Musica e filosofia

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MUSICA E FILOSOFIA MUSICA E FILOSOFIA MUSICA E FILOSOFIA MUSICA E FILOSOFIA di Quirino Principe

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musica e filosofia

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  • MUSICA E FILOSOFIAMUSICA E FILOSOFIAMUSICA E FILOSOFIAMUSICA E FILOSOFIA di Quirino Principe

  • La filosofia giudice di un'epoca; brutto segno quando essa ne invece l'espressione.

    HUGO von HOFMANNSTHAL MUSICA E FILOSOFIA

    Parte prima Il rapporto tra musica e filosofia, tra qualcosa che ogni uomo incontra tutti i giorni e molte volte al giorno dalle sue forme elementari alle pi raffinate, e qualcosa che moltissimi uomini, la maggioranza, non incon-trano mai in tutta la loro vita, esiste sotto il segno di un paradosso. Nella cultura universale, musica e filoso-fia non si collocano in gradi di diverso rango all'interno della stessa scala gerarchica, ma occupano, ciascuna su una scala diversa e indipendente, il rango pi alto. La filosofia non una scienza particolare, tale da pe-netrare profondamente in un settore della realt come disciplina specializzata: ad essa sempre stato attri-buito il compito di unificare tutte le conoscenze, proponendosi come conoscenza suprema, e il suo linguag-gio specialistico, l dove appare, motivato dalla necessit di concetti adatti all'unificazione del sapere. La musica, a sua volta, un'arte diversa dalle altre: un'arte-scienza (se ne ha un sommo esempio nell'ultima fase dell'opera di Johann Sebastian Bach), e in alterne epoche della cultura stata riconosciuta come arte-sapienza. La collocazione di musica e filosofia, sapienze parallele, nella zona pi alta dell'intelligenza, sa-rebbe la condizione ideale perch l'una possa fondersi con l'altra, o almeno esserle di potente ausilio per il-luminare meglio la comprensione ultima e definitiva del reale. Questa intesa si realizzata in brevi momenti della storia intellettuale, e in pochi uomini. L'armonia perfetta, il nodo indissolubile tra le due supreme for-me di sapienza, promessa di una conoscenza penetrante fino alle cose ultime e quasi sovrumana, sarebbe un paradiso dell'intelletto, ma il suo realizzarsi stato effimero, e il suo equilibrio instabile. Nella storia della cultura, quasi sempre il rapporto tra filosofo e musicista stato difficile, o almeno vissuto con freddezza da entrambe le parti; musica e filosofia, eccettuate rare e fuggevoli circostanze ideali, si sono ignorate, e come forme di conoscenza hanno mostrato la tendenza ad escludersi a vicenda. Questo fenomeno storico, nelle sue ragioni a volte palesi e pi spesso nascoste, un oggetto di discussione, e come tale lo offriamo ai lettori. Non c' dubbio, tuttavia, che noi tendiamo a vederlo da un angolo ristretto e parziale, quello della nostra tradizione culturale, che non l'unica, anche se cade spesso nella tentazione di credersi tale. La nostra tradizione, per una sua deformazione visiva, eurocentrica ("Europa" significa, in senso estensivo, "Occidente") e modernocentrica. Esiste una sorta di razzismo metaforico che privilegia un determinato spazio e un determinato tempo. Con la parola "filosofia", la persona di media cultura uscita da studi liceali e universitari intende d'istinto la filosofia "classica" occidentale, non ha idee molto chiare sul pensiero che precede Platone e le grandi redazioni scritte, trascura la tradizione orale fondata assai prima di Socrate e della sofistica sull'intelletto simbolico e mitico, e, in senso opposto, si orienta con difficolt sul pensiero odierno, quello del tardo Novecento; soprattutto, ignora nella generalit dei casi le filosofie non occidentali. Con singolare ma tutt'altro che casuale parallelismo, il pubblico di medie conoscenze musicali, frequentatore di concerti e magari educato alla musica come professione, si orienta con agio in un periodo ristretto della musica occidentale, dall'et barocca al primo Novecento, ma ha nozioni lacunose e incerte di musica antica e medievale, o di musica recente e oggi militante, e ignora per lo pi la musica nata nelle grandi aree culturali diverse dall'Occidente. Cos, quella che detta con enfasi "cultura musicale" o "cultura filosofica" in realt una conoscenza maga-ri precisa e profonda, ma ritagliata come una piccola parte dal tutto, e ristretta a un settore del contesto in-terculturale e a una tranche cronologica; anche sulle ragioni di questa settorialit educativa, e sui problemi che essa genera, potrebbe aprirsi una lunga discussione. Ma poich in un contesto organizzato e articolato la parte riproduce i caratteri del tutto e ci d risposte eloquenti quando la analizziamo, possibile osservare anche da un angolo ristretto alcuni comportamenti culturali che, allineati e accostati, appaiono stranamente contrastanti e danno la misura del difficile rapporto tra musica e filosofia. Ne enunciamo i tre principali, ri-feriti esclusivamente alla cultura d'Occidente.

    a) La nascita della filosofia e il sorgere delle teorie musicali sono eventi contemporanei e strettamente col-legati. Il periodo cui alludiamo la civilt ellenica matura che confluisce nella pi ampia e composita civilt ellenistica. E' una fase in cui tra musica e filosofia esiste un'intesa ideale, e spesso il filosofo e il musico o il teorico della musica si uniscono nella stessa persona: Pitagora, Platone, Aristotele, Filone d'Alessandria. Il legame, che ha per lo studioso moderno un fascino irresistibile, non pu essere ridotto, come alcuni preten-dono, soltanto al suo appartenere a una fase "aurorale", in cui i rami della sapienza sono confusi e indistinti.

  • Esso motivato anche da una qualit di fondo, ossia dal carattere precristiano di quella cultura: anche su questa dichiarazione dovrebbe svilupparsi un dibattito. Il cristianesimo, che fu inizialmente avverso alla mu-sica e spinse talora la sua avversione fino all'odio, alla censura e alla persecuzione, intuendo la natura de-moniaca dell'arte musicale e considerando moralisticamente peccaminoso il suo altissimo edonismo, si trov disarmato dinanzi alla realt dei suoni organizzati in linguaggio, privo di strumenti culturali capaci di af-frontarla e di rielaborarla. Ci avvenne anche perch il cristianesimo non riusc a possedere una filosofia propria, e attinse paradossalmente, per propria difesa intellettuale, alla filosofia ellenica ed ellenistica precri-stiana, a Pitagora, a Platone, ad Aristotele, a Plotino, a Seneca. Di conseguenza, l'atteggiamento della "filo-sofia" cristiana di fronte alla musica si frantum, scegliendo nella prima fase del cristianesimo intellettuale un'intelligente e colta subordinazione alle dottrine antiche ( il caso di Boezio), e allontanandosi con indiffe-renza dalla musica nella fase scolastica della filosofia medievale. Nella cultura europea del tardo medioevo, la dissociazione quasi completa: Zarlino e Glareano sono lontani da Tommaso e Bonaventura. Filosofi scolastici da un lato, teorici del discanto o dell'ars nova dall'altro, operano in sfere diverse e non comunican-ti.

    b) la filosofia moderna nella sua linea "classica" (quella oggi studiata nelle scuole sui manuali, per intender-ci) si occupa della musica di rado, o con indifferenza, e tende a sottovalutarla. Cartesio un'eccezione, ma Spinoza, Hume, Kant, Croce rientrano nella regola di una sostanziale estraneit. Hegel sembra dare molto spazio alla musica, ma soltanto per coartarne la definizione, subordinandola al proprio sistema concettuale. Non un caso che i tre filosofi europei dominati dal fascino della musica, Schopenhauer, Kierkegaard, Nie-tzsche, siano stati odiati e respinti (come "non filosofi") dall'establishtnent filosofico professorale e universi-tario, soprattutto dagli eredi dello hegelismo. In parallelo, i massimi musicisti della tradizione classica e ro-mantica, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms, ricambiarono i filosofi dei secoli XVIII e XIX con un atteggiamento di analoga estraneit. Certe pi attente curiosit, come nei casi di Schumann o di Ma-hler, si limitarono alla sfera personale e a letture frammentarie. L'attenzione sistematica di Wagner per Schopenhauer un caso isolato, una simmetria a specchio rispetto alla celebrazione della musica compiuta da quel filosofo. L'interesse del giovane Richard Strauss per Nietzsche si spense interamente in anni maturi. S'impone un giudizio d'insieme: non c' quasi possibilit d'intesa tra la musica e la filosofia orientata (come appunto quella "classica") verso il cosiddetto "pensiero forte", ossia sistematico, articolato da cima a fondo in categorie onnicomprensive, tendenti a definire in maniera organica tutto il reale, la natura fisica e la sfera logica, la psiche e il mito, la politica e l'arte.

    c) La possibilit d'intesa invece molto forte quando la musica entra in rapporto con il cosiddetto "pensiero debole", ossia elastico, non sistematico, prevalentemente analitico: con il fenomenologismo di Husserl, con Heidegger e la sua dottrina esistenziale-ontologica, con il marxismo eretico di Adorno, con l'indagine critica sulla cultura condotta da Ernst Bloch. A questo proposito, il legame tra Schnberg e Adorno esemplare, ma lo non meno quello tra Bergson, Debussy e Proust. I tre comportamenti descritti rivelano, nella loro contraddittoriet e mancanza di correlazione, immensi vuo-ti, come sempre accade quando si allinea una serie di constatazioni. E' ci che tocca, in ogni romanzo giallo, al povero detective posto per la prima volta dinanzi al delitto. E' nostra ambizione compiere almeno il tenta-tivo di colmare quei vuoti, allargando doverosamente l'orizzonte nel tempo e nello spazio, e uscendo dalla visione eurocentrica e modernocentrica. Il tentativo esige per che si faccia luce su tre premesse.

    1) I tre comportamenti che abbiamo colto scorrendo la storia dei rapporti tra musica e filosofia sono, appun-to, "storici", e sottintendono un divenire tormentato e pieno di conflitti intellettuali. Ma il divenire una ca-ratteristica della cultura d'Occidente. Altre tradizioni, in cui la filosofia ha raggiunto altissimi enunciati e la musica un altissimo grado di elaborazione teorica, non hanno conosciuto simili trasformazioni, o le hanno subite in misura minima. In Occidente, ogni forma di cultura, e in particolare la filosofia e la musica di cui ci occupiamo, stata arricchita e complicata da un'evoluzione il cui peso immenso. Di conseguenza, immensa l'importanza della componente storica e delle coordinate spazio-temporali che di volta in volta la definiscono. Nelle civilt di origine extraeuropea l'evoluzione stata, nell'ambito teorico, debole o inesisten-te. Ci non affatto il segno di un'inferiorit, bens di una diversit (che in taluni casi pu anche essere su-periorit) della quale dovremo tener conto con la massima attenzione. Per fare un esempio, il fatto che nella tradizione musicale dell'India moderna il sistema delle gamme e l'impiego degli strumenti sia quasi identico a quello delle et pi antiche, che non ci sia stata un'evoluzione contrappuntistica, che non si sia sviluppato

  • un organico orchestrale di tipo wagneriano, non indica "povert", ma soltanto continuit e fedelt all'origine: il prezzo pagato al persistere in una vasta riconoscibilit e comunicabilit sociale della musica. Per la tra-dizione occidentale potrebbe valere il discorso opposto.

