IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo...

26
Lettera Orvietana Sommario Quadrimestrale d’informazione culturale dell’Istituto Storico Artistico Orvietano Anno IX N. 21-22 aprile 2008 La Rupe ed il Pintoricchio 2 L’arch. Terracina presidente onorario 3 Le ricerche del Fanum Voltumnae 4 L’impegno del gen. Conforti per i Beni Culturali 5 Palazzo Buzi: gli affreschi 6 Il card. Bonaventura Cerretti 8 La Orvieto del Sanvitani? 11 Il parco di Roma come Pompei 15 Le pitture controriformistiche orvietane 17 Una pieve medievale nei pressi di Pagliano 19 Il ritorno delle statue in Duomo? 23 I l momento è propizio perché si tracci un bilancio di quanto è stato compiuto e si deli- neino programmi per i prossimi periodi, carichi di buoni auspici, ardori operativi, slanci volontaristici. Senza dubbio, con il nuovo Consiglio, non si sono registrati bruschi cambia- menti di rotta, anzi… come prevedibile è stato confermato un impegno nella continuità, rispetto all’intrapreso, confermando tendenze da tempo manifeste. Apertura alle giovani generazioni, rapporto di collaborazione con Enti, Associazioni ed Istituzioni presenti nel territorio, particolari attenzioni rivolte alle attività culturali, dalle conferenze all’editoria, al patrocinio di rilevanti iniziative. Anche per il 2008 perciò, in un clima di dialogo e condivi- sione, verrà sostenuto un orientamento organizzativo volto all’innovazione, mantenendo inalterato il rispetto per i valori tradizionali consolidati. fmdc Nuovo Consiglio: collaborazione e condivisione Le opere di Breccia, le note del Vescovo Incontro Arte-Fede U n progetto del Vescovo di Orvieto-Todi prevede la realizzazione di una casa-famiglia per giovani madri in difficoltà in un immobile della Parrocchia di S. Andrea, ubicato nei pressi della Chiesa di S. Lorenzo, nel centro storico della città. Le attività di recupero e sistemazione della strut- tura richiedono specifici interventi e per reperire i fondi necessari un Comitato cittadino, appositamente costituito, sta adoperandosi in diverse iniziative. Tra queste, la pubblicazione e diffusione di un calendario, reso possibile da una straordinaria collaborazione. Quella tra il grande artista Pier Augusto Breccia, che propone 12 sue opere pittoriche, ed il Vescovo di Orvieto-Todi, monsignor Giovanni Scanavino, che delinea specifiche consi- derazioni riguardo ad alcuni temi “forti” della Fede. Si pensa inoltre di costituire un’Associazione di volontariato per la gestione del servizio sociale, sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto.

Transcript of IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo...

Page 1: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera Orvietana

Sommario

Quadrimestrale d’informazione culturale

dell’Istituto Storico Artistico Orvietano

Anno IX N. 21-22 aprile 2008

La Rupe ed il Pintoricchio 2

L’arch. Terracina presidente onorario 3

Le ricerche del Fanum Voltumnae 4

L’impegno del gen. Conforti per i Beni Culturali 5

Palazzo Buzi: gli affreschi 6

Il card. Bonaventura Cerretti 8

La Orvieto del Sanvitani? 11

Il parco di Roma come Pompei 15

Le pitture controriformistiche orvietane 17

Una pieve medievale nei pressi di Pagliano 19

Il ritorno delle statue in Duomo? 23

Il momento è propizio perché si tracci un bilancio di quanto è stato compiuto e si deli-neino programmi per i prossimi periodi, carichi di buoni auspici, ardori operativi, slanci

volontaristici. Senza dubbio, con il nuovo Consiglio, non si sono registrati bruschi cambia-menti di rotta, anzi… come prevedibile è stato confermato un impegno nella continuità,rispetto all’intrapreso, confermando tendenze da tempo manifeste. Apertura alle giovanigenerazioni, rapporto di collaborazione con Enti, Associazioni ed Istituzioni presenti nelterritorio, particolari attenzioni rivolte alle attività culturali, dalle conferenze all’editoria, alpatrocinio di rilevanti iniziative. Anche per il 2008 perciò, in un clima di dialogo e condivi-sione, verrà sostenuto un orientamento organizzativo volto all’innovazione, mantenendoinalterato il rispetto per i valori tradizionali consolidati.

fmdc

Nuovo Consiglio:collaborazione e condivisione

Le opere di Breccia, le note del Vescovo

Incontro Arte-FedeUn progetto del Vescovo di Orvieto-Todi prevede la realizzazione di una

casa-famiglia per giovani madri in difficoltà in un immobile dellaParrocchia di S. Andrea, ubicato nei pressi della Chiesa di S. Lorenzo, nelcentro storico della città. Le attività di recupero e sistemazione della strut-tura richiedono specifici interventi e per reperire i fondi necessari unComitato cittadino, appositamente costituito, sta adoperandosi in diverseiniziative. Tra queste, la pubblicazione e diffusione di un calendario, resopossibile da una straordinaria collaborazione. Quella tra il grande artistaPier Augusto Breccia, che propone 12 sue opere pittoriche, ed il Vescovo diOrvieto-Todi, monsignor Giovanni Scanavino, che delinea specifiche consi-derazioni riguardo ad alcuni temi “forti” della Fede. Si pensa inoltre dicostituire un’Associazione di volontariato per la gestione del servizio sociale,sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamentodi Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto.

Page 2: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Supplemento al BISAO LVII - LX 2002/2004

Piazza Febei, 2 - 05018 Orvieto

Tel. e Fax 0763.391025

www.isao.it - [email protected]

Direttore responsabile:

Francesco M. Della Ciana

Redazione:

Alessandra Cannistrà

Raffaella Pinna

Serena Pinna

Samuela Valentini

Hanno collaborato:

Laura Andreani

Maria Antonietta Bacci Polegri

Sandro Bassetti

Paolo Binaco

Giancarlo Breccola

Carlo Cagnucci

Alessandra Cannistrà

Irene Cucchiarini

Rosangela De Acutis

Francesco M. Della Ciana

Franco Moretti

Andrea Piccinelli

Alberto Satolli

Marco Sciarra

Alessandro Trapassi

Francesca Velluti

Autorizzazione del Tribunale

di Orvieto N.13 del 24 agosto 1953

Fotocomposizione e stampa:

Tipografia Ceccarelli s.n.c.

Grotte di Castro (VT)

2

Apartire da febbraio 2008l’Umbria anima una serie di ini-

ziative culturali volte a commemora-re il 550° anniversario della nascitadell’illustre artista Bernardino diBetto detto il Pintoricchio, nato aPerugia tra il 1456 e il 1460.Così la Cattedrale orvietana si pre-para ad accogliere una delle tappedell’itinerario artistico dedicato,dopo Perugino, a un altro protagoni-sta umbro del Rinascimento italiano.

Un percorso di grande interesse chetoccherà, oltre alle due sedi espositi-ve di Perugia e di Spello, altri seicentri della regione. Riguardo ai dipinti realizzati dall’ar-tista nel Duomo di Orvieto, lavicenda emerge chiaramente daidocumenti conservati pressol’Archivio dell’Opera, a cominciaredai Memoriali (1484-1500, c.208)che, al giugno 1492, riportano:“M. Bernardino di ... alias

Penturicchio da Peroscia se accotti-mò a depegnere a suoi spese, exceptoazuro e oro, li due vangelisti et lidue doctori con tucto l’ochio perducati cinquanta de carlini diece”.Da questa e da altre testimonianze sievince che al Pintoricchio fu effetti-vamente commissionata la realizza-zione di quattro figure, dueEvangelisti e due Dottori dellaChiesa, da dipingersi sulla paretedestra della tribuna, a reintegrazione,

probabilmente, degliaffreschi trecenteschiprecocemente deteriora-tisi. A motivo dei prestigiosiincarichi ricevuti daparte di papa AlessandroVI, oltre che dei contra-sti originatisi con iSoprastanti dellaFabbrica, l’artistaabbandonò il cantiereorvietano prima di avercompletato le decorazio-ni. Infatti, nel 1493 eragià rientrato a Roma, dadove fece ritorno aOrvieto solo nel 1496:non prima degli ultimimesi di quell’anno idipinti commissionatifurono portati a termi-ne. A causa delle costantiinfiltrazioni di umiditàcui fu soggetto quel latodella tribuna fino airecenti restauri degli

anni Novanta, sopravvivono solodue delle quattro figure, nello speci-fico:San Marco evangelista, raffigurato,con grande finezza e naturalismo, introno nella mandorla tra angeli echerubini;San Gregorio, figura più schematica,forse per l’intervento di collaborato-ri, seduta all’interno di uno studioche si apre, sullo sfondo, in un mor-bido paesaggio.

Nonostante il breve e contrastatosoggiorno orvietano, grande influen-

za ebbe la presenza di Pintoricchiosull’ambiente artistico locale: al suoambito stilistico possono infatti rife-rirsi molte decorazioni realizzate trala fine del XV e i primi decenni delXVI secolo in alcune chiese dellacittà e del territorio. E’ il caso deidipinti murali della chiesa di SanRocco a Orvieto o, anche, della par-rocchiale di Canonica, oltre che dialcune tavole presenti presso ilMuseo dell’Opera del Duomo.

Laura AndreaniAlessandra Cannistrà

Nel 2007 è stato ricordato il150° anniversario della nascita

di Domenico Tordi, nato a Orvietoil 22 dicembre 1857 e spentosiimprovvisamente, ancora in pienaattività all’età di settantasei anni, inquello stesso giorno del 1933 aFirenze -dopo che, per una estremacoincidenza, il 22 dicembre di treanni prima aveva provveduto a redi-gere il suo testamento. L’illustre studioso e collezionista erastato ricordato recentemente -proprioin occasione della presentazione pressol’Opera del Duomo del lascitoCocchieri (novembre 2006)- per illegame profondo e costante con la suacittà natale e con le istituzioni cultura-li locali, in particolare con laFabbriceria orvietana che, con disposi-zione testamentaria, egli beneficò diuna generosa donazione relativa allesue straordinarie raccolte di numisma-tica e sfragistica, oltre che a materialidiversi, in particolare alcune pregevoliincisioni, un piccolo arazzo, un pre-zioso Crocifisso in avorio, il ritratto aolio della figlia Giulietta, precocemen-te scomparsa appena quindicenne,quello suo e della moglie in due for-melle in bronzo a rilievo.

Come l’Opera del Duomo, così anchela Biblioteca Comunale “Luigi Fumi”di Orvieto ha ricevuto una cospicuaparte della preziosa eredità: un nucleocomposito che comprende alcunemigliaia di autografi, manoscritti eincisioni, e circa 28.000 volumi astampa (tra cui numerose cinquecenti-ne “riscoperte” e censite da LuciaConti Tammaro negli scorsi anniOttanta). Si tratta, in questo caso, diun eccezionale fondo bibliografico,contraddistinto dal timbro, ben notoai ricercatori, “donazione Tordi”, chesi rispecchia in quello presente pressoaltre istituzioni -e precisamente, laBiblioteca Apostolica Vaticana, laBiblioteca Nazionale di Firenze, l’EnteNazionale Giovanni Boccaccio,l’Istituto Geografico Militare diFirenze, la “Casa Buonarroti” e ilMuseo storico-topografico “FirenzeCom’Era”- tra le quali l’erudito volledistribuita la sua straordinaria colle-zione di bibliofilo. Già nel 2003, in coincidenza con ilprecedente anniversario dei settant’an-ni dalla scomparsa, si era manifestatoun nuovo interesse per la figura dellostudioso. In particolare, gli istituti fio-rentini avevano promosso la ricogni-

zione generale dell’intera raccoltalibraria e il recupero catalografico deivari “fondi Tordi”, ricomponendo,così, almeno virtualmente l’originariaintegrità del vasto e ricchissimo catalo-go e diffondendone la conoscenza conla sua pubblicazione in un saggio daltitolo Il lascito Tordi, curato da MarcoPinzani e Tiziana Calvitti. Parallelamente, fin da quello stessoanno e nella prospettiva della successi-va ricorrenza del 2007, la Direzionedella “Luigi Fumi” aveva avviato unarticolato e specifico progetto, riguar-dante una serie di iniziative dedicatealla “riscoperta” di questa vicenda cul-turale così significativa e esemplare perla storia cittadina: tra queste, un’attivi-tà di ricerca –svolta da ManuelaLuciani e finanziata dalla FondazioneCassa di Risparmio di Orvieto- voltaal recupero, catalogazione e studio diun consistente nucleo di “autografi”,ovvero carte manoscritte e siglate risa-lenti a personaggi storici dei secoli dalXVI al XIX, già concretizzatosi nellaredazione del Catalogo Autografi.Prima sezione che è attualmente incorso di stampa. A tale progetto fa riscontro la pubbli-cazione, in collaborazione con la

Regione dell’Umbria, del primo volu-me del nuovo catalogo del Museodell’Opera del Duomo dedicato ad unsegmento della donazione Tordi, ovve-ro la collezione delle TessereMercantili già oggetto di studio daparte di Marco Tagliaferri nella suatesi di laurea presso l’Università diMilano nell’ambito del corso in Storiadella Numismatica della professoressaLucia Travaini, curatrice del volume. L’anniversario del 2007 è stato quindil’occasione per una positiva conver-genza di attenzione e di attività sulledue donazioni, che per la loro ricchez-za e complessità meritano e attendonoulteriori iniziative di studio e divulga-zione.Per il momento, e per virtù dellamemoria, un ulteriore approfondi-mento sulla figura di DomenicoTordi è stato proposto con la mostradocumentaria ospitata, presso la sededella Fondazione CRO in palazzoCoelli, proprio a partire dal 22dicembre, allo scopo di contestualiz-zare i due “lasciti” orvietani nell’am-bito di una più ampia stima dell’illu-stre donatore.

Alessandra Cannistrà

“Maestro Bernardino da Peroscia”Anche Orvieto si prepara a celebrare il centenario del Pintoricchio

La virtù della memoriaL’Opera del Duomo e la Biblioteca Comunale ricordano Domenico Tordi

Page 3: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Da tempo si discuteva della que-stione. Il titolo di presidente

onorario dell’Istituto non era statopiù assegnato, dopo la scomparsa delprofessor Bonelli, e chiaramenteardua appariva l’individuazione diuna figura che rispondesse allerichieste statutarie. Del resto, si trat-ta di un riconoscimento non obbli-gatorio, destinato ad un personaggiovicino al sodalizio culturale, che nerappresenti gli ideali, che nel tempoabbia contribuito, in maniera decisi-va, alla valorizzazione delle sue atti-vità. La decisione non ha tardato avenire, tenuto conto del“Candidato” prescelto.

L’architetto Torquato Terracina, presi-dente della Fondazione CRO, è statoufficialmente nominato socio onora-rio dell’ISAO (art. 7 dello Statuto,come deliberato dal ConsiglioDirettivo) e, su proposta del presi-dente, Francesco M. Della Ciana, gliè stato conferito (art. 13 delloStatuto) il titolo di presidente onora-rio dell’ISAO con acclamazione. Le motivazioni unanimementeespresse a sostegno della decisionesono le seguenti:

Medaglia d’argentoL’ingegner Sandro Bassetti da tempo è tra i più attivi “amici”

dell’Istituto, mostrando interesse esemplare ed impegno costante indiversi settori operativi. Dalla collaborazione con la Redazione del giornalealla consulenza tecnica riguardo all’informatizzazione.All’ing. Sandro Bassetti, per la sua meritoria collaborazione, è stata conse-gnata la medaglia d’argento del 50mo anniversario dell’Istituto.

3

- per aver partecipato alla fondazio-ne dell’Istituto e averne condivisocome socio fondatore gli elevatiintenti morali e culturali,

- per il costante e generoso sostegnoall’attività dell’Istituto e la solidalee concreta collaborazione alle ini-ziative intraprese,

- per l’impegno intellettuale profusonella valorizzazione delle realtàculturali e produttive della città,

- per essersi dimostrato attentointerprete delle istanze di rinnova-mento del territorio per un pro-gresso rispettoso della storia e dellatradizione,

- per aver promosso la riscopertadella storia locale anche attraverso

la conoscenza e la divulgazionedelle più illustri personalità orvie-tane,

- per aver contribuito generosamen-te al recupero del patrimonio arti-stico cittadino e alla sua valorizza-zione in termini di fruibilità cultu-rale e turistica.

Si ricorda che la carica di presidenteonorario, di carattere vitalizio, erastata sinora riservata a LeopoldoSandri e a Renato Bonelli, figurebenemerite del sodalizio cittadino.L’Architetto ha rivolto un calorososaluto, ringraziando l’Istituto, di cuiè socio fondatore, per il riconosci-mento.

Nell’estate del 1867 Garibaldicompie un viaggio nelle regioni

centrali con lo scopo di incitare glianimi alla liberazione di Roma, diraccogliere volontari e di riprenderecontatti con i vecchi garibaldini.Il 26 agosto è ad Orvieto, dove una“gran folla di popolo” lo accoglie conin testa il sindaco e gli assessori; loscortano lungo il corso, tra acclama-zioni e “nuvoli di fiori dalle finestreimbandierate”. Da una finestra delPalazzo Ottaviani, già Locanda delleBelle Arti (oggi sede della CRO)pronuncia un discorso infuocatocontro il clero che impedisce la presadi Roma, perché “senza Roma l’Italianon è fatta!” Ecco il testo del discorso giunto finoa noi insieme ad una foto con auto-grafo che egli donò al sindaco, conteGiuseppe Ravizza.

“Io ricordo con riconoscenza e gratitu-dine questa popolazione cara. Io hoavuto occasione di starle a contatto intempi ben più difficili che non sonogli attuali; questi sono tempi di sicu-rezza, quelli erano tempi di pericoli edi timori.Noi ci siamo riveduti quando certiGesuiti di allora volevano serrarci leporte della Città; ma il Popolo riven-dicò i propri diritti e dette ricetto agli

avanzi della libertà e della difesa diRoma.(Grida: Viva il generale Garibaldi).I nostri nemici non sono solo i preti,ma il nostro nemico è il Bonaparte.Chi impedisce di andare a Roma?Sono i preti. (Grida: Li ammazzere-mo tutti).Chi ce lo impedisce è il Bonaparte,protettore dei preti (Grida: Morte aiFrancesi).Ma non confondete la NazioneFrancese col Bonaparte, perché laNazione è grande e generosa, laNazione Francese è nostra sorella, ècon noi.Ora debbo rammentarvi che senzaRoma l’Italia non è fatta; sì, Roma ènostra, e noi ci andremo, che nessunopuò impedircelo; senza Roma nonhavvi Italia possibile (Grida: a Roma,a Roma).Ci dicono che là sono Quarantamilauomini, ma noi al nuovo appello sare-mo più di Cinquantamila, saremoanche un Milione, che uniti al prodeEsercito compiremo la nostra redenzio-ne. (Applausi frenetici, sì, sì…). Parlo a molti di voi istruiti già,avvezzi al fuoco delle battaglie; noi aimercenari dei preti, a quella vilecanaglia che protegge la loro tirannide,non l’onoreremo con la punta dellabajonetta, bensì li schiacceremo col

ceppo del fucile (Grida: o Roma omorte). No….. Roma e vita (Grida:sì, Roma e vita).I preti sono jene, sono pantere, sonobelve feroci, sono lupi, sono rettili, coc-codrilli (Grida frenetiche).Conviene togliere questo cancrodall’Italia, bisogna estirparlo allaradice. Questi esseri vilissimi, delprimo popolo della terra hanno fattol’ultimo crollo. (Grida: Sì).Il diritto internazionale permette aiRomani d’insorgere, noi di aiutarli,permette loro di lavarsi dal fango incui li hanno gettati i preti. (Grida:morte ai preti).L’Italia non è vero che sia fatta, losarà allorquando le avremo datoRoma come Capitale che di diritto lecompete.Voi ed io andremo a Roma, presto, eda marcio dispetto di chi non lo vuole.Commosso io vi saluto; addio(Applausi prolungati).

* * *

Roma sarà conquistata nel 1870, maGaribaldi assisterà da lontano all’im-presa che aveva sognato per tutta lavita.

Maria Antonietta Bacci Polegri

1807-2007. Il discorso orvietanodi Giuseppe Garibaldi

L’architetto Torquato Terracinaè stato nominato presidente onorario dell’Isao

Page 4: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

4

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

T orniamo a parlare delFanum Voltumnae. Gli

scavi archeologici al Campodella Fiera - Giardino dellaRegina hanno portato alla lucenuovi, interessanti reperti, chemeritano attente analisi edinterpretazioni. Ne abbiamoparlato con il professor ClaudioBizzarri, University of Arizona,che ha seguito da vicino le variefasi di ritrovamento.

Al termine della seconda campagnadi scavi, professor Bizzarri, parlòdelle prime scoperte in localitàCampo della Fiera - Giardino dellaRegina. Nel frattempo i lavori sono prose-guiti. Potrebbe dirci, in sintesi,cosa altro è stato riportato allaluce? Di elementi di rilievo ne sono emersimolti; specie nella parte centrale del-l’area, dove si colloca una struttura adU apparentemente aperta verso la stra-da Orvieto-Bolsena; l’esistenza delpercorso carrabile impedirà purtroppoqualsiasi verifica. Nel settore meridio-nale di questo recinto è stato rinvenu-to un pozzo con una bella base in tra-chite, sormontata da una rozza vera in“occhio di pesce” non perfettamenteallineata con la base. Un altro pozzo,più ampio, si trova poi nella zona set-tentrionale del recinto; è rivestito conblocchetti di pietra vulcanica e ancorainvaso dall’acqua. All’interno del recinto, è stato scoper-to un edificio di m. 6 x 12 che appare

orientato verso la strada. Alla stessaquota della pavimentazione stradalefonda il basamento in conci di tufo daltaglio perfetto. Si conservano due fila-ri, completo quello di base, testimo-niato da pochi spezzoni il superioreche, come gran parte del basamento,ha subito una sistematica spoliazioneche ha causato anche la perdita dellaprobabile modanatura superiore delpodio. L’edificio appare articolato inun pronao, un vestibolo ed una celladi m. 4,50 x 5,50.

Quindi finalmente è venuto alla luceun tempio, anche se di modestedimensioni. Potrebbe dirci qualcosain più su questa struttura, magariipotizzando una possibile datazione?I pavimenti del vestibolo e della cellasono in signino rosso, e nella cellasono presenti anche alcune rare inser-zioni di crocette bicrome. La pavimen-tazione appare databile in età tardo-repubblicana, forse allo scorcio del IIsec. a.C. Al centro dell’ambiente eranoalloggiate quattro colonnine, dellequali soltanto una in situ: formanouna sorta di tetrastilo che definisceuna luce rettangolare.

Sbaglio o quando venni sullo scavomi parlò anche di terme? A poca distanza dall’edificio di cuidicevamo, un muro in reticolato pro-segue delimitando alcuni ambienti ter-mali probabilmente di età augustea. Èstato appena individuato il calidariumcon vasca circondata da tubuli e conesedra rivestita da crustae marmoree.Un altro ambiente è probabilmente iltepidarium con esedra pavimentata in

signino e con vani antistanti, l’unocon tessere nere e inserzione di crocet-te bianche, l’altro con mosaico a qua-drati policromi. Nel secondo ambien-te e nei contigui si collocano tombetardo-antiche e alto medievali.

E la chiesa medievale di cui tanto siè parlato negli scorsi anni? Nel 2002,ci disse che sarebbero continuate leindagini sulle sue fondamenta.Quali aggiornamenti ha da darci?La zona orientale dello scavo è interes-sata dalla presenza della chiesa medie-vale menzionata nei documenti con ilnome di San Pietro in vetere o in vete-ra. La fondazione della parete meri-dionale dell’edificio sacro si impostasu conci di tufo allettati di testa. Inparallelo, sotto alla parete settentrio-nale, si trovano altri conci di taglioetrusco. Il complesso ecclesiale venne eretto suedifici di età romana, dei quali restanomurature in laterizio e pavimentazionidi tre fasi diverse: in cocciopisto concrustae parvulae come quelle che

Plinio ricorda esistenti sin dall’età diSilla, in lastre marmoree oggi spoliateed infine mosaici con tessere bianche enere di epoca tardo-antica. Nel IX secolo l’area rivestì funzionicultuali testimoniate da bassorilievi dilastre e di un pilastrino. Infine fu eret-ta la chiesa ad unica navata di cui si erapersa da secoli l’ubicazione. I docu-menti medievali menzionano unapieve presente in quello che definisco-no campus fori o - molto significativa-mente - campus nundinarum, da iden-tificare con l’attuale Campo dellaFiera.

Oltre ad edifici e altri immobili,sono stati rinvenuti anche altrioggetti, specie frammenti ceramici,che potrebbero aiutare ad indivi-duare l’area come quella del miticoFanum. Ce ne ricorda qualcuno? Dal riempimento del pozzo più gran-de, ad esempio, sono emersi materialiin massima parte di età romana edancora integri, come una lucerna configura maschile con testa di Anubi,

Torniamo a parlare del Fanum Voltumnaedivinità che, assimilata ad Hermes, èconnessa ai giochi gladiatori; un boc-cale a pareti sottili; una coppa integrain terra sigillata. Sempre nella zona del recinto, accantoalle murature, sono stati trovati tre ziriallineati, una kylix in bucchero spezza-ta a metà e priva del fondo, nove pezzidi aes rude e frammenti di kylikes atti-che a figure rosse, una delle quali conscena di palestra databile al 440. Sul fondo di una fossa vicino agli ziriera collocato anche un attingitoiominiaturistico in bucchero grigio. Lapresenza di tante terrecotte all’internodella fossa testimonia senza dubbio unatto devozionale avvenuto nella secon-da metà del V sec. a.C. e la cui inte-grità è stata sconvolta dai successiviinterventi di età romana.A poca distanza sono stati rinvenutianche due bronzetti a nastro di offe-renti databili al II sec. a.C., raffiguran-ti entrambi personaggi maschili, unodei quali in toga esigua, ed alcuni fram-menti di vasi attici a figure nere e rossedi grandi dimensioni e di raffinataqualità.

Quali sono le sue conclusioni inmerito all’identificazione dell’areacome quella del Fanum Voltumnae? Lo scavo, che insiste su un’area vastis-sima che va letta insieme ai rinveni-menti della Soprintendenza circa 200metri più a nord, si trova all’incrociodi vie di collegamento con Bolsena,Chiusi e la Valle del Tevere. La naturapianeggiante del luogo si presta amanifestazioni agonistiche, a mercatie fiere. Si palesa nettamente una inin-terrotta continuità di frequentazionedalla seconda metà del VI sec. a.C.fino alla peste nera del 1348. I mate-riali, in particolare le ceramiche atti-che, sono di ottima qualità. La pre-senza di strutture etrusche è docu-mentata, per quanto attiene al nostroscavo, almeno in quattro zone diver-se: in prossimità della fossa delle ter-recotte, nel recinto, nell’area sud enelle fondazioni della Chiesa.Notevoli le opere infrastrutturali,come le strade lastricate.Determinante la fase romana, tardo-repubblicana, augustea ed imperiale.Tutto parla di un santuario extraurba-no la cui funzione cultuale perduraanche in età altomedievale e medieva-le. Pertanto, se da più parti e piùvolte è stato affermato, senza quiricordare motivazioni a tutti note, cheil Fanum Voltumnae va ubicato pres-so Orvieto, allora lo scavo di Campodella Fiera assomiglia molto a quantosappiamo doveva essere presente alFanum.

Marco Sciarra

Page 5: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

5

La Società Italiana per la Protezione dei Beni CulturaliUna Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale

Internazionale delle Società per laProtezione dei Beni Culturali, consede in Friburgo, unitamente allaSvizzera, all’Austria, alla Germania,alla Romania ed alla Spagna, mentrela Francia, i Paesi Bassi ed ilPortogallo al momento sono osserva-tori.

La Società è convinta che la protezio-ne, quale rispetto e salvaguardia,possa essere efficace, al di là degliimpegni, senza soluzione di continui-tà, degli organi istituzionali, soltantoattraverso lo sviluppo di una qualifi-cata e diffusa coscienza culturale.Di qui una serie di convegni annualisui temi, di seguito sinteticamenteriportati:1997 Alessandria: Protezione dalle

calamità naturali1998 Civitavecchia: Ricostruzione e

restauri1999 Padova: Furti dei Beni

Culturali2000 Viterbo e Pitigliano (GR):

Danneggiamenti2001 Acireale (CT) , Augusta e

Noto (SR): Inquinamentoambientale

2002 Bari: Diffusione e applicazionedel diritto internazionale alpatrimonio

2003 Osimo-Ancona: L’interventosul territorio a protezione deibeni culturaliEsercitazione “CulturalHeritage” con il ComandoBrigata MeccanizzataGranatieri di Sardegna-Forte Pietralata-Roma (sui contingenti militarinella tutela e nella salvaguar-dia dei beni culturali e sullanormativa internazionale)

2004 Calabria: Beni Culturali arischio. La sfida del turismo -Adozione della “Carta delturismo per i beni culturali”Incontro con le Scuole sulprogetto: “La scuola adotta unmonumento” e con il 18°Reggimento Bersaglieri diCosenza su “Operazioni mili-tari di peace-heeping-Esperienze in Iraq”

2005 Umbria: Tutela dei BeniCulturali per il dialogo e lapace- Incontro con il 1°Reggimento Granatieri

2006 Liguria e Principato diMonaco: Il paesaggio: beneculturale. Tutela e valorizzazio-ne.Confronto con le competentiAutorità del Principato

2007 Abruzzo: Rivitalizzare per sal-vaguardare. Come?

I convegni si concludono con risolu-zioni, che vengono sottoposte all’at-tenzione delle Istituzioni nazionali edegli Organismi internazionali, qualil’UNESCO, che ne valuta l’opportu-nità d’inserimento negli atti ufficiali,consigliando gli Stati Membri ditenerne conto.

Gli atti confluiscono in una serie di pubblica-zioni scientifiche, realizzate d’intesa con laFondazione Europea Dragàn, presso la cuisede, in Roma, al Foro di Traiano, dal mese dinovembre al maggio successivo, vengono tenu-te conferenze mensili su specifiche tematicheattinenti alla conoscenza, alla conservazione,alla valorizzazione ed alla fruizione dei beni

culturali. Le pubblicazioni, per lo più, vengonoassegnate alle Università ed ai giovani interessa-ti a tesi di laurea sul patrimonio culturale.

La società pianifica e conduce corsi di forma-zione sulla tutela dei beni culturali per stu-denti universitari, vigili urbani, ed apparte-nenti alla C.R.I.

La Società Italiana per laProtezione dei Beni Culturali

(SIPBC-ONLUS), istituita il 18 apri-le 1996, sulla base di specificoStatuto, con sede legale pressol’Istituto Internazionale di DirittoUmanitario di Sanremo, è un’orga-nizzazione d’interesse nazionale edinternazionale, non governativa, poli-ticamente neutrale, senza alcun finedi lucro, costituita da volontari che sipongono a disposizione della comu-nità per:- diffondere, attraverso convegni,

anche internazionali, seminari,dibattiti, incontri, soprattutto conle Scuole di ogni ordine e grado,con le Forze Armate, vieppiù impe-gnate da tempo in aree sconvolteda conflitti armati per ricostruirel’identità culturale di quei popoli econ le Forze dell’Ordine, in siner-gia con analoghi organismi e riferi-menti istituzionali,i principi e lenorme relative alla tutela dei beniculturali da qualsiasi rischio, sia intempo di pace che di guerra, secon-do il diritto interno ed internazio-nale, convenzionale (dell’Aja del1954, dell’UNESCO, ed altreancora) e consuetudinario;

- adottare qualsiasi iniziativa possibi-le per qualificare la coscienza collet-tiva culturale e sensibilizzare l’opi-nione pubblica al rispetto ed allasalvaguardia del patrimoniodell’Umanità, per evitarne il depau-peramento ed il degrado, ed assicu-rarne il trasferimento integro allefuture generazioni;

- promuovere e condurre specificicorsi formativi per la protezione deibeni culturali;

- sostenere le strutture, deputate isti-tuzionalmente alla tutela dei beniculturali, attraverso raccomandazio-ni ed interventi;

- assicurare al Dipartimento dellaProtezione Civile la massima colla-borazione in caso di calamità;

- garantire i collegamenti con analo-ghe associazioni estere per confron-ti su esperienze tecniche e pratiche.

