IN LVCTV RELICTA

CONIUGI SVAVISSIMO CVM LACRIMIS

POSVIT e altre se ne aggiunsero finchéfu possibile: Luisa Angeli, SORELLA

DESOLATISSIMA di Filippo Fracassini,maestro di musica orvietano, poseuna lapide funebre in memoria delfratello nel 1867, pochi mesi primadell’apertura del Cimitero civico. (LO

PRESTI 2006, p.11).Su quest’ultima lapide, sotto la rap-presentazione di uno spartito musica-le e una lira con clarinetto – che sosti-tuisce lo stemma nel ricordare lanobile attività del defunto –l’iscrizione è composta con uno deitipi di caratteri di quelli usati nelletipografie dell’epoca e questa moder-nizzazione della impaginazione delleepigrafi funerarie appare ancor piùnormale nelle chiese costruite o rico-struite tra fine Settecento e Ottocen-to.Ciò è evidente, per esempio, nellachiesa di S. Angelo, rifatta ex novo nel1828 su progetto di Andrea Galeotti(SATOLLI 1979, p.70), entrando nellaquale di possono vedere il monumen-to funerario sporgente dal muro informe neoclassiche di Elvira Mari,morta nel 1862, e la lastra tombale a

PIANTA TIPOGRAFICA [sic!] DELLE LAPIDE [sic!] E SEPOLTURE ESISTENTI NELLA CATTEDRALE DI ORVIETO, disegn

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Orvietana011 - apr. 2012

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cimitero comunale di Orvieto, Ed. Spine, Orvieto-Roma 2006, tiratura limitata, pp. 7-18.MAIOLI 1828Maioli Gaetano, Guida al forestiere, dattiloscritto 1828 in BPO, pubblicato parzialmente inSATOLLI Alberto, Quel bene detto duomo, in “BISAO” XXXIV (1978) 1980, pp. 141-160.MARCHETTI 2009Marchetti Luciano, Il restauro del monumento de Braye: ipotesi e verifiche, in Arnol-fo di Cambio: il monumento del Cardinale Gullaume de Braye dopo il restauro, Attidel Convegno (2004), “Bollettino d’Arte”, volume speciale 2009, pp. LXI-LXIV.MARIANI 2004Mariani Antonio, Giuseppe Frezzolini. Principe de’ bassi comici, Akademos, GenesiGruppo Editoriale, Città di Castello 2004PACETTI s.a.Pacetti Carlo, L’antica chiesa di S. Giovenale in Orvieto, Ed. Sallustiana, Roma, s.a. (ma 1937).PARDI 1896Pardi Giuseppe, Guida storico-artistica di Orvieto, Tip. Tosini, Orvieto1896.SATOLLI 1979Satolli Alberto, Uno sconosciuto progetto di Giuseppe Valadier, in “BISAO” XXXII

(1976) 1979, pp. 57-72.

SATOLLI 1987Satolli Alberto, La pittura dell’Eccellenza, in “BISAO” XXXVI (1980) 1987, pp. 17-275.SATOLLI 1988Satolli Alberto, Peculiarità dell’urbanistica orvietana nel medioevo, in “BISAO”,XXXIX (1983), 1988, pp. 105-168.SATOLLI 1993Satolli Alberto, Per Ippolito Scalza, Gattei Rimini 1993SATOLLI 1996Satolli Alberto, S.Andrea. Cenni storici in Orvieto-Todi. Interventi per il consolida-mento ed il restauro delle strutture di interesse monumentali e archeologico, Pizzi Milano 1996, pp 21-25SATOLLI 2010Satolli Alberto, Una recente scoperta nell’attività orvietana di Francesco Mosca dettoil Moschino (e qualche considerazione sui ritratti nel ‘500) in Atti del II Convegnosu “Le cattedrali segni delle radici cristiane d’Europa. Il ciclo scultoreo degli Apo-stoli e dell’Annunciazione nel Duomo di Orvieto” (Orvieto 2007), Opera delDuomo di Orvieto, Ceccarelli Grotte di Castro 2010, pp. 255-274.

SATOLLI 2011Satolli Alberto, Orvietani nel Risorgimento, in “Lettera Orvietana” nn. 28-31,2011, pp. 15-18.SATOLLI F. 2007Satolli Francesco, Un caso suburbano di continuità insediativa (IV-XV secolo), in Sto-ria di Orvieto, II, a cura di G. M. Della Fina e C. Fratini, Orvieto Arte CulturaSviluppo, Tipograf 2007).SATOLLI F. 2009Satolli Francesco, Pavimentazioni antiche nel contado orvietano: lo scavo della chie-sa di Campo della fiera, in Atti del XIV Colloquio dell’Associazione Italiana per loStudio e la Conservazione del Mosaico (Spoleto, 7-9 febbraio 2008), Ed. Scriptamanent Tivoli 2009, pp. 119-127.SBORRA 2006Sborra Mauro, Il Cimitero comunale di Orvieto, in Lo presti A., Satolli A., SborraM., Lo spazio … cit, pp. 19-77.TOMMASO DI SILVESTRO 1923Tommaso di Silvestro, Diario, in Ephemerides Urbevetanae a cura di L. Fumi, R.I.S.XV, 5, Zanichelli, Bologna 1923.

muro di Bonaventura Custodi,morto nel 1866, con le iscrizioni inlatino e caratteri moderni, ma ancoracon le grazie; sulla lapide, invece, inmemoria di ESTERINA/AMORE E DELI-ZIA/DI FRANCESCO ED ERMELINDA

MAURIZI. che MORÌ IL XIX SETTEMBRE

MDCCCLXVII e VISSE SOLO MESI XV,l’iscrizione è in italiano e il tipo dicarattere “bastoni”.A partire dal « … giorno di Lunedì 2Dicembre – come si legge in un avvi-so comunale a stampa del 27 Novem-bre 1867 – verrà attuato il regolareservizio funebre per la tumulazionedei Cadaveri in detto luogo [il nuovocimitero, nda]. Da siffatto giornoresta espressamente vietato senzariguardo a condizione e classe di per-sone la tumulazione nelle ParrocchieConfraternite ed altre qualsiasi Chie-se della città e sobborghi» (SBORRA

2006, p.45).Con questo passaggio epocale siintaccò un potere secolare fondato“… sul monopolio della morte e sulcontrollo esclusivo dei rapporti con imorti” (BAUDRILLARD 1979, p. 143)ed il trasferimento delle spoglie deidefunti dalle chiese ai cimiteri pub-blici fu certamente uno dei segni piùforti del cambiamento in atto, anchese alla Chiesa restò la cura delleanime di quei fedeli che credono diaverle.Se a qualcuno venisse in mente di fareun censimento delle sepolture esi-stenti nelle chiese orvietane, una rico-gnizione sistematica i cui dati potreb-bero essere utilizzati in differentiricerche – da quella onomasti-co/anagrafica a quella araldica, daquella sulla pietas espressa dalle epi-grafi a quella sul disegno dei caratteriusati (onciale, gotico, lapidario roma-no nelle diverse varianti, ecc…), aquella dei gruppi sociali di apparte-nenza dai defunti – potrebbe integra-re i rilevamenti dell’esistente conelenchi nominativi di concessionaridi tombe ormai disperse che presumi-bilmente si conservano negli archiviparrocchiali, compilati se non altroper la gestione degli spazi sepolcralied eventualmente per l’ammini stra -zio ne delle offerte.Di alcune chiese esistono poi dellemappe con la dislocazione delletombe e gli elenchi dei proprietari:sono a conoscenza soltanto di tre diquesti disegni, ma non è detto chenon ve ne siano altri.Un primo disegno su pergamena concornice decorata da girali floreali, èquello della PIANTA DELLA CHIESA DI

S. MA DE SERVI DI ORVIETO COL

NUMERO E DISTINZIONE DELLE SUE

SEPOLTURE:il disegno, che fotografaimolti anni fa nell’Archivio dei Serviin Orvieto e oggi si trova nell’Archi-vio di Nepi, è stato attribuito a Nico-la del Carretto e datato 1719 (FAGIO-o acquerellato, 1877 ca. (ASO, Archivio Paloni, autorizzazione del Ministero BCA, concessione n. 73/2012)

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

LI 2003, p.14).Un secondo disegno – del quale nonho rintracciato l’originale, ma conser-vo una foto – è la PIANTA DELLA

C[ONVENTUA]LE CHIESA DI S. DOME-NICO. CAPPELLE, BANCHI E SEPOLTURE

GENTILIZ[IE].La pianta – credo inedita – è interes-sante perché rappresenta, seppureschematicamente, la planimetria dellachiesa di S. Domenico com’era primadella demolizione delle navate.Delle sepolture, dette “gentilizie”,solo alcune appartenevano a nobilicasate, ma erano prevalentemente difamiglie borghesi, tutte residenti nel-l’antico quartiere di S. Pace.Questo è quanto si deduce dall’elen-co riportato in pianta dei Proprietaridelle Sepolture nel quale ne sono enu-merate trentaquattro, individuando-ne la dislocazione sul pavimento ditutta la chiesa: venti nell’area absidalee nel transetto (delle famiglie dei Feb-bei, Febbei Piccolomini, Palazzi,Napolioni, Gaddi, Bucciotti, Bernardi,Zampi, ecc.) e le quattordici rima-nenti nella navata centrale (delle

famiglie Negroni, Silvestrucci Vaggi,Arciti, Eleuteri, Santarelli, ecc.).L’elenco è prezioso perché dalla chie-sa non sono scomparse soltanto letombe che si trovavano nella navata, acausa della ricordata demolizioned’epoca fascista, ma con la sistema-zione del residuo transetto, sono statedistrutte – ad eccezione della tombaPetrucci e della pietra tombale FAMI-LIAE PHOEBEAE (e forse di quellarimasta muta della famiglia BUCCIOT-TI) sul fianco nord – tutte le altrelapidi a pavimento e la Pianta quipresentata è l’unico documento cheinforma sul posizionamento e sullesepolture a suo tempo esistenti in S.Domenico.Un documento altrettanto prezioso, inquesto caso per un confronto con lasituazione attuale del duomo di Orvie-to con quella precedente il rinnova-mento della pavimentazione – checausò l’asportazione indiscriminata dimolte pietre tombali (SATOLLI 1980,p.109) – è la PIANTA TIPOGRAFICA

[sic!] DELLE LAPIDE [sic!] E SEPOLTURE

ESISTENTI NELLA CATTEDRALE DI

ORVIETO, recentemente rinvenutanell’Archivio di Stato di Orvieto eancora inedita.Sulla grande pianta, esattamente rile-vata, disegnata a china e acquerellatasu carta telata, non ho individuato nédata né firma, ma si può porre un ter-mine ante quem per la sua realizzazio-ne al 1877, anno in cui fu deciso didemolire quegli altari cinquecente-schi che vi sono ancora rappresentaticon le rispettive balaustre, mentre ildisegno si può attribuire allo studiodi Paolo Zampi e forse a lui stesso,che all’epoca era già in perfetta sinto-nia con Carlo Franci, presidente del-l’Opera del Duomo dal 1879, e conLuigi Fumi per attuare il “ripristino”del duomo, cioè per distruggere l’ap -pa rato decorativo tardo-manieristadel suo interno.Nella pianta sono rappresentate, alloro posto sul pavimento, tutte lelastre tombali delle sepolture a terra,contrassegnate da numeri progressiviper ogni navata; in alcuni casi sonodisegnati anche gli stemmi di fami-glia presumibilmente ripresi da quelli

incisi sulle lastre di pietra, ma conl’aggiunta dei loro colori ad acquerello.I numeri progressivi fanno riferimen-to a tre elenchi in cui sono indicati,soltanto in parte, i concessionari delletombe: I. ventotto sepolture nellanavata centrale (Gualtieri, Capitolo,Dolci, ecc.), II. quarantadue nellanavata verso nord (Magalotti, Monal-deschi, Chierici del Duomo, Aureli,ecc.) e III. trentanove nella navataver so sud (Monaldeschi, Colombi,Compagnia di S. Maria, Mangrossi,Curia, ecc.).Con lo stesso sistema di individuazio-ne sono riportate anche alcune epi-grafi, che vanno dal Trecento all’Ot-tocento: I. tredici delle tombe dellaNavata di Mezzo, II. sette di quelledella navata nord e III. dieci di quel-le della navata sud, con l’aggiunta ditre della Cappella della Madonna, cioèdi S. Brizio.L’ultima epigrafe trascritta dalle pie-tre tombali della navata nord e ripor-tata sulla pianta è quella della sepol-tura di giuseppe pedota di altamu-ra/probo saggio religioso/di cimarosa e

paisello [sic!] nella musicale arte/som moprofondo emulatore/nella cappella diquesto tempio/ per più di cinque decenniregolatore sapientissimo/…L’epigrafe per intero si può ancoraleggere in duomo (MARIANI 2004,p.9) ed è stata qui ricordata nontanto in memoria di Giuseppe Pedo-ta – che quasi tutti ignorano pur segli fu dedicata anche una via (FUMI

1891, p.223) – quanto perché fugiuseppe frezzolini a ricoprire con[questo] umile sasso le ossa onorandel’anno MDCCCXXXVIII settimo del suoriposo nel signore e Giuseppe Frezzo-lini l’anno seguente, il 18 marzo1839, fu eletto Gonfaloniere delComune di Orvieto, dove si eracostituita la Repubblica Romana lacui assemblea aveva proclamato ladecadenza del potere temporale(SATOLLI 2011, p.18): un buonesempio, questi correlati episodi, dicosa significasse allora per l’istitutocomunale dell’Opera del Duomol’aggettivazione di “laicale”.

Alberto Satolli

CHIESA DI S. DOMENICOPIANTA DELLA C.LE CHIESA DI S.DOMENICO DI ORVIETO, Cappelle, Banchi e Sepolture Gentiliz., Disegnoacquerellato, fine XIX - inizi XX sec. (foto dell’autore)(al centro) Monumento al Card. De Braye e Cappella ipogea della famiglia Petrucci, con un particola-re del “cuperculum” sovrastante, 1516-1522.(a destra in basso) Edicola sepolcrale di Vincenzo Aviamonzi († 1553) con “Cristo in Pietà” e stemmadi famiglia affrescati e monumento funebre di Gerolamo Magoni († 1596)

(a destra in alto) PIANTA DELLA CHIESA DI S.MARIA DE’SERVI CON IL NUMERO E DISTINZIONE DELLE SUE

SEPOLTURE, disegno attribuito a Nicola del Carretto, 1719 (già in Archivio del Convento dei Servi diMaria di Orvieto, ora in quello di Nepi (foto dell’autore e autorizzazione g.c.)

CHIESA DI S. FRANCESCO(a sinistra) Stemma in stucco Coelli - Febei in una cappelladella chiesa(sotto) temma Valenti - Marabottini sulla lapide dellatomba di Federico Valenti († 1771)(a destra) Lapide funebre in memoria di Filippo Fracassiniposta dalla sorella nel 1867.

CHIESA DI S. ANGELOMonumento funebre di Elvira Mari († 1862) Lapide in memoria di Esterina Maurizi († 1867)

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Questo personaggio, finora sco-nosciuto alla storiografia dei

Servi, è cominciato ad emergere pro-prio nella sua città natale, in formaabbastanza rilevante. Anche se non sitrovassero altri documenti, quelli chequi si scrivono lo presentano comeun personaggio degno di tuttorispetto.In primo luogo ci danno i nomi deigenitori: Fra Giovanni nacque daDomenico di Sante e da Bartolomeain Orvieto. Entrò tra i frati Servi diMaria. Dagli stessi documenti siconosce il grado raggiunto neglistudi: Maestro in Sacra Teologia. documentata parte della sua attivitàin campo culturale, nell’apostolato,ed anche nel campo economicofinanziario a beneficio del suo con-vento.Si viene a conoscere la data e illuogo della sua morte; la data e illuogo di sepoltura della madre.Rimane incerta la data della suanascita e il tempo del suo ingressonell’ordine di Santa Maria dei Serviche si realizzò nel Convento diOrvieto, secondo le regole di allora.Seguì il corso ordinario degli studinel suo Convento, proseguendoli inqualcuno degli Studi Generali del-l’Ordine.Fu elevato al grado di maestro inSacra Teologia durante il CapitoloGenerale celebrato a Bologna nel1488 nei giorni di Pentecoste. Attività e primi incarichiNel 1481 partecipò al CapitoloGenerale del suo Ordine, iniziato aVerona il 22 maggio, vigilia dellafesta di Pentecoste. Era secondo defi-nitore (consigliere) della ProvinciaRomana dell’Ordine: “MagisterIohannes urbevetanus pro ProvinciaPatrimonii secundus diffinitor.”(Studi Storici OSM.14(1964),p.337)Era già reggente (preside) in qualcheStudio Generale, forse in quello diPerugia; infatti il giorno della festadi Pentecoste, 23 maggio, presiedet-te, come moderatore, ad una pubbli-ca disputa teologica sulla “Semplicitàdi Dio”, svolta nella piazza centraledi Verona, da un suo allievo: fraNicola da Perugia.“Die seguenti (23 maii) que fuit diesPentecostes... in publico foro urbis,post prandium, venerabilis fraterNicolaus perusinus, R.do MagistroIohanne urbevetano cathedrante,positionem quamdam de Simplicita-te Dei cum suis cololariis et perti-

nentibus erudite quidem disputavitet ex hac disputatione Religio nostranon nimiam commendationem con-sequuta est.” (Studi Storicic.s.,p.338)Nell’ambito dello stesso CapitoloGenerale si riunirono, in assembleedistinte, i frati presenti di ciascunaProvincia dell’Ordine per eleggere ilrispettivo priore provinciale; i fratidella Provincia Romana elessero ilp.Giovanni da Orvieto.“In die lune (24 maii) que fuit diessecunda Pentecostes, ... Rev.di PatresProvinciales infrascriptarum Provin-ciarum electi fuerunt per deffinito-res, patres et fratres Provinciarumsuarum et eadem die per R.mumPatrem Generalem et ReverendosPatres Diffinitores Capituli Generalisconfirmati fuerunt, qui tales sunt ...pro Provincia Patrimonii ReverendusMagister Iohannes de Urbevetere.”(Studi Storici c.s.,p.339)

Attività culturaleTerminato il triennio nel suo ufficiodi priore provinciale, il p. Giovannida Orvieto tornò al suo ruolo di reg-gente degli studi. Durante il Capito-lo Generale, che si svolse Bolognanel maggio 1494, il giorno 17, fudestinato alla Reggenza dello Studiodel Convento della SS. Annunziatadi Firenze. “Isti sunt Regentes: in conventu Flo-rentie Rev.dus Magister Iohannes deUrbevetere.” (Studi Storici OSM,121966, p.103)

PredicazioneNel 1501 fra Giovanni si ritrova nelsuo Convento di Orvieto. Sembrache non sia più impegnato nell’inse-gnamento; si dedica più largamentealla predicazione, da cui ricava anchedenaro che utilizza, d’accordo con ifrati della comunità, a beneficio delConvento, investendolo in attivitàproduttive.

