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rivista semestrale anno II numero 3-4 gennaio-dicembre 2009

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rivista semestraleanno II

numero 3-4gennaio-dicembre 2009

Prezzo del fascicoloItalia ! 25,00Estero ! 35,00

Mundus DossierQuesto volume contiene i due numeri del 2009 (il 3 e il 4). È un numerodoppio, dunque, con due temi monografici. Il primo è costituito dal Dossiersulla Rivoluzione digitale, con il quale «Mundus» chiude la trilogia dellerivoluzioni che periodizzano la storia umana: il Neolitico, l’Industrialismo,l’Informatica. Questa raccolta di saggi, curata da Alessandro Cavalli, sisegnala per la sua marcata interdisciplinarità. Una qualità che non puòsfuggire all’insegnante odierno. Si osserverà, infatti, che – dallamatematica alla storia – vi è rappresentato quasi per intero il campodisciplinare della secondaria superiore. I numeri successivi di «Mundus» sioccuperanno dei temi «forti», all’interno di questa periodizzazione. Siinizierà con il Medioevo; seguiranno il Mediterraneo e via via gli altriargomenti che costituiscono la sostanza di un buon programma di studistorici.

Mundus Ricerche monograficheIl secondo tema monografico è uno degli argomenti più scottanti (e menoconosciuti e discussi, dobbiamo dire) che riguardano l’insegnamentostorico: quello della formazione iniziale. Come tutti sanno, il Ministro, dopoaver chiuso con grande prontezza le Scuole di Specializzazioneall’insegnamento Secondario, non è stato altrettanto rapido nel sostituirlecon uno strumento analogo. «Mundus» invita i colleghi e gli insegnanti adutilizzare questa lunga pausa per riflettere sulle esperienze e attrezzarsi peril futuro. Lo fa pubblicando le ricerche dei colleghi della Sisem (la societàdei modernisti italiani), integrate da apporti di colleghi esteri. Questosecondo dossier (Ricerche Monografiche) è curato da Gaetano Greco eWalter Panciera.

Mundus RicerchePer le evidenti esigenze di spazio, il settore ricerche è ristretto. Ma non perquesto meno appetibile. Da una parte, infatti, si inaugura (per «Mundus»)uno dei settori di ricerca più antichi e nobili, della didattica storica: quelloche fa riferimento alla psicologia evolutiva. Anna Amelia Berti, infatti, ci offreuna rassegna sintetica quanto esaustiva di un secolo di studi, divisa in duepuntate (la seconda verrà pubblicata nel prossimo numero). Dall’altra, siprosegue un filone già sondato da «Mundus»: quello della geografia, esegnatamente dei rapporti fra le due discipline. Un tema diventatocaldissimo (lo si dice nell’editoriale) a seguito della riforma degli studi dellasecondaria. Questa volta, l’argomento scelto è la Geopolitica, dal momentoche si presta magnificamente quale campo variamente utile al docente diStoria/geografia/educazione civile.

Mundus LaboratorioQuesto numero, inoltre, si apre con una vastissima sezione di Questioni –dalla Preistoria all’Iraq contemporaneo – che, unita ai contributi riportatinelle sezioni informative di Panorama e Biblioteca, vuole consolidarel’immagine di una didattica della storia aperta al mondo e non confinata aisoli drammi della penisola.Il Laboratorio offre una vasta gamma di attività. Da quelle, specificatamenteper le Superiori, esemplate dal contributo di Monica Ducati, sugli «Zooumani», un fenomeno poco conosciuto ma di grande rilevanza storica e,come potrà constatare il lettore/insegnante, di grandissima portatadidattica; a quelle per le Medie, esemplate dal contributo di AnnaritaVizzari, sull’uso didattico delle tecnologie; a quelle destinate ai colleghidelle Elementari, ai quali Mundus offre un laboratorio/gioco sui Fenici.Strettamente legata al laboratorio, infine, è la descrizione del Landis, ilprimo e più importante laboratorio di didattica storica italiano (Strutture).

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Periodico semestrale

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Direttore•Antonio Brusa

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Vicedirettore•Luigi Cajani

Università «La Sapienza», Roma

Vicedirettore e direttore responsabile•Alessandro Cavalli

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Art Director•Federica Giovannini

Redazione e impaginazione•Graphiservice s.r.l. - Bari

Progetto gra!co Federica GiovanniniStampa Luxograph s.r.l. - Palermo

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L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delleillustrazioni, ma alcune restano sconosciute.L’Editore porrà rimedio, in caso di segnalazione,alle involontarie omissioni e agli errori neiriferimenti.

Referee•François Audigier

Università di Ginevra•Anna Beltrametti

Università di Pavia• Jerry Bentley

Università delle Hawaii, Honolulu•Yang Biao

Università di Shanghai•Marcello De Cecco

Scuola Normale Superiore, Pisa• Tommaso Detti

Università di Siena•Patrick J. Geary

Università della California, Los Angeles•Marat M. Gibatdinov

Institute of History Academy of Sciences of Tatarstan, Kazan

•Vincenzo GuarrasiUniversità di Palermo

•Charles HeimbergUniversità di Ginevra

•Mostafa Hassani IdrissiUniversità di Rabat

• Teresa IsenburgUniversità di Milano

•Lutz KlinkhammerDeutsches Historisches Institut, Roma

•Christian LavilleUniversità Laval, Québec

•Mario LiveraniUniversità «La Sapienza», Roma

•Paolo MalanimaIstituto per la Storia del Mediterraneo, Napoli

•Arnaldo MarconeUniversità di Udine

•Henri MoniotUniversité Paris 7

•Massimo MontanariUniversità di Bologna

•Eyal NavehUniversità di Tel Aviv

•Falk PingelGeorg-Eckert-Institut, Braunschweig

•Francesco RemottiUniversità di Torino

•Maria RepousiUniversità di Salonicco

•Saverio RussoUniversità di Foggia

•Alberto SalzaMuseo di Etnogra!a ed Antropologiadell’Università di Torino e National Museumsdel Kenya

•Giuseppe SergiUniversità di Torino

•Rafael VallsUniversità di Valencia

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rivista semestrale

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mundusnumero3•4sommario6 I nuovi programmi di storia (e di geogra!a)

Luigi Cajani

12 Che cosa sanno del Medioevo gli studenti di secondaria superioreStella Leprai

13 CORRIMANO Un mancato Robin Hood padanoRenato Bordone

18 La preistoria a scuola. Pregiudizi, stereotipi e potenzialità didattiche Massimo Tarantini

21 CORRIMANO I Pigmei. Stereotipi preistoriciAlberto Salza

24 Da Omero a Caparezza: l’uso pubblico del mondo antico nella musica italianaLaura Rizzo

28 Archeologia in Iraq tra guerra e preservazioneSalvatore Viaggio

29 CORRIMANO Archivi digitali dell’Asia occidentale antica32 Storia europea e televisione: una missione impossibile?

Luisa Cigognetti, Lorenza Servetti, Pierre Sorlin

38 1 Geogra!a, geopolitica e libri di testo per la scuola secondaria di primo gradoCatia Brunelli, Francesco Buoncompagni

50 2 Ostacoli cognitivi alla comprensione della storia. Costruzione dei concetti storici e uso delle fontiAnna Emilia Berti

62 La formazione degli insegnanti di storia. Tradizioni, esperienze, prospettiveWalter Panciera

64 1 La Didattica della storia e l’esperienza delle SsisGaetano Greco, Andrea Zannini

69 2 Verso il nuovo percorso di formazione universitaria per l’insegnamento:lauree magistrali, TFA e conseguenze per le discipline storicheWalter Panciera

74 3 Formazione iniziale e formazione in servizio degli insegnanti:cenni su esperienze italiane ed europeeLuigi Cajani

77 4 La formazione degli insegnanti di storia e geogra!a in FranciaNicole Tutiaux-Guillon

82 5 Le reti degli insegnanti per ri-formare la cultura storica a scuolaIvo Mattozzi

88 6 L’università e la formazione in servizio: l’esperienza paveseAlessandra Ferraresi

92 LA RIVOLUZIONE DIGITALE a cura di Alessandro Cavalli94 La rivoluzione digitale: un’introduzione

Alessandro CavalliLa dimensione tecnologica

98 1 Da Babbage a von Neumann: storie di macchine e di ideeCorrado Bonfanti

113 2 L’evoluzione del computer dal «mainframe» al palmareIvo De Lotto

118 3 I linguaggi di programmazioneDavide Ancona, Giovanni Lagorio, Elena Zucca

123 4 Le tecnologie dell’estremamente piccolo Vito Svelto131 5 Oltre il mercato: la vicenda del software libero Raffaele Meo136 6 Reti e servizi di telecomunicazioni: passato, presente e futuro

Mario Marchese

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142 7 Internet: dalle origini al web 2.0 Tommaso Detti, Giuseppe Lauricella

Le implicazioni sulla società150 1 La fabbrica e l’uf!cio nell’era digitale Giulio Occhini155 2 Il telelavoro oggi Giulio Occhini157 3 La telemedicina Giulio Occhini159 4 La domotica Giulio Occhini161 5 L’e-government Lorenzo Mosca165 6 Banche dati e biblioteche digitali Nicola Cavalli168 7 Editoria elettronica Nicola Cavalli169 8 Le nuove tecnologie nella scuola Marco Gui172 9 L’informatica italiana da Menabrea a Perotto Raffaele Meo178 10 Il futuro della società dell’informazione Luigi Dadda

182 1 Gli «zoo umani» nel programma di storia Monica Ducati193 2 Nuove immagini per nuove scritture Silvia Failli200 3 Mondi virtuali: scenari immersivi per la didattica

Anna Rita Vizzari209 4 Ecomusei: territorio, comunità, patrimonio

Giuliana Massaro216 5 Laboratorio: Sulle rotte dei Fenici Marco Zanasi

222 «Il futuro non è più quello d’una volta»Maria Teresa di Palma

229 MuSeC: un’economia della cultura è possibileRaffaella Rosa Ardito

230 ImmaginAfricaSilvia Failli

233 XVI Conferenza annuale di EuroclioMaria Laura Marescalchi

235 Medioevo. Parole e immagini, Roma 12 ottobre-4 novembre 2009Silvia Giuliano

237 Avanti, nonostante i problemiPedro Miralles, Rafael Valls

240 Il Concorso Eustory: le edizioni 2009 e 2010Marco Silvani

242 1 Una collana di studi medievistici rivolta alla scuola secondaria: il progetto «Itinerarimedievali per la didattica»[ Simone Bordini ]

243 2 Lapis lapidis. Epigra! latine per le scuole[ Laura Rizzo ]

243 3 Giochi di bambini[ Laura Rizzo ]

244 4 Blat, metalls i cabdills. Frumento, metalli e signori della guerra[ Mario Iannone ]

245 5 Racconti in viaggio[ Mimma Tamburiello ]

246 6 Storie di con!ne[ Elena Musci ]

247 7 Laboratori micro[ Antonio Brusa ]

248 Il Landis - Laboratorio nazionale per la didattica della storiaMaria Laura Marescalchi

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Il 26 maggio 2010 sono stati pubblicatisul sito dell’Agenzia nazionale per losviluppo dell’autonomia scolastica (exINDIRE) le Indicazioni nazionaliriguardanti gli obiettivi specifici di

apprendimento per i Licei. Dopo moltesperimentazioni, di cui la più importante èstata quella della Commissione Brocca(1988-1992), e molti recenti tentativi falliti,si avvia così a compimento una riformacomplessiva della scuola secondariasuperiore italiana, la prima dopo lafondazione della Repubblica. Nuoviprogrammi erano stati invero introdotti pergli Istituti professionali (1992) e per gliIstituti tecnici industriali (1994), ma quellidel Liceo classico e scientifico erano rimastisostanzialmente immutati dal 1952. Il testo è stato redatto da una commissionediretta da Max Bruschi e composta daventidue tra funzionari ministeriali,personalità della cultura italiana e docentiuniversitari: fra essi non figurano né storiciné geografi1. Il testo è stato sottoposto alleassociazioni legate al mondo della scuola,ed inoltre – importante novità – è statoaperto un forum telematico, dal 23 marzoal 23 aprile, dove chiunque ha potutocommentare la bozza di questo testo. Perquanto riguarda la storia, c’è stata solo unabreve fiammata di dibattito, sollevato dalladeputata del Partito Democratico ManuelaGhizzoni, che denunciò l’assenza della

Resistenza nella bozza2. A questepolemiche ha risposto il 31 marzo unabrusca nota ministeriale3 che rivendicava ingenerale la serietà del lavoro svolto, aquanto si affermava, non solo dai membridella commissione, ma anche da «alcuninoti storici di tutte le provenienze culturali epolitiche» (di cui peraltro non si è fatto ilnome, incomprensibilmente), precisandoche durante i lavori nessuno di loro avevasollevato il problema dell’esplicitamenzione della Resistenza, un tema chedoveva essere considerato implicito nellaprevista trattazione della Seconda guerramondiale e della costruzione dell’Italiarepubblicana. Comunque, continuava lanota ministeriale, per tagliar corto ad una«polemica non voluta» si era deciso diinserire nella versione definitiva ilriferimento esplicito alla Resistenza, con laseguente formulazione: «L’Italia dalFascismo alla Resistenza e le tappe dicostruzione della democraziarepubblicana».La prima cosa che salta agli occhi,leggendo il nuovo testo, è l’accorpamentodi storia e geografia nel primo biennio. Unanovità evidentemente volta ad ammorbidirel’effetto del taglio di orario di queste duematerie, che peraltro non ha lo stesso pesonel Liceo classico e nello scientifico: le duematerie accorpate avranno infatti da adessotre ore settimanali (per un totale di 99 oreannuali) nelle prime due classi di tutti ilicei. In precedenza, invece, in 4° e in 5°Ginnasio sia la storia che la geografiaavevano due ore settimanali (per un totale

Luigi Cajani

I nuovi programmi di storia (e di geogra!a)

1 Per l’elenco dei nomi si veda: Ministerodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Decreton. 26 dell’11 marzo 2010.2 Nei programmi scolastici scompare la Resistenza,in «l’Unità», 30 marzo 2010; Giulio Benedetti,«Manca la Resistenza nei programmi liceali». IlMinistro: è falso, in «Corriere della Sera», 31 marzo2010; Simonetta Fiori, Gaffe sulla Resistenza neiprogrammi dei Licei, in «la Repubblica», 31 marzo2010.

3 Cfr. http://nuovilicei.indire.it/content/index.php?action=lettura&id_m=7782&id_cnt=9915 (ultimoaccesso 31 agosto 2010).

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munduseditorialedi 66 ore annuali), mentre al Liceoscientifico c’erano in prima tre oresettimanali di storia e due di geografia,mentre in seconda la storia scendeva a dueore settimanali e la geografia scompariva.Per quanto riguarda il triennio, invece, conla riforma la situazione non è cambiata oquasi: la geografia scompare e la storia ha99 ore annuali al Liceo classico e 66 alloscientifico (come pure in tutti gli altri licei),ma va notato che in precedenza in 5° Liceoscientifico la storia saliva a tre oresettimanali. Nonostante l’accorpamento,che significa anche un unico voto, le duematerie rimangono separate nelleIndicazioni. Nella sezione delle Lineegenerali e competenze che riguarda lastoria troviamo solo questa vagaraccomandazione: «non va trascurata laseconda dimensione della storia, cioè lospazio. La storia comporta infatti unadimensione geografica, e la geografiaumana, a sua volta, necessita di coordinatetemporali. Le due dimensioni spazio-temporali devono far parte integrantedell’apprendimento della disciplina».Reciprocamente, la dimensione temporalefa capolino nella sezione delle Lineegenerali e competenze dedicata allageografia, ma in maniera assai confusa:«descrivere e inquadrare nello spazio iproblemi del mondo attuale, mettendo inrelazione le ragioni storiche di ‘lungadurata’, i processi di trasformazione, lecondizioni morfologiche e climatiche, ladistribuzione delle risorse, gli aspettieconomici e demografici delle diverse realtàin chiave multiscalare». Quindi la geografiaè intesa prevalentemente in dimensionecontemporanea, come dimostra anche lasua assenza fra gli Obiettivi specifici diapprendimento (OSA) della storia delsecondo biennio, mentre compare in quellidel quinto anno, dedicato al Novecento,con dei precisi riferimenti interdisciplinari:«Alcuni temi del mondo contemporaneoandranno esaminati tenendo conto della

loro natura ‘geografica’ (ad esempio, ladistribuzione delle risorse naturali edenergetiche, le dinamiche migratorie, lecaratteristiche demografiche delle diversearee del pianeta, le relazioni tra clima edeconomia)». Una scelta, questa, parziale edannosa: sarebbe stato invece logico daresuggerimenti interdisciplinari anche per idue anni precedenti, tanto più che proprionegli OSA della geografia per il primobiennio si parla della «conoscenza diconcetti fondamentali e attuali, dasviluppare poi nell’arco dell’interoquinquennio». E dato che nel triennio lageografia è assente, questo importantecompito dovrebbe essere sviluppatoall’interno del programma di storia.Insomma, il matrimonio – già non facile –fra le due discipline appare assai maleimpostato, sia sul piano epistemologico chesu quello didattico, e destinato perciò alfallimento.Proseguendo con la lettura degli OSA, dallasorpresa si passa allo sconcerto. Infatti i«nuclei tematici» della storia iniziano con«le principali civiltà dell’Antico vicinoOriente»: gli storici ignoti di cui sopra hannodunque dimenticato il processo diominazione, il Paleolitico e la RivoluzioneNeolitica. Un fatto del tutto nuovo nellastoria della scuola italiana, giacché questaparte della storia era presente, ad esempio,nei programmi per i licei del 1952 e inquelli per la scuola media del 1979, finoalle più recenti Indicazioni per il primo cicloemanate dalla Moratti nel 2003 e daFioroni nel 2007. Si tratta dunque di unsegnale molto negativo, che taglia via unaparte fondamentale della storia, proprioquella iniziale, che fra l’altro ha un rilievosempre crescente nella ricerca. E anche senaturalmente questi argomenticontinueranno a essere trattati nei manuali,c’è da aspettarsi, come conseguenza diquesta sciagurata omissione, che essiavranno un peso sempre minore, con grave

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compromissione di una visione completadella storia.Per quanto riguarda poi la struttura degliOSA della storia, si notano varieincongruenze. Nel primo biennio c’è unelenco di «nuclei tematici» che «nonpotranno essere tralasciati»: fra di essi, «laciviltà giudaica; la civiltà greca; la civiltàromana». Nel secondo biennio e nel quintoanno, dopo questi irrinunciabili «nucleitematici» compare peraltro una nuovacategoria, quella dei «temi cruciali», di cuiperaltro ne vengono indicati a mo’d’esempio solo alcuni. E non si tratta ditemi di poco conto: fra di essi compaiono«società e cultura del Medioevo, ilRinascimento, la nascita della culturascientifica nel Seicento, l’Illuminismo, ilRomanticismo». Per questi temi cruciali siraccomanda un approccio interdisciplinare,e questa sembra essere l’unica differenzarispetto ai «nuclei tematici». Laraccomandazione rimane però nel vago,senza alcuna indicazione concreta dipercorsi didattici che tengano presenti iprogrammi delle altre materie coinvolte.L’impianto generale degli OSA della storia èbanalmente eurocentrico, con solo alcuniriferimenti generici e sporadici alla storiadel resto del mondo, i quali non a caso nonfanno parte né degli irrinunciabili «nucleitematici» né dei «temi cruciali», conl’eccezione del Novecento, la cuidimensione globale è ormai ovvia. La storianon europea prima del Novecento comparesolo nelle Linee generali e competenze,dove si dice che «è utile e auspicabile...rivolgere l’attenzione alle civiltà diverse daquella occidentale per tutto l’arco delpercorso, dedicando opportuno spazio, perfare qualche esempio, alla civiltà indiana altempo delle conquiste di AlessandroMagno; alla civiltà cinese al tempodell’impero romano; alle culture americaneprecolombiane; ai paesi extraeuropeiconquistati dal colonialismo tra Sette eOttocento».

Il primo biennio termina con il«particolarismo signorile e feudale», ultimodi 11 «nuclei tematici», 6 dei quali dedicatial Medioevo. Quest’epoca storica riceveun’attenzione particolare, alquantosproporzionata rispetto al resto: nel bienniosuccessivo, infatti, che arriva alla finedell’Ottocento, le sono dedicati altri 5«nuclei tematici» su 17. Per quanto riguardal’Ottocento, risalta una confusa eridondante presenza del nazionalismo: «ilproblema della nazionalità nell’Ottocento...;l’Occidente degli Stati-Nazione;...l’imperialismo e il nazionalismo». IlNovecento, in!ne, è molto dettagliato: oltrea 11 «nuclei tematici» per la prima metà delsecolo, si trovano l’esplicitazione di tre lineefondamentali su cui costruire la trattazionedella seconda metà: 1. «dalla ‘guerrafredda’ alle svolte di !ne Novecento»; 2.«decolonizzazione e lotta per lo sviluppo inAsia, Africa e America latina», e in!ne lastoria d’Italia, dalla ricostruzione aTangentopoli. Si può dire che per ilNovecento si ha un quadro didatticamentepraticabile. Ma complessivamente il quadrodell’insegnamento della storia nei cinqueanni è molto deludente, assai lontano dallaricerca didattica italiana e internazionale.Un’ultima nota sull’insegnamento di«Cittadinanza e Costituzione», di recenteistituito in mezzo a tanti dibattiti e a tantedichiarazioni politiche. Nel quadro orario deilicei si scopre che questo insegnamento nonha autonomia, ma viene inserito, a secondadei casi, nell’insegnamento della storia edella !loso!a e, nel Liceo delle scienzeumane, in quello del diritto e dell’economia.Nelle Linee generali e competenze dellastoria si dice che bisogna riservargli «unospazio adeguato», in modo che alla !ne delquinquennio lo studente conosca bene «ifondamenti del nostro ordinamentocostituzionale» anche in riferimento alleesperienze costituzionali fondamentali dialtri Stati, come «solo per citare qualcheesempio», la Magna Charta Libertatum, la

Luigi Cajani

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munduseditorialeDichiarazione d’indipendenza degli StatiUniti d’America, la Dichiarazione dei dirittidell’uomo e del cittadino e la Dichiarazioneuniversale dei diritti umani. Niente di nuovo,anzi meno di quanto già si insegna in storia.

Anche qui, si è persa un’occasione perintrodurre una ri"essione sistematica ecomparativa sulle forme dell’organizzazionepolitica della società, che possibilmente nonrestasse con!nata all’Occidente.

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Mundus DossierQuesto volume contiene i due numeridel 2009 (il 3 e il 4). È un numerodoppio, dunque, con due temimonogra"ci. Il primo è costituito dalDossier sulla Rivoluzione digitale, conil quale «Mundus» chiude la trilogiadelle rivoluzioni che periodizzano lastoria umana: il Neolitico,l’Industrialismo, l’Informatica. Questaraccolta di saggi, curata da AlessandroCavalli, si segnala per la sua marcatainterdisciplinarità. Una qualità che nonpuò sfuggire all’insegnante odierno. Siosserverà, infatti, che – dallamatematica alla storia – vi èrappresentato quasi per intero ilcampo disciplinare della secondariasuperiore. I numeri successivi di«Mundus» si occuperanno dei temi«forti», all’interno di questaperiodizzazione. Si inizierà con ilMedioevo; seguiranno il Mediterraneoe via via gli altri argomenti checostituiscono la sostanza di un buonprogramma di studi storici.

Mundus Ricerche monogra!cheIl secondo tema monogra"co è unodegli argomenti più scottanti (e menoconosciuti e discussi, dobbiamo dire)che riguardano l’insegnamento storico:quello della formazione iniziale. Cometutti sanno, il Ministro, dopo averchiuso con grande prontezza le Scuoledi Specializzazione all’insegnamentoSecondario, non è stato altrettantorapido nel sostituirle con unostrumento analogo. «Mundus» invita icolleghi e gli insegnanti ad utilizzarequesta lunga pausa per ri#ettere sulleesperienze e attrezzarsi per il futuro.Lo fa pubblicando le ricerche deicolleghi della Sisem (la società deimodernisti italiani), integrate daapporti di colleghi esteri. Questosecondo dossier (Ricerchemonogra"che) è curato da GaetanoGreco e Walter Panciera.

Mundus RicerchePer le evidenti esigenze di spazio, ilsettore ricerche è ristretto. Ma non

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per questo meno appetibile. Da unaparte, infatti, si inaugura (per«Mundus») uno dei settori di ricercapiù antichi e nobili, della didatticastorica: quello che fa riferimento allapsicologia evolutiva. Anna AmeliaBerti, infatti, ci offre una rassegnasintetica quanto esaustiva di unsecolo di studi, divisa in duepuntate (la seconda verrà pubblicatanel prossimo numero). Dall’altra, siprosegue un filone già sondato da«Mundus»: quello della geografia, esegnatamente dei rapporti fra le duediscipline. Un tema diventatocaldissimo (lo si dice nell’editoriale)a seguito della riforma degli studidella secondaria. Questa volta,l’argomento scelto è la Geopolitica,dal momento che si prestamagnificamente quale campovariamente utile al docente diStoria/geografia/educazione civile.

Mundus LaboratorioQuesto numero, inoltre, si apre con

una vastissima sezione di Questioni –dalla Preistoria all’Iraq contemporaneo– che, unita ai contributi riportati nellesezioni informative di Panorama eBiblioteca, vuole consolidarel’immagine di una didattica della storiaaperta al mondo e non con"nata aisoli drammi della penisola.Il Laboratorio offre una vasta gammadi attività. Da quelle, speci"catamenteper le Superiori, esemplate dalcontributo di Monica Ducati, sugli «Zooumani», un fenomeno poco conosciutoma di grande rilevanza storica e, comepotrà constatare il lettore/insegnante,di grandissima portata didattica; aquelle per le Medie, esemplate dalcontributo di Annarita Vizzari, sull’usodidattico delle tecnologie; a quelledestinate ai colleghi delle Elementari,ai quali Mundus offre unlaboratorio/gioco sui Fenici.Strettamente legata al laboratorio,in"ne, è la descrizione del Landis, ilprimo e più importante laboratorio dididattica storica italiano (Strutture).

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Gli autori della ricercaIl questionario di cui si presentano i risultati

in questa sede nasce come iniziativa della Scuo-la di specializzazione per l’insegnamento se-condario di Parma finalizzata a rafforzare i rap-porti tra mondo universitario e mondo dellascuola.

In particolare, ad essere coinvolte dall’inizia-tiva sono state le scuole convenzionate con la Ssisai fini dello svolgimento dei tirocini. Tra l’ottobree il novembre del 2008, gli specializzandi Ssishanno somministrato il questionario (predispo-sto dai docenti di Didattica della storia, i profes-sori Roberto Greci e Simone Bordini, con la col-laborazione della dottoressa Lara Berzieri, che haprovveduto alla elaborazione statistica dei dati)nelle quarte classi di diversi istituti superiori, perun totale di 2080 studenti, equamente distribuititra maschi e femmine. I risultati di questa Inchie-sta sul Medioevo sono stati presentati a Parma nelfebbraio del 2009, durante un incontro in occa-sione del quale ho esposto per la prima volta leriflessioni da cui è derivato questo articolo1.

La struttura del questionarioIl questionario sul quale si basa la nostra ri-

cerca è composto da 30 item, comprensivi di do-mande a risposta chiusa (a scelta multipla conquattro alternative) e di domande a rispostaaperta. I quesiti sono raccolti in tre sezioni, voltea testare aree diverse della conoscenza della sto-ria medievale da parte degli studenti: le primedue parti del questionario sono finalizzate allavalutazione delle nozioni e delle competenze ac-quisite dagli studenti durante il loro iter scolasti-co. Chiedere quando divenne imperatore CarloMagno (sezione 1, item 2) o che cosa è una teo-crazia (sezione 2, item 5) significa testare una co-noscenza di tipo prettamente disciplinare. L’ulti-ma sezione del questionario, dedicata alle opi-nioni degli studenti, rappresenta invece qualco-sa di radicalmente diverso. Chiedere a un ragaz-zo quale istituzione contemporanea gli ricordadi più il Medioevo (sezione 3, item 3), quali luo-ghi gli richiama alla mente questo periodo stori-co (sezione 3, item 6), quali strumenti usa peruna ricerca scolastica di argomento medievale(sezione 3, item 7) significa aprirsi a quel Me-dioevo del senso comune che, da tempo, è og-getto di riflessione da parte di medievisti qualiGiuseppe Sergi, Renato Bordone, Antonio Bru-sa2. Si è scelto dunque, nella terza e ultima partedel questionario, di dare spazio a un elementocon il quale, volente o nolente, si deve rappor-tare chiunque studi o insegni storia medievale.Si tratta di una realtà multiforme e molteplice,

1.L’incontro, organiz-zato dalla Ssis di Par-ma, si è tenuto pressola Casa della Musica il12 febbraio 2009.2. Di Giuseppe Sergimi limito a ricordareun fortunato volu-metto, nato come in-troduzione al manua-le Donzelli di storiamedievale ma poi rie-dito in forma autono-ma: G. Sergi, L’idea diMedioevo: tra sensocomune e pratica sto-rica, Donzelli, Roma1998. Renato Bordo-ne si proietta invecenel passato per rico-struire l’origine del-l’immagine “popola-re” di Medioevo cheancora oggi prevalenel sentire diffuso: R.Bordone, Lo specchiodi Shalott, Liguori,Napoli 1993. Tra le

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Che cosa sanno del Medioevo gli studenti di secondaria superiore

Stella Leprai

Contrariamente a quanto si scrive neimedia, la scuola trasmette bene alcune

nozioni sul Medioevo. Ha meno successonella trasmissione di concetti e nella

revisione degli stereotipi. I risultati di unaindagine dell’Università di Parma.

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UN MANCATO ROBIN HOOD PADANORenato Bordone

Considerazioni in margine al film «Barbarossa»ualcuno ricorda ancora La leggenda dell’arciere di fuoco (TheFlame and the Arrow) di Jacques Tourneur, un film del 1950

dai colori accattivanti del primo Technicolor con un atletico BurtLancaster nei panni di una sorta di Robin Hood lombardo? La tramaè molto semplice, senza nessuna pretesa di storicità, ma la vicendaè! vivace e avvincente: sui monti della Lombardia il cacciatore DardoBartoli organizza la rivolta contro il conte Hesse, luogotenente delBarbarossa, che gli ha portato via la moglie col figlioletto, losconfigge e restituisce la libertà al popolo che ha combattuto con lui.È un film d’avventura di schietto stampo hollywoodiano che torna inmente guardando il Barbarossa di Renzo Martinelli, ma non peranalogia, bensì per contrasto. Certo, le analogie formali nonmancano: stessa collocazione cronologica, stesso antagonismo fra ilribelle buono e il tiranno cattivo (Dardo/Alberto da Giussano-gliscagnozzi del conte/i tedeschi del Barbarossa), ma che differenza ditaglio e di ritmo! Impacciato dalla tesi – per carità, molto elementareanche questa – che vuole sostenere, il film di Martinelli scontal’ambiguità di non aver fatto preliminarmente la scelta di puntaresolo sulla “leggenda di Alberto da Giussano”, invece di impantanarsiin una ricostruzione pseudo-storica che non può che oscillare fra ilridicolo e il grottesco, penalizzando il ritmo della vicenda con l’esitoinevitabile di offrire un prodotto pesante e sfilacciato (139’,cinquanta minuti in più rispetto all’ Arciere di fuoco), nonostante ildispendioso spiegamento di mezzi! e di denaro (secondo i datiufficiali, 12 milioni di euro di cui 1.600.000 di soldi pubblici!).Perché di “leggenda” in fin dei conti si tratta: è noto infatti cheAlberto da Giussano non compare in nessuna fonte dell’età sveva eoccorre attendere la prima metà del Trecento, quando se lo “inventa”il cronista Galvano Fiamma, facendone il vessillifero comunale ecapitano della Compagnia della Morte, altra invenzione nondocumentata del fantasioso domenicano milanese. Federico A. Rossidi Marignano, che compare come consulente storico nei titoli di testadel film, ha sostenuto nel suo Federico Barbarossa e Beatrice diBorgogna, re e regina d’Italia (Milano 2009, p. 198), che «ciò che ilFiamma ha scritto su quella Compagnia è – quantomeno –verosimile». Sulla “verosimiglianza” – e non sull’onestoriconoscimento del dato leggendario – si basa dunque gran partedella sceneggiatura, in quanto, come si è detto, Alberto è il veroprotagonista del film, fin dalla scena iniziale, quando, ancor ragazzo,salva l’altro protagonista (il Barbarossa) dalla carica di un cinghiale.Un altro episodio “verosimile” – e non attestato dalle fonti coeve – ènaturalmente il giuramento di Pontida dell’aprile 1167: il primo chene parli è infatti Bernardino Corio, che scrisse alla fine del secolo XV,ben trecento anni dopo il fatto! Eppure... Come poteva un filmespressamente “popolare” non prendere per buona la tradizionerisorgimentale, dal Berchet al Carducci, che di Pontide e di Albertiavevano riempito l’infiammata interpretazione patriottica della lottadei comuni contro i tedeschi? Si tratta di una preconoscenzaacquisita – ma a scuola si leggono ancora i poeti delRisorgimento? –, adattabile a ogni circostanza: ieri all’unità d’Italia,oggi al federalismo padano, forse proprio per la sua storicitàindeterminata. Certo, nel film Alberto da Giussano diventa addirittural’artefice della Lega lombarda: anzi, da questo punto – il più, per così dire, “ideologico” – in avanti sembra fare tutto

Q

che spesso esula dai confini del sapere storico,e di cui, non a caso si è occupato anche UmbertoEco, autore del fortunato romanzo Il nome dellarosa, che molto ha contribuito alla costruzionedi un modello di Medioevo ancora oggi assai dif-fuso nell’immaginario collettivo3.

Primi risultati della ricercaQuanto ai risultati del questionario, che sa-

ranno presto disponibili nella loro completezzasul sito Itinerari Medievali: Risorse per lo studiodel Medioevo (http://www.itinerarimedievali.unipr.it), in questa sede mi limiterò a qualcheosservazione preliminare.

Laddove la terza parte della nostra inchiesta,consistente nelle opinioni personali degli stu-denti, è formata in gran parte da domande aper-te o semi-aperte, ciascuna delle prime due sezio-ni è composta da dieci domande a risposta chiu-sa, con un’unica opzione esatta a cui è stato at-tribuito un punteggio pari a uno. La scala di va-lutazione per le parti del questionario dedicate anozioni e competenze va quindi da 0 a 10, conla sufficienza fissata a 6. Pur con inevitabili ap-prossimazioni, tale operazione ha reso possibilemettere in relazione i risultati della nostra inchie-sta con i voti in storia ricevuti dagli studentinell’ultima pagella. Il risultato di un simile con-fronto si può considerare incoraggiante: almenoda un punto di vista delle nozioni, la discrepanzatra il voto di storia dichiarato, compreso tra il 6e l’8 per l’86,9% degli studenti intervistati, e i ri-sultati del questionario, che pure esiste, non èenorme. Nella prima parte del questionario, a unvoto pari a 7, frutto della media tra i risultati deglistudenti provenienti dai vari tipi di istituto, cor-rispondono in media 6,2 risposte corrette. Ciò in-duce a ritenere sostanzialmente affidabile il siste-ma di valutazione adottato dai docenti all’internodelle classi che hanno partecipato all’inchiestaSsis. Il discorso è diverso quando si va a toccarel’ambito delle competenze, dove la forbice tra ivoti ottenuti dagli studenti durante l’anno scola-

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corrimano

numerose pubblicazioni diAntonio Brusa, ricordo in-vece un suo repertorio de-dicato agli stereotipi sul Me-dioevo: A. Brusa, Un pron-tuario degli stereotipi sulmedioevo, http://www.sto-riairreer.it/Materiali/Brusa-LuoghiComuni.htm.

3. U. Eco, Dieci modi di so-gnare il Medioevo, in «Qua-derni Medievali», 21 (1986),pp. 187-200. Più in genera-le si veda la rivista «Quader-ni Medievali», pubblicatatra il 1975 e il 2005, alla se-zione intitolata L’altro me-dioevo.

mundusquestioni

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stico e il risultato del questionario si fa più nettae le risposte corrette scendono a 4,6 su 10.

Il Medioevo degli studenti: conoscenze e competenze

Queste osservazioni sono confermate da unrapido esame delle prime due sezioni del que-stionario, le uniche che, prevedendo quesiticon risposte chiuse, permettono di valutare inmodo puntuale la conoscenza della storia me-dievale da parte degli studenti intervistati.

Tra le domande a cui si è risposto in modopiù corretto, con percentuali pari o superiori al70%, prevalgono quelle pertinenti al periodo tar-do-antico e altomedievale. Non sorprende chel’85% degli studenti sia in grado di riconoscere ladata, peraltro convenzionale, di caduta dell’Im-pero romano d’Occidente, mentre il fatto che il79% degli intervistati sappia cosa sia la MagnaCharta Libertatum o quale imperatore abbiaconcesso per primo la libertà di culto ai cristianilascia piacevolmente stupiti. Sotto altri punti divista si registrano invece carenze anche gravi: so-

lo il 58% degli studenti ricorda che la peste neraha fatto la sua comparsa in Europa nel XIV secoloe non nel VII o nel IX secolo e sono ancor menoquanti sanno quando sia vissuto Maometto (41%)oppure quale imperatore fu sconfitto a Legnanodai comuni italiani (49%). Stupisce infine che so-lo il 69,7% degli studenti sappia quanto è durataapprossimativamente l’età medievale laddove,come si è visto, sono molti a conoscere la data diinizio e di fine del Medioevo stesso.

Dal punto di vista delle competenze, anchemessa in conto l’ambiguità di domande oggetti-vamente complesse, come quella sul “popolo”, lasituazione è di certo più preoccupante. Lasciandostare i pur gravi dubbi sul significato di terminispecifici come contado (37%), conte (29%) o re-galia (20%), la difficoltà riscontrata dagli intervi-stati nell’individuare la definizione corretta di ter-mini più generali, come quello di diocesi (66%) odi teocrazia (39%), deve indurci a riflettere suglistrumenti di cui questi studenti dispongono percomprendere aspetti anche importanti del mon-do in cui vivono, indipendentemente dalla loroconoscenza specifica della storia medievale.

Detto questo, occorre osservare che, in molticasi, gli stessi specializzandi Ssis, a cui per primi èstato somministrato il questionario poi distribuitoagli studenti, non hanno rivelato una migliorecomprensione di questi concetti, mostrando di

Stella LepraiChe cosa sanno del Medioevo gli studenti di secondaria superiore

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La Scuola di specializzazione e le scuole superiori di Parma

! Visto il ruolo svolto dalla Ssis parmense nell’elaborazione del questio-nario, è inevitabile che la maggior parte delle scuole coinvolte nell’in-dagine appartenga all’area emiliana e, in particolare, alle province diParma (39,7%), Reggio Emilia (34,4%), Piacenza (14,1%) e Modena(8,3%), con qualche rapida “puntata” in Romagna e, fuori regione, aCremona. Per quanto riguarda invece la tipologia di istituti interessatidall’inchiesta, è possibile rilevare, in sostanziale conformità con i trendnazionali, una prevalenza di scuole di tipo tecnico (37,7%), seguite inseconda battuta dai licei, scientifici (30,7%) e classici (13,2), e quindi daaltri istituti (magistrale, linguistico, artistico).

! La scelta, non estranea a considerazioni di tipo pratico, di limitare la di-stribuzione del questionario agli istituti che collaborano con la Ssis, hadiminuito la scientificità dei risultati ottenuti, ma non certo la loro at-tendibilità. La decisione di non adottare una strategia di campionamen-to tale da ottenere risultati estensibili all’intero universo degli studenti,limitando l’indagine alle scuole legate alla Ssis, è frutto di una riflessio-ne meditata. Lo scopo primario dell’iniziativa è infatti quello di mostra-re la proficuità di un più stretto legame tra mondo universitario e mondodella scuola, fornendo al tempo stesso spunti utili a una riflessione a-perta e consapevole sulla conoscenza della storia medievale da partedegli studenti degli istituti secondari di II grado.

La piramide feudale dal sussidiario di B. Reggianie A. Salvatore Filo diretto, per la classe IV, IstitutoGeografico De Agostini, Novara 1984, p. 141.

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lui, un poco espressivo Raz Degan sempre più spettinato ed esagitato,quasi una maschera da film muto, che rotea minacciosamente gli occhie ulula, specie dopo la cattura della sua morosa, la quasi-stregaEleonora.Leggenda, dunque, e non storia; d’altra parte fin dallo stesso“inquadramento” della vicenda, sintetizzato dal prologo, vieneenunciato semplicisticamente: «Italia. Dodicesimo secolo. Le terre delNord sono dominate da un imperatore tedesco, Federico diHohenstaufen detto Barbarossa. Il suo sogno è di conquistare le terredel Centro e del Sud così da far rivivere l’impero che fu di CarloMagno. Nelle terre del Nord c’è un giovane milanese di nome Albertodi Giussano. Il suo sogno è di sconfiggere l’imperatore e ridare lalibertà alla propria gente». Tale impostazione induce dunque lospettatore a immaginare una tirannia imperiale a cui si oppone la lottaper la libertà in puro stile Re Giovanni/Robin Hood: fin dalle sceneiniziali, infatti, il bieco F. Murray Abraham punisce un bracconiere coltaglio della mano perché ha cacciato di frodo nella foresta; si trattadel “traditore” Barozzi, cioè un appartenente alla famiglia milanesefilo-sveva degli Scaccabarozzi – qui, forse “per decenza”, hanno persoil prefisso – che in qualità di “siniscalco” (lo “sceriffo di Nottingham”?)fa rispettare la legge secondo la quale “ogni animale del boscoappartiene all’imperatore”. Bastano nozioni elementari di storiamedievale per rilevare che Milano prima della discesa del Barbarossanon era la foresta di Sherwood! L’“arciere di fuoco” almeno viveva sullemontagne e l’imitazione/parodia del modello inglese era in un certosenso dichiarata per giustificarne la trama avventurosa. Nel seriosofilm “lombardo” invece si pretende di impartire una lezione di storia,ma l’imperatore è l’immutabile cattivo della fiaba che punisce i ribelli,mentre nulla! si dice dei suoi mutevoli progetti politici e delle suescelte strategiche in Lombardia con le città nemiche di Milano comeCremona. Nulla, d’altra parte, è detto neppure della potenza raggiuntadal comune milanese e delle lotte fra le città, ridotte a liti fravicini !che saranno gloriosamente superate grazie all’interventodell’eroe Alberto. E il Barbarossa, l’eroe eponimo del film? Intanto il peso di un interpretecome Rutger Hauer fa la differenza con l’inespressivo Raz Degan, anchese costretto per esigenze sceniche a mostrare la faccia feroce, ma inogni caso un po’ più realistico di una improponibile Beatrice di Borgognache lo incita a distruggere Milano. Anche qui, tuttavia, non mancanocadute clamorose. Fra le più deludenti, per l’illuso che cerca almeno disalvare qualche riferimento alle fonti genuine, è la ricostruzione delpassaggio dell’Adige nel 1155: i veronesi hanno approntato un ponte dibarche volutamente poco solido e, come se non bastasse, affidano allacorrente impetuosa tronchi d’albero legati fra loro che all’impatto necompromettano la struttura. Finalmente! Sono proprio le parole diOttone di Frisinga... ma che accade? Il Barbarossa stesso si precipita sulponte e scivola nel fiume: tutti ne sono terrorizzati perché qualche scenaprima l’imperatore ha ricevuto da Ildegarda di Bingen – una invecchiataAngela Molina, qui presentata come maga e veggente – una profeziarelativa all’acqua e alle falci. Naturalmente si salva – sospiro di sollievodi Rainaldo di Dassel – e nella scena successiva punisce duramente iconsoli veronesi: non lo dice anche Ottone Morena che fece tagliarenaso e labbra a più di duecento prigionieri? Certo, ma non dice chel’imperatore tagliasse di propria mano l’orecchio di un console (zoomata splatter sull’orecchio mozzo), come fa qui RutgerHauer in persona!

non conoscere la risposta corretta a molti itemcontenuti nelle prime due sezioni del questiona-rio. Purtroppo manca un’elaborazione statistica diquesti dati, ma è evidente che una domanda comequella sul “popolo”, oggettivamente difficile peruno studente, avrebbe dovuto essere relativamen-te semplice per chi un giorno andrà a insegnarestoria nelle scuole secondarie di I e II grado.

Che cosa pensano gli studenti del Medioevo

Conclusa questa breve recognitio sulle primedue parti del questionario, qualche parola andràinfine spesa sulla sezione riguardante le opinionidegli studenti, interpellati su questioni che spa-ziano dalla loro percezione dell’età medievaleagli strumenti mediante i quali essi conosconoquesto periodo storico. Tra le questioni più inte-ressanti vi sono senza dubbio quelle che riguar-dano le cose/istituzioni/situazioni che, nel mon-do contemporaneo, ricordano agli studenti il Me-dioevo. Il fatto che la Chiesa sia l’istituzione piùcitata, seguita dal castello, che è anche il luogofisico che, secondo il 92,3% degli studenti, me-glio rappresenta il periodo medievale confermaalcune delle teorie elaborate dai medievisti sullapercezione del Medioevo nella cultura diffusa4.

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La percezione distortadel Medioevo è

rafforzata da film comeBraveheart o Lecrociate, da

rievocazioni storiche oda manifestazioni di

vario genere

4. In questa sede, mi limitoa ricordare gli atti di due im-portanti convegni su questitemi: Medioevo reale Me-dioevo immaginario: con-fronti e percorsi culturalitra regioni d’Europa, Attidel convegno (Torino, 26 e27 maggio 2000), a cura diD.L. Jalla, Città di Torino, To-rino 2002; Medioevo e luo-

ghi comuni, Atti del conve-gno (Bologna, 3 ottobre2001 e 7 marzo 2002), a curadi F. Marostica, Tecnodid,Napoli 2004.Utile è anche ilvolume del modernista M.Sanfilippo, Il Medioevo se-condo Walt Disney: comel’America ha reinventatol’età di mezzo, Castelvecchi,Roma 1993.

