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quaderni

italiani

di musicoterapia

A.N.F.F.A.S.

sezione di Genova

Associazione Professionale

Italiana Musicoterapeuti

www.psmusic.com/apim.htm

Malattia di Alzheimere terapia musicale

L’utilizzo dellaMusicoterapianell’AIDS

L’interventoMusicoterapico nella riabilitazzione di pazienti post comatosi

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musica & terapianumero

1direttore editoriale

Gerardo Manarolo

comitato di redazioneClaudio Bonanomi

Massimo Borghesi Ferruccio Demaestri

Agostino Pigna Alfredo Raglio

Andrea Ricciotti

segreteria di redazioneFerruccio Demaestri

comitato scientificoRolando O. Benenzon

Università San Salvador, Buenos Aires, Argentina

Leslie Bunt Università di Bristol,

Gran Bretagna

Giovanni Del PuenteSez. di Musicoterapia, Dip. di Scienze Psichiatriche

Università di Genova

Gian Luigi di FrancoDocente a contratto, Università di Napoli

Denis GaitaPsichiatra, Psicoanalista, Milano

Roberta GattiDirettore Sanitario A.N.F.F.A.S., Sez. di Genova

Franco GibertiPsichiatra, Psicoanalista,

Università di Genova

Edith Lecourt Università Parigi V, Sorbonne, Francia

Giandomenico MontinariPsichiatra, Psicoterapeuta, Genova

Pier Luigi Postacchini Psichiatra, Neuropsichiatra

Infantile, Psicoterapeuta, Bologna

Oskar SchindlerOrdinario di Foniatria,

Università di Torino

Frauke SchwaiblmairIstituto di Pediatria Sociale

e Medicina Infantile, Università di Monaco, Germania S

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pag 1Editoriale

pag 2Malattia di Alzheimer eTerapia MusicaleGiuseppe Porzionato

pag 10L’utilizzo dellaMusicoterapia nell’AIDSAndrea Ricciotti

pag 22L’intervento musicoterapiconella riabilitazione deipazienti post-comatosiRita Meschini

pag 27Musicoterapia e demenza senileFrancesco Delicato

pag 39Musicoterapia e AIDSRoberto Ghiozzi

pag 46Musicoterapia in unServizio Residenziale persoggetti AlzheimerManuela Picozzi, Denis Gaita, LiaRedaelli

pag 50Recensioni

pag 52Notiziario

pag 56Articoli pubblicatisui numeri precedenti

pag 58Norme redazionali

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mar

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1numero

Edizioni CosmopolisCorso Peschiera 320

10139 Torino011 710209

progetto grafico

Harta Design, Genova

Paola Grassi

Roberto Rossini

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Musica et Terapia si presenta con una nuova veste e con

un maggior numero di pagine. Rimane invariata la fre-

quenza semestrale. Ci auguriamo che questo rinnovamen-

to sia seguito da una crescente diffusione della nostra

rivista, da nuove collaborazioni e da sempre più qualifica-

ti contributi teorici ed esperienziali.

Il primo numero del 2000 ospita parte delle relazioni pre-

sentate all'ultimo seminario Apim "L’estremo Musico-

terapico", tenutosi a Rimini il 15-16 Maggio ‘99 (la rela-

zione del Dr. Scarso e del Dr. Emanuelli “La stimolazione

sonoro-musicale in pazienti in stato di coma post trau-

matico” è stata pubblicata in "Musicoterapia, metodolo-

gie, ricerche cliniche, interventi", Centro Scientifico

Editore, mentre quella del Dr. Maranto “La musica allunga

la vita?” è apparsa in Musica et Terapia, VII (1),1999).

I quaderni si aprono con la relazione di Giuseppe

Porzionato che dopo aver illustrato le ipotesi eziopatoge-

netiche del Morbo di Alzheimer, le principali manifesta-

zioni cliniche e le modalità di trattamento, evidenzia

potenzialità e prospettive dell'approccio musicoterapico.

Andrea Ricciotti affronta poi il tema dell' A.I.D.S.

Nel suo contributo, coinvolgente e ricco di rimandi lette-

rari, precisa come la musicoterapia possa svolgere una

funzione preventiva (terziaria) migliorando le condizioni

intrapsichiche ed extrapsichiche del pz; la musica e le

relazioni che si possono instaurare con essa e attraverso di

essa rievocano affetti, desideri, ricordi. Queste presenze

nostalgiche possono connotarsi di valenze consolatorie.

Un diverso ambito clinico, anch'esso però situato tra la

vita e la morte, è affrontato da Rita Meschini. Il suo arti-

colo descrive infatti un'esperienza condotta con pazienti

post-comatosi. Francesco Delicati torna a trattare la

Malattia di Alzheimer, illustrando un'interessante ricerca

(condotta in collaborazione con l'Associazione Malati

Alzheimer e Telefono Alzheimer e l'Istituto di Gerontologia

e Geriatria, diretto dal Prof. Umberto Senin), mentre

Roberto Ghiozzi ci parla della sua esperienza "in prima

linea" con pazienti sieropositivi e in A.I.D.S. conclamato.

L'intensità delle sue descrizioni cliniche si commenta da

sola. L'ultimo contributo, di Manuela Picozzi, Denis Gaita

e Lia Redaelli presenta le possibili applicazioni di un test

proiettivo di tipo musicale (il Melotest) in ambito geriatrico.

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LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Introduzione e storiaLa malattia (o morbo) di Alzheimer è una gra-duale degenerazione dei neuroni cerebrali.Assieme alla malattia di Pick (che è caratterizza-ta da una prevalente atrofia a livello dei lobifrontali e dei poli temporali) è classificata nellacategoria delle demenze primitive che si distin-guono, a loro volta, dalla più ampia categoriadelle demenze secondarie, di cui fanno parte, trale altre il morbo di Parkinson e il morbo diCreutzfeldt-Jacob (l’ormai famoso morbo dellamucca pazza).A differenza della vecchia distinzione tra unaforma presenile e una senile della malattia, oggisi tende a distinguere due tipi della malattia diAlzheimer: il primo è osservabile dopo i 70 annied è caratterizzato da un declino cognitivo menograve e con minori alterazioni biochimiche delsecondo tipo, a insorgenza più precoce, mamolto più devastante (Amaducci, Bruno, Lippi,1990).La malattia di Alzheimer è stata descritta per laprima volta dal neuropatologo e neuropsichiatratedesco Alois Alzheimer [1864-1915] che, all’au-topsia, riscontrò nel cervello di una donna di 52anni affetta da una grave forma di demenzaoltre a numerose placche senili, già note ai neu-ropatologi del tempo, anche una degenerazionedi neurofilamenti (proteine che, assieme aimicrotubuli e ai microfilamenti, concorrono aformare il citoscheletro dei neuroni).Ai tempi di Alzheimer la malattia era abbastanzarara, ma con il prolungamento della vita e conl’avvento di metodi diagnostici più sofisticatioggi si calcola che le demenze, in generale, col-piscano fino al 10 per cento della popolazionesopra i 65 anni e il 30 per cento della popolazio-ne sopra gli 80 anni. Di esse, la malattia diAlzheimer è responsabile di circa il 50-70 percento dei casi.

La malattia

(o morbo)

di Alzheimer

è una graduale

degenerazione

dei neuroni

cerebrali. Assieme

alla malattia di

Pick (che è

caratterizzata

da una prevalente

atrofia a livello

dei lobi frontali

e dei poli

temporali)

è classificata

nella categoria

delle demenze

primitive

Malattia di Alzheimer e terapia musicale

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gale e si sentono perse-guitati.Circa il 25 per cento deipazienti con malattiadi Alzheimer hannoallucinazioni, solita-mente di tipo visivo, e

nel 40 per cento dei casi manifestano ansia edepressione. Quest’ultima può essere difficilmen-te distinta dalla stato di apatia connesso diretta-mente con la malattia. Altri ricercatori (Gormley,Rizwan, Lovestone, 1997) hanno dimostrato chele idee deliranti connesse con la malattia rendo-no questi pazienti particolarmente aggressivi.

Ipotesi eziologicheAttualmente, la maggior parte delle ricerchesulla malattia di Alzheimer si basa su sei diversimodelli, e questo la dice lunga su quanto siconosce sulla sua eziologia. Riassumendo l’espo-sizione che ne fa Wurtman (1985), il primo è ilmodello genetico. Si è notato che in alcunefamiglie l’incidenza della malattia di Alzheimer èinsolitamente elevata. Una tipica malattia gene-tica è dovuta a un errore del metabolismo oppu-re a una anomalia cromosomica. Questo modelloè sostenuto dal fatto che quasi tutte le personeaffette da sindrome di Down sono colpite, attor-no ai 40 anni, dalla malattia di Alzheimer. Controil modello, invece, sta il fatto che non sono statiancora identificati né una proteina anomala néun cromosoma alterato.Il secondo è il modello della proteine anomale.Dal punto di vista anatomopatologico la malattiadi Alzheimer è associata a tre strutture proteicheanomale: a) la degenerazione neurofibrillare nelcitoscheletro dei neuroni; b) un abnorme accu-mulo nel tessuto nervoso di masse ricche di pro-teine chiamate sostanza amiloide, quest’ultima èpresente in grande quantità nel cervello di sog-getti con malattia di Alzheimer e si evidenzia ocome deposito all’interno dei vasi sanguigni

Aspetti del declinocognitivoNella progressione dellamalattia di Alzheimer sipossono riconoscere trefasi. Inizialmente si haperdita di memoria,soprattutto quella a breve termine, e dell’orien-tamento. In questa prima frase, che dura due-treanni, i pazienti cominciano ad avere probleminell’eseguire le normali azioni della vita quoti-diana: non si ricordano se hanno chiuso il gas ose hanno chiuso a chiave la porta di casa; hannoqualche problema a vestirsi e a cucinare; fannofatica a nominare gli oggetti familiari, a trovarela parola giusta e a fare i conti. Nonostante ciòcontinuano a stare bene e non manifestano alte-razioni neurologiche evidenti.Nella seconda fase, ai sintomi citati si aggiungeun progressivo deterioramento del linguaggio.Esso tende ad essere vago e caratterizzato dal-l’eccessivo uso di frasi automatiche e di clichés.Le abilità visuo-spaziali si deteriorano, il pazien-te può presentare attacchi epilettici e non esserepiù in grado di riconoscere il viso dei famigliari.La terza fase, che si manifesta dopo altri 2-3anni, è caratterizzata dalla perdita delle funzionicognitive: si ha la perdita completa della memo-ria e delle capacità intellettuali.

Modificazioni comportamentaliI sintomi comportamentali sono un problemaimportante ma spesso trascurato nella malattiadi Alzheimer. Essi producono molto più stressnelle persone che si devono prendere cura delledisfunzioni cognitive dei pazienti (Goldmacher,Whitehome, 1996). I pazienti mostrano frequen-temente una diminuzione dell’emotività, unincremento dell’ostinazione, una diminuzionedell’iniziativa e diventano fortemente sospettosi.Manifestano, inoltre, atteggiamenti paranoidi:accusano le persone di furto, di infedeltà coniu-

La maggior parte delle ricerche sulla malattia

di Alzheimer si basa su sei diversi modelli

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Il quinto è il modello del flusso ematico. Nellamalattia di Alzheimer il flusso sanguigno e il con-sumo di ossigeno cerebrale diminuiscono di circail 30 per cento rispetto a ciò che avviene nellepersone anziane non affette da demenza. Lemaggiori riduzioni sono rilevabili nei lobi frontalie parietali della corteccia cerebrale. Il problema difondo è se questa ridotta capacità del cervello diprodurre energia chimica è una causa o un effet-to del danno provocato dalla malattia mentale.L’ultimo è il modello dell’acetilcolina. Diversiautori hanno scoperto che nell’ippocampo e nellacorteccia cerebrale di pazienti colpiti da malattiadi Alzheimer i livelli di un enzima (la colinacetil-transferasi) che catalizza la sintesi dell’acetilcoli-na (un importante neurotrasmettitore) è ridottodel 90 per cento. Questa marcata alterazione bio-chimica spiegherebbe il principale sintomo dellamalattia: la perdita di memoria. Questo indiziosembra particolarmente rilevante, perché porta aipotizzare che alcuni deficit cognitivi della malat-tia di Alzheimer siano la conseguenza di unariduzione nella trasmissione degli impulsi nervosimediati dall’acetilcolina.

Terapie farmacologicheLe attuali terapie farmacologiche sono tutteorientate a contrastare l’inarrestabile progressio-ne del quadro clinico. Preso atto della severacompromissione del sistema colinergico (il sestomodello che abbiamo considerato) i ricercatori sisono orientati alla ricerca e alla sperimentazioneclinica di farmaci che siano in grado di ristabiliregli equilibri biochimici perduti.Le complesse modificazioni metabolico-energeti-che che sono state rilevate a carico del sistemanervoso centrale (si veda il quinto modello cheabbiamo considerato) hanno suggerito l’uso tera-peutico di sostanze, come la L-acetilcarnetina,che sembrano in grado di ristabilire l’equilibriobiochimico della cellule nervose. Altri farmaci,

oppure come componente delle placche neuriti-che; c) queste ultime sono la terza struttura pro-teica anomala, sono abbondanti nella cortecciacerebrale, nell’ippocampo e nell’amigdala. Piùplacche sono presenti più la malattia è grave. Leplacche sono localizzate in aree che contengonogli assoni e le terminazioni dei neuroni e non i lorocorpi cellulari. Ciò significa che le cellule nervosenon possono scambiarsi i messaggi elettrochimici.Il terzo è il modello dell’agente infettivo. Si èosservato che nelle pecore e nelle capre si mani-festa un infezione biochimicamente silente (cioèpriva di febbre e di globuli bianchi, che farebbe-ro supporre un infezione cerebrale) chiamatascrapie che ha molti sintomi in comune con lamalattia di Alzheimer. Anche il morbo diCreutzfeldt-Jacob (quello della mucca pazza) sicomporta allo stesso modo. Si pensa che gli agen-ti infettivi siano sostanze che non contengono, adifferenza dei virus, né DNA né RNA. Sono parti-celle proteiche chiamate prioni e sono state iso-late nel cervello di una pecora affetta da scrapie.La debolezza del modello sta nel fatto che se lacausa della malattia fosse un agente infettivoesso dovrebbe essere facilmente trasmissibile adanimali da laboratorio, ma finora i risultati sisono dimostrati infruttuosi.Il quarto è il modello della tossina. Alcuni ricer-catori ritengono che i sali di alluminio possanocontribuire allo sviluppo della malattia diAlzheimer. L’iniezione di sali di alluminio in coni-gli o in gatti (ma non in ratti o scimmie) provocauna degenerazione neurofibrillare. Il tipo di dege-nerazione indotta nei conigli e nei gatti possiedeperò filamenti a catena singola, mentre nellamalattia di Alzheimer i filamenti sono appaiati adelica; essa inoltre compare in zone del sistemanervoso che non sono colpite dalla malattia. Èprobabile quindi che la tossina si formi dopo chesi sono instaurati processi di degenerazione neu-rofibrillare.

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come la fosfatidilserina, hanno dimostrato diavere proprietà trofico-rigenerative nei confron-ti delle membrane delle cellule nervose. Sonoinvece scarsamente tollerati sedativi e ansioliticie i farmaci antipsicotici sono usati soltanto se simanifestano episodi di agitazione psicomotoria.Anche il fattore di crescita neuronale scoperto daRita Levi Montalcini (il NGF), che dovrebbe pro-muovere la vitalità neuronale e l’integrità dellesinapsi non sembra avere ottenuto particolaresuccesso nel migliorare il danno cerebrale osser-vato nei pazienti con malattia di Alzheimer(Spillantini, 1999).

LA TERAPIA MUSICALE COME COADIUVANTENELLA CURA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

Musicoterapia e demenzeSenza risalire ai Greci, o agli abusati esempi biblici,fin dai tempi della sua fondazione (1950) l’america-na NAMT (National Association for Music Therapy)ha considerato con particolare riguardo l’uso dellamusica in ambito geriatrico (si veda Schneider,1960). Molti sono stati i programmi attuati sia inistituzioni pubbliche che in quelle private.Liederman (1967) ha, ad esempio, riferito di unesperienza compiuta presso la Divisione geriatri-ca dell’Ospedale di Stato a Pueblo, in Colorado.Egli ha anche suggerito dei criteri per la selezio-ne dei brani musicali da usare nel corso dellaterapia musicale di gruppo: ha trovato partico-larmente utile la musica melodica, con modelliritmici brevi e ripetitivi; inoltre, il ritmo dovrebbeessere ben evidenziato, i brani non dovrebberosuperare i tre minuti, tra un brano e l’altro nondovrebbero passare più di due minuti, i brani,soprattutto se poco noti, dovrebbero essere spes-so ripetuti, perché la familiarità incoraggia lasocializzazione, le sessioni, infine, non dovrebbe-ro superare i venti minuti.Un ampio programma è stato sviluppato anche

dalla Palmer (1977) in un istituto privato, laCedar Lake Home, nel Wisconsin. Il programma hacoinvolto 380 residenti. Di questi, 130 eranoautosufficienti, 122 avevano bisogno di un assi-stenza più o meno costante, i rimanenti 122erano classificati come confusi, disorientati, arte-riosclerotici. Peccato che l’indagine non abbiaindividuato specifiche patologie o specifici com-portamenti da studiare attraverso un protocollometodologicamente controllabile. Si rimane, così,al livello delle buone intenzioni.Un esperienza più controllata è stata invece rea-lizzata, di recente, da Maranto e Porzionato(1999) i quali hanno selezionato, da una popola-zione di 667 anziani non autosufficienti di unastruttura residenziale privata, 90 soggetti chesono stati divisi in 18 gruppi di cinque soggetti.Due soggetti di ciascun gruppo possedevanobuone capacità cognitive, altri due capacitàcognitive medie, un soggetto era invece forte-mente debilitato. Ogni gruppo ricalcava, in que-sto modo, l’universo della popolazione considera-ta. Tutti i gruppi sono stati sottoposti, per circasei mesi, a sedute settimanali di ascolto e didiscussione collettiva. I brani musicali erano statiscelti in base al gradimento che essi avevanoottenuto nel corso di un indagine preliminaredurata sei mesi. I CD usati contenevano musicasinfonica, lirica e popolare. A questi soggetti,definiti regolari, si sono man mano aggiunti, nelcorso della ricerca, altri 77 soggetti che seguiva-no l’attività in modo meno diretto: ascoltavano lamusica, ma non erano direttamente coinvoltinella discussione che seguiva l’ascolto di ognibrano. Essi sono stati definiti “spettatori”. Gli altriresidenti (505) non hanno partecipato all’attivitàmusicale, hanno quindi avuto la funzione digruppo di controllo. A circa un anno di distanzadall’esperienza è stata controllata la percentualedei decessi. Si è così scoperto che era di circa il18,8 % nel gruppo dei regolari, del 27,2% nel

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era di caratterizzare questa figura di terapeuta(un musipsicogerontologo?) e individuare le pra-tiche musicoterapeutiche che possono rivelarsipiù proficue per questo tipo di pazienti.

Musicoterapia e malattia di AlzheimerNell’ambito della terapia musicale delle demenze,si è assistito in questi ultimi anni a un proliferaredi ricerche sull’uso della musica come coadiuvan-te nella terapia della malattia di Alzheimer.Recentemente, Forbes (1998) ha svolto una rasse-gna sistematica sulla letteratura scientifica che siè occupata delle strategie di gestione della sinto-matologia comportamentale connessa con lademenza di Alzheimer. Su 265 pubblicazioni neha giudicate rilevanti 45; di esse, però, soltanto 7hanno dimostrato di essere metodologicamenteineccepibili. Fra le strategie che hanno dimostra-to di migliorare i comportamenti aggressivi, l’in-terazione sociale, il saper badare a sé stessi, idisturbi sonno-veglia e i deliri vi è anche la tera-pia musicale.Smith (1986) ha indagato l’effetto di tre diversitipi di trattamento sulle funzioni cognitive dipazienti con malattia di Alzheimer: il primoriguardava dei suggerimenti musicali per miglio-rare il ricordo, il secondo dei suggerimenti verba-li, il terzo il solo ascolto di musica. I soggettierano 12 donne con un età compresa tra i 71 e i92 anni affette da malattia di Alzheimer. Le diffe-renze prima e dopo il trattamento erano misura-te attraverso i punteggi a un test (il Mini-MentalState Examination). I risultati hanno mostratoche il ricordo indotto da suggerimenti musicali everbali ha incrementato i punteggi nella subsezio-ne del test relativa al linguaggio, ma non le subse-zioni relative all’orientamento e all’attenzione. Lasola attività di ascolto musicale ha invece signifi-cativamente incrementato il totale dei punteggi.Questo dato è stato confermato recentemente daFoster e Valentine (1998) i quali hanno studiato

gruppo degli spettatori e ben del 31,4% nel grup-po di controllo. Si tenga presente che la popola-zione dei regolari era rappresentativa della popo-lazione totale e quindi qualcosa deve avere influi-to sulla maggiore longevità. Gli autori hannoconcluso che i dati emersi fanno ritenere che lamusica abbia avuto effetti benefici sugli ascolta-tori. Senza volere affermare che la terapia musi-cale sia stata l’unica responsabile del minore indi-ce di mortalità, bisogna prendere atto che il cam-biamento dell’umore indotto dalla musica puòstimolare la percezione di benessere in questacategoria di soggetti e agire anche sul manteni-mento delle loro capacità cognitive, oltre chesulle condizioni fisiche generali.Un’interessante esperienza è stata effettuatadalla Riegler (1980), che ha comparato una tecni-ca nota come orientamento alla realtà (chedovrebbe aiutare i pazienti confusi e disorientatia diventare meno confusi, meno introversi emeno apatici) in associazione con e senza back-ground musicale. Il gruppo sperimentale era com-posto da quattro soggetti, come anche il gruppodi controllo. I pazienti del gruppo sperimentalesono stati sottoposti al training di Reality orien-tation (RO) due volte alla settimana, nel corso disedute che duravano circa mezz’ora con associa-to l’ascolto di brani di musica prevalentementeclassica. Il gruppo di controllo riceveva lo stessotrattamento ma senza la musica. Dopo otto setti-mane di training, il gruppo sperimentale hadimostrato un netto miglioramento nelle presta-zioni a un questionario che misurava lo statomentale dei pazienti. Si deve però considerare cheil campione era troppo limitato per potere fareinferenze e che non era chiaramente specificatal’entità della patologia dei soggetti.Più recentemente, Smith e Lige (1991) hanno uti-lizzato un questionario per svolgere un ampiaricerca su 176 music therapists che lavoravanoprevalentemente con persone anziane. Lo scopo

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20 pazienti dementi in relazione allo sviluppo diricordi autobiografici e nella prestazione in uncompito di vigilanza. Essi hanno trovato che lamusica di sottofondo facilita i ricordi autobio-grafici indipendentemente dal fatto che siaconosciuta o meno. Ciò indica che la sola musicadi sottofondo comporta dei benefici cognitivi insoggetti gravemente menomati.Aldridge (1995) ha osservato che le abilità musi-cali appaiono preservate nonostante il deteriora-mento cognitivo dovuto alla malattia diAlzheimer. La terapia musicale, quindi, può esse-re efficacemente utilizzata nel trattare talipazienti, oltre che gli anziani in generale. Egliriporta il caso di una paziente di 55 anni che haottenuto un netto miglioramento nella qualitàdella vita attraverso sedute di musicoterapiaimprovvisativa.Altre ricerche hanno dimostrato come la musi-ca può influenzare direttamente le modifica-zioni comportamentali disadattative deipazienti con malattia di Alzheimer. Casby eHolm (1994), ad esempio, hanno dimostratoche la musica classica e soprattutto quella pre-ferita dai pazienti (musica operistica e musicaspagnola) hanno diminuito significativamenteil numero di vocalizzazioni ripetitive e distur-banti di tre pazienti: le due donne sono miglio-rate, l’uomo non ha tratto alcun beneficio daltrattamento.Anche i comportamenti aggressivi possonomigliorare, come hanno mostrato Clark, Lipe eBilbrey (1998). Essi hanno studiato l’effetto dimusica nota su 18 pazienti di età compresa tra i55 e i 95 anni con gravi livelli di compromissionecognitiva. La ricerca si è svolta sotto due condi-zioni: a) veniva trasmessa la musica preferitamentre i soggetti si facevano il bagno; b) nonveniva trasmessa la musica. I risultati hannomostrato che durante la condizione in cui eratrasmessa la musica preferita si è manifestato un