Attività finanziarieAllora erano consentiti i prestiti didenaro, ma senza interesse; al termi-ne dell’attività si restituiva il denaroprestato; era consentito dividere ilricavato che superava il capitale inve-stito.Questo fece fra Giovanni investendocento fiorini nel commercio delbestiame esercitato dal fabbro orvie-tano Antonio Antonelli.Il contratto fu stipulato il 7 maggio1501e sarebbe terminato al carnevale

dell’anno successivo; allora mastroAntonio avrebbe restituito a fra Gio-vanni il capitale investito e un terzodel guadagno.

7 maggio 1501“Magister Antonius Antonelli, faber,de Urbevetere et regione Sancti Ange-li. Constitutus coram me notario ettestibus infrascriptis, fuit per se etsuos heredes confesus et contentus sehabuisse et recepisse a venerabili viroSacre Theologie Magistro IohanneDominici,Ordinis Sancte Marie Ser-vorum de Urbevetere, presente et sti-pulante pro se et suis Heredibus etsuccessoribus, florenos centum adrationem quinque librarum denario-rum pro quolibet floreno, cum inten-dat dictus Magister Iohannes hocfacere pro alimentatione, sustentatio-ne et bonificatione dicti conventusSancte Marie Servorum. Et in veritatein presentia mei notarii et testiuminfra scriptorum, dictus magisterAntonius habuit et recepit in pecunianumerata et in contanti ducatos tri-gintaquinque auri largos et in monetaargentea ducatos quinque largos,computatis tamen in dicta summacentum florenorum, decem aliisetiam larghis iam habitis per dictummagistrum Antonium a dicto magi-stro Iohanne ante presentem contrac-tum, ut ipse partes assuerunt. et hoc dicte partes fecerunt, quia pre-fatus Magister antonius promisiteidem Magistro Iohanni, cum dictiscentum florenis diligenter, bona fideet sine fraude, trafficare in emendoanimalia et alia vendendo usque adcarnis privium proxime venturum.Cum hac conditione et pacto, quodin dicto carnis privio, dictus MagisterAntonius teneatur et obligatus sitdicto magistro Iohanni reddere com-putum et rationem fideliter dictorumcentum florenorum et etiam dedamno et lucro dictarum pecunia-rum; cuius tamen lucri seu damnidictorum denariorum dictus magisterantonius teneatur in dicto temporecarnis privii consignare tertiam par-tem eidem magistro Iohanni.Actum in Urbevetere, in secundoclaustro Sancte Marie Servorum,iuxta tertium clustrum et iuxta cella-rium dicti conventus et alia latera:presentibus venerabili viro fratreIohanne Iacobi de Alexandria, prioredicti conventus et Pauluo constantiide Jalchi, habitatore in Urbeveterete-stibus.Et ego Antonius quondam Iacobi deCapita notarius etc…” (ASO,AN,Antonio de Capita,n.131,cc.38-40)

Alle stesse condizioni e alla stessa dataè registrato un altro prestito di dieciducati d’oro a Paolo di Costanzo.“Eodem anno 1501 et dicta die 7mensis maii.Paulus constantii prefatus confessusfuit se habuisse et recepisse mutuatosducatos auri ad rationem tresdecimcarlenorum pro quolibet ducato, adicto venerabili viro Paulus Con-stantii prefatus cinfessus fuit sehabuisse et receoisse m MagistroIohanni Dominici Ordinis SancteMarie Servorum, quos promisitrestituere ad requisitionem dicti

magistri Iohannis Dominici. Actum in claustro ut supra, presenti-bus dicto fratre Iohanne IacoboIacobi Priore dicti conventus et dictomagistro Antonio Antonelli.”(ASO,AN,c.s.,c.41)

Fra Giovanni e la sua cittàIl notaio ser Tommaso di Silvestro,nel suo “diario” trasmette vari episo-di di vita locale nei quali è coinvoltofra Giovanni con la sua predicazioneo con la sola presenza.

Agosto 1501“[lo] figluolo del conte Ranuccio daMarsciano, haviva circa ad quattroanni et mezo, morì qui in Orvieto, et in casa lorola giù nella piazza de Sancto Angu-stino. Morì mercordì25 a dì xj d’agosto Mccccc primo, etlo jovedì a dì xij pocho nanti vespe-ro, fu portatonello catalecto con grande onore contucto lo clero comitato da molte cip-tadine; et lo conteLamberto suo zio fu al funerale etportato ad Sancta Maria maiure, fufacto lo telaio comitatoda le donne luctuose ; et mastroGiuhanni dell’ordine de’ Serve fecela predica et predicòde immortalitate anime a propositodel mammolo.” (ASO,Ser Tommasodi Silvestro, Diario,c.167r)

L’anno successivo, 1502, fra Giovan-ni fu incaricato della predicazionedella Quaresima in Duomo. Il diari-sta ricorda in particolare gli ultimigiorni della Settimana Santa:“La quintadecima della luna fu mer-cordì ad mactina a di 23 de marzo:fu tristo tempo;e lo jovedì, che fu lo jovedì sancto,similmente fu tristo tempo: tucto lodì piovecte et lanocte che fu jovedì, ad nocte, che fulo jovedi Santo, se levò una ventanaterribile, et duròtucta la nocte una tempesta de ventoche mectiva spavento et timore, adeoche durò piùde septe hore et quella tempesta devento, che fu de nocte, spezzò et sdi-radicò molte arboredentro in Orvieto, et intra l’altrecose levò una tectora lì alla pontica,ciò è spetiaria deGiorgio de Jaco de Giorgio, in terra,la quale octo o diece persone congrande fatiga laremectettora su ad remectorla. Etquesta tempesta durò insino ad lenove hore de nocte. /;w

5 Inde in qual ora se incomenzò lapredica della passione; et predicòquella quatrageximamastro Giuhanni da Orvieto dell’or-dine de Sancta Maria de Serve,valentissimo homo infilosofia et teologia.” (Ibid.,c.175)

Per la festa dell’Ascensione dello stessoanno 1502, maestro Giovanni fu chia-mato a predicare, ma non sul misteroche si celebrava, bensì per le esequiedi un illustre cittadino orvietano:“Monaldo de Fasciolo, ciptadinod’Orvieto, cavaliere aureato, qualeera stato in offitio per Potestà overoCapitaneo ad Fiorenza entrò delmese d’aprile passato et tornò delmese d’octobre passato del 1501 dal-l’offitio de Fiorenza’ con grandehonore, con veste de inbroccatod’oro et de seta de varii colore etbene in ordene. Et doviva entrare inoffitio per Potestà in Peroscia a dìdui de questo presente mese demagio 1502. Haviva expedita labolla et pagata la tassa de 75 ducati,et in Roma se infermò alle dì passatiper expedire le decte bolle dellodecto offitio de Perosia, adeo chevenne qui a dì 25 de aprile 1502,cioè tornò da Roma infermo et morìogie che fu la vigilia dell’Asciensio-ne, cioè mercordì a dì quattro demaio 1502 de pò vespero immedia-te; perochè ad hora de vespero secomunicò et poco visse da puoi. Etlo jovedì, cioè lo dì dell’Ascensione,a dì cinque de maio, fu sepellito inSan Francesco de pò pranso; et duròtanto lo suo funerale, che era sonatoad vespero, perochè con grandehonore fu portato alla sepoltura;primo molto bene adornato lo cata-lecto et comitato quasi da tucti liciptadini; dui cavalli armati, uno deveste lugubre con uno a cavallo collabanderola de negro coll’arme suastrascinandola per terra, et un altroad piede pure con un’altra banderolanegra pure strascinandola per terra;un altro cavallo colla sopra veste deseta bianca con uno a cavallo, qualeportava lo stendardo o vero vexillo,quale ebbe in offitio ad Fiorenza; etderieto venivano una grande comiti-va de 10 donne triste resolutis criui-bus’, et erano circa ad sei hore quan-do giunse alla chiesia; se cantò lamessa et predicosse: et predicòmastro Giuhanni de Sancta Mariade’ Serve, et fu facto lo mortorio lìfinita la predica et da puoi seppelli-to.”(Ibid.,cc.176-177)Nelle due feste seguenti, particolar-mente suggestive a Orvieto: Penteco-ste (la Palombella) e Corpus Domini(il Sacro Corporale), non predicòmaestro Giovanni dei Servi, ma fraGiovanni da Pontremoli del Terz’Ordine Regolare di S. Francesco,molto giovane e forse un po’ gonfia-to dal suo priore generale, che loseguiva come una guardia del corpo.Sia il Comune che i canonici detteroal maestro Giovanni dei Servi il deli-cato incarico di sorvegliare discreta-mente il giovane predicatore e diriferire fedelmente le sue impressio-ni.

Fra Giovanni da OrvietoIn ricordo di padre Roberto M. Fagioli O.S.M.

Un interessante pezzo su un personaggio orvietano del XV-XVI sec. Particolari e personaggi dagliArchivi dei Servi di Maria. Un ringraziamento particolare alla professoressa Maria Teresa Morettiche con solerte e paziente perizia rende note ricerche inedite di grande spessore culturale.

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30 settembre 1503Il padre maestro Giovanni di Dome-nico Sanctis aveva prestato al mae-stro fabbro Antonio Antonelli in unaprima rata cinquanta ducati d’oro eargento a ragione di due fiorini perducato; come risulta nell’atto pub-blico rogato da ser Antonio di Gia-como de Capita in data 5 maggio1501 sopra riportato.In un’altra rata prestò una sommanon precisata, senza contratto scrit-to, ma sulla parola, sulla buona fede.Morto mastro Antonio fabbro, ilfiglio Giovanni Francesco, anche seancora minore di venticinque anni,ma maggiore di quindici, aveva giàrestituito al p. Giovanni trenta duca-ti d’oro. Allora il p.Giovanni, perchiarezza, desiderò fare un calcolo diquanto era ancora creditore, e questavolta con atto pubblico; furono pre-senti quindi altre persone: ilp.Giovanni Giacomo Giacomini daAlessandria, priore del Convento, eil p. Bonaventura di Alemagnaaffiancarono il p.Giovanni; PietroPaolo di mastro Domenico assistetteGiovanni Francesco come padrino ecuratore testamentario, Angelo diPietro Lello, cognato del defuntomastro Antonio, rappresentò lasorella Fiorita, vedova dello stessomastro Antonio. Fatti i calcoli risul-tò che Giovanni Francesco dovevaancora restituire venticinque ducati emezzo.Fu concluso un accordo nei seguentitermini: Giovanni Francesco nonsarebbe stato più considerato debito-re, ma depositario di quella somma,che si impegnò a restituire dentro ilmese di ottobre seguente; passato ilmese, se non avesse potuto restituirel’intera somma, sarebbe stato obbli-gato a richiesta del p.Giovanni.“Acta fuerunt in conventu ecclesieSancte Marie Servorum de Urbeve-ter, in camera rev.di patris IohannisDominici quondam Sanctis dictiOr-dinis, coram et presentibus venerabi-libus religiosis frate Iohanne IacoboIacobi de alexandria priore dicteecclesie et conventus et frate Bona-ventura de alemannia dicte ecclesieet conventus testibus. \cum hoc fuerit et sit quod aliasmagister Antonius Antonii, faber deUrbevetere, dum in humanis ageret,mutuo recepisset causa trafficandi etnegotianti pro se a rev.do fratremagistri iohanne dominici SanctisOrdinis Servorum de Urbevetere,primo in manu quinquaginta duca-tos auri ad rationem duorum flore-norum pro qualibet ducato, de qui-bus apparire dixerunt publico instru-mento manu ser antoniii Iacobi deCapita; et in alia manu, bona fide,certam aliam summam denariorumde qua nulla apparet scriptura; etsuccessive idem magister Iohannescertam partem de dicta summa rece-pisset a dicto magistro antonio; etdemum dictus magister antoniusmortuus fuerit nulla facta rationeinter ipsas partes; et pridie idemmagister Antonius mortuud fueritnulla facta ratione interipsas partes;et pridie idem magister Iohannesrecepisset a discreto iuvene IohanneFrancisco, filio et herede dicti magi-stri Antonii, ducatos similes triginta,prout ipse magister Iohannes coramme notario et testibus supradictisconfessus fuit; et dende devenerit adcalcolum inter eos de habitis etreceptis.Idcircho dictus IohannesFranciscus, filius et coheres dictimagistri antonii sui olim patris,minor viginti quinque et maiorquindecim, tamen cum presentia etvoluptatePetri Pauli magistri domi-nici patrini dicti Iohannis Francisciet curatoris testamentarii, et etiam

cum presentia et consensu AngeliPeri Lelli cognati carnalis et procura-toris honeste mulierris Florite uxorisolim dicti magistri antonii et curato-ris filiorum et heredum ipsius magi-stri antonii, promictentes de rato,dicti Petrus Paulus et Angelus Petruspro dictaflorita, quod ipsi facient etcurabunt quod dicta florita infra-scriptum contractum confessionis etobligationis approbabit et omologa-bit; alias voluerint teneri ex suo pro-prio. In presentia mei noterii ettestium infrascriptorum, personaliterconstitutus, non vi etc., dixit, asse-ruit et confessus fuit se esse verumdebitorem dicti magistri Iohannis etobnoxium et obligatum ad dandumet solvendum eidem magistro Iohan-ni ducatos viginti quinque cumdimidio ad dictam rationem; et hocapparet contractus, quam aliorumdenariorum mutuatorum per ipsummagistrum Iohannem et nonapprentium oer contractum, scilicetquod testes possent probare. De qui-bus viginti quinque ducatis cumdimidio idem Iohannes Franciscus,volens uti veritate et bona fide, se exnunc pro tunc constituit et fecitdepositarium dicti magistri iohanniset habere et tenere in depositum etnomine depositi omni ipsius Iohan-nis. Et ut depositarius promisiteidem magistro Iohanni dare, solvereet restituere hinc ad unum mensemproxime futurum; et ab inde etantea ad omnem instantiam ipsiusmagistri iohannis. Promictens etc.renuntians etc...”(ASO, AN, n.292, cc.123e 125)Lo stesso giorno la vedova Fioritaratifica l’operato del figlio GiovanniFrancesco e del fratello Angelo Pie-tro.“Ratificatio facta per dominam Flo-ritam. supradicta die et paulo post:domina Florita uxor olim magistriantonii fabri sponte approbavit etomologavit supradictum contractumconfessionis, oblogationis et depositifactum persupradictum IohannemFransciscum. Actum fuit hoc in pedescalarum domus habitationis here-dum dicti magistri antonii posite inUrbevetere.” (Ibid.,cc.148-149)

Un confratello ed amicoFra Bonaventura di Alemagna, cheaffiancò il p. Giovanni da Orvietonell’atto soprascritto, visse nel Con-vento dei Servi in Orvieto gli ultimiventi anni della sua vita. Non sihanno, per ora, alte notizie di questofrate. Si può ricordare che nell’ulti-mo ventennio del ‘400 i superioridell’Ordine dei Servi operarono lar-ghi spostamenti di frati, anche inRegioni distanti l’una dall’altra. Ildiarista orvietano dell’epoca non hatralasciato di dare notizia dellamorte di questo frate:“Frate bonaventura tedescho, fratede Sancta Maria de Serve, homovecchio, quale era stato qui nel con-vento de Sancta Maria de Served’Orvieto anni venti continui, oquasi, morì ogie che fu domeneca adì 27 del mese de agosto 1508; etdicta die de po’ vespero fu sepellitoinSancta maria de Serve.” (ASO, SerTommaso di Silvestro, Dia-rio,c.430v.)

28 novembre 1503Il padre maestro Giovanni di Dome-nico Sanctis, insieme agli altri frati,ha deciso di investire in beni stabili,a favore del Convento, la sommache sta per ricevere da GiovanniFrancesco di mastro Antonio. Hacontrattato l’acquisto da Paolo diCostanzo di una vigna ubicata nellacontrada detta “La strada todina”.

Nel mese di febbraio è stato por-tato a termine il restauro di un

affresco sito sulla parete sinistra,all’interno della piccola chiesa delconvento. Il più illustre storico di Pantanelli, ilfrancescano padre Livaro Oliger, nelsuo interessantissimo libro “Panta-nelli presso Orvieto romitorio deitempi di S.Francesco” (1932), cosìparla della pittura: “ …all’unicanavata della chiesa nel decorso dei seco-li erano state aggiunte delle cappellelaterali. …La più antica delle cappelleera a sinistra di chi entra nella chiesa,dove sotto l’intonaco si sono scoperti iresti di un affresco cinquecentesco, rap-presentante la Crocifissione, con lefigure della Madonna, di S.Giovanni

Evangelista e di S.Maddalena, nonché del tronco inferiore della Croce, ancora ben riconoscibili”.Sebbene la pittura fosse mal ridotta e poco evidente, l’ottima opera di restauro, ha restituito delle belle immaginidelicate e ben delineate. Bellissima la Madonna che sembra eseguita da una mano più esperta e differente da quellache ha realizzato le altre figure. Sullo sfondo pallide immagini di un villaggio.Ha eseguito i lavori Annunziata Corradini della Ditta A.T.I. Giartosio Vittoria e Elleci Restauro di Orvieto. Il lavoro è stato possibile grazie alla sponsorizzazione della Fondazione della Cassa di Risparmio di Orvieto, allaquale hanno presentato richiesta l’Associazione culturale “L’ECO” di Baschi e il Gruppo Archeologico. Va ricordatoche già quattro anni fa, la Fondazione della CRO ha sponsorizzato il restauro della lunetta posta sopra la porta diingresso della chiesa del suddetto convento; il dipinto è opera del Pastura e rappresenta una Annunciazione con pae-saggio umbro.

M. A. Bacci Polegri

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Restaurato un affresco nella chiesadel convento di S. Angelo di Pantanelli

Congresso sui santuari comunitariNuovo appuntamento con il Congresso internazionale di studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria, gionto

alla XIX edizione, organizzato dalla Fondazione per il Museo “Claudio Faina” di Orvieto. All’importante assi-se, che trattava quest’anno de “Il Fanum Voltumnae e i santuari comunitari dell’Italia antica”, hanno preso parte

numerose ed autorevoli esponenti della ricerca archeologica, tra cui: Simonetta Stopponi, Claudio Bizzarri, Giovan-ni Colonna,Giovannangelo Camporeale, Laura M. Michetti , Claudia Carlucci, Adriano Baggiani, Armando Chieri-ci, Carmine Ampolo, Filippo Coarelli, Massimiliano Di Fazio, Simone Sisani, Gianluca Tagliamonte per citarnealcuni. La sede congressuale è stata, come al solito, il prestigioso Palazzo del Capitano del Popolo, nel centro storicocittadino.