La Società, presieduta dal Gen. CC.® Roberto Conforti, è presente sulterritorio nazionale con otto sezioni(Piemonte, Toscana, Marche, Molise,Puglia, Calabria, Sicilia, SezioneGiovani Lazio) ed oltre 300 soci, fra iquali illustri docenti universitari, uffi-ciali delle Forze Armate, qualificatiprofessionisti, esponenti delle istitu-zioni, membri della Croce RossaItaliana, della Protezione Civile e stu-denti universitari.Dispone di un proprio portale:www.sipbc.it.

La SIPBC è membro fondatore eparte integrante della Lega

Roberto ConfortiGenerale dei Carabinieri, è laureato in Giurisprudenza, Scienze Politiche e

Conservazione dei Beni Culturali (conferita “honoris causa” dall’Università agli Studidi Lecce).Ricopre attualmente le cariche di presidente della Società Italiana per la Protezione dei BeniCulturali, di consigliere Herity International, di consulente culturale Selex - Finmeccanica.Il generale Conforti inizia la sua lunga carriera nell’Arma dei Carabinieri, nel 1961, in

Sardegna, e poi in Friuli, Emilia Romagna, Campania, Abruzzo, Lazio, sempre al comando di reparti territoriali, equindi, dal 1985 al 1991, dirige il Reparto Operativo di Roma, al momento impegnato nella lotta all’eversione, allacriminalità diffusa ed organizzata. Dopo aver frequentato un corso di alta formazione professionale, assume ilcomando dei Carabinieri addetti alla tutela del Patrimonio Culturale, che conserva fino al 1° settembre 2002, quan-do, per raggiunti limiti di età, lascia il servizio attivo.Nel corso di quest’ultimo, esaltante incarico, conduce numerose inchieste, in Italia ed all’Estero, per il recupero dimigliaia di opere trafugate da musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, chiese, abitazioni private e dimore stori-che (da ricordare: la Triade Capitolina, l’Artemide marciante, la Phiale Mesomphalos, il Mento di S. Antonio, ecc.ecc.). Organizza in Italia sette convegni internazionali. Interviene in simposi internazionali in Francia, Inghilterra,dove, peraltro a Londra, viene ascoltato, in seduta pubblica, in quel Parlamento dalla Commissione Cultura, Mediae Sport, sul fenomeno dell’illecita esportazione, e poi in Spagna, Portogallo, Ungheria, Russia, Austria, Giordania,Giappone, New York, California, Florida, per un costante confronto con i rappresentanti della Cultura e delleIstituzioni sulle tecniche operative, sia sotto il profilo preventivo che repressivo, e tecnologiche. Sostiene, con deter-minazione, l’imprescindibile necessità di pervenire ad una qualificata coscienza culturale per una migliore attivitàper la tutela e la salvaguardia di qualsiasi bene culturale, quale espressione del patrimonio dell’Umanità, ottenendoun largo consenso a livello internazionale, fino ad ingenerare la certezza, fra i partners, che soltanto il pieno rispettodi un codice etico da parte di musei e fondazioni nell’acquisizione di opere d’arte, dopo averne accertata la lecitaprovenienza, e la spontanea restituzione di quanto illegalmente sottratto a vari Paesi, fra i quali l’Italia, potrà per-mettere a tutti di fruire delle preziose testimonianze storiche, che connotano ogni angolo del Globo.

• Medaglia d’Oro per i Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte, concessa dal presidente della Repubblica;• Ufficiale dell’Ordine delle Lettere e delle Arti, concessa dal ministro della Cultura della Repubblica Francese;• Medaglia d’Oro per lungo Comando;• Medaglia d’Oro per lunga navigazione aerea;• Medaglia Mauriziana;• Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica;• Cavaliere di Grazia Magistrale del Sovrano Ordine Militare di Malta;• Croce di Grande Ufficiale con spade dell’Ordine al Merito Militense;• Commendatore con Placca dell’Ordine di “S. Gregorio Magno”;• Grande Ufficiale dell’Ordine Equestre di “S. Gregorio Magno”; • Accademico di S. Luca;• Membro dell’Associazione dei “Cateriniani nel Mondo”;• Collare della “Beata Beatrix”

Ha ottenuto le seguenti benemerenze:• Diploma d’Onore del presidente del Soviet Supremo della Federazione Russa;• Personalità Europea;• Cittadinanza onoraria di: Castelli (TE); Tossicia (TE); Nocara (CS); Galvanico (SA); Altomonte (CS);

Miami (Florida), con le chiavi della città.

Dal 2003 al 2005 ha diretto il settore “Musei, Archivi, Biblioteche, Aree Archeologiche” della Regione Lazio.

Bet Lehm - Casa del Pane

…e il presepio passa per OrvietoCollegare la nascita del Salvatore con la storia di Orvieto? A volte si può. O almeno si cerca di farlo. È quello che

succede con la diciannovesima edizione del Presepe nel Pozzo, nei sotterranei del quartiere medievale, dove le visio-ni delle mistiche medievali fanno da filo conduttore per raccontare una storia a ritroso, partendo dall’istituzione dellasolenne festività del Corpus et Sanguis Domini, avvenuta proprio ad Orvieto, nell’estate del 1264. La narrazione ripercorre all’indietro le vicende della festa dell’esaltazione dell’Eucarestia, passando per Liegi, dove ilCorpus Domini si celebrava già prima, per Bolsena, dove avvenne il miracolo eucaristico, le cui reliquie si conservano nelDuomo di Orvieto, e per Bingen, dove la santa “folle” Ildegarda aveva strane visioni circolari che fanno da filo condut-tore iconografico al Presepio del Pozzo della Cava, nel quartiere medievale della città umbra.E via via fino a Gerusalemme, dove Gesù tramutò il pane nel suo Corpo, per approdare a Betlemme, che in ebraicosignifica “Casa del Pane”, dove Gesù nacque.In un contesto di precisa ricostruzione storica degli usi e costumi della Palestina di duemila anni fa, lo spettatore si trovadi fronte ad una rappresentazione della Natività irreale e allegorica, che non manca di riproporre la circolarità dellevisioni di Ildegarda e i simboli eucaristici, con Maria testimone silenziosa e austera dell’inizio e della fine del percorsoterreno del suo Divin Figlio. Il tema scelto per l’edizione 2007-2008 del presepio, allestito come tradizione con personaggi animati a grandezza natu-rale, è infatti “Bet Lehm - Casa del Pane”, riallacciandosi all’origine ebraica del nome del villaggio di Bethlehm, che sor-geva nella fertile regione ricca di ulivi, grano e viti, anticamente chiamata Ephrata, che voleva dire “fertilità”.Una etimologia strettamente legata al pane degli uomini diventa, nel Presepe nel Pozzo di quest’anno, il presagio dellanascita del Panis Angelicus, invitando a vivere la Natività come preludio alla Pasqua e all’Eucarestia, guardando al primoNatale quasi come fosse la prima Messa.

Page 6: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

6

Il Palazzo Buzi di Orvieto e in par-ticolare le pitture tardo ottocente-

sche presenti in alcune stanze delpiano nobile sono state oggetto dellamia tesi di laurea in Scienze dei BeniCulturali presso la Facoltà di Letteree Filosofia dell’Università degli Studidi Perugia. Ho ricostruito la storiadell’edificio dal momento dell’edifi-cazione (1581-1583) ad oggi, speci-ficando tutti i passaggi di proprietà ele relative modifiche strutturali edecorative che si sono succedute neisecoli. Ho ricercato poi documenti e

individuato raffronti iconografico-stilistici, con il fine di proporre unaprobabile attribuzione alle decorazio-ni pittoriche realizzate nel palazzosullo scadere del XIX secolo. Daquesta indagine si è creata la condi-zione per poter ricostruire un proba-bile percorso decorativo compiutonell’Orvietano dal pittore marchigia-no Mariano Piervittori (Tolentino1817 - Orvieto 1888), qui presentenell’ultimo periodo della sua vita eprobabile autore delle pitture, alme-no di una stanza, del Palazzo Buzi.

Le decorazioni ottocentesche del Palazzo Buzi di Orvieto Da un’ipotesi attributiva a Mariano Piervittori

alla ricostruzione di un suo probabile percorso decorativo nell’Orvietano

Orvieto, probabilmente nel 1887,fino alla morte, nel 1888. A rafforza-re l’ipotesi attributiva al Piervittoridelle scene di genere di Palazzo Buzi,per ora sostenuta dalle forti affinitàiconografico-stilistiche, si aggiungequindi la coincidenza tra il periododi permanenza del pittore adOrvieto e quello della realizzazionedi tali pitture (1877-1885, periodoin cui il committente Pallucco-Fainafu proprietario del palazzo) e l’utiliz-zo di quel particolare motivo diincorniciamento con finto arazzo acandelabra rosso-oro che, come hoconstatato, Mariano era solito usarenella sua ultima attività, tra l’iniziodell’ottavo decennio dell’Ottocentoe la sua scomparsa. E’ documentata

la sua presenza dal 1880 al 1883nella Villa Felici in località “LeVelette” di Canale presso Orvieto,dove Mariano decorò per il banchie-re Luigi Felici diversi ambienti delpiano nobile e parte della cappellinadella villa.

Per lo stesso committente dipinse

poi “due camerette da dormire inOrvieto” (Palazzo Felici, in ViaAdolfo Cozza), come è noto dallalettera che inviò da Porano nel lugliodel 1883; la storiografia in oltrericonduce alla sua mano le decora-zioni pittoriche presenti nell’HotelReale, all’epoca residenza del cavalierBracci. Ho ritrovato all’Archivio diStato di Orvieto la partita catastaleriguardante l’acquisto del PalazzoBuzi da parte del conte Pallucco, nel1877; tra l’altro, sulla stessa, è citatala sua “Casa di villeggiatura” situatain località Canale di Orvieto, apoche centinaia di metri dalla VillaFelici, in cui operò Piervittori . Hoeffettuato un sopralluogo nella villadel conte, ora di proprietà Provani, e

credo che non sia da escludere l’ipo-tesi che Mariano abbia lavoratoanche lì, ornando i soffitti con piùsemplici e lineari partiture geometri-che, dai colori tenui e dai particolaridecorativi a monocromo, con motivia grottesca dorati, con vivaci elemen-ti zoomorfi riquadrati su fondi neri,presenti anche in una stanza del

Diverse camere presentano decora-zioni pittoriche ad affresco che ven-nero realizzate negli anni ottanta del‘500 dal pittore orvietano tardoma-nierista Casare Nebbia e dal marchi-giano Giovan Battista Lombardelli:al pianterreno, virtù con cartigli alcentro dei soffitti di sei camere; alpiano nobile invece, fregi che corro-no sulla parte alta delle pareti disette stanze, in cui, ad episodi trattidalla Bibbia, vengono alternate figu-re allegoriche, virtù evangeliche,putti alati e stemmi araldici, tra iquali quelli appartenuti a diversi car-dinali dell’ epoca. Più interessanti,perché ad oggi quasi del tutto scono-sciute alla storiografia su Orvieto,risultano essere le pitture realizzate afine Ottocento in sette camere delpiano nobile, tre delle quali, standoallo stemma araldico presente, sonostate sicuramente dipinte nel perio-do in cui il palazzo fu residenza deiconiugi Francesco Pallucco-CleliaFaina (1877-1885). Tra queste ce n’èuna che cattura l’attenzione per laqualità e l’abbondanza delle decora-zioni figurative, che presentanoquattro scene di genere (tre banchet-ti e una“gita a cavallo”) in costumisettecenteschi, incorniciate da fintiarazzi rossi decorati con candelabreoro, alternate a quattro stemmi aral-dici angolari (Pallucco-Faina) e aputti seduti su un finto cornicione,che crea uno sfondamento illusioni-stico a tutta la composizione;

in mancanza di documenti che atte-stino la paternità di tali pitture,diviene fondamentale la comparazio-ne iconografico-stilistica tra questescene di genere e quelle che il pittoredi origini marchigiane MarianoPiervittori realizzò nella GalleriaMeridionale del Palazzo dellaPrefettura perugina, tra il 1872 ed il1875.

Piervittori, dopo una formazioneromana compiuta accanto al foligna-te Decio Trabalza e allo scenografo edecoratore romano GiuseppeMasella, probabilmente negli appar-tamenti Torlonia, fu a Perugia dal1854, quando cominciò a lavorareper committenze pubbliche e priva-te. I lavori per la Prefettura perugi-na furono gli ultimi svolti in città inquanto, sopraffatto dalla fama cre-scente del collega Bruschi, Marianofu obbligato a ripiegare in provincia.Fu così che si recò a lavorare a Cittàdella Pieve (Palazzo Bonelli, oraBonelli-Farina 1874-1876), aSpoleto (Palazzo Marignoli 1876-1878), a Bevagna (Teatro F. Torti1884-1886) e, stando alle informa-zioni emerse dagli scambi epistolaritra il pittore ed il sindaco di SanSeverino Marche, nell’aprile del1880 arrivò ad Orvieto, rimanendo-vi stabilmente fino all’autunno del1883, per poi recarsi a San Severino(Sala Consiliare del Municipio1883-1885), a Foligno (Municipio1886-1887) e ancora una volta ad

Page 7: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

palazzo cittadino, con pietre preziosee ghirlande di fiori, che in effetti, sianel colore che nella tipologia, si avvi-cinano molto a quelli che ilPiervittori era solito dipingere.L’impresa decorativa di questa villafu diretta da Mariano Guardabassi,storico dell’arte e artista legato darapporti di parentela con i coniugiPallucco-Faina, ma la grande sala dirappresentanza, che presenta un sof-fitto già “protoliberty”, decorato conla raffigurazione di un finto chiostrometallico che sfonda su un cielopastello (foto pubblicata da A.

Satolli in “Il restauro del TeatroMancinelli”, Maggioli Editore,Rimini, 1995), ha forti somiglianzecon quella presente in un piccolocorridoio, mal restaurato, della VillaFelici, dipinta da Mariano. Le analo-gie di stile tra le pitture presentinelle due “case di villeggiatura”fanno presumere, come ora dimo-strerò, che l’attività di Piervittori nelterritorio orvietano sia stata piùfeconda ed estesa di quanto sia tut-t’oggi noto alla storiografia.Un’ulteriore tappa del suo percorsodecorativo locale può infatti essere

individuata in Villa Onori, oggiCinti, a Porano, presso Orvieto (apochi chilometri dalle due ville diCanale), dove ritorna il motivo delfinto arazzo decorato a candelabra,che inquadra un ampio paesaggiocon scena in costume nel salone(foto già pubblicata da A. Satolli in“Il restauro del Teatro Mancinelli”,Maggioli Editore, Rimini, 1995) eduna mal ridotta scena bacchica in unsalottino. Lungo la strada che collegale limitrofe località: “Le Velette” diCanale (Villa Felici), Canale (VillaPallucco) e Porano (Villa Onori),troviamo, a completamento di que-sto probabile percorso decorativo delPiervittori nelle campagne orvieta-ne, Villa Paolina, in localitàCorgnolo (Porano). Quest’ultimaelegante dimora fu proprietà dellafamiglia Gualterio dai primissimianni del Settecento al 1874, quandofu acquistata dalla nobile famigliaorvietana dei marchesi Viti-Mariani,che ne trasformò l’aspetto ed ilnome. Una lapide posta nella faccia-ta posteriore riporta la data 29-VIII-1880, relativa alla conclusione deilavori di restauro, eseguiti per volon-tà dalla marchesa Paolina, e facenteriferimento alla conseguente inaugu-razione della villa. E’ significativa lacoincidenza con il periodo in cui ilPiervittori risiedeva nella vicina villadel banchiere Felici. A tale coinci-denza si aggiungono le analogie stili-stiche che legano le pitture realizzateal Corgnolo, sui soffitti di alcuniambienti del piano nobile, al con-sueto fare artistico di MarianoPiervittori. Al primo piano dell’ala,oggi sede del C.N.R., putti cicciot-telli sospesi nell’aria e morbidi corpifemminili avvolti da stoffe lucenti,unitamente alla personificazionedelle arti, a figure pompeiane e agrottesche, vanno ad ornare duestanze e la volta a botte di un’ampiagalleria, le cui pareti sono decorateda morbidi tendaggi dipinti.

Tornando alle pitture ottocenteschepresenti al piano nobile del PalazzoBuzi, risulta più difficile recuperarela paternità delle decorazioni a grot-tesca che ornano i soffitti di quattrostanzette, in quanto il repertoriodella grottesca classica, tornato allaluce e riutilizzato nella decorazionedei palazzi nel XVI secolo, fu recu-perato nuovamente a metàOttocento, divenendo moda impe-rante, diffusa secondo un registrostandardizzato di motivi specifici,registro a cui attingevano i cosiddetti“pittori di ornato”.

La presenza di un piccolo stemmaaraldico tra le decorazioni di due diqueste camere, ci può far affermarecon certezza che anche queste venne-ro decorate negli anni in cui il contePallucco era proprietario dello stabi-le. Concludo con le decorazioni del-l’attuale abside e della cappella del-l’edificio, che dal 1889 passò inmano all’Ordine spagnolo dei PadriMercedari e che tutt’ora ne rimanela sede. Questi due ambienti adia-centi furono allora resi comunicantiabbattendo la parete che li divideva,salvando il fregio pittorico che correlungo le pareti della stanza più pic-cola a pochi palmi dal soffitto, fregiodal quale si affacciano, da finte strut-ture architettoniche, angioletti di

legnosa fattura che sostengono i capidi festoni di fiori, alternati a riquadriraffiguranti diversi paesaggi di fanta-sia, tra i quali una probabile vedutadel Lago di Bolsena e, ancora unavolta, lo stemma araldico delPallucco. I toni sbiaditi e la pennel-lata indefinita fanno apparire taledecorazione frutto di un lavoro tira-to alla meglio magari dallo stessoPiervittori che, come appare daidocumenti, dichiarava apertamentedi lavorare più o meno bene a secon-da del compenso pattuito.

Durante gli stessi lavori di adatta-mento commissionati dai Mercedari,venne però smantellato, in quelloche era il salone ufficiale del palazzo,un soffitto ligneo cassettonato scal-ziano, che insieme ad altri smontatie venduti tra il XIX ed il XX secolo,erano posti a decoro dei soffitti didiversi ambienti del piano nobile (inloco ne restano tre). Nel grande salo-ne venne allora realizzata una coper-tura in muratura a volta a padiglio-

ni, fatta decorare con statue di santidipinte a monocromo, stemmi chefanno riferimento all’Ordine e tondiche raffigurano episodi della vita diun Santo dell’Ordine, di cui gli stessiPadri, su richiesta, sembrano igno-rarne l’identità.

Tali decorazioni, le ultime realizzatenel palazzo, non possono essereattribuite a Piervittori, che morìl’anno prima dell’acquisto dello sta-bile da parte dei Mercedari. Non èda escludere l’ipotesi, supportatadalla vivacità dei colori usati, che icommittenti di origine spagnolaabbiano chiamato un pittore dellastessa nazionalità, ma dalla storiogra-fia su Orvieto emerge che a queltempo l’unico spagnolo in città eraFederico Ballester, arrivato nel 1891e subito impegnato nelle decorazionidi Palazzo Giulietti, decorazioni chehanno tutt’altro stile, definibile giàpienamente liberty.

Francesca Velluti

7

Page 8: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

IL CARDINALBONAVENTURA CERRETTI

Bonaventura Cerretti nasce aBardano di Orvieto, il 17 giugno1872, da Faustino Cerretti e MariaCustodi; frequenta il Seminario diSpoleto, poi la Pontificia UniversitàGregoriana in Roma, infine, la RegiaUniversità di Roma. FaustinoCerretti è un fattore di Morrano,

che ha fatto fortuna e che, nel 1876,prende in affitto dal Demanio latenuta di Prodo. Costui la tiene perpochi anni, come informa un bio-grafo del cardinale BonaventuraCerretti, figlio di Faustino, “il babboa Prodo era già un “padrone”, avevacominciato a comprare i poderi diMorrano e vi stava fabbricando lacasa”. Dopo l’ordinazione sacerdota-le, inizia la carriera diplomatica, che

lo porta nelle più importanti capitalieuropee. Nel 1914, è inviato nunzioa Parigi e, il 14 dicembre 1925, ècreato Cardinale da papa Pio XI conil titolo di Santa Cecilia. Il 15 marzo1933, diviene cardinale vescovo sub-urbicario di Ostia e Velletri; muoresessantunenne, l’8 maggio 1933, edè sepolto alla Chiesa di Santa Mariain Trastevere in Roma. Ordinatosacerdote nel 1895, occupa delicati

Nemo propheta in PatriaI grandi orvietani fuori di OrvietoLa figura del card. Bonaventura Cerretti

uffici in varie CongregazioniRomane. Nel 1903, è segretario dellaDelegazione al Messico, nel 1908,uditore a Washington e, nel 1914,fatto arcivescovo, è il primo delegatoapostolico in Australia. Arcivescovodi Corinto (1914), chiamato inRoma nel 1916, è segretario dellaCongregazione degli AffariEcclesiastici Straordinari. Riallacciatele relazioni fra la Francia ed ilVaticano, è il primo nunzio apostoli-co a Parigi. Creato cardinale nel1925, è per un anno ancora a Parigie poi prefetto del Supremo Tribunaledella Segnatura Apostolica.Segretario per gli Affari EcclesiasticiStraordinari (1917), nel 1919, inter-viene alla Conferenza per la Pace diParigi ed intavola trattative conVittorio Emanuele Orlando per lasoluzione della questione romana(nata e bloccata dal 1870, n.d.A.). E’nunzio apostolico in Francia dal1921, quando lo raggiunge la nomi-na a porporato, nel 1925. Queste le tappe della sua splendidacarriera ecclesiastica: il 31 marzo1895 è ordinato sacerdote; il 15aprile 1914, è nominato arcivescovotitolare di Philippopolis, in Tracia; il10 maggio 1914, diviene arcivescovotitolare di Corinto, in Grecia; il 19luglio 1914, è ordinato vescovo tito-lare di Corinto; il 5 ottobre 1914, èdelegato apostolico in Australia; il 6maggio 1917, è nominato segretariodella Curia Romana; il 20 maggio1921, diviene nunzio apostolico inFrancia; il 14 dicembre 1925, è crea-to cardinale-prete con il titolo diSanta Cecilia; il 14 dicembre 1925,è elevato a cardinale; dal 1928, èprotettore dell’Istituto ConfratelliStimmatini; il 12 ottobre 1931,diviene prefetto della SegnaturaApostolica presso la Curia Romana;il 13 marzo 1933, è nominato cardi-nale-vescovo di Velletri e Segni; alladata della sua scomparsa, è prefettodella Segnatura Apostolica presso laCuria Romana.

Ricordo australiano diS. Em. mons. Cerretti, delegatoapostolico in Australia.Il Collegio di San Patrizio e laCappella Cerretti in Sidney,Australia.The College and the CerrettiMemorial Chapel, 1939. Source:“Manly” Vol.6 No.1 1939

Curiously it was not until 1935,over twenty years after CardinalMoran’s death in 1911, that the finalphysical manifestation was made ofMoran’s vision of St Patrick’sCollege, in the building of the cha-pel. That it be so long delayed wit-nesses to the enormous costs thatsuch enterprises placed on theCatholic community, particularlygiven the acceleration of the prodi-gious demands that school buildinghad imposed on Catholic financeshistorically. But the delay also raisesthe question of priorities: did thesplendid public sermon in stonewhich was St Patrick’s come beforeproclamation of its spiritual core? In1935 the Cardinal CerrettiMemorial Chapel was opened adja-cent to and in architectural harmonywith the main building, enhancingand enriching the total atmosphereand impressive power of the site.Despite (or rather in addition to)the Roman, Vatican, implications ofthe name, the Cerretti Chapel wasanother affirmation ofAustralianness. Cerretti had cometo Australia in 1915 as the firstApostolic Delegate, diplomaticrepresentative of the Papacy inAustralia, a role he regarded asambassadorial, national, and inde-pendent of local bishops. This pla-ced him in conflict with MichaelKelly who had succeeded Moran asArchbishop of Sydney on his deathin 1911. Kelly regarded St Patrick’sas a troublesome creation of aMoran he disliked, a situation whichplaced both College authorities andstudents in alliance with the newDelegate. Cerretti delighted a St

Questo articolo mira a ricordare la grande figura del cardinale orvietano Bonaventura Cerretti: un uomo, unsacerdote, un diplomatico. Le azioni che intraprende, in una qualunque di queste vesti, sono sempre state

coronate da successo. Riferendosi alle sue attività diplomatiche in due Paesi, la Francia e l’Australia, la sua figu-ra è tuttora molto viva e splendente come le opere da lui compiutevi. Più in fondo sono riportati due brani inlingua originale, per rimanere obiettivi ed evitare interpretazioni nelle traduzioni, dai quali emerge la stima diquesti due popoli per il Cardinale. In estrema sintesi, a lui si deve il ripristino dei rapporti diplomatici fra Franciae Vaticano (bloccati dall’abbandono della protezione francese allo Stato Pontificio nel 1870), la prospettiva delripristino dei rapporti diplomatici fra Italia e Vaticano (bloccati dalla presa di Roma il 20 settembre 1870), chesaranno finalizzati dai Patti Lateranensi l’11 febbraio 1929. In Australia il cardinale Cerretti fu il propugnatoredell’“Australia agli Australiani” (e non più all’Impero Britannico, n.d.A.). Il popolo riconoscente gli eresse inSidney una splendida cappella, a lui dedicata, unita al seminario, oggi collegio di San Patrizio (in ricordo diOrvieto?). Nella Cerretti Memorial Chapel, così si chiama, sono celebrati i matrimoni tra i VIP mondiali dellospettacolo. La Cappella Cerretti è oggi il simbolo dell’“Australianità”.

8

Page 9: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Patrick’s College prize giving in1916 by proclaiming “Australia forthe Australians”. To thus name thespiritual heart of the College wasentirely appropriate, diplomaticallywell judged in declaring its allegian-ce to the Papacy, and with thepiquancy of an implied snub toKelly. The Chapel, built forty years afterthe Seminary, in 1934-5 comple-ments the seminary in Gothic style,materials and details. It was designedby the Architects Hennessy,Hennessy & Co. The east end isconvenient to the seminary and hasan emphasis on function rather thanarchitecture; the architectural high-light is the cluster of chapels at thewest end and the 20th century struc-tural devices which enabled thecolumn free interiors without massi-ve buttressing. The “cloister” aislealong the northern edge of the buil-ding, with its sequence of altars, is adistinctive and well-lit space.

Ricordo francese diS. Ecc. mons. Cerretti,nunzio apostolico.S. Exc. Monseigneur CerrettiNonce Apostolique

Depuis le 31 juillet 1904, la rupturediplomatique était complète entre leSaint-Siège et la France. Les ìntérètsde celle-cì en souffraient. Un longpassé d’aide mutuelle, dont les deux-puissances recueillaient les avantagésréciproques, ne s’abolit pas impuné-ment. Aussi, la France de la victoire,rentrée dans la voie de ses traditìonsnationales, décida d’ailer reprendresa place à Rome, parmi les nationsreprésentées auprès de ce centre d’u-niverselle influence qu’est le Saìnt-Siège. Pour rétablir des relations cor-diales entre les deux puissances, ilfallait des diplomats d’élite. BenoitXV choisit, comme nonce à Paris,Mgr Bonaventure Cerretti, archevê-que de Corinthe, en qui un fin con-naisseur des questions religieusescontemporaines a salué le prélat “leplus remarquable que put nousenvoyer la diplomatie pontificale”.Jeune encore, grand, robuste, le visa-ge éclairé de deux yeux noirs et vifs,Mgr Cerretti n’a pas l’allure tradi-tionnelle qu’on prête aux dignitairesdu Saint-Siège. La politesse de sesmanières est sans onctìon. Son abordrespire une sìmplìcìté et une franchì-se, auxquelles n’ont pas peu contrì-bué ses longs séjours dans les jeunesdémocratìes d’outre-océan.Né à Orvieto, le futur nonce connutde brillants succès au sémìnaire de saville natale. L’abbé Cerretti devintaudìteur de la délégation apostolìqueà Washington. Pie X lui confiaensuite la délégation apostoliqued’Australie et Nouvelle-Zélande qu’ilvenait de fonder. En ces pays, MgrCerretti se créa rapidement unesituation hors paire. Sa eonnaissanceparfaite de l’anglàis facilitait ses rap-ports avec le clergé et les autoritéslaiques. Son intelligence nette, pra-tique, ennemie des vaines tergiver-sations s’accordait au tempéra-ment anglo-saxon. Et ce fut d’una-nimes regrets qu’il laissa là-basquand, en 1917, Benoit XV le rap-pela à Rome pour remplacer auSecrétariat des Affaires ecclésiasti-ques extraordinaires, Mgr Pacelli,qui venait d’être nommé nonce àMunich. A ce nouveau poste, ildevint un des collaborateurs intimes

du pape qui le chargea, auprès de laConférence de la Paix, d’une délicatenégociation au sujet des missionscatholiques dans les anciennes colo-nies allemandes. Mgr Cerretti s’enacquitta avec une habileté et un tactqui lui valurent dès cette époque denombreuses sympathies à Paris.Aussi, quand les relations eurent étéreprises entre la France et le Saint-Siège, son nom était sur toutes lesoouches, avant que le pape lui eûtofficiellement confìé la nonciature

de Paris. Le 6 août 1921, au chateaude Rambouillet, il présentait ses let-tres de créance à M. Millerand,Président de la RépubliqueFrancaise, qui, l’année d’avant, alorsqu’il était président du Conseil etministre des Affaires étrangères, avaitdéposé le projet de loi demandantles crédits pour le rétablissement denotre ambassade près le Saint-Siège.Depuis lors, Mgr Cerretti a travailléde tout son pouvoir à établir entreles deux puissances réconcìliées “ces

ser de sa présence l’éclat des cérémo-nies religieuses. Il a su toucher noscoeurs en assistant souvent à cellesqui commémorent les héros de laGrande Guerre. Enfin, dans les cir-constances officielles, on le voit s’a-vancer en tète du corps diplomati-que dont il est, de droit, le doyen.C’est en cette qualité qu’au début dechaque année, il félicite le Présidentde la République en termes toujoursmarqués de tact et d’à-propos. Lasociété l’accueille avec faveur et, le12 février 1924, jour anniversaire ducouronnement de S. S. Pie XI, toutParis a défilé dans les salons du nou-vel hotel de la nonciature.“Notre pays..., disait M. le PrésidentMillerand, lors de la réception duNonce Apostolique, nous avons ledroit de l’affirmer, a des titres parti-culiers à la confiance du Saint-Siège,et les prérogatives que les Papes luireconnaissent sont la juste consécra-tion des services rendus par la Franceaux intérets généraux de la chrétien-té.” Ces prérogatives, notre justeorgueil, Mgr Cerretti les défend: ilest de la lignée des Rampolla et dèsFerrata, de ceux qui n’ont jamaiscessé de croire que, dans le monde,le meilleur lieutenant du Christ etde son Eglise, c’est la France.Mgr Cerretti (Bonaventura,Archevêque de Corinthe, NonceApostolique, né à Orvieto le 17 juin1872 ordonné prêtre le 31 mars1895, attaché aux Affaires ecclésiasti-ques extraordinaires, camérier secretde S. S. le 13 janvier 1904,Secrétaire de la délégarion apostoli-que à Mexico le 9 janvier 1904,Auditeur de la délégation apostoli-que à Washington le ler juin 1906élu Archevêque titulaire dePhilippopolis le 15 avril 1914, sacréà Saint-Pierre de Rome par le cardi-nal Merry del Val le 19 juillet,Délégué Apostolique en Australie etNouvelle-Zélande, la meme année,Secrétaire des Affaires ecclésiastiquesextraordinaires le 6 mai 1917,Consulteur de la Congrégation desEglises orientales le 16 septembre1918; nommé Nonce à Paris, le 20mai 1921, a presenté ses lettres decréance au Président de laRépublique Francaise le 6 août1921.