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bibl

iogr

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decremento di 12 comportamenti aggressivi su15 presi in esame. I soggetti, inoltre, hannomostrato un netto miglioramento nel rapportocon chi si prendeva cura di loro mentre facevanoil bagno.Recentemente, molte ricerche si sono focalizzatesul potere della musica di intensificare le presta-zioni in compiti spaziali e nel ragionamento spa-zio-temporale (Rauscher, Shaw e Ky, 1993, 1995;Rauscher et al., 1997). Sembra poi che la musica diMozart abbia un effetto particolarmente rilevante.Una ricerca in proposito è stata condotta daJohnson, Cotman, Tasaki e Schaw (1998) su unacoppia di gemelli affetti da malattia di Alzheimer.I soggetti hanno ascoltato un estratto di unaSonata per pianoforte di Mozart (condizione spe-rimentale). Le condizioni di controllo erano due: ilsilenzio e l’ascolto di motivi popolari degli anniTrenta. Essi hanno trovato un sensibile aumentodella prestazione in compiti di abilità spazio-tem-porale soltanto nella condizione sperimentale. Laloro conclusione è che la musica può essere uti-lizzata come strumento per indagare la plasticitàfunzionale cerebrale in relazione alla malattia diAlzheimer per potere meglio conoscere la patofi-siologia sottostante.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVECome si può rilevare dalle ricerche considerate, adispetto della gravità della patologia la musicasembra essere un agente privilegiato nel tenereviva la plasticità cerebrale, e quindi le funzionicognitive, di soggetti con malattia di Alzheimer.Le due funzioni che sembrano essere maggior-mente interessate dalla stimolazione musicalesono l’umore e il rinvigorimento dei moduli cere-brali connessi con la memoria.È inoltre interessante il fatto che, spesso, il soloascolto della musica possa dare risultati positivi,anche se una musicoterapia integrata potrebbeessere ancora più efficace. Riporto, a questo pro-

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IntroduzioneVorrei fare qualcosa di diverso: cominciare dallafine, per poi subito dopo ripartire dal principio.Mi propongo, in tal modo, di aggirare almenoalcuni fra gli ostacoli che mi troverei di fronte seseguissi un percorso espositivo lineare. A parte ilfatto che non saprei quale dovrebbe essere ilpunto zero di un simile percorso. Mi muoveròinfatti all’esplorazione di ciò che l’AIDS rappre-senta in sé e in quanto prototipo di uno stato-limite di sofferenza che può beneficiare dell’uti-lizzo terapeutico delle varie forme di espressivitàmusicale. So già che in questo cammino incon-trerò una stratificazione di segni, a vari livelli diprofondità e complessità, e varie possibili chiavidi lettura. Cose che sembrano del tutto nuove ciportano in realtà a riscoprirne altre, belle e brut-te, di molti secoli fa. Fine e principio, morte enascita, s'intrecciano strettamente, a testimo-nianza di quella che io ritengo una fondamenta-le circolarità di percorso all’interno di una zonaoscura dell’essere, abitata sì da paura e dolore,ma anche dalla memoria dei giorni felici e dallasperanza.

La fine, in senso cronologico, è un recente casoricavato dalla supervisione degli aspetti emoti-vo-relazionali del lavoro con pazienti gravi, chesvolgo da alcuni anni per le fisioterapiste di unServizio di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva. Sitratta di un bambino di tre anni, tetraparetico,nato sieropositivo (ed ora con AIDS conclamato)da madre a sua volta ammalata e poi decedutaper AIDS. È evidente che situazioni simili semprepiù "arriveranno" ai Servizi territoriali, corredateda una prognosi severa ma non così rapidamen-te ineluttabile come un tempo, e sulle quali,quindi, sarà necessario costruire progetti riabili-tativi per il medio periodo. Allora, come trattarequesto bambino (questi bambini)? Beninteso, lefisioterapiste sanno bene cosa fare per la tetra-paresi, ma qui, per esempio, per ragioni di sicu-

Fine e principio,

morte e nascita,

s’intrecciano

strettamente,

a testimonianza

di quella che io

ritengo una

fondamentale

circolarità

di percorso

all’interno di

una zona oscura

dell’essere

abitata sì da

paura e dolore,

ma anche dalla

memoria dei

giorni felici e

dalla speranza.

L’utilizzo della musicoterapianell’AIDS

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zo di Pier VittorioTondelli Camere sepa-rate, e al suo continuoriandare con la memo-ria alla morte per AIDSdel compagno, Thomas,ridiventato anch'egli, al

culmine della sofferenza, un bambino bisognosodi un aiuto e di una rassicurazione che nessuno èpiù in grado di dargli? Nel suo rammemorareintriso di erosiva malinconia, Leo “è ben consa-pevole che si porterà dentro per anni, fino allafine, lo sguardo del bambino-Thomas sul lettoestremo della sua camera separata”. Mi fermo qui nel mio erratico procedere per libe-re associazioni, anche se avrei ancora materialein abbondanza, perché mi pare che gli elementidi complessità clinica, relazionale e socialedell’AIDS si siano resi abbastanza evidenti: illavoro con pazienti gravi e spesso non autosuffi-cienti, l’idea di una morte ingiusta e prematura,in mezzo a grandi sofferenze cui non è facileassistere e tanto meno dare sollievo, ma anchequel di più che è il timore del contagio, la neces-sità di prendere precauzioni, e, su tutto, il moltoche ancora non si sa, e che rende così incertaogni prospettiva.

L’AIDS come malattiaSe l’AIDS è una stratificazione di segni, le primeincertezze riguardano proprio il più esterno deglistrati: quello dell’AIDS come malattia. Sarà quin-di opportuno iniziare con una definizione uffi-ciale (Dianzani et al., 1994): "l’AIDS (AcquiredImmuno-Deficiency Syndrome) è una condizionemorbosa ad etiologia virale che per le peculiaritàepidemiologiche colpisce in prevalenza giovaniadulti e bambini; le manifestazioni cliniche sonocostituite da infezioni opportunistiche e da inso-lite forme di tumori maligni dovuti ad una gravecompromissione della risposta immunitaria cel-lulo-mediata. L’AIDS è l’esito del contagio del-

rezza si è convenuto diusare i guanti, che ren-dono difficile e innatu-rale il contatto corpo-reo (e quindi "verrebbevoglia di toglierli"). E laquotidianità del rap-porto è costellata di interrogativi, banali ma nontroppo, del tipo: sarà contagiosa anche la saliva?Ma poi, ancora, ad un livello più profondo: qualefuturo ha questo bimbo? "Se succede che ci affe-zioniamo troppo a lui”? I riabilitatori sono abi-tuati, per ogni bambino, a pensare sempre a dovearriverà, ponendosi in una prospettiva di recupe-ro a lungo termine, ma qui, evidentemente, ilgioco prospettico riesce molto più difficile.Il caso portatomi in supervisione si ricollegafacilmente a quello della ragazzina sedicenne dame seguita alcuni anni fa per un episodio depres-sivo reattivo alla morte per AIDS della madre,una donna ancora giovane e bellissima, che negliultimi due anni aveva dovuto farsi accudire dallafiglia come un’infante di pochi mesi. La ragazzi-na, che non aveva traccia della malattia, avevaperò, di base, un comportamento da adolescentead alto rischio: abuso di pasticche, vita e fre-quentazioni “spericolate”, vuoto esistenziale. Lamamma morta, così come quella del bambinotetraparetico, viveva ancora come fantasma edalimentava una corrente fortissima di affettivitànostalgica, come se quel tipo di morte, prematu-ra e crudele, ne impedisse una vera elaborazionee costringesse tutti ad un continuo tentativo diriportare l’amata in questo mondo attraverso ilricordo, così da poter riprendere con lei il dialo-go interrotto. Come non farsi venire in mente,allora, oltre all’eterno canto di Orfeo per la per-duta Euridice, l’aria struggente dell’AndreaChenier che Maria Callas canta nella scena cul-mine del film Philadelphia (1993), e che s'intito-la appunto La mamma morta? Ma come nonpensare, anche, a Leo, il protagonista del roman-

Nei paesi occidentali sievita di prendere in seriaconsiderazione il fatto

che la morte costituisceuna realtà centrale

per le persone malate

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markers del virus nel sangue, e non si spieghereb-be perché la malattia sia ormai cronicamenteendemica nell’Africa sub-sahariana mentre la suadiffusione nel resto del mondo ha seguìto unacurva molto più ridotta. Quel che è certo è chel’AIDS è una malattia a basso livello di contagio-sità, che richiede la trasmissione diretta del virusper potersi diffondere. Quanto alle vie di trasmis-sione, infine, nessuno discute seriamente laparenterale e la verticale, mentre è ovviamente suquella sessuale che si sono da subito accese lepolemiche. All’inizio, soprattutto negli USA, l’AIDSè sembrato correlarsi principalmente ai compor-tamenti omosessuali maschili (in Europa, invece,l’incidenza maggiore è sempre stata dei tossicodi-pendenti per via endovenosa). Successivamente siè visto che è soprattutto la promiscuità di con-tatti sessuali a favorire la diffusione del contagio,e questo anche in ambito eterosessuale. Anchel’epidemiologia di questa sindrome, comunque,come già la clinica, sta cambiando molto; ilnumero totale dei sieropositivi non aumenta conquella esponenzialità ipotizzata nelle proiezionistatistiche di alcuni anni fa, mentre all’interno deltotale aumenta la percentuale relativa degli ete-rosessuali non tossicodipendenti (Ippolito eRezza, 1997). In sostanza, è giusto sottolineare sia gli aspettituttora critici del quadro clinico-epidemiologico,sia quelli a evoluzione più positiva. La comparsadell’AIDS ha mandato profondamente in crisil’apparato bio-medico-tecnologico, diventando-ne un segno di contraddizione, perché l’obiettivodi eliminare l’AIDS è sembrato talmente impor-tante da far passare in secondo piano ciò chepoteva esser fatto per migliorare la necessariaconvivenza dei malati con se stessi, la famiglia ela società. Mai è apparso così evidente come lamedicina sembri aver smarrito la capacità didistinzione fra guarire e curare, allontanandosisempre più dall’originario precetto ippocratico

l’uomo con il virus dell’immunodeficienza umana(HIV)”.Le principali modalità di trasmissione della malat-tia sono:a) la trasmissione SESSUALE;b) la trasmissione PARENTERALE (aghi, sangue

infetto, etc...);c) la trasmissione VERTICALE (madre-feto, o

madre-figlio, come nel caso descritto all’inizio).Queste modalità costituiscono il 99,9% dei casi diAIDS censiti.Nessuna delle affermazioni di cui sopra è in realtàesente da incertezze. Per quanto riguarda lemanifestazioni cliniche si rimanda ovviamente aitrattati specialistici, non senza prima ricordareche l’AIDS ha in un certo senso ereditato dallasifilide l’etichetta di “grande simulatrice”, perchépuò manifestarsi in modi molto diversi, macomunque sempre dolorosi e invalidanti, a secon-da delle infezioni opportuniste che invadono ilcampo quando la risposta immunitaria divieneinsufficiente. Fra le manifestazioni cliniche sonocomprese a pieno titolo quelle psichiatriche, siaaspecifiche, consistenti in disturbi reattivi dell’a-dattamento emotivo con significativo aumentodel rischio suicidario, sia specifiche, riguardanti lafase tardiva della malattia, in cui può comparireuna encefalopatia con deterioramento cognitivo,dovuta a localizzazione cerebrale del virus. Perquanto attiene alla virologia, l’HIV è un “retrovi-rus”, che segue strane e controverse procedure diduplicazione, riuscendo così a nascondersi e arimanere un “grande presunto” a dispetto dellepiù accanite ricerche. È comunque probabile cheil suo ruolo sia stato sopravvalutato, e può darsiche altri fattori legati all’assetto psicofisico dibase dell’individuo colpito, e anche della popola-zione, debbano concomitare perché l’infezione daHIV si manifesti. Non si spiegherebbero altrimen-ti i rari ma documentati casi di individui sieropo-sitivi che sono “guariti”, ossìa non hanno più i

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del divinum opus est sedare dolorem, all’insegui-mento di un efficientismo tecnicistico, volto adottenere la guarigione a tutti i costi, che sconfi-na con la negazione (delirante-megalomanica)della morte. Il bilancio non è negativo perché, aldi là di scandalismi e rivalità scientifiche, l’impo-nente fronte di ricerca ha prodotto in un temporelativamente breve risultati tangibili. L’AIDSrimane una malattia a prognosi infausta, ma leaspettative di vita di chi ne è attualmente affet-to sono significativamente diverse da quelle chepotevano essere prospettate anche solo cinqueanni fa. La messa a punto di protocolli terapeuti-ci sempre più mirati che utilizzano l’effetto siner-gico di alcuni nuovi farmaci antiretrovirali haconsentito un allungamento della sopravvivenza,con importante riduzione dei sintomi e della con-seguente invalidità sociale degli ammalati. Sevogliamo usare la metafora militare della guerrasenza quartiere alla malattia, verso la quale SusanSontag (1989) è giustamente critica, perché sifinisce per considerare il paziente un campo dibattaglia e non una persona, tuttavia in questaguerra abbiamo guadagnato con le più recentiterapie posizioni importanti, che ci consentono diridurre i tempi di ospedalizzazione e progettareun cambiamento sostanziale del tipo di assisten-za, più attento, si spera, agli aspetti relazionali ealla qualità della vita.

L’AIDS come metaforaPer un inquadramento del concetto di metaforarimando direttamente ad Aristotele, che nellaPoetica (1457b) scrive: “La metafora consistenell’attribuire a una cosa il nome che è proprio diun’altra”. Dire che una cosa è (o somiglia a) qual-cos'altro, è un’operazione mentale antica quantola filosofia e la poesia, essendo probabilmenteconsustanziale all’acquisizione della capacità dipensiero astratto e di simbolizzazione che carat-terizza l’Homo Sapiens, ed è quindi il terreno di

coltura della maggior parte delle forme di cono-scenza, comprese quella scientifica e quella arti-stica. La storia della concezione metaforica dicorpo umano, salute e malattia, ha quindi originecon gli albori della medicina e della civiltà occi-dentale. Da sempre, si può dire, per descrivere leparti del corpo, il loro funzionamento e le loroalterazioni, venivano prese a prestito figure dellearti, della politica e della tecnologia; e ancheviceversa, come testimonia, per esempio, il famo-so apologo di Menenio Agrippa sulla societàcome corpo unico, composto di vari organi emembra che devono cooperare fra loro se voglio-no che il corpo viva. Già nel II secolo A.C.,Lucrezio portava un attacco radicale alla riflessio-ne metaforica su malattia e salute, confutando,nel libro III del De Rerum Natura (vv. 116-135), lametafora musicale che stava alla base del concet-to di armonia con cui la medicina di allora defi-niva l’unità del corpo:

...sì che tu possa sapereche dentro il corpo risiede anche l’anima,e non è l’armonia che fa sìche noi possiamo sentire il corpo.Accade anzitutto che anche dopo la perditadi gran parte del corpo, la vita rimanga dentro di noi;se al contrario un po' di calore è fuggito dal corpoed un po' d'aria è fuggita attraverso la bocca, la vitalascia all’istante le membra e le ossa,e da ciò puoi riconoscere che non tutti gli elementihanno un identico ruolo, e la nostra sopravvivenzasostengono in modo uguale; ma di essi alcuni,i principi del vento e del calore,fanno sì che la vita duri nelle nostre membra.V'è dunque un calore e un soffio vitaleche all’atto della morte ci abbandona.Da che la natura dello spirito si mostracome una parte del corpo umano,lascia ai musicanti il termine Armonia,che dall’alta Elicona scende a loro.

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mondo nel biennio 1918-19.Il timore del contagio (nemico invisibile) si asso-cia a sua volta all’idea della pestilenza comepunizione divina per qualche colpa, e poi all’ideadi forze malvagie che diffondono intenzional-mente il male (gli untori), idea che diventa inbreve tempo una paranoia generalizzata.Manzoni descrive magistralmente questo sonnodella ragione e i mostri che ne derivarono, rife-rendolo all’epidemia di peste che colpì Milano,assieme a tutta l’Europa, nel 1630. A partire dal‘700, comunque, il concetto di untore si appanna,e le pestilenze non vengono più “mandate”, ma“visitano” i popoli. Dacché poi il colera sostituiscepeste e vaiolo come malattia infettiva più temibi-le (1800), l’origine delle epidemie, già non piùsoprannaturale, diviene decisamente esotica eterzomondista. Oggi neppure il colera verrebbemai considerato una “punizione”, ma questodenota solo uno spostamento dell’atteggiamentomoralistico verso altri tipi di malattie di cui ci siserve a scopo didattico1. Esiste evidentemente unrapporto fra il concetto di malattia e il concettodi ciò che è straniero, un rapporto che si situaforse all’interno dello stesso concetto di ciò che èsbagliato, arcaicamente identico al non-noi, all’a-lieno. “Una persona infetta ha sempre torto”,esemplifica Mary Douglas (1991). Non è difficilericollegare questa osservazione antropologica dicarattere generale ad una quantità di aneddotiche riguardano ammalati di AIDS discriminati invario modo con intenti, ora sottilmente ora gros-solanamente, colpevolizzanti, spesso da partedello stesso personale sanitario. Il concetto dialieno, a sua volta, ci porta ad osservare che l’at-tributo della mortalità riferito ad una malattianon è di per sé sufficiente a generare terrore;anzi, paradossalmente non è neppur necessario. Èpiuttosto l’alienità, intesa come incomprensibiletrasformazione sia fisica che mentale, a crearesgomento2. La lebbra, per secoli oggetto di paura

Essi lo hanno forse ricavato altrove,e trasferito ad un oggetto senza nome.Come che sia, rendilo ai musicantie ascolta il resto del mio discorso.

Lucrezio ci risulta spiacevole, tanto più se sulconcetto di armonia si sono costruiti modelli difunzionamento della comunicazione affettiva,perché in sostanza dice: non ci può essere armo-nia in qualcosa che finisce per morire. Quando ilcalore e il soffio vitale non ci sono più, siamomorti. E allora? Lasciamo per ora inconfutatoquesto pensiero, su cui torneremo. Per altro,nonostante il realismo del poeta latino, in cuiecheggiavano anche alcuni aspetti del pensieroscientifico di Ippocrate, le metafore sulle malattiesono dilagate nei secoli successivi fino ai giorninostri.Sembra, quindi, che il nostro immaginario collet-tivo non riesca a stare per troppo tempo senza farconvergere su qualche malattia alcune paureancestrali e alcuni fantasmi di colpa e punizione.Tra le paure da cui non ci siamo mai davvero libe-rati vi è quella del contagio, che si porta appres-so il concetto di pestilenza; infatti, l’AIDS è statodefinito “la peste del 2000”. Ma se fosse solo così,saremmo tutto sommato nell’inevitabile, vistoche la peste è uno dei quattro cavalieridell’Apocalisse, come la guerra, e che non siamomai stati senza guerre e senza epidemie. Anzi, seè vero, come ci indicano recenti riletture (Lupieri,1999) che l’Apocalisse è piuttosto da intendersicome qualcosa che avviene durante il tempo,passato e presente, e non che dovrà compiersi inun’escatologica fine dei tempi, allora non sarebbedifficile riconoscere, in questo passaggio di mil-lennio, le guerre balcaniche e l’AIDS come rappre-sentazione attuale di un’apocalisse che, analoga-mente, Proust credette di ravvisare nella primaguerra mondiale e nella breve ma micidiale epi-demia di influenza “spagnola” che falcidiò il

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e disgusto, non era mortale neppure quando nonesistevano i sulfamidici che la resero poi guaribi-le, ma fu ugualmente confinata nei lebbrosari,fino alla sua scomparsa in occidente alla fine del‘600. Rimasti vuoti per 150 anni circa, i lebbrosa-ri furono poi riempiti di nuovo con i matti (glialienati), e la follia divenne una nuova malattia-metafora: della paura di non poter riconoscere ilconfine con la normalità, di un possibile “conta-gio” mentale, e altro ancora. Ora, forse, fra tantealtre cose, l’AIDS si sta affiancando alla follia nel-l’immaginario collettivo: chi ha l’AIDS, come untempo chi era matto, deve stare per conto pro-prio, anche se va al pronto soccorso perché haun’appendicite acuta. Si riattualizza una discri-minazione che rende il portatore di un certodisturbo un “diverso”, che non può godere deglistessi diritti dei comuni malati, a dimostrazionedel fatto che il manicomio è piuttosto una cate-goria dello spirito che non un luogo delimitatoda quattro mura3. Comunque, neppure l’insieme di significatimetaforici derivati da inguaribilità, contagio,paura del diverso, sarebbero bastati a meritareall’AIDS la connotazione di “maledizione divina”,se non ci fosse stata la trasmissione per via ses-suale. Vi è infatti una diffusa opinione moralisti-ca per cui chi contrae una malattia attraversouna pratica sessuale è più responsabile, e perciòmerita maggior biasimo, mentre i tossici, checontraggono AIDS e epatite scambiandosi sirin-ghe infette, sono visti come responsabili, tutt'alpiù, di portare a termine un suicidio improprio. A tale riguardo, l’analogia con la sifilide è soloparziale. È ben vero che inizialmente (1400-500),essa fu molto virulenta, ma poi divenne menoaggressiva e a fine ‘800 solo pochi sul totale deicontagiati arrivavano, dopo molti anni, alla faseterziaria, che era mortale, con il corteo dramma-tico di sintomi psichici che il medico e scrittoreAxel Munthe descrive così vividamente ne “La

Storia di S. Michele” a proposito della morte diGuy de Maupassant, suo amico. E comunque,mentre la sifilide, al pari della tubercolosi, potédiventare oggetto di idealizzazione compensato-ria, tramite la leggenda della maggiore creativitàche queste malattie avrebbero portato in dono,nulla di tutto questo è stato possibile con l’AIDSil quale, pur essendo una malattia del tempo, cheprocede a fasi, come appunto la sifilide, si è tro-vato invece accomunato al cancro, malattia cheriguarda la geografia del corpo perché procedelungo strade prevedibili, nell’essere avvertitoirreparabilmente come vergogna, ingiustizia,sconfitta.Tutto questo ha comportato cambiamenti dicostume che non è esagerato definire epocali. Losguardo retrospettivo verso la disinvolta culturasessuale degli anni ‘70 è stato paragonato dallaSontag a quello rivolto all’età del jazz alla lucedel crollo di Wall Street del 1929. La mitologiadell’AIDS, che si è inizialmente nutrita di leggen-de metropolitane, alcune plausibili (il “pazientezero”, ovvero lo steward canadese Gaetan Dugas,moderno e dissennato untore), altre folcloristi-che (la scritta nello specchio del bagno “benve-nuto nel mondo dell’AIDS” trovata al mattinodall’ignaro turista dopo una notte d'amore conuna bella sconosciuta), si è consolidata tramiteuna nuova serie di metafore derivate dalla viro-logia, per cui oggi l’AIDS non è che il battistradadi una minacciosa serie di altri virus (Ebola,Scrapie, etc...) che già vivono e agiscono in altrianimali e contro i quali non disponiamo almomento di grandi risorse. Del resto, tutto oggiè interscambiabile e viaggia velocemente: beni,persone, immagini, virus (anche informatici). Daquesto punto di vista, senza catastrofismi, la dif-fusione dell’AIDS è un inconveniente di quellaglobalizzazione cui non si può più rinunciare, unmessaggero anti-utopico del villaggio globale, diquel futuro che, come l’Apocalisse, è già qui ed è

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ti, e dove si rileva una perdita di relazionalità taleper cui la sofferenza e la morte cessano di essereoggetto di scambio simbolico. Si cerca addirittu-ra di resistere all’instaurarsi di una relazione trop-po forte col malato, e tutto è organizzato inmodo da condurre al rifugio nelle prestazioni tec-niche, a detrimento di una relazione autentica econ l’impossibilità che chi fa assistenza e ilpaziente si riconoscano in quanto persone. Èchiaro, invece, che la relazione ci è indispensabileper riconoscere il valore simbolico della malattiae della morte; altrimenti resta solo la natura tec-nica-funzionale dell’atto terapeutico.Il problema di affrontare l’idea di una morte ine-sorabile comporta la messa in atto di una reazio-ne di lutto che secondo la Kübler-Ross (1989) sicompie attraverso cinque fasi: negazione e isola-mento ---> rabbia ---> patteggiamento --->depressione ---> accettazione. Queste fasiriguardano non solo il malato, ma anche i fami-liari e, in una certa misura, il personale sanitariodei reparti di malattie infettive, non a caso gra-vato da un altissimo tasso di burn-out (Gala et al.,1993). La Kübler-Ross considera indispensabiledefinire delle regole per una “buona morte” eteorizza gli hospices, che con quasi 10 anni diritardo sono comparsi anche da noi, unitamentead un crescente coinvolgimento delle associazio-ni di volontariato nell’assistenza ai malati termi-nali. L’hospice è in un certo senso l’esatto contra-rio dei reparti ad alta specializzazione poc’anzicitati: un luogo a bassa intensità tecnica e altolivello di comfort e assistenza di base, in cui unodovrebbe sentirsi quasi come a casa propria. Qui,grazie ai volontari e alle associazioni (indispensa-bili, perché non tutto può essere chiesto al perso-nale sanitario ufficiale), è possibile riannodare illegame sociale disfatto e tornare ad una dimen-sione di scambio relazionale con il paziente e conla sua malattia. Finalmente sembra non sia piùtabù parlare di farmaci antidolorifici (che curioso

sempre prima di noi. Ma il futuro, quando si inve-ra come presente, non lo possiamo né riconosce-re né rifiutare, come ci testimonia molto bene ilrealismo visionario di Blade Runner (1982). È peraltro probabile che, proprio per questo, nei con-fronti dell’AIDS fra pochi anni ragioneremo inmodo del tutto diverso. La parabola che per lalebbra ha richiesto secoli si compirà questa voltain molto meno tempo. Già adesso quella chesiamo in grado di fotografare è una situazionesanitaria e culturale in divenire, dove, come inBlade Runner, si assemblano fantasmi medievali euna futuristica iperattivazione tecnologica-scien-tifica.