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Tra i numerosi restauratori otto-centeschi che hanno operato sul

territorio umbro e romano, si ricor-da il pittore perugino AnnibaleAngelini (1810-1884) e la sua schie-ra di allievi tutti usciti dall’Accade-mia di S.Luca di Roma e dall’Acca-demia di Perugia, autore di moltiinterventi di ripristino a Genova,Roma e in Umbria1. Questo studio non intende esaurireun argomento così vasto e interes-sante che meriterebbe un approfon-dimento ulteriore con l’analisi dellevarie teorie ottocentesche sul restau-ro2, ma soltanto fornire precise indi-cazioni sui numerosi interventi ese-guiti dall’artista in un periodo com-preso tra il 1830 e l’unità d’Italia,cioè tra le eredità accademiche eneoclassiche e il purismo minardia-no.Angelini come tutti gli artisti del suotempo non può essere consideratoun vero e proprio restauratore3 poi-ché la vera figura di restauratore veroe proprio, nasce soltanto alla finedell’Ottocento, con l’applicazionedei metodi scientifici alla pittura euna delle prime conferenze interna-zionali di metodologie scientificheapplicate al restauro risale solo nel1930, dopo una lunga attività diripristino, che tendeva ad eliminareil tempo fra la conclusione dell’operae il presente.Tutti i pittori accademici dell’Otto-cento sono da considerarsi degli arti-giani come dimostra di esserlol’Angelini il quale, attraverso ricetteche lui stesso prepara e utilizzandocolori naturali, realizza numerosiinterventi di ripristino nelle ricchedimore dell’Umbria e nel resto delloStato Pontificio.

Il periodo umbroI primi interventi di restauro eseguitidall’Angelini in Umbria risalgono alperiodo giovanile, gli vennero com-missionati nel 1830 dai soci dell’Ac-cademia del Teatro del Pavone diPerugia, dove l’artista lavorava comescenografo fin dal 1828. Il giovane Annibale, insieme con ilsuo compagno di studi VincenzoBaldini (Perugia 1809-1881) restau-rò gli affreschi eseguiti nel 1814 daipittori Luigi Tasca di Padova e dalromano Gaspare Coccia. Il Teatrodel Pavone, riservato ad un pubblicoborghese, era stato ricostruito nel1765 sul modello del Teatro Argen-tina di Roma e le prime decorazionivennero eseguite secondo un gustoneoclassico da Carlo SpiridioneMariotti e dal bolognese RaimondoCompagnini. In seguito nel 1814 ipittori Gaspare Coccia, romano e ilpadovano Luigi Tasca ridipinserototalmente l’interno con nuovedecorazioni e il Tasca eseguì ancheun nuovo sipario, in sostituzione diquello di Francesco Appiani. Del restauro eseguito nel 1830 daAngelini e Baldini purtroppo nonrimane più nulla, in quanto i lorointerventi vennero cancellati com-pletamente nel 1853 da Nicola Ben-venuti, quando eseguì una nuovaridipintura del teatro4. Probabilmen-te però, i due amici, allievi di Minar-di e di Sanguinetti, adottarono untipo di restauro integrativo in stile,tipico dei pittori puristi, reintegran-do dove necessario anche le partimancanti, senza lasciare lacune invista per una esigenza di decoro,dato che questo era un edificio pub-blico. Successivamente Angelini e Baldinisi ritrovarono ancora insieme perrestaurare l’altro Teatro della città, ilVerzaro (oggi Morlacchi) tradizional-

cui opina il sottoscritto, che sarannosuscettibili di restauro, pazientementecontornandole con la nuova pitturache si crede necessaria di rinuovareinteramente, secondo il disegno che hal’onore di sottoporre al giudizio deiSig. ri Deputati…7. L’artista rispettò l’opera originale,ma dipinse in stile le parti mancanti,basandosi per queste sul disegnofatto dal Tasca, infatti sempre nelmedesimo progetto dichiarava:…Nell ‘immaginare e disporre ilnuovo quadro, ha cercato di non disco-starsi dalla bella descrizione fatta nellibro stampato nel 1814 allontanan-dosene solamente in questo, che invecedi situare gli sposi sulla Gradinata deltempio in atto di ascendere al medesi-mo; s’incammineranno a quella voltaascendendo la collina sulla sommitàdella quale si vede situato il Tempio,ed acquistare così maggiore spazioonde rappresentare il Lago con le sueIsole da vedersi in lontananza framez-zo alla folta boscaglia. Non trascura diavvertire essere necessario i due mezziteli laterali del Sipario, i quali trovasiin stato lacero, e stentati nella parteinferiore…8. In quell’occasione Anni-bale dipinse anche un nuovo como-dino o secondo sipario, per gli inter-mezzi, per il quale …ha creduto benfatto immaginarlo analogo al Sipario,dipingendo l’atrio del sudd.to Tempio,mostrando fra gl’intercolonii una deli-ziosa campagna con parte del Lago, ene esibisce il disegno...9.I restauri all’interno del Verzaro ven-nero ultimati nel mese di agosto del183810. Attualmente di questi inter-venti non rimane nulla, poichè nel1874, gli affreschi subirono unanuova ridipintura da parte di Maria-no Piervittori (Tolentino/Mc 1820Orvieto 1888) allievo dell’Angelini11,autore anche del sipario storico tut-tora in situ, raffigurante Il ritorno diBoiardo Michelotti a Perugia12. Per questo nuovo restauro lo stessoAngelini nel 1867, allora Soprinten-dente dell’opera del Teatro, presenta-

va un progetto. Nella stessa occasio-ne vennero presentati anche altriprogetti da parte dell’ingegnereCoriolano Monti e dall’architettoGuglielmo Calderini (Perugia 1837-Roma 1916). Annibale aveva proposto come suoaiutante di figura il giovane Dome-nico Bruschi (Perugia 1840-Roma1910)13 ed inizialmente, nella prima-vera del 1868 l’incarico veniva affi-dato a Monti e Angelini, ma per laingente somma di denaro previstaper il loro progetto, non si era potu-to dare inizio ai lavori. Due annidopo, il Calderini presentava unaltro progetto, con una forte ridu-zione della spesa, nel quale eranoprevisti anche lavori di opera mura-ria. Gli accademici nel febbraio del1870, chiesero al Monti e Angelini,di rinunciare all’incarico, che venneassunto dal Calderini, un personag-gio molto ambizioso che in questistessi anni stava ottenendo moltecommissioni anche a Roma14. All’in-terno del Teatro tutte le decorazionivennero eseguite dal Piervittori, ilquale nel 1874 portava a compimen-to la decorazione15. Sempre a Peru-gia, entro il gennaio 1863, Angelinipresentava un altro progetto direstauro ai Canonici della Cattedra-le, rappresentato in un quadro dame ritrovato presso gli uffici dellaSegreteria di Stato in Vaticano. Ildipinto, firmato sulla destra, nonpresenta l’anno di esecuzione, maessendo citato per la prima volta inuna lettera di un anonimo al pittorestorico Luigi Cochetti del 20 gen-naio 186316, la data della letteradiventa di conseguenza il terminepost-quem per la datazione del qua-dro. Nel progetto dell’Angelini si notache la volta è dipinta in azzurro constelle dorate, mentre le pareti presen-tano un rivestimento bicromo, chia-ro riferimento agli interni delle cat-tedrali gotiche,un modello moltoamato dai restauratori in questi anni,e certamente desunto dall’internodel Duomo di Orvieto dovel’Angelini e gli altri allievi della scuo-la romana di Minardi vi avevanolavorato tra il 1838 e il 1842.Il progetto riguardava sia la partedecorativa che la parte di figura,come riferiva Fortunato Chialli nellalettera al cardinal Pecci del 25 luglio1869, nella quale descriveva accura-tamente l’…invenzione: …nella partesuperiore del volto si porrebbero iquattro Evangelisti; circondati daAngeli. Nelle lunette, le più glorioseazioni di San Costanzo e di SantoErcolano, protettori della Città; neiposti convenienti all’ornamento i Santie Sante di Perugia, e nelle pareti ifatti gloriosi del sopraddetto S. Ercola-no e S. Lorenzo Titolare di questaCattedrale...17. I Canonici del duomodi Perugia, il cardinale GioacchinoPecci, vescovo della città e Monsi-gnor Laurenzi si riunirono l’8 mag-gio 1863 per decidere sui nuoviinterventi di restauro dellacattedrale18 e affidarono a diversiartisti …studi e scandagli.... Probabilmente Angelini grazie all’a-micizia con il cardinale Pecci19 e conil Minardi che era il responsabile ditutti i restauri in Umbria20, venneinformato in anticipo sui vari inter-venti da eseguire all’interno delduomo di Perugia. Tre anni dopo,Angelini trattava con il Capitolo

della cattedrale …l’affare della Deco-razione… mentre per la parte stori-ca, il Valeri riferiva in una lettera alMinardi del 27 marzo 1866 che…siccome vogliono riesca un operaveramente bella, così essi si riporteran-no al parere del Prof. Minardi e Prof.Overbeck...21 (doc 3). Da una letteradi un nobile perugino, GiancarloConestabile al Minardi del 21 aprile1866, si viene a conoscenza chevenne scelto proprio Angelini per ladirezione della parte decorativa…perchè a lui si debba il progetto piùbello per il restauro medesimo…22.Ora al Capitolo della cattedrale,restava da …fare la scelta dell’artistaper la parte figurata; scelta importan-tissima trattandosi di un monumentosacro insigne, e che esige un importan-te restauro sulle composizioni; sceltanull’altro indispensabile, sendo cheuna delle condizioni imposte dall’An-gelini si è che la parte figurata si uni-sca contemporaneamente coll’ornamen-tale...23.I Canonici volevano affidare la partestorica ad …uno con carriera… e trai vari aspiranti vi erano: CesareMariani, Luigi Cochetti, Luigi Fon-tana e Silvestro Valeri. Per la sceltadel pittore storico il Capitolo chieseil parere di Minardi24 e finalmentenel mese di settembre del 1866venne scelto il Mariani, il qualeavrebbe affiancato Angelini nelladirezione dei vari lavori25. CesareMariani, in questi anni era uno deiprincipali protagonisti degli inter-venti di decorazione e ripristini dellechiese di Roma, voluti dal ponteficePio IXxxvi. Lo stesso Valeri, pur avendo vistosfumare l’incarico per la parte stori-ca, condivideva la scelta fatta dalCapitolo, infatti in una lettera alMinardi scritta il 16 settembre daTodi, dove stava restaurandol’affresco con il Giudizio Universaledella controfacciata del duomo ese-guito dal Faenzone,27 affermava:…La stima che ho di Mariani mi faessere contentissimo ch’egli assuma ladirezione del lavoro da eseguirsi nelDuomo di Perugia…28. I restauri nelduomo di Perugia, ancora alla datadel 25 luglio 1869 non erano inizia-ti, infatti il Chialli nella già citatalettera al cardinal Pecci scriveva: …Se i tempi l’avessero permesso, giàavrebbe l’Angelini eseguito la pitturadella insigne Cattedrale di Perugia,sullo stile analogo a quell’ardita archi-tettura del secolo XIII, a seconda del-l’incarico avutone da quel Rev.moCapitolo, e svolto in un quadro ad oliorappresentante la veduta prospetticadell’interno del tempio…29.G.Battista Rossi Scotti, nella Guidadella città di Perugia del 1875 affer-mava che vennero eseguiti alcunirestauri all’interno del duomo, ini-ziati nel 1874 e poi portati a termineentro il 1877, dai pittori TitoMoretti, Domenico Bruschi (Perugia1840-Roma 1910), Mariano Piervit-tori e Marzio Cherubini30. Gli ultimidue, erano entrambi allievi di Ange-lini, quindi è molto probabile che irestauri della parte decorativa venne-ro eseguiti sotto la sua direzione,anche se non venne rispettato il pro-getto presentato dall’artista nel 1863al Capitolo. Attualmente le crociere della catte-drale presentano una decorazionesettecentesca eseguita sopra quellamanierista, mentre recentementesulle pareti, in occasione degli ultimiinterventi di restauro sono apparsedelle decorazioni tipici del gustoneocinquecentesco tanto amato dal-l’Angelini e da lui utilizzato per ledecorazioni murali31.

mente riservato ad un pubbliconobile. Fin dal 1835, il giovane Annibalelavorava in questo teatro come pitto-re scenografico, come risulta da undocumento di questo stesso anno dame ritrovato presso l’Archivio delTeatro Morlacchi, dal quale si vienea conoscenza che l’artista era addettoal …mantenimento dei così dettipanni ed arie dopo che gli sarannostate consegnate in ottimo stato. Perqualunque restauro di essi, ed anche inseguito occorrendo rifarli nuovi,l’Accademia sarà gravata delle spesevive occorrenti…5. (Doc.1)Nell’inverno del 1837, i soci dell’Ac-cademia del Verzaro, tra i quali viera anche il futuro suocero di Ange-lini, il marchese Giuseppe Antinori,decidevano di portare alcuni necessa-ri restauri sia alla decorazione cheall’apparato scenografico. Doc.2Il Baldini eseguì il restauro del pla-fond e dell’atrio, spetta inveceall’Angelini il restauro del sipario,oggi non più esistente, dipinto sem-pre nel 1814 da Luigi Tasca e raffi-gurante Le nozze di Trasimeno con laninfa Agilla, argomento tratto dal V°libro del De Bello Punico di SilvioItalico. Sulla sinistra appariva il lagoche prende il nome del personaggiomitologico, mentre sulla destra sitrovava Venere in mezzo ad un boscodavanti a un tempio sacro, verso ilquale si dirigevano gli sposi, seguitida Tirreno, ninfe e pastori6. Per ilrestauro del sipario e per la nuovadecorazione del comodino e dellearie, Angelini il 9 giugno presentavail progetto ai soci del Verzaro.L’artista stesso, parlando in terza per-sona, affermava che dopo aver esa-minato attentamente il sipario dipin-to dal Tasca …ha trovato la pitturascrepolata quasi interamente vedendovinel suo totale la tela nuda mancandopersino l’imprimitura in molti punti;le sole figure, le quali essendo piùaccuratamente preparate, e dipinte,sono si un poco meglio conservate, per

Annibale Angelini, pittoreTestimonianze in Umbria e a Roma prima dell’Unità d’Italia

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

La partenza per Roma e le primecommissioni pontificie e regie Dopo la partenza per Roma nel feb-braio del 1839, grazie al Minardi,Annibale Angelini entrava a far partedel mondo artistico romano, rice-vendo incarichi dal principe AndreaDoria Pamphilj, Vincenzo e ChiaraColonna e il ricco banchiere Ales-sandro Torlonia. Successivamente nel1842 partecipava al restauro degliaffreschi di Giovanni da Udine escuola nella Terza Loggia al Vatica-no, costruita da Leone X nel lato delpalazzo che si affaccia sul cortile diS. Damaso e portata a compimentoda Pio IV tra il 1561 e il 1563,epoca in cui vennero ultimate anchele decorazioni. L’incarico venne affi-dato all’Angelini da VincenzoCamuccini (Roma 1771-1844) eFilippo Agricola (Roma 1795-1857),rispettivamente Ispettore e SottoIspettore delle Pubbliche pitture32.Certamente Angelini ottennel’affidamento dei lavori grazie alfaentino, il quale fin dal 1821 facevaparte della Commissione GeneraleConsultiva per le Belle Arti e dal1838 era membro aggregato dell’uf-ficio dei S.S. Palazzi Apostolici33. La decisione di restaurare la TerzaLoggia venne presa nel 1840 dai dueispettori Camuccini e Agricola, iquali …vedendo quasi giornalmentedeperire alcuni dei quadretti nellelogge di Raffaello, li sottoscritti ne fece-ro le loro osservazioni indicando inqual modo potevasi riparare ulterioridanni..34. Fin dal dicembre 1839, epoca in cuivennero restaurate le Stanze di Raf-faello35, venne chiusa la Terza Loggiacon delle vetrate per impedire che lapioggia e l’umidità danneggiasseroulteriormente gli affreschi, già moltorovinati36. I due ispettori in un documento del1840 affermarono che in …quellaoccasione si osservò nelle terze loggecome siano rovinate le pitture dellevolticelle operate da Giovanni daUdine sua scuola...Mancando del tuttoalcuni quadretti per l’intonaco venutoa terra nelle epoche andate, questiriprodurli di nuovo prendendone liargomenti dalle antiche descrizioni delVaticano potendosi dare dipingere cre-dendo S.E.R.mo alli Sig. Bigioli eTojetti, diriggendone li Sottoscritti leidee, li cartoni e l’esecuzione del dipin-to perchè formino armonia con iltutto..37. Susinno a proposito di questo inter-vento affermava che in questi anni lamaggior parte dei restauratori, sisentivano autorizzati ad interpretareciò che secondo loro era venutomeno, secondo le norme di buonascuola poichè queste opere dovevanoessere viste nella prospettiva dellaloro funzione di decoro e di didatti-ca per gli artisti. Dovevano quindirispondere a delle norme che le ren-devano adatte a tale funzione38. Quest’ultimo metodo venne decisa-mente rifiutato dal Minardi, il qualefin dal 1825 era in polemica conVincenzo Camuccini e con il fratelloPietro che adoperavano spesso inter-venti reintegrativi, con colori e pen-nelli39. Minardi non poteva accettareun intervento di questo genere,infatti fin dagli anni Venti epoca incui Angelini frequentava le sue lezio-ni presso l’Accademia di Perugia, egliera in contatto con restauratori comeMichele Ridolfi (Gragnano/LU,1793-Lucca 1854), responsabile dicampagne di restauro del territoriodi Lucca e con Giuseppe Guizzardi(Bologna, 1779-1861). Quest’ultimoera considerato da Giovanni Bedotti,nel De la restauration des tableauxdel 1837, il miglior restauratore

d’Italia40. Sia il Guizzardi che ilRidolfi, adottarono un metodo inte-grativo in stile, fino a giungere, conmentalità davvero moderna, a lascia-re in vista le lacune. Minardi e tutti ipittori puristi, come lo è appuntoAngelini, rifiutarono il restauro diinterpretazione, particolarmenteamato invece dal Camuccini e daAgricola. La conferma che Angelini era moltorispettoso dell’opera degli artisti delpassato, ci viene dall’artista stessoquando nella Visita artistica da luiredatta nel 1847, al termine deirestauri eseguiti nel palazzo Doria diGenova Fassolo, affermava: …chiassume tali commissioni ridipingeanche ciò che non fa bisogno, col falsoprincipio di ravvivare il colorito, o diarmonizzarlo col nuovo, ed iod’altronde abborrendo tal metodo...adottando la massima, di fare il menpossibile, cosa la più difficile a rinve-nirsi generalmente nei restauratori…41. A partire dal 1840 quindi, ebberoinizio i restauri degli affreschi dellaTerza Loggia e Camuccini eAgricola42, nel documento sopra cita-to, affermavano che dopo aver ter-minato …tutte le volte e dovendo pernecessità restaurare le pareti essendonein essi dei dipinti di paesi, frutta edelli riquadri nelli imbasamenti, perquesto lavoro si potrebbero sceglierepersone le quali già appartengono allilavori di decorazione che si eseguiscononelli Sovrani Pontifici Palazzi..43. Tra questi artisti venne scelto pro-prio il nostro Angelini, il quale nel1842 lavorava accanto ad altri pittoricome Lorenzo Scarabellotto, Dome-nico Tojetti (Rocca di Papa ?-NewYork ?),Alessandro Mantovani (Ferrara1814-Roma 1892), Filippo Bigioli(S.Severino 1798-Roma 1878), tuttidecoratori che precedentemente ave-vano lavorato nel cantiere aperto dalprincipe Alessandro Torlonia. Que-sti artisti sono stati citati insiemecon Angelini nella relazione redattada Filippo Agricola al termine deirestauri della Terza Loggia: …Li dipinti di frutta e fiori sono statieseguiti dai due valorosi dipintori sigg.Annibale Angelini e Alessandro Man-tovani, i quali uniti a Lorenzo Scara-bellotto e Giovanni Bresciano hannodato termine al restauro delle volte,fregio di paesi, carte geografiche...44. Angelini stesso nella Domanda pre-sentata nel 1848 all’Accademia di S.Luca per una cattedra di Prospettiva,