    2) Quali tradizioni non occidentali dovremo esaminare? La filosofia, stato detto, nasce dallo stupore di fronte al mondo, e come tale un atteggiamento innato in ogni uomo. Ma al nostro discorso utile esclusi-vamente il considerare quei casi in cui la filosofia diventa una disciplina autonoma, e in quanto "disciplina" pu essere elaborata, ordinata, insegnata e trasmessa. Dobbiamo evitare ogni confusione tra filosofia da un lato e religione, cosmogonia, teologia, mitologia dall'altro. Le aree che ci interessano sono soprattutto l'E-stremo Oriente (Cina, Giappone), l'India, l'Islam, la tradizione ebraica, la quale tuttavia intermedia tra le antiche culture del vicino Oriente e il mondo ellenistico e cristiano. Accanto a queste aree, e non in contra-sto con esse (tanto meno, in un rapporto di eminenza), l'Occidente, al quale per dev'essere riservato di ne-cessit maggiore spazio proprio a causa della sua continua diversificazione nel tempo e delle molteplici forme che esso, in nome dell'evoluzione che gli propria, ha assunto nella storia.

    3) Preliminare ad ogni considerazione parziale sar la definizione dell'essenza che, nelle varie civilt, defini-sce il rapporto tra musica e filosofia, e, prima ancora, sar necessario capire in quali varie forme sia stata di-chiarata l'essenza della musica da un lato, della filosofia dall'altro. Il nostro prossimo intervento sar quindi una ricognizione storica e interculturale in cui tenteremo di dise-gnare una mappa ordinata e il pi possibile esauriente del rapporto musica-filosofia nelle sue varianti e combinazioni, cos come le grandi aree culturali lo hanno intuito e voluto.

    Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.1, gennaio 1990)

    Une coscience musicale est toujours en situation; elle appartient un

    certain milieu, une certaine poque, et se trouve informe par un certaine culture.

    Ernest ANSERMET

    LA MUSICA E LE IMMAGINI DEL MONDO Parte seconda

    Disegnare a grandi linee una mappa delle civilt musicali alla luce del rapporto tra musica e filosofia un nostro impegno che avevamo promesso ai lettori. Apriamo la ricognizione con una frase custodita da Ernest Ansermet fra le mille pagine del suo libro capitale Les fondements de la musique dans la conscience humai-ne, ispirata a ragionevole relativismo storico. Con il suo senso del relativo, la frase non propriamente cla-morosa, il suo rilievo basso e non emoziona. Ma nell'esteso intreccio di pensiero che costituisce l'opera fi-losofico-musicale di Ansermet, essa soltanto un presupposto dialettico alla scoperta del senso universale, non relativo, e persino a priori, presente nella musica. Quando interroghiamo la musica, continua Ansermet, essa ci richiama al suo atto d'esistenza, e poich un atto non pu essere compreso se non partiamo dal suo senso, necessario intuire il rapporto tra la coscienza e il mondo dei suoni. Soltanto il carattere universale di questo significato che dobbiamo attribuire alla musica ci permette di capire la chiave di lettura di un'opera particolare. Questa qualit della musica, che s'impone come un sublime paradosso, rende quest'arte la pi idonea a en-trare in rapporto con la filosofia. Esiste, nella natura dei due linguaggi, quasi uno scambio di ruoli. La filo-sofia un linguaggio universale, e perde i suoi connotati se trae le proprie ragioni da fenomeni definiti nel tempo e nello spazio. La musica anch'essa un linguaggio universale, ma trova la propria universalit sol-tanto nell'opera, o in un frammento, che nel tempo e nello spazio s'individualizza. Esiste per un terreno che permette a musica e filosofia di affiancarsi come due forme di suprema conoscenza del mondo, o addirittura di convergere. Quel terreno la facolt, propria ad entrambe, di rappresentare in termini simbolici le con-nessioni tra le realt che costituiscono il mondo; la simbologia rende inevitabile l'uso delle immagini, le quali non sono il mondo, ma ad esso alludono per analogia. Nella musica, la realt fisica del suono ha signi-ficato perch si articola e si delinea secondo rapporti di pausa e di durata, di simmetria o di asimmetria, di

  • ritmo binario o ternario, regolare o irregolare, di superiorit o inferiorit nella gamma, di prolungamento o di suddivisione, di orizzontalit o di verticalit. Sono tutti criteri che consentono di vedere il mondo sub specie musicae. Nella filosofia, malgrado la necessit di formulazioni rigorosamente astrattive, la stessa terminologia non pu sfuggire alle idee di trascendenza e immanenza, di connessione sillogistica; il rapporto di mimesi che alcune filosofie hanno definito tra il trascendente e l'immanente (per esempio, il platonismo: un rapporto eminentemente "visivo", costruito su immagini) adombrato, nella musica, dai procedimenti d'imitazione (il canone, la fuga), l'angoscioso tema filosofico dell'uno e del molteplice si riflette in chiave analogica nella forma musicale del tema con variazioni. Paradossalmente, risulta anzi che il linguaggio della filosofia pi "visivo" di quello della musica; di conseguenza, le filosofie si sono assunte il compito, soprat-tutto agli esordi delle diverse civilt, di tradurre in immagini la relazione tra la musica e il mondo. Nelle di-verse strategie di pensiero che hanno tentato di definire questo legame il tono, il carattere e lo stile delle diverse civilt nella loro integrale fisionomia. Nella mappa che illustra il nesso filosofia-musica cos come diverse civilt lo hanno interpretato, entrano in gioco tre fondamentali alternative: la prima in relazione con l'idea a priori e con il principio di causalit, la seconda con l'analisi del linguaggio, la terza con la dialettica soggetto-oggetto.

    1) La questione dell'assoluto a priori metafisico e della catena causale si presta all'alternativa: - (a) Il mondo il modello della musica, l'exemplar secondo le cui forme essa si genera e prende forma; il mondo crea la musica ed creato dalla musica. - (b) La musica, all'inverso, il modello del mondo, l'archetipo di cui l'universo imitazione; la musica crea il mondo, o almeno la sua esistenza precede il mondo.

    2) Nella visione, sia essa mitica o prescientifica o scientifica, della struttura che regge le cose, due tendenze opposte si alternano o si escludono: - (a) E' possibile riconoscere caratteri formali comuni, quasi un comune scheletro portante, nella musica e nella realt universale. - (b) Non esiste alcun carattere comune; anzi, strutturalmente la musica e l'universo sono l'una la negazione dell'altro, sicch la musica rappresenta una ra~ dicale antitesi nei confronti del mondo.

    3) Il grande tema della possibile coincidenza tra pensiero ed essere, della soggettivit come possibile spec-chio della realt cosiddetta oggettiva, divenuto drammatico e destabilizzante con la "rivoluzione copernica-na" di Kant, in verit presente, con il suo potenziale angoscioso, in diverse epoche e in diverse aree cultu-rali del pensiero filosofico. In un'accezione che sembra particolare e persino marginale agli occhi del "reali-smo ingenuo" dominante nella prima Scolastica, ma che si rivela essenziale e addirittura riassuntiva dell'in-tera relazione soggetto-oggetto nelle sue molteplici varianti, il problema in sostanza se il linguaggio sia unicamente lo strumento conoscitivo che ci consente di decifrare la realt, inesorabilmente intesa come "al-tro", oppure se non sia esso stesso la realt. Nella filosofia occidentale, cui ci riferiamo non perch pi im-portante ma perch a noi pi immediatamente nota, la terribile questione aperta scandalosamente dalla so-fistica, adombrata dai nominalisti medievali, tende le sue reti insidiose a insospettabili filosofi di ortodossa tradizione cristiana (Anselmo d'Aosta e la sua prova "ontologica" dell'esistenza di Dio), si fa acuta e insana-bile, come sappiamo, nella dialettica trascendentale di Kant, dilaga irrefrenabile nel pensiero neopositivisti-co di Carnap, di Gdel e di Wittgenstein come nella pi recente indagine analitica di Foucault. La musica per essenza un linguaggio, e quindi entra nel gioco; fra le varianti interpretative, esiste quella secondo cui la musica non un linguaggio, ma il linguaggio conoscitivo per eccellenza. Si delineano cos due alternative fondamentali: - (a) La musica oggetto di conoscenza metafisica, oppure, all'inverso, conoscenza ausiliaria e rivelatrice. - (b) La musica non n oggetto n strumento di ausilio al sapere filosofico, ma essa stessa filosofia: una sapienza suprema, che tutto risolve in s. Nel rapporto musica-filosofia emergono cos, in tre coppie di alternative, sei indirizzi fondamentali. In mo-do decisivo, segnando ciascuno una direzione che incide un segno incancellabile nelle diverse tradizioni e scuole di pensiero, essi collocano la musica in un ruolo centrale all'interno dello sforzo con cui le filosofie costruiscono ciascuna la propria visione del mondo o Weltanschauung. La nostra elementare analisi ha l'in-tento di mostrare come i sei indirizzi, variamente combinati, finiscano per aggregarsi in una serie di formule pi complesse attraverso cui possibile riconoscere le particolari vocazioni che hanno sospinto le diverse civilt verso una definizione del rapporto musica-filosofia, sul rischioso terreno dell'immagine del mondo