L’AIDS come destinoAlla fine di ogni destino umano sta, inevitabile, lamorte. Il problema è quando e, soprattutto, come.Nei paesi occidentali frequentemente si evita, o cisi rifiuta, di prendere in seria considerazione ilfatto che la morte costituisce una realtà centraleper le persone malate. Un tempo, affrontare ilproblema della morte in ospedale era addiritturaimpossibile; occuparsi delle fasi terminali di unpaziente era considerato “inutile”, se non anchescreditante per il medico e l’istituzione. Ora qual-cosa è cambiato, ma la nostra cultura pubblicaresta fondamentalmente incapace di venire apatti con la morte. La biomedicina, carente diescatologia ma ricca di algoritmi e tecnologie pertenere in vita a tutti i costi i moribondi, dipingela morte come un nemico subdolo. Il morente èl’ultimo e definitivo insuccesso dello health caresystem (Ferrucci, 1996)5. L’atteggiamento della società nei confronti dellamorte per AIDS si inscrive in questo generale pro-cesso di rimozione della sofferenza, con un di piùche è legato alla riattualizzazione della ancestra-le paura del contagio. La morte per AIDS è rimos-sa anche nelle istituzioni, come gli ospedali, dovespesso si consuma l’ultima parte di vita dei mala-

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tabù, per una società e per una medicina che, peraltri versi, propagandano l’anestesia farmacolo-gica del più piccolo segno di insoddisfazione esi-stenziale, automaticamente tradotto comedepressione e demandato allo specialista). Lamedicina palliativa, un tempo reietta, viene ele-vata alla dignità di convegni, con sponsor e inte-resse dei mass-media. Ma soprattutto, in moltireparti ospedalieri e in molti hospices, entranoormai abitualmente insoliti personaggi: musico-terapisti, arte-terapisti, animatori, etc... Se neavvantaggiano, ovviamente, anche i pazientioncologici. Sembra di nuovo farsi faticosamentestrada il concetto ippocratico che, se moltemalattie restano e resteranno inguaribili, nessunpaziente è invece incurabile.

Musicoterapia e AIDSÈ chiaro che, sempre più, l’assistenza ai pazienticon AIDS in fase stabilizzata sarà extra-ospeda-liera e, quando possibile, addirittura domiciliare.Ragione di più per considerare preziosa l’espe-rienza di quei musicoterapisti che, armati digrandi capacità professionali, molto coraggio eun pizzico di incoscienza, sono andati per primialla scoperta del pianeta AIDS quando ancoraesso era composto dalla sola realtà dei repartiospedalieri di malattie infettive, veri lazzarettitecnologici dove tutto si sarebbe potuto pensaredi fare tranne che ritagliarsi spazi e tempi percercare di comunicare, magari attraverso i suonie la musica, con pazienti spesso allettati e senzaneppure la forza per stare seduti nel letto, eppu-re desiderosi, come poi si è visto, di trovare uncanale di comunicazione per esprimere le lorocontrastanti emozioni. Anche qui, sono partito,anzi, siamo partiti tutti dalla fine: i musicotera-pisti che “provavano” stando in prima linea, noipsichiatri che facevamo la supervisione. Da que-sto materiale riparto ora per cercare un principio. Non è la prima volta che la musica si spinge fino

alle soglie della morte, anzi, la oltrepassa, cometestimonia il mito di Orfeo. Lasciando da parte leradici catartiche della cura tramite l’espressivitàartistica, che affondano nel culto dionisiaco enella tragedia greca, credo che la sfida odiernadella musicoterapia a misurarsi con situazioniestreme come le malattie terminali, allargando iltradizionale target dell’handicap neuropsichico esensoriale, sia solo una naturale evoluzione diuna curiosità e di un desiderio di capire che sispinge oltre i limiti del conosciuto. Può darsi chetutto questo abbia una qualche relazione conquell’impulso a varcare i confini dell’umano edell’inumano che, per riprendere una profeticaimmagine di Fabrizio de Andrè (1969), sembracaratterizzare il comportamento di molte dellepersone che hanno contratto l’AIDS, persone gio-vani, spesso intelligenti e brillanti, che in pocotempo hanno compiuto un’intera parabola esi-stenziale fino a confrontarsi, ancora vivi, con uncorpo trasformato in modo devastante ed un’au-tonomia personale e sociale perduta. La musicaha fatto spesso parte dell’universo di queste per-sone, ed è logico chiedersi se sia possibile e utilecercare di ricollegarsi proprio tramite la musica alloro passato per rendere meno doloroso il loropresente. Detto molto genericamente, sembradunque di poter individuare all’interno di unquadro clinico assai grave obiettivi di prevenzio-ne terziaria (attenuare il malessere intra ed extra-psichico del paziente), attraverso una prassimusicoterapica che si connota comunque come“terapeutica” in quanto incentrata sulle poten-zialità trasformative della relazione.Di certo, anche in queste situazioni vi sono nelnostro intervento fattori aspecifici di riuscita,che hanno a che fare con il “prendersi cura”: c’èqualcuno che sta col paziente e condivide la suasofferenza, alleviandola. Vi sono poi fattori spe-cifici, legati all’aspetto di comunicazione nonverbale che è insito nella musica, con la quale si

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non lo possiamo spesso cogliere se non come cosagià accaduta e ricordata, come proustiana rivisi-tazione dei luoghi mentali e fisici che ci viderobambini e adolescenti inconsapevolmente felici odisperati, ma comunque pieni di sentimenti, quel-li intensi e stravolgenti della giovinezza, chevanno poi sfumando nella routine della maturità.La musica, assieme alle altre arti, ci guida e cisostiene in questo camminare smarriti a ritroso diun mentre che ci è passato accanto a dispetto delnostro essere impegnati in ben altre faccende. Se dunque è plausibile, se non vero, che molto delnostro destino si gioca nelle relazioni precocidopo la nascita, e nella loro riattualizzazione ado-lescenziale, fra i 15 e i 22-23 anni, quando lanostra capacità di provare sensazioni fortissime ècome una droga permanente che amplifica i colo-ri, i suoni, i ricordi, e rende quello che accade inquei pochi anni unico e irriproducibile, alloramolti di quelli che hanno contratto l’AIDS (certonon i bambini e i politrasfusi, diciamo i giovaniadulti 25-35enni) si sono solo spinti un po' trop-po oltre, anticipando e bruciando in pochi anniquello che doveva essere un patrimonio da ammi-nistrare con ragionieristica temperanza. Ci sigioca dunque (quasi) tutto molto presto, dalpunto di vista affettivo; dopo sono copie slavate,che perdono via via consistenza e spessore, e con-tengono solo una parte di quella che era la nostraoriginaria capacità di restare coinvolti e sconvol-ti; sembra confermarcelo Jacques Brel, anch'egliprematuramente scomparso, da una cui intervistadel 1971 ripesco questo passaggio: “Un uomopassa la vita a compensare la sua infanzia. Lavita si completa verso i 16-17 anni. Ha già avutotutti i suoi sogni. Non li conosce ancora, ma glisono passati dentro”... I sogni, del resto, si conoscono sempre dopo,quando si sono già sognati, ma è già un inseguir-ne la memoria e un tentare di riportarne in vitaqualche brandello, anche se forse è proprio attra-

favorisce un’esteriorizzazione controllata e con-sapevole dell’universo emotivo del malato. Visono infine, io credo, fattori ancora più specificilegati al linguaggio musicale. Alcune strutturemusicali, per ciascun paziente, risultano eviden-temente pertinenti ad interagire con la sua com-plessa struttura psicologica, guidandone le valen-ze depressive e distruttive verso un miglior livellodi armonia e integrazione. In base a quale princi-pio? Qual è, dunque, il legame fra musica e stati-limite di sofferenza, fra musica e morte?Se la morte è l’ultima delle separazioni, la nascitaè forse la prima delle morti, la prima esperienzapotenzialmente catastrofica, ma anche l’unicomodo per entrare nella vita. Nasciamo in unbagno di suoni, che ci collegano al mondo prena-tale, alle tracce mnestiche del paradiso perduto. Lìvorremmo tornare, lì, è sempre Orfeo a ricordar-celo, non possiamo tornare, perché quello è unaltro mondo, con le sue leggi. Non possiamo nep-pure rimanere simbioticamente fusi con la figuramaterna, che di quel paradiso è l’ultima, estrema,propaggine in questo mondo. Se vogliamo conso-larci da tutta questa serie di perdite, dobbiamo,come dice Gaita (1991), allucinare il ricordo diquei momenti meravigliosi, trasformandoli inqualcosa d’altro, e dando origine così a quel traf-fico di simboli, sentimentali ed artistici, che ci fauomini vivi. Ora, nel lento avvicinarsi alla morte dei malatiterminali c'è un tornare bambini, c'è un’esperien-za di sofferenza che riporta alla sperduta e disar-mata condizione del neonato che in tutto èdipendente dalla mamma; nelle morti per AIDS, ein molte di quelle per tumore, si muore in quellostato di totale dipendenza che descrive Tondelli,spesso invocando la mamma, che forse, a comple-tamento di un ciclo, è l’ultima parola che vienepronunciata, dopo essere stata la prima.Vorremmo essere stati prima, e anche dopo, ma citocca invece essere solo mentre, e quel mentre

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verso tutta questa fatica che riusciamo a costrui-re qualcosa di personale nella nostra esistenza.Allora, in questo nostro riandare per sommi capialla ricerca di rose non colte e del ricordo di quel-le colte, è ancora la musica a farci da colonnasonora. Allora, e potrebbe finalmente essere unarisposta a Lucrezio, riportare attraverso la musicaun soggetto gravemente sofferente alla pienezzaaffettiva di questi sogni e all’intensità emotivadei desideri che ne sono derivati, alcuni poi rea-lizzati, altri no, vuol dire ripercorrere nuovamen-te assieme a Orfeo e alla sua cetra il percorsoverso l’aldilà, che è il luogo dove dobbiamo anda-re ma anche quello da dove siamo venuti, e dellacui lontana eco prenatale certe sensazioni dimeravigliosa pienezza e beatitudine sperimenta-te nel corso di alcuni sogni, di alcuni ascoltimusicali e di alcuni momenti d'amore, sono pro-babilmente la testimonianza sensibile che ci èconcessa durante questo nostro breve e tormen-tato transito terrestre. È Proust ad avere le parole, non per controbatte-re ma almeno per addolcire l’idea di “solido nulla”che sostiene il pessimismo lucreziano: “Forse soloil nulla è vero, e tutto il nostro sogno è inesi-stente; ma allora sentiamo che è necessario cheanche queste frasi musicali, queste nozioniaventi esistenza in relazione solo con esso, nonsiano nulla. Noi periremo, ma avendo per ostag-gi queste prigioniere divine, che seguiranno ilnostro destino. E la morte con loro ha qualcosadi meno amaro, di meno inglorioso, di meno pro-babile, forse”9.

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Note1 E comunque le malattie hanno sempre origine “altrove”. Che

l’AIDS sia nato in Africa è ipotesi non suffragata da dati certi,

che ha dato origine ad una leggenda speculare, divenuta

molto popolare in Africa, secondo la quale l’AIDS, creato in

un laboratorio militare americano, e poi diffuso ad arte nel

continente nero, sarebbe ad un certo punto sfuggito di mano

e tornato al mittente come un boomerang attraverso missio-

nari omosessuali (per un certo periodo, fino a metà degli anni

‘80, anche il KGB svolse opera di disinformazione in Russia

utilizzando questa storia).2 Per tutto questo, e altro ancora, è ovvio rinviare a quella

mirabile, definitiva metafora che è La Metamorfosi di Kafka.3 Molti esempi letterari sembrano confermare l’idea che, in

qualsiasi tempo, le reazioni al contagio ed i pregiudizi relati-

vi si strutturerebbero secondo il solito canone. Così, ne La

Peste, Camus dimostra che anche in pieno XX secolo un’epi-

demia può sovvertire completamente l’ordine sociale e mora-

le, mentre in Una cosa che comincia per elle Buzzati ambien-

ta in un luogo immaginario e senza tempo un’agghiacciante

e definitiva metamorfosi sociale che si compie in 24 ore per

un disgraziato commerciante che, sentitosi male nella locan-

da dove era di passaggio, e trovato affetto da lebbra, casual-

mente contratta mesi prima e decorsa sino ad allora senza

sintomi, viene privato di tutti i suoi beni e costretto a ripar-

tire a piedi con la divisa e la campanella da lebbroso al piede,

mendicando per sopravvivere. Non è una vicenda molto dis-

simile da quella illustrata nel film Philadelphia.4 Con conseguente “santificazione” laica di personaggi come

Baudelaire, Donizetti, Schubert, Nietzsche, e sviluppo lettera-

rio di tale teoria nel Doctor Faustus di Thomas Mann, dove il

compositore Adrian Leverkühn realizza il moderno patto col

diavolo proprio facendosi da lui donare 20 anni di prodigio-

sa creatività musicale tramite sifilide.5 Ciò, tra l’altro, dà luogo a quel fenomeno di rimozione col-

lettiva, fisica e psichica, che Baudrillard (1979) definisce “l’e-

stradizione dei morti”, tipica della civiltà occidentale, mentre

il diverso atteggiamento delle culture orientali è descritto in

modo assai suggestivo nel film L’arpa birmana (1955), di K.

Ichikawa, dove si narra la storia di un soldato che alla fine

della II guerra mondiale si fa bonzo e rimane nei luoghi delle

battaglie per dare sepoltura ai compagni morti.20

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6 Senza andare così indietro, l’utilizzo che ai primi del ‘500

veniva fatto del trittico pittorico di Mathias Grünewald, raf-

figurante la passione di Cristo, nella chiesa monastica di

Isenheim, annessa al lazzaretto dove erano ospitati storpi,

lebbrosi e affetti da altre malattie infettive, può essere defi-

nito con buona approssimazione terapeutico, in quanto la

progressiva apertura del trittico, accompagnata dall’esecu-

zione di musiche sacre, si proponeva di provocare nei malati

emozioni liberatorie (Postacchini et al., 1997).7Dell’inumano varcando il confine

conoscemmo anzitempo la carogna

che ad ogni ambìto sogno mette fine:

che la pietà non vi sia di vergogna.8 Forse è tempo di iniziare anche una riflessione epistemolo-

gica a tale riguardo: il nostro lavoro, nel confronto e nel con-

tatto con la patologia terminale, finisce inevitabilmente per

uscirne arricchito, e quindi cambiato, in un processo trasfor-

mativo sperabilmente bidirezionale. 9 Desidero indicare inoltre i luoghi teorici più evidenti che ho

preso a prestito senza direttamente citarli nel testo e verso i

quali sono consapevolmente debitore. Per quanto riguarda il

campo letterario, ovviamente il sonno della ragione di

Francisco Goya, le rose non colte di Guido Gozzano e il soli-

do nulla di Giacomo Leopardi. Per l’ambito psicoanalitico, il

bagno di suoni di Didier Anzieu, la problematica del paralle-

lismo fra nascita e morte di Franco Fornari, molte suggestive

immagini sull’origine del simbolo di Denis Gaita, e anche un

certo uso del materiale proustiano ricollegato alle riflessioni

su ricordo, dolore e musica di Romolo Rossi e Sabino Nanni

(in Melancolia e Musica, a cura di V. Volterra, Il Cardo,

Venezia, 1994). Naturalmente, i creditori dimenticati sono i

più. Mia è in ogni caso la responsabilità dell’uso, che presu-

mo opinabile, di tutto questo patrimonio concettuale.

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Postacchini P.L., Ricciotti

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INTRODUZIONEIl presente lavoro costituisce il resoconto di unanno e mezzo di attività continuata e sistemati-ca nell'ambito del post-coma.L'esperienza riguarda l'utilizzo della musicotera-pia nella riabilitazione di pz, prevalentemente,con esiti da trauma cranico ed ha avuto luogopresso il Centro di Riabilitazione "S. Stefano" diPorto Potenza Picena.Il Centro, inserito all'interno di un ampio com-plesso riabilitativo, è suddiviso in tre reparti:• Fisio A, con 32 posti letto, per la riabilitazione

di persone con disabilità da patologie ortope-diche e da lesione midollare;

• Fisio B, con 34 posti letto, per la riabilitazione neurologica e post-coma;

• U.R.I., con 18 posti letto, è l'unità di risveglio edi terapia intensiva. I pazienti ricoverati pro-vengono dai reparti di Rianimazione/TerapiaIntensiva, Neurochirurgia e Neurologia dellestrutture ospedaliere. Il ricovero in questaunità riguarda pazienti con esiti di grave lesio-ne encefalica che abbia causato uno stato dicoma GCS < 8 (secondo la misurazione dellaGlasgow Coma Scale) della durata di almeno24 ore. Essi si presentano in stato vegetativo oin fase precoce di recupero della coscienza.

Inoltre, all'interno del Centro, è attivo un repar-to extraospedaliero, unico nel suo genere, accre-ditato dal S.S.N., come unità di degenza perpazienti in Stato Vegetativo Permanente(U.S.V.P.), con una recettività fino a 30 posti.La musicoterapia è stata inserita tra le varie meto-diche riabilitative del centro nel novembre ‘97.

L' INTERVENTO MUSICOTERAPICO L'intervento musicoterapico si colloca nella fasepost-acuta del coma, dopo un periodo di tempoche va da circa 1 mese a 2 mesi dall'evento trau-matico.I medici del reparto segnalano i pazienti da valu-tare per un'eventuale approccio musicoterapico,

L'intervento

musicoterapico

si colloca nella

fase post-acuta

del coma, dopo

un periodo di

tempo che va da

circa 1 mese a 2

mesi dall'evento

traumatico.

L’intervento musicoterapico nella riabilitazione dei pazienti post-comatosi

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tazione motoria, in altriinvece in un quadro diflaccidità e di ipotonia.

Altrettanto fondamen-tale è l'esigenza dinutrire di contenuti

affettivi ed emozionali persone che si trovano, aqualsiasi livello, in uno stato di deprivazione, didisorientamento e di perdita dei limiti spazio-temporali nella percezione del sé e dell'altro da sé.

Fase preparatoriaDal momento in cui il paziente viene indicatocome possibile utente, si avvia una fase prelimi-nare per la raccolta di informazioni e di notiziepersonali e cliniche sulla base delle quali vienepoi elaborato il piano d’intervento specifico:• colloquio con i familiari sulla vita del soggetto,precedente l'evento traumatico; • esame della cartella clinica, confronto con imedici e con i terapisti;• rilevazione dei comportamenti nello statoattuale, reazioni ai vari stimoli, sensoriali o affet-tivi (voci familiari);• osservazione diretta in momenti diversi dellagiornata (terapia, riposo, manovre infermieristiche);• primi incontri di osservazione musicoterapica.

ContenutiPer quanto riguarda i contenuti sonoro/musicalidegli incontri, vi sono degli aspetti generali lega-ti al particolare stato patologico dei pazienti.Innanzitutto si rende necessario l'utilizzo di ele-menti semplici, significativi ma non troppointensi su di un piano emotivo, per favorire uncontatto e promuovere una comunicazione, chealtrimenti potrebbe venire inibita da stimolieccessivi e complessi, fino a produrre chiusura erifiuto nei confronti della realtà esterna.Quindi i diversi parametri musicali vengono trat-tati, utilizzati e modificati separatamente, per

dando priorità a coloroper i quali è stata postauna prognosi di risve-glio più favorevole.Una volta stabilizzati iparametri vitali, i pazien-ti vengono alzati e posi-zionati in carrozzina ogni giorno, tranne in casidi insorgenza di eventi clinici particolari o di cureigienico-sanitarie ordinarie. Fino al dicembre ‘98 i pazienti venivano portatinella stanza di MT e, solo se era possibile trasfe-rirli, venivano presi in considerazione per l'inseri-mento.Dal gennaio ‘99 è stato avviato in via sperimen-tale il trattamento musicoterapico fin dai primigiorni di ricovero, quando i pz non possonoancora essere mobilizzati. Indubbiamente questacondizione presenta diverse difficoltà legateall'organizzazione del reparto: grandezza dellacorsia, divisa da vetrate in camere comunicanti,attività del personale infermieristico e dei terapi-sti, allarmi dei vari macchinari, emergenze.In base a questi fattori è stata individuata unafascia oraria che sembrava potesse essere relati-vamente più calma e silenziosa, anche se le diffi-coltà e gli imprevisti non mancano!