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Indubbiamente, una tale visione del perio-do medievale ne ricorda da vicino l’immagineromantica che, da un punto di vista letterario,artistico e architettonico, si incentra proprio sul-le figure-simbolo della chiesa e del castello. Ladifficoltà mostrata dagli studenti nel risponderealla domanda su Federico I e Legnano mostrainvece che il Medioevo risorgimentale di stam-po nazionalistico, prevalente all’interno deiprogrammi scolastici del secondo dopoguerra,ha ormai perso il suo appeal. Del resto, comeha osservato Giuseppe Sergi, castelli e cattedra-li, spesso trasformati dai “medievaleggianti” re-stauri ottocenteschi, incarnano materialmenteagli occhi dei contemporanei l’età medievale,colta nella sua dimensione romantica e scottia-na. È dunque con questo modello culturale“forte” che si deve confrontare chi insegna sto-ria a studenti la cui percezione “distorta” delMedioevo è ulteriormente rafforzata da film co-me Braveheart o Le crociate, da rievocazionistoriche e da manifestazioni di vario genere.

Le fonti di informazione degli studentiLegati a stereotipi consolidati nella propria

visione del Medioevo, gli studenti sono appa-rentemente molto emancipati per quanto ri-guarda gli strumenti da utilizzare nelle ricerchescolastiche: accantonata la letteratura storicache per ovvie ragioni conoscono poco, Internetdiventa per molti di loro una fonte primaria diinformazioni. Anche in questo ambito tendonoperò a mostrarsi “convenzionali”, preferendo icontenuti non sempre scientificamente vigilatidi Wikipedia (http://it.wikipedia.org) a siti de-cisamente più attendibili5.

Rimane inoltre un dubbio: in che misura leinformazioni tratte da questi siti sono rielaboratedagli studenti e sottoposte a vaglio? L’impressio-ne è che la loro capacità critica, indispensabilenel momento in cui ci si confronta con il maremagnum di informazioni contenute in Internet,sia assai scarsa. Alla richiesta di segnalare a qualisiti web essi fanno più frequentemente riferi-mento, gli studenti ne ricordano alcuni, comeStudenti.it (http://www.studenti.it), che conten-gono dei veri e propri sunti, dai contenuti spes-so approssimativi, di lezioni e tesine. Del resto,se si paragonano ancora una volta i risultati deiquestionari somministrati agli studenti con quel-li compilati dagli specializzandi Ssis, si vede co-me anche costoro, che hanno alle spalle un’i-struzione di tipo universitario, trovano in Inter-net una fonte primaria di notizie.

Uno spirito critico limitato è del resto mo-strato dagli studenti anche nei confronti dei ma-nuali, di cui si dichiara tendenzialmente soddi-sfatto circa il 50% degli intervistati, di contro aun 30% di insoddisfatti e a un 20% di indiffe-renti. Chi auspica un cambiamento del propriolibro di testo vorrebbe in genere un manualepiù agile rispetto a quelli tradizionali, illustratoe denso di approfondimenti su argomenti spe-cifici. In genere, però, prevale una certa indif-ferenza nei confronti di questo tema, il che nonstupisce, se si pensa che raramente gli studentidelle scuole secondarie di II grado, e le stessematricole universitarie, dispongono di strumen-ti critici sufficienti per esprimere un giudiziomeditato sui manuali su cui devono studiare.

Stella LepraiChe cosa sanno del Medioevo gli studenti di secondaria superiore

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Gli studenti vorrebbero un

manuale più agilerispetto a quelli

tradizionali, illustrato e denso

di approfondimenti su argomenti

specifici

5. A questo proposi-to rimando a S. Bor-dini, La storia media-ta. Il Medioevo vistodal web: percorsi diricerca e didattica,Clueb, Bologna 2008.

Ricostruzionefilologicamentescorretta di uncastello medievale.In M. Calegari, C.Gatti, A. Medina, A.Russo, Storia per lascuola media, vol. 2,Edizioni ScolasticheBruno Mondadori,Verona 1974, p. 38.

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Si sa che sarebbe fuori luogo chiedere a un film come questo laprecisione storica e che l’azione deve concentrare episodi diversi percomunicare un messaggio chiaro, ma – anche a causa del collassocronologico nella successione delle scene (1156: matrimonio conBeatrice di Borgogna; 1152-1153: i legati lodigiani sono presso ilBarbarossa, che invia una lettera ai milanesi i quali ne calpestano isigilli; 1158: distruzione di Lodi da parte dei milanesi; 1154: discesa diFederico in Italia che valica le Alpi; 1158-1162: assedio e distruzione diMilano; 1167: incoronazione a Roma e ritorno in Germania) – lospettatore ignaro ricava l’impressione che il Barbarossa sia rimastocontinuativamente in Italia per ben 13 anni! Ci si aspetterebbe infineche almeno la battaglia di Legnano, proprio perché sopravvalutata dallatradizione, conferisse al film quel tono epico che non è riuscito arealizzare con l’assedio di Milano, tirato troppo per le lunghe. E invece, inossequio alla profezia (del tutto inventata) di Ildegarda di Bingen e alledubbie deduzioni del consulente storico (rintracciabili alle pp. 203-210dell’opera citata), si assiste alla più grottesca messa in scena deiproblematici “carri falcati” di mastro Guintelmo (o Guitelmo). Aldo Settiaha dedicato numerosi studi ai “carri”, macchine difensive dell’esercitocomunale (Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell’Italia delle città,Bologna 1993), e non si pretende certo che una sceneggiatura tantoapprossimativa li conoscesse, ma interpretarli come semplici carrettetrainate da cavalli da cui improvvisamente sbucano fuori contadiniurlanti che dal carro dimenano le falci menando scempio fra i cavalieritedeschi è davvero troppo anche per questo film. Altro che tecnologiaavanzata di mastro Guintelmo!In conclusione, questo Barbarossa non è né un film “storico” né unfilm d’avventura e paga piuttosto lo scotto a una tendenza ormairadicata nei film americani di ambientazione medievale, dove appareevidente la contaminazione con la fantasy della cosiddetta “spada emagia” (da cui non fu già immune proprio il Robin Hood di KevinKostner nel 1991), quasi che il Medioevo non potesse essererievocato senza il ricorso a veggenti, streghe e profezie, qui incarnate –oltre che da Ildegarda – dal personaggio di Eleonora, figlia di mastroGuitelmo e amata da Alberto, “toccata dal fulmine” e soggetta aspaventose visioni. Un Medioevo cupo e sanguinolento in cui anche latesi della riconquista della libertà – più volte urlata dai padani diAlberto – finisce per sprofondare, senza riuscire a suscitarequell’attenzione (e quel divertimento) che aveva invece saputoaccendere la freccia infuocata dell’arciere Dardo. !

Non tutto è buio, quando si parla di Medioevo

Il panorama offerto dalla nostra Inchiestasul Medioevo è dunque così infelice? Conside-rati gli spazi limitati riservati al Medioevo nellaprogrammazione scolastica e il fatto che i que-stionari sono stati somministrati agli studenti amolto tempo di distanza dalla conclusione delprogramma di storia medievale, possiamo ri-spondere di no. In un certo senso, ciò che si èandati a testare sono infatti conoscenze ormaisedimentate nella mente degli studenti e quindidotate di un peso specifico diverso, e maggiore,rispetto a nozioni fresche di studio.

Nello specifico, andando a vedere i risultatidelle prime due sezioni del questionario sullabase delle tipologie di istituto dove è stato som-ministrato, si osserva una netta distinzione tra lediverse scuole. Da un confronto tra gli istituti sta-tisticamente più rappresentativi, ovverosia il Li-ceo scientifico (da cui proviene il 30,7% degli in-tervistati) e gli istituti tecnici (con il 37,7% degliintervistati), appare netto il divario tra i liceali,che hanno risposto in media a 12 domande su20 e gli studenti dei tecnici, per i quali la mediadi risposte esatte scende a meno della metà, ov-verosia a 9,6 su 20. È interessante osservare che,anche in questo caso, vi è una rispondenza tra ivoti in storia assegnati durante l’anno e i risultatidella nostra indagine: negli istituti tecnici essi ri-sultano decisamente inferiori rispetto agli altri ti-pi di scuola coinvolti nella nostra inchiesta, cosìcome sono peggiori i risultati del questionario.

Di certo una media di 12 risposte corrette su untotale di 20 domande, per quanto non preoccu-pante, non è neppure ottimale, soprattutto se siconsidera che tale cifra si riferisce agli studenti me-glio preparati. Come si è già avuto modo di antici-pare, i risultati migliori si sono ottenuti nella sezio-ne riguardante le nozioni dove, mediamente, si èraggiunta la sufficienza con 6,3 risposte esatte su10. Decisamente più preoccupante è il quadro of-ferto dalla parte del questionario relativa alle com-petenze, i cui risultati, con una media di 4,6 risposteesatte su 10, sono decisamente insufficienti.

È dunque in questo ambito fondamentale chebisogna lavorare maggiormente, cercando nelcontempo di correggere i pregiudizi nei confrontidel Medioevo che, come dimostra la terza sezionedel questionario, ancora persistono tra gli studen-ti: ben il 39,4% degli intervistati lega infatti l’ideadi Medioevo al concetto di ignoranza diffusa. !

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La fantasia di un manuale delle elementari batte quella di Martinelli,regista del film Barbarossa: un carro da guerra falcato. Avventura 80,sussidiario per la classe IV, La Scuola, Brescia 1979, p. 73.

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partendo dallo studio delle testimonianze e deiresti che il passato stesso ci ha lasciato»2.

Ma a poco è servita, a quanto pare, l’avver-tenza del grande storico francese. Quei pregiu-dizi e stereotipi che collocano la preistoria fuoridalla storia mostrano infatti una notevole resi-stenza, il cui riflesso nell’insegnamento scolasti-co non sfugge a quanti reputano invece, peresperienza diretta o soltanto per personale con-vinzione, che le vicende dell’umanità antece-denti la comparsa della scrittura offrano straor-dinarie opportunità didattiche, che per altro siriallacciano a importanti tradizioni pedagogi-che e psicologiche3.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ca-pire come mai nell’insegnamento scolastico lapreistoria venga spesso (non sempre, e piutto-sto alle superiori che alle elementari) trascurata.Un buon punto di partenza possono essere al-cune brevi considerazioni relative a come lamateria viene presentata nei manuali di storiaper le scuole medie superiori.

Il primo aspetto da sottolineare è lo scarsissi-mo spazio dedicato a vicende che occupano bendue milioni e mezzo di anni, un tempo immensose paragonato alle poche migliaia di anni cui è in-

Le Indicazioni per il Curricolo della scuola dibase, del 2007, considerano fondamentale

per la formazione dei cittadini italiani leconseguenze del processo di ominazione edella transizione neolitica. Tre anni dopo, le

nuove Indicazioni per il Curricolo delleSuperiori rivelano il profondo cambiamento

dell’Amministrazione. La preistoria è esclusadagli argomenti imprescindibili e, in linea con

le Indicazioni del ministro Moratti (2003),viene espunta dalla Storia curricolare.

La preistoria a scuola. Pregiudizi, stereotipie potenzialità didattiche*

Massimo Tarantini

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tale per le scuole ele-mentari, medie e su-periori, in «I viaggi diErodoto», Quadernon. 10 (1995); A. Brusaet al., Fare Capire.

mento della preisto-ria si trovano in A.Brusa (a cura di), Vi-vere la preistoria.Moduli facili di ar-cheologia sperimen-

(2000), n. 283, pp.122-218. In italiano,descrizioni di labora-tori didattici e consi-derazioni pedagogi-che per l’insegna-

dell’archeologia ingenere, cfr. C. Malo-ne, P. Stone, M. Bax-ter (a cura di), Educa-tion in Archaeology,in «Antiquity», vol. 74

primo ciclo d’istru-zione, Roma 2007, p.80.3. Per una rassegnainternazionale relati-va all’uso didattico

* Relazione presenta-ta al convegno di Ve-naria Reale, «Storia ecittadinanza», marzo2008, organizzato dalMinistero per illu-strare le Indicazioniper il Curricolo.1. L. Febvre, Combatspour l’histoire, ArmandColin, Paris 1953 (poi inProblemi di metodo sto-rico, Einaudi, Torino1966; cit. a p. 178).2. Ministero dellaPubblica Istruzione,Indicazioni per il cur-ricolo per la scuoladell’infanzia e per il

Lucien Febvre, nel lontano 19531, sottolinea-va come non avesse senso distinguere tra storiae preistoria. In nulla infatti, se non nelle speci-fiche conoscenze richieste, si differenzia il me-stiere di coloro che studiano i tempi senza scrit-tura da quello in cui la scrittura diviene una fon-te di informazione privilegiata. E uguale è anchel’oggetto dei loro studi, ovvero, secondo la de-finizione data nelle Indicazioni per il curricolo,«comprendere e spiegare il passato dell’uomo,

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Osservazioni didatti-che sull’archeologiasperimentale, in Pro-ceedings of the XIIIUISPP Congress (For -lì, 8-14 September1996), vol. 5, sect. 18,Abaco, Forlì 1998,pp. 591-596; L. Landi,Raccontare la pre -istoria, Carocci, Ro-ma 2005.4. Cfr. G. Procacci,Carte d’identità, Ca-rocci, Roma 2005.

umana è stato ricondottoal modello detto «a cespu-glio» o cladistico, ovveroal modello valido perqualsiasi altra specie, mo-strando come l’evoluzio-ne umana sia avvenuta invirtù dei processi evoluti-vi (mutazione, selezione,speciazione, deriva, mi-

grazione e anche estinzione) normalmente mes-si in luce nel mondo naturale. L’eccezione, sem-mai, è nella realtà attuale: di norma infatti un ge-nere ha più specie in contemporanea, adattate anicchie ecologiche diverse, mentre noi sapienssiamo rimasti l’unica specie del genere Homo enon abbiamo una nicchia ecologica specifica.

Com’è possibile questo ridotto aggiorna-mento, anche da parte di autori (e editori) la cuiprofessionalità è fuor di dubbio? Sul caso speci-fico dell’evoluzione ha senz’altro agito una sortadi adesione inerte a un modello grafico di suc-cesso come la scala dell’evoluzione, che apparedifficile (o inutile) sostituire con una rappresen-tazione grafica di minor immediatezza come il

vece dedicato tradizio-nalmente l’insegnamentodella storia. Ma non si trat-ta, sia chiaro, solo di unaquestione quantitativa. Inquei due milioni e mezzodi anni potrebbe essereaccaduto poco o nulla dirilevante e allora pochedecine di pagine sarebbe-ro sufficienti o addirittura eccessive. Ma così nonè. In quell’immenso lasso di tempo si sono inveceverificati processi storici decisivi per la storia del-l’umanità, senza lo studio dei quali è impossibilecomprendere la nostra condizione attuale.

Tutto questo è trascurato a favore esclusivodi altre vicende e di altri processi storici. La strut-tura di fondo degli attuali manuali scolastici distoria è ancora in larga parte basata su un rac-conto standard incentrato sull’Italia e l’Europa esulle singole storie nazionali. Per i periodi piùantichi, invece, la scaletta fissa è quasi sempre:civiltà mesopotamiche/Egitto/Grecia/Roma. Leradici di questo racconto storico sembrano da ri-cercare in un assioma ben preciso, di matrice ot-tocentesca: la storia da insegnare è quella relati-va alla formazione della identità culturale e po-litica della nostra comunità nazionale. È una ten-denza di cui non abbiamo certo l’esclusiva e chesi ritrova nei manuali europei, indiani, giappo-nesi, russi, arabi...4

Il rifiuto della preistoria è frutto di stereotipi e pregiudizi

In questo quadro, il poco spazio dedicato al-la preistoria assume spesso i connotati di unabreve introduzione, talora improntata alla meracuriosità, con un’alta frequenza di stereotipi didiversa natura e un ridotto livello di aggiorna-mento. Quest’ultimo punto, in particolare, credosia doveroso sottolinearlo, perché è quasi imba-razzante – per un addetto ai lavori – leggere lepagine di preistoria di molti manuali di storia, ta-lora anche di quelli che sulla base dei dati del-l’Associazione italiana editori risultano essere trai più venduti. Per citare soltanto il caso più ecla-tante, l’evoluzione dell’uomo continua ad essereproposta secondo il modello lineare (Homo ha-bilis ! Homo erectus ! Homo sapiens [anzi, sa-piens sapiens, con il Neandertal ancora conside-rato sapiens neandertalensis]). Da circa una ven-tina d’anni, invece, il panorama dell’evoluzione

Il concetto di preistoria è uno dei più ridicoli che si

possano immaginare(Lucien Febvre)

“”

La copertina di un manuale cecoslovacco che rappresentadelle pitture preistoriche.

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cespuglio, per quanto questa sia la sola aderentealla realtà evolutiva (e anche con ben maggioripotenzialità didattiche5). Una adesione comoda,che permette di non alterare un racconto tradi-zionale profondamente radicato nel senso co-mune, inibendo un reale aggiornamento.

Ma perché accade tutto questo? Come èpossibile che sia data così poca attenzione allapreistoria, al punto che anche prodotti di puntadella nostra editoria scolastica sono a volte ag-giornati a venti e più anni fa?

Per rispondere compiutamente a questa do-manda sarebbe necessaria una lunga analisi delcome viene immaginata nella società contem-poranea la preistoria, esaminandone anzitutto inumerosi stereotipi6. Qui mi dovrò però limita-re a suggerire alcune ipotesi, che non si esclu-dono a vicenda:

1. la preistoria non è ritenuta importante percomprendere la nostra identità nazionale (oculturale o politica);

2. si sottovalutano i grandi progressi compiu-ti dalla ricerca archeologica, ormai da tempo ingrado di fare storia anche in assenza di fontiscritte;

3. la preistoria è ritenuta fuori dalla storia o,semplicemente, un tempo prima della storia(che poi è il senso, se preso alla lettera, del ter-mine stesso «preistoria»).

Nella sua radicalità, l’ultima ipotesi è quellasulla quale reputo opportuno soffermarmi, pro-vando a individuarne, seppur in maniera sche-matica, le radici molteplici. Probabilmente sullasua formazione ha operato la persistenza di pre-giudizi di natura classicista (lo studio della prei-storia non sarebbe altro che «la scienza deglianalfabeti», secondo la sprezzante definizionedata da Theodor Mommsen ormai centocinquan-ta anni fa), né sono estranee resistenze ancheforti di ambito cattolico, soprattutto in tema dievoluzione. Con altrettanta probabilità, sembraessere inoltre ancora operante un’idea di pro-gresso di stampo positivista, che vede la storiadell’umanità come una crescita progressiva dicomplessità. In quest’ottica, il momento delle ori-gini deve necessariamente essere semplice, “pri-mitivo”, come ben si coglie negli stereotipi oggidiffusi sull’uomo del Paleolitico, visto alla ricercacontinua e incerta di cibo, esposto agli agenti na-turali e all’aggressione degli animali7. A questielementi si aggiunge la sostanziale prevalenzanell’insegnamento di un’idea di storia legata allevicende politiche e militari, per la ricostruzionedella quale sono essenziali le fonti scritte.

L’efficacia formativa della preistoriaQuest’ultimo aspetto mostra come, per va-

lutare quale rilievo dare all’insegnamento dellapreistoria, sembri necessaria una più generaleriflessione su quale storia si ritiene importantedebba essere insegnata. Se infatti pensiamo chela storia da insegnare non debba essere néesclusivamente connessa alle vicende politico-militari (senza per questo voler sminuire l’im-portanza degli eventi), né unilateralmente de-terminata da esigenze identitarie (siano essenazionali, europee o altro); se viceversa ritenia-mo che anche gli aspetti relativi all’organizza-zione sociale, alle dinamiche economiche, alletecniche e ai modi di produzione, al rapporto

5. Passando dalla li-nea al cespuglio, in-fatti, non siamo più difronte a un modellobasato sui connettiviprima/dopo, ma aduno incentrato so-prattutto su analo-gie/differenze, basa-to dunque su un ra-gionamento di base(osservare ! descri-vere ! comparare)che può appartenerealle fasi elementaridella formazione. Ri-prendo queste osser-vazioni da A. Brusa,Le didattiche diffici-li, in A. Brusa, A. Fer-raresi, P. Lombardi (acura di), Un’officinadella memoria, Uni-copli, Milano 2008.Ringrazio AntonioBrusa per avermimesso a disposizionequesto scritto e per lapreziosa disponibi-lità al confronto.6. Cfr. W. Stoczkow-ski, La préhistoiredans les manuelsscolaires, ou notremythe des origines,in «L’Homme», 116(1990), pp. 111-135;A. Brusa, David e ilNeandertal. Gli ste-reotipi colti sulla

preistoria, in L. Sarti,M. Tarantini (a curadi), Evoluzione, pre -istoria dell’uomo esocietà contempora-nea, Carocci, Roma

2007, pp. 45-74; M.Tarantini, Il Neoliticonei manuali scola-stici di storia, in«Mundus. Rivista dididattica della sto-

ria», I, 1 (2008), pp.78-83.7. La struttura di fon-do di queste immagi-ni, che per alcuni a-spetti si origina addi-

rittura nel tardo Set-tecento, sembra mo-strare una notevolecontinuità: cfr. W.Stoczkowski, Essaisur la matière pre-

mière de l’imaginai-re anthropologique.Analyse d’un cas, in«Revue de Synthèse»,IV s., n. 3-4 (1992),pp. 439-457.

Massimo TarantiniLa preistoria a scuola. Pregiudizi, stereotipi e potenzialità didattiche

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Illustrazione da un manuale russo, che rappresenta laviolenza della vita nella Preistoria.

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8. Si vedano al proposito leconsiderazioni di Cesare Gra-zioli, Le rilevanze storiografi-che e la programmazione delcurricolo, in P. Bernardi (a curadi), Insegnare storia, Utet, To-rino 2006, pp. 58-76.9.C.M. Cipolla, The EconomicHistory of World Population,

Penguin Books, Harmond-sworth 1962(tr. it. Uomini, tec-niche, economie, Feltrinelli,Milano 19893).10.Vedi il dossiermonografi-co sul Neolitico da me curato epubblicato in «Mundus. Rivistadi didattica della storia», I, 1(2008), pp. 74-165.

con l’ambiente, siano importanti da insegnare,allora non vi sono ragioni per escludere o limi-tare l’insegnamento della preistoria.

Anzi: se uno degli obiettivi dell’insegna-mento scolastico è fare luce sui grandi processidella storia, allora la preistoria permette di ap-profondire significativamente questa prospetti-va. Non sembra possibile, infatti, trascurare mo-menti chiave dell’evoluzione delle società uma-ne che sarebbero da considerare tra quelle «ri-levanze storiografiche» sulla cui base program-mare il curricolo8:

1. l’emergere della nostra specie, la cui iden-tità si definisce nel tempo a partire da una seriedi caratteri ben identificabili (postura eretta edandamento bipede; opponibilità del pollice,che permette di creare strumenti e maneggiarela materia; linguaggio articolato; rapida diffu-sione e capacità di adattamento), nel quadro diun preciso rapporto con l’ambiente;

2. il «grande balzo in avanti» che si verifica apartire grosso modo dai 50.000 anni, con la dif-fusione di H. sapiens fuori dall’Africa, quandodavvero sembra di entrare nella modernità, perla rapidità (relativa) con cui vengono prodotteinnovazioni tecniche, sociali e concettuali (traqueste ultime vi è l’emergere dell’arte);

3. la grande trasformazione del Neolitico,che uno storico come Carlo M. Cipolla mettevain parallelo con la rivoluzione industriale9. As-sai lunga (ma comunque istruttiva) sarebbe unasemplice lista dei cambiamenti che si originaro-no allora: produzione diretta del cibo, da cuiconsegue un nuovo rapporto con la natura euna trasformazione del mondo animale e vege-tale e in genere del paesaggio; nuovi rapportisociali, che porteranno alla formazione dellespecializzazioni produttive e delle gerarchie/di-suguaglianze sociali; mutamenti profondi nelmodo di abitare, vestire, mangiare; insorgere dimalattie nutrizionali ed epidemiche infettive;crescita demografica, ecc.10

I PIGMEI. STEREOTIPI PREISTORICIAlberto Salza*

utte le popolazioni pigmee africane discenderebbero da un’unicapopolazione che fino a 20.000 anni fa abitava, senza soluzione di

continuità, un territorio che andava dalle coste atlantiche a quelle indianedell’Africa centrale. Questa popolazione si era peraltro separata da quellelimitrofe dedite all’agricoltura circa 60.000 anni fa. A stabilirlo è stata unaricerca internazionale coordinata dall’Institut Pasteur di Parigi, i cui risultatisono pubblicati sull’ultimo numero della rivista on line «PLoS Genetics». [...]I ricercatori, diretti da Lluis Quintana-Murci, hanno analizzato il profilogenetico di 12 popolazioni pigmee e degli abitanti delle aree ruralicircostanti ai loro territori, scoprendo che queste popolazioni hanno iniziatoa divergere geneticamente circa 60.000 anni fa, proprio in un periodo in cuisi stavano verificando importanti fenomeni migratori umani in Africa1.

Un mio commentoLe “popolazioni limitrofe” sono oggi dedite all’agricoltura in aree ruralicircostanti. Inoltre, le analisi linguistiche evidenziano come le popolazioni delgruppo bantu della zona arrivino da aree esterne a quelle oggi abitate daipigmei. Non si capisce proprio come tale divergenza possa risalire a 60.000anni fa, momento finale della migrazione verso l’Europa di Homo sapiens apartire dall’Africa, dal momento che le genti parlanti il bantu arrivarono quiin tempi storici relativamente recenti in funzione dello sviluppo dellametallurgia del ferro. La comparazione è stata fatta tra carote e patate(pigmei e bantu), in quanto le popolazioni pigmee della foresta equatorialee i gruppi parlanti il bantu si sono mescolati geneticamente per parecchiotempo, ma non certo prima di 60.000 anni fa; inoltre è possibile che oggi lepopolazioni miste conservino parti del genoma di altre popolazioniautoctone estinte.Le valutazioni dei ricercatori diretti da Lluis Quintana-Murci sono state fattesu gerarchie genetiche verticali trasformate in orizzontali. Un grave erroreepistemologico che fece a suo tempo Cavalli Sforza comparando il genomadi africani ed europei. Gli africani, ceppo originario, “contengono” gli europei,ma non viceversa; potremmo dire che gli africani sono il mazzo di carte alcompleto, mentre gli europei sono geneticamente “fatti” a partire dai 5 e dai7 migrati dal mazzo a suo tempo.Il fatto poi che popolazioni di cacciatori raccoglitori (a mio parere per tipo difisico e cultura analoghe ai San, come dimostrato da alcuni crani reperibilial museo di Khartoum e da alcuni resti marocchini, per non parlare dellepitture rupestri sahariane) abitassero tutta l’Africa è assodato da anni, ed èuno dei miei cavalli di battaglia. Le ultime popolazioni che hanno conservatotratti di questa base originaria sono, da Ovest a Est: Bassari (tra Senegal eMali); Bozo (Mali); Tellem (oggi inglobati tra i cosiddetti Dogon); tutte lepopolazioni pigmoidi, tra Camerun e Rdc (Congo); Okiek (un tempo dettiNdorobo, Kenya); Hazda e Sandawe (Tanzania); Bon (Etiopia e Somalia).Naturalmente, i San del continente australe ne sono il paradigma. Conquesto elenco abbiamo fatto un vero e proprio coast-to-coast. Un trattoculturale analogo appare in tutte queste popolazioni africane: l’onnipresentemitologia da cavernicoli (meno evidente, ovviamente per ragioni ambientali,nelle popolazioni di foresta). !

* Alberto Salza è autore dell’Atlante delle popolazioni, Utet, Torino 1997.1. http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/articolo/1337910, 10 aprile 2009,corsivi miei.

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corrimano

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storia dell’alimentazio-ne si può entrare age-volmente nel vissutoquotidiano: la tazza cheusiamo la mattina ha lesue radici nella cerami-ca neolitica, la magliache indossiamo è statatessuta in un modo nonmolto diverso da quello

messo a punto nel Neolitico. Stesso discorso ri-guarda l’alimentazione: è studiando il Neoliticoche capiamo come i cereali, i legumi e tutta unaserie di altre piante, ma anche il latte, il sale ela carne di allevamento con i suoi grassi saturi,entrino nella nostra dieta;

f) una situazione “semplice” come quelladella preistoria permette di isolare gli elementicostitutivi della storia e delle società umane, co-me ha lucidamente sottolineato Mario Liverani:«per studiare un fenomeno storico, che è sem-pre complesso, bisogna isolarne (come fannogli scienziati) gli elementi costitutivi, uno peruno, e questi elementi costitutivi sono più facil-mente visibili nelle situazioni meno complesse,come sono quelle delle società arcaiche e dellefasi iniziali d’esistenza di un dato fenomeno»14.Si possono così far comprendere aspetti impor-tanti: ad esempio, il concetto di strumento e ilruolo importante della tecnica; cos’è l’econo-mia e come muta nella storia (caccia/raccolta,agricoltura/allevamento, ecc.); le basi dell’orga-nizzazione sociale, con l’emergere delle specia-lizzazioni e delle gerarchie sociali; l’importanzadel rapporto con l’ambiente (pensiamo alloscenario in cui avviene l’emergere del genereHomo o ai mutamenti che avvengono con ilNeolitico), e così via;

Con altrettanta schema-ticità, a questo punto, pro-vo a mettere a fuoco alcu-ne potenzialità didatticheofferte dallo studio dellapreistoria:

a) anzitutto, la preisto-ria rappresenta il primomomento di studio scolasti-co della storia e nella suatrattazione si mettono dunque a fuoco alcuniconcetti fondamentali del ragionamento storico;

b) la preistoria (e in genere l’archeologiasperimentale) si presta felicemente alla costru-zione di laboratori, sulla cui importanza le In-dicazioni si soffermano particolarmente, sotto-lineando la necessità di stimolare un ruolo atti-vo dello studente nel quadro di attività collabo-rative11. I laboratori, basati sui presuppostidell’«imparare facendo», offrono oltretutto lapossibilità di stimolare le abilità manuali, daconsiderare elemento integrato con lo sviluppodelle capacità intellettive12;

c) l’uso didattico dell’archeologia in genere,e di quella preistorica in particolare, offre ottimeopportunità per attività incentrate sull’osserva-re/descrivere/comparare e, quindi, sull’indivi-duazione di nessi basati sul riconoscimento disomiglianze/differenze. A partire da questi nessisi possono stimolare anche abilità inferenziali13;

d) la preistoria offre quasi sempre la possi-bilità di partire da documenti e scavi locali, perricavarne conclusioni generalizzabili a tutto ilgenere umano;

e) lo studio della preistoria (in particolaredel Neolitico, in questo caso) permette di par-tire dalla vita quotidiana degli studenti. Attra-verso lo studio della cultura materiale e della

L’insegnamento della preistoria

appare fondamentale per una storia di tutti

gli uomini

“”

Le palafitte sul lago, secondo uno stereotipo antico, maancora ben vivo. F. Ciarlantini, Storia, classe IV,Mondadori, Milano 1929, p. 6.

Ancora un’immagine che mostra uno degli stereotipi piùdiffusi: quello delle palafitte, in E. Giachino, S. Guglielmotto,Umane genti, vol. 1, Lattes, Torino 1964, p. 3.

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Massimo TarantiniLa preistoria a scuola. Pregiudizi, stereotipi e potenzialità didattiche

11. Cfr. ad esempioIndicazioni cit., pp.45-46.12. Non è nemmenoda trascurare il fattoche alcuni laboratori(ad esempio quellisulla ceramica) of-frono la possibilitàdi far cogliere i tem-pi di produzione dialcune categorie dimanufatti.13. Rinvio ai testi ci-tati supra, alla nota 2, per considerazionipiù estese e puntualisu questi aspetti.14. Cfr. M. Liverani, IlVicino Oriente anti-co, in A. Brusa, L.Cajani (a cura di), Lastoria è di tutti, Ca-rocci, Roma 2008.

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Un uomo di Neanderthal raffigurato con un aspetto triste.Tale ricostruzione è attribuita alla ricerca scientifica dalsussidiario per la scuola elementare Unità di lavoro per laclasse III, ed. Aristea, Milano 1979, p. 167.

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cazioni, nonché G.Bocchi, M. Ceruti, E-ducazione e globa-lizzazione, Cortina,Milano 2004.18. Indicazioni cit.,p. 17.

naudi, Torino 1992,p. IX.17. Indicazioni cit.,p. 22. Ma su questoproblema fondamen-tale, cfr. per intero lepp. 20-22 delle Indi-

15. Indicazioni cit.,p. 20.16. L. Gallino, L’in-certa alleanza. Mo-delli di relazioni trascienze umane escienze naturali, Ei-

g) lo studio della preistoria è un terreno sulquale si incrociano molte discipline (sia umani-stiche che naturalistiche), offrendo possibilitàinterdisciplinari non banali. Le Indicazioni sot-tolineano a più riprese l’importanza di forniregli strumenti e le occasioni per operare una«connessione fra i saperi»15, sempre più neces-saria per andare oltre quella che Luciano Galli-no ha definito la «frammentazione cognitiva delmondo»16. Queste opportunità interdisciplinariben si sposano, inoltre, con la prospettiva, dapiù parti auspicata, di creare un’area geo-stori-co-sociale.

Oltre a queste potenzialità didattiche, è dasottolineare in conclusione che grandi processistorici come l’emergere del genere Homo, il«grande balzo in avanti» e la trasformazioneneolitica – ovvero le rilevanze storiograficheche invitavo a considerare nella programmazio-ne del curricolo – riguardano il genere umanonel suo insieme. Il loro insegnamento apparedunque fondamentale per una storia di tutti gliuomini (una «storia globale dell’umanità», si leg-ge nelle Indicazioni17) e non di singole comu-nità nazionali o culturali: una storia che apparesempre più necessaria sia per «educare alla con-vivenza»18 sia per sostenere cambiamenti chenon possono essere affrontati che dalla specieumana nel suo insieme. !

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Da Omeroa Caparezza:

l’uso pubblico del mondo antico

nella musica italianaLaura Rizzo

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1. S. Pivato, La storialeggera. L’uso pubbli-co della storia nellacanzone italiana, IlMulino, Bologna2002.

che le hanno conferito notevole dignità. Scritto-ri e poeti si sono spesi nell’elaborazione di testi(Roversi, Calvino, Rodari, alcuni esempi); lastessa grande stagione di cantautori, a partiredalla fine degli anni Sessanta, ha intrecciato pa-role e musica con maestria.

Le sezioni finali dei libri di letteratura utiliz-zati nelle scuole, dedicate al Novecento, ripor-tano oggi come esempi di poesia italiana i testidelle canzoni di Dalla, De André, Guccini, Fos-sati, accanto a Ungaretti, Montale e Saba.

Ma la storia? Stefano Pivato1, in un saggiodedicato all’uso pubblico della storia nella can-zone italiana, scrive: «nonostante l’autorevolez-za di alcuni giudizi, la musica come “produttri-ce” di senso comune storico è però curiosa-mente rimasta ai margini di uno dei dibattiti piùsignificativi che ha animato la comunità scien-tifica negli anni recenti: quello dell’uso pubbli-co della storia». Secondo la visione di Pivato, seil cinema, la televisione e la carta stampata han-no assunto un ruolo determinante nell’ambitodella comunicazione mediatica della storia, lamusica ancora no. Lo spostamento che pianpiano si sta avendo dai mezzi tradizionali, il li-bro, a quelli ritenuti meno convenzionali, i me-dia, per la diffusione della storia è un processolento ma inevitabile. Non si può ignorare la so-cietà che ci circonda, né la realtà stessa dei ra-gazzi, diretti fruitori della storia e abili gestoridella tecnologia. È dunque necessario parlareanche di storia attraverso la musica.

Storia e canzonetta: un binomiopossibile?

Se prendiamo in esame il panorama musica-le italiano, dai primi del Novecento fino ad oggi,vediamo come i testi delle canzoni abbiano rac-contato la storia in vari modi: come testimonian-za sociale di un’epoca, specchio della realtà dacui sono prodotti; come riferimento, archetipo acui ispirarsi; colorandola politicamente a secon-da delle tendenze di partito e ideologie militanti;come metafora per raccontare; ed anche comeocchio disincantato e divertissement (ugual-mente carico di significato). Ma come? In chemodo? Con quali finalità? Si può parlare di usopubblico della storia all’interno della musica, e,nello specifico, nelle canzoni? Può un genere“leggero” come la canzonetta assurgere a “fonte”per raccontare la storia?

Se fossero soltanto canzonette, non starem-mo qui a parlarne. E invece, soprattutto nel-l’ambito della musica italiana, la forma canzoneha indossato diversi vestiti, è stata modulata sucerti adagi, ha goduto di importanti parolieri

Musica e storia viaggiano su due binariparalleli che, tuttavia, si intersecano di

frequente. Questo fenomeno permette aldocente di considerare la musica come un

possibile strumento, per attirare i giovaniverso la storia.

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2. E.J. Hobsbawm, Ilsecolo breve. 1914-1991: l’era dei gran-di cataclismi, Rizzoli,Milano 1995, pp. 14-15.

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La storia anticanella canzoneitaliana

A quest’ultimacategoria appartieneil racconto che lacanzone italiana fadella storia antica:sia il mito che la sto-ria greca e romanahanno illustri esempi

nelle canzonette. È curioso vedere come deter-minati personaggi abbiano assunto, nel corsodegli anni e, soprattutto, in relazione alla sensi-bilità dell’artista che li ha cantati e messi in sce-na, un diverso vestito. Come siano stati utilizzatii loro atteggiamenti, le loro caratteristiche, i tic,le manie. Come il messaggio sotteso alla storiasia suscettibile di modifiche e cambiamenti. Ilrisultato, però, è sempre interessante: artistache vai, personaggio che trovi, l’arte dell’inter-pretazione è premessa necessaria al raccontodella storia. Da Omero ai giorni nostri.

Ci sono delle ricorrenze nella scelta dei sog-getti. Personaggi storici e mitici che tornano adanimare le canzoni italiane, evocando, alluden-do, trasfigurando. Così accade per Orfeo ed Eu-ridice, il mito del cantore e della sua amata ninfa,morta a causa del morso di un serpente e discesanegli Inferi. Disperato per la morte della sposa,Orfeo con il suo canto commuove Persefonestessa, regina del mondo dei morti, ottenendo dalei di scendere nell’Ade per riprendersi l’amata.L’unica condizione è non voltarsi lungo il cam-mino. Impaziente, però, Orfeo si gira per guar-dare la sua sposa ed Euridice svanisce nell’om-bra. Una versione diversa, capovolta, di questomito la offre Roberto Vecchioni, cantautore mi-lanese. Nella sua Euridice, è Orfeo a parlare inprima persona. Ed è sempre Orfeo a decideredeliberatamente di voltarsi per lasciare la moglienegli Inferi. La sua è una veste moderna, nuovoabito del mitico personaggio che opera una scel-ta e non è soggetto più al volere degli dèi.

L’uso che si fa, nel testo di Euridice, del futu-ro semplice, aiuta a comprendere, a interpretareil pensiero del cantore greco. La sua meditazio-ne: «Morirò di paura / a venire là in fondo, / ma-ledetto padrone / del tempo che fugge, / delbuio e del freddo: / ma lei aveva vent’anni / e fa-ceva l’amore, / e nei campi di maggio, / da quan-do è partita, / non cresce più un fiore... / [...]».

La musica che giraintorno

A dispetto delle re-ticenze e delle diffi-denze diffuse, le can-zoni come strumentodi comunicazione sto-rica hanno moltissimicanali di espressione.Pivato, nel suo saggio,cerca di spiegare ilperché dell’ostracismo subito dalla musica,dando alcune linee generali riguardanti pro-prio il mondo dei giovani e la percezione cheoggi si ha della storia stessa, materia ostica edifficile da digerire. L’analisi lucida di Pivatoprende le mosse da una frase di Eric Hobs -bawm, storico del Novecento, il quale afferma:«la maggior parte dei giovani alla fine del seco-lo è cresciuta in una sorta di presente perma-nente, nel quale manca ogni rapporto organicocon il passato storico del tempo in cui vivono»2.In questo sentiero si muove Pivato, sostenendocome in un’epoca di «perdita di memoria stori-ca», di completo oscuramento del passato, can-tanti e cantautori possano oggi svolgere la fun-zione di “storici”, data la grande vicinanza deigiovani alla musica. Altamente condivisibile,da parte nostra, pensare a questo e a quanto lacanzone abbia detto e fatto, in modo volonta-rio o totalmente inconscio. Il consumo dellamusica è aumentato notevolmente. In partico-lare grazie all’avvento di nuovi mezzi che per-mettono a chiunque di avere in tasca un picco-lissimo aggeggio (l’I-pod) contenente quantitàelevate di canzoni e di possedere in pochi gestie attraverso il web, tutta la musica desiderata“scaricandola” direttamente sul proprio Pc (trametodi legali e pirateria). La diffusione musica-le, oggi, tocca dati così alti che, passati i tempidel vinile, si rischia addirittura di cadere nelprocesso inverso: nausea e indigestione. Inquesto panorama sonoro e mediatico, la can-zone si aggira libera di raccontare, sapendo be-ne di essere ascoltata e recepita dal suo pub-blico, anche la storia, cantando del suo tempoo alludendo a epoche passate e a personaggistorici, col diverso obiettivo di raccontarli, tra-sfigurarli, reinterpretarli, oppure utilizzarli co-me riferimenti, modelli, metafore del tempo at-tuale.

Nel nuovo panorama sonoro, la canzone si aggira libera di

raccontare anche lastoria

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Laura RizzoDa Omero a Caparezza: l’uso pubblico del mondo antico nella musica italiana

Ma il personaggio storico/mitico a cui è sem-pre rivolta grande attenzione è Ulisse. L’Odisseadi Omero, molto più dell’Iliade, rappresentamateria di studio, terreno fertile per rielabora-zioni e metafore: grande viaggio, spostamentoda casa, eroe in mezzo al mare che supera osta-coli e pericoli, moglie e figlio a casa che aspet-tano il ritorno, amore coniugale, tentazioni, ri-torno. Quello che importa è il simbolo e il “mo-do” attraverso il quale viene veicolato: la storiadi Ulisse contiene diverse metafore che, di voltain volta, a seconda delle esigenze, sono utilizza-te. E la storia, così, diventa strumento di cono-scenza. Itaca, canzone scritta da Lucio Dalla(dello stesso autore ricordiamo anche Ulisse co-perto di sale), disegna un ritratto dell’eroe ome-rico attraverso altri occhi: sono gli occhi del ma-rinaio che segue fedelmente il suo capitano inmezzo al mare (simbolo di grandi avversità eprobabili sventure), che divide con lui la gior-nata, i pericoli, la paura e la voglia di ritornarea casa. Ma la posizione è totalmente differente:entrambi sopportano la stessa condizione (ilviaggio, la solitudine, la paura di morire, la lon-

tananza da casa): «capitanoche hai negli occhi il tuonobile destino / pensi maial marinaio / a cui mancanpane e vino / capitano chehai trovato / principesse inogni porto / pensi mai alrematore / che sua mogliecrede morto»; ma gli esitisono differenti: «capitano

le tue colpe / pago anch’io coi giorni miei /mentre il mio più gran peccato / fa sorridere glidèi, e se muori è un re che muore / la tua casaavrà un erede / quando io non torno a casa / en-tran dentro fame e sete».

Odysseus, di Francesco Guccini, racconta unUlisse insolito. Il cantautore di Pavana raccoglieper strada tutti i riferimenti letterari più colti, daOmero («concave navi dalle vele nere»), a Dante(«dei remi facemmo ali al folle volo»), passandoattraverso Foscolo («la petrosa isola»), per ela-borare la sua idea di Ulisse: «Bisogna che lo af-fermi fortemente / che, certo, non appartenevoal mare / anche se dèi d’Olimpo e umana gente/ mi spinsero un giorno a navigare». E in questiprimi versi c’è tutto: l’ambiguità del personag-gio, la condizione umana che soggiace al voleredegli dèi e, soprattutto, la voglia di avventura di

E in seguito la scelta: «Ma non avrò più laforza / di portarla là fuori, / perché lei adessoè morta / e là fuori ci sono luce e colori: / dopoaver vinto il cielo / e battuto l’inferno, / basteràche mi volti / e la lascio nella notte, / la lascioall’inverno... / [...]».

Nella veste più classica, invece, è l’Orfeo diCarmen Consoli. La traccia sembra specchio diquella di Vecchioni: qui è Euridice (o comun-que un personaggio femminile) a parlare e achiedere al cantore greco di salvarla, di portar-la via, di riprenderla e portarla alla luce del so-le. È giunto il momento della rinascita e lei siaffida al canto e alle mani calde di Orfeo pertornare in superficie: «Sei venuto a riprendermi/ Orfeo malato dai forza e coraggio al tuo cantoeccelso / Portami con te non voltarti / condu-cimi alla luce del giorno / portami con te nonlasciarmi / io sono bendata ma sento già il ca-lore / è il momento di svegliarmi / è tempo dirinascere».

Nella coloratissima e multiforme arte di Vi-nicio Capossela, formidabile artista e narratoredi storie, c’è spazio anche per il mondo antico.Medusa cha-cha-cha è unricamo divertentissimodella donna coi capelli diserpente e lo sguardo pie-trificante. La storia è gio-cata sul ritmo allegro eondeggiante del cha-cha-cha (e niente è scelto acaso) e le parole simulanole avances della donnache, per vendetta nei confronti di chi le ha in-flitto questa pena, invita gli uomini, poverisventurati, a guardarla negli occhi, fino a restare“di sasso”: «mi piacciono i ragazzi, un tipo unpo’ geloso / mi ha appiccicato al volto questosguardo odioso / affascinante, ma difettoso /chi lo guarda non lo sa, non lo sa, / non lo sa,ma diventa un baccalà; / [...] fatti tentare / daquesto cha cha tentacolare / i serpenti sono unascusa / se non lo balli sarò scontrosa, riformosa/ ma generosa, decisamente fusa / il cha chacon la medusa / chi l’ha provato più non riposa/ [...] Non guardarmi, non guardarmi negli occhiper favore / ma solo ba, solo ba, solo baciamitesoro / eccoci un altro che ci è caduto / per unpoco non m’ha ba-cha-cha-to / è restato tuttoagghiacciato / o mamma mamma come devofar / un altro sasso dovrò abbracciar [...]».