Geometria ed Ottica, parlando interza persona affermava: …Trovando miglior conto nell’appli-cazione ai restauri di pitture ad affre-schi e nel dipingere di sua composizio-ne nello stile delle Logge di Raffael-lo...potè essere prescelto per la maggiorparte dei restauri delle Terze loggevaticane..45. Nella Visita artistica, sempre a que-sto proposito si legge: …avea direcente effettuato il restauro di quasitutto il lato delle Terze logge vaticaneaffine di renderle complete..46.L’intervento nella Terza Loggiavenne citato dall’artista anche nelTrattato di Prospettiva terminato nel184847 ma stampato nel 18648, nelquale affermava che durante il ponti-ficato di Gregorio XIII aveva dipintonella Terza Loggia un altro perugino:il geografo Ignazio Danti (1537-1576). Il Danti aveva raffigurato…la geografia antica e moderna inpiù quadri lungo le pareti, i quali -afferma Angelini- furono poi restauratidall’autore di quest’opera nel 1842, inuno alle dipinture di ornati e figuredelle volte, nel qual restauro ebbe com-pagni altri artisti ancora..49.Al termine dei lavori, nel 1842,Angelini dipingeva un quadro pro-spettico con la Veduta della Terza

Loggia del Vaticano oggi appartenen-te ad una collezione privata, da meritrovato e identificato con il dipintocitato dall’artista nella Domanda pre-sentata nel 1848 all’Accademia di S.Luca50. Nel quadro sono raffiguratialcuni personaggi tra i quali si puòravvisare il pontefice Gregorio XVI,con alcuni prelati. Il personaggiovestito con abito scuro che indicacon la mano sinistra la parete con lecarte geografiche, dipinte dal Dantiè Angelini stesso che mostra al Papala parte da lui restaurata, del quale sene vanterà per tutta la vita. Con questo intervento in Vaticanoinizia la lunga attività di restauratoreche continuerà insieme a quella didecoratore d’interni e pittore dicavalletto fino agli anni Ottanta del-l’Ottocento, lavorando a più ripresecon la sua scuola in ricche residenzenobiliari di Roma e provincia finoalla vigilia della sua morte, avvenutanel suo palazzo di Perugia situatovicino al Duomo, il 19 luglio 1884. Desidero ringraziare i discendentidella figlia dell’artista Sofia Angelini,per avermi consentito di fotografareil palazzo del pittore e per aver age-volato le mie ricerche

Claudia Pettinelli

DOCUMENTI

Doc.1

Perugia, Biblioteca Augusta Atti amministrativi, b.18, n.11,Archivio Teatro MorlacchiA 92 Adunanza del 1 Luglio 1835

Ill.mi SignoriA chi sa far conto delle Nobili cor-porazioni non isfugge circostanzaonde, o appartenerci, o godere ifrutti della loro protezione. E’ perciòche Annibale Angelini avanza la pre-sente petizione agli IllustrissimiSignori del Teatro in Via del Verza-ro, richiedendo di essere consideratocome addetto del loro teatro pel solooggetto di godere stabilmente dellaloro protezione, e nel tempo stessoprocurare un qualche vantaggioscambievole nel modo che va daesporre.1° L’Angelini si obbliga di sorveglia-re al buon andamento delle coseriguardanti la sua professione ondetutto vada in regola d’arte pelmiglior servigio del pubblico. Neces-sita pertanto che il suo nome siadato in nota all’Impresario facendo-gli conoscere il diritto che ha di talesorveglianza.2° Si obbliga il medesimo al mante-nimento dei così detti panni ed ariedopo che gli saranno state consegna-te in ottimo stato. Per qualunquerestauro di essi, ed anche in seguitooccorrendo rifarli nuovi, l’Accademiasarà gravata delle sole spese viveoccorrenti.3° Si obbliga pure, non essendoassente da Perugia, di fare alle Com-pagnie comiche i così detti pezzicome Scogli, Sassi, Riva e cose similisenza pretendere alcun pagamento,dell’opera sua qualora tali pezzi resti-no al Teatro.4° Il Macchinista dovrà eseguire col-l’intelligenza ed approvazione delsuddetto pittore, non perché si credaincapace, ma pel più sicuro, emigliore successo delle sue operazio-ni.5° Venendo dall’Accademia accorda-to il Teatro da un Impresario Essa loinformerà che ha un Pittore sceno-grafico addetto alla medesima ilquale per norma e vantaggio dell’Im-presario stesso ha stabilito un prezzofisso alle sue scene di tutto complete,nella somma di scudi dodici (per lescene di corredo che richiedonomaggiori riguardi sarà il medesimoprezzo). Per le imprimiture di telonenuovo lavato scudi tre, e non potràl’Impresario condurre altro Pittore,se non quando avrà fatto costare checonduce un‘abile Artista capace afare spese non indegne di questorispettabile Pubblico, ed anche per-chè l’Accademia non venga di esseredanneggiata col dare Fede conbuone pitture, e poi rimanere con letele, può dirsi, senza Pittura, essendodipinte in modo da non poterne tol-lerare la vista, come alcune volte éaccaduto. Nel caso che l’Impresarionon si serva dell’opera dell’ Angelini,non sarà tolto a questi d’avereingresso in Teatro, e nel palco sceni-co per vigilare su tutto quello a cui èautorizzato come sopra, e per faredare all’uopo quelle istruzioni, eprendere quelle determinazioni, chepiù crederà opportune pel miglioreandamento delle decorazioni e tut-t’altro relativo al medesimo.6° Infine si obbliga il detto pittore diessere a disposizione dell’Accademia,o suo Impresario una stagione all’an-no, ma che per altro debba ricevereformalmente almeno tre mesi innan-

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rio, mentre ha dovuto ammirarlo perla invenzione, e per la esecuzione, hatrovato la pittura screpolata quasiinteramente vedendovi nel suo totalela tela nuda mancando persinol’imprimitura in molti punti; le solefigure, le quali essendo più accurata-mente preparate, e dipinte, sono siun poco meglio conservate, per cuiopina il sottoscritto, che sarannosuscettibili di restauro, pazientemen-te contornandole con la nuova pittu-ra che si crede necessaria di rinuova-re interamente, secondo il disegnoche ha l’onore di sottoporre al giudi-zio dei Sig. ri Deputati. Nell’imma-ginare e disporre il nuovo quadro, hacercato di non discostarsi dalla belladescrizione fatta nel libro stampatonel 1814 allontanandosene solamen-te in questo, che invece di situare gliSposi sulla gradinata del Tempio inatto di ascendere al medesimo;s’incammineranno a quella voltaascendendo la collina sulla sommitàdella quale si vede situato il Tempio,ed acquistare così maggiore spazioonde rappresentare il Lago con lesue Isole da vedersi in lontananzaframezzo alla folta boscaglia. Nontrascura di avvertire essere necessariodi rinuovare i due mezzi teli lateralidel Sipario, i quali trovansi in statolacero, e stentati nella parte inferio-re. Il Comodino ha creduto benfatto immaginarlo analogo al Sipa-rio, dipingendo l’Atrio del sudd.toTempio, mostrando fragl’intercolonii una deliziosa Campa-gna con parte del Lago, e ne esibisceil disegno, il quale quantunque inabbozzo, crede sufficiente per sotto-porlo al giudizio di persone versatis-sime nelle Arti Belle, senza ricorrerealla illusione di un finitissimo dise-gno. Il sipario verrà contornato da

una Cornice dorata fatto la quale sullembo inferiore potrà immaginarsiun fregio che accordi con quello chesarà fatto nel cornicione sottopostoalla volta. Per il che meriterebbe ilsottoscritto, tutto compreso, cioècolori, doratura, ed imprimitura(esclusa soltanto la tela occorrenteper i lati accennati) Scudi cinquantacinque 55Pel comodino..........38Per i panni laterali, e traversi s. 3, ilpezzo, e per le Arie s. 2 il pezzo. Edè quanto èIn Perugia 9 Giugno 1837Annibale Angelini

Doc.3

Roma, Archivio di StatoArchivio Ovidi, b.5, f.47

Lettera di Silvestro Valeri a Tom-maso Minardi, Perugia 27 Marzo1866Carmo Sig. MinardiLa mia lettera ricevuta dal Prof.Angelini, mi è giunta più che caracarissima. L’affezione che mi conser-va tanto appassionante nella mia; miè di grande conforto e di fiducia nel-l’andare innanzi nell’arte. Oh comemi è grata una sua parolad’incoraggiamento, e come si alza ilmio spirito una sua espressione dibenevolenza! Di ciò ne la ringraziocon la maggior forza dell’animo mio!Degl’ingrati scolari se ne ebbi, ne hotuttavia. Degli antichi, ai quali hoperdonato di cuore i danni sofferti,alcuni di essi si sono ricreduti, altrisbandati, la maggioranza però mi hareso Giustizia. Ne ho pur qualcunoaffezionato; ma quel che è più ho

sempre goduto una soddisfazione eun interno contento operando ilbene, che non mi ritrarrei dal farlose anco mi compensassero a urli dilupo. Ma basta di ciò.Ora ho bisogno dell’opera sua, edecco il perchè: i Canonici di Perugiahanno divinato per dipingere il loroDuomo, e Angelini sta ora contrat-tando la pittura della Decorazione.Io ho fatto delle pratiche per ottene-re mi si affidassero gli affreschi dellaparte istorica; ed in vero dal lato disua Eccza il Cardinal Pecci Vescovodi Perugia, e d’alcuni altri sacerdotiavrei di che sperare. Ma avendo peranco udito vociferare che ve n’èqualcuno il quale amerebbe unnome diverso dal mio per rinoman-za, temo che se lei non mi proteggenon abbia a rimanere con le moschein mano. Pertanto s’ella si degnassescrivere al detto Cardinale una lette-ra di raccomandazione, che nonfosse una di quelle che si fanno persemplice convenienza, credo sarebbel’ancora di salvezza. Mi dispiacedarle questo ulteriore incomodo; maa chi rivolgermi se non a lei, cosìbenefico e stimato da tutti?Andai dal Vescovo di Spoleto persapere qualcosa del quadro dimanda-togli, e mi sentii dire -è troppo tardi-I quadri erano tutti collocati. Miricordo ancora il brutto senso che mifece quella proporzione, e vorrei cheil caso non si rinnovasse. Prima dichiudere la presente sono stato dalCardinale di nuovo, per più esatta-mente informarla del bisogno. Sap-pia adunque ch’egli mi ha conferma-to che nulla osta a mio riguardo senon che il suo Vicario Laurenzi contre o quattro Canonici, formandouna Deputazione, ora trattanol’affare della Decorazione con Ange-

zi l’avvio in conseguenza capitandoall’Angelini un’altra scrittura peraltra città d’avere effetto dopo unospazio maggiore di tre mesi dovràprima di accettarla interpellarnel’Accademia per conoscere se in taleepoca dovrà prestare per essa il suoservigio. Da tale obbligo per altrosarà assentato nel solo caso che lascrittura fosse per l’estero o per qual-che anno.

Doc.2

Perugia, Biblioteca AugustaManutenzioni e restauri, b.4 n.33,Archivio Teatro MorlacchiDocumenti relativi ai lavori didecorazione e di restauro del tea-tro 7 Aprile 1837-11 Ago. 1838

Unico progetto e Preventivo del Pit-tore Annibale Angelini del 9 Giugno1837 sulla Pittura del Sipario,Comodino, Panni ed Arie.

Tit.II Att. unico del RendicontogeneraleProgetto del pittore Annibale Ange-lini Pel Sipario, Comodino Panni edArie approvato e ristretto scudi 100

Per mettere d’accordo il Sipario, ilComodino, i Panni, e le Arie colnuovo restauro, ed ornati decretatidall’Accademia del Teatro in Via delVerzaro da farsi alle Loggie, ed allaBocca d’opera, si renderebbe indi-spensabile di eseguire quanto il sot-toscritto si fa un pregio sottoporredietro l’invito ricevuto da alcuni deiSig. Deputati, e dal Sig. Segretario.Avendo il sottoscritto esaminato pri-mieramente, a parte a parte il Sipa-

lini, e che in quanto alla pittura sto-rica siccome vogliono riesca unopera veramente bella, così essi siriporteranno al parere del Prof.Minardi e Prof. Overbeck. Pareadunque dipendere da loro due;cosicché di favorirmi nel più sicuro emiglior modo possibile. In Provinciamentre non è possibile emergere permancanza assoluta di grandi com-missioni, quando una ne vengafuori, l’artista Provinciale è semprecreduto un farabutto un coso fattoall’impressia; e il pover uomo rimanecon voglia in corpo scornato ed avvi-lito come un condannato Dio sadove......Fra due o tre giorni debbo essere inTodi chiamato da quei Canonici perristaurare un grande affresco rappteil Giudizio finale opera del Faenzo-ne. Ho di già ottenuto due mesi dipermesso, nel qual tempo spero dicompierlo. Mio fratello ha un picco-lo Negozio del suo da cui, se nonaltro ricava tanto per vivere e nonessere a carico mio. Le cugine nonstanno benissimo, però nell’insiemela tirano innanzi discretamente. Iopoi sto benissimo e ne ringrazio laprovvidenza. Il soggetto storicoancora non l’ho totalmente finito,tuttavia credo sarà Maria Stuarda inprigione. Vado leggendone la storia.Ciò che mi consola si è che la suasalute si mantenga ottima. Evvivaevvia!Mio fratello, la cugina, il ConteReginaldo Ansidei e Cecchini leritornano affettuosissimi saluti.Lemmo è venuto costì, e salutandolae abbracciandola insaziabilmente, micreda tuttoSuo affmo Obblimo Demo um.Silvestro Valeri

Note

1 C. Pettinelli, Annibale Angelini 1810-1884, Tesi di laurea in Storia dell’artecontemporanea, Università di Roma Uno “La Sapienza”, Facoltà di Lettere eFilosofia, relatori Prof.ssa Silvia Bordini, Prof.ssa Caterina Zappia, Universitàdegli studi di Perugia, a.a. 1996-97, Vol.I pp.1-330, vol.II pp.331-514,figg.1-608.Pittori umbri dell’Ottocento Dizionario e Atlante: a cura di F.Boco, A.CarloPonti, Ed.La Rocca, Marsciano,2006, voce Annibale Angelini (a cura diC.Pettinelli), pp.12-20. Per i quadri di Angelini si rimanda a : ‘Arte inUmbria nell’Ottocento’, catalogo della mostra a cura di F.F.Mancini,C.Zappia-Silvana Editoriale, 23 settembre 2006-7 gennaio 2007, p.116,fig.17; pp.156-157 fig.2; pp.170-171 fig.21;p.158 fig.3;p.175,fig.29; p.156fig.1.C. Pettinelli, Annibale Angelini (1810-1884): da “pittore verniciaro” a “pittoreregio”.L’attività di un artista perugino in Umbria e nel Lazio, in Bollettino peri Beni culturali dell’Umbria, Anno I, numero 2, Betagamma editrice, 2008,pp.55-83.

2 C. Brandi, Teoria del restauro, Torino 1977, p.133. V. a questo proposito A.Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano Elec-ta1988.

3 G. Tausching, Professional status and activity of the Conservator-Restorer inItaly,pp.171-175, in The Palazzo degli Affari (29-31 May 1997). A.Conti,Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano,Electa 1988,pp.7-31. Cfr., O.Rossi Pinelli, Verso un’immagine integrale: de restauri e ri-restari nelle esperienze contemporanee, in Il corpo nello stile. Studi in ricordo diM.Cordaro, Roma De Luca 2005, pp.119-135.

4 C. Zappia, La pittura dell’Ottocento in Umbria, in La pittura in Italia.L’Ottocento, Milano Electa 1991, p. 368.

5 Cfr, Perugia, Biblioteca Augusta Atti Amministrativi, b.18, n.11, A.TeatroMorlacchi, Adunanza del 1 Luglio 1835

6 Cfr., C. Monti, Sopra il novello ornamento del Teatro del Verzaro in Perugia,Roma 1838; M.M.R. Ventura, Teatro Francesco Morlacchi. Archivio storico,Inventario, Ed. Umbra Coop., Perugia, 1983, p. XIII e R. Sabatini, TeatriUmbri, Perugia 1981, p. 90; 134.

7 Perugia, Biblioteca Augusta, Manutenzioni e restauri, b.4 n.33, Archivio Tea-tro Morlacchi, Documenti relativi ai lavori di decorazione e di restauro del tea-tro 7 Aprile 1837-11 Ago. 1838

8 Ibidem.9 Ibidem 10 Perugia, Biblioteca Augusta, Manutenzioni e restauri, b. 4, Prospetto e rendi-

conto generale dei lavori di restauro e decorazione del Teatro Civico negli anni1837 e 1838

11 S. Petrillo, voce Piervittori Mariano, in La pittura...cit, 1991, pp. 965-966. 12 Cfr., C. Zappia, La pittura...cit., 1991, p. 370. 13 Cfr., G. Stefani, voce Bruschi Domenico, in La pittura...cit, 1991, pp. 719-

720.