Sandro Bassetti

XI Rassegna Nazionale di Teatro Amatoriale ad AlleronaOrmai è una tradizione che si ripete da ben undici anni la Rassegna Nazionale del Teatro Amatoriale “Stella d’Oro”, abbinata al 3° Premio dedicato al regista

Giancarlo Pancaldi, scomparso qualche anno fa, la cui figura e la cui opera rimangono nel ricordo di tanti, anche in queste zone umbre.Nella cornice suggestiva del paese di Allerona, dal 28 luglio all’11 agosto 2007, si sono alternati sul palcoscenico varie Commedie che Compagnie di amanti delteatro hanno offerto per il piacere di spettatori che hanno affollato la platea, ricavata nella piazza antistante la Chiesa.Il programma comprendeva testi impegnativi per dilettanti, i quali hanno avuto il consenso degli spettatori. Ha aperto, il 28 luglio, il Teatro dell’Accadente di Forte dei Marmi, con “Eva contro Eva” di Mary Orr, regia di Salvatore Pagano, seguitando, il 30 luglio, con laCompagnia Il Gorro di Passignano sul Trasimeno, con “La gatta sul tetto che scotta”, di Tennesse Williams con la regia di Roberto Carloncelli. Il 1 agosto, laCompagnia Ma chi m’o ‘ffa fa, di Giuliano in Campania, con Non si può mai sapere di Luciano Medusa, regia di Ciro Cirillo e Alfredo Scarpato. Il 3 Agosto, vi èstata una tregua, in quanto la serata è stata dedicata al Premio “Stella d’Argento”, riguardante i monologhi: Nadia Tiezzi di Castel Viscardo si è esibita in“Madonna Antonia, il bianco e il nero” di Franco Tiberi e Andrea Brugnera, mentre Maurizio Vallesi di Macerata ha recitato “Astaroth” di Stefano Benni, seguito daArcangelo Corinti di Viterbo in “Melahel, l’angelo di Dio che libera da tutti i mali” di Alfonso Antoniozzi.Il 4 agosto, dopo la breve pausa dedicata ai fini dicitori, sono riprese le rappresentazioni delle commedie con la Filodrammatica Ciccio Clori, di Castellana Grotte,in “Cercasi tenore” di Ken Ludwig, regia di Nico Manghisi. Il 5 agosto il Gruppo Teatrale Primoincontro di Brescia si è esibita con un classico, opera di un grandedrammaturgo del secolo scorso, Eduardo De Filippo, autore di “Natale in casa Cupiello”, regia di Gianni Calabrese. La commedia è stata replicata adAcquapendente, il 6 agosto, dando così modo ad un vasto pubblico di godere dello spettacolo. Il 7 agosto, la Compagnia Né arte né parte di Arcidosso, si è esibitain “Un giardino di aranci fatti in casa”, di Neil Simon, regia di Mario Malinverno. Anche quest’opera ha avuto il bis in Acquapendente, l’8 agosto. Il 9 agosto, laCompagnia Teatrale Altinate di Venezia ha offerto al pubblico un’opera di grande impegno: “La casa di Bernarda Alba”, di Federico Garcia Lorca, con la regia diRiccardo Mangano. Chiudeva la Rassegna, l’11 agosto, la commedia “Dalla Carrà in poi tutto in salita….!!!!, di e con Laura Leo. La vittoria è andata alla Filodrammatica Ciccio Clori, di Castellana Grotte, con l’opera “Cercasi tenore”, di Ken Ludwig, che ha ottenuto la Stella d’Oro quale migliorspettacolo in concorso e si è anche aggiudicata il Premio Giancarlo Pancaldi per la regia, attribuito a Nico Manghisi, e quello del pubblico. La Stella d’Argento peril miglior monologo è andata a Maurizio Vallesi, del Teatro dei Picari di Macerata, con “Astaroth” di Stefano Benni, mentre Vito Longo, di Milano, ha vinto ilprimo premio per autori di monologhi, organizzato in collaborazione con UNICOOP Tirreno, con il testo “Diciannove”, ispirato alla storia del maratonetaDorando Petri. Come si può ben vedere, in un’epoca in cui il teatro è poco seguito dai mezzi d’informazione come la televisione, dobbiamo riscontrare e dare ilnostro plauso ad un paese come Allerona, in cui vengono rappresentate con successo opere di autori di alto rango, che hanno fatto e faranno la gloria del teatro. Informiamo da queste colonne che l’opera meritoria degli organizzatori seguiterà nei prossimi anni, ripetendo il successo che ha riscontrato fino a questo momento.

F. M.

relations de courtoisie, d’estime et deconfiance réciproques” dont M.Millerand exprimait le désir en lerecevant. Chacun sait la part pré-pondérante qu’il a prise aux négocia-tions. dont le terme a été l’encycli-que Maximam de Pie XI (23 janvier1924), qui permet et recommande lacréation d’associations diocésainespour donner à l’Eglise de France “uncertain fondement légal” et “contri-buer à une pacification plus entière”de notre pays. Le nonce est vitedevenu une des figures les plusconnues et les plus respectées, nonseulement de Paris, mais de laFrance. Il se multiplie pour rehaus-

9

Page 10: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

10

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Tra i vari oggetti che compongonoil “Tesoro della Cattedrale” di

Montefiascone vi è un insieme litur-gico - formato da un piviale, una pia-neta e una stola realizzati con un raf-finato velluto blu-oltremare - checostituisce un raro esempio di produ-zione tessile fiorentina dell’ultimoventennio del XV secolo.La menzione più antica di questoparamento, per lungo tempo erronea-mente considerato dono di papaUrbano V, si trova in un inventarioredatto nel 1815 ove si registra, tral’altro, “… una pianeta, con un pivialedi Urbano V con il suo manipolo”. II prezioso velluto del paramento diMontefiascone, dopo essere stato col-locato dalla critica nel Trecento,venne giustamente ascritto alla finedel XV secolo dalla Podreider, comesi evince dall’analisi della tipologiadella griccia che si snoda sulla sua

superficie1. In tempi più recenti, ilcollegamento del parato con papaUrbano V era stato confutato daMaria Andaloro, che lo voleva invececommissionato da Domenico dellaRovere durante il suo vescovado aMontefiascone, e quindi fra la finedel Quattrocento e l’inizio delCinquecento.Gian Luca Bovenzi, nella sua tesi dilaurea intitolata “I paramentali diGiuliano e Domenico Della Rovere”2,unisce allo studio dei paramenti rove-reschi di Montefiascone quello di altriparati di Vercelli pervenendo, tra l’al-tro, alla conclusione che i paramentalidi Vercelli e di Montefiascone sono,allo stato attuale delle ricerche, gliunici insiemi liturgici donati daDomenico e Giuliano della Roveregiunti fino ai nostri giorni. Le notizieche seguono sono liberamente trattedalla suddetta tesi.

I paramentali di MontefiasconeI paramenti conservati nella cattedraledi Montefiascone sono realizzati condel raso di seta azzurro ricamato conuna variante del motivo definito “amazze”, ripetuto in teorie orizzontalisfasate che, orientate alternativamentea destra e a sinistra, danno origine aduna disposizione a scacchiera3. II velluto tagliato ad un corpo con ilquale è stato realizzato il paramento èornato con un motivo decorativo,realizzato in filo dorato con la tecnicadella broccatura, ascrivibile alla tipo-logia “a griccia”4.Finora non è stato reperito alcun tes-suto uguale a quello impiegato perconfezionare il parato in questione,né una sua documentazione pittorica;ma il confronto con stoffe databilinegli ultimi decenni delQuattrocento ci permette di collocareall’interno di questo arco cronologicoil nostro velluto. La raffinata strutturacompositiva di questa stoffa si allon-tana infatti dalla rigidità e dall’aspettogeometrico della griccia prodottanella prima metà del XV secolo,I pannelli che ornano la colonnaanteriore e quella posteriore della pia-neta presentano, lungo i margini ver-ticali, una bordura realizzata a ricamocon filo d’oro, ornata da due sottilinastri intrecciati ad otto, intervallatida una treccia a due capi.Sulla stessa tela è stata eseguita l’in-corniciatura architettonica che deli-mita ogni formella, immaginata comeun’edicola a base esagonale, con unalto coronamento aggettante, sul cuilato frontale, delimitato da due slan-ciati pinnacoli con gattoni, è posto,fra due finestre dai vetri verdi, unarco inflesso decorato da una doppiacoppia di trifogli e dalla serraglia ter-minante con un bizzarro motivo flo-reale (formato da due foglie dallequali si origina un’infiorescenza fanta-stica dal margine inciso).Il trifoglio si ritrova anche sulle chiavidi volta dei due archi flamboyant

osservabili sui lati inclinati.Lungo il margine superiore del coro-namento è presente una merlaturaguelfa che si staglia su uno sfondoazzurro. L’edicola è definita da trepareti, una delle quali, collocata sullato trasversale posteriore, è adornatada un motivo a canestro eseguito confilo dorato, mentre le altre due, collo-cate sui lati obliqui e sulle quali siaprono due finestre sovrapposte, ter-minano con esili colonnine, dai plintirettangolare. I capitelli di questecolonne, dalla forma a cono rovescia-to e sormontati da un abaco, sonoassai simili sia ai peducci sia alla serra-glia pendente della volta costolonata,ripartita in vele campite alternativa-mente in azzurro (tonalità presentenei primi e nei terzipannelli di entrambe lecolonne) o in marronechiaro. Il pavimento èimpreziosito da unascacchiera di mattonellepolicrome, le quali, persuggerire la profonditàspaziale, non solo sonorappresentate in prospet-tiva, ma, quelle poste inprimo piano, sono rica-mate con una tonalitàpiù chiara, mentre, perquelle collocate nei pianisuccessivi, è stato utiliz-zato un tono più scuro.Lo spessore del pavi-mento, ornato con uneffetto decorativo acanestro eseguito confilo dorato, così come lepiante trifogliate, dallefoglie allungate, colloca-te fra i lati obliqui dellabase e quelli del corona-mento architettonico,fungono da elemento didivisione fra i diversipannelli.Le preziose pitture adago che adornano il

paramentale di Domenico dellaRovere sono probabilmente ascrivibiliad un unico artefice.I paramentali, che hanno subito, nelcorso dei secoli, varie e maldestreaggiustature, manifestano, allo statoattuale, gravi cedimenti del ricamoaureo e rilevanti lesioni del tessuto disupporto. Mentre lo stato di conser-vazione delle pitture ad ago della pia-neta può essere definito discreto (lezone dove il ricamo si è consuntonon sono molto estese e non compro-mettono in modo grave l’analisi deipannelli), quella dei ricami del pivialerisulta essere sfortunatamente bendiverso. I sei ricami presenti sullo sto-lone e quello del cappuccio hannosubito, forse a causa di un uso piùfrequente, un numero assai maggioredi danni che hanno comportato latotale scomparsa di ampie superfìcilavorate ad ago, facendo in tal modoemergere i fili d’oro del point nué,utilizzato soprattutto per l’esecuzionedegli abiti. Inoltre, in alcuni pannelli,si è serbata solo la tela di lino sullaquale venne eseguito il ricamo, appli-cata successivamente su quella su cuiera stato eseguito lo sfondo.

Giancarlo Breccola

1 F. PODREIDER, 1928, p. 148.2 BOVENZI, GIAN LUCA, I paramentali diGiuliano e Domenico della Rovere, tesi dilaurea in storia dell’arte fiamminga eolandese, Università degli Studi di Torino,Anno accademico 1998-1999.3 Sul motivo delle “mazze” si veda in par-ticolare T. BOCCHERINI, Il motivo “amazze”. Origine e sviluppo di una tipologiadestinata al settore abbigliamento, in T.BOCCHERINI e P. MARABELLI (acura di), 1993, pp. 63-71; E. BAZZANI,Continuità e innovazioni nei tessuti d’abbi-gliamento del Seicento, in D. DEVOTI eM. CUOGHI COSTANTINI (a curadi). Musei Civici di Modena. La CollezioneGandini-Tessuti dal XVII al XIX secolo,Modena 1993, pp. 61-64; R. ORSILANDINI, Il velluto da abbigliamento. Ilrinnovamento del disegno, in A. ZANNI,M. BELLEZZA ROSGSTA e M. GHI-RARDI (a cura di). Velluti e Moda tra XVe XVII secolo, ca- talogo della mostra diMilano, Ginevra-Milano 1999, pp. 57-60. Sulle varianti di questa tipologia siveda T. BOCCHERINI, 1993, p. 72,nota n. 12, con bibliografia precedente.4 Sul motivo a “griccia” si veda in partico-lare R. DE GENNARO e P. PERI,Velluti operati del XV secolo col motivo delle“gricce”, 1985.

I paramentali di Domenico Della Rovere

Una delle formelle del ciclo del “Credo apostolico e profeti-co” che decorano la pianeta; più precisamente si tratta dellaprima formella della colonna anteriore ove, alla figuraapostolica di san Giacomo Maggiore, si contrappone quel-la di un profeta

Piviale: sul grande clipeo, ornato con una frangia in seta color cremisi ed in filo d’oro, è narra-ta, su uno sfondo decorato con un motivo a lisca di pesce, l’Ultima Cena

Pianeta roveresca di Montefiascone

Page 11: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

11

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Tra le numerose rappresentazionidella città di Orvieto, stampate

dal Cinquecento in avanti, quella sei-centesca tradizionalmente attribuitaad Angelo Sanvitani, è senza dubbiola più completa, la più precisa e la piùcurata, anche esteticamente. Si tratta di una grande stampa, otte-nuta dall’assemblaggio delle incisionidi otto rami, che misura complessiva-mente cm. 144x92 ca. e che rappre-senta in tre registri incorniciati, dalbasso verso l’alto: 1. La DESCRIZIONE TOPOGRAFICA

D’ORVIETO, una pianta della cittàin assonometria, con una leggen-da inframezzata da uno stemma e,a fianco di questa, la facciata delduomo da un lato (con sopra ilsignum dell’Opera del Duomo ele figure di Pietro Parenzo, S.Giuseppe, S. Brizio e S. Costan-zo) e due spaccati, una pianta euna veduta della parte esterna delPozzo della Rocca dall’altro (consopra la personificazione del Pa-glia e del Chiani).

2. La VRBISVETERIS ANTIQUAE DI-TIONIS ACCVRATA DESCRIPTIO,cioè la mappa del territorio su cuila città-stato medievale aveva giu-risdizione, con le vedute di diecicastelli ancora soggetti alComune.

3. La visione prospettica della cittàdi VRBSVETVS, sovrastata dal ri-tratto del card. Carlo Gualterio, acui la stampa è dedicata, affianca-ta dagli stemmi del Comune edella famiglia Gualterio.

In ciascuna delle tre parti della stam-pa sono anche presenti delle iscrizio-ni in latino e, rispettivamente: 1. La leggenda che permette di indi-

viduare 108 edifici speciali ed unabreve descrizione del pozzo(1).

2. In un cartiglio, tenuto disteso daun’aquila col becco e con gli arti-gli, un testo esplicativo rivoltoall’amico lettore, con sommaririmandi all’epoca medievale cui lamappa si riferisce e con espressio-ni di manifesto rimpianto per ilpassato e la perduta potenza deltempo che fu(2).

3. Sul grande nastro che occupa laparte superiore dell’incisione sidispiega un aulico testo di presen-tazione della città, così comeviene illustrata nell’intera stampa,con sintetici riferimenti alla natu-ra del sito ed alla storia dei suoiabitanti(3) e, infine, sul drappoappeso ad una tromba -suonatada un angioletto simmetricamen-te giustapposto ad un altro porta-insegne, che agita un turibolofumante- trova luogo l’encomia-stica dedica al Card. Gualterio,ritratto nel medaglione centrale,entro una corona d’alloro sorrettada altri due asessuati angioletti(4).

Si noterà che in ciascuna delle trefasce che compongono l’intera stam-pa c’è un reiterato rimando, esplicitoo implicito, ad Angelo Sanvitani,orvietano, il cui nome e cognomecompaiono sia nella dedica al card.Gualterio (in alto) che in quelladell’Amico Lettore (al centro) ed il cuistemma di famiglia, sormontato damotto e cimiero, è posto in basso,accompagnato da un distico allusivoal blasone, analogamente agli altristemmi e insegne(5). La inevitabile percezione del nomedi Angelo Sanvitani sulla grandestampa di Orvieto è stata il princi-

pale motivo per cui il Perali, chel’ha pubblicata per primo -descriven-dola tutta, ma limitandosi a riprodur-re la sola pianta- l’ha attribuita a luicon la seguente didascalia: “Pianta diOrvieto (dal rame di Angelo Sanvi-tani, Parigi 1662)”(6).

Anche il Fumi riprodurrà, pochi anniappresso, sia la “Carta dell’antico ter-ritorio orvietano” (senza i castelli) dauna stampa in suo possesso, sia la“Veduta prospettica della città (dauna stampa cinquecentesca [sic!])”conservata al Museo dell’Opera(7).,evitando di nominare il Sanvitani. Le generiche didascalie del Fumi cela-no una cautela forse involontaria, manon del tutto ingiustificata perché, ineffetti, la stampa non reca -come èprassi corrente- la firma di chi l’hadelineata o disegnata né di chi l’haincisa e quella del Sanvitani comparein tutta evidenza nelle dediche (anchese non è chiaro a quale titolo, se nonquello non particolarmente connota-tivo di urbevetanus), mentre l’ufficia-lità dell’intero apparato presuppor-rebbe la segnatura di una figura isti-tuzionale e/o rappresentativa dellacittà. Per questa ragione, quando iostesso ho pubblicato “l’incisione delSanvitani” ho avvertito un certo dis-agio nell’indicarlo come autore, tantoche in una prima occasione, riprodu-cendo l’antico territorio orvietano edi castelli, aggiungevo in una nota cheAngelo Sanvitani fu l’efficiente coordi-natore dell’opera(8) e una secondavolta, riproponendo la veduta dellacittà, dopo aver espresso tutti i dubbidel caso, giunsi al compromesso diindicare nello Pseudo-Sanvitani l’au-tore della stampa parigina(9).

Tornando ora su quanto già scritto -anche per correggere alcune impreci-sioni e impressioni fuorvianti- cer-cherò di esporre il più linearmentepossibile tutte le informazioni che horaccolto su quello che reputo un veromonumento cartografico, di straordi-naria importanza nell’iconografia sto-rica orvietana. Innanzitutto, chi era il Sanvitani? Angelo Sanvitani, come risulta dalLibro dei Battesimi della Cattedrale diS. Maria, nacque ad Orvieto il 6maggio 1622(10); il padre Belisario,come altri in famiglia, era notaio eanche Angelo seguì la stessa strada,portando avanti i suoi primi studi inAlmo Collegio Litteratorum Urbisve-teris, dove fu registrato nel 1638. A fornirci queste prime informazionied altre notizie biografiche è ilSanvitani stesso che quando, tornatoa Orvieto nel 1668 dopo una vitaricca di esperienze le più varie, dedi-cherà l’ultimo periodo alla sua profes-sione di notaio e di pubblicoArchivista, premetterà al suo primo

Repertorium di atti notarili una speciedi breve autobiografia. Attraverso quei fogli manoscritti,conservati nell’Archivio di Stato diOrvieto, il Sanvitani ci informa chenel periodo dell’adolescenza e dellagiovinezza frequentò diversi luoghi especialmente Roma, dove si fermòspatio sex annos per far pratica di

notariato; successivamente lo stessoSanvitani ebbe vari incarichi durantela guerra di Castro, quindi si trasferìprima in Picenis dove per duos Annosfu al servizio del vescovo di Atinacome cancelliere, poi nell’Urbinate,con altre incombenze presso Pesaro,fino a svolgere la funzione di cancel-liere generale di tutta la legazione, peril legato card. Vidman. Forse fu proprio la conoscenza delcard. Cristoforo Vidman, apparte-nente ad una famiglia di banchieri diorigine tedesca, già Auditore generaledella Rev. Camera Apostolica e legatoa Urbino nel 1651(11) ad allargare gliorizzonti del Sanvitani che, in segui-to, si spinse fuori d’Italia e, spatioduodecim Annos, percorse Francia,Spagna, Fiandre e Germania, trovan-dosi spesso al seguito di eserciti incampi di battaglia, sempre pro servitioMagni Pontentissimi Regis Galliarum. Tuttavia, dopo questa lunga e avven-turosa parentesi, il Sanvitani ritornò -Dei gratia- in patria(12), nel suo palaz-zo situato sul reto lungo (attualmentepalazzo Pettinelli, in via Cavallotti n.39), dove ancora si legge il suo nomescolpito sulla mostra in pietra di unadelle finestre e, all’interno, sul grandecamino: ANGELVS SANVITANVS.Nei ricordi autobiografici velocemen-te appuntati sul Repertorium, il San-vitani non accenna né ai suoi soggior-ni a Parigi né alla vicenda dei ramiper Orvieto, una vicenda che pur l’a-veva impegnato per alcuni anni eaveva legato il suo nome a quellodella sua città anche per il futuro, mache forse riteneva marginale rispetto atutte le sue altre attività; per averenotizie a riguardo bisogna quindiricorrere al altre fonti coeve e la piùricca per la storia orvietana delSeicento è senz’altro la copiosa docu-mentazione raccolta nell’archivioCartari, giunto, almeno in parte, finoa noi.Carlo Cartari, di nobile famigliaorvietana, fu una figura di primopiano nel mondo culturale romanolegato alla corte pontificia(13) e nell’ar-co della sua lunga vita -morì a 84anni nel 1697- tenne stretti rapporticon i parenti e gli amici che vivevano

ad Orvieto, chiedendo loro di conti-nuo informazioni sugli artisti e suipersonaggi più noti in città e incenti-vando gli studi di storia locale. Tra le molteplici ricerche erudite,alcuna delle quali date anche allestampe(14), Carlo Cartari aveva raccol-to e teneva aggiornati molti materialiper comporre un’opera intitolataDegli Uomini Illustri di Orvieto, pen-sando di inserire tra gli altri AngeloSanvitani, come risulta dal Prontua-rio per fabricare il Teatro degli Orvie-tani Illustri, una specie di indice cherimanda a tutti i documenti che loriguardano:

Sanvitani.Angelo Sanvitani essendosi portato inFrancia al servizio del S. Card.Mazzarino, mi scrisse di colà molte let-tere che si leggono nel libro segnatoE.IX dalla car. 229 fino alla 247. Indetta car. 229 scrive, di 9bre 1654, chela spesa dell’Intaglio delli tre Ramid’Orvieto, eccedeva per la somma discudi 300. Suoi impieghi in Franciacar. […] Intaglio car. […] Facciata delDuomo car. […] Suoi impieghi[…](15). Peccato che l’Archivio Cartari, eredi-tato dai Febei (insieme a tutti i suoilibri conservati nella Biblioteca Febeadi Orvieto(16)) sia stato poi smembra-to e disperso e che nei fondi cono-sciuti e consultabili(17) non sia statorinvenuto quel libro segnato E.IX checonteneva le lettere del Sanvitani,quasi quaranta carte che, qualora fos-sero rintracciate, toglierebbero moltidubbi e incertezze specialmente sullavicenda dei rami.D’altra parte, sempre nell’ArchivioCartari, si trovano anche, cucite in trevolumi, molte lettere inviate a CarloCartari dal maggiore storico orvieta-no del Seicento, Filidio Marabotti-ni(18), il quale monitorava da Orvietol’andamento della faccenda di cuistiamo trattando.In una lettera del 25 ottobre 1659 ilMarabottini informa il Cartari diaver appreso da una lettera del SignorMagalotti “… che il Signor Sanvitanimanderà Orvieto finito, e che l’uno el’altro saranno verso Primavera dipassaggio in Orvieto”(19), ma la previ-sione non si avverò perché da altredue lettere del novembre 1660 (di cuiuna conservata in copia) si capisceche i tempi di realizzazione dell’operasi erano allungati, perché mancavanoancora i testi da inserire nell’incisionee anche perché non tutti gli aspettieconomici erano stati appianati.Da queste due lettere, in particolare,si deduce altresì che il Cartari e ilMarabottini erano interessati alSanvitani e ai rami non genericamen-te in quanto orvietani, ma perchéentrambi erano personalmente coin-

volti nell’operazione, il primo quasine fosse promotore e/o garante e ilsecondo addirittura come collabora-tore diretto, in quanto autore dei testidelle iscrizioni.Mentre è difficile valutare, senza unquadro generale delle spese preventi-vate, il senso dei contingenti suggeri-menti del Marabottini al Cartari circa

il finanziamento del progetto(20), èchiaro invece che le paternità delleiscrizioni -sicuramente tutte quelleinserite nei cartigli della fascia supe-riore della stampa e probabilmenteanche le altre- spetta allo storicoorvietano. «Mi scrive il Signor Angelo Sanvitani-comunica Filidio Marabottini alCartari in una delle due lettere spedi-tegli- haver fatto perfettionarel’Intaglio, né altro mancargli che laDedicatoria e alcuni versi latini chegli mandai che si era smarriti […]»(21).Nell’altra lettera (copiata probabil-mente dal Cartari) scrive ancora ilMarabottini: «Ho penato per rimet-tere insieme la dedicatoria richiestamida V.S. perché non ne avevo conser-vato copia. La riceverà dunque quicongiunta co’l Distico, che alludeall’Arme del Signor Cardinale, nonavendone io mai fatto se non uno perS. Em.za e con l’altro per la Città,che mando forse migliorato […]» eaggiunge in calce la dedica alGualterio e i distici annunciati, non-ché il testo definitivo di presentazio-ne storica della città(22).Si chiarisce così come anche la stessadedica che sulla stampa sembra fir-mata da Angelo Sanvitani era in real-tà, come gli altri testi, opera delMarabottini e si può perciò confer-mare in conclusione quanto già dettosul Sanvitani, e cioè che “… la suafigura è riconducibile piuttosto aquella del semplice intermediario,dell’Agente a Parigi che teneva i rap-porti con i soggetti interessati alla rea-lizzazione della grande incisione”(23).

Occupandoci a questo punto, piùspecificamente, dell’incisione e

dei suoi contenuti iconografici èopportuno considerare prima la cir-costanza temporale in cui maturò l’i-dea della memorabile impresa e,ricordando che la data del primo pre-ventivo di spesa per i rami è quella delnovembre 1654(24), non si può ritene-re casuale la coincidenza che nellostesso anno, il 2 marzo, era statonominato cardinale, dal papaInnocenzo X, Carlo Gualterio, cui lastampa è dedicata. Carlo, figlio di Raffaello, dell’antica enobile famiglia orvietana deiGualterio, era nato a Orvieto nel1613; imparentato con DonnaOlimpia Madailchini Pamphili,Carlo crebbe sotto la protezione diGiovanni Battista Pamphili che, elet-to papa, nel primo giorno del suopontificato lo nominò AvvocatoConcistoriale, quando Carlo Cartari,suo coetaneo, era già decano. La nomina a cardinale di CarloGualterio fu accolta a Orvieto -dovevivevano i suoi famigliari occupandofrequentemente cariche pubbliche-con Feste et Allegrezze, raccontate suun libretto stampato in Orvieto perl’occasione da Rinaldo Ruuli e scrittoda tal Badone Accedrino che celavadietro il cognome anagrammatoquello di Alemanne Ardiccione, giu-reconsulto e patrizio orvietano(25).Furono il prestigio precocemente rag-giunto a Roma da Carlo Gualterio ela sua frequentazione con CarloCartari nonché, congiuntamente, labenevolenza dei nobili orvietani, astimolare un riconoscimento tangibi-le nei confronti del concittadino neo-cardinale, dedicandogli una modernarappresentazione della città natale, eforse non fu ininfluente, nella sceltadi far incidere a Parigi quei rami che

Otto rami per Orvieto Incertezze e certezze su un monumento cartografico: la stampa detta “del Sanvitani”

Una finestra di facciata del palazzo diAngelo Sanvitani a Orvieto

Ritratto di Carlo Cartari (incisione daZAMPIERI 1710).

Ai lati: la firma di Angelo Sanvitani sottoil suo “signum” notarile (1668) e sotto iltimbro dell’Archivio del Comune diOrvieto (1672), dall’Archivio Notarile(Archivio di Stato, Orvieto).