Sei venuto ariprendermi / Orfeomalato dai forza e

coraggio al tuo canto eccelso

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post-it», non le interessa il gossip, «l’idea di farcarriera non la sfiora» e «se mette pancetta nonfrigna», mentre lui grida forte nel ritornello: «edio non sono Ulisse, io non so resisterle, slega-temi e gettatemi giù».

Fuori dal tunnel?Dagli anni Sessanta e Settanta ad oggi, dun-

que, la canzone italiana continua ad attingere amodelli storici e mitici, col duplice intento dinarrare e confrontarsi col passato.

Di esempi se ne potrebbero fare molti altri,ma se queste tracce musicali prese in esame so-no bastate a comprendere il modo in cui musi-ca e storia possano viaggiare insieme, congiun-gendo e scambiando quei binari citati in aper-tura, lasciando aperti varchi, gallerie e passaggia livello, permettendo a personaggi mitici di in-filarsi nelle orecchie di milioni di ragazzi, la-sciando (si spera) un segno, allora potremmosperare di essere «fuori dal tunnel», come direb-be Caparezza. !

un uomo che si spinge nel mare, pur apparte-nendo, per nascita, a luoghi di montagna. Lastessa voglia di avventura che lo porta lontano,senza restare intrappolato nei versi di Omero:«solo leggende perse nella notte / perenne dichi un giorno mi ha cantato / donandomi peròun’eterna vita / racchiusa in versi, in ritmi, inuna rima / dandomi ancora la gioia infinita / dientrare in porti sconosciuti prima».

E se l’Ulisse cantato dalla PFM conserva an-cora i tratti originari («nessuno può capire unporto / se non sa il mare che cos’è / e a casanon ritornerei / con le nuvole sogno di andarevia / dai palazzi di vergogna / dalle strade diipocrisia / amore un’isola prima o poi ti darò /per ogni lacrima che per me verserai / sulla teladei sogni tuoi [...]»), l’Ulisse di Caparezza si tra-sforma in un eroe post-moderno, stregato daIlaria, una ragazza per niente alla moda e nonal passo con i tempi, tanto da non riuscire a re-sisterle. Lei non possiede un blog, non ha unmyspace, «non civetta nella webcam», «scrive sui

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Nave da guerraateniese nelparticolare di unvaso attico, V sec.a.C.

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Il saccheggio1

Sebbene la Convenzione dell’Aja stabiliscadal 1954 che «i gravi danni arrecati ai beni cul-turali, a qualsiasi popolo essi appartengano,costituiscono danno al patrimonio culturaledell’umanità intera, poiché ogni popolo contri-buisce alla cultura mondiale» e prescriva unaserie di misure da adottare per la loro prote-zione in caso di conflitto armato, da nessunadelle parti coinvolte furono adottate in quel ca-so misure per proteggere un museo che custo-disce alcune fra le testimonianze più antichedella storia dell’umanità. L’episodio è diventatoparadigmatico di una generale trascuratezza e

assenza di tutele in cui versa il patrimonio cul-turale di molte aree interessate da crisi militari(ved. recensione su «Archaeology»). Va ricorda-to infatti che l’Iraq, gli Stati Uniti e la Gran Bre-tagna hanno ratificato la Convenzione dell’Aja.E incredibilmente sono solo tre i siti iracheni:Hatra, Mossul e Samarra (questi ultimi solo nel2003 e 2007), che hanno ricevuto dall’Unescoil titolo di World Heritage, nonostante l’Iraqerediti gran parte del territorio dell’antica Me-sopotamia, unanimemente riconosciuta comela «culla della civiltà».

È bene sottolineare che la spoliazione delpatrimonio culturale iracheno ha avuto inizioall’indomani della prima guerra del Golfo. Do-po che l’esercito iracheno fu fatto arretrarenell’area compresa fra il 32° e il 36° parallelo(la cosiddetta «No-Fly Zone»), ampie zone ar-cheologiche rimasero incustodite. L’embargoimposto dall’Onu e protrattosi ininterrottamen-te fino al 2003 portò inoltre all’impoverimentodi ampie fette della popolazione, soprattuttoquella rurale, e spinse un numero sempre mag-giore di persone a dedicarsi all’attività, illegalema ben remunerata, di scavo e commercio diopere d’arte.

1. Un dettagliato re-soconto dei giorni incui avvenne il sac-cheggio si può trova-re in F.M. Fales, Sac-cheggio in Mesopota-

mia, Forum, Udine2004, pp. 299-308,dove vengono messiancora una volta in ri-lievo sia il diretto co involgimento delle

truppe occupanti nel-le razzie sia la loro ne-gligenza nell’impedi-re che le compisserogli iracheni.

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Archeologia in Iraq tra guerra e preservazione

Salvatore Viaggio

Quando nell’aprile del 2003, nel pienodella crisi irachena, la violenza delle

immagini del saccheggio dell’Iraq Museumdi Baghdad si diffuse in tutto il mondo, si

risollevò con ancora maggiore urgenza laquestione della preservazione dei beni

culturali in aree di guerra.

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ARCHIVI DIGITALI DELL’ASIAOCCIDENTALE ANTICA

applicazione delle tecnologie informatiche alla conservazionedei beni culturali si è spinta già da tempo oltre la semplice

catalogazione digitale, che tuttavia ha raggiunto livelli molto alti diraffinatezza.La pubblicazione on-line di archivi, cataloghi e inventari ha consentitoun accesso più agevole agli specialisti del settore – al punto che oggimolti importanti cataloghi digitali sono curati da specialisti di diversipaesi del mondo, che interagiscono solo attraverso Internet – e unapiù facile consultazione da parte di studiosi e semplici visitatori.Alcune tecnologie, mutuate dall’ingegneria industriale, come laprototipazione rapida (creazione di un prototipo virtuale tramitel’acquisizione con il laser-scan), hanno consentito di avere copietridimensionali talmente accurate da permettere la visione o unostudio a distanza, e finanche di fornire cloni i quali, ancorché utili perscopi didattici, potrebbero diventare, in caso di scomparsa delreperto, l’unica memoria materiale dell’originale.Simili sistemi sono stati ripresi anche dai progetti dedicati allaconservazione dei beni culturali iracheni.Il Brila (Bureau for Recovering and Investigating Iraqi LootedAntiquities) del Centro ricerche archeologiche e scavi di Torino (Crast),in collaborazione con il Nucleo tutela patrimonio artistico dell’Armadei Carabinieri, elenca reperti trafugati sin dagli anni Novanta, dopo laPrima guerra del Golfo. Il Cdli (Cuneiform Digital Library Initiative), promosso dalla Universityof California di Los Angeles in collaborazione con il Max PlanckInstitute di Berlino, digitalizza dal 2000 tutta la documentazioneconosciuta scritta in cuneiforme (che consta di circa 500.000 tratavolette d’argilla e altri tipi di supporti scrittori), comprese circa11.000 tavolette dell’Iraq Museum. L’archivio digitale dell’Oriental Institute di Chicago, Lost Treasures fromIraq, creato all’indomani del conflitto, raccoglie solo gli oggettiarcheologici contenuti nel museo e noti dalle pubblicazioniscientifiche.La rivista internazionale «Minerva», nella sua sezione dedicata Focuson Iraq (a cura di Jerome M. Eisenberg), aggiorna sull’entità dei repertitrafugati in Iraq a partire dal 2003.Il progetto «Duplicazione e Rinascita» associa a un database di circa20.000 tra tavolette cuneiformi e reperti archeologici dell’IraqMuseum, curato dal Laboratorio di Assiriologia dell’Università di Pisa,un sistema, gestito dall’Enea, che permette di visionare le tavolette in3D e realizzare matrici da cui creare copie materiali. !

L’

Tali attività, contrastate debolmente dalle auto-rità irachene negli anni Novanta, si sono intensifi-cate con l’inizio della seconda guerra del Golfo,concentrandosi nell’area centro-meridionale delpaese, in siti di grande importanza storica comeUr, Lagash, Kish, Umma, Isin. L’archeologa Eliza-beth Stone stima che l’area scavata illegalmente siadi circa 50 milioni di km quadrati. È impossibilefare una stima del materiale sottratto e immessonel mercato antiquario. In totale sono quasi cin-quanta i siti danneggiati o saccheggiati nel paese,tra cui risaltano quelli di Ur (schegge di missilihanno colpito la parete orientale della ziqqurat su-merica), di Babilonia (i carri armati americani han-no danneggiato la via processionale di Ishtar), diNimrud e Ninive (rottura di ortostati neo-assiri), diHatra (rottura di statue di epoca ellenistica), di Sa-marra (danni al minareto di epoca islamica).

Per quanto riguarda il patrimonio museale, deicirca 500.000 pezzi conservati nei depositi dell’IraqMuseum di Baghdad ne sono stati trafugati circa10.000 (la stima non è definitiva, ma, “fortunata-mente”, non è di 170.000 come inizialmente si eradetto)2. Danni e spoliazioni di notevole entità sonostati subiti (come già nella Prima guerra del Golfo)anche dai musei di Bassora, Mossul e Nassiriya,meno famosi ma con reperti di grande valore.

L’intervento purtroppo tardivo delle forze del-l’ordine americane e irachene, supportato da quel-le di altri paesi occupanti o alleati (fra cui i nostriCarabinieri), e donazioni spontanee, agevolate dal-la garanzia di impunibilità, hanno permesso di re-cuperare finora circa 4000 reperti. Tuttavia, il recu-pero degli altri pezzi si prefigura molto difficoltosoe probabilmente impossibile, dal momento che ilgoverno iracheno è in grado di offrire solo fino a4000 dollari per un singolo pezzo, quando il valoreeffettivo di alcuni reperti può raggiungere moltimilioni di dollari (nel 2007, da Sotheby’s, un leonedi calcare di nemmeno 10 cm è stato venduto per57 milioni di dollari)3.

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2. In particolare: a) manca il2% dei 490.878 reperti con-servati nei magazzini; b) è sta-to sottratto il 5% dei 1140 re-perti esposti nelle vetrine almomento del saccheggio. Icirca 9000 reperti conservatinei caveau della Banca Cen-trale di Baghdad e in ubica-

zioni segrete prima dell’inva-sione sono stati recuperatiper intero. 3. http://www.nydailynews.com/news/us_world/2007/12/06/2007-12-06_ancient_limestone_lion_goes_for_whopping.html

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Salvatore ViaggioArcheologia in Iraq tra guerra e preservazione

ni interventi di monitoraggio e preservazionedei principali siti archeologici iracheni.

È stata istituita un’apposita guard force, mai circa 1400 addetti (finanziati anche dall’Une-sco) sembra siano largamente insufficienti e fa-cilmente attaccabili dalle bande armate ancoraattive sul territorio. Dal 2007 il governo irache-no ha inoltre autorizzato una decina di missio-ni archeologiche nel sud del paese con lo sco-po di monitorare lo stato delle devastazioni erecuperare il possibile dopo gli estensivi sac-cheggi.

Parallelamente si è reso urgente un censi-mento sia delle dotazioni museali nel loro com-plesso sia dei beni rubati o danneggiati, opera-zione resa difficile anche dalla pressoché totalemancanza di supporti informatici e digitali perla catalogazione e di personale specializzato.

Alcune banche dati e dei cataloghi virtualierano stati predisposti già da prima della guerra,come quelli del Centro ricerche archeologiche escavi di Torino (Crast) e della University of Ca-lifornia di Los Angeles; all’indomani del conflittosi sono aggiunti alcuni cataloghi specializzatinel censimento dei reperti mancanti, comequello dell’Oriental Institute di Chicago e dellarivista internazionale d’arte «Minerva» di Londra(vedi box, p. 29). Numerosi corsi di formazionea studiosi, archeologi e specialisti iracheni sonostati attivati in molti paesi europei e negli StatiUniti. Finanziamenti, donazioni di materialeinformatico e di attrezzature specialistiche sonostati fatti da numerosi paesi di tutto il mondo.

Il contributo dell’Italia nell’attività di coordi-namento, di monitoraggio, di tutela e di restau-ro è stato rilevante in termini quantitativi e qua-litativi. Due diplomatici italiani, Pietro Cordonee Mario Osio Bondioli, con il supporto dei Mi-

Le contromisureL’emergenza della seconda crisi irachena –

che, a dispetto della progressiva scomparsa diinformazioni a riguardo nei principali mass me-dia, continua tutt’oggi – ha stimolato interventie progetti da parte di studiosi e organismi di tut-to il mondo. L’Iraq si è così proposto come unostraordinario laboratorio in cui far convergerele migliori esperienze internazionali nei campidella preservazione, del recupero e della con-servazione dei beni culturali. Ma, con granderammarico, e in conseguenza della sostanzialeinstabilità e mancanza di sicurezza, i risultati so-no stati finora troppo modesti anche rispetto al-le risorse finanziarie e progettuali messe incampo.

All’indomani del conflitto, unitamente alleattività di investigazione dell’Interpol, dell’Fbi edell’Unesco tese a bloccare il commercio illega-le internazionale, il governo provvisorio primae quello iracheno dopo hanno approntato alcu-

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4. Ministero degli Affari esteri - Direzione generale per i pae-si del Mediterraneo e del Medio Oriente/ Task Force Iraq(Dgmm/Tfi).

nisteri italiani per i Beni culturali e degli Affariesteri, hanno diretto il Dipartimento degli Affariculturali iracheno durante la fase di reggenzaprovvisoria dal maggio 2003 all’aprile del 2004.Un’articolazione dedicata del Ministero degliAffari Esteri4 ha coordinato il lavoro di vari entiche avevano maturato esperienza in Iraq incampo archeologico e filologico. Il succitatoCrast, diretto da Giorgio Gullini e poi da Anto-nio Invernizzi, si è occupato anche del restaurodi alcuni pregevoli reperti danneggiati duranteil saccheggio del Museo di Baghdad (tra cui lafamosa «Dama di Uruk», il vaso cultuale di Ishtare il leone del tempio cittadino di Tell Harmal)e del riallestimento di quest’ultimo. Il Cnr di Ro-ma ha creato un portale attraverso cui è possi-bile visitare virtualmente i principali siti irache-ni dall’epoca preistorica a quella islamica. Il La-boratorio di Assiriologia dell’Università di Pisa,diretto da Claudio Saporetti (in collaborazionecon l’Enea e l’Associazione geo-archeologicaitaliana), è promotore del progetto «Duplicazio-ne e Rinascita» che ha creato un database di cir-ca 20.000 reperti tra tavolette cuneiformi e pez-zi archeologici, i quali, con la tecnologia dellaprototipazione rapida, possono anche essere ri-creati in calchi (vedi box, p. 29).

Forse non è inutile aggiungere che, affinchéprogetti come questi producano un reale im-patto, è necessario che abbiano un’effettivacontinuità, siano affidati ad esperti locali, op-portunamente addestrati, e che, soprattutto, visia una piena assunzione di responsabilità deigoverni (e dei loro eserciti) che hanno causatole distruzioni dei patrimoni artistici. Le riflessio-ni e i dibattiti che si sono avuti nei numerosiconvegni internazionali dal 2003 a oggi si sonoper lo più concentrati sui rimedi, i restauri, i re-cuperi; appaiono invece sempre più urgentiuna profonda riflessione sulla prevenzione deiconflitti in aree di interesse storico-artistico euna politica di pressione affinché le convenzio-ni a tutela dei beni culturali siano incondizio-natamente accettate. !

Bibliografia essenziale

! Basmachi F., Treasures of The Iraq Museum, Ministry of Information -Directorate General of Antiquities, Baghdad 1976.

! Bogdanos M., Thieves of Baghdad, Bloomsbury, New York 2005.

! Emberling G., Hanson K. (a cura di), Catastrophe! The Looting and De-struction of Iraq’s Past, Oriental Institute Museum of the University ofChicago, Chicago 2008.

! Fales F.M., Saccheggio in Mesopotamia, Forum, Udine 2004.

! Gibson McG. et al., Lost Heritage. Antiquities Stolen from Iraq’s Regio-nal Museums, fasc. 1, American Association for Research in Baghdad,Chicago 1992; fasc. 2, British School of Archaeology in Iraq, London1993; fasc. 3, Institute for Cultural Studies of Ancient Iraq, KokushikanUniversity, Tokyo 1996.

! Russell J.M., The Final Sack of Nineveh, Yale University Press, NewHaven-London 1998.

! Stone P.G., Farchakh Bajjaly J. (a cura di), The Destruction of CulturalHeritage in Iraq, Boydell Press, Woodbridge (Uk) 2008.

Sitografia

! Cdli (Cuneiform Digital Library Initiative): http://cdli.ucla.edu

! Comando Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale:http://www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/Informazioni/Tutela/Patrimonio+Culturale/

! Crast (Centro ricerche archeologiche e scavi di Torino): http://www.centroscavitorino.it

! Focus on Iraq («Minerva»): http://www.minervamagazine.com

! Iraq Museum of Baghdad: http://www.baghdadmuseum.org

! IW&A Blog. The Iraq War & Archaeology Blog. News, Background andComment (curato da Francis Deblauwe): http://iwa.univie.ac.at

! Lost Treasures from Iraq (Oriental Institute, University of Chicago):http://oi.uchicago.edu/OI/IRAQ/iraq.html

! Progetto «Duplicazione e Rinascita» (curato dal Laboratorio di Assirio-logia dell’Università di Pisa): http://www3.humnet. unipi.it/assiriolo-gia

! Protecting Iraq’s Ancient Heritage (nel sito web della rivista dell’Aia«Archaeology»): http://www.archaeology.org/iraq

! Resources on Iraqi Museum Collections (a cura dell’InternationalCouncil of Museums [Icom]): http://icom.museum/iraq.html

! The Threat to World Heritage in Iraq (Oxford University): http://u-sers.ox.ac.uk/~wolf0126/

! Unesco and Iraq: http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=11178&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html

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I primi risultati di una ricerca sulle televisioni di sette paesi europei:

Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna,Spagna, Portogallo, Belgio1

1. Ricerca dalla Re-gione Emilia-Roma-gna e dall’IstitutoStorico Parri Emilia-Romagna.

dei canali erano tecnici e giornalisti, non s’in-teressavano in modo particolare alla storia. Inun’atmosfera d’entusiasmo e d’improvvisazio-ne, non ci fu mai, in nessuna rete, una larga eapprofondita riflessione sul tipo di servizioche il mezzo era in grado di promuovere, né,tantomeno, su che tipo di visione storica si of-friva. In Italia, tardivamente Rai 3 elaborò un“progetto storia” dedicato ai procedimenti utiliper rendere la visione del passato più appeti-bile e più comprensibile, però non si tentò divalutare, con responsabili politici ed insegnan-ti, l’importanza della storia nella formazionedei cittadini, né le prospettive di una possibilestoria europea. Solo la Bbc, in Gran Bretagna,già da quando era soltanto una radio, avevastabilito, prima della seconda guerra mondia-le, una collaborazione con storici e studiosi,ma questa rimane una peculiarità della televi-sione britannica, ancora in atto all’inizio delXXI secolo. Le altre reti europee probabilmen-te temevano il carattere troppo “professorale”delle trasmissioni condotte da specialisti. Leloro preoccupazioni in tal senso si compren-dono se si tiene conto dell’evoluzione delpubblico. In Gran Bretagna, il successo dellatelevisione fu rapidissimo: si passò da 250.000televisori nel gennaio del 1950 a due milionitre anni dopo. In Francia e in Italia la cifra didue milioni fu raggiunta nel 1961: la lenta dif-fusione del mezzo induce a preferire trasmis-sioni meno impegnative, affidate a scrittori ogiornalisti.

Quale rappresentazione della storia offronole reti televisive europee? All’inizio della ricercala domanda sembrava semplice, ma nel corsodel lavoro è emersa la complessità del proble-ma. Era evidente a priori che la visione del pas-sato era profondamente diversa in paesi diffe-renti tra loro per evoluzione storica, regime po-litico e sistema scolastico. Ogni nazione hacreato una rete televisiva in momenti e condi-zioni diverse, con uno statuto e un finanzia-mento particolari. Le prime trasmissioni tv neipaesi considerati sono apparse nell’arco di ottoanni, dal 1948 per la Gran Bretagna al 1956 perla Spagna. In un’Europa segnata dalla guerra,dove il particolarismo e il protezionismo cultu-rale erano fortissimi, l’evocazione del passatodoveva necessariamente essere diversa all’inter-no di ogni frontiera.

Ma la televisione era, per tutti, un nuovomezzo di comunicazione di massa: mancavanoi modelli, le regole, gli specialisti, i metodi; incompenso, le tecnologie e le condizioni di tra-smissione erano uguali per ogni paese.

Nella costruzione di programmi storiciovunque si procedette a tentoni, cercando le-zioni, esempi e ricette all’estero. I “fondatori”

Storia europea e televisione: una missioneimpossibile?

Luisa Cigognetti, Lorenza Servetti, Pierre Sorlin

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conda guerra mondiale,è rimasta il tema predilet-to dalle televisioni euro-pee, mentre la fictionstorica recente ha messoin scena l’evoluzione po-litica come sfondo e re-troterra di vicende per-sonali.

Verso l’Europa?Se si prescinde dalle due guerre mondiali,

dalle dittature e da alcune trasmissioni sullaguerra fredda, l’Europa è assente dai programmi.Ci sono state serie su momenti di un passato giàlontano, nei quali alleanze familiari e conflittihanno creato contatti tra potenze europee, comeL’Europe de la toison d’or sulle reti belghe (1998),Carlos V, un monarca, un imperio diffuso dallaprima rete spagnola (2000), ma non sono statecomprate da altri paesi. Nella maggioranza deicasi, le televisioni s’interessano alla storia nazio-nale del Novecento. Il materiale attinente all’ul-timo secolo è abbondante: spesso paesaggi eluoghi non sono cambiati molto, si può facil-mente ricreare un ambiente e far parlare i testi-moni o i loro figli. Affermare che questo rispon-de ad una domanda del pubblico sarebbe ine-satto: gli ascoltatori non hanno diritto alla parola,accettano quello che viene offerto. Si notaun’enfasi forte sui momenti più critici del Nove-cento: seconda guerra mondiale in Belgio, Fran-cia, Germania e Italia; colonialismo in Francia ePortogallo; guerra civile e dittatura in Spagna;dittatura in Germania, Italia, Portogallo e Spa-gna. Vuol dire che “il passato non passa”? Infatti,non si sa se gli spettatori chiedano un’informa-zione seria su questi eventi, o se le reti pubblicheritengano loro dovere rammentare fasi poco glo-riose della storia e fare luce sui loro aspetti piùdiscutibili. Le reti sono istituzioni pesanti chenon cambiano facilmente politica, fanno fatica a

uscire da un tran-tranche soddisfa le agenziepubblicitarie e i loroclienti: una forte spintaesterna sarà necessariaper modificare le abitu-dini e questo presup-pone una riflessioneapprofondita sul possi-bile.

Nella seconda metàdel Novecento, le tele-visioni hanno speri-mentato una vasta gam -ma di forme narrativeper evocare il passato:presentazione in primapersona, discorso ano-nimo, messa in scenadi testimoni, percorsi dal particolare e dal loca-le al generale e all’universale, fiction. Chi guar-da i palinsesti oggi ha l’impressione che la sto-ria sia molto presente sul piccolo schermo. In-vece, chi valuta l’ascolto constata che la parteche essa occupa è relativamente modesta.

Fino agli anni Ottanta, quando le televisionierano più o meno integralmente sotto il con-trollo statale, il passato, nazionale o internazio-nale, veniva spesso raccontato o rappresentato.Le reti commerciali, che si moltiplicarono a par-tire da quegli anni, nell’intento di attirare piùspettatori possibili, per aumentare i loro incassipubblicitari, rinunciarono ai programmi ritenutidifficili o noiosi, come quelli storici. Per resiste-re alla competizione, molte reti pubbliche se-guirono l’esempio. La “corsa all’audience” spin-se i circuiti televisivi a proporre “pacchetti” dicanali specializzati in sport, viaggi, informazio-ne, storia ecc. Canali storici esistono ancora intutti i paesi: servono per “gonfiare” l’offerta, mail loro tasso d’ascolto è debole. Sapendo chenon può allargarsi, i gestori comprano, soprat-tutto negli Stati Uniti, serie a basso prezzo.

Vengono privilegiate “cronache intimiste”,evocazioni nostalgiche di tempi remoti o studiparticolareggiati di tradizioni locali, che vannoin onda in orari di medio ascolto, pomeriggio otarda serata. Coinvolgono un pubblico limitatoma fedele che le guarda regolarmente e, se ilprogramma lo prevede, interviene con chiama-te o invio di documenti, film amatoriali, fotogra-fie, testimonianze. L’attenzione alle situazioni eagli ambienti quotidia-ni ha però largamentevarcato i confini delletrasmissioni per ama-tori curiosi e si è intro-dotta nelle grandi seriedi prima serata.

La storia contem-poranea, in particolarel’evocazione della se-

Vengono privilegiate‘cronache intimiste’,

evocazioni nostalgiche ditempi remoti o studiparticolareggiati di

tradizioni locali

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Nella maggioranza dei casi, le televisioni

s’interessano alla storia nazionale del

Novecento

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Quello che viene chiamato “storia” è, in par-te, una “mitologia”, l’evocazione drammatizzatadi episodi o di personaggi. Queste “leggendestoriche” sono spesso piene di colori e di mo-vimento, e sarebbero in grado di fornire trameinteressanti per ricostruzioni filmiche. Come èstato notato da alcuni ricercatori del nostro pro-getto, una versione romanzata degli avveni-menti attrarrebbe l’attenzione degli spettatori.

Trasmissioni di questo tipo potrebbero es-sere completate da un dialogo tra persone che

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Luisa Cigognetti, Lorenza Servetti, Pierre SorlinStoria europea e televisione: una missione impossibile?

Non saranno i canali commerciali

a promuovere una storia europea;come nelle scuole,l’impulso deriverà da una decisione

politica

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gli scambi, i viaggi, le migrazioni. Come vedeva-no commercianti, lavoratori, turisti i paesi doveandavano? Come erano ricevuti? Fino a che pun-to si adattavano? Quali legami mantenevano conil loro paese? Le relazioni familiari di lungo pe-riodo, la memoria dell’insediamento, delle diffi-coltà, dei successi, mantenuta attraverso le gene-razioni, potrebbero fornire esempi di connessio-ni intereuropee anteriori alla formazione dell’U-nione, ma è solo un’ipotesi.

Che sia grazie alla mitologia, al racconto de-gli eventi rilevanti o ai ricordi personali, i mezzinon mancano per portare sugli schermi gli ele-menti storici di una futura memoria europea.L’ostacolo risiede nella strategia delle reti tele-visive che si preoccupano soltanto delle statisti-che d’ascolto. Non saranno i canali commercialia promuovere una storia europea; come nellescuole, l’impulso deriverà da una decisione po-litica. Per questo motivo l’iniziativa della Regio-ne Emilia-Romagna è un dato importante. Severrà perseguita, potrà convincere le istituzionipubbliche a dare l’avvio ad una riflessione sullamaniera di rappresentare in televisione il pas-sato dell’Europa. !

sono immerse nelle tradizioni messe in scena e“stranieri” o, in certi casi, tra “credenti” e “incre-duli”: per esempio, un confronto tra ungheresi,cechi e austriaci a proposito del 1848 unghere-se, o un confronto tra spagnoli e francesi a pro-posito del «Mayo de 1808».

Le mitologie sono importanti perché unisco-no tra di loro i membri di una comunità nazio-nale, però non sono storia. L’esperienza dei 27paesi dell’Unione è stata molto differente nel-l’Ottocento e nel Novecento; ad esempio, le pro-vince dell’Impero austro-ungarico non hannovissuto come le democrazie occidentali e, dopoun breve avvicinamento tra le due guerre, la“cortina di ferro” ha imposto una divisione chelascia tracce ancora oggi. I programmi storici do-vrebbero evidenziare tali differenze.

L’Unione europea si è costruita su alcuniprincipi comuni: indipendenza degli Stati, de-mocrazia, libera circolazione, cooperazione.Nella maggioranza dei casi, indipendenza e de-mocrazia sono acquisizioni recenti, sarebbeimportante spiegare quando e come si sono at-tuate.

Frontiere e conflitti non hanno mai ostacolato

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Geografia,geopolitica e libri di testo per lascuola secondariadi primo grado

1Catia Brunelli, Francesco Buoncompagni

Ostacoli cognitivialla comprensionedella storia.Costruzione deiconcetti storici e uso delle fonti

2Anna Emilia Berti

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mundusricercheEsclusa a lungo, nel corso delNovecento, a causa delle suecollusioni col nazismo, la geopoliticaritorna oggi al centro degli interessidei governi e della riflessione... p. 38

Il confronto fra le prime ricerche diJean Piaget, sulla comprensionestorica, e lo stadio attuale dei lavori,rivela un panorama di analisi,problemi e soluzioni profondamentecambiato... p. 50

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1Catia Brunelli, Francesco Buoncompagni*

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politics to Human Geopolitics, inM. Antonsich, V. Kolossov, M.P. Pa-gnini (a cura di), Europe BetweenPolitical Geography and Geopoli-tics, Atti del Convegno, Trieste, 10-13 dicembre 1997, Società Geo-grafica Italiana, Roma 2001, pp.67-75, p. 74.

4. Alexander, The New Geopoliticscit., p. 407.5. C. Jean, Manuale di geopolitica,Laterza, Roma-Bari 2003.6. A. de Benoist, Géopolitique, in«Nouvelle École», n. 55/2005, pp.1-3.7. F. Eva, Back to the Future. Re-clus versus Ratzel: from State Geo-

2. Ibid.3. L.K.D. Kristof, The Origins andEvolution of Geopolitics, in «TheJournal of Conflict Resolution», vol.4, n. 1 (Mar., 1960), pp. 15-51. Vedianche L. Alexander, The New Geo-politics: A Critique, in «The Journalof Conflict Resolution», vol. 5, n. 4(Dic., 1961), pp. 407-410.

* I parr. 1, 2, 5 e la tab. A sono daattribuire a F. Buoncompagni, iparr. 3, 4, 6 e la tab. B a C. Brunelli.Il presente articolo è comunquefrutto di una riflessione congiuntadei due autori.1. E. Cima, Geopolitica del mondoattuale, in http://www.arpnet.it/aiigeogr/Cima%20Geopolitica.pdf.

graphy) e politica geografica (geographical politics) maarriva comunque a delimitarne un’area di studio che com-bacia con tutto ciò che è «parallelo a» ed «intermedio tra»scienza politica e geografia politica. In sostanza è «[...] lostudio dei fenomeni politici nelle loro relazioni spaziali enel loro rapporto con la geografia umana»4. La geopoliticarappresenterebbe quindi un’interpretazione geograficadei fenomeni politici. Kristof ha anche il merito di ram-mentarci l’etimologia del termine «geopolitica», nato dallacontrazione non del binomio «geografia politica», ma diquello svedese, data la paternità del lemma, geografisk po-litik ossia «politica geografica». Questo evidenzia il puntodi vista originario, e quindi dominante, da cui la disciplinaè scaturita, e cioè quello politico.

Vari geografi ed esperti di geopolitica europei si sonocimentati nel difficile compito di darne una definizioneefficace. Per Jean5 la geopolitica è una certa analisi dellapolitica condotta in riferimento ai condizionamenti che sudi essa esercitano i fattori geografici, ossia l’insieme dellerelazioni di interdipendenza esistenti fra le entità politicheterritorialmente definite e le loro componenti. Per de Be-noist «La geopolitica studia l’influenza della geografia sul-la politica e sulla storia, cioè le relazioni tra lo spazio e lapotenza»6. A questi due elementi appena citati, che riman-dano immediatamente a Raffestin, si aggiunge, per il sitogeopolitica.info, la prevalenza del fattore umano, in quan-to la geopolitica sarebbe «lo studio dell’uomo raggruppatoin società politiche» ma anche «la geografia degli Stati,considerati sia come entità fisiche che come organismi,dotati di una propria personalità e vitalità, con fasi di svi-luppo e di decadenza», definizione determinista e organi-cista che subito richiama Kjellen e Ratzel. Eva7 coglie ap-pieno la funzione della geopolitica e ne indica anche il

Geografia, geopolitica e libridi testo per la scuolasecondaria di primo grado

1. Geopolitica sì, ma quale?Ancora oggi la geopolitica non presenta una definizioneconcettuale concorde e condivisa, anomalia da un lato,ma peculiarità dall’altro. Nel quadro italiano esistono opi-nioni variegate: Vallega la considera, dal punto di vistaterminologico, una versione tout court della geografia po-litica1; Ferro la reputa affine alla geografia politica ma pro-tesa all’esaltazione degli scopi politici dell’analisi territo-riale2, altri autori la sovrappongono all’analisi delle rela-zioni internazionali ed altri ancora vorrebbero considerar-la una scienza autonoma, sebbene il suo statuto episte-mologico si confonda con quello della geografia politicalasciandola apparire spesso come un ramo di questa.

In The Origins and Evolution of Geopolitics3, Kristof,geopolitico di scuola americana, ammette la difficoltà diindividuare il confine tra geografia politica (political geo-

Esclusa a lungo, nel corso delNovecento, a causa delle suecollusioni col nazismo, la geopoliticaritorna oggi al centro degli interessidei governi e della riflessionescientifica. Tuttavia, i programmi digeografia e i manuali sono restii adaprirsi a questo modo di studiare iconflitti mondiali. Sembra utileproporre un’inversione di tendenza,a cominciare dallo studiodell’Unione europea.

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Box 1. Griglia di analisi dei libri di testo finalizzata alla rilevazione dell’approccio geopolitico

Autore/i

Titolo

Volume

Casa editrice

Anno di pubblicazione

Livello grafico n. dei paragrafi/capitoli dedicati all’Ue

Titoli significativi – in termini di adozione del punto di vistageopolitico – dei capitoli e/o dei paragrafi

Immagini scelte a corredo del contenuto dei paragrafi

Livello del contenuto Relazioni tra la geografia fisica, quella umana e l’azionepolitica

Riferimenti espliciti o impliciti alla geopolitica

Frequenza con cui ricorre il termine “geopolitica” o suoiderivati ed eventuale spiegazione del vocabolo

Aspetti dell’Europa e/o dell’Ue messi in luce

Modalità di trattazione/classificazione degli Statieuropei – ed eventuali motivazioni addotte.

Limitazioni geografiche europee; contemplazione o menodella regione caucasica e della Turchia entro i confinidell’Europa

Presenza di paragrafi e/o riferimenti al sistema delleEuroregioni

Presenza di esemplificazioni mediante l’illustrazione dicasi di studio

Livello degli strumenticartografici e geografici(tabelle, schemi, grafici,ecc.)

Frequenza, n. e tipologia delle carte inserite; loro funzioneprevalente – corredo delle informazioni contenute neltesto o esercizio di decodifica e di ampliamento delleinformazioni?

Integrazioni al web Suggerimenti di siti utili per eventuali integrazioni,aggiornamenti e/o verifiche delle informazioni

Commenti

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9. C. Giovannini, S. Torresani, Geo-grafie, Bruno Mondadori, Milano2004, p. 122.

8. P. Claval, Geopolitica e geostra-tegia. Pensiero politico, spazio,territorio, Zanichelli, Bologna1996, pp. 1-3.

scienza sistematizzata, non ha velleità di oggettività comele altre scienze sociali, ma appare piuttosto un metodo dianalisi e, affondando le radici nella geografia politica chele è madre, mira ad analizzare la realtà dei fattori geogra-fici come causa dell’azione politica degli Stati e degli altri

detentori di potere. Mentre la geogra-fia politica analizza normalmente unasituazione ex post, chi fa geopoliticaha un oggetto di analisi in fieri e perquesto meno ponderabile, quale puòessere ad esempio un conflitto in cor-so. In più, la geopolitica accompagnala geografia politica, grazie alla qualeesiste, e la toglie dall’imbarazzo delpolitically correct, senza tema di ren-derla partigiana e, pertanto, forse piùaccattivante e a suo agio nel mondoattuale.

2. Geopolitica europea a scuola, una sfidaLa geopolitica oggi, quasi a risarcimento dell’offuscamen-to sofferto a causa della strumentalizzazione nazifascistasubita dagli anni Trenta, attraversa anche in Italia una ve-ra e propria fase di popolarità. Riprova ne è la diffusionesul web di siti dedicati ma anche la pubblicazione di ri-viste specializzate con un notevole seguito non solo ac-cademico. Oggi la sorella cadetta della geografia politicasi prende una rivincita ed appare come la più accattivan-te tra le due, quella che riesce a destare l’interesse mag-giore anche nei mass media e nell’opinione pubblica. Aquesto punto se la scuola, oggetto della presente ricerca,deve essere specchio della società, seguendone gli svi-luppi e le tendenze e fornendo ai discenti gli strumentiper comprendere il mondo che cambia, anche la geopo-litica dovrebbe fare il suo ingresso in maniera esplicitanei programmi di geografia (e non solo), in quanto co-stituisce al contempo un importante nodo concettuale edun utile strumento di analisi della realtà. La geopolitica,ad integrazione dello studio della geografia politica puòfornire strumenti utili, doverosamente basati sulla scienzageografica, a rispondere alle domande legate alle dina-miche sociali attuali, nazionali ed internazionali. È co-munque d’obbligo ricondurre la geopolitica, ad esempiose insegnata con la geografia, ad uno schema didatticocoerente e sistematico per far sì che si intrecci, integri earricchisca il discorso geografico senza confondersi conesso e senza confonderlo. La geopolitica, come conside-razione politica scaturente dalla conoscenza di un terri-torio, è probabilmente già presente nell’immaginario deidiscenti, nelle discussioni udite in famiglia, negli articoliletti sui giornali o nei servizi ascoltati dai telegiornali.Inoltre, essa è evocata dalla realtà con cui gli studenti en-

rapporto concettuale con la geografia suggerendo di pen-sare alla prima non come ad una scienza, ma come ad uninsieme di strumenti per analizzare le azioni politicheumane sul territorio. È l’azione politica che va analizzata,mentre la geografia fornisce i mezzi concettuali e meto-dologici per comprenderne gli effet-ti. All’interno di questa definizione,per lo stesso Eva, l’essere umano vavisto nella sua complessità, comeagente di cambiamento, ma anche,qualora in equilibrio con lo spazioche lo circonda, come fattore di con-tinuità. In questo senso ancora piùevidente è il rapporto di mutua in-fluenza tra uomo, politica e territorio,e forse anche qui sta una differenzatra la geografia politica, tesa allo stu-dio degli Stati, e la geopolitica, chepuò osservare e analizzare il com-portamento di statisti o uomini politici. Claval8, sostieneche se, da un lato, la geografia politica non solleva pole-miche applicandosi allo studio delle forze operanti nelcampo della politica e precisando la maniera in cui questeconcorrono a modificare il mondo, dall’altro, la geopoliti-ca ha un’ottica generalmente più concreta, rifugge le pro-spettive comparative e, a differenza della prima, è di pre-ferenza monografica, considerando l’insieme delle preoc-cupazioni degli attori che si affrontano sulla scena inter-nazionale, sia che si tratti di uomini di Stato, di diplomaziadegli Stati, di organizzazioni non governative o di opinio-ne pubblica. La geopolitica si mostra sensibile a ciò che,nei piani che i protagonisti elaborano, riflette l’eteroge-neità dello spazio: condizioni naturali, storia, religione, et-nia, in una sola parola geografia. Essa insomma è più po-lemica, anche fuor di metafora, avvicinandosi in questo al-l’etimologia letterale dell’attributo !oleµikóv nel senso di«legato alla guerra, allo scontro». A dare risalto proprio al-l’aspetto conflittuale dell’oggetto di studio della disciplinasono Giovannini e Torresani, secondo i quali la ricercageopolitica non ripropone solo il ruolo dello spazio geo-grafico nelle indagini di geografia politica ma «nel tentati-vo di costituire un nuovo statuto epistemologico [...] sipropone di studiare il complesso delle componenti, deifattori, delle motivazioni che sono alla base delle situazio-ni di contrasto teorico o di concreto conflitto tra Stati o trastrutture sociopolitiche organizzate all’interno di uno Sta-to»9. La geopolitica non è una disciplina autonoma o una

La geopolitica mira ad analizzare la

realtà dei fattorigeografici come

causa dell’azionepolitica degli Stati edegli altri detentori

di potere

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gine dell’Europa nei manuali distoria cit., p. 399.14. Cajani, L’immagine dell’Euro-pa nei manuali di storia cit., p.398.

in Italia, in Pingel et al., L’imma-gine dell’Europa nei manualiscolastici cit., pp. 389-451, pp.392-393.13. Il nuovo libro Garzanti dellaGeografia, vol. II, Garzanti, Milano1982, p. 7, citato in Cajani, L’imma-

Germania, Francia, Spagna,Gran Bretagna e Italia, Fondazio-ne Giovanni Agnelli, Torino 1994.12. L. Cajani, L’immagine dell’Eu-ropa nei manuali di storia, digeografia e di educazione civicaper la scuola media dell’obbligo

10. E. Dell’Agnese, E. Squarcina,Europa, Utet, Torino 2005; G. Liz-za, Paneuropa, Utet, Torino 2004;J. Lévy, Europa. Una geografia, E-dizioni di Comunità, Torino 1999.11.F. Pingelet al., L’immagine del-l’Europa nei manuali scolastici di

ben poco nei manuali di storia: nella maggior parte deicasi, quindi, è proprio il manuale di geografia a dare lorole prime idee su ciò che sia – o debba essere – l’Europae la coscienza europea»12. Il contributo evidenzia che neitesti scolastici l’Europa è definita un’entità più culturaleed antropica che geografica in quanto i suoi confini sonoda sempre mobili e se, inizialmente, indicavano solo par-te del bacino del Mediterraneo, si sono in seguito allar-gati col diffondersi della cultura greco-romana. Interes-sante la citazione per cui «[...] in un certo senso più cheun continente, l’Europa è un concetto»13. Inoltre la frase«a oriente [...] si continua a entrare e uscire dall’Europa,secondo il mutare degli eventi politici»14 riesce bene a di-pingere la situazione geopolitica di quel confine culturalemobile che a tratti ad esempio ingloba la Turchia e letravagliate repubbliche transcaucasiche, e a tratti le esclu-de dal consesso europeo.

Fino agli anni Ottanta la geopolitica a scuola, e nell’exscuola media in particolare, era mo-nopolizzata e semplificata dallacontrapposizione tra blocco occi-dentale e blocco sovietico, con il fa-cile corollario di antinomieUsa/Urss, Ovest/Est, liberismo/diri-gismo, capitalismo/socialismo, do-ve “Europa” era solo ciò che stava adoccidente della cortina di ferro. I-noltre il boom dell’informazione edella comunicazione via internet e-ra ancora di là da venire ed i massmedia che oggi definiremmo tradi-zionali (giornali e televisioni) eranole principali fonti informative. Oggila situazione è notevolmente cam-biata ed esiste un vero e proprio im-

barazzo della scelta per ciò che concerne le fonti informa-tive. In più, la fine del mondo bipolare ha rimescolato lecarte dei concetti e dei contenuti della geografia politica edella geopolitica scolastica, in maniera più accentuatanell’ambito regionale europeo su cui si concentra la pre-sente indagine. L’Europa è stata infatti lo scenario in cui ènata e si è sviluppata l’Unione europea, la più grande no-vità geopolitica della fine del XX secolo. I retroscena geo-politici dell’integrazione avvenuta nel continente non sem-

trano in contatto tutti i giorni, fatta ad esempio di incontricon coetanei di lingua, religione e tradizioni diverse dalleproprie, giunti o nati in Italia per molteplici motivi tra cuianche, indirettamente, quelli geopolitici. Alla luce di ciò,appare ancora più interessante introdurre più esplicita-mente questo tipo di approccio nel bagaglio culturaledello studente.

L’Europa attuale della costruzione/confusione (anchein senso etimologico) comunitaria, dell’immigrazione,degli antagonismi politici, dei moti separatisti ed indipen-dentisti, della recrudescenza degli scontri etnici e religio-si, degli avanguardismi ambientalisti e terzomondisti, la-boratorio politico d’esempio mondiale e allo stesso tem-po “nano politico” schiacciato tra i giganti russo, cinesee americano, rappresenta un ottimo terreno di prova perlo studio della geopolitica a scuola. Essa, infatti, possiedeinnanzitutto l’ovvio vantaggio di essere più vicina al di-scente, oggi inserito in un contesto geografico, umano emediatico che più che mai parla“europeo”. Inoltre, offre una serie dicontenuti geopolitici problematici,verificati e potenziali, di evidenteinteresse e valore paradigmatico.Basti solo pensare alla mutevole de-finizione dei confini dell’identità edel continente europeo per indivi-duare i quali è necessario scomoda-re argomentazioni di geografia fisi-ca, politica, economica, regionale,sociale, culturale, linguistica, dellepopolazioni e delle comunicazioni,senza peraltro arrivare ad una no-zione geopolitica unanime10. Unostudio degli anni Novanta, teso a ri-levare le modalità con cui l’immagi-ne dell’Europa fosse trattata nei manuali scolastici di al-cuni paesi europei, ha messo ad esempio in luce come,in particolare nei manuali di geografia, l’identità europeasia un tema diffuso e “sentito”11. Per quanto riguarda in-vece la sezione dedicata alla geografia scolastica in Italianel medesimo studio, a proposito del tema “identità eu-ropea”, si afferma che «La rilevanza didattica [...] è note-vole, anche perché gli studenti lo incontrano all’inizio delsecondo anno, quando dell’Europa hanno ancora letto

La fine del mondobipolare ha

rimescolato le cartedei concetti e deicontenuti della

geografia politica e della geopolitica

scolastica

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menti sul sistema delle Euroregio-ni, inserimento di casi di studiogeopolitici ecc.19. C. Giorda, La geografia nellascuola primaria – contenuti, stru-menti, didattica, Carocci, Roma2006.

cita/implicita del termine geopoli-tica e relativa spiegazione, relazio-ni aspetto fisico/umano/politico,caratteristiche dell’Europa evi-denziate, limitazioni geografichedel continente europeo, modalitàdi raggruppamento degli Stati,presenza/assenza di approfondi-

della geografia, geografia deglispazi, Edizioni Goliardiche, Trie-ste 2003.17.E. Damiano, Il sapere dell’inse-gnare, Franco Angeli, Milano2007.18. In particolare sono state presein considerazione: presenza espli-

15. F. Buoncompagni, L’integra-zione europea, verso una geogra-fia comune, in «Ambiente SocietàTerritorio. Geografia nelle Scuo-le», LIII, n. 1/2008, pp. 3-7.16. A.A. Bissanti, Puglia. Geogra-fia attiva, perché e come, Adda, Ba-ri 1991; P. Persi (a cura di), Spazi

socioculturali e politici degli ultimi tempi, l’indagine si èconcentrata sulla lettura e l’analisi dei programmi che sisono avvicendati dal 1979 in avanti e, dunque, coevi alperiodo in cui si sono consumate importanti crisi geopo-litiche, tra cui, ad esempio, quella balcanica, prodotta dal-le rivendicazioni dei gruppi etnici ed indipendentisti, oquella caucasica, con l’attualissimo conflitto georgiano ei relativi risvolti legati al triplice rapporto Russia-Stati Uni-ti-Unione europea.