14 Il Calderini nel 1891 venne nominato architetto direttore dell’Ufficio per laConservazione dei Monumenti del Lazio, incarico da cui venne esonerato nel1897 per alcuni illeciti amministrativi v.Bencivenni –Dalla Negra-Grifoni,Monumenti e istituzioni.Parte I. La nascita del servizio di tutela dei monumentiin Italia 1860-1880, Firenze 1987.

15 Cfr., A. Migliorati, Mariano Piervittori e la cultura artistica fra Roma e Peru-gia, Tesi di Laurea, Università di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1992-1993, p. 113-115. Cfr, C. Zappia, Gli artisti di G. Calderini: Arte e architet-tura in età umbertina, p. 76 in G. Calderini. La costruzione di un’architetturanel progetto di una capitale. Atti del Convegno. Roma Palazzo delle Esposizio-ni 23 novembre 1995 (Il Convegno è stato tenuto in occasione della mostradi Roma del 1995 ‘Dai disegni dell’Accademia di Belle Arti di Perugia unarchitetto nell’Italia in costruzione’).

16 C.E-P., Intornoalle pitture del cav.Annibale Angelini lettera al prof. di pitturastorica Luigi Cochetti in Roma, Perugia 1863, p. 8.

17 F. Chialli, Lettera artistica all’Eminentiss.Principe Sig.Card.Gioacchino PecciArciv. di Perugia sopra i dipinti del Cav. Prof. Annibale Angelini cattedratico diprospettiva nella pontificia Accademia di S.Luca, Perugia 1869, p.14

18 L. Rotelli, Il duomo di Perugia, Perugia 1864, p. 44.19 Una testimonianza dell’amicizia tra i due uomini è l’epigrafe in marmo nella

villa dell’artista nella quale ancora oggi si legge: “Quì riposò la notte del 13ottobre 1860 il cardinal Pecci Oggi papa Leone XIII”.

20 E.Ovidi, Tommaso...cit, 1902, p. 70.21 A.S.R., A.O., b.5, f.47, Lettera di Silvestro Valeri a Tommaso Minardi, Perugia

27 Marzo 186622 A.S.R., A.O., b.5, f.47, Stralcio della lettera di Giancarlo Conestabile a Tom-

maso Minardi, Perugia 21 Aprile 1866 23 A.S.R., A.O., b.5, f. 47, Lettera di Giancarlo Conestabile a Tommaso Minardi,

Perugia 21 aprile 1866. 24 A.S.R, A.O., b.5, f.47 Stralcio della lettera di Giancarlo Conestabile a Tomma-

so Minardi, Perugia 21 Aprile 186525 A.S.R, A.O., b.5, f.47, Lettera di Silvestro Valeri a Tommaso Minardi, Todi 16

7bre 186626 Cesare Mariani insieme con l’architetto Francesco Azzurri aveva restaurato da

poco la Chiesa di S. Maria in Monticelli, cfr, M. Antonietta Scarpati,L’Ottocento di Tommaso Minardi, in I disegni...cit, 1982, p. 129.A.M. Racheli,Restauro e catastrofi: contrastare l’oblio anamstetico, Roma, Gan-gemi 2009

27 Roma, A.S., A.O., b.5, f.47 Lettera di Silvestro Valeri a Tommaso Minardi,Perugia 27 Marzo 1866

28 Roma, A.S., A.O., b.5, f.47, Lettera di Silvestro Valeri a Tommaso Minardi,Todi 16 7bre 1866

29 F. Chialli, Lettera...cit, 1869, p. 13. 30 G. B.Rossi Scotti, Guida illustrata della città di Perugia, Perugia 1875, p. 33.31 La tela con il progetto di restauro per il Duomo di Perugia è stata ritrovata

da chi scrive presso l’Ufficio del Cardinale Segretario di Stato al Vaticano; èstata esposta presso il Palazzo Coelli di Orvieto in occasione della mostradedicata all’arte umbra dell’ Ottocento cfr.,‘Arte in Umbria nell’Ottocento’…cit. 2007), pp.156-157, scheda 2 foto 2 .

32 Cfr, A. Conti, Storia...cit, 1988, p. 229. Per l’attività di Vincenzo Camucci-ni a Roma v. F. Giacomini, Per reale vantaggio delle arti e della storia. Vincen-zo Camuccini e il restauro dei dipinti a Roma nella prima metà dell’Ottocento,Roma Quasar 2007

33 Cfr, A.S.V., Titolo IX, Articolo IV, b.20 Terze Logge al Vaticano Restauro dellepitture 1839-1841 Vincenzo Camuccini Filippo Agricola; A.S.V., Titolo IX,Articolo IV, b.20 Terze Logge al Vaticano Restauro delle pitture Lettera di Vin-cenzo Camuccini a Sua Ecc.za Oma Monsignor Massimo Prefetto di S. Pal. emaggiord. Di S.S. , Roma 27 Aprile 1840; Cfr., I disegni di Tommaso Minar-di, catalogo della mostra a cura di S. Susinno, Roma 1982, p. 10.

34 A.S.V., Titolo IX, Articol IV, b.20 Terze Logge al Vaticano Restauro delle pittu-re 1839-1841 Vincenzo Camuccini Filippo Agricola

35 A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano1988, p. 229.

36 A.S.V., Titolo IX, Articolo IV, b.20 Terze Logge al Vaticano Restauro delle pit-ture 1839-1841 Vincenzo Camuccini Filippo Agricola.

37 Ibidem.38 Ibidem, p. 229.39 S. Rinaldi, Restauri pittorici e allestimenti museali a Roma tra Settecento e

Ottocento, Firenze 2007.40 Cfr., I disegni..., cit., 1982, p.1041 Una visita artistica delle celebri pitture ad affresco di Pierino Bonaccorsi fiorenti-

no detto del Vaga nel palazzo di S.E. il Sig. Principe D’Oria Pamphilj in Geno-va restaurate e descritte da Annibale Angelini perugino Accademico e pittore diS.M. il Re di Sardegna, Genova Tipografia e Litografia di L. Pellas, 1847, p. 6.

42 A. Conti, Storia…cit., 1988, p.24643 A.S.V., Titolo IX, Articolo IV, b.20 Terze Logge al Vaticano Restauro delle pit-

ture 1839-1841 Vincenzo Camuccini Filippo Agricola44 F. Agricola, Relazione dei restauri eseguiti nelle Terze Logge del Pontificio Palaz-

zo Vaticano sopra quelle dipinte dalla scuola di Raffaello, Roma 1842, p. 28.45 A.S.A.S.L.R., n.1266, vol.107, 1848 Domanda del pittore Annibale Angelini

all’accademia di S.Luca per una cattedra, con nota dei suoi requisiti46 A. Angelini, Una visita artistica delle celebri pitture di Pierino Bonaccorsi detto

del Vaga nel palazzo di S.E. il Sig. Principe D’Oria Pamphilj in Genova, Geno-va 1847,p. 6.

47 A.S.A.S.L.R., n.1266, vol. 107, 1848 Domanda del pittore Annibale Angeliniall’accademia di S.Luca per una cattedra, con nota dei suoi requisiti.

48 A. Angelini, Trattato teorico pratico di Prospettiva, un vol. di testo ed uno di tavoleincise da Angelo Corsi ed impresse dal calcografo Fortunato Riccardo, Roma 1861.

49 A. Angelini, Trattato...cit., 1861, p. XIX nota n. 4. 50 Cfr, A.S.A.S.L.R., n.1266, vol. 107, 1848, Domanda …cit. nota 45

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

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CANTINA CARDETOSocietà Cooperativa Agricola

Fr. Sferracavallo Loc. Cardeto - 05018 ORVIETO (TR)

VINI DI ORVIETO

Il vino bianco di Orvieto ha origini antichissime: veniva infatti giàprodotto dagli Etruschi che avevano scavato cantine nel massiccio tufa-ceo tipico di quella zona e qui lasciavano a fermentare il loro vino perparecchi mesi, ottenendo un aroma dal residuo zuccherino che lo ren-deva particolare. Ne veniva praticato il commercio sia via terra cheattraverso i fiumi Paglia e Tevere. Da Etruschi e Romani fu esportatosin nelle Gallie. Più tardi venne prodotto nei terreni pontifici e fu pro-tetto dalla Chiesa che se lo garantiva per le messe (Paolo III Farnese neera particolarmente ghiotto).

L’ “Orvieto” fu lodato da poeti, artisti e uomini insigni, tra cui ilPinturicchio, il quale, chiamato a dipingere in Orvieto, pretese percontratto che gli fornissero “tanto vino quanto fosse riuscito a berne”.I maestri che lavoravano nella cava di Monte Piso per strarre e sbozza-re la pietra da impiegare nella costruzione del Duomo di Orvieto,acquistavano periodicamente delle quantità di vino negli anni tra il1347 ed il 1349. Ancora memorabili restano i “rumori” sollevati adOrvieto ed in altre città dalle maestranze per avere il vino gratis. Gliorari di lavoro prevedevano delle soste a metà mattina ed a metà pome-riggio per le bevute di “mistu”, forse acqua e vino.

La stessa Opera del Duomo lo elargiva nelle grandi occasioni, comeil compimento dei lavori importanti o per richiesta del capo maestro,come documentano i contratti di lavoro dell’epoca. Per esempio, inquello stipulato da Luca Signorelli nel 1500 per la realizzazione degliaffreschi, si richiede espressamente che l’Opera consegni all’autore ognianno 12 “some” di vino (circa 1000 litri).

È un vino apprezzato dai grandi conoscitori, come Philip Dallas,autore di un bel libro sui vini d’Italia (“Orvieto’s wine is, like Frascati,Chianti, ecc., one of Italy’s best known wines abroad ... it is the ideal

wine to share while initiating a young lady in to bacchic delights”) oAlexis Lichine, grande esperto francese di vini (“vin blanc délicieuxd’Italie. C’est un de ceux dont la qualité est la plus constante”).

L’ “Orvieto” è ottenuto dalla vinificazione di diverse varietà di uvedi origini antichissime e selezionate nel corso dei secoli: il Procanico,il Verdello, la Malvasia, il Grechetto, e il Drupeggio. Anche Char-donnay e Sauvignon inseriti con l’ultima modifica del disciplinare.

Oggi predomina la versione secco, ma continua la tradizione dellaproduzione di Orvieto Abboccato, Amabile e Dolce. Esiste una versio-ne derivata da uve sovramature attaccate da Muffa Nobile, BotrytisCinerea, che conferisce al vino caratteri unici di concentrazione ed ele-ganza.

Nelle mattinate d’autunno, generalmente, si forma una fitta nebbiache favorisce lo sviluppo su grappoli di questa muffa particolare che sinutre dell’acqua contenuta nella polpa degli acini e che dilata i poridella buccia senza romperla, provocando così l’evaporazione quando igrappoli si riscaldano ai raggi del sole. I mosti che si ottengono sonoquindi molto zuccherini, ricchi di glicerina, che conferisce al vino unaparticolare untuosità, con concentrazione di tutti i componenti aro-matici.

La raccolta di queste uve avviene con molto ritardo ed è eseguita inpiù tempi successivi, al fine di ottenere il completo verificarsi del feno-meno. Circa la metà del raccolto va a scomparire sotto forma di acquaevaporata, ma la qualità vuole i suoi sacrifici.

Questo straordinario processo si verifica solamente in rare zone incui le condizioni climatiche lo consentano: nel Sauternes in Francia,nel Tokai in Ungheria, nella Valle del Reno in Germania e nell’Orvie-tano in Italia. In proposito esiste una vasta letteratura.

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Quante persone, pur conoscendola tecnica della lettura, in realtà

“non sanno” leggere? Come è anche vero che non tutticoloro che conoscono la tecnicadella scrittura “sanno” scrivere. Sembrerebbe una contraddizione intermini se, con quanto ho affermato,non mi fossi riferita a due pianidiversi di lettura, come anche amodi diversi di scrittura. Quanti,dopo la lettura superficiale di untesto non giornalistico, ne fanno unadi approfondimento? Ci si accorge-rebbe allora di quante parole signifi-cative ci fossero sfuggite, di comepotremmo avere la sensazione di tro-varci quasi di fronte ad un altrotesto, senz’altro più interessante epiù piacevole nel riscontro, consape-voli che ogni parola usata dall’autoreè insopprimibile e necessaria!..Mi si potrebbe obiettare che oggitutto procede di fretta, che non c’ètempo per le sottigliezze e che,anche nella lettura, noi forziamol’occhio a procedere rapidamentescartando automaticamente ciò chenon si ritiene essenziale alla com-prensione del fatto o del racconto odella relazione che richiedesse lanostra attenzione.Ecco, io vorrei controbattere che,così vivendo, noi abbreviamo lanostra vita, non solo in termini disalute ma anche i termini di fruizio-ne di quanto della vita perdiamo,relegandolo in un passato che nonabbiamo vissuto e che non ci appar-tiene perché lo abbiamo scartato “apriori” dalla nostra esperienza, dainostri sentimenti e dal nostro cresce-re come persona.Innanzi tutto, vorrei che fosse presoin considerazione l’inizio del titolodi questo brano, oggetto di una miapersonale riflessione durante unaconversazione tra amici. Infatti vi sipone l’accento sul concetto di “pia-cere del sapere leggere” mentre peralcuni, e non pochi, il leggere o èuna fatica o un tormento, o unanoia. Per tutte e tre le ipotesi, ilpunto di partenza è il modo con cuici viene presentato l’inizio, o meglio,il primo approccio alla lettura ed ilvarcare la soglia di una Scuola perun “dover andare” a scuola. Quelgiorno per alcuni di noi è rimastonella memoria come “un bruttogiorno”, salvo un tardivo ripensa-mento da adulti, consapevoli di una

perdita di cognizioni e di opportuni-tà di crescita intellettuale, non sem-pre recuperabili dalla sola esperienzadi vita accumulata.Comunque questo inizio, ripeto, peralcuni traumatico, può avere variecause motivanti l’atteggiamento dirifiuto, che una maestra accorta eben preparata riesce a capire dopoun breve periodo di “rodaggio”;quanto al concetto del “trarre piace-re” dal “sapere leggere”, esso è rima-sto incomprensibile o sconosciuto amolti sia perché la scuola attuale, a

partire dall’ultimo biennio delleScuole elementari in poi, è rimastaspesso assente nel porre l’accento sulriscontro positivo di una letturaapprofondita facendone oggetto diargomento specifico, non noioso esterile, usando la tecnica del coinvol-gimento critico, graduale ed indivi-duale degli alunni , sia perché condi-zionata dalla imperfezione del tantodecantato apprendimento globalenell’approccio ai primi rudimenti delleggere per cui, spesso, l’alunno,individuata nella memoria la sillabainiziale di una parola se ne lasciafuorviare con la conseguenza che lasua lettura procede ad libitum e pertentativi, suggeriti da una fantasiosaassociazione di idee sul resto dellaparola, con risultati spesso senzanesso logico col testo proposto e conla conseguente impossibilità di com-prensione dell’argomento, sia ancoraperché resta evidente che alcune dif-ficoltà, obiettive in un alunno,necessitano di interventi specifici difronte ai quali gli insegnanti sonospesso impreparati e la cui applica-zione richiederebbe tempi lunghi persuperare la difficoltà evidenziata. A tale proposito mi viene in menteche “ai miei tempi”, quasi quelli diMatusalemme, l’apprendimento gra-duale delle tecniche dello scrivere edel leggere dava a molti alunni iltempo di superare le difficoltà inizia-li e non importava se dopo due mesidall’inizio dell’anno scolastico gliinsegnanti non potevano affermareche gli alunni erano “in grado di leg-gere e scrivere”, ma si era quasi tuttisullo stesso cammino con paginettedi aste ben dritte, vocali “ben rubi-conde” e numeri “9” che non sem-bravano “p”, come mi è capitatospesso di correggere anche a personeadulte che, meravigliate, osservava-no: “io lo faccio sempre così”. Dove-vo allora spiegare che la scrittura èun “codice” di comunicazione e chedoveva essere rispettato perché tutticapissero il contenuto del messaggioevitando contaminazioni tra alfabetoe numeri ed altri codici, non consa-pevolmente individuati ed evidenzia-ti. Così la nuova comunicazionedigitale tra giovani, ricorre al segnoX del linguaggio matematico al

posto del “per” preposizione quandoci si trasferisce al linguaggio dellacomunicazione del pensiero scritto.Si tratta in questo caso di un usoimproprio, senz’altro errato, di uncodice della comunicazione.Mi si obietterà che in tal caso èl’economia del tempo e dello spazioa suggerire tale soluzione, preferitasoprattutto dal linguaggio creato daigiovani nella comunicazione interdi-gitale... D’accordo, purché ciò non siverifichi in un contesto che esuli dallinguaggio confidenziale e che si

abbia consapevolezza della sua ecce-zionale precarietà ed eccezionalitàdell’uso. Ricordo la prima pagina del quader-no di prima elementare di uno deimiei figli che, in data quattro otto-bre, aveva ricopiato a caratteri cubi-tali e vaganti sul foglio in pericolosedeviazioni in su ed in giù le parole “oggi è San Francesco”, appunto peril giorno dedicato al santo di Assi-si..L’espressione trionfante di miofiglio mi trattenne dall’esprimere ilmio reale giudizio facendomi anco-rare ad un entusiasmante “bravo!” econseguente abbraccio materno.Non potevo, infatti, togliergli ilrispetto per la sua insegnante addos-sando a lui l’errore, purtroppo con-solidato, del metodo applicato percui ancora nelle scuole secondarie diprimo grado (e non solo) ci si incon-tra sempre più spesso di fronte aderrori di ortografia come anche acostruzioni contorte del pensieroespresso negli scritti, specialmenteladdove la preparazione scolastica deigenitori non sia in grado di supplireall’insufficienza dell’insegnamentoscolastico di base.Il constatare questi errori in moltialunni durante la mia professione ,errori riferiti anche dai miei amiciprofessori universitari, mi conferma-va nell’apprezzare il metodo dell’apprendimento graduale che siseguiva in un passato rispettoso del-l’età evolutiva, basato sul proverbio“chi va piano va sano e va lontano”.ed i proverbi, si sa, sono frutto dellasaggezza dei popoli.Il motivo di un insoddisfacenteavvio alla lettura e di una conse-guente avversione per la parola scrit-ta, può essere comunque ascrivibile avarie cause le principali, quandoobiettivamente presenti, sono breve-mente elencabili come segue:1) Nel campo della difficoltà di un

individuo ad aprirsi ai contattirelazionali, il non aver frequenta-to un buon asilo infantile per unritrovarsi insieme in un positivoconfrontarsi ed aprirsi al mondocircostante. Infatti è questo ilmomento della socialità e dellascoperta di piccoli universi similiche possono aiutare l’individuoad uscire dal proprio guscioampliando il suo orizzonte e pre-servandolo dal trauma dell’im-patto improvviso con l’ambientescolastico e con la sostituzionedella presenza della madre, anchese solo per poche ore, con unapersona sconosciuta., estraneaall’ambiente famigliare.