  • cos come il pensiero filosofico tende a disegnarla. Il nostro schematismo deliberato e vuol essere un'ipo-tesi classificatoria iniziale. La formula combinatoria individua fedelmente, crediamo, le grandi manifesta-zioni storiche della filosofia, nel tempo e nello spazio, ma le varianti, le sottovarianti e le sfumature sono in-numerevoli. Prima del nostro tentativo di classificazione, s'impone un'ultima premessa, che richiama al no-stro intervento precedente. Esaminare la filosofia occidentale, nel suo arco storico, a fianco delle grandi tra-dizioni filosofiche nate in altre aree di civilt, significa paragonare termini eterogenei. Le filosofie orientali hanno nella storia uno sviluppo di debole rilievo; la loro sostanziale uniformit nel tempo il prezzo pagato alla persistente forza delle loro premesse tradizionali, che hanno continuato a incidere nelle cose, nelle isti-tuzioni pubbliche e nel modo di vivere, con un mordente ormai non familiare all'Occidente, dove la pi ac-centuata tendenza alla libert della filosofia e delle arti, alla democrazia autentica, coincide con il "pensiero debole". Un esame diacronico di quelle civilt filosofiche ce le rivela analoghe, per quanto riguarda la loro omogeneit e persistenza se non sotto altri aspetti, a ci che la Scolastica medievale fu nell'Occidente cri-stiano, ma certo esse non potrebbero essere pi lontane dalla ricchezza di posizioni autonome, articolate e spesso autentiche presenti nell'antico pensiero ellenico come nella filosofia europea dell'era moderna. La circostanza ineludibile ci suggerisce, nella mappa che segue, di considerare anche l'Occidente filosofico nel-la sua vocazione di fondo, nei suoi inizi, e piuttosto come tradizione che non come storia. Nella cultura filosofica dell'India classica, nata a fianco della letteratura religiosa induista, la musica non soltanto il modello del mondo: ne la creatrice, o piuttosto lo strumento di cui Brahma si serve per trarre il mondo dalla non esistenza. Nulla tuttavia, in quella tradizione, lascia intendere che la musica sia essa stessa oggetto di creazione nel senso ebraico-cristiano: essa preesistente ab aeterno. Ma se il mondo inizial-mente modellato secondo archetipi musicali, questa fase aurorale cede il posto a un allontanamento progres-sivo dell'universo creato dalla sua fonte generatrice. La musica il Bene e la Verit, mentre il mondo ne l'antitesi, ed quindi il Male. La via alla salvezza consiste essenzialmente nel negare il mondo, tendendo a-sceticamente alla condizione premondana, oggetto di speculazione metafisica: la pura musica preesistente. Il totale straniamento del mondo dalla musica originaria rende impossibile l'attribuire alla musica una funzione di sapienza interprete delle cose e dei loro nessi; nulla di simile alla sofia ellenica. Filosofia il tendere del mondo a riconfluire nella musica, ma non pu essere la musica stessa (formula 1-b/2-b/3-a [=0]). A proposi-to dell'alternativa (3-a), da noi data come uguale a zero, conviene osservare che nella civilt filosofica del-l'India classica la musica , come si indicava nella precedente distinzione analitica posta a premessa di que-sta classificazione, oggetto di conoscenza metafisica, ma soltanto nel senso che la "conoscenza di una non conoscenza del mondo". Nelle civilt dell'Estremo Oriente, e in particolare nella cultura cinese classica lucidamente analizzata in Occidente, nella sua filosofia, da Marcel Granet, e nella sua musica da Maurice Courant e Alain Danilou, non ha alcuna evidenza l'idea di creazione in senso ontologico, e tanto meno in una prospettiva trascendente. La musica non il modello del mondo, ma si modella su di esso secondo principi universali, che riproduco-no, anche in vista di una minuziosa educazione estetica da cui dipende (a un livello inferiore) l'educazione etica, le strutture e i nessi universali. Non soltanto esistono, tra la musica e il mondo, precisi caratteri comu-ni, oggetto di attenta analisi da parte dei teorici, ma in generale tutta la simbologia della musica e delle arti (altezza del suono, colore, sapore, modo musicale secondo cui intonare gli strumenti, foggia degli abiti, pun-ti cardinali cui orientarsi, ciclo stagionale, animali e vegetali) viene classificata secondo un'immensa tavola sinottica di corrispondenze e analogie. Le varie simbologie dividono l'universo in settori intellettuali: la mu-sica un settore della sapienza suprema, ma non la filosofia, anche se in una fase della cultura cinese clas-sica, che osserveremo da vicino in un prossimo intervento, essa aspir a tale funzione (formula 1-a/2-a/3-a). Nella civilt dell'antico Egitto, il mondo creato da un dio mediante una risata intonata su sette note musi-cali: la musica, come appare da questo mito filosofico-matematico costantemente ripetuto nel Libro dei Morti, non quindi la creatrice del mondo, ma ne uno dei possibili modelli. La rarit di testi il cui senso possa convergere con questa sorta di cosmogonia musicale rende incerto il carattere universale del nostro giudizio. Ma la civilt egizia, negativa e antivitalistica, d alla sfera notturna e funebre una centralit che e-sclude la connessione strutturale tra le cose votate alla dissoluzione, le cui radici sono sprofondate nel miste-ro: soltanto la musica svela, in un atto di fede prossima all'autoannientamento dell'intelletto, l'ordine in cui collocare le essenze arcane, dalle viscere contenute nel canopo agli ideogrammi magici e salvifici. La musi-ca, che nella civilt egizia occupa un posto pi ampio a paragone con le altre culture dell'antico Oriente, cos anche la sintesi della sapienza suprema, in cui magia, medicina e scienza della scrittura confluiscono e si annodano (formula 1-b/2-b/3-b). Altissimo ruolo assegnato alla musica, forse il pi alto fra le diverse grandi tradizioni; tenebrosa Weltanschauung.

  • P luminosa, ma certo meno emozionante, l'immagine del mondo e del legame tra musica e filosofia in una tradizione che ci pi familiare, quella ebraica, ma in un settore percorso abitualmente non tanto dai credenti ortodossi quanto dagli specialisti di studi storico-filosofici. Si tratta, infatti, della prima vera scuola filosofica fiorita nella cultura ebraica sul terreno della rivelazione biblica, quella dell'ebreo ellenizzato Filo-ne di Alessandria (tra il I secolo a.C. e il I d.C.). Malgrado il vigoroso innesto del platonismo (Filone fu il "Platone giudaico", come lo definirono i Padri della Chiesa orientale), la radice ebraica conserva la sua forza determinante. Nella analisi allegorica che Filone fa della Bibbia, Dio crea il mondo usando la struttura della scala musicale dorica come modello, o "cartone" per il grande affresco, e ci spiegherebbe la perfezione di quel "buon lavoro" dopo il quale Dio, il settimo giorno, si ripos. Ci spiega anche i caratteri formali comu-ni alla struttura delle scale musicali e all'ordine dell'universo. Tuttavia, Filone attribuisce alla musica, in quanto arte umana, un carattere educativo, o di decorativo allietamento della vita: il pregiudizio moralistico e antiedonistico, tipico delle grandi tradizioni legate a una religione monoteistica, lascia il segno indelebile (formula 1-b/2-a/3-a). La civilt islamica quella che, almeno in una precisa e delimitata fase storica, meno si allontana in termini filosofici della vivacit e rapidit di sviluppo della filosofia occidentale. Dopo il X secolo, il fiorire di molte eresie in campo religioso favor anche la nascita di scuole filosofiche diverse tra loro, e assai poco eterodos-se. Ma se vogliamo limitarci al tronco centrale del pensiero filosofico, che nel mondo islamico si proclam come una via alla sapienza universale (all'ombra del Corano) tra il trionfo di Muhamad e la fine della dina-stia abbasside (cio tra il VII e il X secolo), siamo colpiti da un paradosso apparente. In tutti i settori della societ islamica, in quel periodo aureo, e a tutti i livelli, la musica la privilegiata fra le arti: ricchezza di me o e, grande numero di musici compositori cui la tradizione letteraria attribuisce fama e agiatezza, alta consi-derazione in cui i professionisti di musica sono tenuti, variet di strumenti musicali molto elaborati. A fronte di quel mondo di delizie sonore, una filosofia dominante che assegna un ruolo decisamente umile alla musi-ca: un mezzo di devozione, un'utile e dilettevole pedagogia, o una maniera raffinata di arricchire i piaceri dei sensi (e quali piaceri!). Nella cultura islamica, fatta eccezione per una celebre setta ereticale del Khora-san, la musica non mai un elemento archetipico dell'universo, n la chiave per decifrare, in nome di linee strutturali comuni e universali, i segreti delle cose; non ha una parte decisiva nella magia: non mai assunta al livello di linguaggio assoluto e di sapienza suprema (formula 1-a/2-0/3-0). Nella tradizione filosofica gre-co-ellenistica, che l'asse centrale della nostra eredit, esiste gi quella caratteristica dello spirito occidenta-le che la variet di orientamenti e la sostanziale laicit del pensiero. Sotto questo aspetto, come vedremo in successivi interventi, il legame tra musica e filosofia diverso in Platone e nel suo immediato discepolo A-ristotele. La natura filosofica e sapienziale della musica privilegiata lungo il segreto filo di pensiero che collega i pitagorici delle prime scuole al Platone, appunto, "pitagorico" (quello della Politeia e del Menone), ad alcune sette gnostiche del III e IV secolo d.C. Qui la visione del mondo tale da innalzare la musica a somma realt metafisica, universale ed eterna, di cui il mondo ombra e mimesi: i rapporti tra i suoni sono archetipi delle cose, la cui struttura su essi modellata, e la musica rivelazione delle cose ultime (formula 1-b/2-a/3-b). La classificazione ha posto volutamente in ombra la dimensione diacronica, la quale, una volta illuminata in pieno, rivelerebbe come tra le diverse tradizioni sono esistite in alcune fasi storiche ora coincidenze, ora di-vergenze graduali da radici comuni, ora confluenze e sincretismi. Anche per esaminare pi da vicino questi dettagli, tratteremo, nel nostro prossimo intervento, il rapporto musica-filosofia nell'ambito di tre tradizioni orientali poste a occidente, al centro e a oriente della "fertile mezzaluna": l'antico Egitto, il mondo ebraico, l'India classica.

    Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.2, febbraio 1990)

    Gli di, temendo la morte, si rifugiarono nei metri della poesia. Ma anche l li rintracci la morte.

    Allora gli di si rifugiarono nel suono, e il suono primordiale la sillaba OM, l'immortale e senza paura.

    Chandogya Upanishad, I, 4, 1-3

  • MUSICA E FILOSOFIA NELLE VISIONI ORIGINARIE DEL MONDO Parte terza

    Nella ricerca del nesso musica-filosofia, assumiamo come centro di una prima descrizione l'area di civilt che, da occidente ad oriente, abbraccia l'antico Egitto, l'ebraismo dai primi scritti biblici alla diaspora, l'India classica. La cornice pu sembrare arbitraria, e in parte lo . Tra l'Egitto, la Palestina e la Mesopotamia esiste una continuit geografica, e persino etnica; l'India costituisce un altro spazio terreno, e le montagne pi alte del pianeta sono la linea di separazione. Eppure, la tentazione di osservare insieme quei territori forte, n mancano ragioni a darle conforto. L'Egitto da un lato, l'India dall'altro sono i limiti intellettuali e psicologici del mondo antico secondo la visione occidentale, e all'interno di quei limiti furono possibili sguardi conver-genti, nozioni precise e occasioni d'incontro: greci e romani conoscevano l'India, Alessandro di Macedonia la raggiunse e il suo nome deformato percorse il subcontinente indiano come quello di un minaccioso d-mone. Anche oggi ne restano tracce. Al di l dell'India cominciava davvero un mondo favoloso e quasi irre-ale, della cui esistenza molti dubitavano. All'inverso, a occidente dell'Egitto la civilt ellenistico-latina ve-deva terre la cui fase antica era poco interessante barbarie, e la cui esistenza reale s'identificava soltanto con la pi tarda civilizzazione attuata da greci e romani. Tutto questo consente una visione d'insieme, e non mancano altre immagini unificanti. Una soprattutto appartiene a eventi successivi: l'area dal confine occi-dentale dell'Egitto al limite orientale dell'India divenuta nel tempo il centro geografico della cultura isla-mica, chiuso entro due ali estreme, l'Africa settentrionale a ovest del Nilo e l'Asia sud-orientale a est del Bengala fino all'Indonesia. Cos riusciamo ad avere la visione tutt'altro che omogenea ma almeno tale da ca-dere tutta insieme entro il cerchio della nostra lente. Esistono, al di l dello schema geografico, qualit co-muni ai tre luoghi di civilt. La valle del Libro dei morti, la terra della Bibbiae la penisola consacrata dalla tradizione dei Veda fondarono tutte e tre una musica di prim'ordine e di prim'ordine fu il ruolo che la musica ebbe nelle tre culture. In tutte e tre si svilupp un pensiero "forte" come visione del mondo, con un fonda-mento metafisico. Le difficolt irrompono quando osserviamo le diversit, non tanto quelle che esistono in s e che per noi non facile individuare oggettivamente, quanto le diversit che appaiono a noi attraverso il diaframma del tempo e delle memorie nascoste. Sulla musica dell'antico Egitto la nostra conoscenza si ridu-ce a pochi frammenti, anche se il mistero si schiude in vividi lampi. L'antica musica ebraica dovrebbe esser-ci pi nota poich ad essa ci lega una tradizione intrecciata con la musica d'Occidente, ma proprio la media-zione ininterrotta deformante. Abbiamo ampie e organiche notizie, invece, sul sistema musicale dell'India classica. Quanto al pensiero " forte" e altamente metafisico che nacque in varie forme nelle tre aree, esso d prove antichissime e straordinarie nella valle del Nilo, ma la sua decifrazione resa ardua dal linguaggio mitico che di quel pensiero insieme la forza e il velame. Il popolo della Bibbia mostra un'irresistibile vo-cazione al filosofare, ma la sua tradizione antica, davidica, salomonica e profetica sente il peso del linguag-gio teologico che insiste sulla rivelazione divina e occulta in gran parte il vero nucleo filosofico; parados-salmente, quel nucleo viene alla luce nel momento in cui la tradizione biblica incontra la filosofia ellenisti-ca, di tradizione platonica e stoica, e con essa avvia un processo di fusione: il cui maestro il giudeo elle-nizzato Filone d'Alessandria. In questo caso, gli epigoni ci spiegano meglio la natura delle prime fonti, e l'eccezione che l'ebraismo rappresenta nella storia della filosofia addirittura confermata dagli esiti ulteriori: il talento filosofico di quell'anima e di quella cultura raggiunge il vertice nell'epoca moderna e secolarizzata, da Baruch Spinoza a Martiri Buber a Harmah Arendt. L'India classica, a sua volta (ecco un'altra diversit che colpisce), al di fuori dell'Occidente il terreno che pi di ogni altro ha prodotto una filosofia vasta, or-ganica e autonoma rispetto al mito e alla cosmogonia (la variante egizia) e rispetto alla teologia e all'etica (la variante ebraica): quindi, l'unico terreno di cultura in cui la parola "filosofia" abbia il significato di specula-zione assoluta proprio della civilt ellenica, e, in prospettiva, dell'intera civilt occidentale. Chi cerchi un "pensiero speculativo" nei documenti dell'antico Egitto (e per molti aspetti, in quelli dell'antica Mesopota-mia) difficilmente trover nelle fonti scritte un "pensiero" in senso stretto. Pochi passi mostrano la disciplina e la forza raziocinante che siamo soliti associare alla filosofia come in Occidente la intendiamo. Nell'antico Medio Oriente, il pensiero ammantato di immagini, e potremmo considerarlo contaminato dalla fantasia. Tuttavia, la differenza si attenua se ricordiamo che le origini del pensiero ellenico furono anch'esse intuitive, immediate e imaginistiche, pi vicine alla poesia che alla scienza, e che proprio in Occidente l'ultima fase, reagendo a secoli di filosofia sistematica e rigorosamente logica, si orientata verso una editazione assai pi vissuta che non o oggettiva sul "s" dell'uomo (Kierkegaard, Nietzsche, Bergson, Sartre, Husserl, Heideg-ger). La differenza fondamentale tra l'atteggiamento filosofico moderno e quello antico e mitico la seguente: per