Su criteri analoghi si è basata la scelta dei libri di te-sto, dieci in tutto, di cui quattro scritti da geografi, indi-viduati tra quelli di ultima generazione pubblicati dopoil 2001 e nel periodo di transizione tra la Riforma Morattie le Indicazioni per il Curricolo del 2007. Il proposito difar emergere integralmente il potenziale geopolitico pre-sente nei volumi e la percezione di una sua non poi cosìfacile né immediata individuazione sono alla base dell’i-deazione di una scheda di rilevazione-dati coerente coni fini della ricerca. Oltre ad evidenziare i punti di forza ele criticità – in termini geopolitici – dei contenuti presentinelle pagine dei libri di testo dedicate all’Unione euro-pea18, la scheda tiene in considerazione il contributo delcorredo iconografico e della sua funzione in rapporto altesto.

Tutt’altro che trascurabile, infine, l’inclusione di un in-dicatore volto ad evidenziare la frequenza e la rilevanzaattribuita dagli autori dei vari volumi alla sitografia. Poterdisporre di links grazie ai quali aggiornare costantementele informazioni presenti nei libri di testo rappresentaun’importante occasione di integrazione19, soprattutto sesi osservano fenomeni e processi con sguardo geopoliti-co, poiché la fluidità tipica di questa prospettiva rischiasempre di scontrarsi con la cristallizzazione imposta dallapagina scritta.

4. Geopolitica e programmi ministerialiLe lacune che manifesta la scuola in rapporto all’approc-cio geopolitico trovano una prima spiegazione nella con-creta assenza di riferimenti espliciti nei programmi mini-steriali degli ultimi trent’anni. La lettura estensiva di talidocumenti restituisce, infatti, un quadro abbastanza delu-dente. Nella maggior parte dei casi la geopolitica comparein un modo sottinteso, imprigionata in generiche formu-

pre sono oggetto di studio, specialmente nei manuali sco-lastici, che invece danno la precedenza all’elencazione del-le date e degli ingressi senza sottolineare i motivi che stan-no dietro a quelle scelte o non scelte. L’Unione europea,dentro l’Europa, rappresenta quindi un ottimo caso di stu-dio geopolitico e nel medesimo tempo una cartina torna-sole del trattamento riservato alla geopolitica nei libri di te-sto. In più la storia dell’integrazione europea si lega inti-mamente a quella dell’Europa intesa come continente, nonsolo per motivi linguistici lapalissiani, ma perché costruirel’Unione significa anche chiedersi dove essa possa arrivare,in termini geografici ma anche di contenuti e di condivi-sione. In questo senso l’arena europea, ben lungi dall’avertrovato un assetto geografico definitivo, continua ad essereteatro di scontri sia politici ed economici (nella politica in-ternazionale, nel mercato globale ma anche dentro il Par-lamento europeo) sia etnici, culturali, religiosi, rappresen-tando una miniera di esempi di casi di geopolitica diversiper tipologia, ambito, contendenti15.

3. Il quadro della ricercaLe riflessioni fin qui compiute rendono inderogabile l’u-tilizzo di un approccio geopolitico nell’approfondimentoscolastico di questioni correlate, nel caso specifico, all’U-nione europea. Sottrarsi a questo impegno equivarrebbea scegliere di insegnare una geografia priva di quelle pe-culiari potenzialità formative che permettono di dotare glialunni degli strumenti concettuali essenziali per non per-dersi nel moltiplicarsi dei frequenti e repentini cambia-menti di una realtà in trasformazione16.

Tale consapevolezza, tuttavia, si scontra con un appa-rato formale ancora poco strutturato. È quanto evidenzial’analisi incrociata di due degli strumenti tradizionalmenteconsiderati riferimenti essenziali nella docenza, vale a di-re i programmi ministeriali e i libri di testo. Entrambi gliambiti risultano particolarmente significativi anche inquanto prodotto di quella macro-trasposizione del saperescientifico legata all’attività di didattizzazione – ovverodella sua trasformazione in un formato didattico – e di as-siologizzazione – ovvero di selezione di quei contenutiveicolanti valori riconosciuti dalla comunità17.

Al fine di misurare la capacità e le modalità con cui lascuola ha recepito le sollecitazioni derivanti dai processi

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gionevolmente riconducibili al fattoche, in quegli anni, sulla scia del ruo-lo assunto dalla geopolitica neglieventi accaduti durante e dopo il se-condo conflitto mondiale, essa è statapraticamente bandita in Europa, inquanto bollata dai più come pseudo-scienza nazistoide. Meno immediata,invece, la formulazione di ipotesi di-rette a spiegare lo sporadico figuraredella geopolitica nei testi ministerialipiù recenti, in anni, cioè, in cui essaè andata riscuotendo un crescente in-teresse che in alcun modo giustificauna sì generale disaffezione. La ca-

renza di riferimenti geopolitici andrebbe forse ricongiuntaall’eccessiva difficoltà che una metodologia d’indagine,tanto legata al mutevole, presenterebbe nel contesto sco-lastico. Adottare uno sguardo geopolitico per spiegareuno scenario così cangiante come è quello contempora-neo, in cui seguitano a nascere soggetti con interessi po-litici e rapporti di forza costantemente smentiti o superatida nuovi obiettivi ed interdipendenze, implica un’opera-zione di decodifica davvero delicata, complicata e com-plessa. Ogni tentativo di stabilire regole, di individuareclassificazioni, di rilevare costanti da parte degli allievi sa-rebbe accompagnato dal contestuale insorgere di un’ec-cezione, di una variabile, di una contro-regola. E tuttavia,pur nella consapevolezza di tali difficoltà, sia l’inserimen-to formale della geopolitica nei programmi che la sua trat-tazione sistematica nell’insegnamento della geografia sco-lastica divengono elementi indispensabili. Tanto più que-sto è vero in una stagione, come quella attuale, in cui èparticolarmente vivace il dibattito scientifico che si inter-roga su quale revisione operare, a livello dei curricoli, performare individui con una cultura cosmopolita e rispettosidelle diversità23.

5. Geopolitica e libri di testo24

Gli spunti di riflessione dedotti dall’analisi svolta sui libridi testo sono numerosi ma, ai fini dell’ideazione e stesura

lazioni, come la seguente: «occasioniper iniziare l’indagine geografica sa-ranno i fenomeni quali: risorse idri-che e loro utilizzazione, fonti di ener-gia, dislocazione industriale, risorsealimentari, processi di produzione edi trasformazione, equilibri territoria-li, scambi, emigrazione ecc.»20. Non sidiscute sul fatto che brani come que-sto posseggano fattive occasioni perpromuovere un insegnamento perti-nente la prospettiva geopolitica, maè altrettanto indubbio che solo undocente esperto di tale tematica sa-rebbe in grado di individuarle e ditradurle adeguatamente in prassi didattica. Su registri ana-loghi si allineano gli altri testi ministeriali, fatta eccezioneper le Indicazioni Nazionali del 2004 in cui si rileva l’unicocaso di riferimento esplicito: nell’elenco delle conoscenzepreviste per gli alunni della classe terza viene precisato,infatti, che essi dovranno affrontare lo studio delle «carat-teristiche degli ambienti extraeuropei e [il] loro rapportocon le popolazioni che li abitano, analizzati per grandiaree culturali e geopolitiche»21. Si tratta tuttavia di un rife-rimento piuttosto isolato e per di più non rivolto allo stu-dio dell’Unione europea, che non trova alcun riscontronel corrispettivo elenco delle abilità e che, pertanto, si ri-vela troppo vulnerabile per superare le fasi di selezionedei contenuti e di trasformazione del programma in pro-grammazione. Non che i testi ministeriali siano privi di si-gnificative novità: al contrario, essi risultano attraversatidal recente, profondo rinnovamento della didattica dellageografia e numerosi sono i segnali che provano l’inter-cettazione, da parte degli estensori dei programmi, dellesollecitazioni provenienti dal contesto scientifico interna-zionale, prime fra tutte quelle concettuali e metodologi-che dell’International Charter on Geographical Educa-tion22.

Quali, allora, le cause di carenze tanto evidenti in ma-teria di contenuti geopolitici? Per quanto riguarda i pro-grammi del 1979 per la ex scuola media i motivi sono ra-

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la, Brescia 2004; F. Cassone et al.,Georama, Lattes, Torino 2004; L.Crippa, M. Onnis, Orizzonti, Mon-dadori scuola, Roma 2006; G. Mez-zetti, L’iperlibro dell’Europa, LaNuova Italia, Firenze 2004; G. Mo-naci, B. Ragazzi, Mappamondo, Ar-chimede, Torino 2006; A. Vallega,Gli spazi dell’uomo, Le Monnier, Fi-renze 2005; A. Vallega, Geo-percor-si, Le Monnier, Firenze 2004.

24. I libri di testo di geografia per ilsecondo anno della scuola secon-daria di primo grado, analizzati ai fi-ni della presente ricerca, sono:AA.VV., Il Vagamondo, Loescher,Torino 2005; R. Bernardi, S. Salgaro,M.L. Pappalardo, S. Vantini, Geogra-fia, Atlas, Bergamo 2004; L. Berse-zio, Abitare il mondo, De Agostini,Novara 2005; M. Bertoni, G. Miglio-rini, Navigare nel mondo, La Scuo-

menti e materiali per l’innovazio-ne. Norme, indicazioni e com-menti, Roma 2004, p. 269.22. International Geographical U-nion (Commission on Geographi-cal Education), The InternationalCharter on Geographical Educa-tion, Washington 1992.23. C. Brunelli, G. Cipollari, M. Pra-tissoli, M.G. Quagliani, Oltre l’etno-centrismo, Emi, Bologna 2007.

20. Ministero della Pubblica Istru-zione, Scuola Media Statale. Pro-grammi e orari di insegnamento.Criteri orientativi per le prove d’e-same di Licenza e relative moda-lità di svolgimento, Istituto Poli-grafico e Zecca dello Stato, Roma1994, p. 41.21. Ministero dell’Istruzione, del -l’Università e della Ricerca, I NuoviOrdinamenti Scolastici – stru-

Nella maggior partedei casi la geopoliticacompare in un modo

sottinteso,imprigionata in

generiche formulazioni

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Box 2. Tabella A – Esito dell’analisi dei libri di testo: sintesi delle criticità

aspetto critico esito dell’analisi nota educativo-didattica

LIVE

LLO

DEI

CONT

ENUT

I

Termine«geopolitica»

La geopolitica, in quanto termine econcetto, è sostanzialmente assente.

Il termine dovrebbe essere inserito e ne andrebbe promossa laconcettualizzazione in termini problematici e d’attualità.

Confinidell’Europa

I confini geografici del continente europeonon vengono quasi mai definiti conprecisione e, tanto meno, ne si spieganosistematicamente le teorie relative.

Specificare le varie teorie sui confini fisici europei èinteressante per: – comprenderne la relativa riduttività;– cogliere l’importanza preminente che i fattori identitari eculturali hanno nella loro individuazione;– capire come i confini stessi esistano, ma siano mobili edelastici anche in rapporto al periodo storico e politico.

Euroregioni Non trattato Descrivere la realtà delle Euroregioni serve a comprendere chesfere territoriali di influenza e convergenza, animate da fattorigeopolitici, possono concorrere al raggiungimento dellacooperazione transnazionale e non devono necessariamenteessere motivo di concorrenza o scontro.

Turchia Le differenze nel trattare la Turchia sononotevoli: come Stato europeo, come Statoasiatico mediterraneo, come Statobicontinentale ma comunitario, a volteaddirittura assente dall’elenco degli Stati dastudiare. Alternativamente essa è associata,nella trattazione, alla regione medio-orientale, a Grecia e Cipro, ai Balcani.

La Turchia rappresenta un esempio di Stato bicontinentale.Essendo quasi sempre citato come futuro membro dell’Uedovrebbe essere trattato tra gli Stati europei o, se escluso, neandrebbe spiegato il perché. La collocazione più proficua dalpunto di vista della suddivisione in aree regionali europeepotrebbe essere quella con Grecia e Cipro, viste anche lenotevoli connessioni geopolitiche.

Modalità diraggruppamentodei paesi

Alcuni Stati hanno nei testi una collocazione,nell’organizzazione “geografica” dei contenuti,abbastanza ricorrente. Per altri cambianotevolmente, ad esempio: Malta (italiana,mediterranea orientale o balcanica?), Cipro(balcanica, mediterranea orientale o asiaticamediterranea?), la Slovenia (alpina obalcanica?), la Romania e la Bulgaria(orientali, centro-orientali, sud-orientali,balcaniche o danubiane?), le repubblichebaltiche (nordiche, baltiche o orientali?).

La collocazione degli Stati in gruppi regionali risente,lecitamente, del punto di vista geografico e geopoliticodell’autore, ma solo in un caso su dieci tale punto di vista èesplicitato. Spiegare i motivi per cui si presenta un certogruppo di Stati è già un esempio di geografia applicata econsente agli studenti di comprendere e finanche giudicarecriticamente i motivi di tale scelta.

Mini-Stati Andorra, Monaco, il Liechtenstein, SanMarino e il Vaticano non vengono trattati inmaniera uniforme. Da testo a testoappaiono come Stati veri e propri,appendici di altri Stati, confusi con coloniecome Gibilterra, trattati residualmente ecc.

I mini-Stati rappresentano una categoria della geografiapolitica ed un caso di studio geopolitico. Darne unapresentazione adeguata, magari sottraendoli alraggruppamento “per regioni” che tutti i testi scelgono,rappresenterebbe un elemento innovativo.

Transcaucasia:Georgia,Armenia,Azerbaigian

Questi Stati, nei libri di testo, compaiono innumerose carte tematiche d’Europa ma, pertradizione, non vengono trattati nell’elencodegli Stati europei e sono citati raramente.

Andrebbe esplicitata la loro posizione ambigua divisa traEuropa e Asia, cristianesimo e Islam, e in “transizioneidentitaria” verso l’Europa e l’Ue, specialmente ora che lavicina Turchia è candidato ufficiale.

STRU

TTUR

A

Numero deicapitoli/paragrafiche trattano l’Ue

In tutti i libri di testo lo spazio e lastruttura dei contenuti dedicati all’Ue sonoinsufficienti o non adeguati rispetto allacomplessità ed al potenziale didatticodell’argomento.

Considerando le implicazioni politiche, sociali, civiche, culturalidell’Ue come istituzione e come “organismo storico-geografico”,tale argomento potrebbe essere maggiormente approfondito eproblematizzato, a vantaggio della formazione degli alunni anchein materia di Cittadinanza e Costituzione (D. lgs. n. 137/2008).

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dimento, nuova modalità didatti-ca, in F. Dallari, A.M. Sala, E. Zab-bini (a cura di), Emilia Romagnaregione della coesione e dell’ospi-talità. La didattica della geogra-fia: metodi ed esperienze innova-tive, Patron, Bologna 2008, pp.171-180.

25.Lo schema della proposta diU-nità di Lavoro inerente l’insegna-mento dell’Unione europea è con-tenuto nella sezione Laboratorio.26. E. Puricelli, Le unità di ap-prendimento e gli obiettivi forma-tivi, in «Scuola e Didattica», XIL,2003, n. 11, pp. 7-14.27. A. Schiavi, L’unità di appren-

di un’Unità di Lavoro (UdL) sull’Ue con prospettiva geo-politica, si ritiene utile mettere in evidenza solo le princi-pali criticità. Per quanto riguarda l’aspetto strutturale deitesti va detto che la geopolitica è sostanzialmente assentee, nei rari casi in cui il termine è citato, esso non vienedebitamente spiegato. In un solo volume, tra quelli ana-lizzati, la disciplina viene esplicitamente presentata macon accezione piuttosto spregiativa o quanto meno ambi-gua. I riferimenti impliciti alla geopolitica sono, invece,moderatamente diffusi, anche se quasi mai si palesa il le-game esistente tra l’ambiente, il territorio e la politica de-gli Stati. In alcuni testi si preferisce collocare questo ge-nere di approfondimenti nei casi di studio relativi a situa-zioni geopolitiche europee particolarmente critiche. Moltitesti, poi, presentano il continente europeo in maniera ef-ficace attraverso un excursus valorizzante gli aspetti pe-culiari che, però, potrebbe essere potenziato dalla messain luce, in forma problematica, dei nessi geopolitici chescaturiscono dalla relazione tra i caratteri del territorio edella società europei. L’Unione europea, la cui storia del-l’integrazione potrebbe essere un ottimo ed interessanteesempio di processo geopolitico, non viene quasi maitrattata da questo punto di vista, prediligendo un approc-cio statico, non sempre accattivante, con una sostanzialeelencazione delle date di fondazione e adesione, dellefunzioni, delle istituzioni. Infine alcune questioni ricor-renti – i confini geografici dell’Europa e le teorie relative,la collocazione regionale di Malta, di Cipro, quella conti-nentale della Turchia e delle repubbliche transcaucasiche,la definizione e trattazione dei mini-Stati europei ecc. –vengono argomentate in maniera diversa e a volte con-traddittoria da testo a testo, come si deduce dalla sintesicontenuta nella tabella del box 2.

6. Per insegnare l’Europa: una proposta di lavoroL’UdL25 scaturisce direttamente dall’analisi dei libri di te-sto dei quali intende valorizzare tutti gli aspetti positivi esuperare le principali criticità rilevate sia in rapporto aicontenuti che all’aspetto metodologico-didattico. Del mo-dello di UdL, originariamente strutturato in tre parti se-condo l’articolazione proposta da Puricelli26, sostenuto eriletto in chiave di didattica della geografia da Schiavi27,

mrBox 3. Sitografiawww.diploweb.com Si tratta di una rivista di

geopolitica online, in lingua francese, estremamen-te accurata ed aggiornata, suddivisa per regionigeografiche mondiali e con ricorrenti dossier sui te-mi più attuali. Presenta anche una sezione dedicataall’Unione europea che offre uno stimolante puntodi vista sulle relative questioni economiche, politi-che e, ovviamente, geopolitiche. Interessante anchela sezione dedicata alla recensione di libri e rivistedi geopolitica.

www.eurominority.org È un sito in lingua ingle-se curato da un’associazione indipendente che, par-tendo dal motto «Think Europe differently» (Pensaall’Europa diversamente), è riuscito nel tentativo didare una visione completa ed aggiornata delle mol-teplici questioni legate alle nazioni senza Stato ed al-le minoranze in Europa. Il sito, infatti, è in continuoaggiornamento ed offre molto materiale giornalisti-co, storico e geografico sulle innumerevoli diversitàeuropee in cerca di una maggiore tutela e di un mag-giore riconoscimento politico.

www.europa.eu È il portale ufficiale dell’Unioneeuropea e permette di seguire l’attualità dell’Unionenonché di ottenere informazioni sull’integrazioneeuropea e su tutte le politiche comunitarie. L’utentepuò inoltre accedere all’insieme dei testi legislativiin vigore o in discussione ed ai siti di ciascuna istitu-zione. Il sito offre, inoltre, ottimo materiale di ricerca,anche audiovisivo e cartografico, sull’Unione edun’area d’informazione rivolta ai più piccoli.

www.geopolitica.info Offre un servizio a chivuole approfondire, conoscere e studiare le dinami-che sottese alla politica internazionale ed al proces-so di globalizzazione. Il portale è articolato in otto a-ree tematiche, di cui sette divise geograficamente,dove vengono inseriti articoli di notizie provenientida tutti gli angoli del globo e aggiornate in temporeale.

www.istruzione.it È il sito ufficiale del Ministe-ro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Of-fre l’opportunità di consultare materiali vari e nor-mative, di essere al corrente delle iniziative di ag-giornamento e di formazione a livello nazionale e lo-cale oltre che di fruire della documentazione di per-corsi educativo-didattici esemplari. Numerosi ed in-teressanti i links presenti nell’home page.

www.limesonline.it È il sito di «Limes», la rivi-sta italiana di geopolitica. Rappresenta la continua-zione on line della rivista omonima diretta da LucioCaracciolo e fornisce tutte le informazioni sul mondoe approfondimenti di carattere geopolitico sui prin-cipali fatti internazionali. Fornisce materiali di gran-de interesse didattico, tra cui le videocarte, brevi fil-mati basati sull’illustrazione di rappresentazionicartografiche corredate da accessibili spiegazioni i-nerenti fenomeni di grande attualità.

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«Bollettino della Società Geografi-ca Italiana», Serie XIII, vol. I, 2008,pp. 483-492.31. G. De Vecchis, G. Staluppi, In-segnare geografia. Idee e pro-grammi, Utet Università, Torino2007, p. 187.

Insegnare con i concetti cit., pp.317-319.29. D.P. Ausubel, Educazione eprocessi cognitivi. Guida psicolo-gica per gli insegnanti, Franco An-geli, Milano 1998.30. M.T. Di Palma, Appunti per u-na geografia interculturale, traricerca geografica e didattica, in

(lavoro individuale, a due, in pic-coli gruppi, in grandi gruppi, inclasse); 2. metodi (escursioni, e-sercitazioni, lezioni, conversazio-ni); 3. mezzi e strumenti (sussidivisivi, uditivi, audiovisivi, suppor-ti, giochi didattici, materiali strut-turati, risorse umane, ausili occa-sionali). Cfr. Damiano (a cura di),

28. Si tratta del sistema dei media-tori didattici (Repertorio Orm) ela-borato da Damiano a partire da u-no schema di Becker, Thomas eTaylor. Il Repertorio – strutturato,a differenza della tavola dei me-diatori, secondo un ordine descrit-tivo – si presenta diviso in tre voci:1. raggruppamenti degli alunni

si riporta qui solo il quadro sinottico della fase attiva e diquella di verifica, ritenute le più utili ai fini della provad’aula. Lo schema, preceduto dall’esplicitazione dell’o-biettivo formativo, propone due modalità di lettura, en-trambe significative: una orizzontale, che sottolinea lacoerenza del lavoro attraverso la messa in luce del raccor-do tra obiettivi, attività e repertorio Orm28. L’altra, vertica-le, più diretta a palesare i principi cui si riferisce l’UdL ei relativi scopi che, in particolare, sono:– mediare tra una formula di insegnamento più tradizio-

nale e vicina all’impostazione dei libri di testo ed unamaggiormente innovativa e sensibile all’approcciogeopolitico;

– rispettare il più possibile la varietà degli stili cognitivie di apprendimento degli alunni attraverso l’armonicoalternarsi di significative scelte metodologiche, orga-nizzative e degli strumenti, anche in rapporto alla pro-mozione dell’empatia e del rispetto dell’altro;

– riferire l’attività didattica ai principi della costruzioneattiva del sapere individuale, per un apprendimentovalorizzante l’esperienza dell’allievo29;

– intendere il libro di testo come strumento di consulta-zione attivo, integrabile e flessibile30;

– promuovere contesti di insegnamento-apprendimentoche, privilegiando la presentazione di casi di studio esituazioni-problema, favoriscano un’acquisizione del-le conoscenze e delle abilità basata sull’inferenza efunzionale al raggiungimento di competenze, secon-do quanto sollecitato dai sistemi valutativi internazio-nali, tra cui l’Ocse-Pisa;

– favorire uno studio geografico transcalare in luogo diquell’«approccio regionale classico, così caro a tuttinoi (le province, le regioni), tranquillizzante, facile daimparare e da insegnare, pochissimo cambiato rispet-to ai tempi in cui si era sui banchi di scuola, con unotematico-problematico»31.L’obiettivo formativo dell’UdL riguarda la conoscenza:

– dello spazio dell’Unione europea, – degli Stati che ne fanno parte e delle numerose diver-

sità che li caratterizzano, – delle aree geopolitiche che si sono affermate/dissolte

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nel tempo e dei relativi effetti che hanno sortito in ter-mini di conflitti e di tensioni politiche,

– delle questioni geopolitiche che ne hanno scandito/scan-discono le tappe del processo di formazione,

– del sistema delle Euroregioni quali aree in cui la geo-

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mr

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! Kristof L.K.D., The Origins and Evolution of Geopolitics, in«The Journal of Conflict Resolution», vol. 4, n. 1 (Mar., 1960),pp. 15-51.

politica è diretta allo sviluppo e alla tutela del territo-rio,

– per favorire la costruzione di un’identità europea con-sapevole, responsabile, in grado di agire e di orientarsiin una realtà in continua trasformazione. !

! Lévy J., Europa. Una geografia, Edizioni di Comunità, Tori-no 1999.

! Lizza G., Paneuropa, Utet, Torino 2004.

! Ministero della Pubblica Istruzione, Scuola Media Statale.Programmi e orari di insegnamento. Criteri orientativi perle prove d’esame di Licenza e relative modalità di svolgi-mento, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994.

! Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il Curri-colo per la scuola dell’Infanzia e per il Primo Ciclo di Istru-zione, Roma 2007.

! Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, INuovi Ordinamenti Scolastici – strumenti e materiali perl’innovazione. Norme, indicazioni e commenti, Roma 2004.

! Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Di-sposizioni urgenti in materia di scuola e di università, D. lgs.n. 137, del 01/09/08.

! Persi P. (a cura di), Spazi della geografia, geografia deglispazi, Edizioni Goliardiche, Trieste 2003.

! Pingel F. et al., L’immagine dell’Europa nei manuali scola-stici di Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Italia,Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1994.

! Pittella Gavanna G., Didattica della geografia, strumenti di-dattici per l’insegnante della scuola media, Canova, Trevisos.d.

! Puricelli E., Le unità di apprendimento e gli obiettivi forma-tivi, in «Scuola e Didattica», XIL, 2003, n. 11, pp. 7-14.

! Schiavi A., L’unità di apprendimento, nuova modalità didat-tica, in F. Dallari, A.M. Sala, E. Zabbini (a cura di), Emilia Ro-magna regione della coesione e dell’ospitalità. La didatticadella geografia: metodi ed esperienze innovative, Patron,Bologna 2008, pp. 171-180.

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1Catia Brunelli, Francesco Buoncompagni • Geografia, geopolitica e libri di testo per la scuola secondaria di primo grado

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Unità di lavoro: L’Unione europea S

Fase Obiettivo Disciplinecoinvolte

Descrizione dell’attività

1 Conoscere la posizionegeografica, le forme territoriali,le estensioni, le organizzazionipolitiche, i simbolidell’identità, l’anno di ingressodei paesi membri dell’Ue.

Geografia;Storia;Cittadinanza eCostituzione

Il docente distribuisce le 27 carte-profilo e le 27 carte-paese, in modo che ogni alunno nonabbia la giusta coppia; chiede loro di leggere il contenuto della carta-profilo ad alta voce.Quando l’alunno con la carta-paese corrispondente si riconosce nel profilo, lo dichiara econsegna la carta-bandiera al compagno. L’alunno ottiene dall’insegnante anche lariproduzione della forma dello Stato – realizzata su cartoncino in una precedente attività dilaboratorio – recante la data di ingresso nell’Ue e la attacca nella carta politica europea muta.

La

2 Prendere coscienza dellediversità che caratterizzano ilterritorio europeo a livellofisico e antropico per acquisireil concetto di regionegeografica e rendersi contodelle potenziali criticità.

Geografia,Storia

L’insegnante distribuisce nuovamente agli allievi i cartoncini-bandiera, le forme dei paesimembri e una scheda-lavoro con una tabella a doppia entrata in cui vengono suggeriti deicriteri fisici (clima, geografia, morfologia ecc.) o antropici (lingue, religioni, Pil pro capite ecc.)di raggruppamento dei vari paesi. Quindi dichiara un indicatore di riferimento, chiede aglialunni di verificarne l’esistenza nella carta-profilo, di scrivere il nome del paese nella tabella edi riposizionarne la bandiera e la forma nella carta muta d’Europa. Di volta in voltal’insegnante mette in luce le aree geografiche risultanti, sottolineando le diversità. Assegna lostudio delle pagine del libro che ne spiegano le ragioni.

La

3 Conoscere, utilizzando unapproccio geopolitico, le fasidi integrazione dell’Ue perintuire il significato delconcetto di geopolitica e diarea/regione geopolitica.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

L’insegnante mostra la carta dell’Europa con l’indicazione delle date di ingresso dei paesiriprodotta su lucido e vi sovrappone (alla lavagna luminosa) carte tematiche quali: religioni,lingue, Pil – aree ad economia forte/debole – ex aree ad economia pianificata, paesiNato/paesi del Patto di Varsavia, effetti della disgregazione dell’Urss ecc. Il docente chiedeagli alunni di ipotizzare il rapporto esistente tra l’anno di ingresso nell’Ue dei paesi e i varifenomeni rappresentati, compilando una scheda e lavorando a coppie.

La

4 Conoscere i principaliorganismi istituzionali dell’Uee le rispettive competenze.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

L’insegnante consegna agli alunni un cartoncino con l’indicazione di alcune istituzioni dell’Ue(es. Parlamento europeo, Consiglio e Presidente dell’Ue, Consiglio europeo, Commissioneeuropea e Presidente). Sollecita la classe a compiere parallelismi e inferenze, recuperando leconoscenze relative agli organi statali, per ipotizzarne il ruolo e le competenze. Il docenteappunta le ipotesi alla lavagna ed invita a verificarle, consultando il libro di testo.

La

5 Prendere coscienza del ruolosvolto, nel processo diintegrazione dell’Ue, dagliorganismi politici e conoscerele scelte geopolitichenazionali alla base delprocesso stesso.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

L’insegnante distribuisce a ogni alunno le sagome dei paesi membri con le date d’ingresso eavvia un’attività ludica di simulazione, impostata sul role playing. Di volta in volta invita gliallievi dei vari paesi membri a riunirsi nel Consiglio dell’Ue per discutere la candidatura dialcuni Stati e, contestualmente, dà a ciascun membro del Consiglio un cartoncino in cui sonoindicati: il paese/i paesi candidato/i; le motivazioni di ingresso/esclusione; il membro/imembri del Consiglio dell’Unione europea che sono favorevoli/contrari all’ingresso; le relativemotivazioni che giustificano il soddisfacimento/congelamento della candidatura. Il docenteavvia la simulazione e la spiega in itinere.

La

6 Consolidare la capacità dianalizzare fenomeni da unaprospettiva geopolitica eprendere coscienza deldinamismo geopoliticoeuropeo.

Geografia,Cittadinanza eCostituzione

La classe viene divisa in gruppi, ai quali viene data una serie di carte (ad esempio: minoranzeetniche/conflitti del secondo dopoguerra; regionalismi-nazionalismi-separatismi/conflitti delsecondo dopoguerra; Urss e Patto di Varsavia/tappe dell’integrazione Ue/Nato; flussimigratori/Pil pro capite, Fondi Strutturali Comunitari programmazione 2000-2006 e 2007-2013/criticità ambientali (emissioni di CO2, presenza industria pesante ecc.). Utilizzando ilcooperative learning, metodo Jigsaw, gli alunni, comparando le carte di cui dispongono, sonochiamati a fare significative considerazioni di geopolitica e a socializzarle ai compagni.

La

7 Conoscere alcuni conflittieuropei e la posizione dell’Ue,attraverso lo studio di casiinerenti questioni di identità,orientamento politico,sviluppo economico ecc.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

L’insegnante invita gli alunni a mettersi in coppie d’aiuto che dovranno leggere e commentarealcuni articoli di giornale inerenti i casi di studio scelti per la conoscenza delle espressionicausate da tensioni geopolitiche in Europa; quindi mostra loro delle videocarte e cartedisponibili in siti quali www.limesonline.com o www.geopolitica.info.

La

8 Conoscere le Euroregionicome esempi di aree in cui ifattori geopolitici sono motivodi unione e non di divisione.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

L’insegnante avvia un’attività di brainstorming finalizzata ad ipotizzare il significato delconcetto di Euroregione. Dopo aver appuntato gli esiti alla lavagna, distribuisce una scheda disintesi. Gli alunni, basandosi sulle carte europee della fase 6, individuano i caratteri chelegano le componenti amministrative geograficamente e i confini che tuttora le dividono.

La

9 Verificare le conoscenze, leabilità e le competenze.

Geografia,Storia,Cittadinanza eCostituzione

Somministrazione di questionari per la verifica di conoscenze/abilità. Svolgimento di uncompito impostato su una situazione di problem solving per definire il livello di competenza(es.: dati articoli di carte tematiche, quotidiani, testi informativi, fotografie, grafici, tabelle ecc.su una questione geopolitica non nota, analizzarla ipotizzandone gli scenari possibili).

La

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mrSchema per la valutazione

Schema per la valutazione

Organizzazione Risorse (Materiali, mezzi) Metodi

a.

Lavoro in gruppo classe e individuale Carta politica muta dell’Europa; 27 carte-profilo; 27 carte-paese; 27 cartoncini-bandiera;27 forme degli Stati europei con anno diingresso.

Euristico-partecipativo, dialogico; attività ludicafinalizzata alla costruzione del sapere; problemsolving.

)

e

Lavoro in gruppo classe e individuale Oltre al materiale utilizzato nella prima fase,una scheda individuale per registrare i nomidei paesi compresi nelle varie regionigeografiche (linguistica, religiosa, mediterranea,danubiana ecc.); libro di testo.

Espositivo, euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; attività ludicafinalizzata alla costruzione del sapere; problemsolving.

Lavoro di coppia Carte dell’Europa su lucidi; scheda per leipotesi delle relazioni geopolitiche esistenti traanno di ingresso e le diversità esistenti;lavagna luminosa.

Espositivo; euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; tutoring/peer-teaching; problem solving.

e

Lavoro in gruppo classe Cartoncini con indicazione dei principaliorganismi dell’Ue; schede di consolidamentoe/o pagine del libro di testo.

Euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; problem solving.

o

Lavoro in gruppo classe e in piccolo gruppo Sagome dei paesi con le date d’ingressonell’Ue; cartoncini con le informazioni utili alraggiungimento dell’obiettivo stabilito.

Euristico-partecipativo e dialogico; attivitàludica di simulazione e role playing.

ze Lavoro in gruppo classe e in piccolo gruppo Carte tematiche inerenti vari fenomeni. Euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; cooperative learning(metodo Jigsaw).

e Lavoro in gruppo classe e in coppie di aiuto Articoli di giornale e/o tratti da rivistescientifiche; computer con collegamento ainternet e/o videoproiettore.

Euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; peer-teaching/tutoring.

diLavoro in gruppo classe e individuale Scheda e materiali inerenti le Euroregioni; carte

della fase 6.Espositivo; euristico-partecipativo e dialogico;brainstorming, dibattito.

.

Lavoro individuale Questionari strutturati, semistrutturati, nonstrutturati; materiali per il compito insituazione.

Euristico-partecipativo e dialogico;sperimentale-investigativo; problem solving.

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Il confronto fra le prime ricerche diJean Piaget, sulla comprensionestorica, e lo stadio attuale dei lavori,rivela un panorama di analisi,problemi e soluzioni profondamentecambiato. Per lo studioso svizzero lacomprensione storica eraessenzialmente un problema dilogica. Gli studiosi contemporanei,invece, ci forniscono una visione piùcomplessa, basata da una parte sullenuove teorie della mente, e –dall’altra – su una nuovaconsiderazione più attuale deglistatuti epistemologici della storia.

L’interesse per i processi mentali coinvolti nell’apprendi-mento della storia si è manifestato a più riprese e con dif-ferenti intensità in momenti e luoghi diversi nel corso dellastoria della psicologia. Al presente, questo interesse, sep-pure di gran lunga inferiore a quello che suscitano altre ma-terie, come matematica, fisica, scienze naturali, è testimo-

2Anna Emilia Berti

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Psychology of Learning and Tea-ching History, in D.C. Berliner, R.C.Calfee (a cura di), Handbook of E-ducational Psychology, Macmil-lan, New York 1996. 3. M. Angvik, B. von Borries (a cu-ra di), Youth and History, Körber-Stiftung, Hamburg 1997.4. E.L. Thorndike, Education: AFirst Book, MacMillan, New York1912.5. G.S. Hall, Educational Pro-blems, Appleton, New York 1911.6. C.H. Judd, Psychology of High-School Subject, Ginn, Boston 1915.

story, Woburn Press, Portland(Or) 1998.2. P.J. Lee, Putting Principles intoPractice: Understanding History,in M.S. Donovan, J.D. Bransford (acura di), How Students Learn. Hi-story, Mathematics, and Science inthe Classroom, The National Aca-demies Press, Washington (DC)2005, pp. 31-78; P. Seisax, Concep-tualizing the Growth of HistoricalUnderstanding, in D.R. Olson, N.Torrace (a cura di), Education andHuman Development, Blackwell,Oxford 1996; S.S. Wineburg, The

ster (a cura di), Historical Em-pathy and Perspective Taking inthe Social Studies, Rowman andLittlefield, Lanham 2001; G.Leinhardt, I.L. Beck, C. Stainton (acura di), Teaching and Learningin History, Erlbaum, Hillsdale(N.J.) 1994; P.N. Stearns, P. Seixas,S.S. Wineburg (a cura di), Know -ing, Teaching and Learning Hi-story, New York University Press,New York 2000; J.F. Voss, M. Car-retero (a cura di), InternationalReview of History Education:Learning and Reasoning in Hi-

* Questo saggio presenta la primaparte della mia rassegna di studisulla comprensione storica. La se-conda, sulla personalizzazione ela causalità, comparirà nel prossi-mo numero di questa rivista.1. J. Brophy, B. VanSledright, Tea-ching and Learning History in E-lementary Schools, Teacher’s Col-lege Press, New York 1997; M.Carretero, J.F. Voss (a cura di), Co-gnitive and Instructional Proces-ses in History and Social Sciences,Erlbaum, Hillsdale (N.J.) 1994;O.L. Davis jr., E.A. Yeager, S.J. Fo-

niato dalla pubblicazione, nell’arco dell’ultima quindicinadi anni, di diversi volumi che contengono ricerche empiri-che sull’argomento1, di alcune rassegne in testi di psicolo-gia dell’educazione2, e dal fatto che un intero numerodell’«Educational Psychologist» (1994, 29 [2]), l’organo uffi-ciale della Divisione di Psicologia dell’educazione dell’As-sociazione degli psicologi americani, è stato dedicato al-l’insegnamento e apprendimento della storia. Inoltre, ver-so la fine del secolo scorso è stata condotta un’imponenteindagine, «I giovani e la storia», che ha coinvolto 30.000 ra-gazzi di 14-15 anni di 27 paesi diversi3.

La riflessione degli psicologi sulla comprensione dellastoria ebbe inizio negli Stati Uniti nei primi decenni del No-vecento con la nascita della psicologia dell’educazione. Iprimi testi dedicati a questa disciplina contenevano solopochi cenni all’insegnamento della storia. Edward LeeThorndike4 si chiese se era meglio iniziare dal passato perarrivare al presente o seguire un percorso a ritroso. Gran-ville Stanley Hall5 sostenne che lo scopo della storia è difavorire l’educazione morale. Tra i fondatori della psicolo-gia dell’educazione, solo Charles Hubbard Judd6 si diffusesulle problematiche della storia, esaminando la natura delpensiero cronologico e individuando degli ostacoli allacomprensione della storia nel giudizio causale (più com-plicato che nelle scienze), nell’utilizzazione di fonti, e nelladifficoltà a pensare al passato senza applicare canoni mo-rali propri del presente.

Ostacoli cognitivi allacomprensione della storia. Costruzione dei concettistorici e uso delle fonti*

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della storia, in «Scuola e Città»,1977, 28, pp. 241-250; A. Cavalli (acura di), Il tempo dei giovani, IlMulino, Bologna 1985.16.A. Brusa, Guida al manuale distoria per insegnanti della scuolamedia, Editori Riuniti, Roma 1985;A. Calvani, L’insegnamento dellastoria nella scuola elementare, LaNuova Italia, Firenze 1986; Id., Ilbambino, il tempo, la storia, cit.;Girardet, Un curricolo di storia,cit.17. S. Guarracino, D. Ragazzini,L’insegnamento della storia, LaNuova Italia, Firenze 1991.

38 (3), pp. 100-105; A.S. Bombi,A.M. Ajello, La rappresentazionedella storia nei bambini, in «O-rientamenti pedagogici», 1988,35, pp. 17-27; A. Calvani, Il bam-bino, il tempo, la storia, La NuovaItalia, Firenze 1988; H. Girardet,Un curricolo di storia come co-struzione di reti concettuali, in C.Pontecorvo (a cura di), Storia eprocessi di conoscenza, Loescher,Torino 1983.15. A. Calvani, La storia persona-lizzata, in «Riforma della Scuola»,1979, 26 (12), pp. 30-32; A. Calva-ni, L. Pentolini, A. Tendi, P. Scardi-gli, Uso di categorie storiche nell’a-dolescenza: la personalizzazione

ning History, cit., pp. 199-222.12. P.J. Lee, R. Ashby, Empathy,Perspective Taking, and RationalUnderstanding, in Davis jr., Yea-ger, Foster (a cura di), HistoricalEmpathy cit., pp. 21-50.13. D. Shemilt, The Devil’s Loco-motive, in «History and Theory»,1983, 22 (4), pp. 1-18.14. A.E. Berti, La comprensionedell’articolazione del potere poli-tico in bambini dagli 8 ai 14 an-ni, in «Scuola e Città», 1991, 42,pp. 555-560; A.E. Berti, B. Bassan,G. Pinto, La comprensione inbambini di III elementare, di no-zioni politiche presentate nel sus-sidiario, in «Scuola e Città», 1987,

7. J.C. Bell, The Historical Sense, in«Journal of Educational Psycho-logy», 1917, 8, pp. 317-318.8. J.C. Bell, D.F. McCollum, A Studyof the Attainments of Pupils in U-nited States History, in «Journal ofEducational Psychology», 1917, 8,pp. 257-274.9. Bell, The Historical Sense, cit.10. M. Booth, Cognition in Hi-story: A British Perspective, in «E-ducational Psychologist», 1994, 29(2), pp. 61-69.11. P.J. Lee, R. Ashby, Progressionin Historical Understanding a-mong Students Ages 7-14, inStearns, Seixas, Wineburg (a curadi), Knowing, Teaching and Lear-

In Gran Bretagna, invece, la riflessione e la ricerca em-pirica sull’apprendimento della storia cominciarono neglianni Sessanta, in coincidenza con la crisi dell’insegnamentotradizionale della storia e l’inizio di una riflessione sulla suariforma10, e hanno prodotto, nell’arco di due decenni, unaventina di tesi di laurea e diversi articoli. Negli anni Sessantadel Novecento la teoria dello sviluppo cognitivo dominanteera quella di Jean Piaget e ad essa si sono richiamate moltericerche, esaminando soprattutto bambini e ragazzi tra gli11 e i 17 anni per individuare i tipi di logica utilizzati neiproblemi di storia e le loro relazioni con lo sviluppo cogni-tivo. Eredi di questo tipo di ricerche sono degli studiosi bri-tannici che più di recente hanno investigato lo sviluppo inbambini e ragazzi dai 7 ai 14 anni di varie nozioni che for-mano l’intelaiatura della storia intesa come disciplina: checosa è un resoconto storico? Perché ci sono resoconti diversisu uno stesso tema, ad esempio la caduta dell’Impero ro-mano, o gli effetti della conquista romana della Britannia suipopoli che la abitavano?11 Come spiegare istituzioni delpassato tanto difformi da quelle in uso attualmente nella no-stra società (ad esempio l’ordalia)?12 E, più in generale, inche modo gli studenti si raffigurano il passato?13

Negli Stati Uniti le ricerche sulle abilità coinvolte nellacomprensione della storia hanno preso avvio verso la finedegli anni Ottanta, quando anche l’astro di Piaget era giàstato eclissato da nuovi paradigmi di ricerca, che ponevanoal centro del loro interesse altri temi e altre fasce d’età. Glistudi condotti in questo paese hanno esaminato l’uso difonti e la comprensione della causalità storica soprattutto instudenti della scuola media superiore, universitari e adulti.

Anche in Italia, a partire dalla seconda metà degli anniSettanta, sono state condotte diverse ricerche empiriche conbambini e ragazzi della scuola elementare14 e delle mediesuperiori15 e sono state formulate proposte didattiche per lascuola dell’obbligo16e la scuola media superiore17 con il sup-porto dei dati empirici raccolti sia in Italia sia in altri paesi.

Fu nel 1917 che per la prima volta vennero pubblicatidegli articoli riguardanti la storia sul «Journal of EducationalPsychology», fondato otto anni prima. Si tratta di due articoli,uno teorico sul “senso storico”7 e uno empirico, dedicato adun esame delle conoscenze storiche presenti dalla quinta e-lementare al college8. Nonostante entrambi siano dello stes-so autore, c’è tra essi una considerevole discrepanza. Il «sen-so storico» viene operazionalizzato nel primo articolo in unaserie di prestazioni di vario impegno intellettuale come ri-spondere correttamente a domande su personaggi ed even-ti, saper apprezzare una narrazione storica, rispondere a do-mande che richiedono uno sforzo di pensiero, ricostruire unevento attraverso l’esame di un insieme di fonti eterogenee9.Tuttavia, il test impiegato nella seconda ricerca riguardavasoltanto la conoscenza fattuale (cioè relativa a date, eventiimportanti, nomi di personaggi famosi), con la giustificazio-ne che le abilità più importanti sono anche quelle più diffi-cili da misurare. Iniziava così una tradizione di ricerca chegiunge fino ai giorni nostri, e che ha replicato in anni diversii risultati dell’indagine del 1917, documentando con grandecostanza le scarse conoscenze storiche dei ragazzi america-ni. Il movimento per la misurazione obiettiva della cono-scenza storica fu rinvigorito dai progressi dell’approccio psi-cometrico e dal fatto che nella storiografia americana stavaprevalendo un approccio fattualista.