Page 12: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

12

vedranno la luce otto anni dopo, ilfatto che alcuni avi del Gualterio(come è ricordato nella dedica) eranostati leali servitori della Corona diFrancia(26).Lo stesso Carlo Gualterio, nominatol’anno seguente 1655 arcivescovo diFermo, si servirà di un incisore fran-cese, Stefano Picart, per l’illustrazionedel frontespizio di un volume chefece stampare sui Sinodi fermani(27),ma il Picart non poteva essere coin-volto nell’approntamento dei rami diOrvieto perché si era trasferito a stu-diare a Roma nel 1655 e tornerà aParigi nel 1662(28), anno in cui furonocontemporaneamente stampati sia illibro sui Synodi che l’incisione orvie-tana.Per il suo soggiorno a Roma il Picartsarà poi chiamato le Romain, come ciricorda il Mariette nel suo Abeceda-rio(29) ed è proprio scorrendo le paginedi questo repertorio che si ha, final-mente, una gradita sorpresa. Pierre Jean Mariette, (1694-1774) fu“il più illustre degli amatori e deglieruditi francesi in materia”(30); celebreincisore, libraio a Parigi e storico del-l’arte fu principalmente un grandecollezionista che raccolse, tra l’altro,1400 disegni e 1500 stampe; ed unadelle stampe nella sua collezione eraproprio la veduta di Orvieto colritratto del Gualterio. Allegate a tutte le sue stampe, che inparte andarono disperse, il Marietteaveva lasciato delle schede da luicompilate, che restarono inedite fin-ché non fu stampato il suo Abecedarionel 1858-1859, curato da Ph. deOhennevières e da A. de Montaiglon,i quali pubblicarono soltanto le sche-de che contenevano precise indicazio-ni su autori e incisori e tra queste,sotto la voce Stella (Claudine), quelladella stampa orvietana: «- Veue de la ville d’Orviete en Italie.Gravée par Cochin, au dessous delaquelle le portrait du cardinalCharles Gualtieri, archevêque deFermo, est porté en l’air par desenfans, et gravé en 1662 par Cl. B.Stella. - Elle doit être plus longue ;car l’épreuve qui est dans cette oeu-vre est, je crois, imparfaite, et il ymanque deux morceaux aux deuxcôtés où se trouvent les armes du car-dinal Gualtieri et celles de la villed’Orviete qui sont cy après. - Il doitaussi s’y trouver deux autres enfansen l’air dont l’un porte les marquesd’honneur des dignités ecclesiasti-ques ; l’autre sonne de la trompette,sur la banderole de laquelle est gra-vée la dédicace de cette estampe faitepar Ange Sanvitiani d’Orviete aucardinal Gualtieri. Elle est datée deParis en avril 1661. - Ce qui est deMelle Stella est au burin.»(31). La descrizione dell’incisione riportatanell’Abecedario presenta alcuneincongruenze, dovute probabilmenteal fatto che i curatori dell’edizionemisero insieme gli appunti diMariette senza avere sott’occhio lacopia di cui il collezionista era entra-to in possesso (e che poteva essereanche una prova di stampa), ma nes-suna incertezza si palesa, invece, sugliincisori che realizzarono l’opera,entrambi appartenenti a famiglie diartisti operanti nel settore della calco-grafia: Noël Cochin (che nel 1660 sioccupava delle illustrazioni delleopere di Samuel Pufendorf(32)) per laveduta della città e ClaudineBouzonnet-Stella (la più brava di tresorelle, che il Mariette ritiene all’al-tezza dei più eccellenti incisori (33)) perl’esecuzione a bulino del ritratto delcardinale e degli angioletti che lo cir-condano. Se Claudine Stella poteva utilizzarecome modello per il ritratto del

Del mondo che diffondi gendel mondo annunci

Questa città invincibtalmente forte per la Rocca da suscit

lo nero, che misura cm. 15,2 x 28,2(34)

e che, se si raddoppiano le misure,diventa perfettamente sovrapponibilea quello stampato dall’incisione surame.Ipotizzare che quel disegno sia statocopiato dalla stampa sarebbe eccessi-vamente fantasioso e molto improba-bile, per cui si può ragionevolmenteritenere che sia proprio il disegno dacui il Cochin ha tratto quello per l’in-cisione.Il disegno è stato attribuito dagliesperti di Sotheby’s (che -vien da pen-sare- non conoscevano la stampa diOrvieto, altrimenti l’avrebbero men-zionata sul catalogo d’asta, rappresen-tando per la vendita anche un valoreaggiunto) a Lieven Cruyl, un artistafiammingo nato a Gand nel 1634,venuto in Italia e ben noto a Romaper una raccolta di vedute della città -“ventuno grandi disegni eseguiti arovescio …. nell’inverno 1664-’65”pronti per le incisioni- e per “la bellae nitida pianta” stampata nel 1665(35).Specialmente con la Pianta di Romadel Cruyl, insieme a quella del Faldadel 1667, “… la tecnica incisoria -come scrive Silvia Carandini- tocca ilsuo apice, sotto il pontificato diAlessandro VII”(36).In un più recente studio monograficosull’artista fiammingo -ed è istintivoimmaginare che il nostro Sanvitanipotrebbe averlo anche conosciutodurante i suoi viaggi nelle Fiandre-Barbara Jatta ci informa tra l’altro cheCruyl, ad un certo punto “… predi-lesse l’attività di disegnatore di vedu-tine su pergamena, probabilmente

per soddisfare la richieste di forestierie viaggiatori”(37).Tutte queste considerazioni, tendentiad accreditare l’attribuzione dellaVeduta di Orvieto a Lieven Cruyl(anche al di là dei pur accettabilimotivi stilistici che l’hanno suggerita)sono, in realtà, tanto suggestive quan-to illusorie perché la stessa Jatta,costruendo la biografia dell’artistaquasi esclusivamente sulle date appo-ste sui suoi disegni e sulle sue incisio-ni, fornisce la prova indiretta che nonpoteva essere stato l’autore dellaveduta orvietana: infatti Cruyl nelsettembre 1662 si trovava a Wetteren,piccolo centro vicino a Gand, dovecome architetto eseguì alcuni disegniper il “progetto di completamentoper la torre della chiesa di S. Michelea Gand”, uno dei quali è siglato edatato -LC Inven Wetter 1662 127bris- e quella data è stata assuntadalla studiosa come termine postquem per la sua venuta in Italia(38). L’autore del disegno utilizzato perl’incisione della veduta di Orvieto,allo stato attuale delle conoscenze,resta quindi anonimo, ma i reiteratiriferimenti a Lieven Cruyl sono servi-ti almeno a delineare l’identikit del-l’artista che fornì quel disegno, unartista che come lui doveva avereconoscenze di ottica e di prospettiva,essere bravo topografo e abile dise-gnatore.Le stesse doti doveva avere anche l’ar-tista che disegnò la pianta della città,con i rilievi della facciata del duomoe del pozzo, realizzando un’opera ori-ginale, senza utilizzare pedissequa-

VRBEMVETEREM, volgarmente Orvieto, città dell’Etruriavedere in duplice prospetto da una posizione meravigliosa, lainaccessibili rupi, l’antica nobiltà, l’esteso dominio e l’elegancui a volte incorse, e proprio per questo fu a lungo minacrerie dei Goti poi da quelle dei Longobardi, e non sfuggì alnome dei Guelfi e dei Ghibellini, che per le inimicizie privarovinosi, che lasciarono una città floridissima penosamente eventi funesti, dopo aver dimenticato le antiche sconfitte, rinio Ecclesiastico.

Queste porte che vedi scol-pite nella Città potrestiaprire / PIETRO, soltantocon le tue chiavi.

Frontespizio con stemma del vescovo Gualterio,incisione di Picart (da Sinody Firmanae... 1662).

Protegga l’ANTICA CITTÀ

dell’Esperia il nobile drago/ che prima protesse i giar-dini delle Esperidi.

COSTANZO, con BRIZIO, ilRomano PIETRO, GIUSEP-PE / donano a Dio i piivoti degli Orvietani.

FACCIATA DEL TEMPIO DI

SANTA MARIA DI ORVIETO.

Gualterio una delle incisioni che loritraeva, facilmente reperibile traquelle che lo tipografia Vaticanastampava e diffondeva per tutti i car-dinali, il Cochin, per riprodurre surame una nuova veduta di Orvieto,senza copiare quindi quelle che giàesistevano, aveva bisogno di un dise-gno dal vero originale, fatto da unartista probabilmente su commissio-ne. Un disegno con una Veduta diOrvieto che ha tutti i caratteri dinovità e di originalità sopradetti, èstato venduto ad una recente asta diSotheby’s a New York: si tratta di undisegno su pergamena, tracciato apenna e inchiostro marrone su pastel-

Lieven Cruyl (attr.) Veduta di Orvieto, inchiostro su pergamena (da Sotheby’s... 2007).

Egnazio Danti, Territorio antico di Orvieto, incisione 1583 (Istituto Geografico Militare, Firenze).

Frontespizio con stemmaGualterio, incisione (daBreve Racconto... 1654).

Cinque ‘Castelli’ dell’Or-vietano, affreschi, metà sec.XVIII (Sala del Consiglio,Palazzo Comunale, Orvieto).

(sopra)VRBSVETUS / ORVIETO,incisione, Parigi 1662.L’immagine è stata compo-sta utilizzando stampedagli otto rami realizzatein epoche differenti.La riproduzione è vietata.

Page 13: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

13

per motivi meno tecnici e più ideolo-gici, è nel messaggio subliminale chei cittadini vivono nel benessere, tra-smesso dalle cornucopie sotto raffigu-rate, sovrabbondanti di grappolid’uva e spighe di grano, quando sap-piamo -e per bocca di un governato-re- che il buon vino è riservato apochi perché gli Orvietani, per averneil denaro, aggiustano mille bevande eche il raccolto [del grano] riesce rarevolte a sufficienza, tanto che a suppli-re alle carenze di pane sono la ghian-da e la castagna, vivendo il popolodella Montagna assolutamente diesse(41).A delineare i tre disegni, poi compo-sti nell’incisione dell’intero riquadroin cui campeggia la rupe orvietana,poteva essere stato lo stesso artistadelle veduta prospettica, oppurepotevano aver concorso uno o piùartisti diversi(42), mentre per incidere ilrame del riquadro centrale non erastato necessario nessun disegno.La mappa territoriale estesa dalTevere al mar Tirreno è infatti unacopia esatta di una precedente inci-sione, quella disegnata e fatta stampa-re da Egnazio Danti nel 1583, e dalui dedicata a Monaldo Monaldeschidella Cervara.Al Danti venne in mente, come lasciaintendere dalla dedica, di riprodurre idisegni utilizzati per le grandi mappeche stava dipingendo in quel periodonella Galleria delle Carte geografichein Vaticano -in particolare quelledell’Etruria e della Tuscia Suburbica-ria (o Patrimonio di S. Pietro)(43)-riducendo in un solo foglio, predi-sposto per l’incisione, quella chechiamò la VRBISVETERIS ANTIQVAE

DITIONIS DESCRIPTIO, dalla stampadella quale sarà tratta anche l’incisio-ne parigina, effettivamente ACCVRATA

-come è aggiunto nel titolo- ma sol-tanto come copia(44).Ai lati della carta del territorio stam-pata nel 1662 sono aggiunte le rap-presentazioni prospettiche di diecicastelli, disegnate ex novo per l’occa-

sione, a completamento della compo-sizione generale.Tutto era talmente immobile nelloStato pontificio dei secoli XVII-XVIII che, quando a metà delSettecento fu deciso di decorare alcu-ne sale del Palazzo comunale, all’ano-nimo pittore incaricato di affrescare ilfregio della Sala consigliare con levedute dei ‘castelli’ dell’Orvietano,sembro del tutto naturale copiaresenza variazioni quelle stampate unsecolo prima(45).

Nella vicenda dei rami parigini,come mostra questo breve stu-

dio, molti sono ancora gli interrogati-vi a cui dare risposta e non solo rela-tivamente alla prima fase, quella pre-

paratoria ed esecutiva che trovò feliceconclusione nella grande incisionecon le rappresentazione orvietane, maanche alla fase successiva di circola-zione delle immagini, che inizia nelmomento in cui i rami giungono aOrvieto (o a Roma?), con una primatiratura delle stampe, e arriva ai nostrigiorni. Per esempio, non è noto dove i ramifurono inizialmente depositati, nédove furono conservati negli anni cheseguirono, mentre è certo che finiro-no in casa Gualterio in un imprecisa-to momento storico, che indicativa-mente si può far risalire indietro neltempo non oltre il primo quarto delXVIII secolo(46).Soltanto nel 1914 i rami ricomparve-ro grazie al marchese Enrico Gualte-rio che li donò al Comune, come an-notò subito il Perali scrivendo: “I seirami originali furono donati ultima-mente al Museo dell’Opera dall’Am-miraglio Enrico Gualterio”(47), anchese la frase contiene due imprecisioni.Intanto il Perali credeva che i ramiincisi per l’intera stampa fossero sei,mentre degli otto erano andati perdu-ti due (ancora mancanti) e precisa-mente quelli dei ‘castelli’ ; inoltre averindicato il Museo dell’Opera qualedestinatario della donazione fu unainesattezza che forse allora potevasembrare a tutti, e al Perali stesso,insignificante -essendo il Comuneproprietario dell’Opera del Duomo edel relativo Museo, peraltro unito aquello Civico-(48) ma che a seguito deipiù recenti stravolgimenti, che hannomutato la natura giuridica dell’Operadel Duomo(49), può essere per i piùfonte di equivoco.In pratica successe che l’Ispettore peiMonumenti e scavi, Carlo Franci -che era stato presidente dell’Operadel Duomo per ben trent’anni, dal1879 al 1908- sollecitò per lettera ilSindaco di Orvieto, Conte VitiComm. Carlo, ad adoperarsi perchéanche Orvieto potesse regificare il suoMuseo(50) e quindi il Consiglio Comu-nale, nella seduta del 21 febbraio1914, deliberò la richiesta al Governodi decretare la regificazione del MuseoCivico di Orvieto, che era in custodiadell’Opera del Duomo, motivandolacon la necessità per la città di “…evi-tare l’ingiusto esodo dei suoi cimeli diantichità per arricchire altri Musei” econsiderando “… che tanto il Gover-no come gli enti locali e i privatihanno depositato e tuttora vannodepositando nel detto Museo oggettid’arte e di antichità d’ogni genere,arricchendo continuamente il patri-monio artistico …”(51).Un estratto della delibera fu inviato aparlamentari che potevano perorarela causa -il deputato Alfredo Fortuna-ti e i senatori Conte Eugenio Faina eConte Enrico Gualterio(52)- e fu inquella circostanza che il Gualterio,ricordandosi dei rami di Orvieto,decise di donarli alla città e il Sindacolo comunicò al Presidente dell’Operadel Duomo:«Sono lieto di parteciparle chel’Onorevole Senatore GualterioMarchese Enrico, con gentile pensie-ro ha stabilito di rimettere fra brevealla S.V. Ill.ma in dono al CivicoMuseo, le tavole in rame delle inci-sioni rappresentanti la città di Or-vieto dedicate al Cardinale FilippoAntonio [sic!] Gualterio nei primi an-ni del 1700 [sic!]L’invio sarà fatto a mezzo del ConteLorenzo Cozza che cortesemente havoluto assumere l’incarico. […]»-(53).Così i sei rami sono rimasti da allorain custodia presso l’Opera del Duo-mo, mentre una stampa completa,evidentemente precedente la donazio-ne, è stata esposta al Museo dell’Ope-

neroso nella Triplice corona, i il Triplice Impero.

ile fu per me il cuore,tare l’invidia del giavellotto nemico.

un tempo rifugio sicuro della Maestà pontificia qui si puòcittà è degna d’esser ammirata per la naturale altezza delletissima struttura del decantato tempio; nonostante i pericoliciata da svariati assalti. Infatti prima fu sconvolta dalle scor-luttuoso flagello che per lungo tempo interessò tutta l’Italia inte dei cittadini sfociò in lotte intestine ed in cambiamentidevastata. Ora la medesima città, sopravvissuta a questiposa nel grembo di una costante Pace, all’ombra del domi-

Angelo Sanvitani orvietano D.D.D. all’eminen-tissimo e reverendissimo principe di SantaRomana Chiesa Carlo, cardinale Gualterio,patrizio orvietano, arcivescovo di Fermo.In questa pagina con i miei mezzi ti offro emi-nentissimo principe la rinnovata Orvieto, che lagloria della stessa città nella tua porpora da moltotempo mostrasti rinnovata. Né è stonato la cittàrappresentata nel cielo francese, avvicinata, pas-sati i secoli, ai Re di Francia, assertori delladignità pontificia ed assertori dell’autorità eccle-siastica ed è anche congruo che la comune Patriarinascente rifiorisca in Francia all’ombra del tuonome, Cardinale illustrissimo, nella cui illustrefamiglia la Francia fu felicemente concorderiguardo le accresciute dignità. Annovero eccel-lenti testimoni fra i tuoi antenati, Sebastiano,sovrintendente del Senato di Viterbo e Gualterio,condottiero di provata virtù, di cui il primo nellalegazione francese presso i sommi Pontefici riscos-se gli elogi dei sovrani Enrico II e Carlo IX; l’al-tro sotto Francesco I cominciò il servizio militarefra gli onorati astati, sotto Enrico II in qualità diPrefetto delle tre centurie prestò un servizio, cosìoperoso e fedele, che quel medesimo generosissimoRe stabilì di donargli un vitalizio militare perpe-tuo per le sue numerose imprese belliche. Altririguarda questa mia carta, che molti nomi rac-chiude nella tua benevolenza, come anche l’ob-bligazione del mio animo sempre offerto a te,affinché tu non disdegni di accoglierla con la tuabenevolenza.Parigi, idi di aprile, 1662.

ANGELO SANVITANI ALL’AMICO LETTOREAnticamente questo fu il patrimonio della cittàdi Orvieto, di cui fu pressoché spogliata, comedelle sue principali risorse. Ma se guardi al di làdelle rovine causate dal tempo e delle vicissitudi-ni della fortuna, riconosci gli antichi castelli,molti i nostri antenati sottomisero ai SommiPontefici, molti furono disputati con il divinoMarte a noi ostile, altri passarono alle popolazio-ni confinanti ad opera di uomini armati. Finoraper tutti i proclami che invitano a pagare i tri-buti al nostro Senato, personalmente direi che èlecito prendersi gioco dell’autorità oziosa, o delpotere mascherato. Quelli tuttavia, che in ognimodo appaiono come i primi veri frammentidella nostra Repubblica qui a lato vengono deli-neati in modo che tu possa ricordarli.

L’Insigne ORVIETO mirichiama dall’alto del cielo/ per governare i NoveCastelli a lei soggetti.

La CITTÀ è forte, eccelsa,religiosa, vigile come ilLEONE, l’AQUILA, la CROCE

che la protegge e l’OCA.

Del CHIANI e del PAGLIA,che vagano per i campidella Tuscia / qui viandan-te vedi le acque congiunte.

Il POZZO della ROCCA, do-ve affiora perennementeacqua sorgiva, costruitocon cinquecento gradoni inmattoni, è predisposto peruna più facile discesa dellebestie da soma. mente quelle precedenti con lo stesso

soggetto (come si era verificato piùvolte dopo la prima disegnata dalloScalza fino all’ultima del Lauro(39)) eperfettamente aggiornata: vi com-paiono infatti edifici costruiti direcente -per esempio, la chiesa delGesù (1637) e quella degli Scalzi(1653)- e sono evidenziati i lavori disistemazione delle ripe nonché le for-tificazioni realizzate durante la guerradi Castro(40).Come in tutte le vedute assonometri-che dell’epoca, anche nella piantaorvietana si notano le deformazionidei rapporti dimensionali degli edifi-ci per migliorare la percezione dellestrade e delle piazze, ma se c’è unarappresentazione falsata della realtà,

Stemma del Comune diOrvieto, silografia 1631.

Copia di lettera di Filidio Marabottini con i testiper la incisione, mss. 1660 (Archivio Opera delDuomo, Orvieto).

Giacomo Lauro, ORVIETO, incisione 1635 (da Historia e Pianta..., 1636).

Cinque ‘Castelli’ dell’Or-vietano, affreschi, metà sec.XVIII (Sala del Consiglio,Palazzo Comunale, Orvieto).

(a fianco)Stemma della famigliaSanvitani, acquerello daInsigna... 1642 ca. (mss.Archivio Opera del Duo-mo, Orvieto).

(a fianco)Ritratto del card. Gual-terio, incisione sec. XVII

Page 14: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

14

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

ra finché è stato aperto al pubblico(54).Anni or sono mi capitò di vedere irami da vicino, quando furono ripu-liti da incrostazioni d’inchiostro e dadannose ossidazioni; ricordo che lelastre erano tutte perfettamente tiratea martello, secondo la più antica tec-nica artigiana, e lucidate sembravanocome nuove, appena uscite dalla cal-cografia di Parigi.Anche le incisioni, salvo alcune partileggermente consunte, erano ancorain buone condizioni, tanto che diver-si Consigli di Amministrazionedell’Opera del Duomo, hanno riuti-lizzato in tempi successivi le lastre pernuove tirature, per regalare o venderele stampe e senza renderne partecipeil Comune.

Alberto Satolli(*)

Note

1. PVTEVS ARCIS aqua perenni fluens, gradibuslateritijs quingentis compactus. tam facili-tatoque descensu ut Sarcinarijs Iumentisaccomodatus existat.

2. AMICO LECTORI ANGELVS SANVITANVS. F. Inantiquo hoc Vrbevetanae Civitatis Patri-monio, que eamdem penè exutam velut suc-cisis nervis Machinam forté respicis, Tem-poris Dominiorum eversoris et fortunaevicissitudines saepius retrocedentis agnosce.Oppidorum, quae cernis, complura Maioresnostri supposuerunt Summis Pontificibus,complura vel Marte nobis infenso diù decer-tata, vel per duellium ope finitimis populiscesserunt. Adhuc super ista, quae quotannisPraeconis voce ad tributa nostro Senatuiexsolvenda excitantur, videre fas est umbra-tilis auctoritatis larvas, an personatae dixe-rim ludibria potestatis. Ea tamen, quaenostrae Reipublicae modò parent, primaevaefragmenta potentiae hic in lateribus delinea-ta respicere ne graveris.

3. VRBEMVETEREM, vulgo ORVIETO, HetruriaeCivitatem, tutum olim Pontificiae Maje-statis perfugium duplici prospectu hic videsnativa rupium inaccessarum celsitudineadmirando situ, antiqua Nobilitate, amploDominatu, et elegantissima decantati Tem-pli structura suspiciendam, quamvis adultisper intervalla temporum malis, jisque acer-vatim ingruentibus longe jmminutam.Gothorum enim inde Longobardorum erup-tionibus squassata, longam, totique Italiae

luctuosam Guelfi, et Gibellini noministabem non evasit, quae privatis Civiumsimultatibus in bella jntestina, et exitialiaconversis, florentissimam Vrbem peneabsumptam reliquit. Nume eadem suisfuneribus adhuc superstes, post avulsa vete-rum aerumnarum semina sub Ecclesiasticaeditionis umbra, in Pacis inconcussae gremioquiescit

4. Emin.mo ac Rev.mo S.R.E. Principi CA-ROLO Cardinali GUALTERIO Patrizio Vrbe-vetano Archiepiscopo Firmano. AngelusSanvitanus Vrbevetanus D.D.D. Renovatam in hac Pagina mea opeUrbemveterem tibi offero (EminentissimePrinceps) qui eiusdem Civitatis Gloriam intua Purpura nuper exhibuisti redivivam.Nec est absonum Gallico Coelo videriexculptam Urbem retroactis saeculis GalliaeRegibus uti Assertoribus Pontificiae Di-gnitatis, et Ecclesiasticae ditionis Propa-gatoribus addictam, et aeque est congruumcommunem Patriam in Gallia renascentemad tui nominis umbram reflorescere (Cardi-nalis Amplissime), jn cuius praeclarae fami-liae decoribus exaggerandis foeliciter Galliaconspiravit. Luculentos habeo e tuis maiori-bus testes, Sebastianum, sacrum Viterbien-sium Antistitem, et Gualterium Ducem pro-batae virbutis, quorum primus GallicaLegatione bis pro summis Pontificibus egre-gie peracta habuit disertos sui LaudatoresHenricum II, et Carolum IX Reges. Altersub Francisco primo inter honorarios hasta-tos militiam auspicatus, Henrico II triumCenturiarum Praefectum operam praebuitadeo sedulam, et fidelem, ut condonari pro-meruerit. Coeterum (quod ad me attinet)Cartam hanc, quae pluribus nominibus jntuum sinum convolat, etiam tamquamsyngrapham animi mei tibi semper obpigno-rati, ea, qua soles benignitate excipere nededigneris. Parisÿs Idibus Aprilis M.D.C. LXII

5. Il motto del Sanvitani è FORTIS IN FIDE e ildistico è il seguente: Hac mihi cor fuitinvicta tam fortior Arce / Quam jaculohostili est savior Invidia; per la blasonaturadello stemma cfr. ORSINI e BETTOJA 2002,n. 127, p. 543.I due distici nello stesso riquadro sono:CONSTANS, cum BRITIO, Romanus PETRUS,IOSEPH / Urbevetanorum dant pia vota DEO

e CLAVARUM, et PALEAE, quae per ora vagan-tur, / Hic coniuratas cerne Viator aquas.Gli altri distici, tutti nel riquadro superio-re, sono: Has reserare Fores, sculpta quascernis jn Urbe, / Clavibus ecce datur nonnisi PETRE tuis e Me Coelo VRBSVETUS Insi-gnis revocavit ab alto; / Ut subiecta sibi Ca-stra Novena regam (sotto le insegne delloStato pontificio); Protegat Hesperiae VETE-

REM Draco nobilis Urbem / Hortos protexitqui prius Hesperidum e Est Urbs, quamLEO, PRAEPES AVIS, CRUX munit et ANSER /Fortis, sublimis, Relligiosa, Vigil (sotto glistemmi); Orbis quem jactas generoso inStemmata Triplex / Orbis portendit TriplicisImperium (sotto il ritratto del Gualterio).

6. PERALI 1919, pp. 24-25 e 27. 7. FUMI s.d. p. 37 e inserto tra le pp. 28-29.8. SATOLLI 1990, p. 28, nota 19.9. SATOLLI 2007, Tav. XIVa, p. 60.

10. Archivio di Stato, Orvieto, (ASO), Libriparrocchiali, Battesimi, 143, c. 7v, n. 59.

11. Cfr. WEBER 1994, pp. 416 e 970.12. Per le notizie autobiografiche vedi ASO,

Notarile, Angelo Sanvitani, 2327, cc. I-IV.Del Sanvitani si conservano atti notarili insei volumi, dal 1668 al 1676.

13. Sul Cartari in generale vedi Zampieri A.,Vita di Carlo Cartari Orvietano detto File-mone Clario, in CRESCIMBENI 1710, pp.131-149 e PETRUCCI, 1977.

14. Cfr. FEBEI (1751), pp. 18-21. 15. Archivio Opera del Duomo, Orvieto

(AODO), Archivio Cartari, 6, c. 118; Vedianche: Ivi, 2, c. 3, dove si rimanda alVolume E XII, car. CXVIII (che forse corri-sponde alla carta precedentemente citata).

16. Sulla Bibliotheca Phoebea e sui libri delCartari in essa conservati cfr. SATOLLI

2007, p. 22, nota 151.17. Una parte dell’Archivio Cartari si trova

nell’Archivio dell’Opera del Duomo inOrvieto ed un’altra è contenuta nell’Ar-chivio Cartari-Febei, conservato all’Archi-vio di Stato di Roma; resta da verificare seoltre ai due manoscritti già nell’ArchivioCartari, oggi conservati in una bibliotecadell’Università di Chicago (cfr. LO PRESTI,nota 5, p.86), ne esistono altri con la stes-sa provenienza.

18. AODO, Archivio Cartari, 12, 13 e 14; lelettere coprono, non completamente, èarco di tempo dal 1665 al 1681. Per unasommaria informazione sul Marabottinistorico, cfr. FEBEI (1751), pp. 52-53.

19. AODO, Archivio Cartari, Lettere delMarabottini dal 1659 al 1655, 12, c. 25.

20. Sulla proposta del Cartari, condivisa dalMarabottini, riguardante il dono de’ Ramirelativo alla Dote Cappelletti, cfr. SATOLLI,1990, p. 57.

21. AODO, Archivio Cartari, Lettere …., 12, c.91.

22. Ibidem, cc. 97r e v., 98r; si deve annotareche la precedente lettera del Marabottini èdatata Orvieto 6.9bre 1660, mentre la pre-sente, che dal contenuto sembra successiva,è datata Orvieto IV. Novembre MDCLX,forse per un errore di riscrittura.

23. SATOLLI 2007, p. 59. 24. Cfr. precedente nota 15.

25. [ARDICCIONE], Breve Racconto …, 1654:su Carlo Gualterio cfr. GALLO 2003.

26. Anche il Fumi ricorda, tra le altre notiziesulla famiglia, che Sebastiano Gualterio fudue volte nunzio in Francia, mentre suofratello Alfonso fu Generale delle Poste perEnrico II e che per lo stesso Re di FranciaGualtiero fu Capitano di una Compagniadi Corazze nobili (FUMI 1870, pp. 53-56).

27. Cfr. Synodi Firmanae … 1662. 28. Cfr. FERRARIO 1843, p. 164. 29. Cfr. MARIETTE 1858-1859, 4, p. 150. 30. PETRUCCI 1980, VII, col. 247. 31. MARIETTE, 1858-1859, 5, pp. 268-9.32. Ibidem, 1, p. 283. 33. Ibidem, 1, p. 176; sulla famiglia ivi, 5, pp.

252-8 e sgg. 34. Cfr. Catalogo Sotheby’s 2007, Lotto 74. 35. Cfr. KRAUTHEIMER 1987, pp. 152-3 e

figg. 74, 98,100 e 102.36. DELL’ARCO e CARANDINI 1978, II, p. 464. 37. JATTA 1992, p. 11. 38 Ibidem, pp. 8 sgg. e schede 2-4 e 107 (pp.

94-5 e 145) e figg. 153 e 155-7 (pp. 327e 329-331). Il Cruyl era ancora a Romanel 1671, raggiungerà anche Napoli e, nel1676, Venezia; tra il 1681 e il 1684 lavo-rò in Francia, tornò quindi a Gand e anco-ra a Parigi nel 1688 (ivi, p. 9). Data lanotevole propensione di Lieven Cruyl aglispostamenti e ai viaggi, non si può esclu-dere che abbia trovato il tempo per venirein Italia anche prima dei suoi trent’anni,per tornare poi a Wetteren nel 1662.

39. La pianta del Lauro era inserita nel fasci-colo Historia, e Pianta della Città di Orvie-to, stampato a Roma nel 1636; una ripro-duzione in fac-simile del fascicolo e tutti iriferimenti alle precedenti piante dellacittà sono in SATOLLI, 2007, Inserto 2 epp. 26-9, con figg. alla Tav. VIIa-d.

40. Sulla sistemazione delle ripe -a seguito delBreve di Urbano VIII del 1626- e sullefortificazioni costruite per la guerra diCastro cfr. SATOLLI, ics.

41. Cfr. Relazione di Orvieto 1631 delGovernatore Enea Vaini, in SATOLLI 2007,Inserto 1, cc. 146v-147r.

42. Un appunto su una carta sciolta dell’Ar-chivio Perali, riferito all’anno 1658, ac-cenna confusamente ai disegni del Tempio,da eseguirsi per il Sanvitani da due pittoriorvietani, Giacomo Pierucci e GianmariaColombi (cfr. SATOLLI 2007, p. 59), maalla notizia non sono seguiti altri riscontri.

43. Cfr. GAMBI e PINELLI 1994, Carte nn. 4 e6; Testi, pp. 201-5 e 212-9 con la riprodu-zione della stampa del Danti conservatanella Biblioteca Apostolica Vaticana (fig.83, p. 215); della stampa tratta dallo stes-so rame, sono note altre due versioni, unaconservata nella Biblioteca Nazionale di

Roma, e pubblicata una prima volta inSATOLLI 1981, fig. 3 p. 38 ed un’altra,dell’Istituto Geografico Militare di Firen-ze, che è stata infine oggetto di un ampiostudio (cfr. MANGLAVITI 2002).

44. Le stampe conosciute del Danti (cfr. notaprecedente) hanno misure leggermente di-verse -a secondo del taglio dei margini- dica. 40x65,5 cm. (ALMAGIA’ 1952, p. 41nota 5; vedi anche MANGLAVITI 2002, p.392) e la stampa parigina analogamentemisura ca. 40x60,5 cm., avendo fatto deri-vare il disegno direttamente da quellodantiano.

45. Oltre ad una bibliografia di riferimento,un confronto tra i castelli della stampa equelli affrescati sta in SATOLLI 1990, figg.9-10, pp. 31-2 e figg. 24-29, p. 38. Unastampa completa degli otto rami che lacompongono è riprodotta in SATOLLI

1999, p. 5. 46. L’indicazione tiene conto di due Inventari

dei beni mobili esistenti nelle diverse resi-denze dei Gualterio, nei quali non sonomenzionati i rami: il primo del 1728redatto a Roma dal notaio Capponi (pub-blicato per quanto concerne quadri e dise-gni in ANTETOMASO 2002) il secondo del1741 redatto a Orvieto dal notaio Fiam-ma, che oltre al palazzo in città riguardaanche la villa del Corgnolo a Porano e ilpalazzo a Todi (ASO, Notarile, FrancescoFiamma, 2752).

47. PERALI, 1919, p. 263. 48. Cfr. PERALI 1922. 49. Cfr. SATOLLI 1975.50. Lettera di Carlo Franci al Sindaco di Or-

vieto del 29 Gennaio 1914 (ASO, ArchivioComunale, b.40, fasc. 4).

51. Ibidem, Verbale di Atto Consiliare n. 408del 21 Febbraio 1914.

52. Ibidem, Lettera del Sindaco di Orvieto del4 Aprile 1914.

53. Ibidem. Lettera del Sindaco di Orvieto alPresidente dell’Opera del Duomo del 26Aprile 1914. Lo stesso giorno il PresidenteFrancesco Orsini scrisse allo scultoreLorenzo Cozza ringraziandolo per le gen-tili premure e facendo presente che atten-deva la sua venuta in Orvieto “… ancheper consigliarci la posa in Museo di dettirami”. Una fotocopia di quella lettera aLorenzo Cozza mi fu mandata molti annifa dal figlio Lucos che, curioso di saperequalcosa sui “rami”, mi chiedeva delucida-zioni in merito; scusandomi per il ritardo,rispondo ora dedicandogli questo studio.

54. Cfr. GARZELLI 1972, p. 10. Due stampeparziali, quelle della veduta e della piantadi Orvieto, sono invece conservate nellaNuova Biblioteca pubblica “L. Fumi”(donazione Tordi).

Bibliografia di riferimento

ALMAGIA Roberto, Monumenta CartograficaVaticana, III, Città del Vaticano 1952.

ANTETOMASO Ebe, a cura di, Documenti Gual-terio, in Testa G., a cura di, MarcantonioFranceschini. I cartoni ritrovati, Milano2002, pp. 279-287.

[ARDICCIONE Alemanne], Breve racconto dellefeste, et allegrezze fatte per la promozionealla Sacrata Porpora Dell’Eminentiss., etReverendiss. Sig. Cardinale Gualterio inOrvieto Sua Patria, compendiosamente rac-colte dal Signore Badone Accedrino PatritioOrvietano, Orvieto 1654.

CRESCIMBENI G. M., Le vite degli Arcadi illustri,Roma 1710.