  • l'uomo moderno dell'Occidente "scientifico" il mondo fenomenico in primo luogo un quid; per l'antico e-gizio un "Tu". Questo cancella la rigorosa distinzione tra soggetto e oggetto: durante le alluvioni, il fiume non rifluisce perch "si rifiuta" di rifluire, e l'uomo costretto a identificarsi con le sue acque per capire le ragioni del rifiuto. Per l'antico egizio, filosofia era essenzialmente trovare le vie per legarsi alla natura nel contesto delle sue misteriose relazioni, all'universo nella sua totalit. I simboli illustri presenti nella scrittura geroglifica, che tutt'uno con l'iconografia egizia, non sono segni, ma realt attive. La notissima croce ansa-ta o ankh (ankh significa "vita" o "vivere" o "vivente" cara una ventina d'anni fa agli hippies che la ostenta-vano al collo manifestando velleit di primitivismo e di originariet contro l'oggettivismo della tradizione occidentale, non era, per l'abitante dell'antico Egitto, un segno: era realt e sovrappi di forza vitale. Per lui, disegnare la croce ankh su una parete o scriverla su un papiro, non era "indicare" un concetto ma "essere" quel concetto. Era l'intensificare la propria vita, magari un garantire meglio la propria speranza d'immortali-t. Era, quindi, un modo di fare della filosofia. Ora, fra i simboli fondamentali dell'antico Egitto c' l'udjat, parola che significa "occhio del suono". Per collocare l'udjat (sormontata da un vigoroso sopracciglio, l'im-magine quella di un occhio sagomato a testa di falco con un'iride rossa e una grossa pupilla; dalla palpebra inferiore si dirama il ricciolo della corona faraonica) nel suo ruolo metafisico, siamo costretti in prima lettu-ra a riconoscerne il mito. Seth, il dio del male, strappa un occhio a Horus, il dio-falco, il quale, privo del suo organo essenziale, cade in pezzi. Thot, che vuole restituire Horus alla vita, ne ricompone le membra, ma l'o-pera inutile finch non sar ritrovato l'occhio. Thot lo cerca pazientemente, e gi dispera di trovarlo, quan-do colpito da una musica misteriosa la cui fonte irrintracciabile. Si accorge alla fine, guidato dal suono verso la sua origine, che la musica proviene dall'occhio, anzi, l'occhio. Meglio: l'occhio di Horus la fonte di tutta la musica esistente sulla terra. Thot raccoglie il prezioso organo, lo reinserisce nel corpo di Horus, il quale riprende a vivere. Disincarnando l'apologo dal suo rivestimento mitico, otteniamo una formula illumi-nante. Tutta la realt vivente, nel pensiero dell'antico Egitto, ma la musica l'essenza segreta e intima del reale. Quando la musica "al suo oosto naturale", cio insita nell'essere vivente, non riusciamo a udirla, proprio perch essa l dove dev'essere e l'armonia assoluta che essa garantisce fa s che il suono non sia posto in evidenza. La musica che pu essere ascoltata, la musica-suono, quella sottratta all'organismo vi-vente e diffusa nel mondo. Di conseguenza, la musica segno di trauma, di crisi e di provvisorio disordine, di eccitazione in cui lo spirito esce da se stesso, o addirittura di morte. Questo sottolinea le due funzioni primarie della pratica musicale nell'antico Egitto, la festa sfrenata e il rito funebre. Ma poich, in quella strana civilt che privilegiava la necropoli rispetto alla citt dei vivi (posta la prima a occidente, la seconda a oriente del corso del Nilo; ma il palazzo del faraone, il sovrano-dio, era al centro della necropoli), il rito fu-nebre era il momento in cui pi si affermava il richiamo alla vita e ai mezzi per goderla in pieno, la musica aveva il compito di ricordare continuamente l'esistenza del piano spirituale: era una specie di vita isolata in vitro. Un altro insegnamento che riceviamo dall'udjat rappresenta una delle caratteristiche pi tipiche del-l'antica civilt egizia, e che a noi appaiono pi strane: l'occhio-suono rivendica alla musica-vita una facolt visiva. La musica, nascosta nell'essere vivente e perci inudibile, nel vivente la parte che "vede" ne conse-gue una filosofica identificazione della musica con la visione. Un altro mito, importantissimo per il suo tema ma per noi moderni, a causa delle fonti poco decifrabili, e-nigmatico, quello che descrive l'origine del mondo. Come nasce il mondo dal nulla? Che cosa esiste, se e-siste, prima del mondo? Fra le molte e svariate narrazioni mitiche, la prevalente e per molte generazioni in-vestita di un ruolo ufficiale nell'Egitto faraonico quella che ancora una volta si riferisce al dio Thot. Essa rientra nell'archetipo, comune a molte cosmogonie, secondo cui tutto ha avuto inizio con la Parola. Il ri-chiamo a qualcosa di vicino a noi, di "nostro", immediato: in principio erat Verbum. Se spogliamo la for-mula delle sue connotazioni teologiche, il significato puramente filosofico sopravvive e anzi emerge. Il con-cetto di Parola rende per soltanto parzialmente il senso originario, poich, come osserva Marius Schneider, qui si tratta di qualcosa che geneticamente precede qualsiasi parola determinata e qualsiasi concetto logico. Qui si tratta di qualcosa di primario e di sovraconcettuale, indefinibile per il pensiero logico. Gli egizi, allu-dendo a questo elemento primigenio, parlavano di un "grido" o di una "risata" del dio Thot, e in alcune fonti si lascia intendere velatamente che lo scoppio di risa era stato intonato musicalmente, anche secondo diversi suoni. Prendendo alla lettera queste allusioni, si pu indurre che gli egizi immaginassero un'origine del mondo prodotta dalla musica, o dal primo nucleo di essa. Un'importante pagina del Libro dei morti offre maggiori dettagli sulla nascita musicale dell'universo e sull'azione creatrice di Thot. Il dio crea il mondo bat-tendo le mani e accompagnando con questo battito di gioia (modello di ogni strumento a percussione) i suoi scoppi di risa (modelli, forse, del suono dell'arpa), i quali sono in magica successione numerica: sono sette, in toni crescenti. Dalle sette risate nascono altrettante realt, divinizzate dagli egizi: la terra, il destino, la