L’avvento del comportamentismo impedì per diversidecenni che negli Stati Uniti qualcuno riprendesse la ri-flessione sulle peculiarità della conoscenza storica e cer-casse di tradurla in ricerche empiriche. Negli anni Sessan-ta del Novecento, il declino del comportamentismo e ildiffondersi di teorie cognitiviste (da quella di Piaget aquelle della elaborazione dell’informazione) non riuscì aravvivare la ricerca sulla storia. Le indagini sulle compo-nenti più complesse del «senso storico», cioè la spiegazio-ne di eventi e l’uso delle fonti, iniziarono negli Stati Unitisolo a partire dagli anni Ottanta.

mr

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22. Cit. in M. Booth, Cognition inHistory: A British Perspective, in«Educational Psychologist», 1994,29 (2), pp. 61-69.23. Cit. in ibid.

tale nelle ricerche di Jean Piaget,Giunti-Barbera, Firenze 1961.21. J. Piaget, Psychologie de l’en-fant et enseignement de l’histoire,in «Bulletin Trimestriel de la Confé-rence Internationale pour l’Ensei-gnement de l’Histoire», 1933, 2, pp.1-18.

La mente dalla nascita all’adole-scenza nel pensiero di Jean Piaget,Ubaldini, Roma 1971); P.H. Miller,Theories of Developmental Psy-chology, Freeman, San Francisco1983 (trad. it., Teorie dello svilup-po psicologico, Il Mulino, Bologna1987); G. Petter, Lo sviluppo men-

18. Calvani, Il bambino, il tempo,la storia, cit.19. E. Lastrucci, Aspetti educatividella coscienza storica, «Il Muli-no», 2000, 1, pp. 126-136.20. J.H. Flavell, The Developmen-tal Psychology of Jean Piaget, VanNostrand, London 1963 (trad. it.,

duti in realtà centinaia di anni prima e che bambini di al-tre nazionalità avessero lo stesso interesse per eventi dellastoria svizzera dei piccoli ginevrini.

Il compito cui gli studiosi che si sono richiamati allateoria di Piaget si sono dedicati con maggior impegnonon è stato però lo studio della comprensione del tempostorico, quanto piuttosto l’individuazione di stadi di ragio-namento storico e di costruzione di concetti storici paral-leli a quelli piagetiani.

La maggior parte delle ricerche di Piaget ha preso inesame concetti di tipo fisico, o logico-aritmetico, o geo-metrico, che si prestavano ad essere investigati medianteprove in cui i bambini e i ragazzi dovevano non solo ri-spondere verbalmente a delle domande, ma anche mani-polare dei materiali ed eseguire vere e proprie sperimen-

tazioni. Il tentativo di applicare lateoria di Piaget all’ambito dellastoria ha perciò comportato in-nanzitutto un esame delle rasso-miglianze e differenze tra concettie ragionamenti storici e quelli chesi riscontrano nell’ambito della fi-sica, e la formulazione di proveverbali che costituissero l’analo-go, in campo storico, di quelleideate da Piaget per i concetti fisi-ci.

Hallam (1966)22 ha sottopostoa ragazzi da 10 a 17 anni tre braniche descrivevano degli eventi sto-

rici: il tentativo di Mary Tudor (1516-1558) di imporre lareligione cattolica attraverso una sanguinosa persecuzio-ne dei protestanti, la conquista normanna, la guerra civilein Irlanda. Ogni brano era seguito da alcune domande.Ad esempio, nel caso di Mary Tudor, erano le seguenti:

Mary Tudor pensava che Dio voleva che lei ripor-tasse l’Inghilterra al cattolicesimo. a) Cosa avrebbepensato Dio dei suoi metodi? b) Riesci a pensare aqualche motivo che potrebbe aver indotto Mary ausare tali metodi per convincere il popolo a seguirela sua religione?23

Le risposte venivano classificate come preoperatoriese non contenevano alcun riferimento alle informazioni

In questa rassegna verrà presentata una sintesi di tali ri-cerche, con alcune eccezioni rese necessarie dai limiti dispazio. Verranno saltati gli argomenti su cui sono già dispo-nibili dei resoconti in italiano, come lo sviluppo della no-zione di tempo storico18 e i risultati della ricerca su «I giovanie la storia»19. Le ricerche del gruppo britannico, tanto vasteda richiedere un articolo a sé, verranno solo accennate.

Ricerche di matrice piagetiana sullacomprensione della storia La teoria piagetiana dello sviluppo cognitivo20 ha al suocentro l’idea che i bambini di un certo livello di età sianocaratterizzati da un insieme di abilità cognitive ampie e per-vasive che si manifestano in tutti i compiti cognitivi e in tuttele sfere di vita. Le abilità al centrodella teoria piagetiana sono di ti-po logico, riguardano cioè il ra-gionamento e la costruzione deiconcetti. Connessa alle abilità lo-giche è la capacità di decentrarsi,cioè di comprendere la relativitàdel proprio punto di vista. Lo svi-luppo intellettuale avviene attra-verso una sequenza di stadi, cia-scuno caratterizzato da forme dipensiero peculiari, a cui corri-spondono peculiari forme di e-gocentrismo, cioè di assolutizza-zione del proprio punto di vista.

Piaget stesso ha dedicato al-cune riflessioni alla concezione della storia nei bambini21,sottolineando la visione egocentrica della storia presentefino a circa 10 anni e la difficoltà a comprendere il passatonon vissuto:

Il passato infantile non è lontano né ordinato inepoche distinte. Non è qualitativamente diverso dalpresente. L’umanità vive identica a se stessa, nella suacultura e nelle sue attitudini morali. E soprattutto l’u-niverso è centrato sui paesi o anche sulla città in cuivive il soggetto (p. 13).

I bambini intervistati da Piaget credevano infatti che ipropri genitori o nonni avessero assistito ad eventi acca-

Le abilità al centro della teoria piagetiana

sono di tipo logico, riguardano cioè il ragionamento e la costruzione

dei concetti.

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24. Ibid.25. M.F. Jurd, Concrete and For-mal Operational Thinking in Hi-

story, in J.A. Keats, K.F. Collins,G.S. Halford (a cura di), CognitiveDevelopment. Research Based on

a Neo-Piagetian Approach, Wiley,New York 1978.

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terza colonna frasi analoghe, riguardanti un terzo paese,fornite loro in un ordine casuale. Infine, nella quarta co-lonna dovevano indicare le somiglianze tra gli eventi deitre paesi. Scopo di questo compito era di vedere in qualemisura i ragazzi erano capaci di usare e definire concettigenerali (cambiamento di leadership, linee politiche delgovernante, azione del popolo contro il governante, cam-biamento nel tipo di governo).

La Jurd ha ipotizzato una sequenza di sviluppo deiconcetti sulla base di un’analisi a priori del tipo di opera-zioni mentali coinvolte. Comprendere che «Henry diven-ne re dopo la morte di suo padre» e «Richard divenne dit-tatore dopo aver guidato il suo popolo nella vittoria con-tro gli invasori» sono simili, in quanto esempi di “nuova

leadership”, richiede solo l’astra-zione di due comuni attributi(nuovo + leadership), cioè una ad-dizione di classi. Poiché gli attribu-ti da considerare sono solo due,questo concetto è più facile dacomprendere di «azione del popo-lo contro il governante» che, purrichiedendo ugualmente un’addi-zione di classi, contempla tre attri-buti (azione, popolo, governante).Ancora più difficile è capire le so-miglianze tra «il re consentì di es-sere affiancato da un organo rap-presentativo» e «il popolo elesseun gruppo di nuovi governanti»,

esprimibile come “cambiamento di governo”. Qui infatti èin gioco la comprensione che c’è una somiglianza tra duerelazioni (il cambiamento tra la situazione iniziale e quellafinale), cioè una moltiplicazione biunivoca di seriazioni.Le età in cui sono stati risolti i problemi hanno dato so-stegno a questa analisi. L’ultimo concetto (cambiamentodi governo) è stato espresso solo da pochi dei soggetti piùgrandi.

Il ragionamento causale veniva esaminato attraversouna serie di domande: perché il popolo di Adza ha impo-sto un organo rappresentativo? Quali conseguenze avràavuto il suo insediamento? Perché il dittatore è stato uc-ciso? In che modo egli avrebbe potuto evitare l’uccisione?Alcune di queste domande avevano lo scopo di vedere sei ragazzi capivano le relazioni tra cause ed effetti, altre seessi sapevano immaginare cosa succede se si inverte unacausa (abbassare le tasse ai proprietari terrieri dopo averleaumentate) o la si compensa con un’altra azione che ne

fornite nel brano, operatorie concrete se questo riferimen-to c’era, operatorie formali se contenevano anche ipotesiche andavano oltre le informazioni presenti nel testo.Questa procedura, utilizzata anche in diverse altre ricer-che (passate in rassegna da Booth24), ha messo in eviden-za gravi ritardi nell’applicazione del pensiero logico allastoria. Ad esempio, nella ricerca di Hallam sopra descritta,solo due dei ragazzi più grandi hanno manifestato il pen-siero operatorio formale. Hallam ne ha concluso che lapovertà di queste prestazioni dimostra quanto sia difficileper i ragazzi la comprensione della storia. Un’altra con-clusione che se ne può ricavare è che compiti come quelliillustrati sono poco adatti a mettere in luce le abilità di ra-gionamento e che l’assegnazione delle risposte agli stadipiagetiani è arbitraria.

Un tentativo diverso di costrui-re dei compiti atti a suscitare rispo-ste valutabili nei termini delle ope-razioni logiche studiate da Piaget èstato effettuato da M.F. Jurd25,usando eventi immaginari. Lo sco-po della ricerca era di mettere inluce in che modo a età diverse (da-gli 11 ai 18 anni) vengono costruitii concetti attinenti alla storia, ecomprese le relazioni causali checonnettono eventi storici.

Il compito era il seguente. Ve-niva presentato un foglio di cartadiviso in quattro colonne. Nelleprime due erano descritte (una per colonna) due serie dieventi riguardanti due paesi immaginari: Adza e Mulba.Le due serie, nonostante differenze nelle circostanze e neidettagli, presentavano notevoli somiglianze ed erano tra-ducibili in questa sequenza: si insedia un nuovo gover-nante, le linee politiche che egli adotta impongono dellerestrizioni che peggiorano le condizioni economiche del-la popolazione, questa si solleva e alla fine riesce a rea-lizzare una forma di governo più democratica. Ciascunastoria differiva però nei dettagli: ad Adza c’era un re cheaumentava le tasse per accrescere la flotta mercantile; aMulba c’era un dittatore che costringeva al servizio mili-tare tutti gli uomini tra i 18 e i 25 anni. Il re di Adza subivasolo una limitazione del proprio potere con l’imposizionedi un organo rappresentativo; il dittatore di Mulba venivaucciso. Ogni passo delle vicende dei due paesi era de-scritto nella stessa riga delle due colonne, in modo da fa-cilitare il confronto. I ragazzi dovevano trascrivere nella

Nelle prove diragionamento causale, il pensiero operatorioformale è continuato

a rimanere appannaggio di un’esigua minoranza.

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annulla l’effetto (fornire sussidi alla produzione agricola).Le risposte sono state classificate in questo modo: 1. Li-vello preoperatorio: risposte sbagliate, risposte contenen-ti solo una negazione o una compensazione; 2. Livellooperatorio concreto: risposte contenenti più negazioni opiù compensazioni; 3. Livello operatorio formale: rispostecontenenti sia negazioni che compensazioni.

Nonostante la diversa procedura, i risultati hanno con-fermato l’arretratezza del ragionamento messa in evidenzada Hallam con le domande su brani di storia. Nella costru-zione dei concetti, la maggioranza dei ragazzi dagli 11 ai 15anni ha mostrato di avere un pensiero addirittura preopera-torio, che nelle prove di Piaget caratterizza invece i bambinisotto i 7/8 anni, e anche a 17/18 anni solo una minoranza hamanifestato un pensiero operatorio formale. Nelle prove diragionamento causale, il pensiero operatorio formale è con-tinuato a rimanere appannaggio di un’esigua minoranza, mala maggioranza dei ragazzi, a tutti i livelli di età considerati,ha manifestato almeno un pensiero operatorio concreto.

Come questa ricerca esemplifica, secondo gli studiosidi approccio piagetiano gli ostacoli alla comprensionedella storia risiedono nei limiti delle operazioni intellettualidisponibili prima dello stadio delle operazioni formali. Iproblemi di storia, imponendo di ragionare su materialeverbale, sembrano inoltre più difficili di quelli di fisica checonsentono sperimentazioni e manipolazioni: le operazioniformali vengono infatti esercitate con alcuni anni di ritardo.Il suggerimento principale che ne deriva è quello di cali-brare l’insegnamento agli stadi dello sviluppo cognitivo.

L’uso di un’adeguata de-finizione intensiva di un con-cetto dipende evidentementedalla disponibilità delle ope-razioni logiche appropriate.È raccomandabile che gli in-segnanti analizzino i concettiche intendono insegnare inmodo da identificare gli attri-buti e le relazioni di cui sonocomposti, così da assicurarsiche il concetto non sia trop-po lontano dal livello di pen-siero degli alunni26.

Si osservi come il tipo diprova sopra descritto sembriimplicare l’assunto che i con-

cetti relativi ad istituzioni sociali siano costruiti (dal ragaz-zo da solo, senza insegnamento) attraverso un processo diinduzione, cioè confrontando coppie di casi e costruendoconcetti via via più astratti che descrivono le loro proprietàcomuni. In realtà possiamo aspettarci che i ragazzi costrui-scano concetti come “governo democratico” e “cambia-mento di governo” cercando di capire il significato dei ter-mini corrispondenti quando li trovano nei testi scolastici,nei giornali, o ne sentono parlare in televisione. Compren-dere i concetti sarà più o meno facile, a seconda della ric-chezza delle informazioni che accompagnano questi ter-mini e delle precedenti conoscenze sull’argomento.

Gli studiosi che si sono richiamati a Piaget hanno avutoil merito di riprendere gli interrogativi sull’acquisizione delsenso storico che erano stati formulati, come abbiamo vi-sto, già nei primi decenni del Novecento, per venire imme-diatamente abbandonati col prevalere di ricerche di carat-tere psicometrico e comportamentista. Ci sono tuttavia deidubbi sulla validità degli strumenti che gli studiosi piage-tiani hanno proposto per misurare il ragionamento storicoanziché la pura e semplice ripetizione di fatti, e sulle con-seguenze pratiche di tali ricerche. Secondo Wineburg27, glistudi di ispirazione piagetiana hanno da una parte scorag-giato gli educatori, inducendoli a sottovalutare le capacitàdei loro allievi, dall’altra hanno stimolato una serie di altrericerche, e in particolare quelle di Lee, Ashby e Shemilt,delle quali abbiamo già accennato, che, sull’onda dellasperimentazione di nuovi modi di insegnare la storia pro-mossa dal governo inglese negli anni Settanta, hanno cer-

cato di identificare le nozionifondamentali relative alla storiapresenti in bambini e ragazzi e diverificare la possibilità di pro-muoverle verso forme più avan-zate.

Queste ricerche si colleganoa quelle di derivazione piage-tiana per l’obiettivo di tracciaredelle sequenze di sviluppo o,per seguire la denominazioneproposta dagli autori, «progres-sioni» (progressions), ovverosuccessioni di idee, concezioni,modi di ragionare, ordinati inbase a una crescente «potenza»,cioè capacità di fornire le basiper avanzare nella comprensio-ne della storia28. Esse si disco-

26. Ivi, p. 335.27. Wineburg, The Psychology ofLearning cit.

28. P.J. Lee, D. Shemilt, AScaffold, not a Cage. Progressionand Progression Models in Hi-

story, in «Teaching History», 2003,111, pp. 13-23.

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2Anna Emilia Berti • Ostacoli cognitivi alla comprensione della storia. Costruzione dei concetti storici e uso delle fonti

Ci sono dei dubbi sulla validità degli

strumenti che gli studiosi piagetiani hanno

proposto per misurare il ragionamento storico

anziché la pura e semplice ripetizione

di fatti, e sulle conseguenze pratiche

di tali ricerche.

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stano però nettamente dall’approccio piagetiano per illoro carattere prevalentemente descrittivo: gli autori han-no costruito induttivamente a posteriori le varie catego-rie di risposta, non hanno proposto alcuna ipotesi suiprocessi cognitivi ad esse sottostanti, non hanno assuntoche le sequenze fossero invarianti e universali, né checi fossero delle sincronie tra le sequenze relative a con-cetti diversi.

Gli scopi dichiarati di queste indagini sono quelli di for-nire gli strumenti per progettare gli interventi educativi,confrontare gli studenti che hanno partecipato a sperimen-tazioni curricolari con quelli che hanno seguito un currico-lo tradizionale, e offrire agli insegnanti una panoramicadelle idee probabilmente presenti in varia misura nei loroallievi, in modo che essi possano correggere quelle erratee usare quelle più avanzate come base per costruire nuovaconoscenza29. Queste caratteristiche fanno sì che tali ricer-che siano in sintonia con uno dei più recenti approcci allosviluppo cognitivo e all’insegnamento-apprendimento dimaterie scolastiche: l’approccio delle teorie ingenue o delcambiamento concettuale30.

Ricerche contemporanee su abilità e concezioni degli studentiLa teoria piagetiana, alla quale si sono richiamate le ricer-che sulla comprensione della storia condotte negli anniSessanta e Settanta, è stata oggetto, negli ultimi decenni, dimoltissime critiche sfociate nel-l’affermazione di un approccio di-verso. Alla visione olistica secon-do cui la mente umana ha dellestrutture cognitive ampie e perva-sive che sottendono i ragiona-menti e le concezioni sui più variaspetti della realtà, è stata con-trapposta una visione pluralistica,secondo la quale c’è una molte-plicità di strutture distinte che sisviluppano lungo itinerari in largaparte indipendenti gli uni dagli al-tri31. I bambini (e gli adulti) pos-siedono molteplici abilità (o «co-

noscenze procedurali») distinte, in alcune delle quali essipossono eccellere e in altre avere prestazioni medie o sca-denti, a seconda della dotazione innata, gli interessi, e leopportunità di apprendimento32. Ad esempio, un bambinoo una bambina (o un uomo o una donna) può essere bril-lantissimo nel gioco degli scacchi, nel disegno, o nella mu-sica, o avere una grande capacità di capire le altre persone,ma essere pari se non inferiore alla media dei coetanei inaltre abilità.

Oltre ad abilità, i bambini (e gli adulti) possiedonodiversi sistemi di credenze, relativi a vari ambiti dellarealtà. Si ritiene che queste credenze non dipendano daoperazioni logiche di portata generale come quelle allabase degli stadi piagetiani, ma che siano condizionate dafattori specifici: dotazione innata, opportunità di espe-rienza, interesse, accesso a conoscenze scientificamenteaccreditate, possesso delle conoscenze necessarie a ca-pire queste ultime. Abilità e credenze vengono a costi-tuire una sorta di ecologia mentale33, con cui le nuoveinformazioni (provenienti dall’esperienza diretta, o da te-levisione, letture, insegnamento, conversazioni, ecc.) in-teragiscono in vari modi e con diverse intensità, cosicchéla loro acquisizione può essere facilitata, del tutto impe-dita oppure ostacolata. Hanno così origine una serie diidee errate o «misconcezioni». Ad esempio, i bambini inetà prescolare si formano l’idea che la terra è piatta e cheil sole e la luna compaiono e scompaiono andando su e

giù dietro l’orizzonte. Questa cre-denza non è semplicemente unaconseguenza diretta dell’esperien-za percettiva, ma rispecchia anchealcune credenze di portata più ge-nerale e profondamente radicate,come la credenza epistemologicasecondo cui le cose sono comesembrano, e le credenze fisichesecondo cui esistono un alto e unbasso assoluti e un corpo non sor-retto cade34.

Alcuni studiosi hanno propo-sto una distinzione tra credenzespecifiche e credenze di portata

29. Ibid.30. A.E. Berti, Cambiamento con-cettuale e insegnamento, in «Scuo-la e Città», 2002, 102 (1), pp. 19-38;L. Mason, Concettualizzazione einsegnamento, in C. Pontecorvo (acura di), Manuale di psicologiadell’educazione, Il Mulino, Bolo-gna 1999, pp. 243-270.

31. Cfr. Berti, Cambiamento con-cettuale e insegnamento, cit.; S.Carey, Conceptual Change inChildhood, Mit Press, Cambridge(Ma) 1985; F. Keil, Concepts,Kinds, and Cognitive Develop-ment, Mit Press, Cambridge (Ma)1989.32. H. Gardner, Frames of Mind.

The Theory of Multiples Intelligen-ces, Basic Books, New York 1983(trad. it., Formae mentis. Saggiosulla pluralità dell’intelligenza,Feltrinelli, Milano 1987).33. K.A. Strike, G.J. Posner, A Con-ceptual Change View of Learningand Understanding, in L.H.T. We-st, A.L. Pines (a cura di), Cognitive

Structure and Conceptual Chan-ge, Academic Press, New York1985. 34. S. Vosniadou, Designing Cur-ricula for Conceptual Restructu-ring: Lesson from the Study of Knowledge Acquisition in Astro-nomy, in «Journal of CurriculumStudies», 1991, 23, pp. 219-237.

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Abilità e credenze vengono a costituire una sorta di ecologia

mentale, con cui le nuove informazioniinteragiscono in vari modi e con diverse

intensità.

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più generale, denominando queste ultime «teorie corni-ce»35. La nozione di «teoria cornice» si richiama alle nozio-ni di paradigma, programma di ricerca, e tradizione di ri-cerca formulate nell’ambito dell’epistemologia (tutte e trequeste nozioni sono presentate in Laudan36). Tornandoalle concezioni dei bambini sul nostro pianeta, perché l’i-dea della terra piatta venga sostituita da quella che la terraè una sfera che ruota sospesa negli spazi celesti, non ba-sta che i bambini ricevano questa informazione, ma è ne-cessario che abbandonino le teorie cornice epistemologi-che e fisiche sopra descritte o limitare il loro ambito diapplicazione.

L’approccio pluralistico si traduce in ricerche molto di-verse da quelle ispirate dalla teoria di Piaget. Quest’ulti-ma, come abbiamo visto, induceva a esaminare soprattut-to le operazioni logiche coinvolte nella costruzione deiconcetti, i modi di ragionamento, la concezione della cau-salità, e a cercare parallelismi con gli stadi. Le ricerchecontemporanee, invece, considerano una gamma più va-sta di problemi, cercano relazioni tra un ventaglio più am-pio di abilità e credenze, assegnano un ruolo maggioreall’insegnamento e alla qualità delle informazioni sullabase delle quali vengono costruite le credenze37.

Negli ultimi anni sono state condotte molte ricerche suvarie abilità (aritmetiche, spaziali, logiche, sociali), sulleconcezioni che bambini e ra-gazzi di varie età hanno diparticolari fenomeni fisici,biologici, chimici, sulle «teo-rie cornice» («fisica ingenua»,«psicologia ingenua» e «biolo-gia ingenua») che guidano lacostruzione di tali concezio-ni, e sui modi in cui queste a-bilità e conoscenze possonointerferire con l’apprendi-mento scolastico (rassegne diqueste ricerche sono presen-tate in Cavallini38 e Mason39).Le ricerche sulla storia, oltre ad essere meno numerose, so-no concentrate sulle abilità coinvolte nell’apprendimentodi questa disciplina e su concetti “di secondo ordine”, ov-vero attinenti la storia come disciplina o forma di cono-

scenza, anziché su specifici contenuti storici. I fenomeni dicui si occupano le scienze della natura (ad esempio, la ca-duta dei gravi, i movimenti dei corpi celesti, l’evaporazionedell’acqua, la combustione, la crescita di piante e animali)fanno parte dell’esperienza quotidiana, ed è ragionevole a-spettarsi che gli studenti se ne siano fatte delle idee ante-cedenti e indipendenti dall’esperienza scolastica. Poiché lastoria ha come oggetto il passato, ci si può aspettare inveceche bambini, ragazzi, e in genere le persone non espertedi questa disciplina, abbiano scarse occasioni di formarsidelle concezioni prima dell’istruzione scolastica40. Le ricer-che sulle concezioni degli studenti hanno perciò esamina-to soprattutto concetti come quelli di resoconto storico,fonte, spiegazione storica, anziché le conoscenze di parti-colari eventi, processi o periodi storici.

Le idee sulle fonti storiche e sulla loroutilizzazioneDa cosa deriva la nostra conoscenza del passato e cosa larende attendibile? Peter Lee, Davis Shemilt e i loro colleghibritannici hanno affrontato più volte questo tema nel corsodelle loro indagini, prendendo spunto da diversi quesitiproposti ai bambini e ai ragazzi intervistati, ad esempio:«come fai a sapere che è stato Hitler a provocare la secondaguerra mondiale?»41, «Leggi questi due testi sulla caduta del-

l’Impero romano. Uno sostieneche è avvenuta nel 476, quan-do Odoacre ha deposto l’ulti-mo imperatore occidentale;l’altro dice che è avvenuta nel1453, quando Costantinopoli èstata conquistata dai turchi. Co-me mai queste differenze? Èpossibile stabilire chi ha ragio-ne?»42.

La «progressione» o sequen-za individuata comprende al-cuni passaggi fondamentali. Ibambini più piccoli si limitano

a dire che le informazioni si trovano in un libro, senza in-terrogarsi su come il suo autore ne sia venuto a conoscen-za, o sostenendo che a sua volta egli le ha trovate in un altrolibro. Compare poi l’idea di “testimonianza”, ovvero di testi

35. Ibid.; H.M. Wellman, S.A. Gel-man, Knowledge Acquisition inFoundational Domains, in D.Kuhn, R.S. Siegler (a cura di),Handbook of Child Psychology.Fifth Edition. Volume 2: Cogni-tion, Perception, and Language,Wiley, New York 1997.

36. L. Laudan, Progress and ItsProblems. Towards a Theory ofScientific Growth, University ofCalifornia Press, Berkeley 1970(trad. it., Il progresso scientifico.Prospettive per una teoria, Arman-do, Roma 1977). 37. Berti, Cambiamento concet-

tuale e insegnamento, cit.38. G. Cavallini, La formazionedei concetti scientifici. Senso co-mune, scienza, apprendimento,La Nuova Italia, Firenze 1995.39. Mason, Concettualizzazione einsegnamento, cit.40. Cfr. ad esempio O. Halldén,

Learning History, in «Oxford Re-view of Education», 1986, 12, pp.53-66.41. Lee, Putting Principles intoPractice, cit.42. Lee, Ashby, Progression in Hi-storical Understanding, cit.

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2Anna Emilia Berti • Ostacoli cognitivi alla comprensione della storia. Costruzione dei concetti storici e uso delle fonti

Secondo molti bambini, il compito dello storico è quello di identificare

il testimone più attendibile o la versione dei fatti

su cui il maggior numero di testimoni

concorda.

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scritti da persone che vivevano all’epoca del “fatto” con l’in-tenzione di trasmettere informazioni su di esso. Assieme aquesta idea si fanno strada diverse spiegazioni del perchéuna fonte può essere inaccurata o addirittura falsa: since-rità o meno del “testimone”, interessi personali, tendenzea esagerare o omettere certe informazioni, errori interve-nuti nel riportarle. Il compito dello storico è perciò quellodi identificare il testimone più attendibile o la versione deifatti su cui il maggior numero di testimoni concorda. Infine,l’idea di prova storica si amplia per includere sia testi chenon sono stati scritti con l’intenzione di trasmettere infor-mazioni su un certo fatto, sia manufatti o altri prodotti del-l’attività umana. Ricerche condotte in Italia con bambini discuola elementare, ai quali si chiedeva come fanno gli au-tori dei libri di storia a saper le cose che scrivono43, o comefacciamo a sapere molte cose su popoli antichi44 hanno ri-portato risultati simili, almeno per quanto riguarda le rispo-ste più primitive.

In questa progressione si intrecciano vari fili, riguar-danti lo sviluppo di idee diverse. L’idea di fonte, che ab-biamo appena visto. Il suo complemento, cioè l’idea di la-voro dello storico, che i bambini più piccoli si rappresen-tano come individuazione delle testimonianze più atten-dibili, e che per alcuni dei ragazzi più grandi consiste in-vece nell’interrogare e far parlare testi e materiali che so-no stati prodotti con scopi diversi da quello di trasmetterequelle informazioni. Anche nelle idee sul tipo di eventi dicui si occupa la storia traspaiono dei cambiamenti: i bam-bini più piccoli sembrano rappresentarsi solo eventi dibreve durata, localizzabili in uno scenario e un momentoprecisi, così che, ad esempio, c’è solo una risposta giustaalla domanda su quando è caduto l’Impero romano. I ra-gazzi più grandi, invece, si rappresentano processi di lun-ga durata e con molte sfaccettature, così da poter affer-mare che sulla caduta dell’Impero romano gli storici pos-sono avere punti di vista diversi, a seconda dei criteri chedecidono di adottare, ponendo maggiormente l’accentosu aspetti economici, culturali, o politici45.

Alcune ricerche, condotte a partire dagli anni Novantadel Novecento, hanno rilevato direttamente in che modopersone con vari livelli di competenza storica utilizzano lefonti, estendendo alla storia una procedura ideata negli an-ni Ottanta per investigare le competenze nel campo dellafisica46. Questa procedura consiste nell’esaminare in che

modo un esperto di una certa disciplina (ad esempio un fi-sico) risolve dei problemi, chiedendogli di pensare a vocealta e registrando tutto quello che dice. Con l’esame dellaprestazione e delle verbalizzazioni che l’hanno accompa-gnata si cerca di ricostruire l’insieme di abilità e conoscen-ze che caratterizzano l’esperto, per poi confrontarle conquelle di principianti (ad esempio studenti del primo annodi Fisica), rilevate con la stessa procedura. Si ha così la de-scrizione del punto di partenza e di quello di arrivo del pro-cesso che porta alla competenza specialistica, e dunqueun’indicazione del percorso che l’insegnamento dovrebbefar compiere agli studenti.

Il primo studioso che ha esteso questa procedura allastoria47 ha chiesto di ricostruire attraverso l’esame di nu-merosi documenti scritti ed iconografici un evento dellastoria americana (la battaglia di Lexington). I principianti(otto studenti di 16/17 anni) hanno cercato di mettere as-sieme le informazioni ricavate dai diversi documenti, comese si trattasse di sistemare i pezzi di un puzzle, senza effet-tuare dei confronti, interrogarsi sulle discrepanze, e soprat-tutto senza badare minimamente a chi fossero gli autori deidocumenti. Gli esperti (otto storici di professione) si sonoinvece soffermati per prima cosa proprio su quest’ultimoaspetto. Per gli storici nessun resoconto della battaglia eraneutrale, perché ciascuno rifletteva un particolare punto divista. Gli studenti invece distinguevano tutt’al più tra reso-conti obiettivi e resoconti tendenziosi, e cercavano di iden-tificare i primi. Alcuni espressero la convinzione che i testipiù obiettivi fossero i manuali scolastici. In conclusione

Gli studenti sembrano considerare i testi comeveicoli per trasmettere informazioni [...] gli storici in-vece non come veicoli ma come persone, non comeinformazioni da unire alle altre, ma come scambi so-ciali da comprendere48.

Questi dati, tuttavia, sono stati confermati solo in parteda uno studio condotto con ragazzi più grandi (studenti u-niversitari). Il compito, questa volta, richiedeva di utilizzarevari tipi di documenti secondari (come testi di storia) o pri-mari (come atti ufficiali e corrispondenza militare) per ri-spondere a dei quesiti sulla storia del canale di Suez49. Glistudenti riuscirono ad usare adeguatamente i documenti,soprattutto se in precedenza avevano avuto la possibilità

43. Bombi, Ajello, La rappresenta-zione della storia nei bambini, cit.44. M.T. Bozzo, S. Morra, S. Pieri-marchi, Il concetto di documentostorico nella scuola elementare, in«Scuola e Città», 1989, 40 (8), pp.345-350.

45. Lee, Ashby, Progression in Hi-storical Understanding cit.46. Larkin et al., cit. in S.S. Wine-burg, Historical Problem Solving:A Study of the Cognitive ProcessesUsed in the Evaluation of Docu-mentary and Pictorial Evidence,

in «Journal of Educational Psycho-logy», 1991, 83 (1), pp. 73-87.47. Wineburg, Historical ProblemSolving cit.48. Ivi, p. 83.49. C.A. Perfetti, M.A. Britt, J.F.Rouet, M.C. Georgi, R.A. Mason,

How Students Use Texts to Learnand Reason About Historical Un-certainty, in Carretero, Voss (a cu-ra di), Cognitive and InstructionalProcesses, cit.

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di familiarizzare con alcuni di essi, mostrandosi consape-voli che i documenti potevano essere poco obiettivi. Essigiudicarono le fonti primarie più attendibili di quelle se-condarie, e indicarono alcuni criteri per stabilire l’obietti-vità di un documento, come il ruolo degli autori (il fattoche si trattasse di un professore, di un militare, di un’auto-rità politica), le loro motivazioni (ad esempio difendere lapropria reputazione), la loro partecipazione all’evento inquestione (testimone oculare, politico), il tipo di testo (ma-nuale, accordo tra governi), il suo contenuto (presenza diargomentazioni prive di supporto, espressioni di opinione,ecc.). Tuttavia, gli studenti non seppero indicare cosa sipuò fare quando i documenti danno informazioni contra-stanti (cioè rivolgersi ad altri documenti primari).

Dal momento che queste due ricerche differiscono siaper le età dei partecipanti che per il compito loro propo-sto, non è chiaro il motivo per cui i risultati divergono.Presi assieme, questi risultati suggeriscono due ipotesi de-gne di approfondimento: il modo in cui una persona leg-ge e confronta dei documenti storici è in relazione con lesue idee circa la loro obiettività. Queste idee, e il mododi considerare i documenti, cambiano con l’età. Entrambequeste ipotesi ricevono conferma da un’indagine condot-ta con dei ragazzi dagli 11 ai 18 anni e un gruppo di adul-ti. Il compito era più semplice di quelli delle due ricerchesopra descritte, perché si trattava di descrivere le cause elo svolgimento di una guerra immaginaria, basandosi sol-tanto su due diversi resoconti, uno attribuito allo storicoufficiale dei vincitori e l’altro a quello dei vinti50.

La maggior parte dei ragazzi di 11 anni mostrò di nondistinguere tra resoconti ed eventi, ma di credere che ilracconto degli storici corrispondesse allo svolgimento deifatti, senza alcuna influenza daparte dell’osservatore. I ragazzinon notarono le incongruenzetra i due testi oppure le consi-derarono come pure differenzequantitative, dovute all’omis-sione o all’aggiunta di informa-zioni. Un quadro completo del-la guerra poteva dunque essereottenuto attraverso l’addizionedelle informazioni contenutenei due resoconti. Una mino-ranza di ragazzi di 11 anni col-se la differenza tra i due testi,ma l’attribuì a malafede, con l’i-

dea che un osservatore neutrale avrebbe potuto fornireun resoconto corretto. Dai 14 anni in su (e in particolarea 17/18 anni) i ragazzi manifestarono l’idea che entrambii resoconti potessero essere corretti, in quanto entrambiespressioni di due punti di vista diversi: essi sembravanodunque credere che non esistessero fatti accertabili equalsiasi opinione fosse ugualmente valida. Infine, alcuniragazzi di 17/18 anni e alcuni degli adulti mostrarono didistinguere tra prospettiva soggettiva e fatti oggettivi,identificabili attraverso la valutazione critica di molti reso-conti.

Le idee sui documenti storici e sulla possibilità di per-venire ad una ricostruzione dei fatti attraverso il loro con-fronto rispecchiano quelle che sono state identificate ne-gli studi sullo sviluppo delle concezioni epistemologiche.Questi studi51 hanno messo in evidenza una sequenza disviluppo composta di tre livelli. Il primo è caratterizzatoda Assolutismo. La conoscenza viene considerata unaconseguenza della percezione. Essa procede in modo cu-mulativo, è indipendente dalla mente umana. Quando siscopre che spesso le persone hanno idee diverse sullostesso argomento e che anche tra gli esperti ci sono di-saccordi, si perviene al Relativismo assoluto, secondo ilquale tutte le opinioni sono ugualmente valide. Infine siaccede alla Epistemologia matura, che riconosce l’esi-stenza di canoni di giustificazione razionale, cosicché al-cuni punti di vista sono più corretti di altri. La conoscen-za comporta giudizio, valutazione, argomentazione.

L’uso dei documenti storici è dunque condizionato daidee epistemologiche che sembrano travalicare l’ambitodella storia. I dati a disposizione non consentono tuttaviadi stabilire se le idee epistemologiche degli studenti sono

indipendenti dalle discipline edotate di una portata generale,così che, ad esempio, un pro-gresso nell’epistemologia dellafisica si riverbera anche in quel-la della storia e viceversa, o seper le diverse discipline ci sonoepistemologie diverse, che sisviluppano l’una indipendente-mente dall’altra, pur seguendopercorsi simili. Le ricerche dedi-cate a questo problema hannoesaminato solo studenti univer-sitari, e prodotto risultati contra-stanti52.

50. D. Kuhn, M. Weinstock, R. Fla-ton, Historical Reasoning asTheory-Evidence Coordination, in

Carretero, Voss (a cura di), Cogni-tive and Instructional Processescit.

51.Per una rassegna si veda L. Ma-son, Verità e certezze. Natura e svi-luppo delle epistemologie ingenue,

Carocci, Roma 2001. 52. Ibid.

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2Anna Emilia Berti • Ostacoli cognitivi alla comprensione della storia. Costruzione dei concetti storici e uso delle fonti

Nella concezioneepistemologica assolutista,

la conoscenza viene considerata una conseguenza della percezione.

Essa procede in modocumulativo, è indipendente

dalla mente umana.

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Ci sono invece dati incoraggianti per quanto riguardala possibilità di condurre i bambini della scuola elemen-tare a modi più sofisticati di valutare e usare le fonti sto-riche. Questo risultato è stato ottenuto da Fasulo, Girardete Pontecorvo coinvolgendo dei bambini di quarta in la-vori e discussioni di gruppo su documenti scritti o icono-grafici53 e da Boscolo e Mason54 impegnando dei bambinidi quinta in un uso riflessivo della scrittura. In questa se-

conda ricerca, i bambini che dovevano scrivere le loroipotesi di spiegazione e interpretazione di documenti efonti storiche alla fine mostravano una conoscenza mi-gliore degli eventi storici esaminati, e del modo in cuioperano gli storici, rispetto a quelli che dovevano soloscrivere quanto dettato dall’insegnante, a integrazione dellibro di testo, come avviene spesso nella scuola elemen-tare. !

53. A. Fasulo, H. Girardet, C. Pon-tecorvo, Historical Practices inSchool Through PhotographicalReconstruction, in «Mind, Culture,

and Activity», 1998, 5 (4), pp. 253-271; Eaed., Representing a Diffe-rent Culture. Exercises on Point ofView, in «Language and Educa-

tion», 1999, 13, pp. 1-21.54. P. Boscolo, L. Mason, Writingto Learn, Writing to Transfer, in P.Tynjälä, L. Mason, K. Lonka (a cura

di), Writing as a Learning Tool. In-tegrating Theory and Practice, Kluwer, Dordrecht 2001, pp. 83-104.

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Presentazione La formazione degliinsegnanti di storia.Tradizioni, esperienze,prospettive p. 62

1 La Didattica dellastoria e l’esperienza delle Ssis p. 64

Gaetano Greco, Andrea Zannini

Walter Panciera

2 Verso il nuovo percorso di formazioneuniversitaria perl’insegnamento:lauree magistrali, TFAe conseguenze per lediscipline storiche p. 69Walter Panciera

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mundusricerchemonografiche

3 Formazione iniziale eformazione inservizio degliinsegnanti: cenni suesperienze italianeed europee p. 74Luigi Cajani

4 La formazione degli insegnanti di storia e geografiain Francia p. 77

Nicole Tutiaux-Guillon

5 Le reti degli insegnanti perri-formare la culturastorica a scuola p. 82

Ivo Mattozzi

6 L’università e la formazione in servizio:l’esperienza pavese p. 88

Alessandra Ferraresi

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La formazione degliinsegnanti di storia.Tradizioni, esperienze,prospettiveAtti del convegno promosso dalla Società italiana per la storia dell’età moderna (Sisem)

Manfredonia, 27 marzo 2009

PresentazioneWalter Panciera

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fascista, Il Mulino, Bologna 1998);nel gruppo di lavoro non era peròpresente nessuno storico di pro-fessione.

gnanti, presieduto dal matemati-co Giorgio Israel, accademico perla verità tutt’altro che estraneo alladisciplina storica (tra le altre coseautore, con Pietro Nastasi, del pre-gevole Scienza e razza nell’Italia

mendamento governativo al D.L.25.6.2008, n. 112, che ha semplice-mente bloccato le procedure perl’accesso alle Ssis); DM 30 luglio2008: istituzione del Gruppo di la-voro per la formazione degli inse-

1.W. Panciera, Gli storici modernipropongono un curricolo per lascuola, «Mundus», I, n. 2 (2008), p.39.1. Commi 4 e 4-ter, art. 64 della L.6.8.2008, n. 133 (il secondo è l’e-

ministeriale incaricata di formulare una proposta comples-siva per la formazione iniziale di tutti i docenti di ogni or-dine e grado di scuola2. Per una volta almeno, pedanti fre-quentatori di polverosi archivi e d’inaccessibili bibliotecheavevano dimostrato un tempismo nei confronti dell’attua-lità politico-sociale davvero sorprendente! Ancor più se siconsidera che giusto alla metà di febbraio 2009 era uscitadalla commissione Israel una prima bozza di regolamento,sulla quale si era cominciato così a discutere e a ragionare,forse un po’ troppo in sordina o a posteriori forse inutil-mente, vista l’assoluta autoreferenzialità di quanti occupa-no oggi i meandri della burocrazia e le velme della politica.Intanto, l’iter del regolamento si inabissava nei recessi degliorgani deputati a fornire parere, mentre ancora oggi mi-gliaia di aspiranti insegnanti stanno aspettando le regole diun gioco che coincide, ahimè, con il loro futuro e, in buonaparte, con il destino stesso della scuola italiana. Nel mo-mento in cui scriviamo, il velleitario decisionismo della Mi-nistra ha avuto il solo merito del tutto pletorico di farci sen-tire alquanto à la page.

Il convegno di Manfredonia aveva però ben altro re-spiro e più ampie prospettive. Se da un lato non ci si po-teva ovviamente esimere dall’analisi delle recenti espe-rienze e dalle proposte governative in materia di forma-

«Il regolamento sulla formazione dei docenti è a un passodalla stesura definitiva. Non riguarderà però il recluta-mento, ma solo la formazione iniziale degli insegnanti»,recitava una ottimistica sintesi del quotidiano «Il Messag-gero». Era il 13 marzo del 2009, pochi giorni prima delladata nella quale la Sisem aveva da tempo deciso di fissareil suo appuntamento annuale dedicato proprio alla forma-zione dei docenti di storia. Grazie all’impegno profuso dalprof. Saverio Russo, al contributo del Dipartimento diScienze umane dell’ateneo foggiano e della locale muni-cipalità, l’incontro era stato fissato ormai da mesi nei pres-si di Manfredonia, in una splendida cornice tra il golfoomonimo e i monti del Gargano.

L’associazione dei modernisti si era già in precedenzadichiarata interessata ad «avanzare proposte sulla forma-zione iniziale e in itinere dei docenti, sulla elaborazione dinuovi strumenti didattici e su modalità meno episodiche didialogo tra scuola e università». Questo impegno program-matico avrebbe dovuto affiancare il tentativo di costruireuna proposta condivisa da tutti gli addetti ai lavori per uncoerente curriculum verticale per lo studio della storia dallaprimaria alle superiori1. Il confronto era diventato tanto piùurgente, in quanto tra giugno e luglio del 2008 erano statedi fatto abolite le Ssis ed era stata varata una commissione

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proprio a partire dalla formazione di quanti la storia ladebbono insegnare a tutti i cittadini. Le pagine che seguo-no e che ricalcano puntualmente gli interventi di Manfre-donia, cui abbiamo ritenuto di aggiungere un saggio diNicole Tutiaux-Guillon sull’esperienza francese per il suoevidente interesse e la piena congruità con i temi che ab-biamo trattato, spero possano ancora suscitare almeno unriflesso di quel clima attento e giustamente preoccupato.Molte altre cose ci hanno in seguito, com’è ovvio, assor-bito, indignato, distratto. Molti tagli e restrizioni, paludatida riforme, controriforme e mancate riforme, che di con-tinuo si riversano su scuola e università come su altre isti-tuzioni, hanno assorbito le nostre energie e consumato ilnostro tempo, sprecato spesso a inseguire improbabilicambiamenti. La pubblicazione degli atti del convegno,meritoriamente accolta sulle pagine di «Mundus», di cuivoglio ringraziare direttore e redazione, auspichiamo pos-sa richiamare l’urgenza e l’importanza delle problemati-che allora affrontate. !

zione iniziale, dall’altro la Sisem si era posta l’obiettivo diiniziare una riflessione sulle problematiche dell’aggiorna-mento e della cultura storica dei docenti: le attuali moda-lità, il possibile contributo degli atenei, le capacità di or-ganizzazione autonoma degli istituti e dei singoli. Inoltre,grazie all’apporto di Luigi Cajani, si è potuto aprire un do-cumentato confronto con quanto si sta facendo negli altripaesi europei in tema di formazione iniziale e in serviziodegli insegnanti. A mio parere, il denso dibattito che seguìle relazioni che ora trovano spazio su questa rivista dimo-strò l’emergere se non altro di una più spiccata sensibilitàe consapevolezza da parte del mondo accademico circail problema cruciale dell’insegnamento della storia ascuola. In particolare, le preoccupazioni che allora ho col-to maggiormente, e che condivido, sono quelle di unapossibile perdita di contatto tra i colleghi docenti dellaprimaria, della secondaria e dell’università e di un pro-gressivo inaridirsi delle nostre capacità di incidenza suimeccanismi concreti di trasmissione della cultura storica,

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SommarioDopo la chiusura dell’esperienza delle Ssis nel 2008, èpossibile tracciare un primo bilancio dell’insegnamentodella Didattica della storia in questo particolare percorsodi formazione. I risultati, assai difformi e variegati, sonospesso dipesi dalla presenza di docenti con interessi per-sonali nella Didattica della storia nell’indifferenza quasigenerale delle Università e delle corporazioni scientificheper una disciplina considerata minore. In tale contesto,tuttavia, sono state portate avanti esperienze di un certorilievo, delle quali si descrivono a grandi linee l’imposta-zione e i temi privilegiati. A conclusione, una bibliografiadelle più interessanti esperienze di insegnamento dellaDidattica della storia nelle Ssis.