FAGIOLO DELL’ARCO, GARANDINI S., L’effimerobarocco, Roma 1977, 2 voll.

FEBEI Gio.Battista, Notizie di scrittori orvietani(1751), a cura di L. Fumi, Estr. da “Ar-

chivio Storico per le Marche e l’Umbria”,a. III., fase. XI-XII, 1896.

FERRARIO G., Manuale del raccoglitore e del ne-goziante di stampe, Milano 1843.

FUMI Luigi, Degli orvietani illustri ascritti al-l’Ordine Equestre di S. Stefano, Pisa 1870.

IDEM, Orvieto, Bergamo, s.d.GALLO V., Gualterio Carlo (s.v.) in Dizionario

Biografico degli Italiani, (DBI) Roma2003, 60 pp. 200-201.

GAMBI L. e PINELLI A., La Galleria delle Cartegeografiche in Vaticano, Modena 1994, 3 voll.

GARZELLI Annarosa, Orvieto, Museo dell’Operadel Duomo, Bologna 1972.

JATTA Barbara, Lieven Cruyl e la sua opera gra-fica. Un artista fiammingo nell’Italia delSeicento, Bruxelles - Roma, 1992.

KRAUTHEIMER Richard, Roma di AlessandroVII, 1655-1667, Roma 1987.

LO PRESTI Aldo, Rosa Agnese Bruni, la «Reginadelle Poetesse», in Miscellanea Orvietana,

Private presse (2007), pp. 81-90. MANGLAVITI Silvio, VRBISVETERIS ANTIQUAE

DITIONIS DESCRIPTIO. La prima rappresen-tazione cartografica a stampa del territorioorvietano nell’anno giubilare 1583, in ‘Bol-lettino Istituto Storico Artistico Orvie-tano’, L-LVII, 2002, pp. 375-431.

MARIETTE Pierre Jean, Abécedario … sur les Artset les Artistes, Paris 1858-1859 6 voll.

ORSINI F. e BETTOJA M., Lo stemmario Cartaridell’Archivio dell’Opera del Duomo di Or-vieto, in Boll. ISAO (cit.) pp. 501-553,Tavv. LVII-LXXXI.

PERALI Pericle, Orvieto. Orvieto 1919.IDEM, Memoria sull’attuale stato giuridico e pa-

trimoniale dell’Opera del Duomo e sulladoverosa restituzione integrale della sua am-ministrazione e del suo patrimonio al Co-mune orvietano, Orvieto 1922.

PETRUCCI A., Cartari Carlo (s.v.), in DBI, 20,Roma 1977, pp. 783-786.

PETRUCCI C. Alberto, Incisione (s.v.), in Enci-clopedia Universale dell’Arte, Novara 1980,VII, coll. 227-255.

SATOLLI Alberto, Il duomo a una dimensione.Memoria sullo stato giuridico dell’Opera delDuomo di Orvieto, Viterbo 1975.

IDEM, Fortuna e sfortune della ceramica medioe-vale orvietana, in Ceramiche medioevalidell’Umbria, Firenze 1981, pp. 34-78.

IDEM, Orvieto antica nell’immaginario erudito eromantico, in ‘quaderni dell’istituto stataled’arte di orvieto’, 3/4 1990, pp. 25-115.

IDEM, Orvieto. Nuova guida illustrata, Città diCastello 1999.

IDEM, Orvieto & il suo doppio, Grotte di Castro2007.

IDEM, Orvieto: una città a forma di rupe, i.c.s. Synodi Firmanae, Provincialis sub Illustrissimo

et Reverendissimo D. Sigismundo Zanet-tino; et Diocesana sub Eminentissimo, etReverendissimo D. Carolo Card. Gualterio

Archiepiscopis, et Principibus Firmanis,Fermo 1662.

Sotheby’s , Catalogo d’asta. Otto Naumann LtdGallery Sale, New York, 25 gennaio 2007,New York 2007.

WEBER Christoph, a cura di, Legati e Gover-natori dello Stato Pontificio, Roma, 1994.

(*) L’autore ringrazia Roberta Fraternali per letraduzioni in scorrevole italiano delle iscrizionilatine presenti sulla stampa; Mario Tedeschiniper avergli fornito informazioni preziose per laricerca degli autori dell’incisione; l’Opera delDuomo di Orvieto e l’Istituto Geografico Mili-tare di Firenze per la concessione gratuita deidiritti a pubblicare, rispettivamente, i documen-ti d’archivio e la stampa di Egnazio Danti (dallafoto gentilmente fornita da Silvio Manglaviti). Idocumenti dell’Archivio di Stato di Orvieto sonopubblicati con autorizzazione del MinisteroBCA, concessione n.43/2007.

Fondata nel 1997 daMario Tedeschini, èsituata nel centrostorico di Orvieto inlocali elegantementearredati con librerie escrivanie d’epoca.Dispone di unavariegata scelta di libriantichi e rari,manoscritti, stampe,libri di pregio moderni.

Libreria Antiquaria

BADUELBADUELVia Ascanio Vitozzi, 7/7a - 05018 ORVIETO (TR)

Tel./Fax 0763.342046

www.baduel.it - [email protected]

Page 15: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

15

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Le estese rovine della città romanadi Ostia Antica, immerse in un

bel parco di pini e cipressi, meritanod’esser visitate, anche se di solitorimangono sconosciute alla maggiorparte dei turisti (e non solo).Gli scavi danno la possibilità diavere un’idea di quella che fu l’archi-tettura domestica e commerciale,prevalente nel periodo imperialecompreso tra la fine del I e tutto il IIsecolo d. C. Il sito archeologico diOstia, come le antiche città diPompei e di Ercolano, è senza dub-bio importante per lo studio dellavita di una città romana tipo.La città di Ostia Antica deriva il suotoponimo da ostium, in altre parolebocca, in questo caso s’intende cittàche sorge sulla foce del fiume, ilTevere. Anticamente il fiume scorre-va all’interno della città, in un canalea Nord, dove oggi è collocato ilFiume Morto, secco, in seguito allagrande inondazione del 1557.Secondo la leggenda, Ostia fu fonda-ta da Anco Marzio, il quarto re diRoma, per sorvegliare la foce delfiume Tevere, a protezione strategicadella stessa Roma. I resti recuperatinon sono, comunque, anteriori al IVsec. a. C. e la città, che era probabil-mente la prima colonia di Roma,potrebbe essere stata fondata intornoal 335 a. C. Fin dalle origini fu unacittà fortificata e le mura della primafondazione sono ancora in parteconservate; in seguito essa divenneun gran sito commerciale (Urbs),sempre fortificato. La prima fabbricadella città fu quella del sale, estrattodalle paludi circostanti, fu una fontedi guadagno delle più redditizie; poi,vicino all’area urbana si sviluppò ilporto commerciale che dipese diret-tamente da Roma e che, all’indoma-ni della Prima Guerra Punica (268 a.C.), divenne anche base navale. Il collegamento tra il porto e la capi-tale era la Via Ostiensis, che conti-nuò ad essere la via di comunicazio-ne principale per i commerci diRoma via mare, fino a quando nonfu realizzata la Via Portuensis, chedivenne una delle strade più traffica-te del mondo antico.Il commercio, passando attraversoOstia, fu vitale per la prosperità e

per la stessa esistenza di Roma. Unadelle sue più importanti funzioni eral’organizzazione dell’Annona, perl’approvvigionamento del grano allaCapitale. A capo dell’Annona c’eraoriginariamente il Qaestor Ostiensis,che aveva la sua sede ad Ostia; dal44 a. C. il Quaestor fu sostituito daiProcuratores Annonae, che facevanoriferimento al Praefectus Annonae diRoma. Una sorta di associazioneconfederata di procuratori si occupa-va sia degli aspetti commerciali sia diquelli industriali per monitorare ilfabbisogno del territorio. Numerosefurono le iscrizioni rinvenute inpiazzale delle Corporazioni (scavi diOstia), che si riferiscono proprio aqueste associazioni. Il centro subì untemporaneo dissesto economicoquando, nel 87 a. C., fu saccheggia-to da Mario, ma, subito dopo, Sillaricostruì la nuova cinta muraria.

La città crebbe grazie all’importanzadel centro portuale, che fu ingrandi-to notevolmente a partire dal I sec.d. C. Per volere dell’autorità impe-riale, si avviò la costruzione di unaltro porto. Augusto progettò ilnuovo Portus Augusti, Claudio eNerone lo edificarono nella zona aNord Ovest di Ostia ed in seguitoTraiano lo allargò. Per lungo tempoOstia rimase il centro di una vastaorganizzazione per l’approvvigiona-mento di viveri per la Capitale edaggiunse ai suoi templi ed ufficipubblici anche le tabernae e le case,ricevendo uno speciale riconosci-mento da parte degli imperatori.La decadenza di Ostia iniziò altempo di Costantino, pur avendol’Imperatore favorito il Porto. I titoliconferiti dall’Imperatore al nuovoporto marittimo devono aver parti-colarmente irritato gli abitanti diOstia, fin dal IV secolo divenuta unacittà residenziale e non esclusiva-mente un porto commerciale.Malgrado le difficoltà dei cambia-menti in corso, il centro marittimomantenne il suo prestigio per i con-tatti con il mondo, infatti spesso fusfruttato dalle personalità di rangoelevato per gli spostamenti all’estero.Nel 387 d. C., Sant’Agostino stavaper imbarcarsi al porto di Ostia perl’Africa, con sua madre, SantaMonica, quando improvvisamente

ella si ammalò e morì in un ricoverodella città. Nei secoli successivi, ildeclino di Ostia fu accelerato dallaperdita del traffico commerciale edall’improvvisa e dilagante epidemiadi malaria. Le sue strade e i suoitempli furono mandati in rovina esaccheggiati. Colonne, sarcofagi estatue furono trafugati e rinvenuti interritori lontani come quelli di Pisa,Amalfi, Orvieto e Salerno. Un tenta-tivo di rinascita fu incoraggiato daGregorio IV, quando fondò ilmoderno centro cittadino. Nel1756, la città raggiunse il massimodella sua prosperità, con una crescitademografica che raggiunse i circa80.000 rispetto ai precedenti 156abitanti; mezzo secolo dopo però, sipotevano ritrovare solo alcuni prigio-nieri dello Stato Pontificio. AugustoHare scrive, nel 1878, che ad Ostia,in quel periodo, era presente “unasola abitazione che rompeva la profon-da solitudine”. I primi scavi archeologici furonointrapresi in una piccola area all’ini-zio del XIX secolo, durante il ponti-ficato di Pio VII. Un successivointervento archeologico fu stabilitonel 1854 sotto Pio IX, ma gli scavisistematici non iniziarono prima del1907. Tali saggi continuarono conalcune interruzioni. Il lavoro prose-guì tra il 1938 e il 1942 e fu condot-to da Guido Calza, seguito da suoicollaboratori, che portarono alla lucemolti monumenti di grande interes-se. L’area scavata raddoppiò e rag-giunse l’estensione di circa 33 ettari,che corrisponde alla metà di tuttal’area della città alla sua maggioreestensione. L’esito della ricerca archeologica per-mette di conoscere la varietà delletipologie abitative appartenente alleclassi media e bassa della societàromana. L’architettura domesticad’Ostia non differisce radicalmenteda quella della Capitale. Gli esempiostiensi rinvenuti, appartenenti alceto meno abbiente, risulterebberopresenti nella stessa epoca anche inmolte abitazioni della città di Roma.Le residenze private della media ebassa classe sociale, inserite all’inter-no di “isolati”, ossia le così detteinsulae, hanno rappresentato un

acuto contrasto alle tipiche domuspompeiane, con il loro atrio e peri-stilio, poche finestre e provviste solodi un piano terra. Esse sono presentiad Ostia solo in pochissimi casi.La comune e tipica residenza ostien-se, l’insula, ha quattro piani d’eleva-zione e raggiunge 15 metri d’altezza,il massimo permesso dalla legge diRoma. E’ costruita in laterizi, per lopiù non coperti di stucco, se non inpiccole parti con intento decorativo.Molto spesso sono anche usati deilaterizi di colore differente. Le ported’ingresso hanno dei pilastri o sonosostenute da colonne che sorreggonol’architrave. Ci sono numerosecamere, ognuna con la propria fine-stra. Le volte delle finestre spessosono dipinte con color rosso vermi-glio e al posto del vetro i materialiutilizzati per gli infissi sono la micae/o la selenite. La visione di pro-spetto di questo tipo d’abitazione èdi tre tipi: ambienti con finestre suogni piano, piano terra con solaiovoltato adibito ad uso commerciale(tabernae) ed ambienti abitativi aipiani superiori, piano terra connegozi aperti lungo la strada edambienti abitativi ai piani superiori.Molte case hanno balconi che pre-sentano le più varie peculiarità. Leinsulae contengono numerosi appar-tamenti o gruppi di stanze progetta-te in altezza e non in estensione ter-ritoriale (come le tipiche domus);attraverso una scalinata interna sipossono quindi raggiungere tutti gliambienti fino ai piani superiori. Alloro interno, le insulae possono dif-ferire in due tipologie principali:alcune hanno un’assoluta semplicitàdi esecuzione, altre sono un po’ piùcomplesse, perché realizzate con unparticolare in più, un cortile interno,sul quale si affacciano i vari “appar-tamenti”. La domus, così poco diffu-sa ad Ostia e costruita per le perso-nalità più abbienti, normalmente sisviluppa su un unico piano e per lopiù si realizza nel periodo compresotra il III e il IV sec. d. C. Tale abita-zione è arricchita da absidi, ninfei epavimenti musivi, mentre le stanzespesso hanno colonne e loggiati.

Rosangela De Acutis

La Pompei lazialeGli scavi di Ostia Antica

Page 16: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

16

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

CARDETOVINI DI ORVIETO

Il vino bianco di Orvieto ha origini antichissime: veniva infatti giàprodotto dagli Etruschi che avevano scavato cantine nel massiccio tufa-ceo tipico di quella zona e qui lasciavano a fermentare il loro vino perparecchi mesi, ottenendo un aroma dal residuo zuccherino che lo ren-deva particolare. Ne veniva praticato il commercio sia via terra cheattraverso i fiumi Paglia e Tevere. Da Etruschi e Romani fu esportatosin nelle Gallie. Più tardi venne prodotto nei terreni pontifici e fu pro-tetto dalla Chiesa che se lo garantiva per le messe (Paolo III Farnese neera particolarmente ghiotto).

L’ “Orvieto” fu lodato da poeti, artisti e uomini insigni, tra cui ilPinturicchio, il quale, chiamato a dipingere in Orvieto, pretese percontratto che gli fornissero “tanto vino quanto fosse riuscito a berne”.I maestri che lavoravano nella cava di Monte Piso per strarre e sbozza-re la pietra da impiegare nella costruzione del Duomo di Orvieto,acquistavano periodicamente delle quantità di vino negli anni tra il1347 ed il 1349. Ancora memorabili restano i “rumori” sollevati adOrvieto ed in altre città dalle maestranze per avere il vino gratis. Gliorari di lavoro prevedevano delle soste a metà mattina ed a metà pome-riggio per le bevute di “mistu”, forse acqua e vino.

La stessa Opera del Duomo lo elargiva nelle grandi occasioni, comeil compimento dei lavori importanti o per richiesta del capo maestro,come documentano i contratti di lavoro dell’epoca. Per esempio, inquello stipulato da Luca Signorelli nel 1500 per la realizzazione degliaffreschi, si richiede espressamente che l’Opera consegni all’autore ognianno 12 “some” di vino (circa 1000 litri).

È un vino apprezzato dai grandi conoscitori, come Philip Dallas,autore di un bel libro sui vini d’Italia (“Orvieto’s wine is, like Frascati,Chianti, ecc., one of Italy’s best known wines abroad ... it is the ideal

wine to share while initiating a young lady in to bacchic delights”) oAlexis Lichine, grande esperto francese di vini (“vin blanc délicieuxd’Italie. C’est un de ceux dont la qualité est la plus constante”).

L’ “Orvieto” è ottenuto dalla vinificazione di diverse varietà di uvedi origini antichissime e selezionate nel corso dei secoli: il Procanico,il Verdello, la Malvasia, il Grechetto, e il Drupeggio. AncheChardonnay e Sauvignon inseriti con l’ultima modifica del discipli-nare.

Oggi predomina la versione secco, ma continua la tradizione dellaproduzione di Orvieto Abboccato, Amabile e Dolce. Esiste una versio-ne derivata da uve sovramature attaccate da Muffa Nobile, BotrytisCinerea, che conferisce al vino caratteri unici di concentrazione ed ele-ganza.

Nelle mattinate d’autunno, generalmente, si forma una fitta nebbiache favorisce lo sviluppo su grappoli di questa muffa particolare che sinutre dell’acqua contenuta nella polpa degli acini e che dilata i poridella buccia senza romperla, provocando così l’evaporazione quando igrappoli si riscaldano ai raggi del sole. I mosti che si ottengono sonoquindi molto zuccherini, ricchi di glicerina, che conferisce al vino unaparticolare untuosità, con concentrazione di tutti i componenti aro-matici.

La raccolta di queste uve avviene con molto ritardo ed è eseguita inpiù tempi successivi, al fine di ottenere il completo verificarsi del feno-meno. Circa la metà del raccolto va a scomparire sotto forma di acquaevaporata, ma la qualità vuole i suoi sacrifici.

Questo straordinario processo si verifica solamente in rare zone incui le condizioni climatiche lo consentano: nel Sauternes in Francia,nel Tokai in Ungheria, nella Valle del Reno in Germania enell’Orvietano in Italia. In proposito esiste una vasta letteratura.

I VINI CARDETO NEL TEMPO

I NOSTRI PUNTI VENDITA DIRETTI

ORVIETO SCALO - Via A. Costanzi, 51 - tel. 0763.300594

TERNI - Via S. Valentino, 176 - tel. 0744.286632

ROMA - Via Torrespaccata, 127 - tel. 06.2677192

CITTÀ DI CASTELLO - Via Roma, 1 - tel. 075.8550631

Page 17: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

17

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Negli ultimi mesi, la riapertura delMuseo dell’Opera del Duomo al

piano nobile del Palazzo Papale ed ilrecente progetto di ricollocazione dellestatue degli Apostoli (attualmenteesposte all’interno del complessomonumentale dell’ex chiesa diSant’Agostino) nella loro posizione ori-ginaria a ridosso dei pilastri della nava-ta centrale, hanno ridato linfa allericerche sulla monumentale impresadecorativa cinquecentesca del Duomodi Orvieto, da molti giudicata un’e-spressione paradigmatica dell’arte delperiodo tridentino1.Da quando, alle soglie degli anni ’80,Alberto Satolli ne auspicò “una rico-struzione filologica storica e critica”2,notevoli passi in avanti sono stati fattigrazie alle argute delucidazioni avanza-te da Claudio Strinati3 ed alle fruttuosericerche di Marietta Cambareri, laquale ha indirizzato i suoi studi preva-lentemente verso l’analisi dellesculture4, senza tuttavia tralasciare ilciclo pittorico cristologico5 già esami-nato dallo stesso Satolli6, da RosamondE. Mack7 e, recentemente, da RodhaEitel- Porter8.Purtroppo l’aspetto cinquecentesco delDuomo di Orvieto è stato cancellatodai restauri voluti alla fine del XIXsecolo dalla Commissione provincialedi belle arti9, con l’intento di restituirealla Cattedrale il suo presunto origina-rio aspetto medioevale, nel nome diuna maggiore regolarità ed armonia dilinee, in accordo con la purezza e sere-nità dello stile quattrocentesco.Tali lavori causarono la perdita dellecappelle in stucco e degli affreschi dellenavate laterali eseguiti nel terzo quartodel secolo da alcuni fra i maggiori arti-sti attivi all’epoca nel panorama roma-no (Taddeo e Federico Zuccari,Niccolò Circignani, GirolamoMuziano, Cesare Nebbia, ArrigoFiammingo).A memoria di questa grandiosa impre-sa decorativa rimangono le pale d’alta-re delle cappelle laterali e le statue degliApostoli che dominavano la navatacentrale.Per ricostruire la struttura delle singolecappelle, la fattura degli ornamenti e ladisposizione degli affreschi e delle pale,sono di fondamentale importanza lelastre scattate dal fotografo orvietanoLuigi Armoni poco tempo prima chele demolizioni fossero avviate10.Tuttavia, nonostante la buona qualitàdelle foto (relativamente al periodo incui furono eseguite) non è possibiledistinguere i dettagli delle parti affre-scate11. Un aiuto decisivo ai fini di unapiù precisa ricostruzione dell’interocomplesso pittorico ci viene dato dadue testi compilati rispettivamente nelXVIII e nel XIX secolo: il primo èl’Esatta descrizione del celebre duomo osia Chiesa Cattedrale di Orvieto eFacciata di essa (1704) del conteCurzio Girolamo Clementini12; ilsecondo è la Guida al Forestiere perminutamente vedere, ed essere piena-mente informato della Città, ChiesaCattedrale, Facciata ed altre particolari-tà di Orvieto (1828) del sacerdoteorvietano Gaetano Majoli13. Nelle navate laterali furono erette diecicappelle con altrettante pale d’altare(oggi conservate nel Museo dell’Operadel Duomo) rappresentanti scene dellaVita di Cristo: a sinistra i Miracoli (leNozze di Canaa, la Resurrezione delfiglio della vedova di Naim, la ProbaticaPiscina, la Resurrezione di Lazzaro, laGuarigione del cieco nato); a destra la

Passione (la Crocefissione, la Veronica,l’Incoronazione di spine, laFlagellazione, la Cattura di Cristo). Perseguire la successione cronologica degliepisodi rappresentati nelle pale, gliosservatori devoti, partendo dall’ingres-so, dovevano percorrere la navata sini-stra in direzione dell’abside, per poitornare indietro verso l’ingresso e risali-re la navata destra. Gli altari con colonne scanalate in stilecorinzio, che sostenevano architravicoronati da timpani curvilinei, incorni-ciavano pale rettangolari, mentre quellicon colonne lisce di ordine dorico,avevano un timpano triangolare e lepale d’altare centinate, ottenendo cosìcontrasti e corrispondenze tra elementicurvilinei e spezzati (presenti anchenegli ovali alternati ad ottagoni allasommità delle nicchie). L’impianto diogni cappella era costituito da una nic-chia molto alta, coperta a calotta, conun altare a edicola. Nelle calotte diogni nicchia vi erano tre affreschi:quello centrale aveva una cornice circo-lare o ottagonale, ed era affiancato dadue ovali o ottagoni allungati. Nellepareti laterali curve c’erano singolefigure di Santi che avevano, sopra esotto, piccoli affreschi rettangolari,nella maggior parte dei casi raffiguranti

episodi legati agli stessi Santi. Sotto lacalotta, da entrambi i lati del frontoneche sormontava la pala d’altare, c’eranopiccoli affreschi rettangolari. Infine, sulmuro fiancheggiante l’arcata della cap-pella, si alternavano coppie di Profeti eSibille. Tutta l’opera era in ogni modounificata dal cornicione sostenuto damensoloni che percorreva tutto il peri-metro, e dalle decorazioni con masche-roni, frutti, fiori, putti, candelabre,progettate da Girolamo Muziano,Raffaello da Montelupo e IppolitoScalza.L’impresa fu avviata negli anni imme-diatamente successivi al decreto delConcilio di Trento sul “SantissimoSacramento dell’Eucarestia”, emanatonel corso della XIII sessione dell’11ottobre 1551. Tale coincidenza, inun’epoca che vide una grande intensifi-cazione della devozione eucaristica,sembrerebbe collegare lo stessoDecreto (che ribadiva la centralità delsacrificio di Cristo, del dogma dellatransustanziazione e del culto per lafestività del Corpus Domini), la città diOrvieto (tradizionalmente devota alSantissimo Corporale del Miracolo diBolsena, custodito all’interno dellaCattedrale) e le pale d’altare (in cui lafigura del Redentore appare in posizio-

ne dominante e protagonistica). Ma in quel periodo travagliato, aTrento, si stavano dibattendo anche lequestioni relative all’arte sacra, il cuiesito finale fu il decreto De invocatione,veneratione, et reliquiis sanctorum etsacris imaginibus, emanato il 4 dicem-bre 1563 nel corso dell’ultima sessioneconciliare. Tale decreto poneva l’accen-to su un’arte dal valore morale e didat-tico, eseguita sotto il rigido controllodelle autorità ecclesiastiche, e cherispettasse i criteri di decoro, chiarezzae semplicità dei concetti rappresentati,demandando ai vescovi il compito divigilare sull’ortodossia delle pitturesacre eseguite per le chiese delle lorodiocesi.Secondo i più recenti indirizzi storico-artistici, l’analisi del nesso Arte-Controriforma impone uno studioincentrato sulle singole diocesi o par-rocchie, partendo dalla necessaria seg-mentazione dell’era controriformisticain periodi differenti e valutando conattenzione le molteplici identità cultu-rali e le sfaccettature interne all’univer-so cattolico. Solo in questo modopotranno essere colte le ambiguità,contraddizioni e molteplicità di unperiodo storico che, troppo semplicisti-camente, è stato definito “Riforma cat-

tolica” o “Controriforma”14.La necessità di impostare lo studio del-l’influenza della vita religiosa sullemanifestazioni artistiche secondo pro-cedimenti sempre più analitici, evitan-do il ricorso a “categorie generali”, per-metterà di stabilire se, ed in che modo,i precetti tridentini possono averinfluenzato gli artisti attivi nella citta-dina umbra (e, naturalmente, i lorocommittenti) per le raffigurazioni delciclo cristologico delle navate laterali,definite da Claudio Strinati “l’unicotesto figurativo omogeneo in cui tocca-re con mano il passaggio dalla faseimmediatamente precedente a quellaimmediatamente seguente i decreti delConcilio di Trento”15.In generale, il decreto tridentino sulleimmagini sacre ed i numerosi trattatiad esso conseguenti richiedevano agliartisti il rispetto di tre presupposti basi-lari: 1) comprensibilità, chiarezza esemplicità; 2) realismo ed aderenza alleSacre Scritture; 3) coinvolgimentoemotivo alla devozione.Il realismo a cui alludevano personaggicome il Gilio16 o il Paleotti17 sollecitavai pittori a raffigurare scene prive di dis-simulazioni, lontane dalle idealizzazio-ni rinascimentali.Insistendo sui concetti di “decoro” e

“convenienza”, i “Moralisti” cattolicirecuperarono l’accezione leonardesca diverosimiglianza, ovvero la corrispon-denza del carattere di ciascun Santoalle sue caratteristiche esteriori (età,sesso, espressioni, gesti, abiti) desuntedalle fonti sacre ufficiali. Inoltre,preoccupandosi che non venisserodipinte immagini lascive o falsificatricidella verità storica, questi prelati cerca-rono di insegnare a pittori, scultori edarchitetti i misteri della religione catto-lica, al fine di evitare errori nell’esecu-zione di immagini religiose che avreb-bero distolto il popolo dai veri precettidella Fede cristiana.Nella seconda metà del Cinquecento lamaggior parte degli artisti praticaronouno stile formalistico, anticlassico eantinaturalistico, che noi ora chiamia-mo manierismo. Questa nuova arte eracaratterizzata dall’uso di formule ste-reotipate, da virtuosismi e composizio-ni intellettualistiche. Inoltre, complica-te combinazioni di spazio e di colore siaccompagnavano ad ambiguità nellarappresentazione fisica e psichica deisoggetti. Un chiaro esempio di questapittura sono gli affreschi della cappellaMattei in Santa Maria dellaConsolazione a Roma, che TaddeoZuccari completò intorno al 155618.