2) La possibilità di un anticipo del-l’età di frequenza rispetto alcomplesso degli alunni della clas-se in cui ci si trova; infatti nelleprime fasi dell’età evolutiva, ladifferenza nella maturazionedella persona può essere più omeno marcata da un individuoall’altro come parimenti lo è lafase della crescita del fisico, inbase all’individuale scorrere del-l’orologio biologico, il che nonpregiudica poi il raggiungimentodi certi comuni traguardi natura-li.. Ne abbiamo esempi riferiti apersone celebri che, superatealcune difficoltà iniziali, hannomostrato poi un grado di capaci-tà cognitiva o di intuizione per-sonale tali da porli all’attenzionedei più alti esperti in ogni campodello scibile umano;

3) la possibilità di una difficoltà didislessia;- o una capacità visiva non per-fetta;

- o una capacità auditiva nonperfetta;Queste ultime tre ipotesi, ripetotra altre qui non citate almomento, indipendenti dallavolontà di chicchessia, possonocreare in un bambino un disagioal quale il soggetto reagisce invario modo: o estraniandosi daquanto lo circonda ed immer-gendosi in un mondo fantasticoconsolatorio oppure divenendoiperattivo, in modo da attrarre sudi sé l’attenzione, non solo deicompagni ma sostanzialmenteanche degli adulti;

4) Altra causa, ma non menoimportante, viene individuatanell’ambiente dove si è cresciutiil che non vuol dire che debbaessere necessariamente unambiente “ricco” dal punto divista economico, bensì sereno emotivato, nel quale il leggere siaconsiderato una conquista, lapossibilità di aprirsi alla cono-scenza, un arricchimento dellapersona e quindi un valicare illimite di un orizzonte ristretto ela possibilità di saper dirigereautonomamente i propri passi,pur nella discreta attenzione deigenitori: insomma la possibilitàdi crescere dal punto di vistaintellettuale nello sviluppo armo-nico della persona.

5) Come ultima causa si potrebbeanche porre l’attenzione sulla dif-ferente naturale “disposizione”all’attività di pura riflessioneintellettuale e sull’altrettantanaturale disposizione alla opero-sità manuale e creativa di ogniindividuo ma ciò ci porterebbelontano individuando fasi succes-sive ed interscambiabili nel curri-culum scolastico; tutto ciòcomunque successivamente alprimo biennio della fase elemen-tare, necessaria perl’apprendimento delle succitatetecniche di base del leggere edello scrivere e del far di conto.

Se poi la motivazione del rifiuto aleggere è individuata in una carenzafisica dell’organismo allora è impor-tante attivare tutti quei controlli utilia studiare strategie per superare ocorreggere le difficoltà, uniti ad unafattiva collaborazione con la fami-glia, sollecitata con discrezione, nel-l’interesse del soggetto interessato alrecupero. Approccio non semprefacile per una certa resistenza deigenitori ad ammettere che esista unproblema la cui presenza, in variomodo, creerebbe qualche difficoltànella serenità familiare. La mia espe-rienza di insegnante e di madre miha posto alcune volte di fronte a talisituazioni.Se poi una riflessione personale sullascuola, dove il mio lavoro a lungo siè svolto, mi è concessa, io penso chela Scuola Unificata degli anni Ses-santa, in nome di una non beneindividuata teoria , basata suun’imperfetta concezione di ugua-glianza sociale impostata sulle condi-zioni economiche di un alunno enon sulle sue inclinazioni naturali,da sostenere e sviluppare seguendolonel suo processo di crescita e di pre-parazione, ha creato alcune volte deidisadattati, che sarebbero stati piùsensibili ad un insegnamento che,senza rinunciare a fornire nozioniculturali di base, rendesse accessibilel’apprendimento tecnico articolatoin opportune sezioni di specializza-zione legate al moderno concetto dipreparazione al lavoro, suscettibili diavviare ad un’attività lavorativa

anche imprenditoriale, particolar-mente necessaria in un momento dicrisi finanziaria internazionale, comequella che stiamo attraversando dagliinizi degli anni Duemila, checostringeranno molti a rivedere lapropria preparazione e ad aggiornareil loro curriculum di preparazione edi lavoro.Per tornare al piacere del saper legge-re, mi piace riferire ad esempio lamia personale esperienza nei con-fronti dell’apprendimento della let-tura, a proposito della quale ricono-sco di essere stata privilegiata nondalla posizione economica della miafamiglia, in un periodo in cui lanorma era una gestione modesta masana e tranquilla della vita familiare,consapevole anche della intuibileminaccia di una guerra imminente,quanto dal fatto che il privilegio èstato determinato da un padrestraordinario, accanito lettore, e dauna madre intelligente ed intransi-gente su ciò che si doveva o che nonsi doveva o che non si poteva fare, eche rispondeva immancabilmente almio “voglio”, che l’erba voglio noncresceva nemmeno nel giardino delre.Fin da piccola ho avuto sempre trale mani la compagnia di un libro, oconsiderandolo, in un primomomento, un oggetto per giocareammirandone le illustrazioni, o unafonte di racconti in momenti dicompagnia di chi sapeva carpire, leg-gendo ad alta voce, i segreti di quel-l’oggetto: segreti fantastici, emozio-nanti, fonte di molti “perché?”ecapaci di sollecitare la fantasia conrielaborazioni immaginifiche stimo-lanti e mutevoli da persona a perso-na e non massificate da immaginipredefinite che nulla concedono allafantasia.Mio padre mi ha sempre portato unlibro dai suoi viaggi, magari acqui-stato, anche usato, durante il perio-do bellico, su qualche bancarella neipressi di una stazione. Quandoancora non avevo appreso la tecnicadel leggere, ricevevo piccoli libri illu-strati, per quanto assai rari a queltempo. Ne ricordo uno con paginedisegnate ma rigorosamente senzacoloriture. Ebbene, era sufficientepassarvi sopra un pennellino imbe-vuto d’acqua perché quelle immaginiprendessero vita colorandosi magica-mente! Conservo ancora alcuni diquei libri, gradito ricordo di unpadre lungimirante e, a sua volta,come già detto, assiduo lettore.La possibilità di essere autonoma nelleggere, pur nelle difficoltà che taleapprendimento comportava, è stataper me una grande conquista. L’averpoi maturato questa conoscenza conl’affinare la mia tecnica dal puroesercizio alla comprensione di untesto, apprezzandone tutte le sfuma-ture di contenuto e di stile, stabilen-do così un rapporto con l’autore, oalmeno con l’intenzione dell’autorenel voler trasmettere certe sensazio-ni, mi ha dato la possibilità diampliare il mio orizzonte culturale edi esercitare le mia fantasia nel tra-durre in mie immagini, quanto unalettura mi comunicava in tempi incui la tecnica odierna che, comesopra accennato, fornisce tutto già“confezionato”, era di là da venire adimpigrire ogni immaginazione.

Mara Valeri

Il piacere di saper leggere

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

La Libreria Albèri restituisce untratto fondamentale di quel trac-

ciato orvietano rinascimentale che sisviluppò nel cantiere quattrocentescodella cattedrale intorno ai grandiartisti presenti nel corso del XVsecolo: Gentile da Fabriano, Pier-matteo d’Amelia, Antonio da Viter-bo, Pinturicchio e, sulle impalcaturedella Cappella Nova, Beato Angelicoe Luca Signorelli. Il suggestivo ambiente, ricavatoattraverso l’addizione di una nuovastruttura architettonica inserita tra lacattedrale di Santa Maria Assunta eil nucleo più antico dei Palazzi Papa-li, fu edificata nel 1499 per accoglie-re la biblioteca di Antonio Albèri(1423 ca -1505), già arcidiacono delduomo. Nel periodo della formazio-ne presso lo Studium perugino, doveconseguì il dottorato in utroque iureorientato alla carriera nell’ammini-strazione ecclesiastica, egli ebbemodo di stringere importanti amici-zie, come nel caso dell’umanistaGiovanni Antonio Campano (1429-1477), e di essere introdotto nellacerchia culturale di papa Pio II.Divenne così precettore di suo nipo-te Francesco Todeschini Piccolominiche, coll’ascesa dello zio, sarebbepresto divenuto cardinale e vescovodi Siena nonché vicario pontificio e,successivamente, anch’egli papa conil nome di Pio III (1503). Albèri, già con un primo testamentoredatto nel 1482, aveva stabilito didonare alla sacrestia del duomo i tre-cento volumi della raccolta biblio-grafica negli anni collezionata. Suc-cessivamente deve essersi fatto stradail progetto di far costruire un nuovoapposito ambiente sull’esempio dellaLibreria Piccolomini, realizzata periniziativa del cardinale vescovo diSiena all’interno della cattedralesenese nel 1492, per onorare lamemoria di Pio II, e affrescata daPinturicchio tra il 1502 e il 1507.

La Libreria Albèri è costituita da unasala larga quattro metri e lunga piùdi tredici, illuminata da quattrograndi finestre che si affacciano, nellato meridionale, sul cortile deiPalazzi Apostolici. Collegata alduomo attraverso una porta nellaparte destra della tribuna –all’epocaancora libera dal coro ligneo che visarà trasferito solo intorno al 1536- èl’unico esempio, oltre alla LibreriaPiccolomini, di biblioteca annessa aduna chiesa cattedrale.

Come accennato, l’iniziativa diAntonio Albèri prese l’avvio neglistessi anni in cui aveva inizio il can-tiere della Cappella Nova, condottoda Luca Signorelli che avrebbe por-tato a compimento la straordinariaimpresa pittorica del Giudizio Uni-versale iniziato da Beato Angelico.

Il ciclo di affreschi a monocromoche orna le pareti della nuova sala furealizzato probabilmente tra il 1501e il 1503 ed è prevalentemente dedi-cato ai più famosi autori delle disci-pline presenti nelle sezioni dellabiblioteca: diritto, filosofia, medici-na, storia, astrologia, retorica, gram-matica e poesia. Le figure sonoritratte in coppie nelle lunette, men-tre ogni finestra reca tre singoliritratti entro medaglioni. La parteinferiore delle pareti è ornata daspecchiature a motivi geometrici digrate in bianco e nero che ricordanole campiture spesso utilizzate nei

codici miniati. Allo stesso repertoriodell’ars illuminandi appartiene lacuriosa immagine collocata nellospessore dell’ultima finestra dell’an-golo sud-occidentale: si tratta di unascimmia con gli occhiali intenta aleggere un libro aperto con l’acutomotto LEGERE ET NON INTEL-LIGERE EST NEGLIGERE /BONA DIES.Lo schema della decorazione risultacosì articolato:

sulla parete occidentale- I e II lunetta – TEOLOGIA –

rappresentata da S. Agostino, S.Gregorio Magno, S. Girolamo e S.Ambrogio;

sulla parete meridionale- I lunetta - IUS CANONICUM -

rappresentato da due figure nonidentificabili;

- I finestra - IUS CANONICUM –con Pio II, S. Bonaventura e S.Tommaso d’Aquino;

- II lunetta – IUS CANONICUM/PHILOSOFIA – con D. Benedic-tus Capra e M. So[...]nus;

- II finestra – IUS CIVILE – conUlpiano, Bartolo da Sassoferrato eBaldo degli Ubaldi;

- III lunetta – MEDICINE – conIppocrate e Galieno;

- III finestra – HISTORICI ¬–con Quinto Curzio, GiovanniAntonio Campano e Sallustio;

- IV lunetta – ASTROLOGI – conAlbumasar e Tolomeo;

- IV finestra – ORATORES – conCicerone, Quintiliano e Plinio;

- V lunetta – POESIA – con Gio-venale e Ovidio;

sulla parete orientale- VI lunetta - POESIA - con Virgi-

lio e Omero;- VII lunetta – GRAMATICA –

con Sipontino e Prisciano.Tra le lunette sono indicati i titolidelle discipline e gli emblemi dialcune città legate al committente:Perugia, Roma, Siena e Todi. Al disotto, tre piccoli quadri policromiraffigurano: San Pietro, San Paoloe Seneca. L’ampia volta è decoratada due medaglioni con il mono-gramma bernardiniano e lo stem-ma Albèri.

Il prezioso contenuto della LibreriaAlbèri è andato purtroppo dispersonel corso dei secoli e successivamen-te l’ambiente perse la sua originariaqualificazione e fu utilizzato come

cappella privata e sacrestia dei vesco-vi. Probabilmente, in conseguenza diciò, la ricca decorazione dipintavenne celata e fu riscoperta sottol’intonaco bianco nel 1890 in occa-

sione degli interventi di restauro cheinteressarono la cattedrale nel suocomplesso. Il nuovo restauro curato dalla dr.ssaMargherita Romano della Soprinten-denza BSAE dell’Umbria e di recen-te concluso (2011), porta a compi-mento quella lunga stagione direstauri avviata fin dagli anni Ottan-ta del Novecento, finalmente ripri-stinando la connotazione originaria el’interessante decorazione pittorica diquesto suggestivo e peculiareambiente.

Nella Libreria sono oggi espostealcune importanti testimonianzerelative alla storia decorativa dellaCappella Nova e alla composizionedella biblioteca del canonico umani-sta. Le vicende orvietane di Luca Signo-relli sono documentate dal primoincarico ricevuto dall’Opera delDuomo per decorare le vele dellevolte (1499); dalla memoria delsecondo contratto per il completa-

mento del ciclo pittorico (1500); daalcune registrazioni di spesa percolori e altri materiali; dal verbaledel consiglio comunale con la deci-sione di far realizzare il dipinto raffi-gurante Santa Maria Maddalena chesarà poi collocato nella CappellaNova. Infine, il Diario di ser Tom-maso di Silvestro (1482-1514),notaio e canonico della cattedrale,descrive il clima inquieto dellaOrvieto di fine secolo illustrando inchiave apocalittica un evento celesteverificatosi il 29 settembre del 1499.Un documento sui generis oltre che“una tegola per la critica” è il matto-ne dipinto con i ritratti di LucaSignorelli e del camerlengo dell’Ope-ra del Duomo Niccolò d’Angelo. Provengono dalla raccolta Albèri,come indica la presenza dello stem-ma dell’arcidiacono, il prezioso Sal-terio manoscritto e la selezione deirari incunaboli di argomento giuridi-co.

Laura AndreaniAlessandra Cannistrà

La Libreria Albèri nel Duomo di Orvieto

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Nel secolo XII i baschiesi scelserocome patrono San Nicola, e c’è

una ragione: fra le innumerevolicategorie di persone che sono sottola sua protezione ci sono anche imarinai e i traghettatori; Baschiaveva un forte rapporto con il Tevereper i porti di Corbara e di Pagliano(anticamente Veascium, tanto che èstato ipotizzato essere il primo nomedi Baschi –Veasci), i numerosi tra-ghetti (le barche), le pescherie; dun-que ci voleva un santo “d’acqua”.Essi si recarono a Bari a prendere lereliquie del Santo, reliquie seconda-rie, non ossee (perché costavanotroppo). Presero la “manna” che fuo-riusciva dal suo sepolcro, nella basili-ca a lui dedicata. (Sul fenomenodella manna la Chiesa non si è maipronunciata e nella seconda metà delXIX secolo ne ha vietato l’asporto).A Baschi, la manna era custodita inun prezioso reliquiario d’argento chefu rubato verso il 1920.La costruzione della nuova chiesa diS.Niccolò ha inizio nel 1576. La chiesa precedente era stata giudi-cata dal vescovo Camajani “in preca-rie condizioni” (1574) e ne aveva sol-lecitato la ricostruzione secondo icanoni e le esigenze liturgiche detta-te dal Concilio di Trento (1545-1563), quindi è una chiesa controri-formata.Il conte Ranuccio dei Baschi (unodei personaggi più interessanti dellaSignoria) ne affida la progettazioneal migliore architetto della piazza:Ippolito Scalza. “urbevetanus”. Perl’artista è la sua prima costruzione acarattere religioso. Per il Comune rurale, questo è unperiodo di benessere anche per meri-to del conte Ranuccio.Il 1 novembre viene stipulato il con-tratto (la polizza) con il capomastroPietro de Batista, alla presenza delconte e di tre testimoni per opere dimuratura, e si parla di realizzare“canne doicento de muro bono” alprezzo di 5 Giuli “per ciaschedunacanna” e di “cavar fondamenta”. Ilche significa che fu rifatta completa-

mente e con l’orientamento cambia-to. Lo Scalza pone l’abside su untorrione delle mura di cinta del latoest. La costruzione dura circa diecianni e l’artista orvietano segue ilavori. Solo nel 1583-‘84 viene sosti-tuito da Antonio Carrarini che seguela costruzione del campanile.E’ una chiesa ad aula unica che ter-mina con un arco trionfale, un corovoltato a botte, un’abside di ispira-zione bramantesca e due cappelle.Dalla cappella di sinistra si accede alcampanile grazie ad una scala achioccola che termina con un lucer-naio ispirato dall’oratorio ottagonaledi S. Caterina dell’Isola Bisentina delLago di Bolsena. Campanile e lucer-naio hanno una posizione moltovisibile da lontano e di forte rilevan-za paesistica. Alle pareti laterali loScalza propone un ordine di paraste

S.Pietro) con cinque cappelle da unlato e un secondo livello finestrato.La facciata si compone di tre livelli.Inizialmente il progetto si arrestavaal secondo, coronato dal frontespiziotriangolare posto sopra il rosone; ilterzo fu aggiunto per nascondere iltetto retrostante.Ecco come la descrive l’architettoRenato Bonellli in una conferenza suIppolito Scalza (ISAO-1989):“…armonia felice nella zona inferiore;purezza di linee, purezza compositivae di disegno; una facciata disegnatache pian piano si sfuma in alto in unadiversa plastica. In basso la trabeazio-ne corre rettilinea, non ha risalti, hasolo un risalto d’angolo, invece in altola trabeazione è rotta più volte in cor-rispondenza del timpano secondario edelle lesene superiori. Quindi la fac-ciata man mano che marcia verso

(che inquadrano archi) sormontatoda un attico finestrato. I materialiimpiegati sono la pietra grigia basal-tina e l’intonaco bianco: una bicro-mia brunelleschiana. Le finestre(molto simili a quelle del palazzoBuzzi di Orvieto, sempre dello Scal-za) all’interno sono rifinite come fos-sero esterne, nell’impossibilità ditrattare le pareti esterne che sonorustiche. L’interno ha un’intonazionetoscana, fiorentina. Le chiese refe-renti sono la chiesa di Santa Mariain Gradi ad Arezzo, di BartolomeoAmmannati, la chiesa di San Salva-tore al Monte a Firenze, di SimonePollaiolo (detto il Cronaca), nonchéil San Giovannino a Firenze, sempredell’Ammannati. Ma, secondo lostudioso Mario Curti, la prima chie-sa di riferimento è quella del SantoSpirito in Sassia a Roma (vicino a

l’alto si sfrangia, si articola, ha dellevariazioni che contribuiscono a darleslancio. Le porte hanno un’aria fioren-tina; sembrano disegnate da un tosca-no.” Per le porte e le nicchie lo Scal-za si ispira al Sangallo e a Raffaelloda Montelupo di cui era stato disce-polo. Sangallesche sono anche leguglie della facciata e del campanile.Sotto l’altare maggiore riposa ilcorpo di S. Longino martire, compa-trono del paese. S. Longino, ufficialedelle guardie dell’imperatore Massi-mino, professava la fede cristiana:scoperto, fu fustigato, imprigionatoe decapitato a Todi, il 24 aprile 306.Le sue spoglie furono poste sottol’altare nel 1689.Il soffitto (ora a cassettoni) è statorestaurato nei primi anni del 1900dall’ingegnere orvietano PaoloZampi. Precedentemente era rico-perto da un grandissimo telo (di cm650X340, conservato in sacrestia)sul quale era dipinta la Madonnacon il Bambino sopra una nuvola tragli Angeli; in basso S. Nicola inposizione adorante.Sopra la porta centrale, nel ‘700, fuposto un bellissimo organo. La spesafu sostenuta dalla Confraternita di S.Bernardino con un contratto del 20ottobre 1777 che commissionava lostrumento alla Ditta F.lli Fedeli diCamerino. Costo 186 scudi e 81baiocchi. L’organo conta 500 canneed è a una sola tastiera: è uno stru-mento piccolo, in quanto destinatoall’accompagnamento del cantocorale a differenza dei ricchissimiorgani delle chiese del nord Europa,che contavano anche cinque tastiere.Fu restaurato nel 1988 dalla DittaPinchi di Foligno, su iniziativa delparroco don Filippo Zaffarani e conil contributo di tutta la popolazione.