Se volessimo essere sbrigativi, un bilancio dell’espe-rienza delle Ssis sarebbe molto facile da tracciare: i moltiche ne accolsero con scetticismo l’istituzione nel 1999 contutta probabilità in questi dieci anni hanno trovato soloconferma alle loro perplessità. Per i pochi che ne avevanoinvece accolto favorevolmente l’avvio – pochi, che si ri-ducono a pochissimi se si considerano i docenti universi-tari di materie umanistiche –, le scuole di specializzazioneper l’insegnamento hanno consentito di aprire prospettivenuove di dialogo proficuo tra la Scuola e l’Università. Sic-come siamo di quest’ultima opinione, proveremo a riepi-logare perché a nostro avviso l’esperienza delle Ssis è sta-ta importante.

Per capire il difficile percorso di questa esperienza, varicordato come, sin dal loro comparire, le Scuole di spe-cializzazione si siano trovate sotto un triplice fuoco di fila.Vi si opposero, infatti, sin da subito sia il mondo dellascuola, sia l’università, sia lo schieramento politico di cen-trodestra. Le Ssis, infatti, sono state uno dei pochi prov-vedimenti organici inerenti al mondo della scuola uscitidalla XIII legislatura, quella dei ministeri di centrosinistraBerlinguer e De Mauro per intendersi, meglio noti per ilvaro della norma che ha ampliato lo studio del Novecento

e per una proposta di riforma del curricolo della storiache suscitò un’aspra levata di scudi da parte degli storicidi professione. Quando il governo cambiò, il ministro Mo-ratti si affrettò così a decretare l’imminente fine delle Ssis(nel 2003), poi il ministro Fioroni ne ha minato una basenon irrilevante (abolendo incautamente le graduatorieper l’accesso ad incarichi e supplenze prima ancora chepartissero effettivamente i concorsi) e infine il ministroGelmini ha completato l’opera nel giugno 2008 ponendofine ad un decennio di vita assai precaria di questa espe-rienza.

L’avversione del mondo scolastico verso le Ssis, inve-ce, era dovuta al fatto che per la prima volta nella scuolaitaliana la formazione iniziale degli insegnanti sfuggiva alcontrollo dei dirigenti e dei sindacati scolastici e passavasotto quello delle università. Nelle fasce più corporativedella classe insegnante ciò è stato percepito come unesproprio del diritto all’autocooptazione; in quelle più av-vertite, invece, erano forti – e onestamente non destituitida ragionevoli motivazioni – i dubbi sulla capacità delcorpo docente universitario di «insegnare a insegnare» esulla sua competenza a selezionare il personale insegnan-te nella scuola secondaria.

Non minore irritazione generarono le Ssis tra le murauniversitarie, dove si percepì che con questo nuovo per-corso di formazione degli insegnanti sarebbe diventataevidente una realtà sempre ignorata o nascosta: che il pri-mo sbocco professionale dei corsi universitari è costituitodall’insegnamento e che le nozioni trasmesse nelle auleuniversitarie dovrebbero servire a formare insegnanti alleprese con i problemi concreti della scuola degli anni Due-mila. Una Scuola nella quale l’80% degli studenti (e nonil 20% come 40 anni fa) giunge al diploma di Stato e dovei modelli di comunicazione non sono quelli del romanzoborghese ottocentesco ma quelli di YouTube e Facebook.

Con le Ssis, poi, della preparazione disciplinare dei fu-turi docenti non sarebbe più stato accusabile il mondodella scuola e il vecchio e penoso “concorsone” da esso

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1Gaetano Greco, Andrea Zannini

La Didattica della storia e l’esperienza delle Ssis

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gestito: sarebbe stato sotto gli occhi di tutti che la forma-zione degli insegnanti (così spesso vituperata anche suimedia) era solo il frutto dell’azione didattica accademica.

Tra gli storici, poi, era – ed è tuttora – prevalente unaconcezione dell’insegnamento riassumibile nella massimacatoniana rem tene verba sequentur. Da cui deriva che, sesi padroneggia la materia, l’insegnamento scaturisce na-turalmente da questo fatto senza bisogno di disporre dialcun metodo d’insegnamento che non sia quello deri-vante dall’esempio dei propri docenti. Provenendo dallafiliera tradizionale di formazione del corpo docente uma-nistico – borghesia professionale o intellettuale, LiceoClassico, laurea in Lettere – il docente medio universitariocontinuava (e continua) a pensare che la Scuola italianasia solo o prevalentemente quella che lui ha conosciuto.

Queste premesse spiegano in larga parte il risultatodell’esperienza delle Ssis, che è stato molto variegato edifforme. Pur essendo stata discussa per un decennio, inmolte sedi l’istituzione delle Scuole di specializzazione ècaduta come un fulmine a ciel sereno e spesso l’oneredell’insegnamento è stato addossato a quei docenti che,casualmente, avevano avuto un qualche rapporto con ilmondo della scuola o con i corsi di aggiornamento deidocenti. Molto spesso le discipline sono state assegnate avolonterosi precari che se ne sono fatti carico con l’entu-siasmo e l’energia dei neofiti, ma quasi sempre senza ade-guati strumenti di base. In altri casi, più rari, sono stati in-vece i titolari di cattedra di insegnamenti tradizionali adesservi deputati, con il risultato di dar vita a semplici re-pliche di corsi universitari.

Non bisogna dimenticare, infatti, che l’istituzione delleSsis è avvenuta solo un paio di anni prima dell’introdu-zione nell’Università italiana del DM 3 novembre 1999, n.509, e le Scuole sono state quindi coinvolte in uno dei pe-riodi più caotici nella storia dell’istruzione superiore ita-liana da 150 anni a questa parte. Della precarizzazionedell’insegnamento universitario, scaturita dalla “riforma3+2”, le Ssis sono state una delle sedi d’elezione.

Venendo ai contenuti didattici e scientifici delle Ssis, illoro ambizioso programma prevedeva l’insegnamentodelle cosiddette didattiche disciplinari, come la Didatticadella geografia, la Didattica della storia, la Didattica dellatino ecc.: materie che nel nostro ordinamento accade-mico erano pressoché sconosciute, essendo insegnate oda pochi, isolati cani sciolti oppure da “incardinati” rite-nuti, a torto o a ragione, incapaci di insegnare disciplinepiù “serie”.

In cosa è consistita la Didattica della storia insegnatanelle Ssis? La domanda è cruciale, anche per gli storici del-l’età moderna, quantomeno per motivi concreti di inse-gnamento se, come è auspicabile, tale titolatura dovesse

sopravvivere anche nei futuri percorsi di formazione ini-ziale degli insegnanti.

Sottovalutata e marginalizzata nei corsi accademicidelle Facoltà umanistiche, la Didattica della storia non èstato certamente un campo di studi ignorato in Italia negliultimi trent’anni, come testimonia un congruo numero diriviste, convegni, monografie a carattere metodologico eraccolte di esperienze sul campo uscite in questi decenni,nonché una continua attività di formazione e aggiorna-mento degli insegnanti capillarmente diffusa sul territorio.

È da vent’anni e più che gli specialisti della Didatticadella storia vengono inseriti nelle commissioni ministerialiincaricate di rivedere i programmi scolastici, dalla Com-missione Brocca di fine anni ’80 a quella istituita dal mi-nistro Fioroni per i nuovi programmi per la scuola prima-ria e il primo ciclo dell’istruzione secondaria che ha con-cluso i suoi lavori nel 2007. Questa attività scientifico-isti-tuzionale nell’ambito della Didattica della storia è peròsempre stata avvertita con un certo distacco, quando nonaddirittura fastidio, dai gruppi disciplinari degli storici di

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Gaetano Greco è nato a Catania il 23 luglio 1950;

[email protected]

Professore ordinario di Storia moderna presso la Facoltà di Let-tere dell’Università di Siena, dove insegna Storia moderna eStoria della Chiesa. Ha fondato e diretto per tutta la sua duratala sede di Siena della Ssis Toscana, dove ha insegnato Fonda-menti storico-epistemologici e Didattica della storia per l’Indi-rizzo Linguistico-letterario e per l’Indirizzo di Scienze umane.Attualmente è delegato della Facoltà di Lettere per l’attivazio-ne e la gestione del prossimo TFA. Membro della Società italia-na degli Storici dell’Età moderna, fa parte del Collegio dei Do-centi della Scuola di Dottorato dell’Università di Pisa. Con A-chille Mirizio è autore di Una palestra per Clio. Insegnare ad in-segnare la storia nella Scuola Secondaria, Utet, Torino 2008. Ilcurriculum completo e le pubblicazioni all’indirizzo:

http://docenti.lett.unisi.it/frontend/ [sub nomine]

Andrea Zannini, nato a Mestre il 19 giugno 1961;

[email protected]

Professore associato di Storia moderna presso la Facoltà diLingue e letterature straniere dell’Università di Udine, ha in-segnato Didattica della storia presso la Ssis della medesima U-niversità. È autore assieme a Walter Panciera di Didattica del-la storia. Manuale per la formazione degli insegnanti, Le Mon-nier, Firenze 2009 (II ed. aggiornata e ampliata) e assieme allostesso, Andrea Zorzi e Sandro Rogari di un manuale di storiaper il triennio delle superiori edito da Garzanti Scuola (2009, 3voll.).

Il curriculum completo e le pubblicazioni all’indirizzo:

http://web.uniud.it/dssd/afferenti/zannini/welcome.htm

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professione: insegnare a insegnare la Storia – come si ègià detto – è sempre stato considerato una prassi acces-soria e poco prestigiosa, oltretutto in odore di pericolosaconnivenza con le discipline pedagogiche.

Si tratta di una grave spaccatura tra la ricerca storica el’insegnamento della Storia nella scuola italiana, tra la pos-sibilità concreta che la disciplina esca dal chiuso del mon-do accademico e giunga nel cuore della società italiana,cioè in primo luogo ai milioni di studenti che siedono inclasse. È una frattura che in questi ultimi anni è diventatacosì evidente da ottenere in alcuni momenti persino l’ono-re della cronaca sui principali media nazionali: ad esempionel 2001, quando ha generato il famoso Manifesto dei tren-tatré storici, che si opposero al progetto di riordino dei ciclielaborato sotto il ministero De Mauro.

Nelle Ssis, in molti casi i corsi di Didattica della storiasono stati tenuti come fotocopie, magari storiografica-mente un po’ più aggiornate, dei corsi tradizionali univer-sitari. Spia di tale impostazione sono alcune enigmatichediciture di corsi: cosa significa Didattica della storia con-temporanea? In cosa si distingue dalla Didattica della sto-ria moderna? Forse che l’una periodizzazione, peraltroesistente solo nei programmi universitari e non in quelliscolastici, richiede da parte dell’insegnante della scuolasecondaria una metodologia didattica diversa, ma soprat-tutto diversi strumenti epistemologici e concettuali, diffe-renti procedure e capacità operative nella conduzionedella ricerca, nella ricostruzione dell’oggetto di studio,nella presentazione dei risultati scientifici? Forse questa esimili distinzioni trovano fondamento su differenti metodistorici, su una concezione delle discipline accademichecosì segmentata da rendere impossibile un unico canonescientifico, prima ancora che didattico, della Storia?

Quando nelle Ssis si è invece evitata tale confusionee si è cercato di promuovere realmente un insegnamen-to/apprendimento della storia come materia scolastica, in-dividuando le regole prime che governano questa disci-plina e cercando di fissare dei metodi didattici che con-sentano di utilizzare queste regole con finalità cognitive,allora si è fatta della buona Didattica della storia. E quelsolco, quel fossato tra la storia accademica e colta e la sto-ria-materia si è fatto un po’ meno largo, un po’ menoprofondo.

Proprio come richiedeva la norma di legge, tutti noiche abbiamo voluto colmare questo solco siamo partitidai fondamenti epistemologici della disciplina, illustrandoai nostri allievi i temi fondanti e unificanti della nostra di-sciplina: la memoria individuale, collettiva, pubblica e sto-rica; la definizione della storia come disciplina scientificae come materia scolastica; i soggetti e le situazioni, glieventi e i processi; i monumenti, i documenti e gli altri re-sti del passato; la rivoluzione documentaria e i problemi

connessi alla conservazione e alla selezione delle fonti;l’analisi critica di ogni documento, sul piano della scritturadel testo e sul piano del lessico dell’epoca; la compara-zione storica a livello diacronico e a livello sincronico; ilparadigma indiziario, la microstoria, la storia di genere; lospazio geografico nel discorso storico; la dimensione tem-porale; la periodizzazione e l’uso di categorie concettualiimportanti, ma troppo spesso banalizzate, come i paradig-mi progresso-reazione, antico-moderno, continuità-di-scontinuità, crisi e decadenza, locale e mondiale; le formenarrative del discorso storico; la storia dei programmi distoria in Italia; la storia delle grandi correnti storiograficheoccidentali. Su queste tematiche abbiamo fondato la ri-flessione sulle competenze in uscita del futuro docente diStoria: certamente in termini di conoscenze di «contenuti»,di saperi, ma anche in termini di padronanza di un glos-sario corretto e preciso (tanto dei concetti storiograficiusati, quanto delle «cose» della Storia: dalle istituzioni giu-ridiche agli oggetti materiali costruiti dagli uomini), di co-noscenze epistemologiche e di orientamento nel dibattitostoriografico, di capacità metodologiche relative all’usodidattico di fonti e documenti, di attitudine al riferimentonon casuale alle altre discipline scolastiche (la multidisci-plinarietà è una faccenda assai seria, non improvvisabile)e ad altre forme di conoscenza riflessiva sull’esistente(dalle espressioni artistiche ai giochi di ruolo), senza tra-scurare, infine, l’abilità a costruire curricula disciplinari si-gnificativi, ovverosia curricula in cui la segmentazionedella didattica in moduli ed unità risponda a chiare pro-poste interpretative dei vari periodi e delle varie proble-matiche, oggetto del nostro insegnamento. Su questacomplessa operazione culturale abbiamo poi realizzato lenostre simulazioni d’intervento didattico, su questo oquell’argomento di storia antica, medievale, moderna econtemporanea: quelle simulazioni, che poi i nostri allievihanno sperimentato effettivamente con il loro tirocinio at-tivo nelle classi, intervenendo davanti a scolari e docentinon immaginari, ma reali, in contesti scolastici concreti.

Nell’esperienza decennale delle Ssis, quasi semprequeste buone pratiche di Didattica della storia sono statee sono tuttora stimolate e favorite da un buon raccordotra i docenti universitari più aperti, gli insegnanti dellascuola secondaria motivati e colti, e i supervisori al tiro-cinio disponibili a seguire fattivamente gli specializzandinel loro percorso formativo. Anche e soprattutto nella col-laborazione tra mondo della Scuola e mondo dell’Univer-sità le Ssis hanno rappresentato un’esperienza prima sco-nosciuta in molte realtà.

Altri due problemi concreti sono emersi nell’esperienzadi questi dieci anni di Ssis. Il primo riguarda il tradizionalee ormai obsoleto raggruppamento della Storia come mate-ria scolastica assieme all’Italiano e alla Geografia, nella

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1Gaetano Greco, Andrea Zannini • La Didattica della storia e l’esperienza delle Ssis

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classe d’insegnamento delle Scuole Medie e degli IstitutiTecnici e Professionali; assieme al Latino e all’Italiano neiLicei Scientifici; al Greco, al Latino e all’Italiano nei Ginnasi;alla Filosofia nel triennio superiore dei Licei Classici.

La questione di come possa un docente avere una pre-parazione adeguata e scientificamente aggiornata in quat-tro o cinque materie è sempre stata ipocritamente risoltaprevedendo un certo numero obbligatorio di esami che ilfuturo insegnante di Storia doveva avere superato nel cor-so dei suoi studi universitari. Per quanto riguarda la Storia,come è noto, l’alta stima che il legislatore ha sempre avutoper essa è testimoniata dal fatto che – a seconda dell’annodi iscrizione – per diventare insegnanti di Storia è statosufficiente avere sostenuto tre, due, uno o persino nessunesame di Storia! Per parlare chiaramente, insegnano ogginella Scuola italiana torme di docenti che non hanno maiveramente studiato il Novecento, anche se a questo seco-lo è dedicato un intero anno dei programmi delle supe-riori e delle medie.

A questa anomalia non può essere posto rimedio senon si sgancia finalmente la preparazione universitaria deldocente di discipline storico-geografico-sociali da quelladell’insegnante di lingua italiana e materie letterarie, da u-na parte, e di discipline filosofiche, dall’altra. Come è noto,la funzione caudataria della storia scolastica discende dal-l’impostazione gentiliana che ha retto il nostro ordinamen-to scolastico, e che infiniti danni ha provocato alla culturastorica di questo Paese. Al contrario e su un altro versante,proprio noi storici, che nel corso del Novecento abbiamoassistito all’arricchimento prezioso derivato alla nostra di-sciplina dal contatto con le altre scienze sociali (l’Antropo-logia, in primo luogo, ma anche la Demografia, la Sociolo-gia, ecc.), dovremmo essere i primi a richiedere nuove clas-si di insegnamento per la Storia.

Un secondo problema messo in luce dall’esperienzadella Ssis è la qualità dell’insegnamento universitario. Gliesami di ammissione alla Ssis e l’intero percorso formativodi queste Scuole, un percorso in molti casi difficile e diper se stesso selettivo, hanno messo chiaramente in lucecome in una larga maggioranza dei casi le conoscenze ele competenze storiche dei laureati nelle discipline uma-nistiche non corrispondono a quelle necessarie per un in-segnante di Storia nella Scuola secondaria.

Non è il caso di addentrarsi in questo tema, al quale,suggeriamo alla nostra società, varrebbe la pena dedicareun intero convegno. Se, come sembra, l’Università conti-nuerà ad avere qualche voce in capitolo sulla formazioneiniziale degli insegnanti, questo problema dovrà, prima odopo, essere messo all’ordine del giorno.

Il giudizio complessivo sulle Ssis, nonostante in nume-rose sedi siano prevalse nell’assegnazione degli insegna-menti logiche di clientela e di bottega, non può che esserepositivo. Complice il pensionamento di una intera gene-razione di insegnanti, quelli entrati nella scuola con le im-missioni di massa dei primi anni ’70, si è verificato, e siverificherà nei prossimi anni, un considerevole ricambionel corpo insegnante della scuola italiana. Molti specializ-zati Ssis hanno preso o presto prenderanno il ruolo e laloro preparazione didattica, costata in molti casi un bien-nio di serio lavoro post-laurea, è incomparabilmente mi-gliore di quella delle generazioni precedenti, selezionateattraverso la periodica ordalia del concorso ordinario o,molto più spesso, per le vie dei vari concorsi riservati edelle frequenti ope legis (soprattutto in periodi pre-eletto-rali).

L’esperienza delle Ssis è una porta che si è aperta.Starà ora soprattutto alle Facoltà umanistiche, e quindi anoi docenti universitari, non chiuderla. !

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Appendice bibliografica

Nell’ultimo decennio, l’esperienza delle Ssis ha riattivato l’in-teresse e l’impegno sulla Didattica della storia, aggiungen-dovi una più specifica curvatura, diretta più in particolare allaformazione degli insegnanti. Senza la pretesa di essere esau-stivi, fra le pubblicazioni più recenti ricordiamo:

! G. Archetti, R. Bellini e R. Stopponi, Storia, a cura di P. Bor-zomati, La Scuola, Brescia 2001;

! Associazione Clio ’92, Oltre la solita storia. Nuovi orizzonticurricolari, Polaris, Faenza (RA) 2000 (con saggi di A. Bru-sa, I. Mattozzi, M. Gusso ecc.);

! Associazione Clio ’92, Tesi sulla didattica della storia, Clio’92, Bologna 2003;

! S.A. Bianchi, Il medioevo (e la storia) a scuola: cronaca di

una morte annunciata, in http://www.storia.unive.it_RM/didattica/discussioni/bianchi.htm;

! S.A. Bianchi e C. Crivellari, Nessun tempo è mai passato.La mediazione didattica tra storia esperta e storia insegna-ta, Armando, Roma 2003;

! A. Brusa, La formazione dei docenti di storia fra letteraturainternazionale, esperienze italiane e pavesi e Le didattichedifficili, in Un’officina della memoria. Percorsi di formazio-ne storica a Pavia tra scuola e università, a cura di A. Brusa,A. Ferraresi e P. Lombardi, Unicopli, Milano 2008, pp. 29-67 e 109-127;

! L. Cajani, L’insegnamento della storia in mezzo al guado:alcune puntualizzazioni sul dibattito attuale, in «Società eStoria», XXVII, n. 103, 2004, pp. 137-143;

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! A. Cavalli, Il professore di storia oggi tra ricerca e insegna-mento, in Un’officina della memoria cit., pp. 15-27;

Che storia insegno quest’anno. I nuovi orizzonti della sto-ria e del suo insegnamento, a cura di S. Presa, Assessoratoall’istruzione e Cultura della Regione Valle d’Aosta, Aosta2004;

! T. Cornacchioli, Lineamenti di didattica della storia. Dal sa-pere storico alla storia insegnata. La mediazione didattica,prefazione di G. D’Agostino, L. Pellegrini, Cosenza 2002;

! P. Corrao e P. Viola, Introduzione agli studi di storia, Don-zelli, Roma 2002;

! R. Dondarini, Per entrare nella storia. Guida allo studio, allaricerca e all’insegnamento, Clueb, Bologna 2000 (2ª ed.);

! A. Fossa, G. Nicoletti e E. Peani, Laboratori per fare storia.Guida pratica alla metodologia della ricerca storico-didat-tica, Canova, Treviso 2005;

! A. Gioia, L’insegnamento della storia tra ricerca e didatti-ca. Contesti, programmi, manuali, Rubbettino, SoveriaMannelli 2005;

! G. Greco, Insegnare a insegnare la Storia: appunti sull’e-sperienza nella SSIS della Toscana, in http://www.ssisco.it/pubblicazioni/annali/annale2/greco.htm/

! G. Greco, Un possibile futuro per la formazione degli inse-gnanti di Storia, in http://www.storiaefuturo.com/it/nu-mero_18/didattica/3_formazione-insegnanti-storia~1201.html;

! G. Greco e A. Mirizio, Una palestra per Clio. Insegnare adinsegnare la Storia nella Scuola Secondaria, Utet, Torino2008;

! Ch. Heimberg e M. Vassallo, Insegnare Storia. Riflessioni espunti di lavoro per la formazione iniziale degli insegnanti,a cura di Paolo Gheda, Libreria Stampatori, Torino 2007;

Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio stori-co, a cura di P. Bernardi, Utet Università, Torino 2006;

! Insegnare storia. Riflessioni a margine di un’esperienza diformazione, a cura di U. Baldocchi, S. Bucciarelli e S. Sodi,Ets, Pisa 2002, 20072;

! M. Liverani, A che serve la storia, in «Mundus. Rivista dididattica della storia», a. I, n. 1, gennaio-giugno 2008, pp.48-52;

! I. Mattozzi, La formazione iniziale degli insegnanti: avver-tenze per pensarla, in «Rassegna. Periodico dell’IstitutoPedagogico Provinciale di Bolzano», a. X, 2002, n. 19 (volu-me monografico dedicato alla formazione iniziale dei do-centi di storia);

! I. Mattozzi, Tra riordino dei licei e riforma della formazionedegli insegnanti: quale ruolo per gli storici?, in «Società eStoria», XXX, n. 115, 2007, pp. 167-180;

! W. Panciera, La dimensione storica nella formazione deidocenti, in Percorsi nella professione docente. Innovazio-

ne formativa e didattica. Atti della V Biennale internazio-nale sulla didattica universitaria, a cura di O. Zanato Orlan-dini, Pensa MultiMedia, Lecce 2006, pp. 205-214;

! W. Panciera e A. Zannini, Didattica della Storia. Manualeper la formazione degli insegnanti, Le Monnier Università,Firenze 2006;

! A. Russo, La storia insegnata, in Incontri di discipline perla didattica. Raccolta di studi dedicata a Pierluigi Rigo, acura di C. Griggio, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 207-215;

! M. Salvati, La storia contemporanea oggi e i dilemmi postidall’insegnamento, in «Contemporanea. Rivista di storiadell’800 e del ’900», a. VIII, n. 4, ottobre 2005, pp. 575-595;

! Le Scuole di specializzazione per l’insegnamento seconda-rio (Ssis) e la didattica della storia, Atti dell’incontro orga-nizzato dall’associazione Reti Medievali, Milano, 8 giugno2001, in http://www.storia.unifi.it/RM/rivista/ssis.htm

! R. Spazzali, La mediazione didattica tra “storia esperta” e“storia insegnata”, in La SSIS di Trieste si racconta. Espe-rienze e riflessioni intorno a una Scuola, a cura di S. Di Pa-squa, B. Grassilli e A. Storti, EUT (Edizioni Università diTrieste), Trieste 2008, pp. 2110-2221;

! La Storia a Scuola. Proposte per la didattica e l’insegna-mento superiore, a cura di G. Angelozzi e C. Casanova, Ca-rocci, Roma 2003;

! La Storia Contemporanea tra scuola e università. Manuali,programmi, docenti, a cura di G. Bosco e C. Mantovani,Rubbettino – Sissco (Società italiana per lo studio della Sto-ria contemporanea), Soveria Mannelli 2004;

! La storia fra ricerca e didattica, a cura di B. de Gerloni, F.Angeli (IPRASE Trentino), Milano 2003;

! La storia nella scuola. Ricerca storica ed esperienze didat-tiche, a cura di S. Carmo, presentazione di G. Vitolo, Ma-rietti, Genova-Milano 2002;

! Storiografia e insegnamento della storia. Vita e miracolidelle Ssis, a cura di R. Parisini, con scritti di R. Parisini, G.Cavadi, P. Bernardi, G. Greco, S.A. Bianchi e M. Vassallo, inhttp://www.storiaefuturo.com/articoli («Rivista di Storia eStoriografia»), n. 15, novembre 2007, e n. 16, marzo 2008;

! G.M. Varanini, L’insegnamento della storia nella scuola se-condaria: qualche appunto con particolare riferimento alMedioevo, in «Società e Storia», XXX, n. 115, 2007, pp. 181-190;

! A. Zannini, Insegnare la storia o insegnare a insegnarla?Riflessioni da un’esperienza alla SSIS di Udine, in «Societàe Storia», XXXVII, n. 104, 2004, pp. 391-400;

! A. Zannini, La formazione dell’insegnante di storia nelle SSIS, in «Mundus. Rivista di didattica della storia», a. I, n.1, gennaio-giugno 2008, pp. 14-21.

1Gaetano Greco, Andrea Zannini • La Didattica della storia e l’esperienza delle Ssis

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SommarioAttorno alla metà del mese di febbraio 2009, il Gruppo dilavoro per la formazione degli insegnanti nominato conil DM 30 luglio 2008 e presieduto da Giorgio Israel, ordi-nario di Matematiche complementari alla Sapienza, ha re-so pubblico il testo di una articolata proposta circa i nuovipercorsi di formazione iniziale per tutti i docenti dellescuole di vario ordine e grado. Questo progetto è tuttoraall’esame del Ministero dell’istruzione, dell’università edella ricerca, nonché degli altri organi tecnici e politici in-teressati. La versione più recente dello schema di artico-lato, che dovrebbe tradursi presto, almeno nelle dichiara-te intenzioni, in un prossimo decreto ministeriale, presen-ta non poche modifiche rispetto al dispositivo iniziale1.Queste varianti non sono sostanziali per quanto riguardail segmento della scuola dell’infanzia e primaria; lo sonoinvece in diversa misura per la scuola secondaria, pur nonstravolgendo affatto i principi dell’annunciata riforma, ca-so mai rinviando la soluzione di molti punti controversi asuccessive regolamentazioni. Non potendo prevedere ilfuturo, le note che seguono hanno il semplice scopo diinformare circa lo stato attuale nella redazione del docu-mento e di avviare una riflessione in merito alle soluzioniche si vanno prospettando, soprattutto riguardo alle con-seguenze per l’insegnamento universitario delle discipli-

ne storiche. Il discorso procederà dunque fornendo primauna serie di informazioni generali sul testo del decreto,poi quelle più specifiche riguardanti l’area storica, perpervenire infine a un breve esame dei punti critici di mag-giore rilevanza.

1. Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e la scuolaprimaria, sia il progetto iniziale, sia la più recente ver-sione prevedono l’istituzione di una nuova Laurea ma-gistrale a ciclo unico di cinque anni. L’accesso per gli

1. «Schema di decreto del Ministrodell’istruzione, dell’università edella ricerca, recante regolamentoconcernente “Definizione della di-sciplina dei requisiti e delle moda-lità della formazione iniziale degli

insegnanti della scuola dell’infan-zia, della scuola primaria e dellascuola secondaria di primo e se-condo grado, ai sensi dell’articolo2, comma 416, della legge 24 di-cembre 2007, n. 244”». Il provvedi-

mento è arrivato al Consiglio diStato dopo aver acquisito i pareridei consigli nazionali dell’istruzio-ne e dell’università; il Consiglio hasospeso in data 18.1.2010 l’ema-nazione del parere, chiedendo

precisazioni al ministero; sono an-cora da acquisire anche i pareridelle competenti commissioniparlamentari.

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2Walter Panciera

mrmVerso il nuovo percorso di formazione universitariaper l’insegnamento: lauree magistrali, TFA e conseguenze per le discipline storiche

Walter Panciera è nato a Valdagno (VI) il 3.12.1957;

[email protected]

Indirizzo: Dipartimento di Scienze dell’Educazione, via BeatoPellegrino, 28 – 35137 Padova.

Insegna Storia moderna e Didattica della storia nel corso dilaurea in Scienze della formazione primaria dell’Università diPadova e ha insegnato Fondamenti della ricerca storica III eDidattica della storia III presso la Ssis del Veneto, classe diScienze umane. È membro del consiglio direttivo della Societàitaliana degli storici dell’età moderna (Sisem) e di quello dellaScuola di dottorato in Scienze storiche dell’Università di Pado-va. Il curriculum completo e le pubblicazioni all’indirizzo web:

http://www.scform.unipd.it/~w.panciera/index.html.

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studenti è a numero programmato, fissato per decretoministeriale in linea con la programmazione su scalaregionale, ma con modalità ancora da definirsi (art. 5).All’interno del corso di laurea è prevista un’attività ditirocinio diretto e indiretto, a partire dal secondo an-no, pari a un totale di 24 CFU, ovvero di 600 ore com-plessive. L’abilitazione all’insegnamento si ottiene almomento del conseguimento della laurea per entram-bi gli ordini di scuola, anche per quanto riguarda leattività di sostegno per gli alunni diversamente abili.L’attivazione di questo corso di laurea potrà avvenire,come anche per i corsi di laurea magistrale per la se-condaria, in deroga al numero minimo di crediti di cuial disposto della L. 270/2004, ma non in deroga ai re-quisiti minimi strutturali e organizzativi, come avevainvece proposto a suo tempo la Commissione Israel(art. 4, comma 1)2. La precedente laurea quadriennaleistituita con DM 26 maggio 1998 prevedeva due per-corsi distinti dal terzo anno e due abilitazioni distinteper la scuola dell’infanzia e la primaria; ora si torna aun’abilitazione unica, come nel vecchio percorso didiploma magistrale. Rispetto alla precedente laureaquadriennale rimane immutato il peso del tirocinio(oggi modulato, ad es., a Padova in 100-140 ore di ti-rocinio diretto a scuola e il resto come attività di orien-tamento, di analisi, di progettazione e laboratoriale).In questo modo, però, le attività di tirocinio scendonoall’8% del totale dei crediti contro il 10% della prece-dente laurea quadriennale, che era di 240 CFU. Infine,la mancata deroga ai requisiti minimi organizzatividella L. 270/2004 rischia di mandare seriamente in crisitutte le Facoltà di Scienze della formazione: il corsoquadriennale ancora oggi esistente non è infatti com-preso nel computo dei requisiti medesimi.

2. Per quanto riguarda la scuola secondaria di primo gra-do, la novità del percorso consiste nella istituzione diun’apposita Laurea magistrale biennale all’interno dialcune classi di laurea prefissate a seconda delle di-verse abilitazioni, con l’indicazione di un pacchetto dicrediti minimi obbligatori, anche in questo caso in de-roga alla L. 270/2004. L’accesso alle nuove lauree ma-gistrali è a numero programmato, con modalità da de-finire. Al termine della specialistica biennale, segue unanno di tirocinio formativo attivo (TFA) con la presen-tazione di una relazione finale e un esame con valoreabilitante. Fino all’anno accademico 2012/2013 è pos-sibile l’accesso a questo nuovo segmento formativo

con i vecchi requisiti di cui al DM 22/2005 relativi alleSsis (art. 15, comma 1). I percorsi per il sostegno po-tranno essere gestiti dalla Università anche in conven-zione, ma secondo criteri e regole da stabilire succes-sivamente. In questo caso, si tratta di un vero e pro-prio nuovo percorso di tipo professionalizzante e abi-litante. Vengono create nuove classi di Laurea magi-strale (LM-95 per Matematica e Scienze, LM-96 perTecnologia) oppure richiesta l’acquisizione di creditiobbligatori per l’accesso al TFA per le classi di Laureamagistrale in Lingua straniera, Musica, Arte e immagi-ne, Scienze motorie. In particolare, l’abilitazione A043(Italiano, storia, educazione civica e geografia) si ot-tiene SOLO conseguendo la specialistica nella classedi Laurea magistrale LM-14, Filologia moderna3. Unprimo “sbarramento” per l’abilitazione viene impostoall’inizio del percorso magistrale, cioè prima del quar-to anno, come ammissione alla Laurea magistrale me-desima (art. 8, comma 1); nel caso di LM-14 è richiestainoltre l’acquisizione nel corso di primo livello di al-meno 102 CFU in una lista di settori prefissati. Una vol-ta acquisita la laurea magistrale prevista, l’accesso alTFA è a numero programmato ed è sottoposto a unanuova prova di ammissione. Nel dubbio circa una im-mediata attivazione delle lauree magistrali nuove omodificate per la scuola media inferiore, fino al2012/2013 viene consentito l’accesso all’anno di tiro-cinio con i vecchi requisiti previsti per le Ssis: natural-mente in questo caso il numero programmato vienestabilito solo per l’accesso al TFA dopo il consegui-mento delle lauree magistrali già esistenti. Sulla abili-tazione alle attività di sostegno degli alunni diversa-mente abili nulla viene detto.

3. Per quanto riguarda l’abilitazione all’insegnamento nel-la scuola secondaria di secondo grado (“scuola supe-riore”) è previsto per ora il conseguimento della Lau-rea magistrale nelle classi consuete già esistenti, con icrediti previsti per le abilitazioni dal DM 22/2005, inattesa di una revisione delle classi medesime e di unfuturo decreto per l’individuazione dei requisiti neces-sari per l’accesso come per la media inferiore (conscadenza 2012/2013). Anche in questo caso il conse-guimento della specialistica dà accesso all’anno di ti-rocinio formativo attivo (TFA) a numero programmatoe con prova nazionale in simultanea. La selezione av-viene così, almeno in una prima fase, solo dopo laLaurea magistrale. L’ammissione al TFA si ottiene, co-

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2Walter Panciera • Verso il nuovo percorso di formazione universitaria per l’insegnamento

2. Art. 4, comma 1 (il riferimentoall’articolato è alla più recente ver-sione del testo all’esame della Cor-te dei conti): «Le Università istitui-

scono i corsi di laurea magistraledi cui al presente decreto, ai sensidel decreto del Ministro dell’istru-zione, dell’università e della ricer-

ca 22 ottobre 2004, n. 270, anchein deroga ai requisiti di cui all’arti-colo 9, comma 2, e al numero mi-nimo di crediti di cui all’articolo

10, comma 2, dello stesso decreto».3. Allegato Tabella 2. Cfr. infra, no-ta 10.

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me anche per la secondaria inferiore, attraverso unpunteggio articolato in questo modo: test (60 punti),colloquio (20 punti) e titoli (20 punti); le prove sonoorganizzate dalle Facoltà di riferimento dei diversi cor-si di laurea. È previsto inoltre l’accesso in soprannu-mero al TFA dei dottori di ricerca e di coloro che han-no svolto almeno due anni di ricerca con contratti atempo determinato, previo superamento di un collo-quio orale (commi 3 degli artt. 7 e 8). I percorsi di for-mazione per il sostegno saranno gestiti dalle Univer-sità sulla base sempre di 60 CFU, ma anche in questocaso la regolamentazione viene demandata a succes-sivi provvedimenti, con criteri da stabilire. Per la scuo-la media di secondo grado viene previsto dunque unregime di tipo puramente transitorio perché non ven-gono definite le nuove classi di abilitazione (che puresi prevede vengano riviste), né naturalmente il loro le-game con le nuove lauree magistrali e soprattutto conle cattedre che dovrebbero essere rimodulate seguen-do la logica della recente riforma. In sostanza, si inau-gura un sistema di “Ssis ridotta”, cioè l’unica novità èil nuovo TFA, l’accesso al quale avviene in ogni casodopo l’acquisizione del titolo magistrale.

4. Il TFA, ossia il tirocinio formativo attivo della durata diun anno (art. 10), fa capo alle Facoltà universitarie eprevede l’acquisizione di 60 CFU totali, così suddivisi:18 CFU nei settori disciplinari M-PED/03 (Didattica ePedagogia speciale) ed M-PED/04 (Pedagogia speri-mentale), di cui 6 di Pedagogia speciale; 18 CFU nelledidattiche delle discipline d’insegnamento (con labo-ratori); 19 CFU di tirocinio diretto e indiretto (475 ore);5 CFU per la relazione finale (Tabella 1). La valutazio-ne finale viene espressa con un punteggio di 70 punti(di cui 30 per l’attività di tirocinio, 30 per la discussio-ne e 10 per la relazione scritta di tirocinio); per otte-nere l’abilitazione è necessario conseguire almeno 50punti. La Commissione per il rilascio dell’abilitazionefinale è composta da 3 docenti universitari, da due tu-tor e da un rappresentante del ministero. Il TFA si con-figura come una “petite Ssis”, legata in linea ammini-strativa a una o più Facoltà universitarie anche di di-versi atenei4; la relativa indeterminatezza lascia ampiospazio alle situazioni di fatto o in fieri perché l’orga-

nismo di controllo preposto è l’apposito Consiglio dicorso di tirocinio, un organo collegiale al quale parte-cipano tutti i docenti del corso5: ma chi deciderà pri-ma dell’istituzione del corso medesimo?I CFU previsti per il tirocinio possono tradursi ragio-nevolmente in un massimo di circa 80-100 ore di tiro-cinio diretto a scuola (almeno con i criteri della pri-maria); resta comunque a carico delle Facoltà univer-sitarie organizzare anche queste attività all’interno delpercorso annuale che si conclude con un esame cheha valore abilitante.

5. A questo punto, si possono avanzare alcune conside-razioni generali che possiamo schematicamente rias-sumere in ordine di importanza come segue:– Nessuna chiarezza emerge dallo schema di decreto

circa il legame tra la formazione degli insegnanti eil loro effettivo reclutamento6.

– La parte riservata al tirocinio resta abbastanza bas-sa rispetto ai CFU totali: 24 su 300 = 8% per infan-zia/primaria; 19 su 180 (120 magistrale + 60 TFA)= 10,5% per la secondaria.

– Il raccordo scuola-università rimane molto labile.– Rimane la netta separazione tra scuola dell’infan-

zia/ primaria e scuola secondaria, mentre si accen-tua la differenza nella formazione tra secondariainferiore e superiore, il che costituisce a tutti gli ef-fetti una vera novità.

– La logica dell’architettura è quella di un compro-messo tra le esigenze dei “disciplinaristi” e le spin-te provenienti dal mondo della Pedagogia, comeha dichiarato a suo tempo Giorgio Israel (chiaman-dolo con il più nobile termine di “equilibrio”7).

Fin dall’inizio, è stata esclusa la possibilità che la Com-missione trattasse anche del reclutamento dei docenti;naturalmente, sarebbe stato logico che formazione/re-clutamento trovassero le modalità di un preciso rac-cordo, anche se è vero che una volta conseguita l’abi-litazione le modalità per l’accesso alla professionepossono anche essere diverse. Il dichiarato ottimismoespresso circa la realizzazione di uno stretto raccordoscuola/università appare francamente fuori luogo enon è desumibile da nessun elemento. Al contrario, le

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4. Art. 10, comma 2.5. Art. 10, comma 4: «La gestionedelle attività didattiche del tiroci-nio formativo attivo è affidata alconsiglio di corso di tirocinio...».Oltre ai docenti è prevista la pre-senza di due tutor, due dirigentiscolastici e un rappresentante de-

gli studenti.6. Su questo tema cfr. G. Luzzatto,Formazione iniziale degli inse-gnanti. Il vecchio che avanza,«Nuova Secondaria», XXVI, n. 7(2009), pp. 7-9.7. «L’aspetto principale è il recupe-ro che viene attuato sul piano dei

contenuti. Ultimamente, infatti, e-ravamo giunti a un forte squilibrionella formazione dei docenti, pe-santemente penalizzata sul pianodisciplinare. La Commissione hacercato di ripristinare l’equilibrio,senza però operare traumi, evitan-do cioè lo scontro tra “disciplinari-

sti” da un lato e pedagogisti dall’al-tro [...]. La Commissione ha funzio-nato egregiamente, trovando un e-quilibrio fra queste due diverse e-sigenze». (http://www.ilsussidia-rio.net/articolo.aspx?artico-lo=12976) (intervista in data25.2.2009).

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parole di Giorgio Israel suonano assai pesanti riguar-do alla precedente esperienza fatta dalle Ssis in questadirezione8.Dal punto di vista delle scelte relative all’hard core delsistema (cioè gli insegnamenti delle lauree magistrali edel TFA), si tratta di un compromesso debole: molte in-certezze, logica di tipo più accademico che istituzionale,prevalenza delle discipline pedagogiche per la primaria,prevalenza delle discipline come materie per la secon-daria superiore e forse “terra di nessuno” per la secon-daria di primo grado (che a questo punto viene comple-tamente isolata anche dal punto di vista della formazio-ne, con la possibile conseguenza di peggiorare ulterior-mente i suoi standard già oggi molto bassi, come tutti icittadini italiani di buon senso sanno molto bene).

6. Il senso della collocazione delle discipline storichenella nuova laurea quinquennale in Scienze della for-mazione primaria è segnato prima di tutto dal sempli-cistico profilo dei laureati: si tratta di conoscenze di“elementi di storia antica, medioevale, moderna e con-temporanea” (Tabella 1). I CFU obbligatori passanoperò da 8 della vecchia quadriennale a 16 (4 modulida 30 ore o equivalenti); per i settori scientifico/disci-plinari: L-ANT/02 e 03, M-STO/01, 02 e 04. Si prospet-tano pertanto due soluzioni ragionevoli: 1. Storia an-tica e medievale 4 CFU – Storia moderna e contempo-ranea 8 CFU – Didattica della storia 4 CFU; 2. Storiaantica e medievale 8 – Storia moderna e contempora-nea 8 (con 2 CFU di Didattica della disciplina inglobatiin ciascun corso). Questo rafforzamento delle discipli-ne storiche rispetto alla precedente quadriennale, do-ve i CFU erano 8, è più apparente che sostanziale, da-to che l’intera area storico/geografica, fondamentalesecondo le Indicazioni nazionali, cioè i programmi invigore9, rimane debolissima rispetto a tutte le altre,nonché alle discipline psico-pedagogiche, come risul-ta dallo schema:

Corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienzedella formazione primaria (LM-85 bis)

ATTIVITÀ FORMATIVE “DI BASE” = 79M-PED = 63M-PSI = 8SPS e M-DEA = 8

ATTIVITÀ FORMATIVE “CARATTERIZZANTI” = 143 (*)Area linguistica, espressiva, artistica = 70Area matematica, scientifica, tecnologica = 48Area storico/geografica = 25 (§)(*) suddivisione in base al DM 31.7.2007 “Indicazioni nazio-nali”

INSEGNAMENTI PER “STUDENTI CON BISOGNI SPECIALI” (SOSTE-GNO) = 31

ALTRI CREDITI = 47 (TIROCINIO 24, LIBERI 8, IDONEITÀ INGLE-SE E INFORMATICA 6, PROVA FINALE 9)

(§) Altri confronti:Psicologia e Neuropsichiatria hanno in tutto 25 CFU.Discipline pedagogiche (M-PED) hanno in tutto 82 CFU(di cui 35 di Didattica e Pedagogia speciale, ivi compre-sa una “Letteratura per l’infanzia” come M-PED/02 an-ziché come parrebbe logico L-FIL-LET/10 o 11).

7. Le conseguenze per le discipline storiche per quantoriguarda la scuola media inferiore riguardano soprat-tutto la completa esclusione della classe di Laurea ma-gistrale in Scienze storiche LM-84 (peraltro non la solaa dover subire questa esclusione). Si tratta di una pro-posta di notevole gravità che certamente inciderà inmaniera assai negativa sull’attrazione esercitata dai cor-si di laurea in Storia, ovviamente anche quelli di primolivello. Per quanto riguarda questo segmento, inoltre,sono richiesti soltanto 18 CFU in M-STO/01,02,04 daconseguire nel corso della laurea triennale più un nu-mero minimo di 12 CFU (su 120) in quella magistrale,che possono dilatarsi al massimo a poco più di unaventina, dato che in questo caso c’è un certo marginedi discrezionalità10. A questo punto, appare essenzialealmeno poter inserire l’accertamento di conoscenze dicarattere storico nella prova nazionale di ammissionealla laurea magistrale medesima.