Obiettivi Gli obiettivi principali sono: stabilire un contattocon il paziente; favorire il ripristino di una rela-zione con la realtà esterna; facilitare il recuperodella coscienza attraverso elementi significativi estimolanti, privilegiando la comunicazione non-verbale.Tali finalità necessitano di uno stato rilassato. Ilrilassamento indotto stimola infatti nei pazientiuna maggiore ricettività. Inoltre molti deipazienti sia per la conservata sensibilità al dolo-re che per le lesioni neurologiche riportate, pre-sentano forti rigidità e contrazioni, che in alcunicasi si innestano in uno stato complessivo di agi-

Per promuovere lacomunicazione è

necessario l'utilizzo dielementi significativi

ma non troppo intensisu di un piano emotivo

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logici propri dello stato del paziente, in cui sialternano periodicamente il sonno e la veglia; perquesto tra una proposta sonora e l'altra ci sonosempre pause di silenzio.È necessario rispettare il bisogno di riposo ed evi-tare una eccessiva stimolazione, che risulterebbenon solo improduttiva ma addirittura dannosa, inquanto provocherebbe una ulteriore reazione dichiusura nel paziente. D’altro canto, essendo tuttii tempi di reazione, in questo stato patologico,molto rallentati è indispensabile attendere larisposta lasciando il silenzio opportuno.La struttura dell'incontro è concepita per averesempre, sia in apertura che in chiusura, contenu-ti rassicuranti che inducano uno stato di tranquil-lità e di rilassamento; se opportuno, valutando divolta in volta, viene inserito, nel momento cen-trale, un elemento di maggior tensione che possaindurre risposte emotive più pregnanti. Restasempre fondamentale non perdere la fiducia delpaziente e gli eventuali canali di contatto indivi-duati, che spesso sono fragili e tenui, per cui sonoesposti al rischio di essere inficiati da scelte ope-rative non opportune anche per elementi appa-rentemente irrilevanti o di poco conto. Il mondoesterno, per questi pazienti, è qualcosa di lonta-no, estraneo, una minaccia costante da cui pro-teggersi e difendersi.

TempiQuando i pz sono ancora in una fase iniziale e leuniche risposte osservabili sono relative allavariazione dei parametri fisiologici (frequenzarespiratoria, battito cardiaco, irrorazione cutanea,apertura e movimenti degli occhi, attività moto-ria del corpo, tono muscolare) il trattamentomusicoterapico prevede 3/4 incontri settimanalidella durata di 15’/20’ ognuno.Quando i tempi di attenzione si prolungano, coneventuale permanenza dello sguardo, e si osservala comparsa di segnali di risposta concordati ed

poter offrire al paziente messaggi chiari, rassicu-ranti e comprensibili; questi sono modulati sullaspecificità individuale del pz, alla luce dei datiinformativi raccolti nella fase preliminare e sullabase delle “risposte” che egli invia nel corso dellesedute.

TecnicheNella messa in atto delle varie tecniche viene pri-vilegiata la produzione diretta (dal vivo); questaconsente la verifica costante della qualità dellarelazione tra il soggetto e la musicoterapista, epermette di modulare e calibrare la propostasonoro/musicale sulle effettive esigenze dell'altro,nel "qui ed ora"della situazione, potendo rilevare ecogliere eventuali modificazioni, o non modifica-zioni, che avvengono nello svolgersi dell'incontro. Le proposte vertono principalmente su: • improvvisazione vocale e strumentale, sintoniz-zata sui parametri fisiologici del soggetto (respi-ro, attività motoria, suoni casuali);• canto di melodie familiari;• ascolto musicale.

Modalità • Nella stanza del reparto ci si pone accanto alletto, proponendo un contatto fisico, ma solo segradito, molto discreto (mano su mano). Il primoapproccio è ricercato attraverso il canto improv-visato, sintonizzato sul respiro del paziente, uti-lizzando intervalli di 2° e 3°, con metri binari,intensità e velocità moderate ( dal canto a boccachiusa a semplici testi con i nomi e il saluto).Vengono intonati frammenti di melodie familiario vicine alla sensibilità culturale del soggetto.• Nella stanza di musicoterapia si accoglie il pz esi presenta l'ambiente; si facilita la conoscenzadello spazio e degli oggetti presenti (strumenti eattrezzature); l'attività che viene proposta puòessere preceduta da un'introduzione verbale. La seduta viene scandita seguendo i tempi fisio-

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utilizzati costantemente e vi è l'estensione deitempi di veglia, le sedute arrivano gradualmentead una durata di 30’/40’, con una frequenzabisettimanale.

Luogo Appena è possibile le sedute si svolgono nellastanza di musicoterapia, per i seguenti motivi:• stare in un ambiente più tranquillo e rilassante;la stanza di musicoterapia sia dal punto di vistavisivo, uditivo, che olfattivo è molto più discreta emolto poco invasiva rispetto al reparto;• facilitare la percezione, la discriminazione e laidentificazione degli stimoli sonori in un contestocon un rumore di fondo ridotto e quindi con unrapporto figura/sfondo molto più nitido;• dare un riferimento spazio-temporale cherompa l'uniformità della permanenza in reparto,per favorire l'orientamento della persona attra-verso esperienze plurisensoriali diverse;• riavvicinare il paziente alla "normalità"; ingenere, se possibile, viene lasciato senza ausilii otrazioni, non ci sono macchinari e fili vari. Lastanza di musicoterapia non è medicalizzata.

OSSERVAZIONIMi trovo a lavorare con persone che fino a pocotempo prima erano sane, avevano una vita attivae dinamica; spesso giovani, o, addirittura, bambinie adolescenti, con un futuro tutto da costruire;penso sia facile intuire con quale intenso impat-to emotivo, ci si confronti quotidianamente.In tutti, operatori e familiari, sono presenti inten-se "aspettative", che spesso oscillano tra l'estre-mo della disperazione e dello scoraggiamento equello della sopravvalutazione e dell' eccessivoottimismo.È faticosissimo restare nei limiti del reale e dell'e-quilibrata lettura degli elementi che vengonorilevati nelle varie situazioni. Nessuno fa miraco-li, nessuno è inutile: ognuno contribuisce a resti-

tuire al paziente ciò di cui improvvisamente èstato deprivato dall'evento patologico. In alcunicasi la musicoterapia è stata ritenuta determi-nante per sbloccare una situazione, per aprire unvarco, un canale di comunicazione in cui poi sisono inseriti gli altri operatori. Questa considera-zione potrebbe essere confusiva: in situazionipatologiche così complesse e non sempre total-mente decodificabili, non è il singolo trattamen-to che può risolvere il quadro clinico, quanto l'in-tervento armonico ed integrato delle diversemetodiche riabilitative in un rapporto di sinergiatra tutte le varie figure professionali, e non, cheinteragiscono con il paziente, in quanto personadi cui prendersi cura nella sua globalità. Si puòcomunque asserire con una certa convinzione chein questo particolare ambito patologico esisteuno specifico dell'intervento musicoterapico, dicui vengono evidenziati alcuni aspetti.In tutte le persone con cui ho lavorato, è statopossibile osservare una qualche reazione (a livel-li diversi, con modalità diverse) a proposte sono-ro-musicali. In molti casi si è verificata un'evolu-zione nella comunicazione non-verbale, fino agiungere, con alcuni, a quella verbale.Modificando i parametri musicali (velocità, altez-za, ritmo) e tenendo conto delle caratteristichespecifiche di ciascun pz, sia prima dell'evento chenel decorso della patologia, si ottengono varia-zioni dello stato di tensione/distensione. La sedu-ta di musicoterapia può divenire un punto d'os-servazione significativo e privilegiato per una piùapprofondita conoscenza delle potenzialità edella possibilità residue del pz, sotto il profilosenso-motorio, cognitivo e relazionale.L'insistente richiesta verbale di risposte o disegnali può provocare chiusura e rigidità in un pzche spesso non comprende (afasia) o non è ingrado di compiere quanto richiesto. Il pz può sen-tirsi frustrato e scoraggiato, può emergere unatteggiamento depressivo ed una minore collabo-

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tutte le produzioni, anche casuali ed involonta-rie del paziente;

• essere molto graduali e discreti nelle proposte,sempre consapevoli dell'estrema complessitàdella situazione globale del paziente (è unbambino, con un corpo, una struttura neuropsi-cologica e un passato da adulto), spesso disar-monico e frammentato per il quadro neurologi-co, esito dell'evento traumatico;

• rispettare i tempi "evolutivi"che sono lunghi egraduali;

• offrire stimoli semplici, elementari e facilmentericonoscibili;

• distinguere le proiezioni dei familiari e le propriedai dati reali (informazioni, comportamenti);

• ricordare che si ha difronte, comunque, unapersona, che ad un qualsiasi livello, riceve mes-saggi, contenuti, informazioni;

• in ogni caso il nostro obiettivo è migliorare laqualità di vita del pz.

razione nello svolgimento del percorso riabilitati-vo. L'assenza totale della voce (mutismo, afasia),eccetto rari suoni vocali o gutturali spontanei(lamenti, sbadigli, movimenti della bocca), richie-de necessariamente il mantenimento di unacomunicazione non-verbale. Molte volte i primisegnali di contatto e di risposta sono rilevati pro-prio nel contesto musicoterapico, che evidente-mente, viene vissuto come positivo e rassicurante.In conclusione vorrei sottolineare gli aspetti checonnotano l'intervento musicoterapico nell'ambi-to del post-coma:

• ascoltare ed osservare attentamente per coglieretutto ciò che il paziente può offrire, in quantoparte attiva dell'intervento musicoterapico.Attraverso la sintonizzazione alle sue “propo-ste”, anche involontarie, egli viene coinvoltonella sua riabilitazione come soggetto partecipe;

• non avere fretta, saper aspettare, lasciare scorrereil tempo, accettare il silenzio come parte inte-grante e costruttiva della seduta (la musica èfatta di suoni e di silenzi);

• dare significato ed evidenziare musicalmente

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IntroduzioneNel morbo di Alzheimer le competenze comuni-cative sono in genere molto deficitarie (Aldridge-Brandt, 1991). Il malato affetto da demenzaperde in spontaneità, ha crescente difficoltà nellacomunicazione, nel reperimento delle parole onella comprensione del linguaggio; il pensieroastratto e la capacità di eseguire ragionamentirisultano impoveriti; la sua capacità di giudiziodiminuisce; il pensiero perde la sua chiarezzaapparendo frammentato e disorganizzato; la suacapacità di memorizzare si affievolisce; presentadisturbi dell’attenzione e del comportamentopsicomotorio; compaiono mutismo, ripetitività esoprattutto depressione; perde interesse perl’ambiente, per gli altri, per i propri hobbies e ilproprio lavoro, si rinchiude in se stesso (Zanetti-Trabucchi-Boschi-Tonini, 1998; Longo-Mecocci-Senin, 1998; Trabucchi, 1998). Di fronte a questa situazione diventa allora fon-damentale garantire al malato la possibilità diesprimere le proprie emozioni e di percepire leproprie sensazioni affettive per poi attivare lapossibilità di poterle “decodificare” e “regolare”, apartire dai semplici vissuti corporei fino alle piùelaborate fantasie mentali (Postacchini-Ricciotti-Borghesi, 1997).“Esprimersi”, dal latino “ex-primere”, letteralmen-te “spremere per far uscire”, “mandar fuori”, per-mette di manifestare, lasciar trasparire, comuni-care il proprio pensiero, sentimento o stato d’ani-mo attraverso il linguaggio o modalità non-ver-bali. Allo stesso tempo il recupero di competenzesimboliche può consentire di metacomunicaresulle proprie esperienze, per dare un significato adesse e integrarle a livello mentale.In questo senso la Musicoterapia (MT), in quantopratica che favorisce l’espressione comunicativae l’espressione in genere e che garantisce la rego-lazione delle emozioni, può ricoprire un ruoloimportante nell’approccio con la persona affetta

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“Esprimersi”, dal

latino “ex-primere”,

letteralmente

“spremere per far

uscire”, “mandar

fuori”, permette

al paziente affet-

to da demenza di

manifestare,

lasciar trasparire,

comunicare il

proprio pensiero,

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getto di sperimentazio-ne di attività diurna afavore di malatiAlzheimer.La sperimentazione, checostituisce una primafase di studio di fattibi-

lità di un centro diurno, ha assunto la struttura diun lavoro integrato di MT e di Terapia delle 3 R:“riorientamento, reminiscenza e rimotivazione”.

I soggetti coinvolti nella sperimentazioneL'intervento sperimentale si è rivolto ad un grup-po di 10 soggetti affetti da Demenza di Alzheimerdi grado lieve-medio, in età compresa tra i 65 egli 85 anni (8 donne e 2 uomini), selezionati nel-l’ambito dei pazienti attualmente in cura presso ilCentro di Geriatria, attraverso l'applicazione di cri-teri di inclusione determinati dai seguenti strumen-ti operativi: Mini Mental State Examination >15;Global Deterioration Scale >-3; assenza di gravidisturbi comportamentali e di gravi deficit neuro-sensoriali. Gli anziani avevano una compromissio-ne più o meno marcata di memoria, orientamen-to, linguaggio, prassie ed erano, per la maggiorparte, di umore depresso.Inoltre, è stata fatta una valutazione del rapportopaziente/musica, attraverso un colloquio iniziale conun familiare e con lo stesso paziente, per avere infor-mazioni utili sulla storia generale del malato e sullasua storia sonoro-musicale.

Modalità di realizzazione della sperimentazione esua valutazioneIl gruppo dei soggetti è stato diviso in due sotto-gruppi di lavoro (5 soggetti) ciascuno dei quali èstato impegnato per un periodo di un mese (feb-braio/marzo 1999) alternativamente in un lavorodi Terapia delle 3 R e di MT, con una frequenza ditre incontri settimanali per ogni terapia di riatti-vazione, per un totale di 12 incontri.

da morbo di Alzheimer.Studi recenti hannodimostrato come la par-tecipazione all’attivitàmusicale sia stretta-mente correlata con icomportamenti socialidei pazienti affetti da demenza, provocando unincremento degli indici di partecipazione, dell’e-spressione attraverso il canale verbale-fonatorioe quello mimico-gestuale ed una facilitazionedell’interazione e dello sviluppo di contatti socia-li (Pollack-Nemazi, 1992).La MT, inoltre, può costituire un’occasione dipotenziamento mnestico: sedute basate sulrichiamo di canzoni familiari e sulla ripetizione dimelodie, presentate ai soggetti dementi per laprima volta, possono migliorare nettamente laprestazione della memoria per quanto riguarda ilmateriale cantato rispetto a quello parlato(Prickett-Moore, 1991). In ambito musicoterapico, quindi, la musica puòfornire al paziente un mezzo per esternare, libe-rare, manifestare, rappresentare e proiettare leesperienze interiori (Bruscia, 1993). In questosenso, allora, è molto importante per il musicote-rapeuta cogliere e amplificare le emozioni susci-tate dalla musica.

Una sperimentazione di attività diurna conl’Ass.ne A.M.A.T.A e l’Istituto di GeriatriaA Perugia, l'Istituto di Gerontologia e Geriatria,diretto dal Prof. Umberto Senin, per far frontealle tante richieste di aiuto, suggerimenti, consi-gli ed informazioni avanzate dai familiari deipazienti, ha promosso la nascita dell'A.M.A.T.A.Umbria (Associazione Malati Alzheimer eTelefono Alzheimer). Dopo due anni di attivitàl'Associazione A.M.A.T.A., anche in considerazionedell'assenza totale di risposte specifiche nel terri-torio regionale, ha deciso di dare vita ad un pro-

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La MT può costituireun’occasione di potenzia-mento mnestico: sedute

basate sul richiamo di canzoni possono

migliorare la memoria

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All'inizio e alla fine di ogni trattamento i sogget-ti sono stati sottoposti a valutazione neuropsico-logica. Sono state inoltre considerate le variabilisocio-demografiche e cliniche rilevate nella valu-tazione multidimensionale eseguita al momentodell'arruolamento.Sono state utilizzate anche delle scale da sotto-porre al caregiver per valutare la qualità dellavita e il livello di stress.

Obbiettivi generalia) Fare emergere le facoltà fisiche ed intellettiveresidue, prefiggendosi mete accessibili che fac-ciano sperimentare una riuscita;b) stimolare la capacità cognitiva e l'immagina-zione, attivare la memoria, ristabilire e migliora-re la concentrazione;c) pervenire ad una attendibile valutazione dellecapacità cognitive del paziente;d) valutare l'effetto di un trattamento combina-to tra Musicoterapia e Terapia delle 3 R sulleperformances cognitive e sullo stato affettivo diun gruppo di soggetti affetti da Malattia diAlzheimer e verificarne l'impatto sul caregiver.

Accertamento musicoterapicoCome già detto, è stata fatta una valutazione delrapporto paziente/musica, attraverso un collo-quio iniziale con un familiare e con lo stessopaziente, per ricostruire la storia sonoro-musicale(principio ISO di Benenzon).A tale scopo, riadattando una scheda di R.Benenzon (1984) ed accogliendo spunti da K.Bruscia (1996) sulle preferenze del paziente, èstata creata una scheda comparativa delle infor-mazioni desunte dal malato e dal familiareriguardante l'ascolto abituale di musica, le prefe-renze musicali, le reazioni all'ascolto, ai suonitipici dell'ambiente familiare, alle diverse prati-che musicali (canto, ballo, suono di strumenti),con particolare attenzione al materiale canoro.

Riguardo alle inclinazioni delle persone del grup-po si potevano riscontrare globalmente preferen-ze e gradimenti per:- attività musicale nella quasi totalità delle persone;- esperienza musicale centrata sull’ascolto o sulcantare a memoria in gruppo canzoni conosciute;- repertorio canoro centrato in prevalenza sullecanzoni, con qualche concessione per le arie liri-che e per i canti religiosi;- ascolto di musica classica, da banda e lirica;- preferenza per strumenti come violino, fisar-monica, clarinetto;- pratica del ballo;- uso della voce come mezzo musicale.Obbiettivi da perseguire per ottenere cambia-menti auspicabili e miglioramenti erano, pertan-to, i seguenti:in ambito musicale: valorizzare le capacità cano-re, riattivare la memoria canora e le pratiche delcanto e del ballo; riattivare l’ascolto musicale;ampliare le possibilità ritmico-musicali attraver-so l’uso di strumenti a percussione;in aree con obbiettivi non-musicali: aumentare illivello dell’attenzione e delle capacità di socializ-zazione dei pazienti; favorire l'espressione attra-verso il canale verbale-fonatorio (narrazione ecanto) e quello gestuale-motorio (movimentospontaneo, uso di strumenti a percussione) peraiutare a mantenere attivi certi processi sensoria-li e motori; alzare il livello dell’umore.Condividendo la stessa esperienza che era allostesso tempo cognitiva, emozionale e socializ-zante, ogni persona avrebbe potuto aprirsi all’e-sperienza nel gruppo secondo i propri tempi,rispecchiandosi in quello che avrebbe fatto odetto l’altro. Avrebbe potuto, infine, soddisfarequel bisogno primario e fondamentale di ricono-scersi in ciò che si sarebbe fatto ed essere ricono-sciuto dagli altri.

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turato e questo percorso lo si è seguito in ognifase. Ad esempio: dal muoversi spontaneo e libe-ro su di uno stimolo musicale (nell’ascolto e nelcanto) si è arrivati gradualmente ad un movimen-to strutturato, con sequenze ritmico-gestuali (neigesti ritmici) e con figurazioni coreutiche (nelballo e nelle danze popolari).In termini musicali, il percorso scelto, nelle suegrandi linee, quindi, prevedeva un passare dallamelodia al ritmo e un utilizzare brani musicalicaratterizzati da pulsazione lenta per arrivare gra-dualmente a brani ritmati, con un aumento dellavelocità e concludere con un ritorno a tempi lenti.In termini di movimento ciò significava passaredallo stare fermi al muoversi sempre di più, coin-volgendo progressivamente tutte le parti delcorpo, mettendosi in gioco ed appropriandosidella musica con il movimento del corpo intero,da seduti allo stare in piedi.In termini spaziali si è passati da un uso limitatoad un uso ampio dello spazio.In termini di energia emotiva si è passati da uncoinvolgimento emotivo e affettivo contenuto adun coinvolgimento intenso per ritornare a uncoinvolgimento misurato.Schematicamente, il passaggio ipotizzato per lequattro variabili Musica, Movimento, Spazio,Energia emotiva è stato il seguente:

VARIABILI PASSAGGI

• Musica dalla melodia al ritmo alla melodia;da tempi lenti a veloci e ritorno ai lenti;da attività musicali più calme e conminore coinvolgimento ad attività piùcoinvolgenti e partecipanti e ritorno adattività calme

• Movimento dallo stare fermi al muoversi;dallo stare seduti allo stare in piedi

• Spazio da un uso ristretto ad un uso ampio

• Energia da un investimento emotivo e affettivoemotiva contenuto ad un investimento intenso

con ritorno a un investimento contenuto

Struttura dell’incontro e metodologiaIn base all’accertamento dell’ISO gruppale, sonostate formulate alcune ipotetiche linee di inter-vento verificate e messe a punto anche in itinere.L’idea originaria era quella di offrire un menùvario di attività musicali, in modo da assecondarele esigenze di ogni componente del gruppo, cer-cando di ricreare, come già sperimentato in espe-rienze passate, il clima delle “veglie” serali, quan-do attorno a un focolare si andava a veglia pressouna famiglia di amici o parenti e ci si intrattenevacon racconti, canti e balli (Delicati, 1997).Con la finalità di favorire la partecipazione e l’e-spressione delle persone, facendole entrare gra-dualmente nel clima dell’attività, la struttura diogni incontro prevedeva una progressione nelleproposte, con un’attività musicale iniziale piùcalma e con minore coinvolgimento (l’ascolto dimusica registrata) seguita da un’attività più coin-volgente e partecipante (il cantare in gruppo) perandare poi verso esperienze musicali (il suonarestrumenti a percussione o la danza) sempre piùcoinvolgenti, sia a livello fisico che emozionale,per chiudere con un ritorno ai tempi lenti dell’i-nizio. La finalità di questa strutturazione era quella difar entrare lentamente le persone nel clima del-l’incontro, costruendolo lentamente insieme,lasciando che lo stesso si strutturasse in modotale da favorire la massima espressione.Metodologicamente, si è partiti da una situazioneinformale, non costrittiva, senza precise consegneo regole, lasciando che le cose accadessero dasole, lasciando che i malati reagissero liberamen-te agli stimoli della musica, per poi raccoglierequesti loro spunti, stimoli o reazioni e "rilanciar-li", amplificandoli, riproponendoli in una formapiù strutturata, secondo il metodo di interventoriassunto nei concetti di matching, pacing, lea-ding (Scardovelli, 1992). Si è partiti, quindi, dal-l'informale per arrivare poi alle regole, allo strut-

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Ogni incontro è stato concepito come un tempoed uno spazio sonoro-musicale nel quale, unavolta fissate le coordinate di base rappresentatedalle attività musicali, accadevano degli eventi, sifacevano degli incontri, si mettevano in movi-mento delle energie. Incontro, quindi, comestruttura dinamica che ha un inizio, uno svolger-si ed una fine e nel quale l’elemento ritmico rap-presentava l’acme, il momento della messa in cir-colo di energie, del movimento corporeo, delleemozioni.

Processo di trattamentoGli anziani dei due gruppi hanno seguito il trat-tamento di MT per un mese; gli incontri, di un’o-ra ciascuno, avevano una frequenza trisettima-nale. Le persone si sono incontrate alla stessa orae nello stesso luogo, sedendo quasi sempre nellostesso posto.Le attività musicali erano condotte da un musi-coterapeuta assistito da due tirocinanti, uno deiquali provvedeva alla ripresa in video di buonaparte delle sedute. L’incontro tipico prevedeva un momento inizialedestinato all’accoglienza dei partecipanti in unsalone d’ingresso; questo momento e questoluogo erano importanti per osservare il tono del-l’umore dei pazienti, le loro resistenze, il lorolivello di investimento energetico. Era il momen-to e il luogo per approcciarsi e verificare le reci-proche disponibilità e i dubbi residui, per vincerele resistenze, per convincere o rispettare la sceltadi non entrare.