Maria Antonietta Bacci Polegri

Fonti

A. Ricci – Storia di un Comune rura-le dell’Umbria – 1915M. Bernardi- memorie storiche dellaterra di Baschi – manoscritto- primo1900A. Satolli – Alberto Satolli per Ippoli-to Scalza – 1990P. Perali – Orvieto – 1919M. Cambareri A. Roca De Amicis –Ippolito Scalza – 2002S. Guidotti – Guida-storico turisticadi Bolsena – 1985.

La Chiesa di San Niccolò di Baschi

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

Non è semplicemente un libro

l’ultima creazione letteraria di

Laura Ricci, “Dodecapoli” (Lieto-

Colle, novembre 2010) - dodici rac-

conti accompagnati da immagini

fotografiche di Ambra Laurenzi - ma

un progetto più articolato che, con

le loro autrici, si sta configurando

come un entusiasmante viaggio in

vari luoghi d’Italia. I dodici racconti

del volume, infatti, sono orchestrati

attraverso dodici protagoniste fem-

minili che attraversano, dal loro

punto di vista, la storia quotidiana

della seconda metà del Novecento, e

il cammino di libertà e di realizza-

zione dei desideri che, nello stesso

secolo, ha compiuto il genere fem-

minile. Elemento di felice originali-

tà, poi, le dodici storie del vasto

affresco sono coniugate strettamente

a dodici spazi architettonici che,

delle riflessioni delle dodici protago-

niste, costituiscono un luogo specu-

lare dell’anima: celebri piazze di

Verona, Roma, Torino, Trani, Bre-

scia, Pisa, Milano, Orvieto, Malta,

Siena, Vigevano, Mentone. Di qui

l’idea di coniugare il libro a

un’installazione fotografica, dove le

ventisei tavole del volume sono

diventate ben cinquantasei foto di

grande formato di Ambra Laurenzi,

accompagnate da dodici pannelli di

scrittura di Laura Ricci.

L’installazione, dal benaugurante

titolo “Dodecapoli . Multiscritture delfemminile per un Grand Tour contem-poraneo”, sta facendo, in effetti, un

vero e proprio Grand Tour nelle

città che fanno da sfondo al volume.

Dopo Orvieto, che al Museo dell’O-

pera del Duomo ha inaugurato

l’esposizione, la mostra è stata instal-

lata a Pisa, Roma, Vigevano. Ed è

con grande gioia delle autrici, la

tappa al “Circolo della rosa” di Vero-

na dal 14 al 26 marzo 2012. Da

metà aprile a metà maggio, il libro e

l’installazione fotografica saranno

ospitati, per la “Settimana della cul-

tura” e il “Maggio dei libri”, negli

ampi e prestigiosi spazi della Biblio-

teca Comunale di Terni. Sul successo

del volume, che è stato presentato

anche a Umbrialibri, e sull’esperien-

za di questo originale Grand Tourabbiamo intervistato Laura Ricci.

Buongiorno Laura, come spiegatanto successo?Buongiorno, e grazie di questa con-

versazione innanzi tutto. Tengo a

precisare che, almeno per ora, è un

successo di nicchia, non certo un

successo di massa, però non si può

negare che questo libro ci abbia por-

tato importanti gratificazioni e rico-

noscimenti; e il fatto che saremo

presto ospiti del luogo del gruppo

di “Diotima”, le filosofe dell’Univer-

sità di Verona che possono essere

considerate la punta più avanzata del

pensiero della differenza di genere in

Italia, lo conferma e ci rende molto

felici. Sarà Annarosa Buttarelli, tra

altri ideatrice e organizzatrice del

“Festival della letteratura” di Manto-

va, a presentare il mio libro: si tratta

di una delle menti più affascinanti e

lucide dell’attuale elaborazione di

pensiero in Italia, e di questo risulta-

to sono grata alla nostra rimpianta

amica Eloisa Manciati, che mi ha

fatto conoscere, a suo tempo, questi

fruttuosi orizzonti. Il successo di

questo libro lo spiego, forse, con

l’impegno e la coerenza di pensiero e

di azione che caratterizzano, da

molti anni, la mia ricerca esistenziale

e intellettuale; con l’ascolto delle

altre e della vita, da cui mi lascio

attraversare e su cui continuamente

mi interrogo da un punto di vista

che trova radice nel mio corpo di

donna; il tutto filtrato attraverso una

scrittura che, probabilmente, riesce a

rendere poetica e lieve una riflessio-

ne che, altrimenti, potrebbe diventa-

re cerebrale. Forse il successo dipen-

de anche da quello che Anna Maria

Crispino evidenzia nella sua introdu-

zione, quando afferma che “vedere la

bellezza - di corpi e di pietre, di carne

e di luci, di forme e di scorci visivi che

delimitano spazi ma non orizzonti -

restituirla a chi legge per contagio, ha

il sapore di un gesto etico”. Ecco, mi

piace pensare che il successo di

“Dodecapoli” possa risiedere, soprat-

tutto, in questo gesto etico.

Come è nata l’idea del libro?È nata da due grandi passioni della

mia vita: l’ostinata ricerca di autenti-

cità, fuori dai luoghi comuni e dalle

tracce segnate; e il grandissimo

documentato amore che ho sempre

avuto per l’arte e per l’architettura,

in particolare per tante meravigliose

piazze d’Italia e d’Europa. È stato

molto difficile sceglierne solo dodici.

Era da tempo che volevo rendere

protagonista della mia scrittura crea-

tiva la piazza. Le piazze, in certo

senso, sono nate prima delle prota-

goniste: una volta scelto lo spazio

della piazza, ogni donna vi si è dis-

posta, con la sua vita e con la sua

storia, come per incanto e, fortuna-

tamente, i corpi hanno avuto la

meglio sulle pietre. Ma spazio inte-

riore e spazio esteriore sono stretta-

mente correlati in questo libro, non

riuscirei a pensare l’uno senza l’altro.

Qual è l’importanza dei messaggicontenuti nell’opera?Ce ne sono moltissimi e a vari livelli.

Data la mia età, 63 anni, e soprat-

tutto data la mia intensa vita, consi-

dero “Dodecapoli” un libro sapien-

ziale: mi basterebbe aver scritto solo

questo e sarei comunque soddisfatta

del mio lavoro di scrittura. Tuttavia

non amo esplicitare le stratificazioni

di significato dei miei libri, credo

che ogni lettrice e ogni lettore siano

liberi di cogliere nel testo quanto è

più utile e significante per loro,

magari anche un significato che nelle

mie intenzioni non c’era. Chi legge,

infatti, ricrea un proprio testo, non

necessariamente aderente a quello

che intendeva passare l’autrice. Di

tutti i messaggi posso sottolineare

giusto quello più esplicito di Mar-

gherita, la dodicesima protagonista;

quello che è racchiuso nelle ultime

parole del libro: “Tutto era stato

detto e tutto poteva essere ancora

raccontato”. Vuole essere un omag-

gio ai Maestri e alle Maestre di

scrittura che con il dono meraviglio-

so della parola mi hanno accompa-

gnato e nutrito per un arco ormai

così lungo della vita e, al tempo stes-

so, un’esortazione a una seria creati-

vità. Sono così grandi – penso a

Proust ad esempio, a Virginia Woolf,

a Emily Dickinson, a Dante e

Petrarca e Ariosto, e... – così irrag-

giungibili che quasi non si oserebbe

più scrivere. Ma poi ci si mette al

proprio tavolo di lavoro con lieto e

studioso rigore, e allora tutto, dal

nostro particolare punto di vista,

può essere ancora scritto e racconta-

to.

Che ne dice, è ancora tempo disentimenti?Come non mai, anzi è tempo di pas-

sioni, ce n’è bisogno. Nella sua gene-

rosa introduzione, Anna Maria Cri-

spino scrive, ancora, che la mia nar-

razione contrasta la volgarità e

l’insensatezza di tante odierne rap-

presentazioni, forse anche per questo

il libro sta avendo successo. Per

molti versi, è una narrazione anche

dolorosa, ma indubbiamente vi è

molta ricerca di senso, molta bellez-

za. Lettori e lettrici, almeno quelli

che conosco direttamente, hanno

osservato che delle donne di “Dode-

capoli” ci si innamora, che non si

vorrebbe lasciare la loro storia.

Eppure sono solo le donne della

nostra epoca, se si avesse la pazienza

di osservarle e di penetrare più a

fondo nel loro mondo. Umberto

Galimberti ha definito il nostro

tempo come “l’epoca delle passioni

tristi”, ma questo catastrofismo vale,

a mio avviso, più per il soggetto

maschile, egemone da secoli, che per

quello femminile. Perché, per le

donne, la rivoluzione di pensiero del

Novecento ha aperto possibilità di

realizzazione fino all’altro ieri troppo

difficili e negate. E dunque, pur in

questi duri e sciagurati tempi, per

noi donne è soprattutto l’epoca della

realizzazione, sia pure parziale e

combattuta, dei desideri.

Passiamo al tour espositivo che stacompiendo con Ambra Laurenzi.Qual è l’impatto, qualel’organizzazione, quali sono statele sorprese?È un’esperienza bellissima, un vero

Grand Tour contemporaneo che,

oltre a comunicare a me e ad Ambra

il gusto del fare insieme, ci porta a

misurarci costantemente con nuovi

spazi e nuove relazioni che arricchi-

scono la nostra affettività e i nostri

orizzonti di pensiero. In questo

senso, le “multiscritture del femmi-

nile” non sono solo quelle della

mostra, ma quelle che gemmano, a

contatto con le persone, da ogni

esperienza espositiva. Ogni luogo è

diverso dall’altro, in ognuno incon-

triamo persone di grande intelligen-

za e sensibilità, e questo è il premio

migliore per le fatiche organizzative,

che richiedono pazienza e impegno,

peraltro ritagliate nella nostra vita di

lavoro quotidiano. Non si vive di

sola scrittura e fotografia... almeno

non noi. Ogni esperienza si è rivela-

ta una gradita sorpresa. A Orvieto

l’installazione al Museo Greco è stata

di grande suggestione, e ancora più

emozionante è pensare che siamo

state le prime donne nella storia a

esporre negli spazi dell’Opera del

Duomo: non saremo mai abbastanza

grate, di questo fiducioso onore, alla

Fabbriceria. A Pisa e a Roma entrare

in contatto con le amiche delle

rispettive Case delle Donne è stato

quanto mai piacevole e stimolante.

A Vigevano, poi, siamo state accolte

con grande e inattesa considerazione:

aver fatto da sfondo, con la nostra

mostra, alla rassegna letteraria che,

con grandi nomi, ha ricordato i 150

anni dell’Unità d’Italia alla Cavalle-

rizza del Castello Ducale, è stata una

gioia che di certo non dimentichere-

mo. E ora, questa opportunità al

“Circolo della rosa” di Verona, il

luogo delle filosofe di “Diotima”, è

un premio davvero sorprendente che

ci dà, ancora di più, la misura del

nostro rigoroso lavoro. Il “Circolo

della rosa”, a Verona come a Milano,

è il luogo migliore a cui, donne che

fanno cultura, possono aspirare. Vor-

rei cogliere l’occasione per ringrazia-

re quanti e quante ci hanno accolto

e, a vari livelli, aiutato.

La Dodecapoli di Laura RicciDai racconti alle immagini: le piazze italiane

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

I M A G O U R B I S

Duomo, Cappella Nova o di San Brizio,Luca Signorelli, Paradiso(g.c. Opera del Duomo di Orvieto)

Museo Opera del Duomo di Orvieto,Luca Signorelli e il camerlengo Niccolò D’Angelo

(g.c. Opera del Duomo di Orvieto)

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Famiglie e mestieri a LateraVita sociale e amministrazione

di una comunità (1739 – 1945)

Il tema principale e lo spunto di parten-za del libro “Famiglie e mestieri a Late-

ra Vita sociale e amministrazione di unacomunità (1739 – 1945)” scritto da LucaGiuliani e stampato dall’Amministrazionecomunale di Latera, è soprattutto unaanalisi delle famiglie del paese. Al suointerno se ne scorre la popolazione attra-verso gli anni, al fine di conoscerne le piùantiche, i loro cognomi, le persone di cuisi componevano e la loro origine ancheesterna. Nel testo si pongono in evidenza i varimestieri esercitati dai lateresi, il lavoroattraverso cui si procuravano di che vive-re, i rapporti con «la commune» (ossial’autorità comunale) e alcuni avvenimentidi cui sono state protagoniste. La ricercasi pone il fine di creare un’analisi oggetti-

va delle famiglie di Latera, su tutti i nuclei, non solo quelli ritenuti più impor-tanti, partendo dal presupposto di come sia spesso taciuta la «storia vera»,intendendo per essa quella delle popolazioni, della gente che lottava per lasopravvivenza. Per ottenere lo scopo, l’autore, aiutandosi con quanto esistevadi già edito, ha realizzato una produzione storica attraverso una lettura attentae rispettosa delle fonti locali, in primis l’Archivio parrocchiale e quello comu-nale di Latera; in questi ha trovato notizie, ricostruendo alcune origini e genea-logie, incontri e rapporti soprattutto nei confronti di quella “commune” , for-matasi come sinonimo di comunità, che incentrava per le sue stesse regole ilpotere nelle mani di pochi, ma aveva sempre un occhio attento ai bisogni pri-mari della popolazione. Proprio il tema dell’assistenzialismo e il concetto dicomunità come famiglia allargata, o come insieme di tutte le famiglie che com-pongono un paese e si trovano a vivere nella situazione particolare, caratterizzail libro, come un filo conduttore che parte dalla prima metà del Settecento perarrivare alla metà del Novecento, attraverso storie, avvenimenti, casi particolari,leggi, organizzazione comunitaria, storie di vita vissuta dai nostri antenati. Perquesto il testo è una sorta di viaggio tra le famiglie e i mestieri più antichi, par-tendo dall’analisi dello stato delle anime più antico conservato in parrocchia(un elenco di fedeli del 1739), passando poi al primo dell’Ottocento, analiz-zando il governo dello Stato Pontificio nei suoi ultimi anni sino al passaggio alnuovo Regno d’Italia, al Novecento, alla Prima e Seconda Guerra Mondiale.Il tutto attraverso citazioni documentarie estratte dalle carte d’archivio, lenostre fonti storiche, tanto più valide perché non redatte per questo scopo.

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

P A G I N E L E T T E

Guglielmo Portarena, Il pane dei fiordalisi, Intermedia Edizioni, Orvieto 2011.

Luca Giuliani, Famiglie e mestieri a Latera Vita sociale e amministrazione di unacomunità (1739 – 1945), Amministrazione comunale di Latera, 2012.

Quinto Ficari, Il mistero della lapide, Intermedia Edizioni, Orvieto 2011.

L’autore ci seduce con una serie impres-sionante di osservazioni, sorniona-

mente negando la sua appartenenza allacategoria degli storici e rinnegandola piùvolte. Un mestiere quello dello storico chemerita mille citazioni di Bloch. Nel giocobasta al fatto “...di non essere alunni passividi fronte a ciò che i predecessori ci hannotramandato e scavare in profondità...” Fica-ri non è di certo passivo e col suo libro simerita la patente di storico. Stravolgequalcosa che dura da secoli? Sì e No, sem-plicemente Ficari osserva con le lenti piùchiare alcuni particolari che magari ad altri

sono sfuggiti. Nella leggenda del vino di Montefiascone, del prelato che dir sivoglia e del vino Est! Est!! Est!!! egli piazza la sua ipotesi: la lapide all’internodella Chiesa di San Flaviano in Montefiascone potrebbe non essere, come rico-nosciuto tradizionalmente, quella di Defuk....Tutto qui? No con l’ausilio diInternet, ma anche di documenti cartacei anche inediti ci svela il nomedell’”inquilino” e cioè di Friederich Von Tanne, dignitario e consigliere diFilippo di Svevia, zio di Federico II, morto a Montefiascone nel 1197. La teo-ria è talmente plausibile che l’autore si ferma sull’unico particolare in grado didemolirla e cioè la datazione che potrebbe segnare l’attribuzione certa. Trastemmi araldici, rimaneggiamenti e anche un affresco scampato a una damnatiomemoriae incombente all’epoca e che potrebbe effigiare Federico II in persona,lucidamente l’ipotesi di Ficari prende corpo e ci coinvolge inevitabilmente. Idocumenti delineano la figura di Von Tanne con incredibile precisione fino adarrivare a Salisburgo; casate che si intrecciano, particolari che si evidenzianocome per esempio i calici sulla lapide che richiamano al collegamento racchiu-so nel nome Hohenstaufen. Non si storca il naso in quel di Montefiascone poi-ché l’autore segnala una robusta documentazione a supporto e ha il merito disoffiare via la polvere dai soliti accomodamenti di rito. E così sempre tenendo amente quello che diceva Bloch ecco che tra le righe un incantato lettore si sof-ferma e dice: “ma sì, potrebbe essere andata veramente così...”