8. Per la scuola media superiore, come si è osservato, lenuove lauree magistrali NON possono partire subitoper la mancata definizione delle nuove classi di abili-tazione; i criteri restano quindi indefiniti, mentre val-gono ancora i percorsi di laurea magistrale già esisten-ti, anche per la classe di Storia. La vera incognita allostato di partenza appare invece quella del test per l’ac-cesso al TFA: quale spazio può o deve avere la Storia?

72

2Walter Panciera • Verso il nuovo percorso di formazione universitaria per l’insegnamento

8. Intervista in data 25.2.2009:«Quindi si tratta di avere un’intera-zione tra le due componenti. Ilche, a ben guardare, è proprio ilcontrario delle Ssis, che eranostrutture librate in aria, dove c’era-

no i docenti delle università e altrefigure chiamate docenti supervi-sori (i quali per altro erano sempregli stessi, a causa anche di proro-ghe per lo più illegali): una strut-tura autoreferenziale che non ave-

va rapporto né con la scuola, nécon l’università…»: http://www.il-sussidiario.net/articolo.aspx?arti-colo=12976.9. DM 31.7.2007 «Indicazioni peril curricolo per la scuola dell’infan-

zia e per il primo ciclo d’istruzio-ne» (cioè anche per la scuola me-dia inferiore).10. Tra i requisiti di accesso allalaurea magistrale classe LM-14 all.Tabella 2, è necessario aver conse-

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Appare quindi essenziale chiedere l’inserimento di co-noscenze di carattere storico nelle prove di ammissio-ne al TFA, nonché tra i percorsi didattici che sono ar-gomento del colloquio orale per l’abilitazione11.

9. Tralasciando per motivi di spazio tutta la questione deidocenti “tutor”, peraltro rimasta in larga parte indefi-nita (art. 11), occorre segnalare alcuni problemi di va-ria natura che riguardano nello specifico il regimetransitorio prima dell’entrata in vigore a pieno titolodel nuovo sistema:– Incongruenza tra il dispositivo del DM 22/2005 cir-

ca le classi di abilitazione e le nuove classi magi-strali definite dal successivo DM 16.3.2007 perchéil legislatore non si è accorto fino ad ora che le lau-ree magistrali definite nel 2005 sono state nel frat-tempo modificate12.

– Difficoltà nella gestione del TFA, soprattutto se sidecidesse di istituirlo subito: attribuzione definitivadei CFU, svolgimento dei tirocini, scelte dei tutor,ecc.

– Problema delle modalità di accesso al TFA per lasecondaria di primo grado fino al 2012/2013 conle norme del DM 22/2005.

– Istituzione di corsi di abilitazione equivalenti allalaurea quinquennale per i vecchi diplomati discuola magistrale con almeno 360 giorni di inse-gnamento, con prova di accesso, conseguimento

di 60 CFU ed esame finale, ossia l’ennesima sana-toria (art. 14; non presente nella bozza Israel).

– Rischio che in un regime transitorio non troppochiaro vi sia la tentazione di tenere in vita più omeno surrettiziamente le vecchie Ssis in versioneridotta.

– I molti punti rimasti indefiniti (reclutamento, nu-meri programmati, prove di accesso, tutor) lascia-no amplissimo spazio di manovra al ministero suquestioni cruciali.

10. I punti sui quali è urgente intervenire a livello sia diateneo, sia di associazioni di storici, come la Sisem, laSsico, la Simed, sono i seguenti:– Agire a livello ministeriale per un ulteriore raffor-

zamento dell’area storico/geografica nella primariae infanzia, a mio avviso fino ad almeno 20 CFU to-tali.

– Segnalare la grave penalizzazione subita dalle clas-si di laurea in Storia per quanto riguarda il percor-so di formazione per la scuola media inferiore.

– Intervenire nella redazione delle prove di accessoper la primaria, la secondaria inferiore e il TFA.

– Chiedere più precise garanzie riguardo alla distri-buzione dei CFU per la secondaria inferiore e peril TFA.

– Una volta approvato il decreto, diffondere imme-diatamente nelle sedi opportune i propri rilievi cri-tici e le proprie richieste. !

73

mrm

guito nel corso di laurea triennale

almeno 102 CFU nei settori scien-

tifico-disciplinari di cui alla tabel-

la, tra i quali: - almeno 18 CFU nei

SSD L-FIL-LET/10, Letteratura ita-

liana e L-FIL-LET/11, Letteratura i-

taliana contemporanea e fra que-

sti almeno 12 CFU in L-FIL-

LET/10; - almeno 18 CFU nei SSD

M-STO/01 Storia medioevale, M-

STO/02 Storia moderna, M-

STO/04, Storia contemporanea; -

almeno 12 CFU in L-FIL-LET/12

Linguistica italiana, L-LIN/01 Glot-

tologia e linguistica; - almeno 9 C-

FU in ciascuno dei seguenti SSD:

1. L-FIL-LET/04 Lingua e letteratu-

ra latina; 2. M-GRR/01 Geografia; -

almeno 36 CFU nei SSD elencati.

Tra i requisiti di accesso al TFA:

11. Art. 5, comma 3: «Le modalitàdi svolgimento e le caratteristichedelle prove di accesso ai percorsidi cui agli articoli 3 e 13 sono defi-nite con apposito decreto...».12. DM n. 22 del 9.2.2005: classe37/A Filosofia e storia - L/S (= Lau-rea specialistica): 17, 18, 96 - L/S:93, 94, 97, 98 (sono le 4 classi distoria secondo il DM 28.11.2000

sulle vecchie specialistiche) - L/S:

65 (per le classi di storia: con alme-

no 36 crediti nel settore scientifico

disciplinare M-FIL); classe 43/A I-

taliano, storia ed educazione civi-

ca, geografia nella scuola media:

L/S: 1, 2, 5, 10, 12, 15, 16, 21, 24, 40,

44, 51, 72, 73, 93, 94, 95, 97, 98

(con almeno 80 CFU nei settori L-

FIL-LET, L-LIN, M-GGR, L-ANT eM-STO, di cui almeno 12 di Storia.DM 16.3.2007 (in attuazione270/2004): LM-14 FILOLOGIA MO-DERNA, LM-15 FILOLOGIA, LET-TERATURE E STORIA DELL’ANTI-CHITÀ, LM-78 SCIENZE FILOSOFI-CHE, LM-79 SCIENZE GEOFISI-CHE, LM-80 SCIENZE GEOGRAFI-CHE, LM-84 SCIENZE STORICHE.

Areadisciplinare

Letteratura italiana L-FIL-LET/10 Letteratura italiana contemporanea L-FIL-LET/11

Linguistica italiana L-FIL-LET/12

Geografia M-GGR/01

Storia medievale M-STO/01; Storia moderna M-STO/02; Storia contemporanea M-STO/04

IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

75 CFU: tra questi, 18/24 di didattiche disci-plinari nei SSD L-FIL-LET, M-STO e M-GGRTra i restanti 51/57 CFU:1) almeno 18 CFU nei SSD L-FIL-LET/10, L-FIL-LET/11, L-FIL-LET/12 (con almeno 6CFU in ciascun SSD ove non conseguiti neltriennio);2) almeno 12 CFU nei SSD M-STO/01, M-STO-02, M-STO/04 (con almeno 6 CFU inciascun SSD ove non conseguiti nel trien-nio)3) almeno 6 CFU in M-GGR/01

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SommarioNegli ultimi trenta anni la formazione iniziale e in serviziodegli insegnanti sta attraversando una intensa fase di rifor-me in quasi tutti gli Stati europei, sotto la duplice spintadelle sfide poste all’insegnamento dalle trasformazioni so-ciali e culturali e della diffusione a livello universitario delProcesso di Bologna. In questo processo l’Italia si è inse-rita tardivamente anche a causa della peculiare lunga tra-dizione pedagogica idealistica. Dell’attuale quadro euro-peo, ancora in evoluzione, vengono illustrati un esempiotedesco e uno inglese.

1. Un ritardo italianoDa circa tre decenni in tutti gli Stati europei la formazioneiniziale degli insegnanti della scuola primaria e seconda-ria è diventata una delle questioni centrali delle politicheeducative: profonde trasformazioni sociali, economiche eculturali rendono infatti sempre più impegnativo il com-pito della scuola e richiedono una preparazione didatticadegli insegnanti sempre più specifica e complessa. Que-sto processo di riforma della formazione degli insegnantipresenta due tendenze generali: in primo luogo, la forma-zione universitaria di tutti gli insegnanti, anche di quellidella scuola primaria, laddove in passato tale formazioneera riservata ai docenti di scuola secondaria; in secondoluogo, una formazione professionale anche per gli inse-gnanti della scuola secondaria, mentre in passato si rite-neva che fosse loro sufficiente una preparazione pura-mente disciplinare, certificata (come ad esempio avvenivain Italia) con un esame di concorso, senza alcuna forma-zione pedagogica e didattica e senza tirocinio.

L’Italia è stata uno degli ultimi Stati a inserirsi in questoprocesso di riforma. Fino al 1996, per diventare maestroelementare era sufficiente la licenza dell’Istituto magistra-le, e solo da allora è necessario conseguire la laurea inScienze della formazione primaria. Per quanto riguarda lascuola secondaria, le apposite Scuole di specializzazioneper l’insegnamento secondario (Ssis) sono entrate in fun-zione solo nel 1999. Fra le molte cause di questo ritardo,oltre a quelle politiche e burocratiche (la legge istitutivadelle Ssis risale al 19911), ve n’è una culturale di lunga du-rata, cioè l’idea, risalente alla visione pedagogica ideali-stica di Giovanni Gentile – autore di una generale riformadella scuola italiana nel 1923 – secondo la quale la cono-scenza dei contenuti di una disciplina porta automatica-mente alla capacità di insegnarla, e pertanto la tecnica di-dattica è inutile:

Non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola; seper fare scuola s’intende farla davvero, a certi giorni,a certe ore, via via, a certi alunni, sempre nuovi, conanimo sempre nuovo, in circostanze sempre diverse,su problemi che mai non si ripetono. Anche la scuola,come tutto, è [...] un atto assoluto senza precedenti esenza seguenti; un atto, in cui tutto quello che abbia-mo appreso è nulla rispetto a quello che dobbiamoancora sapere2.

Simile era l’approccio di Giuseppe Lombardo Radice,autore dei programmi della Scuola elementare nel conte-sto della riforma Gentile, il quale parlava dell’educazionecome «compenetrazione di anime»3.

74

3Luigi Cajani

1. Per una storia delle Ssis si vedaGiunio Luzzatto, Insegnare a inse-gnare. I nuovi corsi universitari

per la formazione dei docenti, Ca-rocci editore, Roma 2001.2. Giovanni Gentile, Sommario di

pedagogia come scienza filosofi-ca, I, Pedagogia generale, Gius.Laterza & figli, Bari 1923 (19121),

p. 114.3. Cesare Scurati, Profili nell’edu-cazione. Ideali e modelli pedago-

Formazione iniziale e formazione in servizio degli insegnanti: cenni su esperienze italianeed europee

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Questo atteggiamento culturale ha fatto anche sì chenon si sviluppassero in Italia le didattiche disciplinari, inparticolare nel settore umanistico. Nel 1985, durante unasessione del Congresso internazionale di Scienze storichedi Stoccarda, dedicata alla didattica della storia, GiulioGuderzo diede un quadro accurato e desolante della si-tuazione in Italia, che sintetizzò con queste parole:

Potremmo [...] per l’Italia dir subito che, nella forma-zione dei professori di storia, la parte didattica sostan-zialmente, o quasi, non esiste4.

In effetti, nessuna cattedra di Didattica della storia eraattiva nelle 33 Facoltà di Lettere che egli aveva interpellato(una era stata attiva a Trieste dal 1981 al 1984, una era at-tiva a Bologna, ma nella Facoltà di Magistero, e un’altraera a concorso a Roma, ma a Scienze politiche)5. Le Fa-coltà di Lettere, concludeva Guderzo, avevano comeobiettivo la ricerca e non la preparazione all’insegnamen-to, anche se poi era proprio l’insegnamento uno deglisbocchi professionali più frequenti per gli studenti.

2. Il quadro europeoAl di là delle tendenze di fondo già messe in luce, il qua-dro della formazione iniziale e in servizio degli insegnantiin Europa è molto differenziato, per più ragioni: diversele culture delle didattiche disciplinari; diversi i sistemi sco-lastici, in particolare per quanto riguarda le combinazionidelle materie insegnate (ad esempio: fisse in Italia, liberein Germania); diversi i criteri di accesso alla formazioneprofessionale, aperto o a numero chiuso (e in quest’ulti-mo caso, con prove centralizzate o decentrate); diverso ilreclutamento e la progressione di carriera degli insegnan-ti; diversa la collocazione istituzionale delle strutture diformazione, talora autonome e talaltra inserite nelle uni-versità; diverso il rapporto fra università e scuola perquanto riguarda il tirocinio; diversa, infine, la struttura deicurricoli formativi, distinguibili fondamentalmente in duemodelli, quello consecutivo e quello simultaneo. Nel pri-mo caso la formazione disciplinare precede quella didat-tica e professionale (con tirocinio presso le scuole), nelsecondo invece esse sono contemporanee nel corso delcurricolo. Nella maggior parte degli Stati europei, la for-mazione per l’insegnamento nella scuola primaria avvie-ne secondo il modello simultaneo (come in Italia nelle Fa-coltà di Scienze della formazione), mentre per quanto ri-guarda la formazione per l’insegnamento nella scuola se-

condaria prevale il modello consecutivo (come in Italianelle Ssis).

Il quadro, oltre che differenziato, è in costante movi-mento, come dimostrano fra l’altro le riforme in corso inFrancia e in Italia. Un importante elemento di trasforma-zione è rappresentato dal Processo di Bologna, che staportando a un particolare tipo di modello consecutivo, al-meno per la scuola secondaria, nel quale il corso di laureadi primo livello è dedicato alla formazione disciplinare equello di secondo livello alla formazione didattica e pro-fessionale. Al di là dei vari modelli, il problema fonda-mentale della formazione degli insegnanti è il ruolo delledidattiche disciplinari nel rapporto con le discipline puree semplici da un lato e con la didattica generale e il tiro-cinio dall’altro. Più che di una questione di strutture sitratta di una questione culturale.

3. Esempi di curricoloPer concludere, illustrerò i tratti essenziali di alcuni curri-coli per la formazione degli insegnanti, partendo da unesempio tedesco (in Germania ogni Land è autonomo inmateria scolastica). Nel Land Nordrhein-Westphalen l’U-niversità di Bielefeld offre ai futuri insegnanti della scuolaprimaria e secondaria un sistema flessibile, composto ditre elementi: due discipline di insegnamento (il cui studioprevede anche le rispettive didattiche disciplinari) e lescienze dell’educazione (Erziehungswissenschaft). Questitre elementi vengono ripartiti fra la prima fase (Bachelor,della durata di sei semestri) e la seconda fase (Master, del-la durata di due o quattro semestri, a seconda dell’ordinee grado di scuola nel quale si vuole insegnare), secondodue opzioni: durante il Bachelor si possono studiare en-trambe le discipline, e in tal caso durante il Master si stu-dieranno le scienze dell’educazione, oppure queste ulti-

gici nel pensiero contemporaneo,Vita e Pensiero, Milano 19963, pp.37 sg. Su questa riforma dellaScuola elementare si veda anche

Gaetano Bonetta, Storia dellascuola e delle istituzioni educati-ve. Scuola e processi formativi in I-talia dal XVIII al XX secolo,Giunti,

Firenze 1997, pp. 226 sg.4. Giulio Guderzo, La formazionedegli insegnanti di storia, “Criticastorica”, XXII (1985), n. 2/3, pp.

222-235, qui p. 222.5. Ivi, p. 230.

75

mrmmrmLuigi Cajani

[email protected]

Indirizzo: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea,Università La Sapienza, P.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma

Luigi Cajani (Roma 1949) insegna Storia moderna presso la Fa-coltà di Scienze umanistiche della Sapienza, e ha insegnato Di-dattica della storia presso la Ssis del Lazio. Nel 2001 ha parte-cipato come coordinatore alla Commissione di studio per ilprogramma di riordino dei cicli di istruzione istituita dal Mini-stro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro.

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3Luigi Cajani • Formazione iniziale e formazione in servizio degli insegnanti: cenni su esperienze italiane ed europee

me vengono studiate durante il Bachelor, e allora il Mastersarà dedicato alla seconda disciplina. Questo sistema haanche il vantaggio di consentire agli studenti, nel caso checambiassero idea, di cambiare indirizzo durante il Bache-lor, orientandosi verso uno sbocco professionale diversodall’insegnamento.

In Gran Bretagna, Inghilterra, Galles e Irlanda delNord gli Institutes of Education provvedono sia alla for-mazione iniziale degli insegnanti che alla formazione inservizio. La prima prevede una sola disciplina, durante unanno di studio. Vi si accede dopo un corso di laurea diprimo livello (BA), durante il quale lo studente deve aversostenuto almeno il 50% dei crediti nella disciplina stessa.Il curricolo prevede una parte teorica e un tirocinio. Laparte teorica combina didattica disciplinare e materie pe-dagogiche. Questa è l’articolazione del curricolo degli in-segnanti di storia nell’Institute of Education di Londra:

– Conoscenze disciplinari (Subject Knowledge):epistemologia della storia

– Conoscenze del sistema (System Knowledge):contesto scolasticoprogrammi d’insegnamento

– Conoscenze professionali (Professional Knowledge):stili di apprendimentoobiettivi dell’insegnamentopedagogia generale (organizzazione della classe, stra-tegie, strumenti, valutazione)didattica disciplinare

Alla fine di questo anno di corso si ottiene il Postgra-duate Certificate in Education (PGCE) che dà il QualifiedTeacher Status, il primo dei cinque livelli di Standard pro-fessionali, su cui si articola la carriera degli insegnanti. Perla formazione in servizio, con l’acquisizione di Standardsuccessivi, gli Institutes of Education offrono master disci-plinari di 30 crediti. Da notare che il mercato dell’insegna-mento è libero, con le scuole che assumono direttamentegli insegnanti. !

Bibliografia

! Alois Ecker (ed.), Initial training for history teachers:structures and standards in 13 member states of the Coun-cil of Europe, Council of Europe Publishing, Strasbourg2003.

! La professione docente in Europa: profili, tendenze, sfide.

Rapporto I: Formazione iniziale e passaggio alla vita pro-fessionale. Istruzione secondaria inferiore generale, Eury-dice, Bruxelles 2002.

! The Teaching Profession in Europe: Profile, Trends andConcerns. Report IV. Keeping Teaching Attractive for the21st Century. General Lower Secondary Education, Eury-dice, Bruxelles 2004.

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1. CAPES: Certificato di idoneitàall’insegnamento secondario. Tra-lascio qui il caso degli agrégés, ilcui reclutamento e la formazioneerano differenti. Né l’agrégation,né il CAPES sono diplomi. L’agré-gation tuttavia è considerata unaqualifica di eccellenza.2. Le questioni che si posero pri-ma della loro istituzione sono si-mili a quelle oggi dibattute: «a par-tire dalle preoccupazioni del per-

sonale che tradizionalmente for-ma gli insegnanti in istituti desti-nati a sparire o a trasformarsiprofondamente, fino alle incogni-te sulla selezione e sulla nominadei nuovi insegnanti, legate al fu-turo dei concorsi, sul ruolo dell’U-niversità negli IUFM, sulle even-tuali modifiche dei percorsi for-mativi della licence» (Marbeau &Audigier, 1990, p. 13).

77

4Nicole Tutiaux-Guillon

SommarioA partire dal 1989, la formazione degli insegnanti francesiè stata assicurata dagli IUFM (Instituts Universitaires deFormation des Maîtres), sulla base di una formazione teo-rica e pratica dopo aver superato un concorso altamenteselettivo. I corsi univano la formazione professionale ge-nerale con la formazione didattica. Nel maggio 2008 ilpresidente Nicolas Sarkozy ha annunciato che da quelmomento in poi gli insegnanti sarebbero stati formati sol-tanto nelle università, e che avrebbero dovuto conseguireuna laurea di secondo livello (master) e poi superare unconcorso. Successivamente avrebbero iniziato a insegnarea tempo pieno, eventualmente sotto la guida di un inse-gnante tutor. Questa riforma, decisa frettolosamente e for-temente contestata, è stata nondimeno imposta ed entreràin vigore dal settembre 2010. Ne conseguiranno numerosie scottanti problemi: difficoltà di costruire dei master fon-dati sulla ricerca e immediatamente efficaci nella pratica;conflitto fra saperi disciplinari e saperi didattici e profes-sionali; pesante carico di lavoro per gli studenti, fra stage,master e preparazione dei concorsi; e infine aumento delcosto degli studi.

Negli anni Settanta e Ottanta, la selezione degli inse-gnanti della scuola secondaria in Francia avveniva tramite

concorso (CAPES1) tra coloro che avessero conseguito lalicence (che si consegue dopo 3 anni di studi universitari).I vincitori ricevevano poi una formazione annuale retri-buita, composta da stage pratici e da conferenze tenuteda ispettori ministeriali. Negli anni Ottanta, numerose in-dagini evidenziarono le inadeguatezze di questo percorsoformativo, cosicché, nel 1989, sulla base del duplice pre-supposto di una formazione analoga per tutti gli inse-gnanti e di una formazione in alternanza, furono costituiti,per decreto ministeriale, gli Instituts Universitaires de For-mations des Maitres (IUFM)2. Dal 1990, quindi, gli inse-gnanti di storia e geografia (in Francia le due materie ven-gono insegnate insieme) devono innanzitutto conseguireuna licence, in storia o in geografia, senza essere tenuti apartecipare a moduli pre-professionalizzanti (dai conte-nuti variabili); la proporzione tra la storia e la geografianella licence varia da università a università. Occorre poivincere un concorso molto selettivo (di solito la percen-tuale dei vincitori è dell’8-10%). Questo concorso, fino al2010, dava accesso ad un anno di formazione retribuitanel quale si alternavano esperienze lavorative (stage pra-tici) e corsi presso l’IUFM. Nonostante la qualifica di «uni-versitari», gli IUFM non facevano capo alle università, madipendevano direttamente dal Ministère de l’Éducation

mrmLa formazione degli insegnanti di storia e geografia in Francia

Nicole Tutiaux-Guillon è dal 2005 professore presso l’IUFMdel Nord-Pas de Calais (Université d’Artois), con incarichipresso altre università. È membro del laboratoire Théodile-CI-REL (Université de Lille 3). Insegna Didattica della storia e del-la geografia, sia a livello di ricerca che di formazione profes-sionale. Le sue ricerche riguardano in particolare le pratichedi insegnamento e le forme di apprendimento della storia edella geografia, nonché la dimensione politica ed etica di que-ste discipline.

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Nationale (MEN) sia per l’approvazione del progetto for-mativo, che per il budget e per la nomina del direttore(successivamente all’elezione da parte del consiglio diamministrazione). Gli IUFM contribuivano alla prepara-zione al CAPES e, in particolare, alla prova su dossier, chein storia e geografia richiedeva conoscenze approfonditedi epistemologia, di storiografia, di storia del pensierogeografico e dei programmi scolastici. L’università prepa-rava invece alle prove disciplinari del CAPES. Gli IUFMdovevano inoltre progettare e garantire la formazioneprofessionale dei vincitori del concorso. Il rilascio dei di-plomi, tuttavia, non era competenza degli IUFM, ma pre-rogativa delle università.

Il dibattito sulla formazione animatosi negli anni Ot-tanta e Novanta verteva sul bagaglio necessario per intra-prendere una professione che tutti constatavano esserecambiata a seguito della generalizzazione dell’insegna-mento secondario, cioè del suo rivolgersi ad un pubblicodi studenti non più circoscritto alle classi medie e alte. Sidoveva continuare a mettere l’accento sulla formazionedisciplinare, secondo l’approccio tradizionale, oppure oc-correva tener conto delle caratteristiche del «mestiere d’in-segnante» comuni a tutte le discipline? Bisognava, diver-samente dal passato, affiancare alla preparazione discipli-nare anche le competenze pedagogiche? Per quanto ri-guarda gli insegnanti della scuola secondaria, la questio-ne si pose solo quando, con l’avvento di un «nuovo pub-blico», del tutto privo di dimestichezza con la cultura sco-lastica, fu evidente che la semplice comunicazione del sa-pere non funzionava più. Al tempo stesso la concezionedi una adeguata formazione disciplinare andava evolven-dosi: gli studi sulla didattica evidenziavano le peculiaritàdell’insegnamento scolastico della storia ed alcuni, comeHenri Moniot, si battevano per una formazione epistemo-logica e storiografica capace di far comprendere la vali-dità e l’utilità delle conoscenze storiche, le conseguenzedella loro circolazione nella società e del loro apprendi-mento in classe. Gli IUFM segnarono un momento di svol-ta in quanto misero in luce come il mestiere di insegnantedella scuola secondaria, lungi dall’essere solo il fruttodell’attitudine e dell’esperienza del singolo, è un mestiereche si impara, ma non limitandosi a quei «trucchi del me-stiere» che si apprendono con l’affiancamento ad un inse-gnante esperto3. Negli anni Novanta, tuttavia, il termine«didattica» riferito alla formazione degli insegnanti assu-meva diversi significati: risorse pratiche da utilizzare nel-

3. Così il titolo dell’opera fonda-mentale di J. Le Pellec e V. Marcos-Alvarez, Enseigner l’histoire unmétier qui s’apprend, edita nel1991 (Hachette-CRDP MidiPyrénées, Paris-Toulouse).

4. La modifica del monte ore deglistage pratici permetteva, di fatto,di affidare più di un insegnamentoa docenti retribuiti (1320 ! al mesenel 2008).5. Gli studenti dovevano essere di

età diversa (un insegnante di liceofaceva il suo stage di 40 ore allemedie e viceversa) o di estrazionesociale diversa (un insegnante chelavorava in un quartiere proble-matico faceva lo stage in un istitu-

to aperto a tutti o privilegiato e vi-ceversa).6. L’École normale era il luogo diformazione degli insegnanti dellascuola primaria prima dell’istitu-zione degli IUFM.

78

4Nicole Tutiaux-Guillon • La formazione degli insegnanti di storia e geografia in Francia

l’insegnamento, riflessione sulla natura dell’istruzionescolastica, riflessione sulla maniera di aiutare gli studenti,e, più raramente, i risultati della ricerca.

A partire dal 1990, i vincitori del CAPES o dell’agréga-tion effettuavano per un anno un numero di ore settima-nali di insegnamento variabile da 4 a 6, portate poi da 6a 8 a partire dal 20024, ripartite tra una e tre classi; un altrostage di 40 ore completava la formazione pratica5, per untotale di circa 400 ore. La scelta dell’istituto nel quale glistagisti effettuavano questo servizio dipendeva dalle ored’insegnamento disponibili e non dalla capacità formativadell’istituto. Nell’IUFM questi stessi stagisti seguivano cir-ca 200 ore di corsi e attività pratiche. Il modello formativosi basava sull’alternanza tra teoria e pratica, e quindi iltempo trascorso nell’IUFM doveva servire a facilitare l’a-nalisi di esperienze concrete attraverso concetti e stru-menti sperimentati; né nella teoria, né nella pratica, infatti,può esaurirsi la formazione: esse si bilanciano, si comple-tano e si arricchiscono l’un l’altra. Non è però detto chequesto ideale sia stato sempre raggiunto. Durante gli sta-ge, gli aspiranti docenti erano assistiti da un insegnanteesperto, scelto dagli ispettori e non dall’IUFM. Spessoquesti formatori «sul campo» sono stati apprezzati daglistagisti perché trasmettevano un’esperienza pratica e da-vano consigli immediatamente utilizzabili. Ma le diver-genze sulla concezione del mestiere tra «campo» e IUFMsono state spesso nette. Del resto, gli studi sulla profes-sione didattica sottolineano la differenza tra formazionesul campo sotto la guida di un tutor e formazione acca-demica, in particolare per quanto attiene all’analisi dell’o-biettivo da raggiungere e dei problemi professionali.

I corsi dell’IUFM si componevano, in parti più o menouguali, di una formazione professionale generale e di unaformazione didattico-disciplinare, accomunando quindi idue aspetti del mestiere: quello che si costruisce sulla ba-se delle esigenze dell’istituzione, dei genitori e degli allie-vi, e quello, più tradizionale, che si fonda sulla padronan-za della disciplina. Le tipologie di formatore erano moltoeterogenee: potevano infatti essere insegnanti della scuo-la secondaria che dividevano il loro tempo tra il proprioistituto e l’IUFM; oppure insegnanti nominati a tempo pie-no dall’IUFM; oppure ex professori di École normale6; einfine insegnanti-ricercatori (universitari). Questa etero-geneità, insieme al fatto che i contenuti dei corsi venivanoscelti a livello locale dai formatori, ebbe come conseguen-za una forte diversificazione della formazione nei vari

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IUFM. La pluralità delle esperienze e dei saperi messi incampo nella formazione contribuì certo ad arricchirla, maanche a generare disparità e tensioni, riguardanti anche ilmodo di concepire il curriculum formativo. La formazionetramite la ricerca, tanto auspicata dagli esperti di didatticadegli anni Ottanta, alla fine non trovò spazio all’interno diquesto modello formativo.

Agli stagisti era richiesta una tesi professionale chesaggiasse le loro capacità di progettare ed organizzare uninsegnamento, di problematizzare la pratica del mestieree di strutturare una riflessione che permettesse lo svilup-po professionale. Superato in modo soddisfacente que-st’anno professionalizzante, la selezione degli insegnantida immettere in ruolo era effettuata, su portfolio, dai rap-presentanti locali del Ministero7.

Nel dicembre 2006 il Ministero pubblicava un nuovodocumento-quadro sulla formazione degli insegnanti nelquale venivano individuate 10 competenze che dovevanoessere sviluppate nel corso della vita professionale e chedovevano essere «sufficientemente» possedute dai nuoviinsegnanti già al momento dell’immissione in ruolo8. Inogni IUFM, a partire dal 2007/2008, i progetti formativi fu-rono modificati per rispondere a queste esigenze. Paral-lelamente, la legge Fillon prevedeva che, dalla fine di gen-naio 2008, ogni IUFM fosse incorporato in un’universitàdel medesimo circondario accademico, scelta dal Ministe-ro. Gli IUFM divennero così «organi» delle università, conuna riduzione della loro autonomia.

Nel maggio 2008 il presidente della Repubblica Nico-las Sarkozy annunciò che da allora in poi gli insegnantisarebbero stati formati solo dalle università e che avreb-bero dovuto conseguire una laurea di secondo livello,cioè il master (la riforma è stata perciò chiamata mastéri-sation), ma che comunque sarebbero sempre stati sele-zionati tramite concorso9. Secondo questo progetto, ogniuniversità potrà organizzare questi master, con o senza ilcoinvolgimento del personale degli IUFM, ormai destinatialla chiusura. I concorsi saranno totalmente modificati egli studenti vi si presenteranno durante il secondo annodel master. Una volta conseguito il master e superato ilconcorso10, i nuovi insegnanti saranno destinati alle scuo-le, dove saranno affiancati da un insegnante esperto.Questo progetto non è stato peraltro ancora tradotto inrealtà. A seguito di numerose proteste, nel corso del 2009il governo ha deciso che un terzo del primo anno di la-

voro sarà destinato alla formazione; tuttavia questo terzoverrebbe organizzato in 2 periodi semestrali e i vincitoridel concorso sarebbero obbligati ad insegnare, come ognialtro insegnante della scuola secondaria, per 18 ore setti-manali (ripartite in 5 o 6 classi, dall’età e dai programmidiversi)11. Secondo la logica della soppressione dell’annodi formazione nell’IUFM, i vincitori del concorso del 2010accederanno all’insegnamento senza alcuna formazione.I nuovi concorsi e la riforma dovrebbero entrare in vigoredall’anno scolastico 2010/2011. La questione dei contenu-ti e dell’organizzazione dei master rimane aperta. L’obiet-tivo è importante, le scadenze strette e i problemi nume-rosi, anche considerato che IUFM e università, salvo rareeccezioni a livello locale, si sono ignorati – se non di-sprezzati – per una quindicina d’anni.

Formatori degli IUFM, studenti che aspirano all’inse-gnamento, universitari e insegnanti, per motivi diversi etalora divergenti, contestano questa riforma affrettata. Es-sa viene attaccata anche da altre istituzioni, come l’acca-demia delle scienze e le associazioni professionali deglistorici.

Ugualmente alla ripresa dell’anno scolastico 2010/2011,è molto difficile sapere quale sarà il contenuto dei masterin «mestieri dell’insegnamento», in particolare la proporzio-ne tra l’insegnamento accademico e quello professionaliz-zante, e quale ruolo avrà la didattica. Su questo punto nonvi è nessun vincolo a livello nazionale. L’autonomia univer-sitaria, così come la preoccupazione di preservare i masteresistenti, può portare a dei master molto diversi tra univer-sità e università. La pianificazione di un master è infatti par-ticolarmente complessa: la struttura di quelli esistenti deveessere profondamente modificata, senza ridurre l’offertadei master «di ricerca», nei quali le iscrizioni sono molto in-feriori rispetto ad altri, ma senza nemmeno creare nuovimaster – cosa che il Ministero rifiuta a priori. Le difficoltà,i ritardi e le proteste hanno fatto sì che l’entrata in vigoredella riforma, inizialmente prevista per la fine dell’annoscolastico 2009/2010, sia stata rinviata all’inizio dell’annoscolastico 2010/2011. Tuttavia, solo alla fine del 2009 sonostate rese note le nuove prove del concorso. Per la storia ela geografia si tratta di una svolta duplice: le prove scritteverteranno su argomenti più ampi e meno lontani dai pro-grammi della scuola secondaria (attualmente nessuno saquali), mentre l’orale verterà sullo studio di dossier che ri-chiedono una preparazione in epistemologia, didattica,

7. Gli insegnanti la cui formazioneveniva giudicata insufficiente ve-nivano esaminati nuovamente e,se l’esame non permetteva loro diessere reclutati, beneficiavano diun secondo anno di formazione,anch’essa remunerata. Se al termi-

ne di questo secondo anno ancoranon erano reclutabili, perdevanoanche il beneficio del concorso.8. BOEN, n. 1, 4 janvier 2007.9. La selezione tramite concorsosoddisfa le esigenze repubblicanedi parità e di meritocrazia, così co-

me vengono concepite in Francia.10. Gli studenti che non conse-guono il master perderanno il be-neficio del concorso.11. I vincitori del concorso del2010 non avranno ALCUNA for-mazione professionalizzante pri-

ma dell’inizio dell’anno scolastico2010… e i loro studenti avrannoquindi 3 professori nel corso del-l’anno, tra i quali uno studente dimaster che subentrerebbe nel se-condo semestre.

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scienze dell’educazione, oltre che sulla conoscenza deiprogrammi (nessuno sa ancora come sarà formato il dos-sier). A questo si aggiungeranno delle domande sul sistemaeducativo. Sembra molto difficile conciliare questo tipo dicompetenze con una preparazione alle pratiche dell’inse-gnamento e con il livello di specializzazione normalmenterichiesto nei master disciplinari. In altri termini, la tipologiadelle prove prescelta complica ulteriormente la situazione.Inoltre, ogni master deve in quanto tale accordare uno spa-zio rilevante alla ricerca. Ma che tipo di ricerca per i mestieridell’insegnamento? I futuri insegnanti di storia e geografiadevono essere avviati alla ricerca in storia? In didattica dellastoria? In scienze dell’educazione? Che posto è assegnatoalla ricerca in geografia o in didattica della geografia?

Altro effetto temuto di questa riforma è quello di smi-nuire la formazione al mestiere di insegnante. Aver inse-rito il concorso al livello di laurea di secondo livello, conlo scritto a novembre e l’orale a maggio o giugno – comeha deciso il Ministero –, obbliga gli studenti ad attendereai gravosi impegni di un master (tra cui una tesi di ricer-ca), a preparare e a superare un concorso molto selettivoche richiede competenze estranee a quelle del master, eallo stesso tempo a prepararsi ad un mestiere che andran-no ad esercitare subito dopo aver vinto il concorso. Latendenza a privilegiare il superamento del concorso sicontrappone a quella che vuole preservare il livello delmaster – ed è in relazione a questa contraddizione fonda-mentale che si discute del posto da riservare allo sviluppodelle competenze professionali. I contenuti formativi de-gli IUFM non possono essere semplicemente trasferiti,perché non sono compatibili né con gli standard univer-sitari né con i vincoli di un master, perché non corrispon-dono più alle prove d’esame dei nuovi concorsi e perchéquella ora prevista non è più una formazione fondatasull’alternanza. Infine, la didattica gode di scarsa conside-razione a livello accademico. La questione degli stage ob-bligatori in tutti i master professionali, sulla quale il Mini-stero ha taciuto per lungo tempo, è stata risolta con unostage di 108 ore da svolgersi durante l’ultimo semestre delmaster, vale a dire in un periodo coincidente con quellodella preparazione delle prove orali del concorso (chenon hanno nulla a che vedere con lo stage) e dell’ultima-zione della tesi. Questo stage si terrà nelle classi liberatedai nuovi insegnanti in fase di formazione – quindi per 18ore settimanali di insegnamento. Le competenze pedago-giche o didattiche, considerate fondamentali negli anniNovanta, rischiano di essere rimesse alla sola esperienzaed assistenza del tutor, in quello che sembra un ritornoagli anni Settanta e Ottanta. Mancano il tempo, e a voltela volontà, per pensare ad una formazione universitaria,professionalizzante ma non professionale, che faccia te-soro dell’esperienza acquisita dagli IUFM.

Questa riforma avrà probabilmente anche delle rica-dute sociali: la data ravvicinata dei concorsi rischia di pre-cludere agli studenti la possibilità di un lavoro estivo chepermetta loro di pagarsi almeno una parte degli studi. Igiovani di estrazione sociale modesta potranno permet-tersi un ulteriore anno di studi? Le soluzioni prospettatedal Ministero (borse di studio, impieghi a tempo pieno12,l’annunciata remunerazione dello stage – 3000 ! –, più al-ta dello stipendio di un insegnante) sono lontane dall’e-guagliare l’attuale stipendio annuale, di circa 15.000 !, deivincitori formati negli IUFM. E infine, molti studenti otter-ranno un master senza superare poi il concorso, visto chesempre di un concorso si tratta. È probabile che essi an-dranno ad occupare dei posti di lavoro precari, dove equando ci sarà bisogno di un insegnante, per un periodopiù o meno lungo. Anche in questo caso, la soluzioneprospettata dal Ministero – fare in modo che gli insegna-menti impartiti nei master permettano una riconversione– è soddisfacente sul piano teorico, ma non su quello pra-tico: più si tiene conto di questa potenziale riconversione,meno si offre ai futuri insegnanti in termini di risorse spe-cifiche per il loro mestiere, e necessarie a superare il con-corso. A ciò si aggiunga che i diversi formatori presentinegli IUFM sono molto preoccupati dalla concorrenza de-gli insegnanti-ricercatori dell’università che li incorpora. Imaster possono essere istituiti senza l’apporto dei forma-tori degli IUFM, anche se un numero sempre maggiore divoci, inclusa quella dei Rettori universitari, si leva controquesta prospettiva.

Infine, la formazione è anche un momento per co-struire un’identità professionale, per iniziare a socializzaredentro e con il mestiere. È quindi normale pensare che lascomparsa di un luogo comune a tutti gli insegnanti ed ilvenir meno di un’occasione in cui nuovi insegnanti di di-scipline diverse lavorano insieme – per impedimenti ma-teriali o per paura di svilire la pedagogia e la funzioneeducativa dell’insegnante, poche tipologie di master of-frono queste occasioni – rischino di indebolire questaidentità comune. Come concepiranno il loro mestiere, iloro ruoli e il rapporto dei propri studenti con la storia (ola geografia) i futuri insegnanti di storia e geografia? !

12. Si noti l’ironia: i giovani co-stretti a lavorare per mancanza dimezzi economici aggiungeranno

all’impegno del master e del con-corso quello di un impiego a tem-po pieno per l’istruzione pubblica.

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e per ulteriori informazioni sulla situazione attuale:

! http://www.iufm.education.fr/applis/actualites/ rubri-que.php3?id_rubrique=22, il sito web della Conferenza deiDirettori di IUFM.

! http://www.cpu.fr/Actualites.240.0.html, il sito web dellaConferenza dei Rettori Universitari.

! http://www.education.gouv.fr, il sito del Ministero dellaPubblica Istruzione; cfr. in particolare la rubrica «attua-lità» e le informazioni sul concorso, sui programmi, ecc.

! http://www.aeres.fr, il sito web dell’Agence d’évaluationde la Recherche et de l’Enseignement supérieur, per i cri-teri di valutazione delle tipologie di master.

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Le reti degli insegnanti per ri-formare la culturastorica a scuola

[email protected]

Ivo Mattozzi è professore associato presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bologna. Insegna Didattica della storia,Didattica e divulgazione storica (nei corsi di laurea in Storia), Storia moderna nel corso di scienze geografiche, Storia e studi socialinel corso di laurea in Scienze della formazione primaria della Libera Università di Bolzano.

5Ivo Mattozzi

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scheroni e I. Mattozzi, FrancoAn-geli, Milano 2009.

Carocci, Roma 2009.5.V. Guanci e C. Santini (a cura di),FrancoAngeli, Milano 2008.6.A. Bortolotti, M. Calidoni, S. Ma-

Clueb, Bologna 1997.3. Associazione “Clio ’92”, Polaris,Faenza 2000.4. A. Brusa e L. Cajani (a cura di),

1. E. Guerra e I. Mattozzi (a curadi), «Quaderni di Discipline Stori-che», Clueb, Bologna 1994.2. N. Baiesi, E. Guerra (a cura di),

la ricerca sui problemi dell’insegnamento e dell’apprendi-mento della storia e che producono ipotesi di soluzione in-trecciando la ricerca teorica con quella applicata.

Il dare e l’avere tra associazioni e universitàInsegnanti di storia1, Interpreti del loro tempo: ragazzi eragazze tra scena quotidiana e rappresentazione della sto-ria2, Oltre la solita storia3, La storia di tutti4, Storia e inter-disciplinarità per capire il ’9005, Per l’educazione al patri-monio culturale: 22 tesi6 sono i titoli di alcune pubblica-zioni di associazioni o di reti di scuole... Esse non circola-no negli ambienti accademici e non sono citate dagli sto-rici. Ma segnalano un’attenzione alla dimensione profes-sionale, ai processi di apprendimento, al sapere storico.

Se gli accademici le prendessero in considerazione,forse potrebbero pensare piani di studio più consoni allapreparazione dei futuri insegnanti.

Infatti, la formazione del sapere storico diffuso dipen-de dalle attività professionali degli insegnanti. La forma-zione della cultura storica degli insegnanti è plasmata daicorsi di laurea, inizialmente.

La formazione in servizio è terra di nessuno, nel sensoche lo sviluppo della cultura storica può essere perseguitoin modo autodidattico da chi ne ha la passione o sente la

SommarioNei sistemi universitari di altri paesi esistono dipartimentidi Didattica delle scienze sociali e la didattica della storiaè riconosciuta come campo di ricerca nell’ambito del qua-le si producono investigazioni e insegnamenti che contri-buiscono sia alla impostazione dei piani di studio sia allaformazione dei futuri insegnanti. In qualche paese – adesempio, la Spagna e la Francia – sono istituiti dottoratiin Didattica delle scienze sociali che incentivano la ricercae preparano nuove generazioni di docenti. Nel sistemauniversitario italiano la didattica della storia è miscono-sciuta come campo di ricerca sia nelle Facoltà di Scienzedella formazione sia in quelle di Lettere e filosofia. Soloper iniziativa individuale di singoli ricercatori si sono isti-tuite cattedre o corsi di Didattica della storia nelle due Fa-coltà di Lettere e filosofia di Bari e di Bologna. Nelle Scuo-le di specializzazione all’insegnamento secondario la Di-dattica della storia è stata affidata o a docenti universitariincompetenti nel settore o a insegnanti secondari che sisono formati competenze sia con le proprie esperienzesia dibattendo dei problemi all’interno di associazioni dididattica disciplinare.

Infatti, nel deserto della ricerca accademica si esaltanoil ruolo e la funzione delle associazioni di didattica disci-plinare. Sono esse che mantengono viva l’attenzione verso

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in pensione che desiderano ancora impegnarsi a collabo-rare a progetti di ricerca o ad attività di formazione. E cisono anche docenti universitari disposti a combinarecompiti accademici e collaborazione con un’associazioneallo scopo di coniugare la ricerca storiografica con la ri-flessione sull’insegnamento della storia.

Come manifestano la loro esistenza?Le associazioni danno segni di vita con la pubblicazione diriviste, di siti web, di libri, con l’organizzazione di conve-gni, di corsi di aggiornamento, di attività laboratoriali, di e-venti (come la Festa della storia organizzata ogni autunnoa Bologna dal Laboratorio multidisciplinare coordinato daRolando Dondarini, docente di Storia medievale).

Spesso le associazioni collaborano con istituzioni uni-versitarie, ma il rapporto tra associazioni ed università èsolo occasionale e riguarda qualche corso di aggiorna-mento. Le collaborazioni più frequenti avvengono conistituti scolastici, con uffici scolastici provinciali, con leamministrazioni locali.

Cosa fanno le associazioni?La vocazione delle associazioni è quella di costituirsi co-me comunità allo scopo di favorire il miglioramento del-la professionalità attraverso lo sviluppo della cultura sto-rica e delle competenze didattiche, all’interno delle qualisono valorizzate le esperienze, le pratiche e le produzio-ni di insegnanti riflessivi e ricercatori. Perseguono i loroscopi con una molteplicità di attività, sia rivolte solo aisoci sia destinate ad un pubblico più ampio: promuovo-no la ricerca sul sapere da trasmettere didatticamente,sulle trasposizioni didattiche, sui problemi didattici; met-tono in circolo i risultati delle loro ricerche progettandocorsi di aggiornamento su richiesta di scuole o di enti lo-cali e di istituzioni museali, oppure per iniziativa pro-pria. Realizzano i corsi grazie alle risorse umane e ma-teriali che l’associazionismo mette a disposizione. Pre-parano materiali didattici per gli insegnanti, produconolibri sui problemi dell’insegnamento, editano riviste, for-mano formatori, cioè insegnanti competenti a formarecolleghi nei corsi di aggiornamento. Fanno monitorag-gio sui risultati dei processi formativi universitari e deiprocessi formativi delle scuole. Producono ipotesi di so-luzione ai problemi didattici.