Seguiva l’ascolto di brani prevalentemente regi-strati: musica classica, operistica, folklorica esoprattutto canzoni di musica leggera (legata agliinterpreti del passato più famosi come C. Villa, A.Togliani, N. Pizzi,...) e canzoni popolari. I motivi,risalenti agli anni giovanili dei partecipanti, eranoprevalentemente in versione originale; il sound, la

strumentazione d'epoca, il tipo e l'uso delle voci,ecc., è più “facilitante” dei rifacimenti moderni nelfavorire nei pazienti il “rituffarsi” nel clima e nel-l’atmosfera degli anni passati. I brani erano miratialle persone in base ai dati e alle informazioni sullepreferenze musicali desunte dal colloquio iniziale.I malati venivano incoraggiati, con modalitànon-verbali, a cantare, e in modo spontaneo lorostessi cercavano di riconoscere il motivo e indo-vinarne il titolo dopo l’ascolto delle prime note,cantavano sulla voce dei cantanti o negli inter-mezzi strumentali.

Dopo l’ascolto di musica registrata, si continuavacon il canto a viva voce. Il fare musica dal vivoaumentava il livello di partecipazione e di coin-volgimento, anche nei termini della mobilizzazio-ne di una maggiore energia. Inoltre consentiva almusicoterapeuta di adattarsi al tempo del canto-re, rallentando o velocizzando l’esecuzione, cam-biando registro, improvvisando soluzioni musica-li particolari.Ecco alcune proposte: il cantare in gruppo, lastruttura solista/coro, il cantare con accompa-gnamento di piccoli strumenti a percussione(maracas, legnetti, triangoli, tamburello, tambu-ro, presentati nella seconda parte degli incontri).

L’ascolto e il canto a viva voce di canzoni provo-cavano nei malati varie risposte di tipo corporeo:gesti spesso solo abbozzati, scaturiti da un impul-so spontaneo a muoversi a tempo di musica, checoinvolgevano soprattutto la parte superiore(testa e braccia verso l’alto) e mediana del corpo(busto, mani) più legate all’affettività e alla lineamelodica; quando, poi, le canzoni erano più rit-mate, si verificava anche un coinvolgimento dellaparte inferiore del corpo, con le mani in attivitàpercussiva (schioccare di dita, battito sulle cosce,battito di mani) e, in un momento successivo,l’accompagnamento strumentale con gli stru-

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FASI e ATTIVITÀ Aspetti musicali Aspetti bioenergeticie di psicomotricità

Accoglienza attivazione dell’energia

1) Ascolto linea melodica parte superiore del corpo (testa e braccia verso l’alto)

2) Canto di canzoni sound, timbro, parte mediana, voce, sonorità, tronco, plesso solareatmosfera = qualità sonora globale di un brano, di un cantante o di uno strumento

3) Movimenti a ritmo parte inferiore tempo con la musica (mani in attività oppure percussiva, piedi)Suonare gli strumenti a percussione

4) Danza popolare ritmo parte inferiore (tuttoe ballo il corpo e in particolar

modo i piedi)

Chiusura/congedo linea melodica ristabilimento dell’energia

Da quanto sopra detto e da quanto emerso con-cretamente nel lavoro, la MT nell’esperienza conpazienti affetti da morbo di Alzheimer in faselieve-media, è stata considerata principalmentecome pratica accrescitiva (secondo la definizioneche ne dà K. Bruscia nel suo “Definire laMusicoterapia”) in quanto utilizzata:a) per accrescere gli sforzi di altre terapie di trat-tamento (in primis la farmacologica); b) per fornire contributi benefici al piano di curagenerale del malato;c) per un limitato periodo di tempo;d) comprendendo anche attività non-musicalicome ad esempio la narrazione e la reminiscenzae l’uso di tecniche non strettamente musicalicome la pratica del ballo e delle danze popolari; e) impiegando non solo la musica, ma l’interagamma di esperienze e relazioni generate dallamusica.

menti a percussione. Nel corso dell’esperienza si è potuto constatarecome la messa in movimento di diverse parti delcorpo in risposta allo stimolo di musiche concaratteristiche melodiche e ritmiche differenti,richiamasse il modello della suddivisione delcorpo umano in tre poli (superiore, mediano einferiore) che si mobilizzano in risposta al tipo dimusica proposto (Guerra Lisi, 1991).

L’ascolto e il canto a viva voce, inoltre, portavanoi malati a parlare: la verbalizzazione riguardava leimpressioni suscitate dall’ascolto e gli elementicostitutivi del brano (nome dell'autore, titolo, tipodi strumenti, tipo e qualità della voce del cantan-te, ecc.) oltre all’emergere di ricordi personalilegati a momenti cruciali della propria vita: illavoro, la guerra, le figure familiari, gli amori, ecc.

La terza e quarta fase di ogni incontro prevede-vano diverse attività centrate su di un maggiorecoinvolgimento gestuale-motorio: il muoversi con gesti strutturati in sequenze rit-miche su stimolo di musica registrata (utilizzandobrani caratterizzati da semplicità di forma e dariconoscibilità); il ballo sia libero che sotto forma di semplicidanze popolari. Queste attività venivano scelte alternativamente,a seconda dei loro potenziali effetti, dei bisogniche esprimevano i partecipanti direttamente oche venivano colti dal musicoterapeuta.

Schematicamente ogni incontro si è strutturato econsolidato nelle seguenti parti in ordine di suc-cessione, con accanto indicati gli aspetti musica-li e quelli psicomotori:

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Questo intervento ha aggiunto ai servizi, ai pro-grammi e alle terapie di trattamento di pazientiseguiti fin qui principalmente a livello farmaco-logico, quel qualcosa di unico che è la musica.Allo stesso tempo, la MT ha avuto un ruolo indi-pendente nel fissare obbiettivi particolari nelpiano di cura delle persone, in particolare nel-l’aiutare il malato ad esprimere le proprie emo-zioni, a percepire le proprie sensazioni affettive ein alcuni momenti, scarsi ma significativi, ad ela-borarle e ad attribuire ad esse un significato sim-bolico. La MT, inoltre, si è indirizzata ad un’ampiagamma di problemi e bisogni presentati dallepersone, scegliendo via via quel particolare ele-mento musicoterapico che meglio si indirizzavaai bisogni che emergevano nel lavoro. Infine, lafigura stessa del musicoterapeuta ha rivestito unruolo importante nella relazione con i malati.

ValutazioneRaccolta dei datiUna difficoltà iniziale è stata quella di trovarenella letteratura internazionale modelli di rileva-mento e misurazione dell'intervento musicotera-pico e dei suoi effetti sui pazienti. Viste le diffi-coltà di carattere "economico" nell'utilizzare ilmodello proposto da Alicia Ann Clair (1991)dell'Università del Kansas, si è creata una schedadi rilevamento e valutazione composta di alcunecategorie comportamentali ritenute significativeper leggere e misurare i cambiamenti, nel corsodel tempo, delle stesse.Sono state scelte le seguenti otto variabili, cia-scuna valutata su livelli a tre gradi (punteggio 0-2):1. attenzione (considerata come la capacità diconcentrazione e di risposta alle proposte dicomunicazione sonoro-musicale, verbale, mimi-ca/gestuale/motoria e la capacità di fare richiesteo domande). Livelli: nulla, sporadica, buona;

2. socializzazione (riguarda la capacità di rela-zionarsi con l'altro e di riconoscerlo; la capacitàdi contatto fisico; la capacità di accettare carez-ze fisiche e psichiche). Livelli: nessuna, scarsa/dif-ficoltosa, buona;3. canto (riguarda il comportamento canoro e lapartecipazione attiva allo stesso). Livelli: noncanta, accenna a cantare, canta;4. interazione con uno strumento musicale(riguarda il grado di partecipazione all'esperienzadel suonare strumenti musicali a percussione).Livelli: non suona, accenna a suonare, suona;5. movimento spontaneo (riguarda la partecipa-zione motoria spontanea di testa, tronco, artisuperiori e inferiori allo stimolo musicale nell'a-scolto e nel canto). Livelli: resta fermo, accennamovimenti, si muove;6. narrazione/reminiscenza (riguarda la rievoca-zione indotta dalle proposte musicali, soprattut-to l'ascolto e il canto). Livelli: nulla, scarsa/fram-mentaria, buona.7. umore (registrato sia "all'accoglienza" che "alcongedo"): riguarda il benessere psico-fisico dellapersona, misurato sia sulle impressioni espressedai soggetti che su quelle osservate dal musico-terapeuta nelle diverse attività. Livelli dell'umore:cattivo, normale, buono.Le categorie comportamentali venivano registra-te nel corso degli incontri e alla fine degli stessidal musicoterapeuta e da due tirocinanti e sonostate verificate e integrate dalla visione dei videodegli incontri.

Analisi dei datiNella valutazione dell’efficacia dell’intervento diMT, l’accostamento dei dati desunti dai testgeriatrici e di quelli offerti dalla scheda musico-terapica, integrati dalle impressioni colte dalmusicoterapeuta nei vari incontri, e dalle “voci”dei partecipanti (sia opinioni che informazioniespresse direttamente da essi) e dei loro familia-

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Questa modificazione è stata riscontrata anchenei dati della scheda musicoterapica, dal confron-to tra il tono dell’umore all’accoglienza e quello alcongedo, incontro per incontro.Dai risultati emersi globalmente nell’intero cam-pione, si possono innanzitutto fare alcune consi-derazioni di carattere generale:- il tono dell’umore alla fine di ciascun incontro siè rilevato sempre superiore al tono dell’umore ini-ziale (cfr. grafico di fig. 2);- il tono dell’umore alla fine di ogni incontro èinoltre progressivamente migliorato nei duegruppi da incontro a incontro (cfr. grafico di fig.2);- l’umore all’accoglienza è stato nettamentediverso nei due gruppi: improntato a caratteristi-che negative nel primo gruppo e rientrante invalori normali nel secondo gruppo (l’umore forseè legato alla composizione di ogni gruppo, ilprimo dei quali ospitava elementi più problema-tici);- l’umore al congedo è migliorato in entrambi igruppi e questo miglioramento è stato più mar-cato nel primo gruppo, mentre nel secondo grup-po ha raggiunto i valori massimi dal sesto incon-tro in poi.

Fig. 2. Le due linee evidenziano il trend del tonodell’umore medio dell’intero campione all’inizio(linea inferiore) e alla fine (linea superiore) diogni incontro.

Miglioramento dell'umore - Gruppi 1

Numero incontri

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1,5

1

01

0,5

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ri, ci forniscono punti di contatto e conferme inalcune variabili comportamentali prese in esame. Se i punteggi ottenuti nei test cognitivi sonorisultati sovrapponibili a quelli del baseline, note-vole è stato l’impatto della terapia sul migliora-mento del tono dell’umore, sulla capacità di rela-zionarsi con gli altri e sulla motivazione ad intra-prendere nuove attività.Nello specifico le categorie comportamentalihanno dato questi risultati:

• Tono dell’umoreI dati desunti dalla valutazione neuropsicologica,nel loro confronto tra l'inizio e la fine del tratta-mento, ci dicono che l’umore, calcolato conl’Hamilton psychiatric scale for depression, ha regi-strato in quasi tutte le persone discreti cambia-menti, con dati che sono risultati statisticamentesignificativi (p < 0.0006) (cfr. grafico di fig. 1).

Valutazione iniziale e finale dei soggetti e valuta-zione media

Fig. 1. Le linee verticali evidenziano per ciascunsoggetto le variazioni medie del tono dell’umoredall’inizio (punti circolari) alla fine (triangoli) deltrattamento. L’osservazione “Media” identifica unipotetico soggetto medio rappresentativo delcampione di soggetti.

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Dalle impressioni colte dal musicoterapeuta edalle voci dei pazienti emerge:- la consapevolezza nei malati degli effetti bene-fici del fare musica assieme e del potere dellamusica di “trasformare” le persone e di ridare lorovita nuova. A volte, infatti, si sono sentite frasilegate allo stupore e all’emozione suscitata dalfatto che la musica ha il potere di riportare indie-tro nel tempo: “Mi fa tornare a 12 anni!”(Assunta); “Queste canzoni sono belle, ci riporta-no alla gioventù... sembra che possiamo rigusta-re quell’epoca...” (Rina); “Riascoltare qualcosa chepiaceva, sembra, se sente un brivido!” (Bruno); “Ècome rivedere cose già viste” (Maria).- la partecipazione alle attività proposte, con uncoinvolgimento, un entusiasmo e un investimen-to emotivo davvero ammirevoli. Ad esempio: duepazienti che rifiutavano pressoché costantemen-te nuove attività e non uscivano da casa, chiede-vano invece puntualmente di essere accompa-gnate per fare le terapie.- segnali incoraggianti di miglioramenti venutidall’ambiente familiare: alcuni parenti hannosegnalato a casa un miglioramento dell’umore(ad esempio: fischiettare motivi), una maggioremotivazione nelle attività domestiche, la ripresadella lettura del giornale, un aumento dell’ascol-to di musica classica.- aiuto e sollievo per i familiari dei malati, nono-stante i disagi che ha comportato l’adesione allasperimentazione.

• Attenzione e socializzazioneI punteggi dei test psicometrici non hanno evi-denziato cambiamenti significativi per la sferaattentiva; però il miglioramento del tono umora-le ha fatto sì che i soggetti partecipassero attiva-mente alle diverse proposte. Dalla scheda musicoterapica emerge come lecapacità attentive dei partecipanti sono statemolto elevate e il livello di attenzione in tutti e

due i gruppi è cresciuto nel tempo. Inoltre, l’atti-vità musicale sembra aver favorito nei due grup-pi un aumento dei comportamenti sociali dellepersone, e aver facilitato l’interazione e incorag-giato lo sviluppo di contatti sociali. Se guardiamo alle impressioni del musicotera-peuta e alle voci dei pazienti notiamo:- atteggiamento maggiormente propositivo: ipazienti hanno fatto richiesta di canzoni o diattività diverse, segno questo di un buon grado diascolto e di attenzione ai propri bisogni.- espressione di sentimenti e di idee.- buon livello di comunicazione, capacità di rela-zionarsi e di legarsi in senso affettivo con gli altri(testimoniato da manifestazioni quali abbracci,baci, atteggiamenti protettivi, interesse reciproco,richiesta di notizie in caso di assenza di qualcuno,"celebrazione" della chiusura dell'esperienza con ilrituale del mangiare qualcosa di buono insieme,ecc...; nonostante i soggetti non si conoscesseroprima del trattamento, si è subito instaurato unclima familiare di amicizia e simpatia).- riduzione del problema dell’isolamento sociale:per molti dei pazienti è stato positivo fare questaattività con una cadenza trisettimanale per spez-zare il loro isolamento; alcuni di loro, infatti,lamentavano spesso di stare da soli in casa, dinon avere scambi. - consapevolezza nei malati di ciò che stavanofacendo o di ciò che stava succedendo: ad esem-pio, sapevano perché stavano lì, dichiaravano ilproprio stare bene. Davano l’impressione di esse-re “pertinenti” alla situazione che stavano viven-do, inseriti senza problemi, salvo poi, una voltausciti, perdere il senso di dove si trovavano.- vari pazienti hanno apertamente dichiarato leproprie difficoltà nel recuperare ricordi o nelricercare la parola giusta. Qualcuno ha pure rac-contato gli episodi in cui era insorto ed emerso ilproprio problema. -attenuazione se non regressione della paura di

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• Espressione attraverso il canale gestuale-motorioL’indice di espressione gestuale-motoria (movi-mento spontaneo e strumenti a percussione) hapresentato un andamento contrastante all’inter-no dei due gruppi, per via della loro diversa com-posizione: nel primo si è fatto poco uso deglistrumenti musicali, ma c’è stata più propensioneal movimento libero, segno di preferenza per atti-vità legate al canto e all’ascolto; nel secondogruppo, ad una scarsa attitudine a muoversi hafatto da riscontro un buon uso dello strumenta-rio, in una sorta di vicarietà. Se guardiamo alle impressioni del musicotera-peuta e alle voci dei malati notiamo:- scoperta del piacere di “fare ginnastica con lamusica” (nei gesti ritmici) e di muoversi libera-mente senza consegne su di uno stimolo musica-le. La musica è stata un supporto ed una spintaper la mobilizzazione attiva, favorendo anche ilcontrollo motorio.- scoperta del piacere di suonare uno strumentoe quindi di un battere e di un percuotere diversodal semplice e solito battito di mani.- riapprendimento di una destrezza menomata inseguito alla malattia d’Alzheimer: un paziente,che in passato aveva frequentato il Conservatoriomusicale, e suonava il clarinetto, di cui avevaabbandonato la pratica, in seguito all’insorgeredella malattia d’Alzheimer, ha potuto nei nostriincontri suonare di nuovo il suo strumento in unasituazione di piccolo gruppo musicale.- apprendimento o ampliamento di competenzemusicali (nello stesso soggetto di cui sopra) percompensare e arricchire quelle menomate (adesempio, il suonare piccoli strumenti a percussione).- recupero della familiarità con conoscenze fatti-ve ormai dimenticate o attività abbandonate damolti anni, come il muoversi su di uno stimolomusicale e la pratica del ballare.

non essere accettati e richiesta in alcuni di com-prensione per le proprie difficoltà. Tranne rari e ini-ziali episodi negativi, il clima disteso, di cooperazio-ne e di coesione tra i partecipanti, il condividere lastessa esperienza musicale, il ruolo di coesivo svol-to dal canto e dalla musica, hanno favorito in cia-scuno l’accettazione delle proprie difficoltà senzapreoccuparsi del giudizio altrui e tacitando anchel’ansia emergente legata a tali difficoltà. L’attivitàdi MT sembra aver consentito al malato di allenta-re l’attenzione su se stesso e i suoi disturbi, allonta-nando pensieri negativi.- caduta e diminuzione degli stereotipi: tra que-sti, il riso isterico, la paura di sbagliare e di esseregiudicato, la logorrea, il ripetere come un ritor-nello lo stesso ricordo, gli atteggiamenti di resi-stenza, di opposizione e di critica alle novità.

• Espressione attraverso il canale verbale-fonatorioNei due gruppi si è cantato in maniera costante,e questa attività è stata quella più praticata pertutto il ciclo degli incontri in entrambi i gruppi.L’attitudine a raccontare e ricordare su stimolomusicale è stata in entrambi i gruppi più diffusanella prima parte degli incontri, mentre è calatanel tempo per risalire lentamente e situarsi suvalori poco sotto la media. Questa diminuzionedell’espressione verbale è dovuta forse al fattoche, nel prosieguo degli incontri, sono state pro-poste maggiori attività a carattere non-verbale emotorio (uso di strumenti musicali, gesti ritmici,danze e canto) che hanno tolto tempo al com-portamento narrativo.Dalle impressioni colte dal musicoterapeutanotiamo:- emergere di ricordi personali legati a periodi e amomenti della propria vita. Anche se frammenta-ri, i ricordi avevano spesso una forte connotazio-ne emotiva.

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ConclusioniIn conclusione si nota come, sia nell'arco di ogniincontro, che nella totalità della sperimentazio-ne, i pazienti sono passati da situazioni di "chiu-sura" ad una "apertura", da "atteggiamenti passi-vi e immobili" ad un "coinvolgimento sia fisicoche emotivo e psicologico". Questo coinvolgimento è stato chiaramente leggi-bile nell'atteggiamento corporeo: all'inizio un po'contratto, teso, statico, controllato, trattenuto,(stare in silenzio, stare a braccia conserte, le ditadella mano sul mento con aria perplessa), e poi viavia accennante movimenti dapprima piccoli e poisempre più ampi, più mobili, sciolti, (un brillared'occhi, un sorridere, un muovere impercettibil-mente le labbra, la testa e il tronco o le mani, unabbozzare un battito di piedi da seduti, un alzarsia ballare liberamente, un battere le mani consape-volmente, un coinvolgere tutto il corpo).Questo coinvolgimento è stato osservabile anchenell'atteggiamento emotivo e psicologico: dappri-ma bloccato, in attesa, (stare alla finestra, guarda-re dall'esterno, rimanere defilati, osservare fugace-mente, resistere, non concedersi, tenersi il cappot-to addosso, essere rigidi, critici, preoccupati oansiosi di non ricordare o di fare brutte figure),sino ad arrivare ad alzare lo sguardo e sostenerlo,dichiarare le proprie difficoltà, sentirsi a proprioagio, fare richieste, esprimere sensazioni e opinio-ni, partecipare emotivamente al canto, coinvol-gersi.Significativi, per la breve durata del lavoro e perla patologia in questione, sono stati queimomenti in cui è emersa nei malati la capacità didiscriminare a livello cognitivo ed affettivo leesperienze fatte, sino a trasferirne il significato alivello simbolico.Pensiamo a quando i malati hanno sottolineatogli effetti benefici del fare musica assieme e ilpotere della musica di "dar loro nuova vita" o del“rifarli nuovi”. Emblematiche, a tale proposito,

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alcune loro affermazioni legate alla metaforadella crescita, come quando al termine del primoincontro, Assunta, una signora di 85 anni, comu-nicò il suo benessere, sottolineando l’importanzadella musica: “Siamo noi che sbocciamo quandosiamo qui a fare musica!”. Un’altra signora, Rita, intervenne riprendendoalcuni elementi del gesto di apertura/chiusura delvalzer appena terminato. Dice Rita dell’attività musicale: “Questa è unacosa che si respira (batte le mani e le fa scorrereaprendole in alto), questa è una cosa che si...ffss... parte” (e fa un gesto che si apre verso l’al-to)”. Invitata a proseguire, afferma con maggioreproprietà di linguaggio e ricerca accurata di paro-le: “Intendo dire che... quando uno fa una cosacosì è carino, è bello; poi, magari, uno ci si mettesul serio. È come se fosse che ti sboccia un fiore!”.Crediamo che questa immagine dello sbocciaredel fiore, utilizzata dalle donne per esprimerequesto loro senso di apertura e di “fioritura”, rap-presenti un po’ simbolicamente l’immagine-guidadi tutta l’esperienza vissuta. I gesti fatti e i tretermini usati per spiegare gli effetti della musicasono strettamente collegati alla vita: il respiro,infatti, è il simbolo per eccellenza della vita; par-tire è mettersi in movimento, iniziare un cammi-no; sbocciare evoca qualcosa dentro di sé che sirimette in moto e in vita.

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INTRODUZIONESono stato invitato a presentare la mia esperienzadi lavoro con soggetti sieropositivi asintomatici ein A.I.D.S. conclamato; un argomento che la stra-grande maggioranza delle persone preferiscerimuovere. Dopo una lunga e ricca esperienza inuna Comunità Terapeutica per tossicodipendentidal primo febbraio del 1994 opero a tempo pienonel campo dell'A.I.D.S. Ho vissuto alcuni mesi inuna Comunità residenziale per ammalati in A.I.D.S.conclamato, e precisamente a Tabiago (CO) c/o ilcentro Don Isidoro Meschi; dal giugno del '94 lavo-ro per conto della Caritas tedesca di Bolzano comeoperatore musicoterapeuta.Il mio lavoro si svolge in parte nella sede di acco-glienza per sieropositivi organizzata dal gruppo"IRIS" e dal loro responsabile clinico il dott. P.PaoloPatrizi. Il gruppo IRIS è composto da volontarie evolontari preparati e motivati che svolgono sul ter-ritorio un compito certamente non sostituibile.Un'altra parte del mio lavoro viene svolta a "domi-cilio" ed infine direttamente nel reparto infettividell'ospedale S.Maurizio, dove mi è stata data lapossibilità di usare uno spazio per ascoltare e faremusica con gli ammalati. L'A.I.D.S. è una tragediadi incredibili proporzioni. Non c'è una seria infor-mazione sul problema, anzi il più delle volte c'èun'errata informazione da parte dei mass media, ilche porta all'espandersi del virus, a paure ingiusti-ficate, a discriminazioni, ostracismo e violenzaanche verso chi lavora per aiutare questi ammala-ti. Oggi sappiamo esattamente come avviene ecome non avviene il contagio.L' A.I.D.S. è solo una patologia comportamentale(quindi prevenibile al 100%).Lavorare con gli ammalati di A.I.D.S. è operare allafrontiera; alla frontiera tra la vita e la morte, e traquesti due poli c'è tanta sofferenza, di cui quellafisica, che è intensa, spesso ne è l'aspetto menotragico. Queste non sono solo mie considerazionima le parole di molti amici ammalati. Gli scienzia-

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a

Il mio lavoro si

svolge nella sede

di accoglienza

per sieropositivi

del gruppo

"IRIS",

a "domicilio"

dei pazienti

e direttamente

nel reparto

infettivi

dell'ospedale

S. Maurizio

Musicoterapiae A.I.D.S.