Tuttavia, già negli anni immediata-mente precedenti alla metà del secolo,venne compiuto il passaggio verso unapittura che Claudio Strinati definì“riformata”, basata “sul principio chel’arte figurativa potesse e dovesse essereconsiderata quale equivalente del dis-corso verbale e letterario, per articolarsiin modo analogo, su livelli cioè altimedi e umili. […] Urgeva l’esigenza difare nuovamente della pittura un mutolinguaggio abbandonando gli eccessidel passato e ricercando quindi unostile nuovo, magari meno colto diquello di un Taddeo Zuccari, ma piùadatto a piegarsi ad esigenze comunica-tive”19. Questa nuova concezione diarte sacra venne inaugurata daGirolamo Muziano, il quale la portòad Orvieto, influenzando fortemente ipittori che lo seguirono nei lavori delDuomo. Il miracolismo cristocentricodel pittore bresciano innestava la rifor-ma della pala d’altare di Raffaello eSebastiano del Piombo sulla sua cultu-ra figurativa lombardo- veneta caratte-rizzata dall’attenzione minuziosa rivol-ta agli elementi paesaggistici trattaticon grande sensibilità coloristica.A Orvieto si tentò di realizzare unaplausibile congiunzione tra valori uma-nistici e Riforma cattolica. Il risultato

fu un’arte che, assimilati i criteri diconvenienza e decoro, derivava dallascena teatrale delle SacreRappresentazioni, con l’inserimento“populista” della folla in movimento(un elemento figurativo di recenteintroduzione) nell’ambito del revivalclassicistico del Cinquecento. Unesempio paradigmatico di questamaniera “univoca e solenne” è laResurrezione del figlio della vedova diNaim di Federico Zuccari, caratterizza-ta dal raggruppamento della folla rac-colta intorno al Cristo in primo pianoe dall’architettura classica che uniscetutti gli elementi.A Orvieto i lavori per la Cattedralefurono commissionati dall’Opera delDuomo, un’istituzione laica che agivaindipendentemente dalle ingerenzedella classe ecclesiastica locale.Contrariamente a ciò che accadeva intutta la Penisola negli anni dellaControriforma, le decisioni in meritoalla Cattedrale non erano prese daivescovi né dai membri del Capitolo,ma furono sempre frutto di iniziativecollettive e laiche. Il cardinaleGirolamo Simoncelli, pronipote diGiulio III Del Monte e vescovo diOrvieto dal 1554 al 1605 (con un’in-terruzione fra il 1562 ed il 1570,

quando cedette l’incarico episcopale aSebastiano Vanzi) era rispettato e con-sultato durante le discussioni per stabi-lire se intervenire o meno con lavorisul Duomo, ma alla fine prevalevasempre la pronuncia del Numero20.Il Duomo era la manifestazione mate-riale della religiosità popolare, consa-crato al culto quotidiano ed espressio-ne continua e perenne della fede vivadella comunità. L’organizzazione laicadel Consiglio dell’Opera permise diportare avanti tale proposito anchenegli anni della Controriforma, quan-do la facoltà decisionale degli ecclesia-stici in merito alle immagini sacre daintrodurre negli edifici di culto eradivenuta una prerogativa richiestaesplicitamente dal decreto del 4 dicem-bre 1563. Ad Orvieto gli artisti aveva-no una certa libertà di esecuzionerispetto alle consuetudini dell’epoca;inoltre, i fabbriceri si rivolgevano adessi sia per i consigli tecnici che perricevere suggerimenti sui maestri fore-stieri che avrebbero potuto contribuiread aumentare il prestigio della città eda migliorarne l’attività artistica. Ciònon esclude il fatto che periodicamen-te si ricorresse alle indicazioni di alcunicolti teologi, consultati se continuare omeno con la rappresentazione delle

Le normative tridentine e la rappresentazione dellascena sacra ad Orvieto negli anni della Controriforma

M.O.D.O. - Cesare Nebbia, Crocifissione M.O.D.O. - Cesare Nebbia, Incoronazione di spine M.O.D.O. - Cesare Nebbia, Le nozze di Cana M.O.D.O. - Nicolò Circignani, La probatica piscina

Page 18: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

18

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

scene cristologiche che erano stateavviate, come, ad esempio, accadde nel1561: “quod d. Cam. et Superstiteshabita informatione a Theologis et aliispersonis ecclesiasticis de miraculis D. N.J. Xpi habeant auctoritatem pingi facereilla miracula, que erant continua inhistoria et vita D. N. J. Xpi, et sequaturordo miraculorum jam incohatus”21. Inbase ai documenti finora analizzati, ilvescovo Simoncelli, nonostante fosseinterpellato in merito ai lavori diristrutturazione del Duomo, interven-ne direttamente solo per raccomandarelo stuccatore fiorentino FerranteFancelli22, mentre la sua presenza siavvertì maggiormente alla fine delsecolo. Tuttavia, ciò non esclude unsuo coinvolgimento più frequente,ancora da verificare attraverso ulterioriricerche d’archivio.Gli artisti venivano scelti in base allaloro fama ed alla qualità della loro abi-lità tecnica. Per questo motivo nel1558 fu richiesto che “per fare la tavoladella cappella, quale si deve fare di pit-tura, si debbia cercar d’havere il piùeccellente maestro che si possa havere”23, enel 1565 si tentò di chiamare aOrvieto Vasari, Bronzino o Daniele daVolterra24, i quali, tuttavia, ritenneropoco conveniente spostarsi nella “peri-ferica” cittadina umbra. In generale, i contratti stipulati tral’Opera e gli artisti stabilivano: 1) isoggetti che dovevano essere dipinti; 2)le modalità ed i tempi di pagamentoda parte dei committenti ed i terminientro i quali il pittore doveva effettuarela consegna; 3) l’impegno, da partedell’artista, ad utilizzare tutti i colori asue spese, fatta eccezione dell’azzurroultramarino che, notoriamente, dopol’oro e l’argento era il più costoso e dipiù difficile impiego. La previa esecu-zione di un cartone venne richiestasolamente in occasione della primacommissione affidata a GirolamoMuziano25, mentre non si hanno noti-zie di pale d’altare rifiutate, né dirichieste di rifacimento26. Appare ormai certo che inizialmentenon fosse chiara nella mente dei com-mittenti l’idea di costruire un unicogigantesco ciclo sacro in sé organico.Tuttavia, l’idea di avviare una decora-zione pittorica dedicata alla Vita diCristo non può essere stata casuale,soprattutto se eseguita all’interno delDuomo di Orvieto, dove era custoditala Reliquia del Santissimo Corporaledella Messa di Bolsena. Da qui, l’11agosto 1264, Urbano IV aveva emana-to la bolla Transiturus de Mundo, conla quale il Pontefice stabiliva che ognianno dovesse essere celebrata la festadel Corpus Domini27. La straordinariadevozione riservata dalla popolazioneorvietana all’Eucarestia ed al sacrificiodi Cristo si era andata così ad affianca-re a quella tradizionale nei confrontidella Vergine (alla quale era dedicata laCattedrale) e degli Apostoli, ormai dasecoli saldamente radicata nella menta-lità popolare. Anche lo spostamentodell’antico Coro marmoreo medievaledalla navata centrale alla tribuna pro-mosso da Paolo III (che rese più visibilie accessibili alla comunità dei fedelil’altare maggiore, la celebrazione dellaMessa e il Santissimo Sacramento)ebbe lo scopo di avvicinare maggior-mente i fedeli al culto ed alla praticafrequente dell’Eucarestia. L’emanazionedel decreto sul “Santissimo Sacramentodell’Eucarestia” dell’11 ottobre 1551contribuì a diffondere la venerazionenei confronti del Corpo di Cristo(richiamandosi alla bolla di UrbanoIV) e del dogma della transustanziazio-ne. Tuttavia, appare impossibile stabilireun legame di diretta filiazione tra ildecreto tridentino e l’operato degliartisti impiegati nella grande impresadecorativa. Sembra più giusto conside-rare il Decreto sull’Eucarestia come l’e-

spressione definitiva ed ufficiale daparte della Chiesa cattolica di un climadevozionale collegato, ad esempio, allospirito del De imitatione Christi, l’ope-ra di Thomas De Kempis che tantainfluenza aveva avuto nelCinquecento, soprattutto per quantoconcerneva il ritmo intensificato di fre-quenza al banchetto eucaristico. Entrotale contesto andò ad inserirsi il ciclocristologico del Duomo di Orvieto.Nemmeno il decreto sulle immaginisacre influenzò direttamente lo “stileorvietano”. Probabilmente è più giustoasserire che, intorno alla metà delCinquecento, in Italia si diffuse l’esi-genza di “riformare” la pittura inopposizione agli intellettualismi manie-ristici ed al paganesimo rinascimentale.Il decreto sulle immagini, unitamenteai numerosi trattati pubblicati sull’ar-gomento (Gilio, Paleotti, Borromeo,ecc.), cercò di favorire lo sviluppo diun’arte devota, basata sui criteri didecoro e di compostezza, già manife-statasi nell’attività pratica di alcuniartisti (come a Orvieto). MichaelBaxandall riportò l’esistenza di unateoria ecclesiastica sulle immagini con-solidatasi già molti secoli prima delConcilio di Trento, espressa, ad esem-pio, nel Catholicon di Giovanni diGenova (un dizionario pubblicato allafine del XIII secolo) o nella SummaTheologica di Sant’Antonino, arcivesco-vo di Firenze28. Il decreto tridentino,quindi, recuperò concetti relativi allapittura sacra, desunti dalla tradizionemedievale, per cercare di risolvere unaquestione che nel XVI secolo era tor-nata fortemente in auge, ovvero quelladella funzione religiosa dell’arte sacra. Quando a Trento i Padri conciliaripromulgarono il decreto sulle immagi-ni, la nuova arte era già stata messa inpratica a Orvieto. In effetti le pale d’al-tare del Duomo rispondono piena-mente ai criteri di chiarezza e di con-formità alle Sacre Scritture mentre, perquanto riguarda la capacità di coinvol-gimento emotivo sui fedeli, pur nondisponendo di testimonianze scritteche provino le reazioni della popolazio-ne di fronte alle imponenti scene almomento della loro collocazione, disicuro una comunità così tanto devotaalla figura di Cristo come quella orvie-tana riservò ad esse grande considera-zione. Inoltre, i membri del Numero(seppur appartenenti alla nobiltà oall’alta borghesia), sapendo di agire pergli interessi e per il bene dell’interacomunità cittadina, non avrebbero maiapprovato un’opera così grandiosasenza il consenso popolare. La scelta diaffidare i primi lavori ad un artistarelativamente poco famoso comeMuziano potrebbe essere stata fattasulla scia del grande successo ottenutodalla Resurrezione di Lazzaro di SantaMaria Maggiore29 (tanto che proprioquesto soggetto fu il primo ad essereeseguito per il Duomo).

Evidentemente, la pittura del brescianofu giudicata dai committenti (su consi-glio di Raffaello da Montelupo) comela più adeguata ad esprimere le loroesigenze, costringendo tutti gli altrimaestri ad uniformarsi alla impostazio-ne scenica muzianesca, desunta dallatradizione teatrale, tipicamente umbra,delle Sacre Rappresentazioni. Tuttavia, sarebbe un grave errore ricon-durre gli stili adottati dai pittori nellepale d’altare orvietane a specificherichieste da parte dei committenti, per-ché la maniera di ogni singolo artistaera condizionata dalle sue caratteristi-che culturali e si basava sulle sue perso-nali esperienze tecnico- artigianali,oltre che su un repertorio più o menoricco di conoscenze iconografiche eformali acquisito tramite gli incontricon le varie scuole regionali. LaProbatica Piscina del Circignani, riccadi reminiscenze senesi beccafumiane,dal punto di vista stilistico è notevol-mente diversa dalle pale muzianeschein cui la monumentalità michelangio-lesca viene mitigata dal luminismoveneto dei paesaggi. Lo stesso CesareNebbia, nonostante fosse stato allievodel bresciano, in alcune opere intro-dusse elementi zuccareschi e si allonta-nò dal morbido intimismo devozionaledel maestro, ottenendo una maggioredrammaticità delle composizioni attra-verso l’uso di forti contrasti chiaroscu-rali, colori cangianti, forme complessee panneggi dalle pieghe sottili ed ango-lose (come nell’Incoronazione di spine).Per questo è impossibile parlare diun’arte della Controriforma, comesarebbe inesatto identificare lo “stileorvietano” piuttosto che l’arte “senzatempo” individuata da Federico Zeri30

o le primitive decorazioni del Gesù31

come le uniche espressioni tipiche diuna “maniera controriformata”. Talepluralità di stili differenti tra loro riflet-te la complessità e le articolate dirama-zioni della Controriforma. Un approfondimento, supportato daricerche archivistiche, sullo sviluppo aOrvieto di drammi sacri dedicati allaVita di Cristo (interpretati dai membridelle varie Congregazioni religiose olaicali, come quella del Corpus Christi)potrebbe favorire la comprensione delrapporto tra questi spettacoli teatrali ela pittura nata all’interno del cantieredella Cattedrale. Infatti, nelCinquecento, un artista che si accinge-va ad eseguire un’immagine religiosadoveva tener conto delle capacità visivee delle abitudini del pubblico fruitoredella sua opera. All’epoca, la maggiorparte delle persone erano analfabete.L’unico modo per accedere alla Paroladi Dio erano i dipinti, le prediche e leSacre Rappresentazioni. Quando unuomo si accingeva alla contemplazionedi un’immagine religiosa, doveva ricor-rere al proprio bagaglio di informazio-ni e opinioni tratte dall’esperienzagenerale. Per questo motivo, quando

Muziano, Nebbia, o Federico Zuccari,ponevano in relazione figure o gruppi,suggerendo rapporti e azioni, potreb-bero essersi ispirati a simili recite, cosìda favorire la partecipazione emotivadei fedeli orvietani, che si sarebberoriconosciuti nella folla ammassataintorno alla figura dominante e com-posta di Cristo.Anche lo studio dei sermoni pronun-ciati dai predicatori orvietani nel corsodell’anno liturgico e la raccolta delmaggior numero possibile di dati sul-l’estrazione sociale, sulle condizionimateriali e sulla consistenza culturaledei vescovi, del clero secolare e dei laiciper i quali gli artisti prestarono la loroopera, saranno utili al fine di una com-prensione migliore dell’argomento.Per concludere, i responsabili dellaFabbrica cercarono di uniformarsi allamentalità religiosa del Cinquecento,attraverso la rappresentazione di unciclo organico di storie della Vita edella Passione di Cristo, annunciate daProfeti e Sibille e osservate dai Santiaffrescati sulle pareti, secondo una tra-dizione consolidatasi nel corso delsecolo. Tale ciclo andava ad amalga-marsi a quello con le storie dellaVergine nel coro e sulla parete di con-trofacciata, che seguivano la consuetavenerazione verso la Madre di Dio checaratterizzava il sentimento religiosodegli orvietani. Tradizione e innovazione, culto dellaMadonna e dei Santi, fedeltà alle SacreScritture ed esemplarità della vita diGesù, armonia, compostezza e decoro:tutti gli aspetti espressi dalle pitture delDuomo di Orvieto, oltre agli elementidistintivi e peculiari, riflettono i carat-teri religiosi ed estetici dell’epoca.

Andrea Piccinelli

1 Questo testo è parzialmente tratto dalla miatesi di laurea in Storia dell’Arte (Università degliStudi di Roma “La Sapienza”) discussa il 16luglio 2007. Per questo articolo la mia gratitu-dine va al mio relatore Ricardo De MambroSantos. Voglio inoltre ringraziare la mia correla-trice Bianca Tavassi La Greca e le dottoresseLaura Andreani ed Alessandra Cannistrà. 2 Alberto Satolli, Documentazione inedita sugliinterventi cinquecenteschi nel duomo scomparsicon i restauri del 1877, in appendice a ID.,Quel bene detto Duomo, in Studi sul Duomo diOrvieto, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano”, XXXIV, 1978, pp. 129-160, cit. p. 133. 3 Claudio Strinati, Marcantonio dal Forno nell’o-ratorio del Gonfalone a Roma, in “Antichitàviva”, XV, 3, 1976, pp. 14- 22.; ID., Quadriromani tra ‘500 e ‘600, catalogo della mostra,Roma Palombi, 1979, pp. 46- 52; ID., La tavo-la Pellucchi di Livio Agresti, in “Prospettiva”, IX,1977, pp. 69- 72; ID., Un frammento d’affrescodi Francesco da Castello, in “Prospettiva”, XV,1978, pp. 62- 68; ID., Roma nell’anno 1600.Studio di pittura, in “Ricerche di Storiadell’Arte”, 10, 1980, pp. 15- 48; ID., Riformadella pittura e riforma religiosa, in “L’immaginedi San Francesco nella Controriforma”, catalogodella mostra, Roma, 1982, pp. 35- 56; ID.,Storia del pittore che non esisteva, in “Guida del-l’estate”, Roma, 1988, pp. 24- 33. 4 Marietta Cambareri, Ippolito Scalza e la tra-sformazione del Duomo di Orvieto nel ‘500: le

sculture marmoree, in “Orvieto e le grandi catte-drali”, Torino-Roma, 1995; ID., A study in the16th century renovation of Orvieto Cathedral: theSacramental Tabernacle for the High Altar, in“Saggi in onore di Renato Bonelli” (a cura di C.Bozzoni, G. Carbonara, G. Villetti),Multigrafica, Roma 1992, pp. 617- 622;Marietta Cambareri- Augusto Roca De Amicis,Ippolito Scalza (1532- 1617), Orvieto, 2002.5 Marietta Cambareri, L’Opera del Duomo com-mittente d’arte: nuovi documenti sui progettidecorativi cinquecenteschi nella Cattedrale diOrvieto, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano”, XLII, 1986- 1987, pp.243- 256. 6 Alberto Satolli, Documentazione inedita sugliinterventi cinquecenteschi nel duomo scomparsicon i restauri del 1877, in appendice a ID.,Quel bene detto Duomo, in Studi sul Duomo diOrvieto, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano”, XXXIV, 1978, pp. 129-160; ID., La pittura dell’eccellenza. Prolegomeniad uno studio su Cesare Nebbia nel suo tempo, in“Bollettino dell’Istituto Storico ArtisticoOrvietano”, XXXVI, 1980, pp. 17- 222. 7 Rosamond E. Mack, Girolamo Muziano andCesare Nebbia at Orvieto, in “Art Bulletin”, 3,1974, pp. 410- 413.8 Rodha Eitel- Porter, Disegni per Orvieto dell’“Illustre concittadino” Cesare Nebbia, Orvieto,2004. 9 Sugli interventi cinquecenteschi nel Duomodi Orvieto e sull’azione “purificatrice” avviatanel novembre 1877, cfr. Luigi Fumi, Il Duomodi Orvieto e i suoi restauri, Società Laziale ed.,Roma, 1891.10 Pubblicate in Alberto Satolli, Documentazioneinedita sugli interventi cinquecenteschi nel duomoscomparsi con i restauri del 1877, in appendice aID., Quel bene detto Duomo, in Studi sulDuomo di Orvieto, in “Bollettino dell’IstitutoStorico Artistico Orvietano”, XXXIV, 1978, pp.129-160. 11 Armoni posizionò la macchina fotografica suun ponte al livello degli architravi degli altari. 12 Luigi Fumi, Il Duomo di Orvieto e i suoirestauri, Società Laziale ed., Roma, 1891, pp.359-60 e 420-26. 13 Alberto Satolli, Documentazione inedita sugliinterventi cinquecenteschi nel duomo scomparsicon i restauri del 1877, in appendice a ID.,Quel bene detto Duomo, in Studi sul Duomo diOrvieto, in “Bollettino dell’Istituto StoricoArtistico Orvietano”, XXXIV, 1978,pp. 141-160. 14 Cfr. Bruno Toscano, Storia dell’arte e formedella vita religiosa, in Storia dell’arte italiana,parte I, Materiali e problemi, vol. III,L’esperienza dell’antico, dell’Europa, della reli-giosità, Einaudi, Torino 1979, pp. 275- 314.15 Claudio Strinati, Marcantonio dal Forno nel-l’oratorio del Gonfalone a Roma, in “Antichitàviva”, XV, 3, 1976, pp. 14- 22. 16 Giovanni Andrea Gilio, Due dialoghi…., acura di Paola Barocchi, Firenze 1986.17 Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle imma-gini sacre e profane, in “Trattati d’arte delCinquecento”, a cura di Paola Barocchi, vol. II,Bari 1961, pp. 117- 503.18 Cristina Acidini Luchinat, Taddeo e FedericoZuccari, fratelli pittori del Cinquecento, vol. I,Jandi Sapi Ed., Milano-Roma, 1998, pp. 50-51.19 Claudio Strinati, Riforma della pittura e rifor-ma religiosa, in “L’immagine di San Francesconella Controriforma”, catalogo della mostra,Roma, 1982, pp. 35- 56, cit. p. 37. 20 Per quanto riguarda la storia e l’organizzazio-ne laica dell’Opera del Duomo di Orvieto, uffi-cializzata (con l’autorizzazione papale) dagliStatuti del 1421 e dai successivi Capitoli del1553, cfr.: Lucio Riccetti, Le mani sull’Opera.Vescovo, Capitolo e Comune tra devozione civica,finanziamento e gestione del patrimoniodell’Opera del Duomo di Orvieto fino al 1421,estratto da “Nuova rivista storica”, annoLXXXVI, fasc. I, Soc. Ed. Dante Alighieri,2002, pp. 49- 110; Luigi Fumi, Statuti e regestidell’Opera di Santa Maria di Orvieto, Roma1891 (rist. anast., a cura di Lucio Riccetti,Orvieto- Perugia, 2002). 21 Luigi Fumi, Il Duomo di Orvieto e i suoirestauri, Società Laziale ed., Roma, 1891, cit. p.412, Doc. CLXXXI, 18 ottobre 1561.Evidentemente, la risposta fu affermativa.22 Ibidem, p. 352, Doc. XII, 25 maggio 1564. 23 Ibidem, cit. p. 411, Doc. CLXXVI, 12dicembre 1558. 24 Ibidem, op. cit., p. 413, Doc. CLXXXV, 14gennaio 1565. 25 Ibidem, p. 411, Doc. CLXXIII, 25 ottobre1555. 26 L’unica tela sottoposta a rifacimento fu quellaraffigurante le Nozze di Canaa che, rovinatasi acausa di una caduta, Cesare Nebbia ridipinsenel 1569. 27 La traduzione italiana della bolla papale sitrova in Eraldo Rosatelli, Il Duomo di Orvieto.Fede, arte, letteratura, Quattroemme, Perugia2000, pp. 135- 137.28 Cfr. Michael Baxandall, Pittura ed esperienzesociali nell’Italia del Quattrocento, PiccolaBiblioteca Einaudi, Torino, 1978.29 L’opera, eseguita nel 1555 per il cardinaleMarcantonio Colonna ed attualmente conser-vata nella Pinacoteca Vaticana è pubblicata inUgo Procacci, Una “vita” inedita del Muziano,in “Arte veneta”, 8, 1954, p. 243. 30 Federico Zeri, Pittura e Controriforma. L’artesenza tempo di Scipione Pulzone da Gaeta,Torino 1957.31 Cfr. Howard Hibbard, Ut picturae sermones:The first Painted Decorations of the Gesù.

M.O.D.O. - Girolamo Muziano, Flagellazione di Cristo M.O.D.O. - Girolamo Muziano, La resurrezione di Lazzaro M.O.D.O. - Girolamo Muziano, La Veronica

Page 19: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

19

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Nel 1957, Cesare Morelli pubbli-cò sul Bollettino ISAO n. XIII

un articolo, intitolato “Gli avanziromani di Pagliano presso Orvieto”.In una parte di esso parla di dueimportanti reperti paleocristiani, rin-venuti a Pagliano e Corbara. Nelcorso degli scavi ottocenteschi all’in-terno del porto, venne infatti recu-perata una piccola medagliettaplumbea con inciso il monogrammacostantiniano. Poco a monte delCastello di Corbara, tra le tegole chericoprivano una tomba alla cappuc-cina, fu recuperata una tegola conl’iscrizione URSE VIVAS IN DEO1. All’interno dello stesso paragrafo, ilMorelli parla dei resti di una chiesa,situata tra il porto romano eCorbara. Cito testualmente: “A metàstrada tra Pagliano ed il Castello diCorbara, si trovano tracce di unaantichissima chiesa che nelle cartemedioevali è indicata con il nome diS. Maria de Stioli o de Stiolo.Probabilmente la chiesa fu costruitacon materiale edilizio provenientedalla distrutta Pagliano (a meno chegià nel luogo non fosse stato un tempiopagano, come pare improbabile, per lasegregazione del tutto rusticana).Infatti è stato trovato tra quei ruderi,ormai sepolti, un basamento di arapagana, di circa m 1,00 x 1,00, conuna testa di ariete a rilievo in ciascu-no dei quattro angoli, e volute florealinei lati. Forse è di stile ellenistico.Sono i soliti motivi sacrificali, ritrova-ti nell’ara di Ostia, e in altre consimi-li. Probabilmente fu acconciato all’usodi fonte battesimale. Altro materialeda costruzione appartenente alla diru-ta chiesa sta nelle mura perimetralidella casa colonica attigua ed omoni-ma: sono pietre regolarmente squadra-te, forse provenienti da un tempiopagano. Infine sono state tratte fuori,nel 1957, per occasionali lavori diaratura, una colonnina di marmo sca-nalata, e alcuni frammenti di tavolain travertino disegnata e intagliata aintreccio o a maglia, del tipo che siriscontra nelle transenne o ne’ paliottidi stile bizantino. La presenza dimolte ossa umane, nello stesso sito,documenta la sepoltura di fedelidefunti nella cripta della chiesa stessa,come è stato in uso per tutto ilMedioevo. Anche l’ubicazione della

Chiesa depone per la sua rispettabileantichità: infatti il trovarsi a metàstrada tra l’abitato romano e il castellomedioevale, indica la gradualità dellospostamento della popolazione; mentrela dedica della chiesa a Maria SS.maè presumibilmente da spiegarsi comesostituzione antitetica al culto paganodi Venere e quindi indicherebbe vici-nanza dei due culti nel tempo”.All’interno dello stesso articolo ilMorelli propone una frequentazionedella Chiesa a partire dal VI secolodopo Cristo, basandosi sul rinveni-mento di fregi in “stile bizantino”.Negli anni successivi sono stati fatti

dei tentativi di identificazione, mal’esatta collocazione della Chiesarimase incerta2.In seguito ad una serie di ricognizio-ni effettuate tra il 2003 ed il 2004,grazie a preziose testimonianze orali,si poté individuare, all’interno di unvigneto su area pianeggiante, situatoa circa 300 m. ad Ovest della sededell’Azienda Agricola di Corbara, ungrande affioramento di laterizi, conestensione di circa 40 metri per 70.L’ara “ellenistica” di cui parla ilMorelli è stata invece rintracciata neipressi del Podere “La Francesca”. Sitratta di un’ara in pietra con protomi

di arieti agli angoli e presenta sui latiuna decorazione a rosette. È diepoca romana. Nello stesso podere èstato rintracciato anche il catillus diuna macina in leucitite; anch’esso èdi età romana. Presso la casa canoni-ca di Corbara sono stati invece ritro-vati, murati alle pareti di un ambien-te di servizio della canonica, i due“fregi”; si tratta di due frammenti diplutei, decorati con motivi ad intrec-cio, e databili all’ottavo o nono seco-lo3. Tra il 2006 ed il 2007, in seguitoall’espianto del suddetto vigneto,furono effettuate profonde arature,che a più riprese hanno evidenziatouna presenza di materiale archeologi-co ancor più notevole. Questi rinve-nimenti hanno fornito la certezza diaver rintracciato il sito dell’anticaChiesa. Oltre ad una straordinariaquantità di tegole e coppi, sonoemersi numerosi blocchi in traverti-no, molti dei quali assai ben squa-drati, altri con vistose tracce dimalta, ed uno sicuramente pertinen-te ad un arco. È stato anche visto unframmento lapideo che presentaincisa una croce. Nel settore a montedel campo, a ridosso di un’areaboschiva, sono emersi numerosiframmenti di ossa umane, in parti-colare alcuni femori e frammenti dicrani, in associazione a lastre moltosottili di travertino, frammenti ditufo vulcanico e di lastre marmoreenon decorate. Tutto ciò è probabil-mente da ricondurre a tombe a cas-sone che occupavano l’area interna oimmediatamente circostante laChiesa. In tutto il settore del campointeressato dall’affioramento, sonostati visti abbondanti frammenti diceramica da cucina, oltre a pochi dimaiolica arcaica.Un dato assolutamente importante,concernente la topografia antica del-l’area, è stato evidenziato dopo ilavori di aratura del 2006. Infatti,sul terreno, in seguito ad un forteacquazzone, furono evidenti i segnidelle murature sepolte in disfaci-mento. Grazie a questa situazione, èstato possibile intuire che la Chiesaera collocata al centro di una grossaarea di forma pressoché quadrata, tral’altro ben visibile sia da foto aereeche satellitari. Alla stessa Chiesa pro-babilmente si affiancavano altrestrutture, ipotizzabili per la presenzadi una gran quantità di materialeedilizio nel settore Ovest dell’areaesaminata. Il Morelli, nel suo articolo, sostennequanto remota fosse la possibilità

che l’area dove sorgeva la Chiesapotesse essere stata precedentementeoccupata da un tempio pagano. Allaluce delle recentissime ricognizioniquesta ipotesi è tornata ad assumereuna nuova e più forte consistenza;infatti, nel settore occidentale emeridionale dell’affioramento sonostati visti materiali di età romana,quali numerosi frammenti di tubuli,di anfore da trasporto, di ceramicasigillata e diverse tessere di mosaicoin pasta vitrea colorata, di impastoanalogo ad altre recuperate negliscavi del sito di Pagliano.Certamente la struttura romana nonera di grandi dimensioni, dovendotrattarsi probabilmente di un piccolosacello, al quale forse dovrebbe rife-rirsi l’ara. Per quanto concerne laposizione “isolata” del sacello, sia lefonti classiche4 sia i padri dellaChiesa, più volte evidenziano comele forme più diffuse ed evidenti dellareligiosità pagana non fossero i gran-di templi delle città, ma tante picco-le realtà diffuse in particolare nellecampagne: altari campestri, alberisacri e, come forse in questo caso,piccoli sacelli.

Paolo Binaco

BIBLIOGRAFIA CITATANELL’ARTICOLO

GUIDI DI BAGNO L., La Diocesi orvietananel Medioevo, in Quaderni dell’Istituto Stataled’Arte di Orvieto, 5/6, Roma 1985, pp. 133 -176.IORIO R., Le origini delle diocesi di Orvieto edi Todi alla luce delle testimonianze archeologi-che, Assisi 1995.MORELLI C., Gli avanzi romani di Paglianopresso Orvieto, in Bollettino ISAO XIII, 1957,pp. 3-60.PACELLI F., Contributi per la CartaArcheologica dei territori di Orvieto e di Baschi,tesi di Laurea, Orvieto 2003.

1 Per ulteriori notizie e bibliografia su questidue rinvenimenti si veda R. IORIO, Le originidelle diocesi di Orvieto e di Todi alla luce delletestimonianze archeologiche, pp. 114 - 117.2 A questo proposito si veda L. GUIDI DIBAGNO, La diocesi orvietana nel Medioevo, p.152.3 4 I reperti lapidei, sia l’ara che i frammenti diplutei e la colonna, sono stati rintracciati da F.Pacelli nel 2002, poi da lui accuratamentedocumentati. F. PACELLI, Contributi per laCarta Archeologica dei territori di Orvieto e diBaschi, tesi di Laurea, Università degli Studidella Tuscia, p. 139 e pp. 144 - 146. Le fotodei plutei e dell’ara presentate in questo arti-colo sono proprio quelle scattate da FrancescoPacelli.5 In particolare si pensi ai Fasti d’Ovidio.

La Chiesa di Santa Maria de StioliRiaffiorano i resti di un importante complesso ecclesiastico altomedievale

Page 20: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

20

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

In un’area posta alla confluenza delfiume Paglia con il Tevere, non

molto distante da Orvieto, si situal’importante area archeologica diPagliano. La zona, compresa tra i duefiumi, forma una sorta di triangolosopraelevato dal terreno circostante dicirca cinque metri ed esteso per unasuperficie di circa 8000 metri quadra-ti. Al suo interno si sviluppò unimportante insediamento portuale diepoca romana. Quest’area ha svolto,sin da epoca molto antica, la funzionedi centro di raccolta e smercio di pro-dotti e manufatti provenientidall’Etruria interna e dal territorio cir-costante, che qui radunati, venivanoimbarcati per Roma. Va segnalatoinoltre che, negli scavi effettuati allafine dell’Ottocento, fu rinvenuto unnumero considerevole di macine inpietra per la triturazione dei cereali ela lavorazione delle olive. L’analisi scientifica dei reperti rinvenu-ti (frammenti di anfore vinarie e olea-rie, ceramica a pareti sottili, sigillataaretina, monete in bronzo, ecc.) nelleultime campagne di scavo, avviate nel2002, sembra suggerire che l’insedia-

mento portuale sia stato in attivitàdalla fine del II sec. a.C. agli ultimidecenni del IV sec. d.C. Il sito di Pagliano venne indagato perla prima volta dall’ingegnere RiccardoMancini, lo scopritore delle necropoliorvietane di Crocefisso del Tufo e diCannicella, negli anni 1889-‘90, confondi concessi dalla Banca Romana.Egli condusse scavi all’interno dell’a-rea portuale, dove portò alla luce,oltre a un gran numero di reperti, unaserie di ambienti di dimensioni rag-guardevoli, in tutto 70, ma ne esploròsolamente 28, formulando una primaipotesi, registrata poi in un rapportopreliminare, che si potesse trattare diun complesso termale. L’interruzionedegli scavi, nel novembre del 1890, fudovuta ad una serie di scandali dellaBanca Romana, finanziatrice delloscavo, che portò il Mancini ad abban-donare l’esplorazione, che poi conti-nuò in maniera clandestina.Successivamente, A. Manassei, ammi-nistratore della Tenuta di Corbara,asportò in maniera sistematica unnumero considerevole di reperti e C.Dottarelli, nel 1925, condusse una

ripulitura delle strutture ritrovate daMancini, che presto tornarono adessere nascoste dalla vegetazione. Iproblemi per Pagliano non si fermaro-no qui: la costruzione dell’Autostradadel Sole, negli anni compresi tra il1962-‘65, portò all’occupazione del-l’area archeologica per la costruzionedel cantiere, con l’insediamento dellebaracche degli operai e di depositi peri materiali. Alcune strutture di epocaromana che erano state portate allaluce vennero abbattute per far posto aquesti edifici provvisori.L’ipotesi interpretativa di R. Mancinivenne riesaminata agli inizi delNovecento e iniziò a suscitare i primidubbi: nel 1925, in particolare, W.Valentini rifiutò la tesi di Mancini e,per primo, ipotizzò che gli ambientipotessero rinviare ad un insediamentoportuale. La proposta innovativa venneaccettata parzialmente da U. Tarchi,nel 1936, mentre G. Becatti accolsefavorevolmente l’ipotesi originaria.Più di recente, nel 1957, CesareMorelli (Gli avanzi Romani diPagliano presso Orvieto, in BollettinoISAO, XIII) ha riesaminato in manie-

ra più attenta e convincente i datiemersi in precedenza e ha riconosciu-to che le strutture potessero apparte-nere ad un insediamento portuale. A partire dal 2001, ha avuto iniziouna nuova stagione di ricerche:l’ENEL ha effettuato una prima ripu-litura dell’area di Pagliano e laSoprintendenza Archeologica perl’Umbria ha iniziato a provvedere alconsolidamento delle strutture conser-vate e a promuovere nuovi scavi con-dotti in maniera scientifica. Dal 2002,

inoltre, è attivo un campo scuola nel-l’area archeologica di Pagliano per ini-ziativa della Scuola di Etruscologia eArcheologia dell’Italia Antica (istituitadalla Fondazione per il Museo “C.Faina” e dalla Fondazione per ilCentro Studi “Città di Orvieto”) inpiena collaborazione con laSoprintendenza Archeologica perl’Umbria, dove ogni anno vengono aformarsi giovani archeologi; qui essisvolgono sul campo tutte le funzioniche fanno parte del bagaglio professio-nale di un archeologo: dal rilievo dellestrutture al disegno dei materiali e allaloro classificazione. Vanno senza dubbio ringraziati, per illoro impegno, Stefano Talamoni(Fondazione per il Centro Studi“Città di Orvieto”), Giuseppe M.Della Fina, (Fondazione per il Museo“C. Faina”), Paolo Bruschetti(Soprintendenza Archeologica perl’Umbria), direttore dello scavo,Bengasino Perazzini, assistente discavo. Un ringraziamento poi a tutticoloro che stanno portando avanti,con la massima serietà professionale,lo studio dei materiali ritrovati, cheverranno raccolti in un volume diprossima pubblicazione.