  • giustizia, l'anima, il giorno, la notte, l'intelletto. "Vedendo tutto ci, il dio fu colpito da stupore, come dinan-zi a un nuovo essere pi potente di lui, e abbassando il suo sguardo verso la terra profer tre note musicali: IAO. Allora il dio che padre di tutte le cose nacque dall'eco di quei tre suoni". IAO: la successione dei tre suoni discendente, dall'acuto I all'intermedio A al pi grave O. In tal modo, si disegna un moto contrario a quello ascendente dei sette scoppi di risa. Nelle istruzioni al Thot Tarot Deck, il terrificante mazzo di tarocchi da lui stesso dipinto e ispirato alla tradizione di Ermes Trismegistos (e quindi, alla lontana, all'esoterismo dell'antico Egitto), il satanista Aleister Crowley invit gli adepti, sessant'anni fa, a iniziare il rito cartomantico recitando le magiche vocali IAO. Esaminando il mito di Thot artefice dell'uni-verso, e svestendolo ancora una volta della sua simbologia immaginistica s da ridurlo per quanto possibile a un nucleo concettuale, osserviamo come la musica racchiuda interamente il mondo come entit creata, an-ticipandolo e concludendolo: i moti contrari delle serie di suoni sottolineano la simmetria. Sopravvive un e-nigma: se Thot crea, chi il dio padre di tutte le cose cui si allude allu fine? Unpotesi che egli sia Ptah (l'"immenso Fta" di Aida) e si dovrebbe ammettere in tal caso che il dio padre sia a sua volta oggetto di cre-azione da parte di Thot. L'incongruenza non sarebbe incontrasto con la mentalit pre-logica della cultura e-gizia. L'altra ipotesi che il dio sia di nuovo lo stesso Thot, il quale, secondo una concezione speculare (an-ch'essa non estranea a quella cultura), creerebbe se stesso. In termini non metaforici: la musica creerebbe se stessa. Un esito teorico si rivela comunque: il mondo e l'uomo, essendo fatti dalla musica, sono fatti di mu-sica, di essa materiati, e mediante la musica in atto nelle occasioni terrene e quotidiane gli uomini imitano la divinit e rinnovano l'atto della creazione. Il numero sette, nella successione delle risate musicali di Thot, tale da indurre suggestioni fin troppo facili, quando si parli di musica. In realt, il sette degli egizi, come il sabaoth ebraico (il "settenario", struttura ar-chetipica dell'universo), un modello simbolico e mistico, ideogramma numerico della perfezione. Come illustr, per primo in Occidente, Antoine Court de Gbelin (Le monde primitif, analys et compar avec le monde moderne, Boudet, Paris 1775-1784) l'uso simbolico di quel numero discende dalla "formula del set-te" applicata dagli egizi alla musica come all'astronomia, all'alchimia come al calendario. Da quel poco che risulta alle nostre conoscenze, il sistema musicale in uso nell'antico Egitto non accoglieva scale di sette suo-ni. Le ricerche archeologiche hanno posto nelle nostre mani alcuni strumenti aerofoni, ma i tentativi d'indi-viduare i suoni che essi potevano emettere danno risultati incerti. Osservando la posizione delle dita sulle corde delle arpe egizie, cos come c'e la presentano le sculture e le pitture murali o papiracee, Curt Sachs ha supposto un'accordatura pentatonica. Ci sarebbe in armonia con un passo delle Antichit giudaiche di Fla-vio Giuseppe, il quale chiama l'arpa egizia organ on trigonon enarmonion, ci che suggerirebbe una scala pentatonica senza semitoni. D'altra parte, la musica suonata in Egitto ma importata dall'Asia faceva uso di brevissimi intervalli, compreso il quarto di tono (ancora secondo Curt Sachs, Die Tonkunst der alten Ae-gypter, in "Archiv fr Musikforschung", 11/ 1920, 9). Soltanto un dilettante spericolato o un battistrada sca-picollato oserebbe istituire un rapporto "filosofico" tra la meditazione dell'alta cultura egizia sull'origine del mondo e un sistema musicale, tra l'altro incerto nella sua vera realt ai nostri occhi di uomini moderni. Ma se la scala per toni interi corrispondeva davvero a una vocazione dell'anima nazionale e dell'etnia, potremmo persino interpretarla come l'elemento di un linguaggio non interiorizzato, animoso nel volgersi verso l'altro e nel farlo proprio, disposto ad abbracciare il reale in una musica-visione, in un suono-occhio. La stessa lingua egizia, quale ci viene incontro dalle scritture geroglifiche, sottolinea il ruolo primario che l'arte musicale aveva nell'antica valle del Nilo. In un idioma monosillabico-agglutinante, i puri monosillabi sono gli elementi originari e primari, le fonti del pensiero e della parola. Tali sono tutti i termini principali riferiti all'arte dei suoni; hy (musica), henw (canto), teh (suonare). Agli oggetti primari, connessi con l'inizio delle cose, va attribuita una semantica soltanto in parte svelata: la zona di mistero persiste intatta. L'origine della musica misteriosa come l'origine della filosofia. Il cono d'ombra che le nasconde forse un fascio di luce troppo accecante, e su ci che al di l dello schermo o della cortina di nubi (o sulle insondabili profondit sotterranee, secondo una diversa prospettiva) pu aprirsi con dovizia una discussione. Non dissimili arcani gravano sulle origini del pensiero, della scrittura e della musica nell'aurorale cultura ebraica. Ci oscuro se sia esistita una riflessa e speculativa distinzione intellet-tuale tra i due strumenti musicale che nell'antica terra d'Israel rappresentarono una polarit, il corno d'ariete (sofar), guerresco, aggressivo e demoniaco nelle sue risonanze soprannaturali, e la nobile lira (kinnor) com-pagna della meditazione e ispiratrice di saggezza. Analoga la nostra incertezza sulla natura propriamente filosofica del pensiero diffuso nelle Scritture storiche, didascaliche e profetiche della Torah. E' difficile de-finire "metafisica" l'immensa meditazione biblica; essa discende spesso dal livello metafisico a quello etico (ed il suo lato pi sgradevole) oppure si libra verso una zona superiore al pensiero stesso, inabissandosi in

  • un "Tu" impenetrabile e confondendosi con la formulazione teologica, Nella Bibbia, Dio troppo presente perch una vera filosofia dell'uomo non ne esca soffocata. Perch si possa parlare di filosofia dovremmo ri-conoscere un linguaggio propriamente logico e astrattivo nella speculazione sulle realt supreme, e invece il piano logico, nella Bibbia, si dissocia da quelle realt e slitta in basso, l dove meno ne sentiamo l'urgenza: nella morale, che ne risulta coartata e irrigidita e diventa facilmente odioso moralismo. Soprattutto la ses-suofobia, nella Bibbia non ancora onnipresente come nel cristianesimo paolino o nel cattolicismo posttriden-tino ma gi proterva, rende la morale biblica lontanissima dal solare costume egizio in materia sessuale: so-lare, stranamente, forse soltanto sotto quell'aspetto, nel contesto di una simbologia essenzialmente funeraria. Eppure, l'invisibile filosofia della cultura biblica latente, e il suo talento forte. Ce ne accorgiamo sco-prendo la novit che l'antico Israel, unico fra le civilt dell'era precristiana nell'area mediterranea, aggiunse al dominio della filosofia: la meditazione sulla storia, sull'attesa degli eventi. L'Ellade e l'Egitto faraonico erano mondi privi d'interesse per l'interpretazione storica della realt, culturalmente inadatti a storicizzare i concetti; fu invece questo il talento dei profeti biblici, ma anche gli autori del Pentateuco e dell'Ecclesiaste ne diedero prova. Il tempo, elemento irrazionale e non concettuale per la maggior parte degli intellettuali el-lenici ed ellenistici, diventa chiave precisa di lettura e strumento di verit nelle pagine della Bibbia. La stes-sa creazione, che in altre cosmogonie un semplice atto, nel Genesi si configura come un "periodo" con le sue scansioni. Pochi secoli dopo la composizione del Pentateuco, nei libri profetici, i giorni della creazione gi suggeriscono un'interpretazione allegorica, e tendono a rivelarsi come "epoche" la cui successione ra-zionale, sorretta da una logica che ha sentore di filosofca modernit. L'analisi secondo allegoria un pro-getto compiuto nel momento in cui storicamente possibile la fusione culturale tra la sapienza della Torah e il logos platonico, e ci avviene nell'opera di Filone d'Alessandria, massimo rappresentante della filosofia ellenistico-giudaica, nato nella metropoli dell'Egitto greco-romano tra il 30 e il 20 a.C., morto verso il 40 d.C. poco dopo avere guidato una sfortunata ambasceria di ebrei alessandrini a Roma per invocare da Cali-gola una pofitica pi umana verso l'etnia giudaica, e considerato il "Platone ebraico" dagli intellettuali suoi contemporanei. Ebbene, proprio quando la rivelazione mosaica viene illuminata dalla razionalit del logos, l'oggetto privilegiato di quell'operazione il nesso tra la creazione e la musica. Il passo di cui parliamo nel grande trattato filoniano De opificio mundi, 45-52. La creazione non soltanto "buona", connotato etico che Filone non accentua troppo, ma soprattutto tecnicamente perfetta. Perfetta come che cosa? Adottando un termine di paragone, il filosofo ricorre a un'analogia musicale, lasciando in-tendere che la musica il paradigma di ogni perfezione: argomento squisitamente platonico, ma applicato a un concetto, la creazione dal nulla, estraneo a Platone, e tipicamente ebraico. L'osservazione rivelatrice si riferisce, nel commento filoniano del testo biblico, al quarto giorno della creazione. "Il quarto giorno, dopo avere creato la terra, Dio fece il cielo, dandogli ordine e bellezza come un auriga alle redini, come un pilota afferrato al timone. Egli guida tutte le cose nella direzione da lui voluta, secondo legge e giustizia, non a-vendo bisogno di altro: tutto infatti possibile a Dio. Il cielo, creato il quarto giorno, fu ordinato a sua volta secondo quel numero perfetto, il quattro, che contiene i rapporti numerici delle consonanze musicali: gli in-tervalli di quarta, di quinta, di ottava, di doppia ottava. Nell'intervallo di quarta, il rapporto di 1 1/3:1 (4:3), e quindi l'intervallo di quarta contiene altri due numeri perfetti, l'idea di 3 e l'idea di 7. Il 4, radice dell'inter-vallo di quarta, il punto di partenza dei quattro elementi e delle quattro stagioni". Temi di tradizione pita-gorico-platonica, intimamente fusi con il racconto biblico; e pi avanti (De op. m., 70) Filone fa propria l'i-dea platonica di un universo di sfere che produce "leggi di musica perfetta" (mousiks telias nmous). Fino a questo punto, la ricerca di legami organici tra pensiero filosofico e pensiero musicale ci ha concesso soltanto lampi che solcano zone oscure. Il panorama che ci offre l'India classica , al contrario, vasto e mae-stoso. La filosofia indiana, come ha scritto cinquant'anni fa lo studioso singalese Ananda Kentish Coomara-swami (1877-1947) in Am I My Brother's Keeper?, l'unica filosofia che si proponga come pensiero ecu-menico, capace di accogliere in s le filosofie di tutte le altre civilt, cos come, su un altro piano, la religio-ne islamica vanta se stessa come la pi ecumenica fra le tradizioni religiose. Ugualmente ampio e onnicom-prensivo l'apparato strumentale e il sistema musicale. In particolare, il celebre liuto a manico lungo, il si-tar, con le sue 7 corde di cui 5 per la melodia e 2 per il ritmo sembra alludere contemporaneamente all'uso di scale pentafoniche, alla maniera dell'estremo Oriente, e a scale eptafoniche come le nostre. Pi vicino al-l'Occidente il fondamento della teoria musicale. Gli svara ("suoni intonati") sono 7: shadja (Sa), rishaba (Ri), gandhara (Ga), madhyama (Ma), panchama (Pa), dhaivata (Dha), nishada (Ni). Nella tradizione, la teoria musicale indiana si fonda su tre scale (grama) fondamentali, che prendono il nome dalla nota iniziale: sagrama, magrama e gagrama. Poich nella sagrama la successione delle note corrisponde, sia pure ap-prossimativamente (gli svara non hanno un'altezza assoluta), alla nostra scala diatonica di do maggiore, ne

  • risulta che nella magrama e nella gagrama gli intervalli (shruti) si combinano in modi diversi, un po' come avviene nelle scale discendenti dell'antica musica greca o nei modi ascendendi del medioevo cristiano. Inol-tre, poich le 7 note della gamma subiscono alterazioni mediante diesis (tivra) o bemolle (komal), si creano diversi "modi" (raga). Ogni grama e ogni raga hanno una loro connotazione etica o estetica, relativa a ten-sioni dell'animo e a disposizioni intellettuali. La gagrama, per esempio, la "scala celeste". Il significato filosofico della musica, che nella tradizione dell'India classica la decisiva chiave di lettura del mondo, appare in tutta la sua chiarezza dalla tavola delle connessioni tra gli svara e le realt mondane, natu-rali e simboliche, concettuali e metafisiche, fisiche e astrologiche. In ogni giorno della settimana si rispec-chia un'era del mondo, un elemento costitutivo della natura, un connotato sessuale, un corpo celeste; e tutto, sesso e scansione temporale, sostanza terrestre e astro celeste, riassunto con densit di significato (e con impegno ad agire secondo "quel" carattere e non secondo altri) in uno svara:

    Il significato filosofico della musica appare soprattutto nei paesi in cui i testi della tradizione induista affrontano il tema supremo: le origini del mondo. Noi possiamo avvicinarci a questi enunciati, esposti in linguaggio sublime e con assoluta limpidezza concettuale, percorrendo due vie di accesso. Esiste, nella Brihadranyaka Upanishad, una "narrazione etica". Prima del mondo, anzi,

    prima dell'esistenza in quanto tale, esiste ci che noi occidentali chiameremmo un ente ideale, una pura po-tenza non tuttavia irrazionale (come quella aristotelica) bens luminosa e trasparente: il suono musicale. La musica delle origini ha in s la potenzialit della parola assoluta, che per ancora ineffabile (come, nell'e-soterismo ebraico dello Zohar, il linguaggio con cui Dio parla soltanto a se stesso): non ancora linguaggio comunicabile. Questa musica cosmica l'universo nella sua fase di immobile eternit prima del tempo. Poi-ch tale musica perfetta, non scandita dal tempo che ancora non c', essa inudibile, n d'altra parte alcu-no esiste che possa udirla. Quando, misteriosamente (ma pu esistere un "quando" se ancora non esiste il tempo?), appare la paura nell'universo-musica, lo splendore e il suono si offuscano e nasce il linguaggio ar-ticolato, comunicabile e umano. Nel Samaveda, il tema ripreso larvatamente: la paura che appare all'im-provviso nella sfera dell'essere null'altro che il tempo, che si unisce con il suono primordiale: dalle nozze del suono e del tempo nasce la musica degli uomini, scandita, diffusa sulla terra e misurabile nella storia. Esiste poi la pi celebre "narrazione metafisica", esposta nella Maitryana Upanishad (VI, 3). In principio non esiste l'universo: esiste soltanto un buio universale pieno di suono, e questo suono primordiale il pi aperto, chiaro e diffuso. Perci condensato nella vocale A. In urla fase intermedia, la creazione prende avAo dalle mani di Brhman (ma da dove esce Brhman?). Una certa materia, ancora fluida e nebulosa, co-mincia a condensarsi, ad essere "visibile"; la sua visibilit paga un prezzo, ed l'oscurarsi del suono, il quale diviene pi cupo e meno brillante. La tradizione induista lo connota con U: sempre una vocale, ossia sempre una risonanza squillante, ma la vocale pi chiusa. Nella terza e ultima fase della creazione, il mondo si fa solido, la luce invade lo spazio, e all'inverso il suono si spegne, riducendosi a un bruso, a un rumore: M. Ai suoni vocalici, nell'ideogramma alfabetico, subentra un suono consonantico. Cos il mondo creato, e l'eter-nit offuscata dal tempo, peraltro necessario all'esistenza degli uomini. Le tre lettere AUM formano una sillaba sacra, che nella tradizione, contraendo le due vocali, diviene OM. Nel diagramma OM la sintesi dell'universo nato dalla musica.

    Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.3, marzo 1990)

    DUE TRADIZIONI MUSICALI TRA LORO OPPOSTE: L'ISLAMICA E CINESE Parte quarta

    Indugiamo ancora una volta, una sola, oltre i confini invisibili dell'Occidente. Entro quei confini, le nostre tentazioni eurocentriche ci abituano a considerare il pensiero filosofico occidentale la filosofia tout court, e

  • la musica che ci familiare la musica per eccellenza, quella che "fa storia". Esistono fondate ragioni per non considerare interamente false tali abitudini, e ne abbiamo gi discusso: la ragione pi vincolante la storici-t che connota la filosofia e la musica d'Occidente, in misura incomparabilmente maggiore rispetto ad altre tradizioni. Su tali tradizioni ci siamo soffermati brevemente per correggere gli eccessi in cui possono incor-rere quelle nostre convinzioni, e la loro pretesa di esclusivit. Quest'ultima sosta dedicata a due tradizioni musicali tra loro diversissime. Se le associamo in questa fase del nostro percorso, proprio per il carattere esemplare della loro opposizione, che un'autentica polarit di estremi. Ci riferiamo alla cultura islamica e a quella cinese classica, forse i due mondi culturali pi dissimili sul pianeta. Come spesso accade, la loro opposizione di fondo si rovescia in opposizioni uguali e contrarie, ed emergono i consueti paradossi grazie ai quali, nella fisionomia delle diverse civilt, gli estremi si tocca-no. La filosofia islamica, fiorita accanto a quella tutt'altra realt che la teologia islamica, accanto agli a-spetti sublimi della mistica e agli aspetti sgradevoli e talora odiosi della precettistica morale, tende all'asso-luto, all'aforisma dogmatico, alla metafisica elaborata in sistematiche e vertiginose costruzioni del pensiero. La filosofia cinese esclude ogni dogma, ogni assoluto, ed tendenzialmente antimetafisica; fondata su un complesso equilibrio in cui tutto si regge perch relativo, e tale equilibrio di relazioni sostituisce la cosid-detta Verit. Al muslim, al "fedele" che crede nell'Islam, interessa la Verit in cui riconoscibile la figura personale di Dio. All'intellettuale della Cina classica interessa piuttosto il Bene, o meglio (poich anche la parola 'Bene" ha un sentore metafisico) il Giusto, la norma corretta e irreprensibile del vivere; interessa la societ, lo Stato, secondo una gerarchia ragionevole in cui la legge tanto pi elegante quanto pi imper-sonale. Una celebre classificazione di Marcel Mauss, maestro di antropologia culturale, definisce la civilt islamica (e l'indiana classica, ad essa affine almeno sotto questo aspetto) come una civilt metafisica, distin-ta dalla civilt etica della Cina tradizionale e dalla civilt estetica del Giappone. Una pi ampia classificazione offerta dal musicologo e sinologo Maurice Courant: nella tradizione cinese, indiana ed ellenica il pensiero musicale assunto a termine distintivo. I tre grandi ambiti di civilt, osserva Courant, hanno in comune l'idea che la musica sia la rappresentazione percettibile dei rapporti che uniscono cielo e terra, e tutti gli elementi dell'universo tra loro. Ma l'antico pensiero musicale dei greci, alla luce della speculazione filosofica, tende a una configurazione del mondo entro sfere celesti, e la sua una visione as-soluta e tuttavia non dogmatica, metafisico-scientifica. Il pensiero indiano, come quello islamico, mira al-l'essenza di Dio, in una visione metafisico-teologica. Il pensiero cinese mira all'ordine mondano, in una vi-sione etica, sociale, psicologica e politica. Ed ecco il capovolgimento dello schema, i piccoli e grandi para-dossi. Il primo rovesciamento la fenomenologia della tradizione musicale coesistente alla tradizione filoso-fica e alla sua indole fondamentale. La filosofia islamica, pur nelle sue varie scuole, essenzialmente dog-matica e assoluta, ma la musica islamica quanto mai libera e mutevole nelle sue norme e varianti: un uni-verso variegato di possibilit inventive, con diversissimi sistemi, modi, scale, melodie. Noi occidentali as-similiamo, nella percezione, tutte queste variet, e siamo sedotti soprattutto da un carattere della cosiddetta "scala orientale", la successione di un tono, un semitono e un tono e mezzo nel primo tetracordo, il conse-guente intervallo di un semitono tra il quarto e il quinto grado, e la successione di un semitono, un tono e mezzo e un altro semitono nel secondo tetracordo. Esempio: DO, RE, MI bemolle, FA diesis, SOL, LA be-molle, SI, DO. Ma questa scala dalla denominazione impropria e approssimativa, teorizzata da Louis-Albert Bourgault-Ducoudray (1840-1910) in et wagneriana (Trente mlodies populaires de la Grce et de l'O-rient, 1876), un modulo stilizzato e occidentalizzato. E' una scala che interpreta arbitrariamente la musica "orientale" e i suoi intervalli non temperati (come il semitono maggiore e il semitono minore, distanti di cir-ca un quarto di tono) secondo il nostro temperamentum aequabile, e il suo "orientalismo" un effetto che tale appare agli orecchi di noi occidentali, poich fu usato ripetutamente da compositori d'Occidente (Saint-Saens, Verdi in Aida, Richard Strauss in Salome, RimskijKorsakov, Balakirev, Ravel), e per noi sa di odali-sche e di danze del ventre. La scala di Bourgault-Ducoudray trova il suo corrispondente non gi in un sup-posto comune denominatore delle scale usate nella musica islamica, bens soltanto in uno dei maqam ("mo-di") arabo-egiziani, il nawa'thar, e in parte (per quanto riguarda il primo tetracordo) nel maqam detto nakriz. In realt, la variet dei modi e delle scale , nella musica islamica, sovrabbondante e spesso coincide (ca-sualmente) con il sistema codificato in Occidente tra il XVII e il XVIII secolo. Noi tendiamo ad omologare quella variet anche per un'ovvia illusione ottica, generata dalla distanza culturale e psicologica. Pensate alle stelle nel cielo, o almeno cos siamo avvezzi a chiamarle: in realt sono oggetti di natura difforme, nane bianche o giganti rosse, quasar o pulsar, radiostelle o pianeti spenti, e talora in un punto luminoso si nascon-de non una sola stella ma un gigantesco ammasso stellare, un'intera galassia. E' questione di maggiore o mi-nore lontananza. Alcune di quelle luci testimoniano di com' ora l'astro, altre ci rivelano com'era la stella