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non possiamo più parla-re di categorie a rischioma di comportamenti arischio; il ventaglio dellepersone con le quali cirapportiamo (e di rap-porti parlo nel senso

profondo del termine) si fa molto più vasto, in pra-tica comprende tutti, bambini compresi, infettatida trasfusioni o nati da genitori sieropositivi. Seentriamo in una comunità residenziale o al repar-to infettivi, notiamo subito che l'A.I.D.S. non è unamalattia con una patologia specifica; la gradualesoppressione del sistema immunitario porta ad unaserie di patologie, le più diverse tra loro, presentiin una stessa persona. Gravi problemi neurologici(paresi, paraparesi, emiplegie, epilessie, toxopla-smosi cerebrale), problemi psichiatrici, diversi tipidi tumore, ansia, sensi di colpa, e potrei continua-re purtroppo ancora per molto; ma fermiamoci qui,credo che come panoramica sia più che sufficienteper capire quanto è complesso quest'ambito d'in-tervento. Inoltre non è difficile comprendere comegli stessi operatori siano esposti a paure, meccani-smi difensivi di negazione, proiezione e rimozione,oscillazioni emotive con punte depressive; è pro-prio su questi aspetti che è necessario lavorareattraverso un continuo confronto in supervisionimirate per elaborare i lutti, rielaborare le paure, lerabbie, i sensi di impotenza, i dubbi, le insicurezze,la propria filosofia di vita, la propria fede per chi neha una, qualunque essa sia.

MUSICOTERAPIA E A.I.D.S.Passiamo ora all'ambito operativo con semplicità echiarezza, almeno queste sono le mie intenzioni.Ho detto in apertura che ho iniziato questa miaesperienza in una comunità residenziale perammalati in A.I.D.S. conclamato. I compiti chesvolgevo erano i più disparati (non mi trovavo làcome operatore musicoterapeuta ma ufficialmen-

ti attualmente sono inuna fase di ricerca la cuirisoluzione pare siaancora lontana; i medicisono in profonda crisi, sisentono impotenti e fru-strati ed è comprensibile,loro sono stati preparati per guarire, in questo casoinvece vedono i loro pazienti morire uno ad uno; ilsottoscritto non è nè un "ricercatore scientifico"nèun medico: sono un musicista che fino a non moltotempo fa viaggiava per l'Italia e all'estero suonan-do, cantando e componendo musica. Sto approfondendo con entusiasmo i miei studi inmusicoterapia, ma da tempo avevo intuito e speri-mentato le possibilità terapeutiche del "Suono".Certo stiamo parlando dell'A.I.D.S., una malattia adesito infausto. La musicoterapia è considerata damolti ancora in una fase pioneristica anche nei casidove i risultati sono evidenti e quantificabili (miriferisco al campo dei vari handicaps psicofisici eall'ambito psichiatrico); figuriamoci quindi quantosia pioneristico trattarne nell'ambito specifico dicui stiamo parlando. Ma è per merito di alcuni"pionieri" che si sono individuate una serie di stra-de, o meglio sarebbe dire di sentieri non interrotti,nei territori di frontiera.Sono pienamente convinto della validità dell'appli-cazione musicoterapica nel problema HIV, (tuttavianon ci sono testi a riguardo, almeno non ne sono aconoscenza, ne ci sono dati da confrontare), sicu-ramente altre persone vivranno realtà esperienzia-li simili alle mie; anche se spesso si tratta della"somministrazione di musica" a pazienti terminali.Senza alcuna pretesa, desidero trasmettervi la miaesperienza che nasce e si rinnova da una quotidia-na vicinanza, amicizia e lavoro con persone soffe-renti. Per prima cosa cerchiamo di capire chi abbia-mo davanti; fino a non molto tempo fa la cerchiadelle persone contagiate era più o meno circoscrit-ta ai tossicodipendenti e agli omosessuali; oggi

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te come operatore generico tirocinante): aiutavo apulire i più gravi, a cambiare il pannolone agliincontinenti, disinfettare le piaghe, imboccarli, mioccupavo del tempo libero degli ospiti che stava-no meglio, facevamo assieme dei piccoli lavori siain casa che in giardino; come iniziavano ad averefiducia gli ospiti cercavano soprattutto accoglien-za e persone capaci di un ascolto empatico. La responsabile della struttura non aveva un buonrapporto con la musica, imparai molto presto cheparlare di musicoterapia voleva dire, nella miglio-re delle ipotesi, essere criticati o derisi. Tutti noi siamo dei corpi vibratori che propaganoonde sonore, esiste il fenomeno della "risonanza",spiegato scientificamente dalla fisica acustica; ilcorpo umano è il primo e più perfetto strumentomusicale con le sue "corde" vocali e la sua "cassaacustica". Anche dove si pensa non ci sia musica,le vibrazioni, le onde sonore, sono sempre presen-ti e non è difficile sentirle (come senso-tatto) eascoltarle per chi ha un orecchio attento, educatoall'ascolto ed un cuore disponibile. Nella realtà dicui stiamo parlando le note, i suoni sono gravi;sono lamenti espressi in vocalizzi "U/O/A" a secon-da del dolore o della richiesta più o meno indiret-ta di attenzione. È una musica (non a spropositouso questo termine) che esprime la disperazione, ildramma, la paura e l'angoscia anche di chi sta insilenzio per delle ore con lo sguardo fisso nelvuoto. Mi trovo davanti a persone che concentra-no il pensiero sul dolore, lo focalizzano mental-mente e pensano solo al negativo, agli errori pas-sati, ai sensi di colpa, ai rapporti interrotti, alla vitabuttata via (la maggior parte delle persone che hoconosciuto e conosco è al di sotto dei 30 anni).Questi pazienti sono cronicamente depressi, quin-di chi opera con loro non può permettersi di esse-re depresso. Che fare dunque per distoglierli dallaloro "negatività" anche quando il dolore fisico èmomentaneamente assente? Che fare per miglio-rare la loro qualità di vita, nonostante tutto?

Mi trovo davanti a personalità frammentate, arit-miche che da una frammentazione interiore passa-no attraverso un veloce processo di deterioramen-to del corpo. Le parole sono accolte con sospetto;non hanno mai avuto niente per niente; "ma chi telo fa fare"? "Ogni volta che ti vedo mi dai fastidio,vattene, sparisci ecc.. "questo mi è stato detto daGianni (naturalmente i nomi delle persone nonsono quelli reali), un ragazzo di 28 anni che èmorto dopo circa un mese ascoltando con me la"Nona Sinfonia" dal Nuovo Mondo di Dvorak; tuttoquesto lo ha aiutato a morire meglio? Penso, sperodi si, le sue ultime parole sono state: "ho tantapaura, ma sono anche curioso" pochi minuti dopoè entrato in coma. Per aiutare queste persone ènecessario accettarle e farsi accettare e lo stru-mento che uso è proprio la musica; tutti ormaisiamo consapevoli che la musica è un mezzo percomunicare senza parole, un mezzo che apre real-mente dei canali di comunicazione tramite i qualiabbiamo la possibilità tra l'altro, di attivare proces-si di accettazione e di socializzazione; la musica èuna valvola di sfogo per le nostre emozioni,uno sti-molo mentale che può indurre stati di rilassamen-to psicofisico; la musicoterapia agisce nella relazio-ne, il "Suono" sposta contenuti "da e per" e, in que-sto contesto è da sottolinearne l'importanza, foca-lizza l'attenzione su "altro". Infatti il primo passo,che è il più importante e sul quale mi trovo a dove-re lavorare di continuo, è quello di usare la musicaper "spostare l'attenzione" su "altro", per spezzare ilflusso dei pensieri negativi nel tentativo di portarela mente verso la quiete; calare il livello di ango-scia, condurre la persona dall'aritmia al ritmo, dalcaos all'armonia, dalla disperazione alla speranza. Ènecessario entrare in risonanza, e qui intendosoprattutto risonanza-accoglienza; prima di ascol-tare o fare musica è importante usare la voce e ilcorpo, la gestualità, la voce-melodia, il movimen-to-ritmo, è di fondamentale importanza la sequen-za suono-pausa-suono-silenzio-suono. È necessa-

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deva di importante, ebbene questo genere di vissu-ti non è trasmissibile a parole; comunque Tonyaveva ritrovato il piacere di un'amicizia, inoltreaveva adesso un mezzo per scaricare le sue paure,tensioni ed infine grazie alla musica evitava (equesto non è poco) di assumere psicofarmacipotenti per dormire poche ore.

La madre di Paolo mi cerca in sede chiedendo ilmio aiuto; il figlio è in A.I.D.S. conclamato e soffredi toxoplasmosi cerebrale in conseguenza dellaquale presenta un complesso quadro clinico defini-to "Encefalopatia epilettica" comprendente nelcaso specifico: deficit motorio, crisi epilettiche concirca 30 assenze al giorno durante le quali il giova-ne perde coscienza per 20/30 secondi. Paolo è unragazzo di 27 anni, molto intelligente, sensibile e dinotevole cultura. Per vari motivi decidiamo chesarà seguito a "domicilio"; nei nostri primi incontriè sospettoso, introverso anche se ha un comporta-mento molto educato; in una prima fase parliamopoco e ascoltiamo la sua musica; lentamentecomincia a fidarsi ad aprirsi, mi confida le suepaure, la sua angoscia… ad un certo punto inizio aproporre altra musica, gradualmente dei ritmi piùaccentuati; in casa c'è una chitarra acustica, ioporto dei tamburelli, delle maracas, un flauto (glistrumenti musicali sono validi mezzi terapeutici dicomunicazione interpersonale); arriviamo a suona-re e a cantare insieme, tra di noi si realizza un'at-mosfera di fusione, unione, condivisione e acco-glienza reciproca, riusciamo a sorridere e a volte aridere assieme. Con la musica creiamo degli spazidove l'ansia e l'angoscia diminuiscono. Il problemamotorio, non totale, è alle gambe. Paolo camminaaiutandosi con un bastone; durante l'ascolto dellamusica vi è un aumento dell'attività muscolare, ipotenziali d'azione muscolare aumentano negliarti inferiori; gli massaggio le gambe, e applico latecnica della riflessologia ai piedi. Paolo si meravi-glia che qualcuno tocchi il suo corpo; il contatto

rio entrare in un gioco "simbiotico" con il pazien-te, non dico che sia facile ma è indispensabile sevogliamo davvero fare qualcosa; certo in quelmomento scopriamo come stiamo noi, la nostrafragilità, la nostra provvisorietà.

Alcune storieTony era un ammalato in fase terminale; soffrivamoltissimo era paraplegico e aveva tra l' altro unaorribile piaga nella zona inferiore della colonnavertebrale; urlava, imprecava e non sopportava lapresenza di nessuno. Un pomeriggio mentre silamenta, entro nella sua stanza e mi siedo vicino alletto, resto in silenzio, ad un certo momento glirivolgo una domanda che può "suonare " assurda:"che musica ti piace?" dopo una pausa/silenzio chea me sembrò lunghissima (tipo una nota con coro-na), rispose smettendo di lamentarsi: "il blues…conosco tutti i musicisti blues e rock", io lo incitocon delicatezza ma con fermezza a continuare aparlare di musica, la situazione si evolve fino alpunto che facciamo quasi a gara nel mostrarequanti musicisti conosciamo e quali registrazioni cipiacciono di più… poi si lamenta di nuovo e ioresto là in silenzio e poi riparliamo di blues ed a uncerto punto (che ritengo favorevole) inizio molto"soft" un lento ritmo di blues che batto sulle miegambe, questa volta Tony sposta davvero l' atten-zione dal suo male e partendo da un lamentocomincia a cantare ed io accentuo più forte ilritmo sulle mie gambe e lo arricchisco battendo ipiedi per terra; cantiamo insieme e lui, con l'unicobraccio ancora mobile, mi incita ed io improvvisocon la voce e lui simula il suono di una chitarra,andiamo avanti così per alcuni minuti, all'improv-viso crolla e si addormenta tranquillo per cinqueore. Da quel momento aspettava sempre le mievisite, parlavamo di musica e di musicisti, iniziai aportare un'armonica, cantavamo, urlavamo dispe-razione e speranza, infine si addormentava sempreesausto ma tranquillo. Vi chiederete che cosa acca-

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fisico è una forma di comunicazione fondamenta-le; il "Suono-Massaggio" raddoppia sia l'effettoindotto dal suono che quello indotto dal massag-gio. Un giorno al termine di una seduta, Paolo sialza dal divano, va lentamente in cucina senzausare il bastone e prepara il caffè; questi effettinon sempre si producono ma anche se saltuarimigliorano la qualità della sua vita; Paolo dimostrauna maggiore volontà di lottare, di uscire di casa,di incontrare persone per testimoniare pubblica-mente il suo vissuto e soprattutto dal suo volto,compresso in una smorfia statica di dolore, paurae rabbia, nascono dei sorrisi molto teneri. È impor-tante scoprire l' identità sonora dei pz, usare ilprincipio "ISO" per diventare, in certi casi, il loroprolungamento corporeo, ritmico, sonoro, psichi-co, affinchè ci includano nella loro realtà. Unadelle caratteristiche che mi ha colpito nella vici-nanza con questi ammalati è l’assenza di tempo.Con pazienza è possibile individuare un motivomusicale, specificatamente personale, che vieneproposto nei momenti di maggiore depressione eche può costituire un “antidoto” efficace.Numerosi pazienti riescono a ridurre notevolmen-te l'uso di farmaci psicotropi.In diversi casi come nel seguente, si presenta lanecessità di lavorare in equipe con altri specialisti.

Gerry è stato seguito da uno psicoterapeuta e con-temporaneamente da me, che mi limitavo a pro-durre dei “suoni” in base a quello che accadeva;posso affermare tranquillamente che improvvisa-vo la colonna sonora di ciò che stavamo vivendo,ma soprattutto era Gerry lo spartito musicale chedovevo sforzarmi di leggere ed eseguire; sieroposi-tivo da nove anni non ancora in A.I.D.S., continua-va a rimuovere il problema con ostinazione; stavaper divenire un caso psichiatrico, un tipico border-line, rifiutava di assumere qualsiasi farmaco, usavaeroina e alcool. Si rendeva assolutamente necessa-rio riuscire a responsabilizzarlo; con lo stile di vita

che conduceva indeboliva sempre più il suo siste-ma immunitario; le analisi mediche non eranoancora così catastrofiche; se fosse riuscito adaccettare il problema curandosi, vivendo in modosano, dall'alimentazione al riposo e soprattutto seavesse riallacciato legami affettivi deteriorati ospezzati, certo poteva almeno rallentare la malat-tia, acquistare tempo e con esso la possibilità diusufruire di nuove scoperte scientifiche. Il cambia-mento è avvenuto con tutta la drammaticità delcaso; ad un certo punto è avvenuta la visualizza-zione del virus; lo psicoterapeuta lo ha disegnatosu di una carta bianca, seguendo quello che dice-va il giovane; questo disegno è stato messo sullasuperficie di un tamburo; Gerry ha cominciato conforza a percuotere il tamburo, suonava, urlava,bestemmiava; alla fine esausto ha pianto, è statauna liberazione, un senso di pace, come lui stessoha detto. Un arrendersi alla vita non alla morte.Con molta fatica e amore qualcosa è stato fatto,adesso Gerry ha riallacciato i rapporti con la fami-glia, si vede di nuovo con la sua ragazza, non sibuca più, si sta curando, ascolta la sua musica, cer-tamente ha paura ma anche tanta speranza.

Si è sempre pronti a regredire quando non si puòprocedere; un ammalato grave tende a regredireemotivamente e psicologicamente, arriva spesso acomportarsi come un bambino. Quando ho cono-sciuto Sonia ho pensato proprio a questo: passavoa visitarla e lei guardava il soffitto come fosse auti-stica, sentivo che la mia presenza era rifiutata;ostinata non mi rivolgeva nè sguardi nè parole; traflebo e catetere sembrava di pietra, ma nellamagrezza del suo volto scorgevo due occhi bellis-simi intatti dalla malattia. Decisi di non arrender-mi; un pomeriggio sul tardi mi presento con unostereo, metto dei CD a basso volume e ogni tantoci canto dietro, mi guadagno un "ma che c.... fai?"Gli rispondo tranquillo:"canto!" segue un "va via!" ma in un tono molto

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mezzo migliore della musica? La mia convinzionedella validità della musicoterapia, della necessitàe urgenza di procedere nella ricerca, vieneconfortata e stimolata da recenti considerazioniscientifiche: Il virus HIV colpisce il sistema immu-nitario; ma anche le condizioni psichiche delpaziente hanno una certa influenza nella causa enella progressione delle malattie; batteri, virus etumori sono certo presenti ma si nota anche cheil loro potere e la loro virulenza dipendono daquello che succede nel loro ospite. Si cominciacon sempre più insistenza a parlare di psicoim-munologia specie negli Stati Uniti e le voci sonoautorevoli: il gruppo di ricerca di Carl Simonton,oncologo a Fort Worth nel Texas, George Freemandocente di psichiatria dell'Università dellaCalifornia, Jeff Leiphart psicoterapeuta e diretto-re clinico dell'A.I.D.S. Response Program diS.Diego in California. Ci sono delle complesseinterazioni bidirezionali tra il S.N.C. (che mediaprocessi sia psichici che biologici) e il sistemaimmunitario. Tutte le malattie sono multifatto-riali e biopsicosociali per quanto concerne lacausa, l'insorgere e il decorso; sono quindi il risul-tato di interrelazioni tra fattori eziologici (batte-ri, virus, agenti cancerogeni), genetici, nervosi,immunitari, emotivi e comportamentali. Dallaautorevole rivista "Scienze" il dott. Keith Wallace,fisiologo, ci parla della nuova disciplina che lamedicina definisce "neuroimmunoendocrinolo-gia"; disciplina certo a conoscenza di tutti glioperatori del settore. In pratica i tre grandi siste-mi, nervoso, immunitario ed endocrino sono inrealtà lo stesso sistema all'interno del qualel'informazione circola, veicolata da piccoli mes-saggeri chimici, i neurotrasmettitori. Secondoquesta visione ogni pensiero ed ogni emozione èin grado di innescare una serie di reazioni biochi-miche a catena che determinano la produzione diormoni specifici e l’attivazione del sistema immu-nitario. La neuroimmunoendocrinologia si colloca

meno aggressivo. Sono tornato spesso da Sonia,fino al giorno in cui ho trovato il letto vuoto. Dopoun inizio così difficile eravamo diventati amici;l'intuizione è un raggio che penetra rapidamentein profondità, ero riuscito a capire quali erano isuoni che gradiva di più, adorava la musica irlan-dese; portavo spesso un flauto dolce e cantavamoinsieme delicatamente; oppure accendevo lo ste-reo e le massaggiavo la testa, così il dolore si atte-nuava. Pensate quanto è triste l'ambiente degliospedali dove le mura sono grigie, fredde e depri-menti. Gli ammalati gravi vivono ancora più deisani in simbiosi con ciò che li circonda. Sonia avevainiziato a mettere degli oggetti colorati sul como-dino, con il permesso dei medici aveva attaccato aimuri dei piccoli posters riproducenti dei paesagginaturali; si faceva trovare seduta sul letto, pettina-ta e leggermente truccata. La sua frequenza car-diaca e respiratoria era aritmica; sappiamo che lamusica mette in moto dei processi psicofisiologiciche di riflesso provocano variazioni della pressionesanguigna, della frequenza cardiaca e respiratoria;con l' aiuto del "suono" spesso era possibile giun-gere ad una attività respiratoria e cardiaca ritmica.In questi casi Sonia provava un profondo senso dibenessere. Anche in situazioni di grandi difficoltà esofferenza l'uomo è sempre capace di immaginaree sognare; l'A.I.D.S. distrugge i corpi, la musicote-rapia fa in questo campo i suoi primi passi, ma unacosa è certa non permette al virus di sopprimere lafantasia e la speranza.

ALCUNE RIFLESSIONIPotrei descrivere ancora esperienze simili, piccole-grandi vittorie. In altri casi l'intervento musicoterapico è condot-to in piccoli gruppi dove oltre il rilassamento e ilpiacere di fare ed essere assieme è possibile congli strumenti sonorizzare eventuali conflitti emo-tivi tra i pazienti e gli stessi operatori. Queste per-sone hanno bisogno di risposte umane, quale

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alle frontiere più avanzate della medicina moder-na. Un esperto e sopratutto motivato musicote-rapeuta, tramite i suoni, la musica, i gesti, lacapacità di instaurare un rapporto "simbiotico",la capacità di impiegare fenomeni di risonanza esinestesici è in grado di indurre uno stato di"relax" psicofisico e quindi di ottenere un rallen-tamento del battito cardiaco, un respiro più lentoe profondo, uno stato di quiete; conseguente-mente diminuisce il tasso metabolico, che rap-presenta l'indice più attendibile dell'attività delcorpo e cala notevolmente, ancor più che nelsonno profondo, la concentrazione nel sangue dicortisolo ed acido lattico, sostanze correlate allivello di stress. Con la musicoterapia è veramentepossibile spostare l'attenzione verso pensieri posi-tivi, l'angoscia diminuisce, e quindi in base alleprecedenti considerazioni mediche è possibile ral-lentare il deterioramento del sistema immunitario.Curarsi quindi, in opposizione alla semplice elimi-nazione dei sintomi, sottintende il restaurare l'ar-monia a tutti i livelli: mentale, fisico, emotivo espirituale. La musica può trasmettere speranza egioia di vivere, sensazione fra le più terapeutiche.Lascia fluire l'energia rilassandoci, liberandocidallo stress, facendoci sentire vivi. Il corporisponde a questi messaggi.

Vorrei rivolgere un invito a riflettere sulla impor-tanza del lavoro in equipe, per ottenere dei risulta-ti migliori e in tempo minore. Un ottimo lavoro di"assieme" nasce dall'umiltà di riconoscere i proprilimiti; riconoscere e soffrire per i propri limiti èsegno del fatto che si è portatori di una esigenzapiù grande, e ricorda che il proprio "essere" è sem-pre più grande del proprio "fare". Occorre educarcied educare all'ascolto di sè, delle proprie emozioni,ansie e insoddisfazioni, al rispetto della personaumana, alla solidarietà come valore, ad una conce-zione "olistica" della salute, da non intendere solocome assenza di malattia. Certamente la musicote-rapia da sola non pretende di guarire dall'HIV, macerto oltre a migliorare la qualità della vita, puòrendere più attiva ed efficace la risposta alle tera-pie mediche, ritardare o rallentare la fase acuta; unulteriore tempo acquisito, per qualcuno potrebbevoler dire arrivare ad usufruire di un vaccino chealmeno cronicizzi questa terribile malattia. E a chinonostante queste considerazioni e testimonianzecontinuasse a discutere sul senso o non senso ditanto lottare per una cosidetta "morte annuncia-ta", rispondo che in definitiva tutti stiamo moren-do lentamente; ma finchè siamo vivi dobbiamo inogni caso continuare a vivere e non a morire len-tamente. Questo ha un senso!