Alessandro Trapassi

Il Porto romano di Pagliano

La consuetudine con la quale leagenzie educative, in particolar

modo la scuola, reclamano una mag-giore attualizzazione e un profondoconfronto col mondo tecnologico,costituisce un prezioso elemento distimolo alle istituzioni che dispongo-no di esperienza e risorse, sia strumen-tali sia umane, in grado di soddisfareesigenze di natura socio-pedagogica.A supporto di questa mera constata-zione troviamo in evidenza alcunitemi e interrogativi pressanti di cui sidibatte spesso: I telefonini a scuola; Ilmutato rapporto docente-discente;Computer e Internet; I nuovi linguaggi;Bullismo; ecc…Non vogliamo propor-re una guida universale ma spargere,semmai, un germe di risposta a soc-corso di quella pedagogia che esigesintonia tra educazione, informazio-ne, comunicazione e tecnologia.Suggeriamo dunque brevi input versoalcune scelte da operarsi nel villaggioglobale, per dirla con Mc Luhan, oveormai il mezzo è messaggio. In sostan-za, accettando i passi più significatividel guru canadese e riconoscendo chela tecnologia produce tecnologia inuna sorta di processo evoluzionisticosfrenato, stabiliamo un punto fermoda cui ripartire. Non per niente siamod’accordo anche con Postman nel sot-tolineare la nascita del bambino tec-nologico che brucia le tappe e si avvi-cina pericolosamente, scimmiottando-lo, all’adulto che invece ha perso ipropri confini. Davanti alla tecnologiabambino e adulto si fondono, nonsono due universi divisi bensì introiet-tati a vicenda. Vanno recuperati isegmenti intermedi e soprattutto laconsapevolezza dei passi compiutiper ricomprendere le età dell’uomoma anche la scuola, se è vero come èvero che cronologicamente i giovaniapprendono prima ad usare un mezzotecnologico (meccanicamente) edopo, forse, la sua storia, chi lo haideato, come è costruito, l’uso piùcorretto possibile ecc... Quella di illu-strare, ad esempio, le stagioni attra-versate dalla comunicazione e i suoidiversi aspetti è un’esigenza primaria

per un corretto approccio in questadirezione. Il coraggio sta nell’indivi-duare un percorso cronologico, mar-carlo concettualmente, riconoscerne ilinguaggi e riconsegnarne in manieradivulgativa i concetti. Qui si recuperae si gioca la nostra maturità storica:riconoscendo alla tecnologia e aisuoi linguaggi una storia. L’intento èquello di soddisfare la richiesta avan-zata continuamente in maniera impli-cita e non; l’ “umanizzazione delletecnologie della comunicazione” ingrado di imbrigliare la tecnologia erendere al mondo della comunicazio-ne confini certi e valori portanti. Adulti e ragazzi debbono riproporre,nei confronti del mondo tecnologicoe della comunicazione, un atteggia-mento critico che sani alcune imperfe-zioni di fondo. La pluralità dei mediae la convergenza fra essi aprono ampiscenari di strepitose opportunità checaratterizzano quella attuale come lastagione dei self-media (ognuno produ-ce e raccoglie messaggi di ogni tipo).Immaginiamo un mondo con miliardidi miliardi di trasmettitori e mittenti,altrettanti destinatari riceventi; fanta-scientifica ipotesi sarà il coincideretra mittente e ricevente ovvero “ioinvio il messaggio e, non riconoscen-dolo lo ricevo meccanicamente. Imiei messaggi influenzeranno mestesso e io sarò il dio nascosto a cuiubbidirò”. Stiamo diventando esseritecnologici? Stiamo diventandorobot? Molto interessante questofuturo denso di opportunità ma anchecon qualche inquietudine all’orizzon-te… Ma tanto è. Constatiamo che latecnologia richiede un certo numerodi messaggi e mezzi atti a veicolarlaquasi subdolamente... Si crea, quasimagicamente un contatto fisso conl’utenza, un flusso continuo di infor-mazioni. Un flusso continuo di mes-saggi fra i quali ve ne sono alcunipoco opportuni e altri distorti. Questaforma di comunicazione genera untipo di auto-trasmissione (la tecnolo-gia che trasmette sé stessa) basata sul-l’uso ripetuto, sul mantenere sempre ecomunque l’utente in contatto con la

fonte e sempre in situazione di attesa eattenzione, che insiste sul canale (lafunzione fàtica di Jakobson). Se peresempio guardate un quiz in tv notere-te che i tempi di attesa della confermadel presentatore sono dilatati esagera-tamente... Dov’è la comunicazione equal è? Chi riceve potrebbe pensare:“stai solo cercando di trattenermi quiin attesa di una conferma di cui so giàche la risposta è esatto o sbagliato... maio me lo ricordo se è esatto o meno?Come vivere in questa incertezza?” Eintanto là un giro di pubblicità!Passiamo a ciò che è accaduto recente-mente in occasione dei fattiall’Università di Roma che costituisceun utile esempio, invece, sul come cir-cola l’informazione tra mittente edestinatario.Mi è capitato di sentire qualche gior-no dopo alcune affermazioni diverten-ti: “Il Papa ha detto male diGalileo...giù le mani del Vaticanodall’Università” da una parte e dall’al-tra “L’Università è in mano ai rossi...”Ripeto: le considero divertenti perchéentrambe sono espressioni che ripor-tano sensazioni alimentate, nel corsodegli anni, da un certo tipo di comu-nicazione. E infatti le uniche cosechiare sono state, in seguito, scuse eriappacificazioni da una parte e dal-l’altra a fronte del comportamentodi pochi. Ma cosa è successo? Da unaparte una comunicazione asimmetri-ca (da persone depositarie di culturaelevata a persone di cultura media osotto essa) di concetti difficili e alta-mente teologici senza un filtro divul-gativo adeguato ha indotto al frain-tendimento la gente comune, dall’al-tra un certo tipo di comunicazioneideologica (spesso anch’essa asimme-trica) che si proclama da anni nelsegno della tolleranza ha provocatouna reazione nei confronti del SantoPadre: PERCHE’?Perché semplicemente a volte noi nonsappiamo cosa comunichiamo e ilmezzo non perdona. Non significache siamo stupidi ma che la nostracomunicazione si avvale di formemodi, mezzi e che nascondono l’effetto di cui avremo coscienza inseguito. Una sorta di gestazione a

Ma davvero Caino ha ammazzato Babele buttandolo giù dalla torre?(Scherzi della comunicazione...) di informazioni che vengono proposte

c’è un tutto compreso, c’è un piccoloche contiene il tutto; ogni teoria ognicultura somministrata con verasapienza eristica. Ed eccoci alloracadere di nuovo in una pregiudizievo-le consapevolezza: la caratteristica delmezzo è forse proprio la sua capaci-tà di esprimere sempre e comunquedue o più verità opposte. Ci si puòobiettare che la volontà del mezzonon è quella, eppure si rivela unacommistione fra atto e fatto peda-gogico veramente micidiale. Nonfacciamo parte della schiera degli apo-calittici e crediamo che la comunica-zione sana sia possibile comunque. Eancor più crediamo che sia possibileeffettuare una scommessa in buonafede tale da consentire una crescitacongrua e coerente. Prevedere all’in-terno delle scuole elementari e dellescuole superiori alcuni brevi insertidi unità educative rivolte alla comu-nicazione, è operazione necessaria peravvicinare ragazzi e magari professori aqualcosa che, freddo all’apparenza, siriveli poi campo proficuo di esperien-ze sia teoriche sia pratiche. Dobbiamooffrire a giovani e adulti la possibilitàdi avvicinare e approfondire argomen-ti che non abbiano a relegarli, senzacompetenze, in un angolo.Immaginiamo a tal proposito unaquantità notevole di temi tecnologica-mente attuali da sviluppare come adesempio wi max, digitale terrestre, lecomunicazioni radio e altro.Quello che ci auspichiamo dunque èl’avvento di una disciplina nuova dainserire già nella scuola dell’obbligo;un’ educazione alla storia della tec-nologia e della comunicazione, dicui riteniamo opportuno il dispiegar-si nei modi e nei tempi in modo dalasciare un segno tangibile.La storia va recuperata e intesa qualeconoscenza, come suggerisce Marrou,in grado di indurre l’uomo a porsi legiuste domande e magari con l’aiutodella tecnologia stessa a cercare rispo-ste anch’esse giuste, in grado di ren-derlo libero da condizionamenti ideo-logici e tecnologici.Magari allora anche il titolo di que-sto articolo avrebbe un senso...

posteriori con cui fare i conti.... La tv,il computer ecc… nascono dagli svi-luppi di una tecnologia riprodottasi,nel corso del tempo, attraverso l’usocostante di altri media (anche libri peresempio). Chi avrebbe mai pensatoche dopo il registratore o la tv sarebbenato il computer? Così di seguito ilcomputer ha permesso nuovi sviluppiecc. Ma dobbiamo saper riconoscereche tra i messaggi prodotti ve ne sonoinnumerevoli che non hanno senso emagari neanche significato, o addirit-tura hanno contenuti negativi; tutta-via sono messaggi che fanno parte diquell’esercizio che la tecnologia ha daprodurre per evolversi e autogenerarsicioè del flusso continuo. Stabilitaquella che possiamo considerare la suafunzione fàtica il messaggio va… Edecco che si procede oltre e si arriva aiparadossi della comunicazione di cuiparla Watzlawick. Tutto si stravolge ei valori diventano tali se rientranoin una sorta di lista che viene modi-ficata ogni nano-secondo e anch’es-sa stravolta. Il valore passa dal tubocatodico. La liturgia della messa inonda ci regala un mondo pseudoreli-gioso che oscilla tra l’assoluzione el’allarme cosmico (magari me nefrego dei bambini soldato o di quelliche muoiono di fame in Africa peròdevo preoccuparmi di una non benidentificata pandemia che sta persconvolgere l’Europa o che so io delbuco nell’ozono). Viva i marziani diOrson Welles e così sia! Quale veritàci tocca? L’oscillazione conduce alla legittima-zione di più tesi e comunque di undialogo eristico all’infinito passandomagari per le leggende metropolitane.Ora è vero questo e ora quest’altro.Mai una soluzione sola altrimenti lafunzione fàtica verrebbe interrotta,l’attenzione negata, è necessario oscil-lare per mantenere quel flusso conti-nuo. Chi crede può suggerire la fedecome luce verso il cammino, cosa dainscrivere però tra le opinioni perso-nali. Più generalmente non abbiamoda imputare alla tecnologia unicamen-te aspetti negativi, ma dobbiamoimparare e in seguito insegnare a rico-noscere che in quel flusso continuo

Page 21: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

21

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

I M A G O U R B I S

Scuola all’aperto in Orvieto (a. 1938)

Interno della Scuola all’aperto

Page 22: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

P A G I N E L E T T E

ELENA LIOTTA, Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Roma (Edizioni Magi srl), 2005.Bolsena: il Miracolo Eucaristico, a cura di Pietro Tamburini, Bolsena (Sistema Museale del Lago di Bolsena,Quaderni N.1), 2005.ENZO PRUDENZI, Castel Giorgio: frammenti di vita contadina, Grotte di Castro (Tip. Gigli), 2001.ANTONIO MARIANI, Erminia Frezzolini. Grandeur e Decadence (1818-1884), Orvieto: Arte Cultura Sviluppo srl,Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, Roma (Tipograf srl) 2006.AA.VV., Orvieto il Convento di S. Crispino da Viterbo. Vicende di un restauro, 2007.AA.VV., Italia Antiqua - Storia dell’Etruscologia. L’Arte e la riproduzione artigianale in Etruria. Atti del II e III Corsodi perfezionamento. Scuola di Etruscologia e Archeologia dell’Italia Antica, Roma (Edizioni Quasar), 2006.AA.VV., Gli Etruschi e il Mediterraneo. Commerci e politica, Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”,Roma (Edizioni Quasar), 2006.

Il legame che unisce ciascuno dinoi al luogo dove è nato è molto

forte, anche se qualche volta, perovvi motivi o per questioni econo-miche, siamo costretti a lasciare “ilnatio borgo selvaggio” e spostarci inaltra parte. Elena Liotta tratta inmaniera esemplare l’argomento, inquanto ha provato, da emigrante,suo malgrado, tale condizione. Ilvolume da lei scritto affronta il pro-blema nel suo insieme, esaminandoil rapporto tra gli esseri umani e illoro ambiente e pone un accentoparticolare sul tema della migrazio-ne, del viaggio e dei luoghi d’origi-ne, alla luce degli attuali processi diglobalizzazione. È una questione digrande attualità tenuto conto dellasituazione dei processi migratori, chesono sotto gli occhi di tutti. Certo ilnostro Paese, che ha registrato neisecoli scorsi una forte ondata di emi-

grazione, soprattutto verso leAmeriche, gli Stati Uniti in partico-lare, oggi si trova ad essere meta dipopoli di altre razze, che vedononella nostra terra un nuovo Eden,dove poter realizzare ciò che non èstato possibile in patria. Il volume havinto diversi premi: per la saggistica,menzione ufficiale al Premio “Santede Sanctis”; menzione speciale alPremio “Salvatore Valitutti”, Premiospeciale della giuria “Ente Nazionaleper l’Alfabetizzazione”, consegnatodal ministro Fioroni inCampidoglio. Come si può vedere,l’esame che la Liotta affronta nelvolume ha, come si suol dire, coltonel segno e di ciò ci complimentia-mo con l’autrice, che ha dimostratodi essere una perfetta conoscitricedei probemi trattati.

Franco Moretti

I luoghi della menteNuovo volume di Elena Liotta

Prose-guendo

nella pubbli-cazione deivolumi dedi-cati ai grandiorvietani delpassato, ini-ziata da qual-che anno, laFondazione

Cassa di Risparmio di Orvieto, nellapersona del suo presidente, l’archi-tetto Torquato Terracina, fa apprez-zare un altro personaggio, di cuimolti conoscono solamente il nome. Il concittadino Antonio Mariani, daricercatore solerte, mette in luce lafigura e l’opera di Erminia

Frezzolini, celebre soprano dell’800,il secolo d’oro per l’Italia riguardoall’opera lirica: Rossini, Bellini, Verdie Puccini sono coloro che, con leloro opere, rappresentate non solo inItalia, ma anche all’estero, fecerodella nostra Nazione la patria del belcanto.Il volume riccamente illustrato ci faconoscere un personaggio di cuiOrvieto andò fiero ma che ai giorninostri forse pochi ricordano, se nonfosse per una lapide posta in unpalazzo, vicino alla Chiesa di S.Angelo, sito in una via secondaria. L’autore illustra il cammino artisticodi questa celebre soprano, che ebbela stima incondizionata di GiuseppeVerdi e degli altri autori d’opera: gli

inizi, con il sostegno del padre, ilcelebre Giuseppe Frezzolini, poi ildebutto alla Scala fu un vero trionfo;il suo nome si affermò in modo taleche anche i teatri stranieri la recla-mavano. E’ il momento che l’autoreidentifica con la Grandeur: Vienna,San Pietroburgo, Madrid, Londra eParigi furono i luoghi dove laFrezzolini allietò con la sua voce leplatee del momento, cogliendo itrionfi con l’opera italiana. Un altrotassello si aggiunge ai precedenti,così tutti potranno conoscere un’al-tra illustre orvietana che con la suavoce ha reso famosa la nostra città.

Franco Moretti

Alla riscoperta della cantante Ermina Frezzolini

Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina” vol. XIII

Gli Etruschi e il Mediterraneo. Commerci e politica

22

IConvegni della Fondazione per ilMuseo “Claudio Faina” sono un

fiore all’occhiello della città, inquanto ci danno la possibilità diconoscere il mondo degli Etruschinel suo processo storico. I parteci-panti sono i maggiori studiosi diquesto popolo che, grazie ai lorocontributi, non è più tanto misterio-so come poteva apparire molti annior sono. Anche gli argomenti trattati hannoallargato la loro visuale e sono uscitidalla cerchia delle mura dell’etrusca

Velzna, la romana Volsini, distruttanel 264 a.C., e che ha data luogoall’odierna Bolsena. Da qualcheanno, l’orizzonte si è ampliato primaalle vicine città etrusche comePerugia e Chiusi, poi si è parlato deivicini Falisci, quindi ci si è portati,ed è l’argomento del XIII Convegno,ai commerci che gli Etruschi ebberocon i popoli che si specchiavano sulMediterraneo, questo mare che haavuto un’importanza primaria fino aquando non è stato scoperto ilNuovo Mondo da Cristoforo

Colombo, nel 1492. Il volume, nel quale sono raccolti icontributi degli studiosi, che ognianno vengono chiamati per illustrareil tema che il Comitato scientificodella Fondazione “Claudio Faina”,presieduta dal professor PuglieseCarratelli, propone di trattare, hadato, anche questa volta, un quadropreciso di quello che gli Etruschi,con i loro scambi commercialihanno dato al progresso storico delmondo del tempo.

Franco Moretti

Frammenti di vita contadina

La memoria del tempo che fu nonpuò essere messa nel dimentica-

toio, considerato poi che la vita ita-liana negli ultimi cinquant’anni hafatto un balzo di qualità tale cheoggi se parliamo ai nostri figli o ainostri nipoti di come si viveva neltempo trascorso, il racconto potreb-be avere l’aspetto delle favole. A que-sto ha pensato Enzo Prudenzi, conquest’opera che ci piace segnalare eche dà uno stralcio della vita conta-dina che si svolgeva nei nostri campi

e nei paesi come Castel Giorgio.Una vita dura, segnata dall’operadell’uomo e scandita dalle stagioniche, se non erano buone, potevanocompromettere la vita e la sopravvi-venza di intere famiglie. Una vitafatta di fatica e di sudore, con conta-dini aiutati solamente dalle bestie,che subivano la stessa sorte dell’uo-mo. La semina, il raccolto, la mieti-tura, la trebbiatura, la vendemmia, laraccolta delle olive: questi gli impe-gni, che accompagnavano la fatica di

uomini e donne, i quali dovevanocontare sulle braccia di tutti;. vitedure, sostentate da una alimentazio-ne a base di legumi, con poche pos-sibilità di pietanze costose e preliba-te. Il volume è ricco di fotografie, cheillustrano bene la vita del tempo.Oltre a ciò, ci sono le testimonianzedel Renato Mattioni, Jader Jacobelli,Ennio De Sanctis.

Franco Moretti

Il Convento dei Cappuccini e padre Chiti

Studi di Etruscologia

L’Etruscologia è ormai una mate-ria divenuta familiare nella

nostra città, da quando la scuola diEtruscologia e Archeologia dell’ItaliaAntica, organizza corsi di perfeziona-mento per giovani etruscologi che,poi, pubblicano le loro tesi con lequali si approfondiscono i temi chevengono illustrati da studiosi difama come il prof. GiovannangeloCaporale, Ingrid Rowland,Francesco Roncalli, GiovanniRoncalli, Filippo Del Pino, per nonparlare il concittadino Giuseppe M.Della Fina, nella prima settimana. Nella seconda si sono alternati in

cattedra Francesco Buranelli, NadiaBorghi Farina, Silvio Paolucci,Simonetta Stopponi, GiuseppeSassanelli, Angelo Russo, GiuseppeM. Della Fina e Paolo Bruschetti. Ilvolume è il frutto delle lezioni diquesti illustri etruscologi, i qualihanno dato vita ad una approfonditaanalisi del problema riguardo a que-sto popolo antico della Penisola. Gliargomenti trattati sono dei più vari,ma tutti portano un contributo allaconoscenza sia della storiadell’Etruscologia che dell’arte dellaproduzione artigianale in Etruria.

Il Miracolo di Bolsena

Il Miracolo Eucaristico di Bolsena,avvenuto nel 1263, nella Chiesa di

Santa Cristina, raccolti in un volumea cura di Pietro Tamburini, sonomolti e cercano di mettere in eviden-za l’accaduto e la rinomanza cheebbe in quei tormentati momentistorici. Lo studio di Lucio Riccettidà il quadro preciso dell’evento,citando una sacra rappresentazione,che si teneva “ne la solennità dell’….del Corpo di Cristo” che fu raccoltanell’aprile del 1405 da Tramo diLeonardo disciplinato dallaConfraternita di San Francesco e cheora si trova nel codice miscellaneodenominato Laudanio Orvietano. Gli altri contributi sono di PierLuigi Leoni, tratta di Pietro da Praga

prima e dopo il Miracolo e quello diCarlo Tatta, che illustra il Miracolodi Bolsena e l’origine della festa delCorpus Domini. La parte riguardante il MiracoloEucaristico nell’arte è affidata allericerche di Maria Serlupi Crescenzi,che tratta delle pitture di Raffaellonelle Stanze Vaticane, mentre l’ico-nografia locale è affidata allo storicobolsenese Marcello Marini, autore diun libro, in cui viene trattato ilMiracolo di Bolsena. Il libro si com-pone di tre parti: nella fede, nellastoria, nell’arte e si apre con la pre-sentazione del vescovo diocesano,monsignor Giovanni Scanavino.

F. M.

Un altro tassello viene a completa-re la storia del nostro territorio.

Questo volume illustra infatti unmonumento che gli orvietani cono-scono di nome: il Convento deiCappuccini, nei dintorni della città.Un luogo onorato dalla presenza diun frate, che la Chiesa ha riconosciutoprima come beato poi come santo:San Crispino da Viterbo. Fra Crispinonacque a Viterbo il 13 novembre1668, ma visse in Orvieto per 38anni, dal 1709 al 1747, dove operòcome benefattore, in un’epoca in cui

le difficoltà sociali erano grandi ed ipoveri avevano bisogno di tutto. Oltrea San Crispino, un altro personaggio,che ha valorizzato il Convento fupadre Gianfranco Maria Chiti, ungenerale in pensione, che volle chiu-dere la sua vita come frate francesca-no, sistemando l’immobile e renden-dolo funzionale. La morte lo colse,dopo un incidente automobilistico aseguito di un malore, il 20 novembre2004. Le onoranze funebri si tenneronel Duomo di Orvieto, con la Messacelebrata dal Vescovo e dal Provinciale

Generale dei Cappuccini. La memoriadi quest’uomo, che ha voluto dedicarela parte ultima della sua esistenza,dopo aver servito la Patria come uffi-ciale superiore dei Granatieri diSardegna, al servizio spirituale, resteràimperitura nel ricordo di tutti. Il volu-me si chiude con una serie di fotogra-fie a cura di Glauco Provani e StefanoMorgantini, che illustrano la situazio-ne del Convento prima e dopo ilrestauro e le vicende di padre Chiti.

Franco Moretti

Page 23: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

23

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

S E G N A L A N O i L E T T O R I

I N C I T T À

Gentile Redazione

Come affezionato socio del Sodalizio, sottopongo un’idea che l’Istituto, qualora la ritenessemeritevole, potrebbe sviluppare in un articolato progetto da “sponsorizzare” nelle appropriate

sedi culturali, politiche e finanziarie.Come noto, sono iniziati, da parte di un imprenditore lombardo, i lavori di restauro delConvento della Trinità, nella cui Chiesa “dovrebbero” trovarsi due affreschi (la Gloria di S.Bernardino e la Vergine fra Santi) attribuiti ad Antonio da Viterbo, detto il Pastura, pittore vissu-to tra il Quattrocento e il Cinquecento; i lavori, stando alle notizie di stampa, dovrebbero conclu-dersi nel 2010.Il Pastura ha lasciato altre tracce significative nel territorio orvietano: gli affreschi nell’abside delDuomo e nella Chiesa di Sant’Antonio Abate; una Madonna con il Bambino, un San Sebastianoe una Lunetta con Eterno fra due angeli adoranti, esposti attualmente nelle sale del futuro Museodell’Opera del Duomo.Il restauro degli affreschi della Trinità potrebbe essere l’occasione per organizzare, insieme allacittà di Viterbo (città natale del Pastura, di cui conserva diverse testimonianze) e alle altre città

“etrusche”, una mostra dedicata alla pittura nella Tuscia nei secoli XIV e XV secolo, un tema che,se non erro, non è mai stato affrontato in maniera organica e completa.Comprendo perfettamente il significativo sforzo (organizzativo, scientifico-culturale, finanziario epolitico) che la mostra richiederebbe, ma sarebbe un modo “nobile” per legare Orvieto al territo-rio che le è più affine. In particolare, evidenzio che la mia idea è dettata soltanto da puro interesse culturale. Cordialmente.

A. M.

Lectio Dantis

Gentili Amici, per fortuna si stanno riscoprendo tante belle cose del passato. Non solo dipinti,sculture e quant’altro, ma anche opere letterarie, autori di grande valore. Dopo gli spettacoli

di Benigni su Dante, pare che la gente abbia rivalutato il Medioevo, il Trecento, la DivinaCommedia... Potrebbe essere un progetto interessante quello di organizzare delle serate per la let-tura dantesca nella nostra città. Avrebbe sicuramente seguito tra i giovani. Che cosa ne pensate?

P. M.

Il ritorno delle statue in DuomoII Convegno “Le Cattedrali.Segni delle radici cristiane in Europa”

Si è svolto nelle giornate di venerdì 16 e sabato 17 novembre il IIConvegno “Le Cattedrali. Segni delle radici cristiane in Europa”,

organizzato dall’Opera del Duomo e dalla Diocesi di Orvieto-Todi ededicato, quest’anno, al ciclo scultoreo degli Apostoli e dell’Annuncia-

zione nel Duomo di Orvieto. Nel corso della prima sessione, svoltasi - grazie alla disponibilità del “Centro Studi Città diOrvieto” - presso la chiesa intitolata proprio a uno dei primi discepoli di Cristo, San Giacomo Apostolo, ha avuto luogo lapresentazione del progetto di ricollocazione delle statue all’interno della Cattedrale, curato dal professor Vittorio FranchettiPardo, rappresentante del nuovo Comitato scientifico per il Museo dell’Opera e già membro della Commissione per lo stes-so Museo, presieduta dal professor Renato Bonelli. È poi proseguito presso il palazzo dell’Opera del Duomo il denso programma degli interventi volti ad approfondire e divul-gare la conoscenza di questo straordinario patrimonio artistico recentemente tornato alla luce e riscoperto anche dalla città.Le relazioni sono state le seguenti:VITTORIO FRANCHETTI PARDO Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Le molteplici “immagini” del Duomo di Orvieto: identità nella discontinuità RAFFAELE DAVANZO Una ipotesi critica di restauroMARGHERITA ROMANO Problematiche conservative del ciclo scultoreo degli Apostoli e dell’AnnunciazioneBEATRICE FRANCI Università degli Studi di SienaLe sculture di Simone e Francesco Mosca nel transetto del Duomo di OrvietoDONATELLA PEGAZZANO Università degli Studi di Firenze. Giambologna e Francavilla: dal modello all’opera finitaCLAUDIO PIZZORUSSO Università degli Studi di Siena. Giovanni Caccini DAVIDE GASPAROTTO Soprintendenza B.A.P. di Parma e Piacenza. Francesco Mochi nel Duomo di OrvietoALBERTO SATOLLI Istituto Storico Artistico Orvietano. Una recente scoperta nell’attività orvietana di Francesco MoscaMONIKA BUTZEK Kunsthistorisches Institut - Max Planck-Institut di Firenze. L’Annunciazione e gli Apostoli del duomo di SienaALESSANDRA MIGLIORATO Museo Regionale di Messina. Gli Apostoli del duomo di Messina. Giovanni Angelo Montorsoli

Se n’è andato Sergio ErciniIl 28 luglio si è spento a Roma, all’età di settantatre anni, Sergio Ercini, parlamentare europeo, presidente della

Commissione politica, membro della Commissione giuridica, nella Delegazione per le relazioni con il Giappone enella Commissione per i problemi economici e monetari e la politica industriale. Dopo la bufera di “mani pulite”,aderì al Ppi, interessandosi da vicino, in Consiglio Comunale, delle questioni della sua città d’origine. Per le EdizioniThyrus, realizzò “Il poeta, la morte e il giovane”, un’interessante pubblicazione sulla Fiume dannunziana. Una figuraschietta e moderata, quella di Sergio Ercini, rappresentante di quell’impegno cattolico aperto ai confronti costruttivi,che tanto ha contribuito alla crescita economica e civile del Paese. La Rupe lo ha recentemente ricordato, con l’iniziati-va del 28 ottobre scorso.

È scomparsa Zaira Marchesini, educatrice e poetessaAd ottantasei anni, se n’è andata Zaira Marchesini, l’indomita e solerte insegnate elementare, che anche dopo il pen-

sionamento ha dimostrato un attivismo sorprendente, rivolto alla riscoperta delle tradizioni locali, degli usi, delleculture del territorio. Quante significative produzioni poetiche, poi le opere in dialetto orvietano, le memorie del buonpassato delle campagne umbre. Una campionessa dell’orvietanità, Zaira Marchesini, pluripremiata per tante sue realiz-zazioni che ha giustamente ottenuto riconoscimenti critici, attestati di stima e l’affetto sentito di chi l’ha conosciuta edammirata per vitalità e simpatia.

Opera: cambio della guardiaInsediato il nuovo Consiglio dell’Opera del Duomo di Orvieto, così costituito: Presidente: avv. Francesco Venturi.Consiglieri: dott. Alessandro Attioli, dott. Andrea Bussi, prof. Giuseppe Maria Della Fina, rag. Cesare Perali, don Stefanocanonico Puri, ing. Stefano Stramaccioni.Dalla Redazione di Lettera Orvietana gli auguri di buon lavoro.

La città ricorda Vindicio BonaguraAveva raggiunto le vette della Magistratura, con un cursus honorum d’eccezione, divenendo procuratore generale

militare della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma e poi procuratore generale militare presso la Corte diCassazione. I suoi alti incarichi non avevano però minimamente intaccato il suo atteggiamento sobrio e la sua cordiali-tà. L’orvietano Vindicio Bonagura era un uomo di legge, colto ed appartato, misurato e prudente, dotato di una caricaumana fuori del comune, che esprimeva con elegante semplicità di modi. Insomma “poco giudice e poco militare”,come lo ricorda l’avvocato Cerulli, pacato e cauto osservatore del suo tempo.