  • quattromila anni fa, o due miliardi di anni fa: una traccia di caos nel cosmo. Eppure, noi vediamo quelle luci come se fossero tutte sullo stesso piano, trapunte sull'illusoria volta del firmamento. Furono dette, un tempo, le "stelle fisse", e sappiamo che si allontanano costantemente l'una dall'altra, e naturalmente da noi, con ve-locit inconcepibile. Una similitudine pi familiare: chi incontra popoli di altra etnia e di altro colore, con caratteri somatici che non sono i nostri, tende a dire che quegli individui tra loro "sono tutti uguali", e cos dicono gli altri di noi. Alla variet di sistemi nella musica islamica, entro una civilt tendente al dogma e all'assoluto metafisico in filosofia, si oppone in termini inversi la musica cinese classica, che all'interno di un relativismo filosofico avverso ai dogmatismi e ai rigori tende a un sistema con poche varianti, abbastanza semplice e austero nella scelta delle possibilit inventive. Un secondo rovesciamento dello schema generale, e investe il rapporto tra speculazione filosofica e prati-ca quotidiana. Il fedele islamico intransigente nel dogma e nella fede, ma incline al rilassamento e alla tra-sgressione nelle scelte private; nella tradizione della Cina classica, priva di una religione vera e propria e guidata da norme etiche e sociali ispirate a tolleranza, l'uomo si assoggetta spontaneamente a una disciplina rigorosamente osservata. Queste opposizioni incrociate sono in equilibrio, e ci motiva uno sguardo d'insieme. Ma un terzo paradosso nasce proprio da elementi davvero comuni. Il primo, importantissimo, la tendenza di entrambe le tradizio-ni, l'islamica e la cinese, ad una filosofia estranea ai movimenti storici, incline a formulazioni astratte di na-tura logico-matematica: l'assoluto della filosofia islamica astrae dagli eventi i loro caratteri simbolici, cos come il relativo della filosofia cinese. Nel rapporto con la filosofia, la tradizione musicale islamica e quella cinese devono fare i conti con simili astrazioni. L'altro elemento comune l'associazione dei suoni e dei si-stemi musicali con un'organica simbologia naturalistica e psicologica, ancora una volta inquadrata, nell'uno e nell'altro ambito culturale, in un codice di luminose astrazioni. Conviene ribadire, in quest'ultima sosta su tradizioni non occidentali, quanto abbiamo detto nelle sommarie incursioni precedenti: difficilissimo, se non impossibile, valutare l'incidenza del pensiero filosofico orien-tale sulle strutture della musica in atto, sull'invenzione melodica e sull'impiego degli strumenti. Due sono gli ostacoli: la povert di connotazioni storiche in quelle tradizioni musicali, corrispondente a una tendenziale immutabilit del linguaggio musicale attraverso epoche successive; la debole possibilit, concessa a noi oc-cidentali, di percepire particolari contrassegni semantici e sfumature espressive in sistemi musicali che ci sono storicamente estranei. L'unico modo serio di intuire il rapporto l'individuare il posto assegnato alla musica nella visione universale del mondo. Questo tipo di esame, molto pi agevole, ci pone dinanzi a un ennesimo paradosso. Mentre la filosofia cinese classica non ha alcun rapporto storico con il pensiero d'Oc-cidente, la filosofia islamica nasce da fonti elleniche ed ellenistiche come da un'incubatrice. I contatti di na-tura storica sono innumerevoli: quello decisivo costituito dall'annessione degli scritti pitagorici e aristote-lici alla cultura islamica dopo la conquista araba di Alessandria, capitale dell'Egitto ellenistico-romano-bizantino, ad opera di Amr Ibn al-Ass. Se teniamo conto della centralit di Aristotele e delle fonti pitagori-co-platoniche nel pensiero occidentale, la filosofia islamica ci appare, fra le altre extraeuropee, l'unica occi-dentalizzata nelle sue origini. D'altra parte, i suoi esiti sono quanto di pi estraneo all'Occidente si possa immaginare, mentre la filosofia cinese, nella sua qualit costante, presenta molte analogie con le filosofie occidentali della fase pi recente: per esempio, con la fenomenologia husserliana o con la linea del cosiddet-to "pensiero debole". L'innesto dell'aristotelismo nella religione coranica d alla tradizione filosofica islamica un carattere irripe-tibile, ibrido e strano, nel quadro di una delicatissima coesistenza di misticismo e di ragione logico-scientifica. Nella rivelazione annunciata dal Corano, il tratto distintivo della natura divina l'assoluta imper-sonalit del creatore. Allah il principio supremo dell'universo, la chiave di volta del creato, il garante della stessa natura umana e dei suoi impulsi. Tutto, nell'islamismo, di radice divina, anche l'erotismo pi accen-tuato, anzi, ogni forma di edonismo. In nessun modo Allah pu essere confuso con il Dio cristiano, e ne prova, nella tradizione islamica, l'assenza del concetto di grazia, che in quella cristiana contrassegna i rap-porti dell'uomo con Dio come relazioni tra entit personali. Allah dunque l'unica fonte di razionalit; anzi, l'unica razionalit possibile. Ontologicamente, non esistono razionalit individuali, che gli esseri umani esercitino in piena autonomia; gli uomini pensano perch Dio li fa pensare, ed essi sono soggetti a lui anche in questo atto che la tradizione d'Occidente identifica con la suprema libert e con la superiorit rispetto agli altri esseri (le roseau pensant di Pascal ... ). Per contrappeso, non c' rapporto di superiorit e d'inferiorit tra l'uomo e gli altri esseri di natura; tutto l'universo razionale, e, come l'uomo, soggetto a Dio. Ed ecco una conseguenza decisiva. Chiunque compia un atto, s'illude di compierlo, ma in realt Dio stesso che lo

  • compie, assoggettandolo alla propria suprema razionalit. Un uomo crede di pensare, ma Dio che pensa per lui. Lo stesso vale per le arti; anche l'invenzione musicale, o l'abilit nel suonare uno strumento, facol-t individuale soltanto in apparenza, poich Allah il supremo artista e il supremo musico. L'arte musicale viene cos continuamente "ripresa in mano" da Dio, e non ha luogo la decisiva contrapposizione arte-natura che domina la filosofia, l'estetica, la letteratura nell'Occidente moderno (gli esempi di Kant, Hegel, Leopar-di, Schopenhauer, Kierkegaard, Thomas Mann, nella loro molteplice diversit, testimoniano tutti tale domi-nio). Nel pensiero islamico, l'arte un aspetto della natura, poich entrambe sono opera di Allah. Il musico e teorico Ziryab (morto verso l'850 dell'era volgare) teorizz un vasto sistema pedagogico intorno all'uso dello 'ud, il pi illustre fra gli strumenti arabi a plettro, originariamente a quattro corde, cui lo stesso Ziryab ag-giunse una quinta. Le cinque corde emettono suoni a intervalli di quarta ascendente, e si chiamano bamm (LA), matlat (RE), matna (SOL), zir (DO), zir di Ziryab (FA). Ciascuna delle cinque corde, grazie alla di-versa collocazione delle dita, emette, oltre al suono fondamentale, un tetracordo in scala cromatica ascen-dente, ed legata a un elemento cosmico e a un temperamento umano: il bamm alla terra e alla nera bile, il matlat all'acqua e alla flemma, il matna all'aria e al sangue, lo zir al fuoco e alla bile gialla, lo zir di Ziryab alla vita e all'anima. Ci significa, evidentemente, che ogni musico il quale intoni uno strumento, canti o in-venti melodie, muove contemporaneamente gli elementi dell'universo, del corpo e dell'anima; facendo que-sto, egli si adatta ad essere a sua volta strumento nelle mani di Dio. Di conseguenza, nella tradizione islami-ca non esistono rigidi limiti all'invenzione musicale: i modi e le scale sono innumerevoli poich sono "tutti leciti". Malgrado alcuni enunciati del Corano, severi verso l'arte musicale intesa come occasione di puro piacere, un raffinato edonismo domina in pratica la musica islamica. Quanto alle connessioni tra i suoni e gli elementi dell'universo, l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco ( superfluo sottolineare la radice aristotelica di que-sta ideale articolazione), non pu sfuggire la natura astratta di tali indicazioni; gli elementi sono meri ideo-grammi analogici, fissati in nome di una simbologia stilizzata, e non hanno alcun connotato "descrittivo" o imitativo, come avviene, sotto tutt'altro cielo, nella moderna musica occidentale. E' utile istituire un confronto tra simili connessioni che legano nella tradizione islamica la musica e l'univer-so, e le connessioni, se non analoghe, almeno omologhe che esistono nel pensiero cinese classico. Poich la cultura cinese, nel corso dei millenni, non ha mai prodotto un testo "rivelato" paragonabile a quelli delle grandi religioni monoteistiche, ma soltanto una cosmogonia e una mitologia espresse in testi poetici (qual-cosa di non molto dissimile accade nella civilt ellenica ed ellenistica), arduo orientarsi fra la molteplicit delle scritture, che sono di natura letteraria e non teologica. Nel "paese del Centro" (Chung-Kuo, la denomi-nazione ufficiale della Cina) manca un testo "centrale". E' riconoscibile tuttavia una linea maestra, in cui la simbologia elementare ha formulazioni sostanzialmente univoche. Secondo la splendida sintesi offerta dal sinologo francese Marcel Granet (La pense chinoise, La Renaissance du Livre, Paris 1934, e Albin Michel, Paris 1968), la serie degli elementi universali ha il suo enunciato capitale nella prima sezione del libro Hong fan, redatto durante il primo millennio avanti Cristo. L'universo un sistema chiuso, e nessun mistero si na-sconde dietro le sue realt fenomeniche, nessuna metafisica, poich il pensiero cinese non si pone neppure il problema se esso sia stato "creato" da un ipotetico Dio; anzi, i concetti di "Dio"e di "creazione" sono inte-ramente elusi. L'unica realt, e l'unico mistero, l'intreccio di relazioni tra le realt visibili e tangibili. L'uni-ca disciplina esoterica, l'unica mistica che la cultura cinese abbia elaborato (ed stata un'elaborazione a li-vello vertiginoso) la scienza dei numeri, culminante nel valore simbolico del 5 come sintesi universale. Ai quadrilateri cari all'Occidente (le quattro stagioni, i quattro punti cardinali, i quattro venti, i quattro angoli del mondo, i quattro estremi della croce, i quattro evangelisti), in cui ci che conta non lo spazio interno al quadrilatero bens i punti terminali, i vertici e gli spigoli, la Cina contrappone quadrilateri gravitanti intorno al proprio centro, resi significanti dal loro spazio interno, e trasformati, con l'aggiunta decisiva del punto centrale, in cinquine. Cos, alle quattro stagioni si aggiunge, come quinto termine, il momento che stiamo vivendo ora; ai quattro punti cardinali si associa il centro dell'universo, che il luogo in cui noi ci troviamo. Se non esiste un Dio che crei il mondo, si pu dire che ogni elemento sia il creatore degli altri e del loro re-lativo equilibrio. Le due supreme forze che si contrappongono dialetticamente nel Tao, lo Yang maschile e affermativo, lo Yin femminile e negativo, riassumono e garantiscono il delicato sistema di pesi, contrappesi, sostegni, paralleli e divergenze. Il numero 5 regge, insieme con l'intero universo, il sistema musicale. Il sinologo Jean-Joseph-Marie Amiot (1718-1793) identific il suono fondamentale teorizzato nel libro Yo-ki (composto all'epoca dell'imperato-reWu-Li, 147-87 a.C.), ossia il huang-chong o "suono regio", con il FA della musica occidentale. Secondo la consueta connessione tra musica e realt mondana, il FA detto kong (= palazzo imperiale, stirpe impe-riale). Con quattro progressioni di quinte a partire dal FA, si ottengono DO, SOL, RE, LA. Questi cinque

  • suoni, posti in ordine scalare, danno la prima gamma pentafonica: FA (kong, palazzo), connesso con il mo-mento presente, con il centro dei punti cardinali, con la terra, con il colore giallo, con lo zucchero, con il cuore, con il rango di principe, con il serpente; SOL (shang, deliberazione), connesso con l'autunno, con l'o-vest, con il metallo, con il bianco, con il sapore piccante, con il fegato, con il rango di ministro, con la tigre; LA (kiao, corno e materiale lavorabile in genere), connesso con la primavera, con l'est, con il legno, con il colore azzurro, con il sapore acido, con la milza, con il popolo degli artigiani, con il drago; DO (chi, manife-stazione pubblica), connesso con l'estate, con il sud, con il fuoco, con il rosso, con l'amaro, con il polmone, con i servizi pubblici, con il falco; RE (yu, le ali), connesso con l'inverno, con il nord, con l'acqua, con il ne-ro, con il salato, con i reni, con i prodotti commerciabili, con la tartaruga. Una scala pentafonica pu essere costruita su ciascun grado della scala basata sul kong, e si ottengono cos cinque "modi", in ciascuno dei quali, naturalmente, gli intervalli si trovano in collocazione diversa: i cinque modi hanno i nomi delle note di partenza, kong, shang, kiao, chi, yu. Ogni musico, strumentista o inventore di melodie, si trova, all'interno d questo sistema, in una condizione diametralmente opposta a quella del musico di tradizione islamica: egli si assume l'intera responsabilit della sua azione, e modifica ogni volta, cantando, suonando o inventando nuove musiche, l'ordine dell'universo. E' l'assoluto protagonista, e la sua iniziativa musicale , in quel mo-mento, il centro di tutta la musica terrena, cos come i suoi piedi poggiano sul culmine del cosmo.

    Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.4, aprile 1990)

    IL FILOSOFO AL QUADRATO DEFINISCE LA MUSICA Parte quinta

    La distinzione tra pensiero ed essere, cui la civilt faustiana, la nostra, non saprebbe rinunciare se non a prezzo di un soffocamento intellettuale, del senso sgradevole di una distanza troppo ravvicinata e "corporea" con l'essere, il discrimine che distingue la filosofia occidentale dalle altre tradizioni filosofiche. Nelle grandi scuole di pensiero radicate in Oriente, o nella meditazione intermedia, poetico-filosofica, dell'Africa pre-coloniale o dell'America pre-colombiana o dell'Oceania ancora di un secolo fa (illustrata quest'ultima, in Italia, dalla famosa antologia di Roberto Bazlen), il soggetto a distanza ravvicinata con l'oggetto, la co-scienza individuale con la "cosa", con il mondo. In Oriente, nello Zen come nel buddismo ortodosso, nel brahamanismo come nello scintoismo, l'esperienza vissuta essa stessa un procedimento di conoscenza filo-sofica; in Occidente, la metodologia filosofica sconsiglia vivamente di confondere i due atti conoscitivi. E' accaduto in Occidente, per quasi tre millenni (da quando, cio, le influenze orientali pi antiche s'illanguidi-rono nella civilt dell'Ellade), che si potesse scrivere un tratto filosofico sull'amore senza amare in atto (ma-gari, con l'abito ecclesiatico indosso), o delineare i fondamenti di un'estetica senza essere artista e addirittura senza avere gusto per le cose d'arte, o discutere di musica in termini ontologici senza essere musicista e sen-za gradire particolarmente le bellezze della Tonkunst, note soltanto agli specialisti capaci di praticarla. Que-sto primato della teoresi significa anche impulso all'astrazione, ormai, dopo un'assuefazione di tremila anni, divenuto connotato genetico dell'uomo occidentale. Per combattere decisamente ogni ideologia dell'anti-eurocentrismo, non meno errata dell'ideologia sfrenatamente eurocentrica, diremo che la separazione tra pensiero ed essere sotto il segno dell'astrazione non di per s un male; un segno connotativo, e ha garan-tito, guidata da intenti pi che onorevoli e talora sublimi, la limpidezza del filosofare. Naturalmente, ha pa-gato un prezzo: da attivit squisitamente umana, la filosofia divenuta una "scienza" negata alla maggioran-za degli uomini, chiusa nel proprio linguaggio. In prospettiva, ci prefigura il destino della musica occiden-tale pi recente, che nella sua ricerca di idee chiare e distinte, di purezza teoretica, si allontanata dal pub-blico che ascolta. Progressivamente, la condizione ancora originaria della filosofia occidentale in cui il filo-sofo partiva dal dato esistenziale (lo Stato, la povert, la giustizia o ingiustizia, la morte di Socrate, l'indi-gnazione per quella morte, la triade di peste fame e guerra) per poi avventurarsi lungo il vertiginoso cammi-no dell'astrazione, si "purificata" aggravando la separazione. Pi pura, certo, la filosofia, ma inevitabile la domanda: se per conoscere l'essere mediante il pensiero non dobbiamo "sporcare" il dato di partenza, non dobbiamo prendere le mosse da un pensiero contaminato dall'essere, ci che alla fine conosciamo che cos'? Essere, o ancora e sempre pensiero? Ecco la celebre questione del noumeno e del fenomeno, dibattuta da Kant: se per conoscere la cosa in s (das Ding an sich), ossia il noumeno (l'oggetto nella sua verit, cos com' in s indipendentemente dal nostro pensarlo e dal suo essere pensato da noi), dobbiamo attivare un'o-perazione intellettuale, l'oggetto non forse un phainomenon, ossia qualcosa che noi conosceremo sempre e

  • soltanto attraverso una mediazione, il nostro pensiero, appunto? E poich, per conoscere, noi non possedia-mo altro se non il pensiero, esiste un altro mezzo per conoscere quell'oggetto? Ma allora la parola "conosce-re" ha un senso? C' da impazzire, e quando Kant parla in proposito di "disperazione della ragione" la frase va intesa in senso letterale: probabile che l'impassibile filosofo di Knigsberg soffrisse molto, interiormen-te. Insomma, nella filosofia occidentale avviene, qualcosa di mostruoso, che tranquillamente viene studiato e storicizzato su tutti i manuali. La vicenda , lo abbiamo detto, progressiva. Pitagora, Parmenide, Platone, fa-cevano della filosofia partendo da eventi e da cose sotto gli occhi di tutti; quando si occupavano di matema-tica anche molto raffinata, parlano dei numeri come di psefoi (sassolini), poich con i sassolini s'insegnava l'aritmetica a scuola e si facevano i conti della spesa al mercato di Atene o di Corinto; quando meditavano sulla musica e sulle leggi dell'armonia, partivano da una corda tesa, una vera corda materialissima. Il cam-mino della filosofia occidentale conduce gradualmente a una condizione di partenza in cui il filosofo prende le mosse dalla filosofia per fare della filosofia. Ebbene, proprio il pi radicale di questi filosofi al quadrato, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, fu giudicato, con giusta nemesi, l'uccisore della sofia avviata nel mondo mediterraneo da ionici ed eleati. Con Hegel, stato detto, si attua la "fine della filosofia", ed come quando per togliere da un panno bianco tutte le mac-chie nella maniera pi radicale si dissolve il tessuto nell'acido corrosivo. In modo parallelo, a Hegel, uomo di per s refrattario al fascino diretto della musica, dovuta una delle pi belle, intense e profonde medita-zioni sull'arte dei suoni che mai filosofo abbia scritto. Nell'Estetica (1836-1838, postuma) c' un'osservazio-ne preliminare e fondamentale sul fine dell'arte, che triplice: l'imitazione della natura, il risveglio dell'ani-mo sospinto a grandi azioni, il "superiore fine sostanziale" che la liberazione (ahim, ahim!) dalle passio-ni e dalle debolezze umane. La vocazione dell'Erlser! E se qualcuno non volesse venire redento, purificato, spiritualizzato? Pi avanti, Hegel affronta il "sistema delle arti", distinguendo tra un'arte simbolica, dedita ad elaborare la natura inorganica per farla diventare affine allo spirito (chi scrive si domanda, da una vita, che cosa sia lo spirito), e rappresentata soprattutto dall'architettura; un'arte classica, quella che nel tempio purificato del dio immette l'immagine del dio stesso, e fa muovere la natura inorganica, divenuta spirito, come appunto si muove lo spirito, e questo tipo di arte si concreta nella scultura; finalmente, un'arte roman-tica, quella in cui la natura divenuta spirito comincia a riflettere su se stessa e s'interiorizza, e tale categoria d'arte molteplice e si articola in pittura, musica e poesia. Si riconosce, in questa classificazione, una traccia di alto stile, quella che deriva dal Laokoon di Lessing, ossia la distinzione tra le arti che vogliono simulta-neit per essere percepite (le arti visive, scultura pittura e architettura) e quelle che esigono la successione temporale per loro stessa fisionomia interna (la poesia, la musica, la danza). La visione di Lessing modifi-cata da Hegel per quanto riguarda la pittura, associata piuttosto alla musica che non alla scultura. Ecco come Hegel medita sulla musica, sia pure attraverso le parole dei suoi studenti che, coordinati da Heinrich Gustav Hotho, raccolsero le lezioni del maestro a Heidelberg e a Berlino. "Il materiale della musi-ca, sebbene sia ancora sensibile, giunge ad una soggettivit e particolarizzazione ancora pi profonde [di quelle della pittura]. Il porre idealmente il sensibile da parte della musica va infatti cercato in questo: che es-sa supera l'indifferente coesistere esteriore dello spazio, la cui parvenza totale la pittura lascia ancora sussi-stere e a bella posta simula, e lo idealizza nell'individuale unit del punto. Ma il punto, che in quanto tale negativit, l'eliminazione in s concreta ed attiva, entro la materialit, di tutto ci che movimento e vi-brazione del corpo materiale in se stesso, e nel suo rapporto con se stesso. Tale idealit iniziale della mate-ria, che non appare pi come spaziale ma come idealit temporale, il suono, il sensibile posto negativa-mente, la cui astratta visibilit si mutata nell'udibilit; in quanto il suono scioglie l'ideale dal suo incate-namento nel materiale. Questa prima intimit ed animazione della materia offre ora il materiale per l'intimit e per l'anima dello spirito, ancora indeterminate, e fa risuonare e svanire nei suoi suoni l'animo insieme con l'intera scala dei suoi sentimenti e delle sue passioni. In tal modo, come la scultura il centro tra l'architettu-ra e le arti della soggettivit romantica, cos la musica costituisce a sua volta il punto centrale delle arti ro-mantiche e forma il punto di passaggio tra l'astratta sensibilit spaziale della pittura e l'astratta spiritualit della poesia. La musica, in quanto opposizione di sentimento e interiorit, ha in se stessa, come l'architettu-ra, un rapporto intellettuale di quantit e nel contempo il fondamento di una salda regolarit dei suoni e della loro combinazione". La prosa pessima, e assicuriamo i lettori che la traduzione italiana di Nicolao Merker stilisticamente mi-gliore dell'originale, cos come garantiamo che il modo di scrivere adottato dai discepoli di Hegel e da Ho-tho in particolare non molto dissimile da quello del maestro: chi ha letto la Fenomenologia dello spirito lo sa bene. Eppure, con tutto il mal gusto nello scrivere, una pagina essenziale nella storia dell'Occidente; una

  • pagina che spiega quasi tutto quel che accaduto, e ci fa balenare promettenti splendori misti a raggelanti, equivoche luminescenze. Ne affidiamo il commento alla prossima puntata.

    Quirino Principe (Musica Viva, Anno XIV n.5, maggio 1990)

    Un'atmosfera leggera e gradevole a respirarsi avvolgeva quel paese. Aure deliziose, spirando miti, agitavano la selva, s che dai rami scossi veniva

    una musica incantevole e ininterrotta, simile a quella dei flauti obliqui sonanti nella solitudine.

    LUCIANO DI SAMOSATA, Storia vera, II, 5

    Secondo il filosofema o mito greco, nell'identit dell'Unico si scatena una guerra, uno scisma, una divisione, e si polarizzano una tesi e un'antitesi.

    In conseguenza di questo scisma, nel to theion la tesi diventa nomos, o legge, e l'antitesi diventa idea.

    SAMUEL TAYLOR COLERIDGE, On the Prometheus of Aeschylus

    DOV'E' LA MUSICA? Parte sesta

    Gi, la definizione di Hegel. E' legittimo, iniziando un esame dei rapporti tra musica e filosofia nel mondo occidentale, partire da una fase moderna, non "ingenua" e non autorale? Non era meglio, secondo una con-suetudine manualistica modellata sulle opere di Zeller, Gomperz, Hffding, nonch sugli stessi presupposti hegeliani, prendere le mosse dalle cosiddette origini? Siamo certi che non era meglio, poich la suddetta consuetudine condizionata dal pregiudizio storicistico ed perci innaturale. La storia della filosofia come istituto ufficiale (e tale pu essere soltanto in chiave storicistica) tale da non lasciare pi intendere il senso autentico dell'atteggiamento filosofico. In particolare, la speculazione filosofica sulla musica e il reciproco chiarimento che alla filosofia offerto dal pensiero musicale ne risultano ancor pi oscurati. E' giusto sce-gliere come luogo d'avvio una fase del pensiero d'Occidente in cui la filosofia pi che mai occidentale, in cui pi che altrove essa dichiara il proprio destino. Non si tratta di condurre l'esame a ritroso nel tempo, ma di scegliere piuttosto una visione circolare anzich rettilinea (la relativit generale, teorizzata da Einstein nel 1915, e le recenti configurazioni dello spazio u