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“Chiedetevi non quale malattiala persona abbia, ma piuttostoquale persona la malattia abbia”.

(W.Osler)

IntroduzionePresso la Fondazione Istituto Sacra Famiglia diCesano Boscone (MI), è stato istituito da circa treanni un “Nucleo Alzheimer”, dove i pazienti pos-sono essere accolti, sia per un ricovero perma-mente che temporaneo (i cosidetti “sollievi”).Questo progetto rientra nel quadro del pianoAlzheimer della Regione Lombardia, che ha ela-borato un Protocollo Operativo per l’assistenza alpaziente demente nei Nuclei Alzheimer delleResidenze Sanitarie Assistenziali.È proprio all’interno di detto protocollo che,insieme ad altri tipi di intervento (fisioterapia,terapia occupazionale) viene citata la musicote-rapia, come “un intervento per il quale esistonoanedottiche indicazioni di efficacia” (sic).Da circa un anno conduco trattamenti di musico-terapia di gruppo con alcuni pazienti con diversogrado di deterioramento.Le finalità dell’intervento possono essere cosìriassunte, sempre secondo il piano regionale:

• rilassamento;• stimolazione “cognitiva” attraverso l’impiego di

strumenti rudimentali per la produzione diritmi e/o suoni;

• stimolo della memoria remota attraversol’ascolto di brani familiari all’esperienza deipazienti.

In letteratura esistono numerosi lavori che testi-moniano la validità e l’efficacia dell’impiego dellamusica come mezzo per veicolare le informazioninon verbali, la cui comprensione è conservataanche nelle fasi più avanzate di molte forme didemenza, e non ci pare che si possano ridurre a

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Presso la

Fondazione

Istituto Sacra

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Cesano Boscone

(MI), è stato

istituito da circa

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semplici “indicazionianedottiche”.L’argomento di questarelazione è però un altro:all’interno di un progettodi intervento musicote-rapico, per molti versiancora in fase sperimentale, abbiamo pensato di uti-lizzare uno strumento particolare, il Melotest.Questo strumento, essenzialmente un test di per-sonalità, costruito con materiale musicale, (idea-to dal Prof. Gaita e somministrato a soggetti“normali” e soprattutto a pazienti psichiatrici)consente di ottenere indicazioni psicodiagnosti-che e criteri per una più corretta ed efficaceimpostazione del trattamento musicoterapico.In questo lavoro partiremo quindi dalla presenta-zione e illustrazione del Melotest, per poi descri-verne la sua validità in una situazione “limite”(qual’è la malattia di Alzheimer), che ne dimostral’estrema duttilità e possibilità di applicazione,soprattutto in confronto ai test cognitivi di soli-to somministrati a questa tipologia di pazienti.

Il MelotestIl Melotest è “un reattivo psicodiagnosticoproiettivo semistrutturato su materiale musicale”.Il materiale del test è costituito da dieci fram-menti sonori, elaborati elettronicamente; si trat-ta di strutture musicali prive di riconoscibilitàculturale o storica immediata, contenenti detta-gli percepibili convenzionalmente, aloni sonoriquasi non strutturati e bizzarrie melodiche, ritmi-che, armoniche e timbriche di risonanza nonsempre conscia.All’interno di questa griglia di stimolazioni è pos-sibile enucleare vie convenzionali, originali o deli-ranti dell’elaborazione del percetto; costanti diadesione alla convenzione o di indicativi sintoma-tologici e, a seconda del protocollo, un quadropsicodiagnostico riferito a strutturazioni non

consce di fantasmi edifese, oltre a indicazio-ni preziose sulla qualitàdell’orecchio musicale.Le indicazioni del Me-lotest vanno dunquedal versante propria-

mente clinico alle sue peculiarità: - la possibilità di testare persone dalla discorsi-vità inibita, non sviluppata o patologica (es. bam-bini, adolescenti, handicap, psicotici gravi); - quella di individuare, su un terreno più squisi-tamente psicoanalitico, la costellazione interiorefondamentale; - infine, quella di saggiare con sorprendentepuntualità qualità musicali o stili di relazione(ascolto dell’altro) che richiederebbero, per esse-re valutati, tempo e lavoro clinico non semprepossibili.Oltre a dare informazioni preziose sull’assettoconscio dello stile personale e relazionale, ilMelotest dà la possibilità di uno sguardo nonbanale su assetti inconsci.C’è una presenza inaspettata, al fondo del fattosimbolico, dell’ascolto musicale o dell’esperienzapsicoanalitica: è il corpo, dimenticato nel lin-guaggio. È un telaio di sagome di gesti un giornosegnati dalla gioia o dalla paura, profili quasineurologici di affetti che si riaccendono nellamelodia di una frase, nel ritmo di un quadro, nel-l’armonia di una partitura. Tracce del corpo edegli affetti nella mente: ecco, in ultimo, lamigliore approssimazione dell’inconscio.

Il Melotest e i pazienti AlzheimerCurare il demente è una sfida professionale eumana per gli operatori professionali e per glistessi familiari, che possono trovarsi di fronte aduna persona “diversa”, tenuto conto che, gene-ralmente, la personalità, la memoria a breve e alungo termine, il vocabolario, la capacità di pen-

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Il Melotest è “un reattivo

psicodiagnostico proiettivo

semistrutturato su materiale musicale”.

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piti precisi da eseguire (l’unica consegna è: “Midica cosa le fa venire in mente questo brano”), hacontribuito molto ad alleviare questo stato diansia, consentendo la somministrazione.In definitiva - e ciò può essere determinante anchecon altre patologie - si propone qualcosa di pia-cevole (l’ascolto musicale) e uno sforzo di atten-zione limitato nel tempo (i brani durano poco piùdi un minuto ciascuno).Dalla compilazione dei protocolli emergono altreconsiderazioni di carattere generale, in rapportoai punteggi ottenuti dalle medesime pazienti neitest di carattere cognitivo somministrati prece-dentemente.Tutti i pazienti ospiti del Nucleo Alzheimer sonostati infatti testati con Mini Mental StateExamination (MMSE), Clinical Dementia Rating(CDR) e per quanto riguarda i disturbi comporta-mentali con UCLA Neuropsychiatric Inventory (NPI).Per quanto riguarda il nostro campione, si trattadi pazienti con demenza di stato avanzato (digrado moderato, grave e molto grave), disturbidel linguaggio di tipo afasico di grado severo,perdita di grado severo della memoria (prevalen-temente breve ma anche a lungo termine).Sono presenti disturbi comportamentali: abulia,apatia, inerzia o, al contrario, ipereccitabilità emotilità continua e afinalistica; oppure, sintoma-tologia di tipo delirante (sospettosità, idee difurto, di riferimento).Da un punto di vista generale, i protocolli delMelotest sono stati invece caratterizzati da:• ricchezza delle risposte (in confronto con lostato avanzato della malattia e i punteggi otte-nuti negli altri test), soprattutto da parte deipazienti più apatici, espresse con un linguaggioabbastanza corretto, produttivo, comunicativo,certamente più strutturato;• evocazione di memorie autobiografiche, con-notate affettivamente (con aumento del tonodell’umore).

siero e la capacità visuo-spaziale possono esseregravemente menomate. Inoltre possono insorge-re altri problemi psichiatrici e comportamentaliche rendono sempre più oneroso il carico assi-stenziale.Per tutti questi motivi le persone dementi potreb-bero essere vissute come un semplice “guscio” delloro precedente sé e non avere nessun traguardodi vita, che non sia un cammino in discesa versola morte che sola li trarrà dalla malattia.Ma questo è in contrasto con la dignità intrinse-ca e inviolabile di ogni persona umana. Concepirele persone dementi come “differenti” può contri-buire invece alla tolleranza e al rispetto. Come nelcaso degli handicappati mentali e dei gravi mala-ti mentali, non possiamo trascurare la possibilitàche anche la vita dei dementi gravi contenga insé esperienze delle quali noi siamo interamenteprivati.Il Melotest è stato somministrato a sei pazientidel Nucleo Alzheimer. Si tratta di soggetti condiverso grado di deterioramento, comunque inuna fase avanzata della malattia.La maggior parte è inserita nei gruppi di musi-coterapia e quindi esiste già un minimo di cono-scenza e di rapporto con la terapista; cionono-stante, le reazioni emotive sono state moltoforti (ansie, paure, crisi di pianto). Tali reazioni sisono rivelate tuttavia subito contenibili conqualche frase di incoraggiamento e qualchegesto affettuoso.In questa fase, precedente alla somministrazione,è emersa una insospettata capacità di “insight” daparte di alcune pazienti (sono tutte donne); que-ste esprimevano ansie e paure dovute a difficoltàa cui non avevano mai accennato (e che anzinegavano), e di cui non credevamo fossero consa-pevoli: “Non ho più la memoria di una volta”, “Ionon ci sto più tanto con la testa”, “Ho avuto deiproblemi con la testa”, “Mi vergogno”.Il fatto di proporre un test musicale, senza com-

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È stata una piacevole sorpresa rilevare quanto lamusica abbia il potere di fare emergere ricordi,situazioni vissute, esperienze lontane nel tempoin persone così compromesse.Memorie piacevoli, affettivamente intense, legatespesso ad una gioventù di altri tempi, in cui latelevisione non era onnipresente, e le occasioni perfare o per ascoltare musica erano le più disparate: - dal cantare nel coro della chiesa “Cantavo inchiesa, sull’organo. Avevo una bella voce.Sarebbe bello anche adesso ma sono invecchia-ta; c’era la Madonna Addolorata, Gesù nellebraccia, la processione; adesso ho i denti rovina-ti, non riesco più a cantare bene”; - al melodramma “A me piacevano tanto leopere, andavo spesso alla Scala; anche le ope-rette, quando ero giovane era la mia passione”;- ai vicini di casa musicisti e alle figure parenta-li “Quando ero giovane i vicini avevano quattrofigli musicisti, facevano sempre i concerti, suo-navano il mandolino, il violino, la chitarra e l’ar-pa. Eppure non so ballare, mio padre non voleva;a Milano c’erano le balere ma lui non voleva: eracritico”.Oltre alle memorie autobiografiche, spesso lerisposte sono caratterizzate da aggettivi, appro-priati al brano ascoltato (troppo rumoroso, dolce,un po’ “brusco”, bello, allegro, malinconico), dallaespressione di apprezzamento (mi piace - non mi

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piace), dall’individuazione di alcuni timbri, chespesso sono all’origine delle memorie evocate (peres. il timbro dell’organo e il coro della chiesa) o daaggettivi usati per descrivere un timbro partico-lare (“strumenti pieni di calore”).

Tutto questo, come dicevamo in precedenza, testi-monia il “potere” della musica, e al contempo evi-denzia come il materiale musicale del Melotest siaparticolarmente efficace in questo senso.Lo specifico musicale, infatti, è quello di metterein risonanza sagome interiori non sempre consce,grazie al peculiare tragitto della sua stimolazionesensoriale. La vibrazione musicale, in specie, passanecessariamente da risonanze corporee e viscera-li, che, come la psicoanalisi della prima infanzia ciinsegna, sono particolarmente vicine a struttura-zioni inconsce.Prima dell’avvento del linguaggio, infatti, leimpressioni decisive della storia si imprimono pervia corporea in costellazioni fantasmatiche con-notate affettivamente (piacere/dispiacere).Queste sagome, non connotate linguisticamen-te, sono il repertorio di base della nostra vitainteriore.La musica è lo strumento più potente e sottile permetterle in risonanza, per rivivificarle, per portar-le anche a livello conscio, ove ci sia la possibilitàdi elaborarle.

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una componente essenziale del setting musicoterapico. Perché

serve una supervisione periodica? Chi può supervisionare? Che

cosa si supervisiona? Come si supervisiona? Possiamo giunge-

re a realizzare una autosupervisione? A questi e ad altri inter-

rogativi Benenzon fornisce una risposta nello snodarsi del per-

corso delineato all’interno del libro. Nel corso della “calda”

dissertazione sul tema, ricca di resoconti esperienziali perso-

nalmente vissuti dallo Psichiatra argentino si delineano le

coordinate entro le quali collocare il processo di supervisione.

Tali coordinate permettono al musicoterapista di pervenire ad

uno sviluppo delle proprie effettive abilità; di riaffermare la

fedeltà all’orientamento teorico scelto e offrono la possibilità

di riflettere costantemente sull’operare quotidiano. Si evince

da questo come il ruolo di “terzo elemento” assunto dal

supervisore, se rapportato alla diade paziente-musicoterapi-

sta, divenga fondamentale per la costruzione di una cornice

maggiormente significante e consapevole rispetto alla rela-

zione analizzata. Il volume si apre con una sintetica riesposi-

zione delle principali linee teoriche che caratterizzano il pen-

siero dell’autore, tra queste i principi della Psicoanalisi

Freudiana, i concetti di oggetto transizionale e fenomeno

transizionale, esposti da Winnicott, l’impostazione teorica

relativa alla comunicazione enunciata da Watzlawickz, i con-

cetti d’Incoscio collettivo e di archetipo tratti dal pensiero

Junghiano, il concetto d’Imprinting tratto dagli studi di matri-

ce etologica condotti da Lorenz. All’interno del volume com-

paiono alcune significative esperienze di musicoterapia, con-

dotte da diversi professionisti, accompagnate da puntuali

commenti dell’autore relativi alla focalizzazione delle dinami-

che relazionali in atto nel corso del processo terapeutico; que-

sti commenti esaminano approfonditamente sia le modalità

espressivo-comunicative manifestate dal paziente sia le scelte

operate dal musicoterapeuta nell’ambito dell’attuazione del

progetto. Il volume si apre con l’analisi di un caso clinico pro-

posto da Giuseppa Pistorio (Psichiatra e Musicoterapeuta)

dove la doppia formazione della conduttrice suggerisce fra

l’altro interessanti spunti di riflessione riguardanti il cruciale

momento di scelta dell’utilizzo del canale non-verbale come

mediatore della relazione terapeutica affiancato e/o contrap-

posto all’utilizzo della parola. Successivamente il libro ci pro-

pone un resoconto dell’intenso lavoro di ricerca in musicote-

rapia condotto da Alfredo Raglio e dai suoi collaboratori rela-

tivo all’applicazione della musicoterapia a pazienti autistici

Guida dello studenteGerardo Manarolo e Gian Luigi di Franco, a cura di, Edizioni

Cosmopolis, Torino, 1999.

All’interno del panorama musicoterapico italiano si sentiva da

tempo l’esigenza di un passaggio da una situazione ricca d’espe-

rienze, scambi, discussioni in contesti pubblici o privati ad una

situazione maggiormente connotata da elementi tangibili del

percorso svolto dalla Musicoterapia in Italia dove poter ravvisa-

re anche se solo in maniera embrionale la nascita di qualcosa di

più concreto fisicamente esistente specie in relazione a temi

quali la definizione della figura professionale (del

Musicoterapista e/o del Musicoterapeuta), degli iter formativi da

seguire, dei curricoli teorico-esperienziali da percorrere nel corso

del lungo processo di formazione. Forse un segnale tangibile è

rappresentato da questa “Guida dello studente” che nasce sul

finire del millennio grazie allo sforzo integrativo della CONFIAM

(Confederazione Italiana delle Associazioni di Musicoterapia),

quasi a voler essere bene augurante per il futuro.

All’interno della “guida” sono presentate in ordine alfabetico le

diverse realtà formative italiane elencando associazioni o enti

organizzatori seguiti dall’ente/i che ne forniscono l’eventuale

patrocinio. Successivamente ogni scuola descrive il proprio

programma seguendo uno schema predefinito: a) denomina-

zione della scuola; b) storia; c) modelli didattici; d) contenuti;

e) criteri d’ingresso e verifica; f) organizzazione; g) tirocinio; h)

Direzione; i) Docenti area musicoterapica; l) Supervisori; il

volume evidenzia, come sottolinea Manarolo nella prefazione,

la “ricchezza e la peculiarità dei vari percorsi formativi pur

contenuti all’interno di un progetto comune”. Il libro si conclu-

de con un primo elenco di professionisti accreditati in ambito

musicoterapico nazionale i cui nominativi sono stati estrapola-

ti dagli organici dei docenti e dei supervisori delle varie scuo-

le. Per concludere auguriamo alla CONFIAM ed ai suoi rappre-

sentanti di proseguire con tenacia sulla strada intrapresa al fine

di garantire al più presto anche alla Musicoterapia in Italia ed

ai professionisti impegnati quotidianamente in questo campo

il raggiungimento di una dignità esistenziale propria e ben

definita a livello nazionale ed europeo.

Musicoterapia, esperienze di supervisione

Rolando O. Benenzon, Phoenix Editrice 1999.

L’ultimo volume pubblicato in Italia dal Prof. Benenzon svi-

luppa l’importante tema della supervisione in Musicoterapia.

Elemento fondamentale per il musicoterapista in formazione

la supervisione costituisce, come sottolinea lo stesso autore,

recensioni

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adulti. Il rigore adottato dagli studiosi nell’allestimento del

setting, nel monitoraggio delle sedute, nella valutazione dei

dati emersi, fornisce importanti elementi di discussione in

particolare sulla profonda presa di coscienza dello stile

espressivo e relazionale del musicoterapeuta ricercatore. Il

contributo di Adriana Montori, musicoterapista che da anni

lavora applicando la Musicoterapia in ambito preventivo per la

psicoprofilassi al parto, ci riporta all’importanza dell analisi pre-

coce della relazione madre-bambino e madre-ambiente-feto

come contenitore dinamico dell’essere umano in divenire.

Gli ultimi contributi presentati riguardano le esperienze lavo-

rative di Emerenziana d’Ulisse e collaboratori inerenti al trat-

tamento di un soggetto autistico, congiunto alla presa in

carico della coppia genitoriale, affiancato al riesame della

situazione di un soggetto autistico a distanza di vent’anni

dalla prima applicazione delle tecniche musicoterapiche

(esperienza proposta dalla musicoterapeuta argentina

Gabriela Wagner). Il testo di Benenzon si conclude con alcu-

ne considerazioni di base relative al processo di supervisione

tra le quali emerge la funzione equilibratrice ricoperta da tale

processo nel consentire gradualmente al terapeuta la conqui-

sta di uno spazio d’ascolto dell’altro non inquinato dall esi-

genza di un agire scarsamente calibrato sulle effettive esi-

genze relazionali del paziente.

La supervisione “quindi non si riduce ad un mero controllo e

valutazione della tecnica impiegata, ma consiste in un esame

ben più articolato e di ampio respiro che prende in conside-

razione tanto il rapporto terapeuta-assistito quanto le reazio-

ni che la musicoterapia induce nel terapeuta stesso…”.

Musicoterapia e Autismo

VII Convegno APIM

Il giorno 15 gennaio 2000 si è tenuto presso il Centro “Paolo

VI” di Casalnoceto (Al) il VII Convegno organizzato

dall’Associazione Professionale Italiana Musicoterapeuti dal

titolo “Musicoterapia e Autismo”. La relazione introduttiva

della mattinata presentata dal Prof. Giovanni Lanzi, Ordinario

di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Pavia, ha

esposto le principali ipotesi interpretative relative all’etiopa-

togenesi dell’Autismo infantile. L’autore ha riportato sinteti-

camente e con molta chiarezza i principali modelli esplicativi

di riferimento: Ipotesi psicogenetica, Ipotesi genetica, Teorie

immunitarie, Ipotesi neurochimica, Neuroimmagini, Teoria

della mente. Nel corso della dissertazione sul tema il Prof.

Lanzi ha posto in evidenza come, nel processo di comprensio-

ne del fenomeno autismo, sia necessaria un’integrazione delle

conoscenze disponibili provenienti dai vari indirizzi teorici.

Inoltre il relatore ha sottolineato l’importanza del lavoro col

gruppo familiare del soggetto autistico ponendo la dimen-

sione relazionale (sia essa influenzata da fattori costituziona-

li o da fattori psico-affettivi) al centro del progetto terapeu-

tico, considerando ogni singolo caso di autismo nella sua

inscindibile dimensione biopsichica. La seconda relazione

della mattinata proposta da Gerardo Manarolo e Ferruccio

Demaestri, rispettivamente supervisore e musicoterapista del

Centro “Paolo VI” di Casalnoceto, ha presentato l’esperienza

lavorativa condotta dagli autori da più di dieci anni presso la

suddetta istituzione con soggetti autistici focalizzando l’at-

tenzione sulla speficità dell’approccio musicoterapico e sulla

funzione dell’elemento sonoro/musicale nel trattamento di

questa casistica. In particolare sono state analizzate le com-

petenze espressivo-comunicative e relazionali, mediate dal

suono e dalla musica, del bambino autistico all’interno del

rapporto col musicoterapista, contestualizzando l’esposizione

con riflessioni di carattere teorico (Stern, Zappella, Benenzon,

Trevarthen) e con l’illustrazione di tre situazioni cliniche.

L’apertura della sezione pomeridiana del convegno è stata

affidata ad Alfredo Raglio (musicoterapista e ricercatore pres-

so l’Ospedale di Sospiro in provincia di Cremona) che ha foca-

lizzato l’attenzione essenzialmente sulla “musicalità” autistica

intesa come “universo sonoro-musicale” intimamente con-

nesso alla realtà espressiva di questa patologia, universo da

conoscere e scoprire attraverso l’attuazione del processo rela-

zionale caratteristico del setting musicoterapico che prevede

l’incontro tra la “musicalità” del terapeuta e quella del

paziente come spunto per lo sviluppo della comunicazione a

livello non verbale. L’ultima relazione della giornata è stata

affidata ad un ospite illustre: il Prof. Rolando Benenzon. Lo

Psichiatra argentino nel corso della sua esposizione ha ripre-

so alcuni concetti chiave relativi alla definizione della perso-

na affetta da autismo che, secondo l’autore, si trova a vivere

in una situazione di prolungamento dello psichismo fetale. Il

relatore ha contestualizato le sue affermazioni teoriche pre-

sentando il proprio metodo di lavoro, soffermandosi in parti-

colare sull’analisi delle condotte comunicative peculiari del

gruppo familiare del soggetto autistico, individuando le “cisti

di comunicazione” presenti e illustrando possibili percorsi

“riabilitativi” finalizzati alla risoluzione dei suddetti blocchi

comunicativi.