XV Congresso Internazionaledi Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria

Il 23-24-25 novembre 2007, presso il Palazzo del Capitano del Popolo, si è svolto ilXV Congresso Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria, orga-

nizzato dalla Fondazione per il Museo “Claudio Faina”.Da sempre il Museo Faina si è impegnato affinché non fosse soltanto un luogo diraccolta di prestigiosi reperti in grado di documentare al meglio la civiltà etrusca, maanche un centro vivo di produzione di cultura.Fedele a questo impegno, numerose sono state negli anni trascorsi le iniziative presesul piano culturale e scientifico, e quella che sembra aver meglio centrato le finalitàche il Museo si era preposto sono stati i Convegni Internazionali di Studi che annual-mente si svolgono ad Orvieto, noti per la loro validità, per il valore e il prestigio deglistudiosi che vi partecipano e che ad essi danno vita. A monte di tale intensa attivitàculturale c’è l’autorevolezza del Comitato Scientifico della Fondazione Faina, compo-sto da professori titolari di cattedra nelle più prestigiose Università italiane e presiedu-to dal professor Giovanni Pugliese Carratelli. Il tema che è stato affrontato nelConvegno di quest’anno è “La colonizzazione etrusca in Italia”, tema che si ricollegaalle vicende più significative della storia del Mediterraneo nel I millennio a.C.Nelle ultime due edizioni erano stati presi in esame i rapporti tra Greci, Fenici,Cartaginesi ed Etruschi, quest’anno invece gli studiosi si sono concentrati sulla peni-sola italiana, volgendo un’attenzione particolare a due aree specifiche: la PianuraPadana e la Campania. La prima è quel distretto territoriale che fungeva da ponte tral’Etruria propria e i vasti territori dei Celti e che da ciò, insieme ad un’intensa e svi-luppata attività agricola, traeva il suo benessere, ben testimoniato anche di recentedagli scavi condotti dal professor Giuseppe Sassatelli (autorevole componente delComitato Scientifico) a Marzabotto, con il ritrovamento di un edificio templare dalledimensioni simili a quelli dei templi maggiori dell’Etruria meridionale. Accanto aquesta è stata presa in esame anche l’area del nord Italia, abitata da un altro popoloprotagonista della storia antica europea, i Celti.L’altra importante zona di espansione etrusca, la Campania, è un’area ricca di storia,ancora oggi testimone degli influssi greci, tanto da esserle stato dedicato con successoil XXVI Convegno di Studi Etruschi e Italici. In Campania scavi esemplari condottidal professor Bruno D’Agostino (altro componente autorevole del ComitatoScientifico) e dal professor Luca Cerchiai stanno ridisegnando il quadro dell’incon-tro/scontro tra Greci ed Etruschi che trovò proprio in quella Regione il suo luogoprivilegiato. Nell’occasione di questi tre giorni di cultura, è stato presentato il volumedegli Atti del XIV Convegno: di nuovo, con immediatezza, i risultati dei lavori con-gressuali del 2006 sono entrati nel dibattito scientifico; si tratta di un ulteriore contri-buto che la Fondazione Faina ha voluto offrire alla comunità degli studiosi e all’avan-zamento degli studi storici. Un volume imponente, di più di cinquecento pagine, chegià da solo testimonia l’impegno che è stato profuso nella sua realizzazione.Da ricordare la presenza e la partecipazione delle autorità cittadine, le quali hannocompreso ed apprezzato gli sforzi che la Fondazione Faina compie ogni giorno perincrementare la già vivace vita culturale della cittadina orvietana.Infine, un sentito ringraziamento va alla Commissione organizzatrice dellaFondazione Faina ed al suo Presidente, dottor Isidoro Galluccio.Questi i partecipanti e gli argomenti trattati:prof. Giovanni Pugliese Carratelli (Accademia Nazionale dei Lincei).prof. Giovannangelo Camporeale (Università degli Studi di Firenze): “Dalla prima alla secon-da colonizzazione etrusca”.prof. Giovanni Colonna (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”): “Etruschi e Umbri inVal Padana”. prof. Giuseppe Sassatelli (Università degli Studi di Bologna): “Gli Etruschi nella valle del Po.Riflessioni, problemi e prospettive di ricerca”.prof. Raffaele De Marinis (Università degli Studi di Milano): “Influssi della colonizzazioneetrusca di area padana su popoli e culture dei territori alpini e subalpini”.dott. Luigi Malnati (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e dellaLombardia) e prof. Armando Cherici: “Armati e tombe con armi nella società dell’Etruria pada-na”.prof.ssa Petra Amann (Università di Vienna): “Intorno al cippo II di Rubiera”.prof.ssa Patrizia Gastaldi (università di Napoli “L’Orientale”): “Modelli d’interazione tra lecittà dell’Etruria interna e il fenomeno della colonizzazione”.prof. Stefano Bruni (Università degli Studi di Ferrara): “Volterra e Fiesole nei fenomeni dicolonizzazione”.prof. Adriano Maggiani (Università degli Studi di Venezia): “Ai margini della colonizzazione:Etruschi e Veneti nel VI sec. a.C.”.dott. Roberto Macellari (Museo Civico Archeologico di Reggio Emilia): “Rapporti traEtruschi e mondo ligure”.prof. Luca Cerchiai (Università degli Studi di Salerno): “La Campania: i fenomeni di coloniz-zazione”.dott. Carmine Pellegrino (Università degli Studi di Salerno): “La variabilità onomastica aPontecagnano. Dinamiche dell’integrazione sociale in una comunità etrusca di frontiera”.

Irene Cucchiarini

Page 24: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Piazza Febei, 205018 ORVIETO (TR)Tel. e Fax 0763.391025

www.isao.it - [email protected]

ISTITUTO STORICO ARTISTICO ORVIETANO

La Provincia di Terni

sostiene le attività culturali

dell’Istituto Storico Artistico Orvietano

prestampastampaallestimento

via Cordelli Scossa, 8301025 Grotte di Castro (Viterbo)0763.796029 798177 fax [email protected]

T I P O G R A F I A C E C C A R E L L I

TIPOGRAFIA CECCARELLI

Page 25: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Gli archivi di età medievale, sisa, recano spesso i segni di

mutilazioni che nel corso deltempo ne hanno compromessol’integrità. Incuria, saccheggi, dis-persioni, selezioni volontarie sonosolo alcune delle ragioni di lacunedocumentarie più o meno rilevan-ti; ma il fuoco - neanche a dirlo - èstato ed è senz’altro il pericolo piùinsidioso. Certo è che di roghiaccidentali o dolosi è costellata lavita delle antiche carte. A Orvieto,ad esempio, la duecentesca“Cronaca del vescovo Ranerio”narra come, al tempo del vescovoIldebrando, a causa di una discor-dia insorta tra i canonici della cat-tedrale e il presule per via dellecelebrazioni liturgiche, un certoprete Ranerio “insaniscens, proiecitin fumum et combusit episcopaliainstrumenta”. Vera o presunta chesia la notizia, riportata da LuigiFumi nel Codice diplomatico, certoè che oggi dell’archivio vescovilemedioevale restano appena trecodici. Sorte analoga, sebbene in circo-stanze differenti, è toccata all’archi-vio storico del comune di Narni,andato perduto durante l’assediodell’estate del 1527 da parte deilanzichenecchi. Del tragico eventoresta memoria in un registro diRiformanze e nel racconto di unnotaio, Gregorio Risi, che appro-fitta per lamentare anche i dannisubiti dalle sue proprietà in questomodo: “I soldati si fermarono nellacittà per quindici giorni. E andan-dosene bruciarono circa ottantacase, tra le quali la mia […] e vale-va 500 ducati d’oro. E rubaronobeni mobili per un valore di oltreottocento ducati. Certo <fu> ungiorno diabolico e maledetto per lacittà di Narni”. Giorno infaustodavvero, perché di quei roghiancora paghiamo i danni: in quel-l’incendio venne distrutta nonsolo, tra le altre, la casa del poveroGregorio Risi, ma soprattutto ladocumentazione del comune, cheoggi avrebbe consentito di lumeg-giare meglio di quanto non siapossibile la storia bassomedievaledi Narni. Dell’archivio comunale restano uncerto numero di atti, che formanoil fondo Diplomatico, poche altrecarte e lo statuto revisionato nel1371, di cui si conservano, però,solo copie manoscritte di XVIsecolo e un testimone a stampa delXVIII secolo. Lo statuto, documento fondamen-tale per lo studio della vita di uncomune medievale, a Narni assu-me ancora maggior valore, poichéquasi unica fonte locale di riferi-mento per gli studi specialistici eper le ricerche condotte dai rappre-sentanti dei terzieri, che ogni annosi applicano con grande impegnoper preparare con rigore filologicole manifestazioni storiche in occa-sione dei festeggiamenti in onoredel santo patrono Giovenale.

Il titolo Narni e i suoi statutimedievali rinvia a un progetto pro-mosso e sostenuto dall’Ente Corsaall’Anello e dal Comune di Narnicon l’obiettivo di valorizzare ilpatrimonio documentario e diarricchire la storiografia narnese dinuovi contributi su diversi aspettidella vita della città medievale,anche in funzione dell’esigenza dimigliorare sempre più la qualitàdelle rievocazioni storiche annuali.Il piano prevedeva l’organizzazionedi un convegno, per delineare ilquadro storico di Narni in etàmedievale, e l’edizione critica deglistatuti. La proposta è stata accoltafavorevolmente e ha trovato la col-laborazione di altri istituti: ilCentro studi storici di Narni, ilCentro per il collegamento deglistudi medievali e umanistici inUmbria, che ha accettato di assu-mere l’organizzazione scientifica, ela Fondazione Centro italiano distudi sull’alto medioevo di Spoleto,che si è fatta carico della stampa. Il convegno si è tenuto a Narninella Rocca Albornoz il 14-15maggio 2005. A due anni da quel-l’incontro di studio sono statipubblicati e presentati gli Atti, chehanno segnato la conclusione dellaprima fase del progetto. Il volumesi apre con un quadro delle vicen-de urbanistiche che hanno interes-sato la città nei secoli dell’altomedioevo e che hanno influenzatolo sviluppo della città comunale(Letizia Ermini Pani). Di seguito,sono analizzati due casi particolari:l’area della chiesa di S. MariaImpensole (Roberto Nini) e quelladi un isolato residenziale prossimoalla Piazza dei Priori (GiuseppePacciaroni), ed è presentata un’ipo-tesi di localizzazione del teatroromano (Roberto Nini, GiuseppePacciaroni). Le acquisizioni incampo archeologico si accompa-gnano all’analisi di aspetti topo-grafici e di cultura materiale tratarda antichità e alto medioevo,nell’area compresa tra la bassa valledel Nera e la media valle del Tevere(Stefano Del Lungo, Paola Carità).I contributi successivi affrontanotematiche di storia politica e istitu-zionale, di agiografia, di storia eco-nomico-sociale e religiosa nel bassomedioevo. Da una riflessione sullapresenza della potente abbazia diFarfa sul territorio narnese (BrunoMarone), si passa all’esame dellosviluppo politico-istituzionale dellacittà nell’arco cronologico compre-so tra il pontificato di InnocenzoIII e quello di Innocenzo VI, cheequivale a dire la legazione in Italiadel cardinale Gil Albornoz (con-dotto da chi scrive), e all’analisi deltesto normativo narnese, conside-rato nell’ambito della legislazionedello Stato della Chiesa nel XIVsecolo (Maria Grazia NicoOttaviani). Prosegue, nell’ordine:la trattazione di temi agiograficirelativi al culto dei santi Cassio eGiovenale (Eugenio Susi), una

riflessione su momenti di vita eco-nomica e sociale sviluppata princi-palmente sulla base dei protocollinotarili (Paolo Pellegrini), e infinela disamina di problematiche con-nesse alle vicende degli insedia-menti monastici e della produzio-ne di scritture (MassimilianoBassetti) e delle fondazioni mendi-canti e della vita religiosa (LetiziaPellegrini).

In buona sostanza, il volume offreun ampio quadro storico nel qualesi inserisce la redazione del 1371degli statuti, di prossima pubblica-zione. Il lavoro sui testi normativinarnesi si colloca nell’ambito di unrinnovato interesse storiograficoper questo tipo di fonte e di unricco e vivace panorama editorialea livello nazionale, in cui l’Umbriaricopre senz’altro un ruolo diprimo piano. Qualche tempo faEnrico Menestò ricordava in pro-posito che “la conoscenza e la valo-rizzazione del patrimonio statuta-rio edito e inedito costituiscono[…] uno degli aspetti più significa-tivi di tutta la politica culturale,accademica e non della nostraregione”. L’Umbria si è propostacome modello da seguire per ilcensimento, la catalogazione e l’e-dizione degli statuti medievali findal 1983, nel corso di un conve-gno organizzato dalla RegioneLombardia e dall’Amministrazioneprovinciale di Bergamo. Propriodurante quell’incontro fu presenta-to il piano di indagine che si stavaavviando sugli statuti comunali,che ha prodotto il preziosoRepertorio degli statuti comunaliumbri curato da Patrizia Bianciardie Maria Grazia Nico Ottaviani. Daallora i lavori su questa fonte sisono moltiplicati, diffusi da piùsedi editoriali, tra le quali si ricor-dano: la Regione dell’Umbria, laSoprintendenza archivistica, laDeputazione di Storia Patria perl’Umbria e il Centro per il collega-mento degli studi medievali eumanistici, tramite la collana pub-blicata dalla Fondazione Centroitaliano di studi sull’alto medioevodi Spoleto. Entro il prossimo anno,anche gli statuti di Narni potrannofigurare accanto ai molti testi giàediti.

Laura Andreani

Narni e i suoi statuti medievali. Attidel Convegno di studio (Narni, 14-15maggio 2005), a cura di LauraAndreani, Letizia Ermini Pani,Enrico Menestò, Spoleto,Fondazione Centro italiano di studisull’alto medioevo, 2007 (Quadernidel “Centro per il collegamentodegli studi medievali e umanistici inUmbria”, 47)

Gli statuti di NarniEditi gli Atti del Convegno del maggio 2005

Alberto Satolli. Per la laurea di Francesco inArcheologia Medievale. Orvieto, Aprile 2007

Orvieto & il suo doppio

Alberto Satolli è uno storico di livello che ha rinverdito gli studiriguardanti la nostra storia dopo i grandi cultori Otto-Novecenteschi,

come Luigi Fumi, Pericle Perali, Geralberto Buccolini. Le sue ricerche suOrvieto Medievale sono note a tutti e non è il caso di ricordarle. Moltedelle sue ricerche sono state pubblicate sul Bollettino del nostro Istitutocome i Calirei orvietani, Il palazzo del Popolo e i suoi restauri, Quel benedetto Duomo e lo studio sulla Chiesa di Sant’Agostino. Ma non si è fer-mato al Medioevo, l’opera che segnaliamo, ricca di documentazione foto-grafica, riguarda il Seicento, un momento in cui Orvieto, dopo i fasti delcomune medievale, chiusosi con la cacciata di Gentile e ArrigoMonaldeschi nel 1499, diviene una città anonima dello Stato Pontificio.Ha inizio con un capitolo intitolato: Uomini e Tipi, in cui si parla diEnea Vaini, nominato da Urbano VIII, il primo giugno 1630, governato-re della città di Orvieto che, nell’organizzazione amministrativa delloStato pontificio, aveva il privilegio di essere tra i giovani prelati. Il Vainirestò in carica fino al maggio 1631 e ripartì da Orvieto il giorno 27 dellostesso mese per raggiungere Fermo. L’autore a questo punto mette in rela-zione il testo del Vaini, un manoscritto conservato nella BibliotecaApostolica Vaticana con il titolo: Relazione di Orvieto 1631, diligente-mente completata a conclusione del suo mandato con l’atto che vide laluce a stampa e per i tipi di Ludovico Grignani nel 1636, con il titolo di“Breve descrittione della città di Orvieto a cura di Giacomo Lauro”. Le dueopere mettono in scena vari personaggi, quasi esclusivamente dell’appara-to statale e ad essi collegati operanti nel quarto decennio del Seicentonella città di Orvieto. L’opera è complessa e vasta e da un quadro precisodi come questi due autori illustrano la città in questo periodo e non soloperché giunge fino all’Ottocento, con l’illustrazione fotografica di ritrattie statue che decoravano i palazzi orvietani. La fatica di Alberto Satolli ciha dato uno squarcio assai documentato di un periodo di storia che perOrvieto è stato poco studiato.

Le emozioni della crescita

Finalmente un libro di carattere, scientificamente esaustivo e allo stessotempo in grado di divulgare concetti in modo comprensibile; final-

mente un libro che sa parlare di educazione. La “spina dorsale pedagogi-ca” di noi genitori si raddrizza sotto i colpi di ogni capitolo, dove esempie concetti si fondono a semplificare gli argomenti per farci capire. La stessa cronologia segnalata nell’indice suggerisce un percorso completodi cui tutti siamo in grado di riconoscere o intuire le tappe, ma c’è di più;i segnali indicano la strada per la soluzione di problemi angoscianti chepesano sull’infanzia, sull’adolescenza, sulla genitorialità.“Tu chiamale se vuoi emozioni…” troppo facile il gioco di parole? Cosasono in realtà e quali sono le emozioni da recuperare in una società chesclerotizza ogni attimo o che sacrifica gli affetti al mondo che corre; fer-miamoci e riattiviamo il contatto con il nostro futuro, con i nostri figli.Seguiamo il libro e con la strategia che suggerisce combattiamo. Masoprattutto mettiamo da parte complessi di colpa inutili e dannosi e via,verso quell’educazione autorevole, capace di coinvolgere, di stabilire rego-le e interpretare il segno dei tempi. Eccoci allora a recuperare il confinetra ansie e aspettative affievolito dall’incedere di una globalizzazione capa-ce di generalizzare anche i sentimenti. Eccoci a prendere coscienza final-mente della vera intelligenza emotiva.Già che ci siete, fate un salto alla voce “neuroni-specchio” per capirequanto sia importante il comportamento, ma già l’intenzione, in ambitoeducativo. Il libro dunque si fa carico di spiegare anche le ultime scopertedelle neuroscienze e in modo accattivante, con linguaggio semplice, riescea coniugarle con le strategie pedagogiche più opportune.

Potreste infine provare la sensazione strana di finire tra gli esempi negativiin una delle pagine, non preoccupatevi è tutto compreso e il rimedio ènelle pagine seguenti e comunque il libro ad esso rimanda. Lo sconfortonon è compreso nel prezzo. Se provate sconforto, sappiate che è il sovrap-prezzo che pagate per non aver capito questo bellissimo libro eppure... èpur sempre un inizio; anche lo sconforto è un’emozione!

Carlo Cagnucci

La scomparsa del dott. Andreani

La città è rimasta colpita. Con la scomparsa del dott. Andreani, se neva una figura ammirevole del secolo scorso cittadino. Non era soltan-

to un conosciuto ed apprezzato professionista, uno di quei medici cheuniva le competenze professionali ad innate doti umane, che comprende-va i bisogni dei sofferenti, che offriva conforto. Nell’Istituto si distinse perindomito attivismo, in particolare come presidente della Sezione “Amicidella Musica”, dimostrando coraggiosa determinazione nel perseguire altiintenti culturali. In quegli anni fervorosi, s’adoperò per l’incentivazionedi manifestazioni ed incontri. Tanti i concerti realizzati dal sodalizio cul-turale per interessamento del dott. Andreani, iniziative seguite, di sicuralevatura, che davano lustro all’immagine del centro umbro. Una testimo-nianza cittadina che merita rispettosa gratitudine.

Page 26: IMP. lettera orvietana n - isao.it · sorretta da consulenti esterni. Un’iniziativa di Carlo Perali. Coordinamento di Francesco M. Della Ciana. Edizioni Marsili Orvieto. ... tista

Lettera OrvietanaN. 21-22 aprile 2008

Perché questo libro?Penso che tutti noi, dopo aver fattoun viaggio in paesi lontani, abbiamotante cose da dire. Per quanto miriguarda, avendo vissuto tanti annicon i cinesi, e visto che proprio loroportano via il lavoro alle nostreindustrie occidentali, arrivandoanche a farle chiudere, ho pensatosia importante dare qualche infor-mazione un po’ più approfondita sulloro conto.

Che cosa rappresenta per Lei laRupe?Vivendoci solo pochi giorni all’anno,mi mancano molto i suoi scorci e lasua gente, che sa vivere felice anchein un luogo che non offre moltediversità, soprattutto per i giovani.Nel mio libro faccio spesso riferi-mento alla Rupe, paragondola a luo-ghi che in qualche modo hannoqualche similitudine con essa. Tantoper fare qualche esempio, potrei cita-re le Grotte dei Budda di Datong :ecco che cosa ho scritto a pagina226 del libro : “Quando arrivammodavanti al luogo sacro di Datong, ciòche videro i nostri occhi, ci lasciòsenza fiato. Migliaia di statue colorate scolpitenella roccia, rappresentavano le lorodivinità. Ospitate in apposite nicchie,tappezzavano un’intera parete roccio-sa. Altre, dalle misure gigantesche, tro-neggiavano solenni all’interno di grot-te misteriose. Il tutto creava un’atmo-sfera ricca di suggestioni e di profondaspiritualità. Quella meravigliosa opera millenariaabilmente scolpita nella roccia, erastata creata partendo da un piccoloforo posto alla sommità della rocciastessa. Man mano che gli scultoripenetravano all’interno della rocciaper dar forma alle statue, allo stessotempo, modellavano le grotte destinatead accoglierle. Quell’impressionante capolavoro fattoda mani esperte di tempi remoti, mifece venire in mente il pozzo di SanPatrizio della mia Orvieto, scavatoanch’esso nella roccia con una tecnicaalquanto simile. Quelle sacre sculture dovevano forserestare invisibili agli occhi dei visitato-ri, poi, col passare del tempo, il degra-damento naturale della parete rocciosache faceva da guscio protettivo, harivelato al mondo la bellezza inesti-mabile di quei capolavori.Le sculture sacre di Datong, alcuneminuscole come francobolli, altre gran-di come palazzi, rappresentano unadelle testimonianze più raffinate del-l’antica arte cinese.” Un altro paragone con il bellissimo

Duomo di Orvieto l’ho fatto nelvisitare l’impressionante foresta diMuir Wood, situata a Nord di SanFrancisco, in California. Trovandomi

tra quelle millenarie sequoie gigante-sche slanciate verso l’alto, ho provatoun piacevole senso di avvicinamentoal mio Duomo, ho scritto a pagina66 del libro: “Vivendo in Canada, ilmio lavoro mi porta a fare frequentiviaggi negli Stati Uniti. In California,quando mi trovo dalle parti di SanFrancisco, visito volentieri il parconazionale di “ Muir Wood ” unaimpressionante foresta, ricca di impo-nenti sequoie millenarie. Sebbene si tratti di un luogo suggestivoche piace anche ai miei familiari, ilmio interesse verso quell’antico parconaturale, a volte, viene giudicato fintroppo eccessivo. Quegli alberi secolari slanciati verso ilcielo, mi fanno provare due sensazionicontrapposte: una, dal sapore deitempi moderni, l’altra, di quelli anti-chi. La prima, mi da’ l’impressione di esse-re in un centro spaziale americano, inmezzo a tanti missili giganteschi pron-ti per essere lanciati nello spazio; laseconda sensazione, che e’ anche quellapiù bella, mi fa invece sentire in unluogo antico, dove, gigantesche catte-drali slanciate verso l’alto, mi fannoprovare emozioni dal magico profumodi cose antiche, quelle cose a me tantocare. Avendo avuto la fortuna di nascere inun luogo ricco di storia millenaria,ritrovarsi a vivere in un mondo dovetutto è nuovo, non è facile accettarel’idea che le cose antiche possano averesolo una decina di anni! Del resto, anche questo, è a suo modo,un sacrificio imposto dal viaggiare!

Un ulteriore paragone con la miaOrvieto l’ho fatto descrivendo leinterazioni sociali delle metropoli delmondo. A pagina 67 ho scritto:“Avendo vissuto nelle metropoli tra lepiù grandi del mondo, ho notato che ibambini che ci vivono vengono inqualche modo penalizzati nelle lorointerazioni sociali. In queste immensecittà, è impensabile che i figli di unmanager, di un avvocato o di unmedico, possano giocare con quelli diuna cameriera, di un postino o di unoperaio. Questo perché le famiglie“benestanti”, con questa forma di raz-zismo, intendono difendere la propriaposizione sociale che certi definiscono“dignitosa”.Ad Orvieto, questo atteggiamento èdel tutto sconosciuto. Infatti, nella miacittadina, come in molti altri borghiitaliani, il rispetto verso gli altri èparte integrante di un tessuto socialedove tutti i bambini possono cresceresenza trascinarsi dietro certi stupidipregiudizi.

A proposito del rispetto verso gli altri,in Nord America sono rimasto sorpresonel vedere la gente che si saluta per

strada dicendosi:“ Hi! ”, questo avvie-ne anche senza conoscersi affatto! Inizialmente ho pensato che fosse unaprogredita forma di rispetto; invece,quell’hi, buttato giù come uno starnu-to, in realtà, non da’ seguito a nessunaltra forma di saluto. Anzi, una voltadetto “hi!”, la gente si affretta, comevolesse evitare il dialogo. Per questo,anche se può sembrare strano, capitache in città grandi come Los Angeles,si passano intere giornate senza riusci-re a parlare con nessuno, anche se perassurdo, tutti si salutano. In Italia, anche il saluto ha un valorediverso. Come è nostra abitudine, disolito, noi italiani salutiamo chi siconosce realmente. Per questo, il nostroè un saluto sincero. A conferma diquanto detto, da noi è ancora vival’usanza della passeggiata serale sulcorso principale, importante luogod’incontro dei borghi italiani.”

Quali sono i motivi che L’hannoportata ad allontanarsi da unluogo che afferma di amare tanto?Come prima risposta citerei quantosi trova a pagina 63 del mio libro: “Decidere di lasciare la propria casa,gli amici e le cose più care, e andare alavorare in paesi lontani, è una mis-sione che richiede grandi sacrifici. Nonè facile sostituire il proprio mondo conmondi ignoti, farlo, non è alla portatadi tutti! Vivendo con altri popoli si apprendo-no tante cose e tra queste, l’arte delrispetto verso le altre culture. Saperviaggiare, vuol anche dire saper assi-milare gli aspetti migliori che ogniluogo sa offrire. Vivendo in contestisociali diversi, è bello riuscire a condi-videre nuove emozioni anche con genteche non si conosce! Quando si lavora in paesi lontani, siviene indirettamente condizionatidallo stile di vita, tipico della culturacon cui si è venuti a contatto.

I viaggi insegnano ad essere più tolle-ranti e aiutano soprattutto ad elimi-nare certi stupidi pregiudizi. Chi viveradicato in un luogo, ha il vantaggiodi poter instaurare legami più stabili eduraturi di chi viaggia molto; tutta-via, anche nelle amicizie che potrebbe-ro sembrare effimere, possono crearsirelazioni cariche di rispetto verso glialtri. Molte scelte fatte da adulti hanno unaloro origine inconscia che parte addi-rittura dalla nostra infanzia.”

Partire non vuol dire voler lasciare lapropria casa, gli amici e i luoghi cari,bensì voler fare esperienze diversecon altri popoli del nostro pianeta.Quando si è giovani studenti, a voltenon ci si rende nemmeno conto diche cosa può significare intraprende-re un tipo di studi. Certamente chi

preferisce un lavoro stazionario opte-rà per fare il dentista, l’avvocato oaltri lavori che non richiedono grossispostamenti. Ma quando si fannocerte scelte , allora viaggiare diventauna necessità professionale. E’ anchevero che le scelte fatte da giovani sipossono sempre cambiare, ma nonsempre e’ possibile farlo. L’Italia nonè solo un bel Paese ricco di storia edi bei monumenti, e’ anche uno deiPaesi più industrializzati del mondo.Chi si incanala su certi tipi di studiche hanno a che fare con il mondoindustriale e con i rapporti interna-zionali, allora dovrà certamente viag-giare. Chi lascia per motivi profes-sionali il proprio tetto natio, e inItalia a farlo siamo in milioni, nonlo fa perché vuole lasciare , bensìperché deve partire!

La Rupe quanto ha inciso sullaSua scelta di vita?Anche se non saprei quantificarlo,sicuramente il posto natio ha parec-chia influenza sul proprio destino.Personalmente mi ritengo fortunatodi aver avuto come punto di riferi-mento un luogo meraviglioso comela Rupe. A proposito di punti diriferimento, a pagina 62 del libroho scritto: Ammetto che da giovane davo pocaimportanza alle radici, oggi, invece,sono più che mai convinto che siaindispensabile avere un valido punto di riferimento su cuiradicare la propria identità. Viaggiando, ho potuto conoscere abi-tudini e stili di vita profondamentediversi da quella a cui ero abituato.Averlo fatto, mi ha permesso di accumulare numerose esperienze, resepossibili dalla certezza di avere nellacultura del mio paese, e nei luoghidove sono nato e cresciuto prima di diventare cittadino delmondo, quel valido punto di riferi-mento dove poter tornare, anche solocon il pensiero. Quando ero distante migliaia di chilo-metri da casa, come per magia, sentivoil richiamo della mia terra, accompa-gnato dai molti affetti che viavevo lasciato.

In questo mondo tendenzialmentesempre più globalizzato, si va affer-mando l’emergere di un fenomeno che

è quello delle identità multiple; i miei figli ne sono un tipico esempio!Dopo essere nati negli Stati Uniti,hanno frequentato le scuole di treContinenti: Asia, Europa e NordAmerica. Prima di lasciare Hong Kong, io emia moglie eravamo preoccupati per-ché pensavamo che fare continui spo-stamenti oltre oceano, avrebbe causatouna qualche crisi di identità ai

nostri figli. Invece, giunti a Orvieto,con piacevole sorpresa, abbiamo con-statato che i nostri ragazzi si sono sen-titi subito a casa loro. Non sapreiquantificare quanto possa essereimportante per una persona la cittàdove si è nati e cresciuti; ma, avendo constatato che i miei figli condividonocon me quelle stesse radici che sonostate da sempre la base del mio benes-sere interiore, mi riempie di gioia.

Il Suo libro tratta di molti argo-menti riguardo alle culture orien-tali. Sarebbe interessante per Leiriprovare certe emozioni?R. Direi certamente di si! Se nonaltro perché è un popolo molto inte-ressante e di antiche culture, poi per-ché, senza fare esperienze dirette,difficilmente si riuscirebbe a capirela cultura di un popolo che si trovadistante migliaia di chilometri.

Dopo aver viaggiato in tutto ilmondo, cosa consiglierebbe ad ungiovane delle Sue zone?Chi nasce dove sono nato io è già diper sé fortunato! A parte questo,avendo radici che provengono daglietruschi, dai romani e da popoli digrande cultura e raffinatezza, cosachiedere di meglio? Detto ciò, a ungiovane che vive sulla Rupe, consi-glierei di studiare, studiare e studia-re, poi, alla prima occasione, andarea visitare Paesi lontani, cercando diapprendere sempre qualcosa dinuovo da popoli con culture diverse.Poterlo fare, penso sia una bellissimaesperienza, che vale la pena di prova-re.

Possiamo pensare ad un seguito?Forse, al momento cerco di dedicareil mio tempo alla famiglia e al miobusiness, come si usa dire. Poi sivedrà.

Le riflessioni di un “missionario industriale” in Oriente

La Cina di Aldo MonachiniL’orvietano Aldo Monachini ha girato per lavoro mezzo mondo, vivendo le più disparateesperienze soprattutto in Asia. Ha superato Marco Polo, stando in Cina per oltre due decen-ni, si è dilettato ad osservare e considerare usi e costumi, tradizioni e caratteristiche sociali dipopoli molti diversi dal nostro, non ha mancato di tracciare bilanci ironici e puntuali dellesue avventure in terre lontane e cariche di contraddizioni, almeno apparenti. Di ritorno daisuoi viaggi di affari, ha realizzato “Un Missionario Industriale… in Cina”, resoconto diaristi-co e romanzato di quanto occorsogli in Oriente. Adesso il dottor Monachini vive in Canada,A Vancouver, con la sua famiglia.Sentiamo le sue riflessioni.

I nuovi soci corrispondenti

Su indicazione del Consiglio Direttivo (art. 6 dello Statuto), sonostati nominati i nuovi soci corrispondenti, appartenenti al mondo

accademico, della ricerca, della cultura del Paese.Eccone l’elenco, con un brevissimo profilo biografico:

- prof. Girolamo Arnaldi, emerito all’Università degli Studi diRoma “La Sapienza”, accademico dei Lincei, sino al 2001 presi-dente dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, medagliad’oro della Scienza e Cultura 1998 Presidenza della RepubblicaItaliana;

- prof. Giovannangelo Camporeale, ordinario di Etruscologia eArcheologia Italica all’Università degli Studi di Firenze, presiden-te dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici;

- prof. Enrico Menestò, ordinario di Letteratura Latina Medievaleall’Università degli Studi di Perugia, presidente dell’AccademiaTudertina-Centro Italiano di Studi sul Basso Medioevo, vice pre-sidente della Società Internazionale di Studi Francescani di Assisi;

- prof. Mario Squadroni, soprintendente archivistico perl’Umbria;

- prof.ssa Simonetta Stopponi, ordinario di Etruscologia eArcheologia Italica all’Università degli Studi di Macerata;

- prof. Bruno Toscano, emerito all’Università degli Studi di Roma3, accademico di S. Luca, medaglia d’oro della Scienza e Cultura2003 Presidenza della Repubblica Italiana.