Carlo Cagnucci

Cosicché solo i libri ‘strani’, nell’acce-zione però ‘orvietana’ del termine,quella medioevale, che ne sottolinea ilcarattere ‘esotico’, in grado cioè disuscitare ‘curiosità’, riescono a sedurci,inducendoci ad assumere i panni dellamonaca di Monza che, notoriamente,tutto fece, tranne che farsi pregare perrispondere. In tal modo noi lettori, allostesso modo, cioè con la medesimatrepida aspettazione, di fronte a certilibri, rispondiamo, prontamente e conentusiasmo, facendoli nostri, e nostri almodo di Leopardi, cioè rendendoli anostra volta eloquenti. Noteremo, allo-ra, quanto eloquente, vitale, utile,‘strana’ nell’accezione proposta, possaessere una ispirazione coerente con lapropria predisposizione umana, orienta-ta ad un sistema di valori definibilereligioso, sebbene si debba parlare diuna religiosità naturale, come quella diPortarena che sceglie di non giudicarema cerca di comprendere le ragioni ditutti gli altri uomini, quelli ‘veri’ o sol-tanto ‘verosimili’ che agiscono nellesue più diverse narrazioni. Pertantoeviteremo accuratamente l’idea di pro-cessare i suoi personaggi, senza perquesto prendere le distanze dal malerappresentato; in tal modo valuteremomeglio il fascino e la riuscita tecnica diquesta narrazione, che si misura, adesempio, nell’esatta descrizione dellanatura, così ben delineata tanto dafarne un personaggio necessario ai finidel suo racconto. Tuttavia non avrem-mo fatto un buon servizio alla lettera-tura, e quindi nemmeno al nostroAutore, se non sentissimo il dovere dirispondere più chiaramente alladomanda che ci siamo posti all’inizio,perché acquistiamo i nostri libri. Bene,li acquistiamo perché, nel caso delPane dei fiordalisi, ad esempio, ilmiscuglio di amore, sangue e sentimen-to, insomma la vita e la morte degliuomini, delle donne e delle cose che visi rintraccia, appaga un altro desiderio,quello di leggere nelle righe e soprat-tutto tra le righe un destino che avolte vorremmo potesse essere il nostroed altre volte, per fortuna, non lo è!Cerchiamo di cogliere, cioè, nellepagine dei libri – in tutti i libri, quellibuoni, quelli meno buoni o anchequelli insignificanti- il senso profondoche si nasconde nella vita, e non la vitain generale, ma proprio quella nostra,intendiamo, misteriosa ed avventurosacome quella dei romanzi.

Il secondo romanzo di GuglielmoPortarena raccontato da un lettoreIl nuovo romanzo di Guglielmo Porta-rena, che già ci aveva strabiliato conl’opera prima (in realtà quasi una sce-neggiatura) «La lepre col cilindro», èintenso e vero come una tela dei Mac-chiaioli. L’inizio, quasi enigmatico,sospeso a mezz’aria, lascia subito ilpasso a una narrazione godibilissima,fatta di tante pennellate di colore ecalore, crude senza mai scadere nelmacabro, struggenti senza diventarestucchevoli, intense di una semplicitàtutt’altro che banale. Il piano narrativosi svolge su tre livelli, un po’ allamaniera del Pendolo di Foucault,senza però il manierismo saccente diEco: il presente dell’aia, coi bambinicuriosi in cui il lettore si identificapian piano che avanza nella lettura; ilpassato del racconto di Pietro, dettoPietricca, condotto attraverso mirabiliflaskhback, e l’eternità immutabiledelle massime in rima, che, primacome cappello, poi come parte inte-

grante del racconto, scandiscono lanarrazione dandone la cifra. È sicura-mente un romanzo facile da leggerema difficilissimo da raccontare a chinon l’ha letto, soprattutto per il mira-bile intreccio tra io narrante e io nar-rato, con il racconto del protagonistariportato in terza persona, da unocchio che sa scrutare l’animo, senzaprenderne mai troppo le parti, di tuttiquelli che appaiono sulla scena. Unascena popolata da una miriade di per-sonaggi, di cui nessuno casuale o ditappezzeria, e che ruota attorno ad unavicenda reale, quella dell’uccisione delconte che, forse per una scaramanziatutta orvietana, non è mai chiamatoper nome in tutto il libro. Un omag-gio che l’autore fa alla sua Sugano, adOrvieto e alla sua campagna, descritta,negli scorci e nelle attività, con la mae-stria e la competenza di chi pare avervissuto quell’Ottocento conclusosi, daqualche parte, con più di mezzo secolodi ritardo. È la storia di un pover’uo-mo, rude ma non privo di sensibilità,che per unica dote ha la sua risolutez-za, qualità che lo porta a vivere unaserie di fughe che si interrompono eriprendono, e una serie di incontri e diabbandoni, dai briganti a Rosetta, allaricerca di un riscatto dalla propriaposizione, appena un gradino sopra gliultimi; alla ricerca di un risarcimentodalla vita e dal mondo, ma soprattuttoalla ricerca del rispetto degli altri, cheguadagnerà per poi riperderlo. O forseno… A far da cornice al riscatto e alrispetto ci sono amore, passione, fidu-cia, rabbia, adulterio, speranza, perdo-no… raccontati con la naturalezza dichi, con una saggezza popolare maiostentata ma schiettissima, sa che infondo il bene e il male non sono altroche aspetti naturali della vita di ognu-no. Ciascuno dei diciotto flashback diPietricca, come puntate di un Deca-merone ruspante ma raffinato, è unatessera di un puzzle che verso metàromanzo diventa sempre più chiaro,per dar vita ad una tessitura in cuiogni cosa trova il suo posto, incluso iltradimento e le stornellate, a volte leg-gere, a volte amare, dal forte saporedell’ottava rima dei nostri nonni.Succede un po’ come davanti a quellestampe in stereoscopia, fatte di tantipuntini apparentemente casuali, chedanno vita, appena vi si concentra losguardo, ad una rappresentazione tri-dimensionale ricca di particolari e dispunti di riflessione, anche profonda.Il dialetto la fa da padrone, con i colo-riti intercalari che non trascurano né leparti anatomiche né i santi, dando atutto il lavoro il sapore di un affresconeorealista, tanto da far venire vogliadi vedere questo romanzo trasposto,senza toppa fatica,in una intensa pellicola. Un cifra stili-stica raffinata, quasi una riproposizio-ne contemporanea del sapore dei vec-chi cantastorie, senza inutili orpelli maricca di aspetti profondi, fatti di unaintrospezione contadina pre-Freud, avolte sbrigativa, forse un po’ semplice,ma mai scontata o futile. Una vita,quella del protagonista, che sarebbesbagliato non raccontare, non fossealtro per quell’essere al limite, in quel-la terra di nessuno, per aver annaspatoper una vita nel limbo, tutt’altro chegrigio, tra i miserabili e i rispettabili,siano essi per paura o per merito. «Ilpane dei fiordalisi» è un’opera che dàpiù di un brivido, ma tutt’altro che diterrore.

Una lapide, un personaggio,una leggenda

«Tre giorni per partire, trent’anniper tornare. Glielo aveva pre-

detto una strega a Pietro Manco dettoPietricca che sarebbe andato a lungo elontano per il mondo e lui ci avevacreduto. Ma per quanto lontano avessepotuto immaginare, tre giorni di muloerano per lui una distanza inimmagi-nabile. Un altro mondo, un’altra aria.Da far venire i brividi». Questo èl’inizio di una micro-storia, quella nar-rata da Guglielmo Portarena nelromanzo Il pane dei fiordalisi, capacedi rivelare, però, in filigrana, quellagrande. Gli avvenimenti irredimibili deIl Pane dei Fiordalisi si svolgono in unben riconoscibile paese nel periodo piùferoce per le nostre campagne, quellodel trapasso del potere dalle più diver-se autorità pre-unitarie (e nel nostrocaso vaticana) a quella del nuovoRegno italiano, riuscendo però aconiugare la ‘poesia’ (quella che si rin-traccia nelle efficacissime ottave chePortarena utilizza come controcantoalla sua narrazione) con la familiaritàdel linguaggio degli umili, perché taleè il dialetto che l’autore utilizza con lastessa disinvoltura che il Belli codificònei suoi sonetti. Umili (ma anche, ina-spettatamente, un maestro elementaredisoccupato) che si faranno brigantiquasi controvoglia, quasi senza accor-gersene. Ma di questo romanzo nonsveleremo di più rispetto a quanto giàaccennato dal momento che lo pren-deremo a pretesto per cercare dirispondere ad una domanda che siritiene tutt’altro che oziosa: perchécompriamo i libri quando li compriamo?Per rispondere alla quale domandaappare necessario premettere una con-statazione: così come i manoscritti nonebbero mai (e mai più l’avrebberoavuta) una tale vitalità come accadde apartire dall’invenzione della stampa acaratteri mobili, allo stesso modo oggi,con l’invenzione dell’e-book (e dellecosiddette ‘applicazioni’ digitali), c’èuna eguale proliferazione dell’oggettolibro nella sua forma divenuta tradi-zionale, quella cartacea, destinata, ana-logamente, a soccombere. In attesa chequesto destino si compia (e quello spe-culare della lettura) assistiamo ad unavera e propria sovrapproduzione librariasimile ad una sbronza e che, in quantotale, come tutti gli eccessi alcolemicicioè, riduce drasticamente la nostracapacità di scelta. Ma non solo lanostra, anche quella di una critica pro-fessionale disorientata e frastornata daquesta eccessiva vitalità editoriale e perquesto oggettivamente impossibilitataa svolgere pienamente le proprie fun-zioni d’orientamento culturale. Pernostra fortuna Giacomo Leopardi, nelsuo diario di letture e riflessioni loZibaldone, definendo la letteratura (ela poesia) l’arte perfezionata per eccel-lenza, vale a dire quell’arte che sisostanzia di molte altre letture ‘elo-quenti’ (tanto per rimanere nellamedesima fabbrica leopardiana) in cuil’inventiva, l’originalità, la razionalità ela poesia si sciolgono in una immagina-zione ingegnosa, ci ha regalato una spe-cie d’ancora di salvezza, un metro digiudizio cioè affidabile legato com’è alcriterio oggettivo della qualità. Entraprepotentemente in gioco la selezionenaturale che, coadiuvata da una seriedi buone pratiche (quali il passa parola,i luoghi ed i modi della divulgazione,un paratesto non invadente e perciòattraente) ci permette, per l’appunto,di salvaguardare da incauti acquistilibreschi il nostro conto corrente!

Una nuova fatica letteraria di Guglielmo Portarena. Queste le note di A. Lo Presti e di M. Sciarra

Il pane dei fiordalisi, quando la«microstoria» diventa romanzo

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

S E G N A L A N O i L E T T O R I

I N C I T T À

Le promesse dei politici

Tante volte si è parlato di scambi culturali con le Regioni vicine. La nostra città è lontana daPerugina e da Terni, non solo per questioni di chilometri, e i legami che abbiamo con il Viterbesesoprattutto e con la Bassa Toscana in parte vanno tenuti in conto. Tanti progetti, tante discussio-ni, magari prima delle elezioni, poi in concreto che cosa è venuto fuori in questi anni se non arti-coli di giornali, convegni e incontri? Gli accordi interregionali, l’aeroporto, i posti di lavoro, i ser-vizi, le industrie. Tante chiacchiere e niente nei fatti, come tante volte succede nelle promesse deipolitici. Potrebbe svilupparsi qualcosa di interessante, dal punto di vista economico e commercialecon questi territori a noi vicini. Se non facciamo niente, poi non lamentiamoci di come ce la pas-siamo.

C. S.

Tutte le strade… che portano alla Rupe

Le condizioni delle strade orvietane è indecente. Se non sbagliamo, i giornali annunciavanointerventi quasi immediati, a marzo, da parte delle amministrazioni competenti. Di quale annoperò non lo sappiamo, tanto è che le strade sono rimaste com’erano. La strada che porta dalla Sta-zione al centro è un percorso di guerra tra bozze, avvallamenti e restringimenti di carreggiata daqualche giorno a questa parte. Che figura facciamo con il turismo? E’ questa la prima impressioneche dà la grande città d’arte e cultura? La variante di Orvieto Scalo, che dovrebbe essere di com-petenza comunale, sta peggio che non si dica. Se non accade qualcosa pare che nessuno interven-ga. Non parliamo poi dei parcheggi a pagamento, troppi senza dubbio, dell’insensata variazionedei sensi di marcia nei pressi del Comune, che non si sa che cosa e a chi servano. Insomma nonc’è da stare allegri e pare che manchi qualcuno che se ne occupi.

P. C.

In questi ultimi periodi, l’attività editoriale dell’istituto storico artisticoorvietano è risultata davvero intensa. Sono stati realizzati due Bollettini edè in corso di stampa una pubblicazione dedicata ai 150 anni dell’unitàd’italia, conferenze e studi, contributo alle celebrazioni nazionali. In cantie-re numerrose altre iniziative volte alla divulgazione dei risultati di ricerchespecifiche del passato cittadino.

BOLLETTINO DELL’ISTITUTO STORICO ARTISTICO ORVIETANO

LXI-LXIV (2005-2008)

RAFFAELE DAVANZO, La chiesa orvietana di S. Giovenale nel contesto dell’ar-chitettura dei secoli XI-XIII

ZDE KA HLEDÍKOVÁ, Pietro da Praga cancelliere del re e canonico di SanVito

con Premessa di Carlo Tatta

VITTORIO FRANCHETTI PARDO - PIERO CIMBOLLI SPAGNESI, Le prime fasidel cantiere del Duomo di Orvieto: nuovi studi e risultanze

PAOLO PELLEGRINI, Le origini della comunità ebraica di Orvieto: note e docu-menti (1297-1312)

GIAMPAOLO ERMINI, Tre schede per i fonditori di campane a Orvieto nelprimo Quattrocento

LUCA GIULIANI, Santa Rufina: da chiesa rurale a podere di campagna

FRANCESCA VINCENTI, Cultura peruginesca tra Orvieto e l’Alto Lazio: uninedito episodio del mecenatismo farnesiano

FRANCESCA CALVANI, Naturalismo e spiritualità nelle sculture di IppolitoScalza

ELENA ONORI, Un secolo nemico a le lettere e a l’Arti ti tolse lo splendorede ‘l tuo bel manto antico. Il Duomo di Orvieto: fucina delle arti dopo ilConcilio di Trento

RENZO CHIOVELLI, Gli ‘incendi’ della facciata del Duomo di Orvieto al tra-monto dell’Ancien Régime. Girandole ‘neogotiche’ degli architetti cameraliPietro Camporese e Filippo Martinucci

VIERA DANIELLI, Il fondo fotografico della famiglia Misciattelli-Bernardini

MARIA TERESA MORETTI, Ottocento privato: la preparazione delle nozze inun epistolario d’epoca (1885-1886)

ANNA MARIA PETRINI, Un ritratto di Pericle Perali dalle carte di AntonioBruers conservate presso la Biblioteca Nazionale di Roma

ROBERTA GALLI, Archivi in Orvieto in tempo di guerra

BOLLETTINO DELL’ISTITUTO STORICO ARTISTICO ORVIETANO

LXV-LXVI (2009-2010)

ALESSANDRA PEPI, Le vie della ceramica attraverso l’Umbria e il Lazio. Alleorigini della maiolica arcaica senese? Il caso di Miranduolo

ROMUALDO LUZI - LUCA PESANTE, Andrea Della Robbia, il santuario di S.Maria della Quercia in Viterbo e i ceramisti di Bagnoregio

ALBERTO SATOLLI, 1908-1910: documentazione non riciclata sul program-matico saccheggio delle maioliche antiche orvietane.1

ETTORE A. SANNIPOLI, Vasellari Eugubini “Mastro Giorgio” (Gubbio, 1920-1924). Documenti, articoli e altre testimonianze

Mons. Benedetto Tuzia nuovo vescovo di Orvieto Il 31 maggio 2012, Benedetto XVI ha nominato mons. Benedetto Tuzianuovo pastore della Diocesi di Orvieto - Todi, decisione da tempo attesa in città

Mons. Benedetto Tuzia nasce a Subiaco, il 22 dicembre1944, e viene ordinato sacerdote, il 29 giugno 1969,

per l’Abbazia di Subiaco; laureato in Teologia all’UniversitàLateranense, nel 1970, è a Roma e, nel 1980, entra a farparte del clero diocesano. Ricopre diversi incarichi e ministe-ri: vicario parrocchiale di Santa Chiara, dal 1971 al 1984;vicario parrocchiale di Nostra Signora di Guadalupe a Roma,dal 1984 al 1987. Nel 1987, diviene amministratore parrocchiale della Chiesadi San Damaso; parroco di Santa Silvia, dal 1987 al 2003;prefetto della XXIX Prefetturam collabora al Sinodo diocesa-no e alla preparazione del Giubileo dell’Anno 2000. Dal 2003, è parroco di San Roberto Bellarmino. Nel 2006, il Santo Padre lo ha nomina vescovo ausiliare dellaDiocesi di Roma, assegnandogli la sede titolare vescovile diNepi.

Per il 750° anniversario del Miracolo di Bolsena e della Bolla “Transiturus”

Orvieto - BolsenaGiubileo straordinario 2013-2014

La Penitenzieria Apostolica, per mandato di Benedetto XVI, con Rescritto del 13 marzo 2012, ha autorizzato la cele-brazione di un Giubileo straordinario, che avrà inizio nel gennaio 2013 con l’apertura delle Porte Sante nelle Basili-

che di Orvieto e di Bolsena e si concluderà nel novembre 2014 con la chiusura delle Porte Sante nelle medesime Basili-che, evento di grande significato religioso e culturale. Dalla Curia Diocesana viene comunicato che “con distinti Decreti, la Penitenzieria Apostolica, in forza del mandato delSommo Pontefice, concede al vescovo di Orvieto-Todi, o al vescovo o al cardinale che presiede la solenne liturgia di aper-tura e di chiusura delle Porte Sante di Orvieto e di Bolsena, la Benedizione Papale con annessa Indulgenza Plenaria”,tanto che “si può procedere ad impostare un programma complessivo di iniziative liturgiche e spirituali, pastorali, arti-

stiche e culturali, civili e religiose, che avranno come puntidi riferimento Orvieto e Bolsena”, una occasione privile-giata di rinnovamento per questi territori.

ISTITUTO STORICO ARTISTICO ORVIETANO

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Lettera OrvietanaN. 32-33-34 set. 2011 - ago. 2012

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via Cordelli Scossa, 8301025 Grotte di Castro (Viterbo)0763.796029 798177 fax [email protected]

T I P O G R A F I A C E C C A R E L L I

TIPOGRAFIA CECCARELLIprestampastampaallestimento