Ferruccio Demaestri

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Lettera ai Soci Apim• L’APIM è da tempo conosciuta in vari contestiprofessionali e culturali grazie alla rivista “Musica& Terapia”; molti servizi pubblici, associazioniprivate, università, centri di formazione musico-terapica la ricevono ed apprezzano, al punto chericeviamo assai di frequente richieste di numeriarretrati o estratti di articoli ormai andati esauri-ti. Ora siamo giunti al nono anno di pubblicazio-ne ed abbiamo ritenuto opportuno impegnarci adun rinnovamento editoriale di questo nostrostrumento di aggiornamento e crescita culturale.Invitiamo i professionisti che abbiano elaboratoriflessioni sulle loro esperienze, o ricerche o tra-duzioni di importanti contributi stranieri di musi-coterapia a concorrere a questo processo di svi-luppo. Per ogni contributo invitiamo i soci a con-tattare Ferruccio Demaestri (0131/809407).• Un secondo punto qualificante dell’APIM è dasempre l’attività convegnistica, a Rimini in mag-gio ed a Casalnoceto in Dicembre. Quest’anno cisono tuttavia alcune novità rispetto alle date: ilconvegno invernale verteva sull’autismo e posti-cipandolo al 15 gennaio 2000 ci siamo potutiavvalere del prezioso contributo di RolandoBenenzon; anche per quello di maggio abbiamopensato ad uno slittamento di data e precisa-mente contiamo di organizzarlo dal 15 (arriviserali) al 17 (partenza dopo pranzo) di settembre2000. In maggio ci saremmo trovati infatti aridosso dell’imponente convegno di marzo dellaPcc di Assisi (075/812308), all’organizzazione delquale diversi di noi sono impegnati. Ovviamenteverrà data più precisa comunicazione di questonostro appuntamento riminese, che si svolgeràcomunque, come di consueto, presso il conforte-vole ed economico hotel “La Fenice”; stiamo pen-sando all’organizzazione di uno stage centratosullo strumentario della musicoterapia, caratte-rizzato da laboratori in cui apprendere e speri-mentare la costruzione di strumenti musicali,

affiancati a momenti in cui le parole (più del soli-to) lascino la scena all’improvvisazione strumen-tale vera e propria, nelle sue varie forme. Perciòtenetevi liberi per quel week end, scaldate i vostristrumenti e se avete esperienze che reputateinteressanti da proporre al convegno comunica-telo tempestivamente a Massimo Borghesi(0338/7746947) ([email protected]).• Negli ultimi anni è venuto crescendo, perimportanza ed energie richieste, il progetto CON-FIAM, CONFederazione Italiana Associazioni diMusicoterapia. L’APIM promuove tale progettoconfederativo. Questo sta producendo risultatiche non si erano ottenuti nei decenni preceden-ti; cerchiamo di dare un riconoscimento ufficialealla professionalità del musicoterapista. Parliamodella possibilità che la proposta di legge per losmantellamento degli albi professionali, conten-ga delle opportunità per noi assai interessanti. Inparticolar modo, qualora questa proposta diven-tasse legge dello stato, (come sollecitato da pre-cise direttive comunitarie) verrebbe demandata,ad alcune associazioni private, la responsabilitàdi vigilare sulla reale professionalità degli iscritti;il CNEL, ente governativo incaricato della valuta-zione della serietà professionale delle organizza-zioni private, ha attualmente riconosciuto comeinterlocutore privilegiato la CONFIAM, unica perla musicoterapia ad essere inserita nella "consul-ta". Si configurerebbe pertanto la possibilità dicostituire un REGISTRO NAZIONALE DEI MUSICO-TERAPISTI, a cura della CONFIAM, i cui associati(anche noi quindi) si troverebbero a beneficiaredi uno specifico riconoscimento governativo. Perquesta ragione le varie commissioni CONFIAMstanno lavorando a pieno ritmo nella direzione diuniformare ed elevare il livello della professiona-lità all'interno della disciplina, equiparando ilmonte ore dei corsi al IV° livello europeo, curan-do gli aspetti deontologici, di aggiornamentoprofessionale, di assicurazione per danni contro

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terzi, e così via. L’accesso a questo registro nazio-nale dei musicoterapisti sarà regolato da unesame di abilitazione (nella cui commissionesaremo ovviamente presenti); potranno sostenerequesto esame coloro che sono in possesso didiplomi in musicoterapia rilasciati da corsi rico-nosciuti CONFIAM, che siano iscritti ad una asso-ciazione di musicoterapia CONFIAM (e noi losiamo) e che abbiano effettuato almeno 60 ore disupervisione post diploma. Stiamo inoltre pen-sando a norme transitorie, necessarie a sanare lasituazione di persone che hanno percorsi forma-tivi datati. Vorremmo, con queste informazioni,comunicarvi che aderire all’APIM significa anchedare sostegno a chi porta avanti queste battaglieper tutta la categoria e trascorre intere giornatea consultare elenchi di nominativi di persone inpossesso dei requisiti richiesti, tra le quali proba-bilmente ci sei anche tu. Tutto questo lavoro,come dicevamo, sta producendo risultati interes-santi, tra i quali un volume utile a coloro chevolessero essere aggiornati sullo stato dell’artedella musicoterapia in Italia; il libro, intitolato“Guida dello studente”, può essere ordinato diret-tamente presso le Edizioni Cosmopolis per lasomma di £. 10.000.• Alcune persone si stanno occupando di mette-re a punto un “progetto Internet” articolato, coe-rente con la filosofia dell’associazione, facilmen-te consultabile e collegato con i più significativisiti mondiali di musicoterapia; nel frattempoabbiamo voluto comunque essere presenti in rete(http://www.psmusic.com/apim.htm). Coloro chefossero in possesso di competenze, motivazioni emateriali atti ad arricchire il sito possono contat-tare Claudio Bonanomi (0335/6825190). • Sta da tempo maturando all’interno dell’asso-ciazione il desiderio di promuovere progetti diricerca. Pensiamo effettivamente sia giunto ilmomento di uscire dalla fase delle affermazionigeneraliste e dare al nostro lavoro una dignità

professionale la quale richiede quantomeno chele nostre affermazioni siano sottoposte a con-trolli rigorosi. Ma la musicoterapia si riferisce alsistema scientifico o a quello umanistico? Nelprimo caso dovremo verificare se sia adottato unlinguaggio formale rigoroso, verificata la ripeti-bilità degli eventi, la loro misurabilità, e così via;nel secondo caso, alla necessità della scienza diricorrere ad un linguaggio formale rigoroso fa dacontrappeso l’uso del discorso poetico, conside-rato da Meltzer come essenziale alla comunica-zione psicoanalitica, il quale non mira a convin-cere ma a suggestionare, non a dimostrare ma acondividere. Afferma lo psicoanalista FrancoFornari: “Nella definizione dello statuto dellapropria verità, la psicoanalisi si trova più a dipen-dere dalla verità del mito che non da quella dellafilosofia e della scienza: ma per farla accettare inera scientifica, la si deve vestire di scienza”.Questo è il punto: sentiamo il bisogno di ricercae fors’anche di ricerca sulla ricerca; pertanto,chiunque avesse interesse ad aderire a progettisul tema può contattare Alfredo Raglio(0338/7291944).• Direttamente consequenziale al punto prece-dente pare essere quello sulle aggregazioni regio-nali: si può fare ricerca, autoformazione, organiz-zare iniziative, invitare docenti e supervisori se siappartiene a guppi coordinati. L’APIM nasce daquesta idea di cooperazione ed intende conti-nuare a promuoverla. Alcune regioni sono stori-camente meglio organizzate, altre meno; pensia-mo che sia importante che dalle une e dalle altrearrivino segnalazioni di nominativi interessati adanimare la propria realtà locale. Chi si sente soloo chi sta costituendo un piccolo gruppo in fase dicampagna adesioni può segnalare il proprionominativo a Marzia Mancini (0541/730117) laquale raccorderà le varie segnalazioni.• A proposito di gruppi di supervisione, l’APIM èattiva in questo senso sia con iniziative che fanno

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notiziarioriferimento ai propri corsi di Rivarolo, Genova,Saronno e Lecco, sia con iniziative distaccatedagli stessi, attualmente condotte da GerardoManarolo e Massimo Borghesi; supervisioni indi-viduali vengono inoltre effettuate oltre che daglistessi anche da Pier Luigi Postacchini(051/437798), Andrea Ricciotti (051/6141125) eClaudio Bonanomi. A ciò si aggiunga che nella giàcitata “Guida dello studente” si potrà trovare unelenco di tutti i supervisori di musicoterapiaaccreditati dalle varie scuole CONFIAM.• C’è un altro servizio che l’APIM ha svolto inquesti anni ed è un servizio di consulenza telefo-nica per i soci in difficoltà burocratiche od altro;ora ci auguriamo che queste richieste possanopervenire tramite posta elettronica all’[email protected] così da poter essere eventual-mente raggruppate in risposte collettive all’inter-no della rivista, pensando che probabilmente ilbisogno espresso da alcuni possa corrispondere aquello sommerso di molti.• Il premio APIM consiste organizzativamentenella disamina dei lavori che a tal fine vengonopresentati; si tratta di un riconoscimento profes-sionale al quale non fanno seguito ricompenseparticolari che non siano la possibilità di presen-tare il proprio materiale ad uno dei convegniAPIM o su di un numero della rivista. Vorremmocomunque mantenere alta questa competizioneculturale ed invitiamo gli interessati ad inviare ladocumentazione ad Anna Maria Barbagallo(051/6230902).• L’APIM è animata da un ideale di qualità. Inattesa che il percorso del riconoscimento si com-pia siamo comunque chiamati ad una qualifica-zione che ci connoti come professionisti dall'indi-scutibile valore. Questo, come tutti gli ideali, habisogno di adesione, abbiamo bisogno di sentireche il nostro lavoro corrisponde alla necessità dimolti; ha bisogno di sostegno, poiché le cause, lebattaglie per gli ideali di tutti hanno anche dei

costi umani ed economici che non possono rica-dere soltanto sulle spalle di pochi, pena il falli-mento; ha bisogno di promozione, affinché lanostra associazione possa parlare a nome di molti.Per questo ti ringraziamo e ti chiediamo di conti-nuare ad esserci, magari estendendo l’invitoanche a colleghi non associati, che non riceve-ranno questa lettera, ma che potresti sensibilizza-re in modo che un ideale di qualità possa conti-nuare ad esistere come fatto concreto.

Massimo BorghesiDirettivo APIM

XVII Convegno di MusicoterapiaAssisi 2000: Musicoterapie a confrontoAssisi 22 - 25 Marzo 2000

Finalità del convegno• Confrontare in modo focalizzato e approfon-dito alcune tecniche e metodi diversi che vengo-no insegnati all’interno del corso di musicotera-pia di Assisi; consentire ai docenti e ad altriesperti di dialogare su alcuni problemi e temati-che specifiche;

• Dare l’opportunità ad alcuni diplomati delcorso di presentare il loro lavoro;

• Far conoscere all’esterno i risultati effettiviprodotti dal corso di Assisi;

• Fare un bilancio del lavoro dopo quasi 20 annidi attività;

• Creare un momento di raccordo e di collega-mento tra le diverse scuole di musicoterapia pre-senti in Italia.

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notiziarioTemi delle giornate di studioMercoledì 22 marzo: arrivi e sistemazione

Giovedì 23 marzo: “Aspetti sonori”Venerdì 24 marzo: “Aspetti relazionali”Sabato 25 marzo: “Aspetti istituzionali”

Informazioni e adesioni al convegnoSezione Musica - Pro Civitate Christiana06081 Assisi (Pg) - Tel. e Fax 075/812308

V Congresso Europeo di Musicoterapia“Musicoterapia in Europa”Musicologia – Pratica clinica - RicercaCastel dell’Ovo, Napoli, 20 - 25 Aprile 2001

Finalità principali del congresso• Facilitare le relazioni fra paesi differenti dell’a-rea europea, specialmente oggi che la comunitàEuropea si è collocata nella prospettiva di defini-re accordi più stretti tra diversi interlocutori.

• Creare un luogo di studio dove gli operatoripossano portare risultati delle esperienze secondoi diversi aspetti della disciplina Musicoterapia. Ciòincluderebbe aree come la Musicologia, la Ricercae altre attività che possano dimostrare l’efficaciadella Musicoterapia attraverso la Pratica Clinica.

InformazioniValentina De Rienzo (segreteria)ISFOM via R. Morghen 3680129 NapoliTel. + 39 081/5789330Fax + 39 081/5784059e-mail: [email protected]

Per informazioni più dettagliate consulta la pagi-na Web:http://www.gdifranco.it/napoli2001.html

Musicoterapia oggi.Palermo, 19/20 Febbraio 2000.Segreteria 091/345061

Giornata di studio “Un master nelle arti-terapie?”.Bologna 8 Aprile 2000.Segreteria 051/2091822

Convegno “ La voce in Musicoterapia”.Genova, Giugno 2000.Segreteria 010/5762504

Corso Triennale di Musicoterapia, ANFFAS,Comunità “La Torre”, Rivarolo Canavese (TO),Settembre 2000. Segreteria tel. 010/593641.

Seminario di Musicoterapia Apim.Rimini 15/16/17 Settembre 2000Segreteria tel. 0338/7746947.

Corso Triennale di Musicoterapia, ANFFAS, Genova, Ottobre 2000.Segreteria tel. 010/5762518.

Scuola Triennale di Musicoterapia, Coop. Sociale La Linea dell’Arco, Lecco, Ottobre 2000. Segreteria tel. 0341/362281.

Seminari di Musicoterapia in Assisi. Novembre 2000Segreteria tel. 075/812308.

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Garcia) • Funzione polivalente dell’elemento sonoro-musica-

le nella riabilitazione dell’insufficiente mentale grave (G.

Manarolo, M. Gilardone, F. Demaestri)

Volume III, Numero 1, Gennaio 1995

Musica e struttura psichica (E. Lecourt) • Nessi funzionali e

teleologici tra udire, vedere, parlare e cantare (Schindler,

Vernero, Gilardone) • Il ritmo musicale nella rieducazione

logopedica (L. Pagliero) • Differenze e similitudini nell’appli-

cazione della musicoterapia con pazienti autistici e in coma

(R. Benenzon) • La musica come strumento riabilitativo (A.

Campioto, R. Peconio) • Linee generali del trattamento musi-

coterapico di un caso di "Sindrome del Bambino Ipercinetico"

(M. Borghesi) • Strumenti di informazione e di analisi della

prassi osservativa in musicoterapia (G. Bonardi)

Volume III, Numero 2, Luglio 1995

Il senso estetico e la sofferenza psichica: accostamento stri-

dente o scommessa terapeutica? (E. Giordano) • L'inventiva

del terapeuta come fattore di terapia (G. Montinari) • La for-

mazione in ambito musicoterapico: lineamenti per un pro-

getto di modello formativo (P.L. Postacchini, M. Mancini, G.

Manarolo, C. Bonanomi) • Il suono e l'anima: la divina ana-

logia (M. Jacoviello) • Considerazioni su: dialogo sonoro,

espressione corporea ed esecuzione musicale (R. Barbarino,

A. Artuso, E. Pegoraro) • Aspetti metodologici, empatia e sin-

tonizzazione nell'esperienza musicoterapeutica (A. Raglio) •

Esperienze di musicoterapia: nascita e sviluppo di una comu-

nicazione sonora con soggetti portatori di handicap (C.

Bonanomi)

Volume IV, Numero 1, Gennaio 1996

Armonizzare sintonizzandosi (P.L. Postacchini) • Dalla perce-

zione uditiva al concetto musicale (O. Schindler, M.

Gilardone, I. Vernero, A.C. Lautero, E. Banco) • La formazione

musicale (C. Maltoni, P. Salza) • Gruppo sì, gruppo no: rifles-

sioni su due esperienze di musicoterapia (M. Mancini) •

Musicoterapia e stati di coma: riflessioni ed esperienze (G.

Garofoli) • Il caso di Luca (L. Gamba) • Disturbi del linguag-

gio e Musicoterapia (P.C. Piat, M. Morone)

Numero 0, Luglio 1992

Terapie espressive e strutture intermedie (G. Montinari) •

Musicoterapia preventiva: suono e musica nella preparazio-

ne al parto (M. Videsott) • Musicoterapia recettiva in ambi-

to psichiatrico (G. Del Puente, G. Manarolo, C. Vecchiato) •

L’improvvisazione musicale nella pratica clinica (M.

Gilardone)

Volume I, Numero 1, Gennaio 1993

Etnomusicologia e Musicoterapia (G. Lapassade) •

Metodologie musicoterapiche in ambito psichiatrico (M.

Vaggi) • Aspetti di un modello operativo musicoterapico (F.

Moser, I. Toso) • La voce tra mente e corpo (M. Mancini)

•Alcune indicazioni bibliografiche in ambito musicoterapico

(G. Manarolo)

Volume I, Numero 2, Luglio 1993

Musicoterapia e musicoterapeuta: alcune riflessioni (R.

Benenzon) • La Musicoterapia in Germania (F. Schwaiblmair)

• La Musicoterapia: proposta per una sistemazione catego-

riale e applicativa (O. Schindler) • Riflessioni sull’analisi delle

percezioni amodali e delle trasformazioni transmodali (P.L.

Postacchini, C. Bonanomi) • Metodologie musicoterapiche in

ambito neurologico (M. Gilardone) • I linguaggi delle arti in

terapia: lo spazio della danza (R. De Leonibus) • La musico-

terapia nella letteratura scientifica internazionale, 1ª parte

(A. Osella, M. Gilardone)

Volume II, Numero 1, Gennaio 1994

Introduzione (F. Giberti) • Ascolto musicale e ascolto interio-

re (W. Scategni) • Lo strumento sonoro musicale e la

Musicoterapia (R. Benenzon) • Ascolto musicale e

Musicoterapia (G. Del Puente, G. Manarolo, P. Pistarino, C.

Vecchiato) • La voce come mezzo di comunicazione non ver-

bale (G. Di Franco)

Volume II, Numero 2, Luglio 1994

Il piacere musicale (M. Vaggi) • Il suono e l’anima (M.

Jacoviello) • Dal suono al silenzio: vie sonore dell’interiorità

(D. Morando) • Gruppi di ascolto e formazione personale (M.

Scardovelli) • Esperienza estetica e controtransfert (M. E.56

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articoli pubblicati

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Volume VI, Numero 1, Gennaio 1998

Le spine del cactus (Claudio Lugo) • L’improvvisazione nella

musica, in psicoterapia, in musicoterapia (Pier Luigi

Postacchini) • L’improvvisazione in psicoterapia (Andrea

Ricciotti) • L’improvvisazione nella pratica musicoterapica

(Massimo Borghesi) • La tastiera elettrica fra educazione e

riabilitazione: analisi di un caso (Pier Giorgio Oriani) • Ritmo

come forma autogenerata e fantasia di fusione (Giovanni

Del Puente, Stefania Remotti) • Aspetti teorici e applicativi

della musicoterapia in psichiatria (Fabio Moser, Giovanni

Maria Rossi, Ilario Toso).

Volume VI, Numero 2, Luglio 1998

Modelli musicali del funzionamento cerebrale (Giuseppe

Porzionato) • La mente musicale/educare l’intelligenza musi-

cale (Johannella Tafuri) •

Reversibilità del pensiero e pensiero musicale del bambino

(Fulvio Rota) • Musica, Elaboratore e Creatività (Maurizio

Benedetti) • Inchiostro, silicio e sonorità neuronali (Alberto

Colla) • Le valenze del pensiero musicale nel trattamento dei

deficit psico-intellettivi (Ferruccio De Maestri).

Volume VII, Numero 1, Gennaio 1999

E se la musica fosse…(Maurizio Spaccazocchi) • Una noce

poco fa (Denis Gaita) • L’ascolto in Musicoterapia (Gerardo

Manarolo) • La musica allunga la vita?(M. Maranto, G.

Porzionato) • Musicoterapia e simbolismo: un’esperienza in

ambito istituzionale (Anna Maria Bagalà)

Volume VII, Numero 2, Luglio 1999

Dalle pratiche musicali umane alla formazione professionale

(Maurizio Spaccazocchi) • Formarsi alla relazione in

Musicoterapia (Giandomenico Montinari) • Formarsi in

Musicoterapia (Pierluigi Postacchini) • Prospettive formative e

professionali in Musicoterapia (Pio Enrico Ricci Bitti) • Un

coordinamento nazionale per la formazione in Musicoterapia

(Gerardo Manarolo)

Volume IV, Numero 2, Luglio 1996

Il suono della voce in Psicopatologia (F. Giberti, G. Manarolo)

• La voce umana: prospettive storiche e biologiche (M.

Gilardone, I. Vernero, E. Banco, O. Schindler) • La stimolazio-

ne sonoro-musicale di pazienti in coma (G. Scarso, G.

Emanuelli, P. Salza, C. De Bacco) • La creatività musicale (M.

Romagnoli) • Musicoterapia e processi di personalizzazione

nella Psicoterapia di un caso di autismo (L. Degasperi) • La

recettività musicale nei pazienti psichiatrici: un'ipotesi di

studio (G. Del Puente, G. Manarolo, S. Remotti) • Musica e

Psicosi: un percorso Musicoterapico con un gruppo di

pazienti (A. Campioto, R. Peconio).

Volume V, Numero 1, Gennaio 1997

La riabilitazione nel ritardo mentale ed il contributo della

Musicoterapia (G. Moretti) • Uomo Suono: un incontro che

produce senso (M. Borghesi, P.L. Postacchini, A. Ricciotti) • La

Musicoterapia non esiste (D. Gaita) • L'Anziano e la Musica.

L'inizio di un approccio musicale (B. Capitanio) • Riflessioni

su una esperienza di ascolto con un soggetto insufficiente

mentale psicotico (P. Ciampi) • Un percorso musicoterapico:

dal suono silente al suono risonante (E. De Rossi, G. Ba) • La

comprensione dell'intonazione del linguaggio in bambini

Down (M. Paolini).

Volume V, Numero 2, Giugno 1997

Gli effetti dell'ascoltare musica durante la gravidanza e il tra-

vaglio di parto: descrizione di un'esperienza (Pier Luigi

Righetti) • Aspettar cantando: la voce nella scena degli affet-

ti prenatali (Elisa Benassi) • Studio sul potenziale terapeutico

dell'ascolto creativo (Massimo Borghesi) • Musicoterapia e

Danzaterapia: le controindicazioni al trattamento riabilitati-

vo di alcune patie neurologiche (C. Laurentaci, G. Megna) •

L'ambiente sonoro della famiglia e dell'asilo nido: una possi-

bile utilizzazione di suoni e musiche durante l'inserimento

(Maria Grazia Farnedi) • La Musicoterapia Prenatale e

Perinatale: un'esperienza (A. Auditore, F. Pasini).

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Gli articoli pubblicati dal 1992 al 1998 sono ora raccolti in “Musica & Terapia, Quaderni italiani di Musicoterapia”edizioni Cosmopolis Corso Peschiera 320 - 10139 Torino - http://www.publispace.com/cosmopolis

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1) I colleghi interessati a pubblicare articoli originalisulla presente pubblicazione sono pregati di invia-re tre copie dattiloscritte ed una copia su dischet-to redatta secondo il programma Word perWindows (tipo RTF) al seguente indirizzo: Dr. Gerardo Manarolo, Vico Curletto Chiuso, 5/6 16121, Genova.

2) L'accettazione dei lavori è subordinata alla revisionecritica del comitato di redazione.

3) La comunicazione di accettazione verrà inviatanon appena il comitato di redazione avrà espressoparere favorevole alla pubblicazione.

4) Il testo degli articoli dovrà essere redatto in linguaitaliana e accompagnato dal nome e cognome del-l'autore (o degli autori) completo di qualifica pro-fessionale, ente di appartenenza, recapito postalee telefonico.

5) Per la stesura della bibliografia ci si dovrà attenereai seguenti esempi:a) LIBRO: Cordero G.F., Etologia della comunicazio-ne, Omega edizioni, Torino, 1986.b) ARTICOLO DI RIVISTA: Cima E., Psicosi seconda-rie e psicosi reattive nel ritardo mentale,Abilitazione e Riabilitazione, II (1), 1993, pp. 51-64.c) CAPITOLO DI UN LIBRO: Moretti G., Cannao M.,Stati psicotici nell'infanzia. In M. Groppo, E.Confalonieri (a cura di), L'Autismo in età scolare,Marietti Scuola, Casale M. (Al), 1990, pp. 18-36.d) ATTI DI CONVEGNI: Neumayr A., Musica edhumanitas. In A. Willeit (a cura di), Atti delConvegno: Puer, Musica et Medicina, Merano,1991, pp. 197-205.

6) Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli Autori. La proprietà lettera-ria spetta all'Editore, che può autorizzare la ripro-duzione parziale o totale dei lavori pubblicati.

I Quaderni Italiani di Musicoterapia sono distribuitipresso le Librerie Feltrinelli.

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