Uno dei loro meriti principali è quello di coltivare uncampo di ricerca a cui l’università non dà rilevanza: quellodei problemi della storia insegnata e della didattica dellastoria.

responsabilità professionale, ma in generale è evitato dallamaggior parte degli insegnanti a meno che qualche inizia-tiva di istituzioni statali (ministero, uffici scolastici regionalie provinciali, istituti di ricerca educativa) non li costringa aparteciparvi. Ciò avviene episodicamente, rabdomantica-mente, senza continuità e in maniera dispersiva.

Ma c’è un’altra terra di nessuno: è il campo della ricer-ca in Didattica della storia. Nelle Facoltà scientifiche le di-dattiche sono insegnamenti strutturati e riconosciuti comeelementi importanti nei corsi di laurea, hanno possibilitàdi alimentare la ricerca mediante i dottorati, non sono im-pedimenti alla carriera accademica. Nelle Facoltà lettera-rie la didattica della storia, invece, è considerata una stra-vagante opzione di qualche ricercatore, inutile nella for-mazione della cultura dei laureati, ed espressione di au-tolesionismo per chi volesse accedere ai livelli alti dellacarriera. Perciò è disdegnata e messa in condizione di nonsviluppare le sue potenzialità euristiche e formative inambito accademico.

In queste terre di nessuno svolgono il loro ruolo le as-sociazioni degli insegnanti di storia con un’opera merito-ria. Io vorrei presentarne le attività con lo scopo di fareun bilancio del dare e dell’avere rispetto alla università eragionare su come la collaborazione tra università ed as-sociazioni potrebbe giovare alla formazione storica degliinsegnanti e, di conseguenza, dei cittadini.

Quali sono le associazioni?Ce ne sono alcune che possiamo chiamare “generaliste”in quanto associano insegnanti senza distinzione delle di-scipline insegnate. Sono il CIDI, l’ADI, l’UCIIM, l’AIMC e pos-siamo includere tra di esse anche le “reti di scuole” moltoattive nell’organizzazione di attività di aggiornamento.

Esse ci interessano in quanto promuovono, di tanto intanto, anche corsi di aggiornamento e convegni riguar-danti la storia insegnata.

Ce ne sono altre che, invece, intendono costituire co-munità di insegnanti interessati ai problemi dell’insegna-mento disciplinare. Tra esse ci sono le associazioni di in-segnanti di storia: l’Istituto nazionale per la Storia del mo-vimento di liberazione con la rete degli istituti regionali eprovinciali, il LANDIS (Laboratorio nazionale di Didatticadella storia), Historia ludens, il Laboratorio multidiscipli-nare di Bologna, Linea tempo, Clio ’92.

Esse sono formate prevalentemente da insegnanti inservizio desiderosi di migliorare la loro formazione cultu-rale e professionale con lo scambio di idee, di materiali,di esperienze con i colleghi. Ma ci sono anche insegnanti

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timenti/filosofia/Master_Intercult/materiali_04/mondializzazione_gru-zinski.pdf

7. S. Gruzinski, La mescolanza dei mondi della Monarchia Cattolica o leorigini iberiche della mondializzazione, http://host.uniroma3.it/dipar-

somma, la modestia quantitativa dell’incidenza delle atti-vità associative nella formazione in servizio è la dimostra-zione che la formazione universitaria iniziale è decisivanel determinare la qualità del profilo professionale degliinsegnanti di storia e che la formazione continua deve in-nestarsi su una base formativa di buona qualità.

La formazione iniziale è decisivaCosa l’università può derivare dalle esperienze delle as-sociazioni? Nelle università, attraverso le carriere deglistudenti e le tesi di laurea, si riesce a valutare in qualchemisura la qualità della formazione iniziale che riguardaesclusivamente la preparazione culturale dei laureati. Leuniversità non hanno interesse e strumenti per monitorarecome evolvono la preparazione e la professionalità degliinsegnanti in servizio. E non sentono la responsabilità diverificare se e come la formazione culturale iniziale fun-zioni durante l’esercizio della professione. Le associazio-ni, invece, hanno rapporti con gli insegnanti attivi e pos-sono perciò controllare gli effetti professionali della for-mazione universitaria e seguire l’evoluzione della prepa-razione culturale degli insegnanti, inoltre, possono verifi-care quali sono i problemi che insorgono lungo la vitaprofessionale degli insegnanti. Incontrano numerosi inse-gnanti che rivelano le tante difficoltà di insegnare la storia,che considerano la storia gerarchicamente meno impor-tante dell’altra disciplina del cui insegnamento sono inca-ricati, che raccontano della disaffezione degli studentiverso la storia scolastica e si lamentano che essi la diser-tano o la studiano male. Il quadro sconfortante trova con-ferma nella valutazione che si esprime sulla preparazionestorica delle matricole iscritte all’università.

Le associazioni hanno diagnosticato che l’insuccessodell’insegnamento della storia non è una semplice questio-ne didattica, ma dipende dalla storia generale che viene in-segnata e dalla formazione storica degli insegnanti. Perciòprovano a proporre storie generali di altro tipo da quelletradizionali, ma incontrano la resistenza degli insegnanti adaccettare nuove configurazioni del sapere in nome di un ca-none di conoscenze ormai stereotipato. Gli insegnanti dellescuole secondarie, in genere, sono vittime di un irrigidi-mento di quadri culturali che ad altri livelli si verifica anchenel mondo accademico, come rileva Serge Gruzinski7:

«I quadri cronologici e geografici della ricerca storicaa volte diventano grevi. La loro rigidità maschera spessodei condizionamenti etnocentrici nascosti dietro le tradi-

I metodi della ricerca devono essere appresi dall’universitàGli insegnanti delle associazioni fanno ricerca in didatticaapplicata, per lo più. La loro preoccupazione prevalenteè quella di indagare i problemi dell’insegnamento e del-l’apprendimento che si presentano nella vita professiona-le, di cercare delle soluzioni e di comunicare i risultati del-le loro attività ai colleghi con il desiderio di condivideresoluzioni.

Non riescono agevolmente a conformare le loro ela-borazioni e comunicazioni ai parametri della ricerca ac-cademica. Sotto la pressione di altre urgenze, non riesco-no a dedicare troppo tempo alla ricerca bibliografica e al-la formalizzazione delle comunicazioni. Non hanno iltempo di consultare la letteratura disponibile in italiano ein altre lingue. Perciò le pubblicazioni didattiche si riem-piono di elaborazioni ripetitive in cui stupiscono la caren-za dei riferimenti bibliografici e l’ignoranza delle elabora-zioni altrui.

I punti di forza e i limiti delle associazioniLe associazioni riescono a mantenersi vitali grazie al lavorovolontario e appassionato di insegnanti che non conside-rano finito il loro impegno con l’insegnamento. E un puntodi forza è il lavoro cooperativo, insieme con la circolazionedelle idee. Nell’ambito delle associazioni si riescono a for-mare professionisti della formazione che sono utilizzatidalle università per il tutoring nei corsi di laurea o per in-segnare Didattica della storia: si formano competenze chevengono valorizzate dalle redazioni editoriali sia nella ela-borazione di riviste didattiche sia nella composizione di li-bri di testo o di materiali accessori. Infine, le associazionisono, a volte, bacini di reclutamento anche per collabora-tori didattici di musei, di archivi, di biblioteche.

Come è facile pensare, le risorse finanziarie e materialisono limitate e anche le risorse umane faticano a rinno-varsi e ad accrescersi. Il risultato è una fragilità organiz-zativa che rende difficile sviluppare le iniziative in modoproporzionato alle elaborazioni delle teorie e delle prati-che. Per conseguenza è scarsa l’incidenza che le associa-zioni riescono ad avere nel mutamento delle abitudiniprofessionali della maggior parte degli insegnanti. Esseriescono a modificare cultura storica e atteggiamenti pro-fessionali solo di minoranze di insegnanti, una parte mi-nima delle quali decide di aggregarsi alle associazioni. In-

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storia generale o nei libri di testo. E questa competenzacomporta che i processi formativi universitari facciano deisistemi di conoscenze un oggetto di studio.

Queste esigenze della professione degli insegnanti distoria le associazioni le riconoscono da tempo e si dannoda fare per soddisfarle con i corsi di aggiornamento. Matrovano l’impaccio della qualità della formazione iniziale.Perciò hanno analizzato come le carenze di essa determi-nino le incompetenze degli insegnanti.

L’università e le incompetenze degli insegnantiIn un normale percorso di studi universitari i futuri inse-gnanti sono tenuti a preparare la conoscenza di storia ge-nerale con i manuali e le conoscenze monografiche conopere storiografiche originali. In alcuni corsi si richiededi preparare delle esercitazioni scritte (recensioni o pa-per). Solo coloro che fanno la tesi in storia hanno l’oc-casione di formarsi metodologicamente e di provare l’e-sperienza della costruzione della conoscenza del passato.Ma la storia generale è studiata da tutti in modo autodi-dattico, poiché non è solitamente oggetto di corsi di in-segnamento in quanto non è considerata degna di unariflessione epistemologica e di indagini sulla sua confi-gurazione.

Ma poiché nella scuola incombe la storia generale nel-la versione manualistica gli insegnanti assumono comeregolatore della loro professione lo stereotipo che distin-gue tra storia e storiografia. La prima è il regno dei fattiduri e puri. La seconda è territorio delle interpretazioni in-telligenti e affascinanti e oggetto di controversie. La primasi trova organizzata nei libri di testo. La seconda è propo-sta nelle opere originali e monografiche degli storici. Laprima è obbligatoria e inevitabile, la seconda opzionale esecondaria. Sulla struttura della prima non c’è un proble-ma di riflessioni critiche e di scelte e di possibilità di al-ternative, poiché essa è tradizionalmente confezionata inmanuali considerati autorevoli. Se ne accetta la strutturae si rendono le conoscenze da essa organizzate oggettodelle lezioni trasmissive. Ma gli studenti non si appassio-nano alle conoscenze di storia generale così come sonopresentate dal docente e dal manuale. L’esito è quello de-nunciato da tante inchieste e dalla nostra esperienza didocenti universitari.

Le associazioni percepiscono la colpa originale di talesituazione nei piani di studio universitari. Essi non produ-cono le competenze disciplinari che dovrebbero essere in-vestite nei processi di insegnamento e di apprendimento.

zioni storiografiche. Ma quale storia potrebbe mai sfuggi-re all’etnocentrismo se non una storia senza punto di vi-sta, scritta da nessun luogo? Ciò non toglie che questi con-dizionamenti limitano i nostri scambi e non contribuisco-no affatto al rinnovamento della nostra disciplina. Ci sipuò rammaricare per esempio che gli storici dell’Europaoccidentale non sempre si siano dati il tempo di interes-sarsi ai passati e alle storiografie che vanno oltre le fron-tiere del loro continente. Quanto agli specialisti della sto-ria mondiale, sono stati alquanto inclini a costruire la pro-pria visione del mondo attorno all’Europa occidentale oa partire da problematiche direttamente connesse allo stu-dio di questa regione del globo».

Non è solo una questione didatticaDalla frequentazione di insegnanti e studenti le associa-zioni hanno ormai acquisito segni sufficienti per diagno-sticare che i guai dell’insegnamento della storia dipendo-no dal tipo di sapere storico che è proposto agli studentie dalla formazione della cultura storica degli insegnanti.

Di quali elementi dovrebbe essere composta la culturastorica di un professionista della mediazione didattica?

L’insegnante di storia deve saper gestire il discorso sucome funziona la costruzione della conoscenza storicaper dare risposte persuasive alle questioni che possiamocompendiare nelle opposizioni circa soggettività/oggetti-vità, revisionismo/verità, narrazione storica/finzione, me-moria/storia o quelle che riguardano l’ermeneutica dellefonti e la struttura dei testi. Perciò dovrebbe avere ricevu-to una formazione epistemologica. L’insegnante deve sa-per guidare gli studenti nelle ricerche storico-didattiche edeve sapere come funziona l’uso informativo di oggetti edi testimonianze e la procedura della ricerca fino allascrittura del testo. Perciò dovrebbe avere una formazionemetodologica. All’insegnante si richiede di saper fare tra-sposizioni di testi storici esperti o divulgativi oppure sco-lastici e di saper usare i mezzi di comunicazione. Attual-mente, è impegnato anche a sapere come usare i mezziinformatici per la ricerca di materiali utili all’insegnamen-to e per l’allestimento delle attività didattiche. Gli occorre,dunque, una formazione che riguarda il funzionamentodei testi storici, il come si comunica efficacemente la rap-presentazione del passato e come si usano le risorse infor-matiche allo scopo di renderla più efficace e gradevole.Poiché ci si aspetta che gli studenti dominino quadri cro-nologici e periodizzazioni, l’insegnante deve saper gestirenon solo le singole conoscenze, ma anche il sistema delleconoscenze che risulta dal loro montaggio nelle opere di

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5Ivo Mattozzi • Le reti degli insegnanti per ri-formare la cultura storica a scuola

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Einaudi, Torino 1999.12. K. Pomeranz, La grande diver-genza. La Cina, l’Europa e la na-scita dell’economia mondiale, IlMulino, Bologna 2004.13. D.S. Landes, La ricchezza e lapovertà delle nazioni. Perché al-cune sono così ricche e altre cosìpovere, Garzanti, Milano 2001.14. D. Chaudhuri, L’Asia primadell’Europa, Donzelli, Roma 1994.15. E.L. Jones, Il miracolo euro-peo: ambiente, economia e geopo-litica nella storia europea e asiati-ca, Il Mulino, Bologna 1988.16.C.A. Bayly, La nascita del mon-do moderno 1780-1814, Einaudi,Torino 2009.

morie del Mediterraneo. Preisto-ria e antichità, Bompiani, Milano2004; e Il mondo attuale, Einaudi,Torino 1970.10. P. Chaunu, L’espansione euro-pea dal XIII al XV secolo, Mursia,Milano 1979; L’America e le Ame-riche. Storia di un continente, De-dalo, Bari 1984; La durata, lo spa-zio e l’uomo nell’epoca moderna.La storia come scienza sociale, Li-guori, Napoli 1983;11. P. Bairoch, Il fenomeno urba-no nel terzo mondo, Harmattan,Torino 1997; Economia e storiamondiale: miti e paradossi, Gar-zanti, Milano 1996; Storia econo-mica e sociale del mondo: vittoriee insuccessi dal 16° secolo a oggi,

manuali: essi dovranno essere uti-lizzati, come si è det to e come ve-dremo, in quanto contenitori dinozioni non altri menti assimilabili(se fosse possibile sarebbe megliostudiarle secondo una classifica-zione del tipo della guida telefoni-ca), for nitori di un materiale grez-zo sul quale far funzionare la no-stra intelligenza, mattoni da utiliz-zare e disporre per la costruzionedi un nostro edificio personale».9. Non solo le immancabili operedi riferimento F. Braudel, Civiltà eimperi del Mediterraneo nell’etàdi Filippo II, e Civiltà materiale, e-conomia e capitalismo (secoli XV-XVIII), entrambe edite da Einaudi,Torino 2002 e 2006, ma anche Me-

8. P. Prodi (con la collaborazionedi G. Angelozzi e C. Penuti), Intro-duzione allo studio della storiamoderna (Il Mulino, Bologna2005), in apertura del paragrafo Ilmestiere dello storico, p. 7: «La pri-ma operazione da compiere nelpassaggio dallo studio liceale del-la storia a quello universitario èquella di distruggere – concettual-mente – il manuale: non esiste nul-la di più antisto rico di un manualedi storia data la sua pretesa, inevi-tabile, di fornire un quadro confe-zionato od organico del passato u-ma no. Non si può cominciare adavvicinarsi alla storia senza pro -vare un senso di ripulsa e di rigettonei confronti dei manuali, di tutti i

cepire come importante genere storiografico. Anzi, si puòarrivare alla sua estrema condanna, come quella pronun-ciata da Paolo Prodi8. Ma essa genera il sapere storico deicittadini, i quali finiscono per pensare che la “storia” coin-cida con quella che è contenuta nei libri di testo. Dunque,è importante per questa sua funzione. Ma la sua impor-tanza si rivela anche sul piano storiografico, poiché solole conoscenze elaborate mediante la visione dei fenomenisu scala spaziale e temporale più ampia permettono diconoscere contesti generali, sincronie, problemi di con-nessioni tra fenomeni che altrimenti sfuggono alla lentemonografica. La produzione di storie generali non è soloquella scolastica: storie generali sono anche quelle pro-dotte per un pubblico colto in uno o molti volumi in im-prese editoriali che coinvolgono storici di grande presti-gio, e possiamo classificare come storie generali anchequelle di F. Braudel9, di P. Chaunu10, di P. Bairoch11, di K.Pomeranz12, di D. Landes13, di D. Chaudhuri14, di E.L. Jo-nes15, di C.A. Bayly16 ecc. Hanno una grande originalità,ma i mezzi di produzione sono prevalentemente altreopere storiografiche e lo scopo è quello di generare co-noscenze di fenomeni esaminati su scala spaziale tenden-zialmente mondiale e per lunghi periodi. Esse possonoessere considerate come modelli per la produzione dinuove storie generali scolastiche.

Prendere in considerazione i modi della loro costruzio-ne forse può immunizzare dal vizio di ritenere le conoscen-ze stereotipate nella manualistica come le sole disponibili;studiare i diversi modi di montare le conoscenze nel siste-ma complessivo può insegnare ad assumere alternative al-la struttura della storia generale manualistica.

Il sapere storico in nuovi piani di studioSe la diagnosi delle associazioni venisse condivisa, nellesedi universitarie dovrebbero essere pensati piani di stu-dio destinati appositamente a formare i futuri insegnanti.In essi dovrebbero avere preminenza le questioni episte-mologiche, quelle metodologiche e la storia generale co-me oggetto di studio e di riflessione. L’epistemologia perindurre a pensare la storia non come conoscenza “orale”(secondo la classificazione scolastica) ma testuale, co-struita, sistemica e dinamica (nel senso che essa si rinnovainevitabilmente ed è campo di controversie). Il che com-porterebbe formare abilità ad analizzare la struttura deitesti storiografici, abilità a gestire il sistema delle cono-scenze per costruire una conoscenza sovraordinata, abi-lità a rinnovare le conoscenze e il loro sistema.

Sul versante metodologico non dovrebbe esserci futu-ro insegnante che non abbia fatto esperienza di uso difonti, di procedure di ricerca e che non ne abbia fatto og-getto di riflessione teorica. Infine, l’assunzione della storiagenerale come problema e come oggetto di ricerca po-trebbe rendere gli insegnanti più flessibili e aperti al rin-novamento del sapere storico e più abili a gestire le co-noscenze da insegnare e da far apprendere.

La storia generale come problema e come oggetto di riflessioneComunemente, la storia generale viene richiesta agli esa-mi nella versione dei manuali scolastici ed è consideratacome un prodotto secondario della storiografia che è ne-cessario che si conosca per l’inquadramento delle cono-scenze monografiche. La storia generale non è fatta per-

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e abilità epistemologiche, metodologiche, storiografiche

funzionali alla professione docente, potrebbero esaltare la

dignità dell’insegnante di storia come intellettuale specia-

lista della mediazione didattica e della ricerca sui processi

di insegnamento e di apprendimento. Ma potrebbero al-

tresì incentivare la professionalità dei produttori di libri di

testo e quella dei collaboratori di riviste di divulgazione.

È questo campo di formazione di competenze profes-

sionali che le associazioni e le reti di scuole presidiano e

la loro azione nell’aggiornamento in servizio potrebbe es-

sere molto più risolutiva se la formazione iniziale degli in-

segnanti implicasse gli studi e le riflessioni proposti. !

Insomma, i futuri insegnanti non dovrebbero esserelasciati soli nello sbrogliare la matassa dei problemi chesi arruffano nell’insegnamento della storia generale. Do-vrebbero essere formati in modo da saper prendere inconsiderazione conoscenze non presenti nei manuali e dasapere come integrarle nei piani di studio allo scopo dicostruire sistemi di conoscenze efficaci per rendere dispo-nibili a lungo termine quadri cronologici significativi epronti ad integrare altre conoscenze.

Bisogno di professionalità nuovePiani di studio non orientati come ora esclusivamente aformare ricercatori, ma dedicati alla formazione di saperi

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SommarioL’intervento ripercorre le tappe fondamentali dello svilup-po della didattica della storia all’Università di Pavia, l’e-sperienza della Silsis e propone alcune valutazioni sul fu-turo, istituzionale e culturale, della disciplina.

Il mio intervento, collocato in una scaletta assai arti-colata e organica che focalizza progressivamente il temadella formazione dell’insegnante di storia, è relativo a uncaso locale – quello pavese – che presenta alcuni aspettiinteressanti sui quali mi soffermerò brevemente.

All’Università di Pavia c’è una lunga tradizione di at-tenzione da parte degli storici nei confronti della scuolae in modo particolare nella ricerca di un legame di reci-proca collaborazione tra Università e Scuola1.

Tale legame inizia nel 1958 con la docenza sulla cat-tedra di Storia moderna di Mario Bendiscioli, uno studio-so che aveva attivamente contribuito alla ricostruzionedella scuola democratica nell’immediato dopoguerra (co-me commissario alle scuole della Lombardia e comemembro della Commissione nazionale per la riforma dellascuola) e con una lunga esperienza “sul campo” quale in-segnante nei licei2.

Il legame con il mondo scolastico non si era scisso nelpassaggio all’Università, ma Bendiscioli ha dato largo spa-zio nei suoi interessi di ricerca alla didattica della storia eha avuto importanti incarichi internazionali come, nel1972, il mandato da parte dell’Unesco di presiedere la de-

legazione italiana della Commissione italo-austriaca per larevisione bilaterale dei manuali di storia dei due paesi3.

Un altro momento importante è stato l’avvio, agli inizidegli anni Sessanta, da parte del Dipartimento della Pub-blica educazione del Canton Ticino, di corsi – di aggior-namento per docenti delle secondarie superiori, poi dicorsi di preparazione agli esami di patente per l’insegna-mento nella scuola maggiore, e infine di corsi per la “ri-conversione” dei maestri delle scuole maggiori in profes-sori della nuova scuola media unica – che hanno vistocoinvolta come partner privilegiata l’Università di Pavia.L’esperienza – che prevedeva corsi sia residenziali a Pavia,sia in Canton Ticino – è durata fino agli inizi degli anniOttanta e, per quanto riguarda la storia, fu affidata all’al-lora giovane assistente di Bendiscioli (poi docente di Sto-ria del Risorgimento) Giulio Guderzo, il quale ha mante-nuto sino a metà degli anni Novanta l’incarico di commis-sario per l’insegnamento della storia prima nelle scuolemedio-superiori e poi nelle scuole medie ticinesi4. L’im-portanza di questa esperienza – nel suo duplice risvoltodi lavoro di aggiornamento didattico e di continuo e dia-lettico confronto con gli insegnanti “sul campo” della

1. Cfr. Un’officina della memoria.Percorsi di formazione storica aPavia tra scuola e università. O-maggio a Giulio Guderzo, a cura diA. Brusa, A. Ferraresi e P. Lombar-di, Unicopli, Milano 2008.2. Cfr. M. Bendiscioli e R. Berardi,L’insegnamento della storia, LeMonnier, Firenze 1963; Id. e A.Gallia, Documenti di storia [me-

dievale, moderna, contempora-nea], 3 voll., Mursia, Milano 1970-1971; una recente riflessione sullafigura dello storico bresciano in M.Marcocchi, P. Prodi e M. Taccolini,Mario Bendiscioli. Intellettualecristiano, Morcelliana, Brescia2005.3. Si veda, ad esempio, il suo inter-vento negli atti del convegno degli

storici italiani e tedeschi su Deut-schland und Italien im Spiegelihere Schulgeschichtsbücher (7-9giugno 1965), Limbach Verlag,Braunschweig 1966, con una rela-zione dal titolo Der Geschichtsun-terricht in der italianischen O-berrschule/L’insegnamento dellastoria nella scuola secondaria ita-liana, pp. 9-20. La documentazio-

ne relativa ai lavori della Commis-sione è conservata nell’archiviodel Dipartimento di scienze stori-che e geografiche «Carlo M. Cipol-la» dell’Università di Pavia.4. N. Solcà, Ticinesi all’Universitàdi Pavia. La formazione degli in-segnanti di scuola maggiore, Ci-salpino- Istituto editoriale univer-sitario, Milano 2009.

6Alessandra Ferraresi

L’università e la formazione in servizio: l’esperienza pavese

Alessandra Ferraresi insegna Storia moderna all’Universitàdi Pavia e dirige il Laboratorio di didattica della storia. È tut-tora coordinatrice dell’indirizzo linguistico letterario nella Sil-sis di Pavia ([email protected]).

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realtà scolastica quotidiana – può essere messa difficil-mente in discussione. Va sottolineata la continuità nellaformazione e nell’aggiornamento professionale di più diuna “leva” di docenti che hanno potuto mantenere apertoil confronto con la storia “esperta” e che si è concretamen-te realizzato non solo attraverso seminari e corsi, ma an-che con supporti di lavoro ben strutturati, come il supple-mento «Collegamento» della rivista «Scuola ticinese», –“collegamento” appunto tra gli insegnanti di storia e poianche di geografia – o antologie di documenti di storiasvizzera selezionati per la scuola.

Da quanto detto sopra, si possono inferire alcuni deglielementi che hanno contraddistinto da sempre il pro-gramma “pavese”: attenzione al collegamento tra storia egeografia, attenzione alla storia locale, attenzione a unadidattica sui documenti che è diventata ben presto una di-dattica laboratoriale.

Questo programma si è concretizzato tra il 1979 e il2002 nella rivista «Annali di storia pavese», fondata da Gu-derzo e finanziata dalla Provincia di Pavia, ente che, al-meno per un lungo periodo, ha interpretato i propri com-piti istituzionali nei confronti della scuola in termini so-prattutto culturali5.

La “scommessa” che la rivista aveva lanciato, e che inlarga misura ha vinto, è stata quella di stabilire un rappor-to diretto con la scuola, pubblicando saggi, non divulga-tivi ma “scientifici”, su temi però spendibili nell’insegna-mento sia per l’argomento sia per l’accessibilità delle fonti– veri e propri “materiali da laboratorio”, potrei dire – enello stesso tempo proporsi come punto di riferimentoper la pubblicazione dei materiali didattici elaborati ascuola.

Intorno alla rivista si sono effettivamente raccoltigruppi di insegnanti, specialmente della scuola elementa-re e media, che hanno imparato a lavorare, per esempio,con gli archivi parrocchiali e con gli archivi comunali, fa-cendo prima ricerca – sotto la guida di un docente uni-versitario – e poi trasferendo il loro lavoro in laboratorididattici.

Certamente l’esperienza più gratificante sotto tutti iprofili è stata, in occasione del Quarantennale della Libe-razione, il grande progetto promosso tra il 1983 e il 1986in collaborazione con l’Istituto pavese per la storia dellaresistenza di «Trent’anni di storia nostra»: davvero un uni-cum per pervasività, coinvolgimento del territorio – ai varilivelli istituzionali e delle collettività locali nel loro insie-me –, valenza e ricaduta didattica. Il progetto è stato, in-sieme, ricerca scientifica, divulgazione, supporto didattico

e prodotto di un’attività didattica essa stessa molto estesa,che ha permesso a insegnanti e studenti coinvolti di im-parare effettivamente a capire come si “fa storia” e di re-cuperare documenti fotografici e scritti dagli archivi fami-gliari, documenti che poi sono stati trasferiti negli archivistorici “istituzionali”: un’operazione che ha avuto – e que-sto non è da trascurare – una forte ricaduta, in termini digratificazione, su coloro che li hanno donati6.

Quello che ha caratterizzato sino alla fine degli anniOttanta tutte queste esperienze è stato – sotto il profilodella sperimentazione didattica – un approccio all’inse-gna, si potrebbe dire, del learning by doing, di formazio-ne “sul campo”, in cui ha contato molto, da una parte, lavoglia degli insegnanti di provare, di sperimentare, diconfrontarsi e, dall’altra, l’attenzione di alcuni storici uni-versitari che vedevano nella storia locale una grande op-portunità di formazione storica ma anche di educazionecivile.

Le cose hanno assunto una dimensione diversa quan-do, dalla fine degli anni Ottanta, sono stati organizzati concadenza annuale dal nostro Dipartimento storico corsi diaggiornamento a struttura seminariale, rivolti dunque aun gruppo relativamente ristretto di insegnanti della scuo-la dell’obbligo, e affidati, quanto a contenuti e a svolgi-mento, interamente ad Antonio Brusa, che aveva cono-sciuto Guderzo durante i lavori della Commissione Broc-ca e con il quale aveva condiviso da subito l’atteggiamen-to verso la concretezza operativa.

L’esperienza è stata importante sotto diversi aspetti:– per essere stata continuativa e dunque per essere sta-

ta, effettivamente – sino a quando è durata – una forma diaggiornamento permanente su una proposta didattica bendefinita che, da parte di coloro che l’hanno accettata, hapotuto essere nel tempo perfezionata, approfondita e an-che rivista sulla base della sperimentazione nella scuola.

– Anche se ricca di teoria, per essere stata da subito unaproposta concreta: una teoria, appunto, mai “campata peraria”, ma subito operativa. Dunque, non “ricette didatti-che”, ma una strumentazione metodologica per fare inte-ragire teoria e pratica.

– Per l’idea che a scuola si lavora non solo per sé ma an-che per gli altri, quindi non solo che è opportuno lavorarein modo interdisciplinare ma che i risultati vanno condi-visi con i colleghi.

– Per avere, di conseguenza, creato effettivamente “ungruppo” che si è mantenuto nel tempo.

Il risultato istituzionale è stato, nel 1995, il Laboratoriodi didattica della storia che ora è un centro interdiparti-mentale di ricerca al quale aderiscono 4 dipartimenti diambito sia umanistico sia scientifico.

Dunque, nella seconda metà degli anni Novanta e agliinizi del decennio successivo c’era una condizione che

5. «Annali di storia pavese», 1979-2001, 29 nn.6. G. Guderzo, Trent’anni di sto-

ria nostra, «Annali di storia pave-se» 12-13, 1986, pp. 9-14.

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6Alessandra Ferraresi • L’università e la formazione in servizio: l’esperienza pavese

potrei definire “ottimale”: 1. la presenza di una rivista distoria locale non divulgativa, ma comunque pensata infunzione della didattica; 2. un luogo – che era anche fisico– di raccordo a livello provinciale per le iniziative sia diaggiornamento sia di ricerca didattica; 3. la possibilità pergli insegnanti, attraverso il laboratorio, di entrare in con-tatto sia con vari esperti di didattica della storia a livellonazionale sia con altre, come si dice, “agenzie” educativee culturali presenti sul territorio, in modo particolare il giàricordato Istituto per la storia della Resistenza e i Museicittadini con i quali si sono instaurati ottimi rapporti dicollaborazione riguardo alla didattica museale e alla di-dattica sul patrimonio.

Il risultato è stato anche quello di un’intensa attività diproduzione e di pubblicazione, da parte degli insegnanticoinvolti, di ricerche e sperimentazioni, sia in riviste spe-cialistiche sia in raccolte di saggi, sia in pubblicazioni a sé.

Certamente la nascita delle Ssis è stata un tornante im-portante in questa esperienza.

Infatti, la consapevolezza da parte di noi storici “pavesi”che la didattica della storia è una disciplina con un propriostatuto e una propria autonomia e che nessuno di noi po-teva insegnarla – per vari motivi – come materia di elezio-ne, ci ha fatto fare una scelta che è stata difficile da far “di-gerire” ai colleghi delle altre materie letterarie – assai più“inconsapevoli” delle specificità delle didattiche disciplina-ri – ma che alla fine si è rivelata vincente per tutta la Silsispavese: affidare ancora una volta ad Antonio Brusa la mag-gior parte delle lezioni di didattica della storia. Noi storici“locali” – compresi gli antichisti che non fanno parte delnostro Dipartimento – abbiamo gestito una parte delle ore,ma ci siamo messi – diciamo così – al servizio del progettodidattico di Brusa che, ovviamente, abbiamo discusso conlui e condiviso. D’altro canto, la nostra Silsis poteva contaresu una “squadra” di supervisori e di docenti a contratto cheera già abituata a lavorare – attraverso il Laboratorio – incomune. Ci sono state nel tempo delle forze nuove che sisono aggiunte e – aspetto che mi sembra particolarmenteinteressante – si sono aggiunti ex specializzandi i quali, in-seriti nella scuola, hanno avuto contratti di laboratorio allaSilsis e rappresentano ora il futuro.

Certo il Laboratorio ha un po’ sofferto della presenzadella Silsis, perché, ovviamente, le stesse persone se lavo-rano da una parte non possono lavorare dall’altra, ma hacontinuato la sua attività incrementando le attività curri-colari della Scuola attraverso seminari e piccoli convegnidi approfondimento – aperti sia agli specializzandi sia agliinsegnanti in servizio.

Un’altra circostanza ha pesato negativamente in questianni: vale a dire la fine dell’esperienza degli «Annali»: pervarie circostanze – non ultime quelle politiche –, la loropubblicazione è stata sospesa ed è ripresa solo recente-

mente, ma come collana di monografie. Non è un caso,peraltro, che la seconda di esse sia quell’Officina dellastoria che raccoglie tanta parte del lavoro didattico fattodentro e fuori la Silsis nell’ultimo decennio7.

Vorrei ricordare, perché riempie di significato concre-to parole come “rete”, “interazione”, “integrazione”, il la-voro sugli archivi scolastici. Anche in questo caso si è par-titi da esperienze molto empiriche e sul campo, ma tra lo-ro convergenti. Da un lato, una campagna promossa dalnostro Dipartimento per la salvaguardia – in senso pro-prio: «trarre in salvo dal macero» – degli archivi scolasticidelle scuole cittadine; dall’altro, esperienze di ricerca di-dattica da parte di insegnanti che, già avviati a utilizzarei documenti dai seminari promossi negli anni Ottanta da-gli «Annali», erano arrivati autonomamente agli archividelle loro scuole e, intuendone la potenzialità didattica,hanno cercato presso il Laboratorio una consulenza me-todologica: qui si sono incontrati con i colleghi che lavo-ravano anche nella Silsis, dove già si stava valutando l’op-portunità di avvicinare gli specializzandi a questo tipo difonte.

E, dunque, da un lato è stato avviato a livello provincia-le un progetto di ricerca didattica (Alle radici dell’alberoscuola) che ha coinvolto una quindicina di scuole e unbuon numero di insegnanti e ha permesso l’identificazionee l’inventariazione (da parte di personale specializzato) diarchivi scolastici, la produzione e la sperimentazione nellerispettive classi di unità didattiche pertinenti – il progetto,finanziato dagli enti locali – si avvia alla conclusione conla pubblicazione di un libro che dà conto dei risultati rag-giunti. Dall’altro lato, gli specializzandi della Silsis hannolavorato sia su quegli archivi sia sui registri che – dopo illoro recupero – sono depositati provvisoriamente presso ilnostro Dipartimento, producendo unità che sono state poisperimentate nel tirocinio attivo. Si è trattato di un’espe-rienza di forte integrazione, a più livelli, di persone, com-petenze e istituzioni diverse, della quale gli insegnanti so-no stati insieme promotori e fruitori e nella quale anche loscambio di esperienze tra specializzandi/tirocinanti e inse-gnanti si è pur sempre svolto sul doppio binario del reci-proco insegnamento/apprendimento.

L’ultimissima esperienza della Silsis – che, se siamo ot-timisti, possiamo definire “i suoi fuochi d’artificio”, se ve-diamo nero, “il suo canto del cigno” – è stata la didatticaludica. Una scelta che il gruppo dei docenti della Silsis hasviluppato in tutte le sue potenzialità: formazione deglispecializzandi, tirocini mirati nelle scuole, laboratori riser-vati agli insegnanti in servizio per imparare loro stessi a

7. Un’officina della memoria. Per-corsi di formazione storica a Pa-

via tra scuola e università cit.

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mrmgiocare, convegno di riflessione sulla didattica ludica perspecializzandi e insegnanti, e, infine, “gemellaggio” conModena, che ha ripetuto il convegno e ha accolto i nostrispecializzandi nelle sue classi per una mattinata di giochistorici da loro diretta8.

Un’iniziativa che è stata un successo, perché tanti in-segnanti hanno “fame” di aggiornamento, ma di buon ag-giornamento e hanno, nonostante i tempi o forse per rea-gire ai tempi, voglia – come mi ha detto una di loro – «dialzare la testa dal registro».

Ho provato a chiedere ad alcuni dei colleghi che ade-riscono al Laboratorio o hanno lavorato nella Silsis e aqualche ex specializzando ormai docente di ruolo qual-cosa sulla loro effettiva esperienza a scuola, nella classee nei confronti dei colleghi: che cosa effettivamente passanella pratica scolastica della nuova didattica? In altre pa-role, fanno o no laboratorio? Usano strumentalmente ilmanuale, sanno “rifarlo” per le loro esigenze didattiche? Illoro insegnamento diverso stimola i colleghi? Le rispostesono state varie. Però direi che alcune indicazioni si pos-sono trarre.

Nella pratica tempi e spazi sono tiranni, per cui c’è latendenza a limitare l’uso delle didattiche alternative allalezione frontale ad alcuni momenti della programmazio-ne e in presenza di classi “brave”. Alcuni di loro però han-no affrontato anche situazioni problematiche proprio conun uso massiccio di didattica laboratoriale e alla fine i ri-sultati sono stati molto soddisfacenti: nonostante la gran-de fatica iniziale alla fine il metodo “premia”. E, tutto som-mato, sembra che proprio nelle scuole più difficili gli altricolleghi siano disposti a mettersi in gioco e a fare espe-rienze nuove. Come sottolinea una specializzanda del pri-mo ciclo Silsis, ormai di ruolo, oltre all’acquisizione di

competenze e di tecniche, quello che ha contato e contamolto è l’aver imparato da un lato a «condividere il lavo-ro», e dall’altro, nei confronti dei ragazzi, a «cambiare laprospettiva». Mi ha scritto questa giovane docente:

«L’insegnante c’è in quanto progetta, prevede, prepara,costruisce un percorso lungo il quale poi il ragazzo farà isuoi passi. L’insegnante è “davanti”, in quanto di lì è giàpassato prima e ha posato i binari»9.

Naturalmente il problema è capire che cosa accadràdopo l’esperienza delle Ssis. A Pavia i docenti che hannolavorato nella Scuola di specializzazione, nei suoi diversiindirizzi, hanno elaborato un progetto per l’istituzione diun Centro di servizio interfacoltà per la formazione per-manente degli insegnanti e l’innovazione educativa chesta trovando una buona risposta sia tra i “vertici” accade-mici sia nelle Facoltà, ma tra le quali – non a caso – la piùrefrattaria è proprio quella di Lettere e filosofia.

Ciò che gli insegnanti comunque chiedono è di nonessere lasciati soli.

«L’autoaggiornamento è isolamento – mi ha detto unadi loro –, la condivisione delle esperienze è fondamenta-le». E qualche supervisore ha sottolineato che per alcunicolleghi la sola stessa esperienza di insegnante accoglien-te è stata di stimolo per cominciare a pensare a una di-dattica diversa.

Direi, a conclusione, che noi a Pavia cercheremo diproporci – attraverso il Laboratorio ma anche attraversoaltri centri di ricerca didattica che sono sorti in questi ul-timi anni: il Centro di ricerca per la didattica dell’Archeo-logia classica, il Centro per lo studio e la valorizzazionedei beni scolastici ed educativi, tutti in reciproca collabo-razione – come la rete che gli insegnanti cercano e cheloro stessi cercheranno di allargare. Ma credo che il pro-getto di un Centro universitario di servizi, a cui accennavoprima, sia la strada vincente, soprattutto se accompagnatanelle Facoltà dalla consapevolezza che le didattiche disci-plinari sono materie a statuto universitario e come talivanno introdotte, coltivate, valorizzate. !

8. Pavia gioca la storia. Clio si di-verte. Giochi di storia per le scuo-le secondarie di I e II grado, Pa-via/Modena, 4-5 marzo 2009 incorso di stampa; A. Brusa, A. Fer-

raresi (a cura di), Clio si diverte,La meridiana, Molfetta.9. Testimonianza di Elisa Masche-retti, conservata presso chi scrive.

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La rivoluzionedigitaleLa rivoluzionedigitale

a cura di Alessandro Cavalli

Quando abbiamo deciso di dedicare i primi tre dossier diquesta rivista, il primo alla rivoluzione neolitica, ilsecondo alla rivoluzione industriale e il terzo allarivoluzione digitale abbiamo implicitamente fattol’assunzione che quest’ultima è destinata ad avere unimpatto sulle società umane comparabile a quello chehanno avuto le altre due. Ci siamo cioè trasformatimentalmente negli storici del futuro, immaginando chequando questi studieranno retrospettivamente l’epocanella quale noi viviamo oggi la valuteranno così densa dicambiamenti da poter applicare tranquillamente ad essail concetto di “rivoluzione”.

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mundusdossierParte prima La dimensione tecnologica

1 Corrado BonfantiDa Babbage a von Neumann: storie di macchine e di idee

2 Ivo De LottoL’evoluzione del computer dal «mainframe» al palmare

3 Davide Ancona, Giovanni Lagorio, Elena ZuccaI linguaggi di programmazione

4 Vito SveltoLe tecnologie dell’estremamente piccolo

5 Raffaele MeoOltre il mercato: la vicenda del software libero

6 Mario MarcheseReti e servizi di telecomunicazioni: passato, presente e futuro

7 Tommaso Detti, Giuseppe LauricellaInternet: dalle origini al web 2.0

Parte seconda Le implicazioni sulla società

1 Giulio OcchiniLa fabbrica e l’ufficio nell’era digitale

2 Giulio OcchiniIl telelavoro oggi

3 Giulio OcchiniLa telemedicina

4 Giulio OcchiniLa domotica

5 Lorenzo MoscaL’e-government

6 Nicola CavalliBanche dati e biblioteche digitali

7 Nicola CavalliEditoria elettronica

8 Marco GuiLe nuove tecnologie nella scuola

9 Raffaele MeoL’informatica italiana da Menabrea a Perotto

10 Luigi DaddaIl futuro della società dell’informazione

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Alessandro Cavalli

La rivoluzione digitale:un’introduzione

ingolare destino, quello delconcetto di “rivoluzione”: nato inastronomia per indicare il moto dirotazione degli astri intorno al sole,un movimento che richiama l’idea

dell’eterno ritorno e quindi della stabilità, è statopoi ripreso per indicare invece la discontinuità,vale a dire, rottura di un ordine sociale e politico invista della formazione di un ordine nuovo. Questo ribaltamento semantico ha coinciso con legrandi “rivoluzioni” politiche e sociali del XVIII secoloche hanno infranto l’idea della immutabilitàdell’ordine sociale e affermato l’idea che si potessepassare dal “vecchio” al “nuovo” regime attraversola mobilitazione di volontà collettive radicate nelladinamica delle strutture sociali. Il concetto di ancienrégime è strettamente legato a questo nuovosignificato del termine “rivoluzione”. In seguito, ilconcetto subisce un’ulteriore estensionedall’ambito socio-politico e istituzionale all’ambitodelle strutture materiali, della produzione, delconsumo, della vita quotidiana. È in quest’ultimaaccezione che si parla di rivoluzione neolitica,industriale e, ora, digitale. Nei confronti delle rivoluzioni neolitica e industriale,la posizione dalla quale le osserviamo è tuttaviadiversa rispetto alla rivoluzione digitale, in quantoquelle appartengono inequivocabilmente al passato,mentre l’ultima si svolge sotto i nostri occhi. Anchese è vero che la storia di tutte le rivoluzioni verràcontinuamente riscritta, non solo perché la ricercastorica produrrà nuovi materiali e nuoveinformazioni, ma anche perché ogni generazioneelaborerà nuove domande da rivolgere alle antichee alle nuove fonti. Nessuna storia è definitiva. Per larivoluzione digitale, però, la situazione dello storicoe dello scienziato sociale (le due figure in questocaso tendono a coincidere) è ancora diversa, e non

tanto perché si tratta di una realtà a noicontemporanea nella quale siamo immersi fino infondo, ma perché per valutare la sua portatarivoluzionaria dobbiamo fare un’operazione difuturologia, dobbiamo cioè cercare di prevederequali saranno gli effetti a medio e lungo termine cheprodurrà sulle società umane. Alcuni sonofacilmente prevedibili, altri risulteranno inattesi. Questa operazione comporta qualche rischioulteriore. Tra questi, quello di farsi influenzare dalletendenze che inevitabilmente si accompagnanoalle grandi trasformazioni epocali. Come haefficacemente indicato Umberto Eco, di fronte almutamento si sviluppano invariabilmente duepartiti contrapposti: gli “apocalittici” e gli “integrati”,ovvero coloro che interpretano il mutamento inatto come perdita irrimediabile, declino edecadenza e coloro, invece, che ne esaltanoentusiasticamente le grandi opportunità e netessono l’apologia. Gli autori che abbiamo invitato acollaborare a questo dossier sono tutti protagonistidirettamente coinvolti nei processi che descrivonoe quindi nei testi che abbiamo raccolto noncompaiono visioni “apocalittiche” (che pure sonopresenti nella cultura contemporanea), ma casomai prevalgono toni “apologetici”. Riteniamoimportante adottare una prospettiva nondeterministica (quali sono entrambe le visioni“pessimistica” e “ottimistica”) nella consapevolezzache le sfide del mutamento offrono ad un temporischi e opportunità e che la via che verràeffettivamente imboccata dipenderà dalle risposteche le società sapranno dare a queste sfide. Ma vi è un altro aspetto del “determinismo”, neiconfronti del quale vorremmo mettere in guardia illettore. Parlando di “rivoluzioni”, nel senso dellegrandi trasformazioni economiche, sociali eculturali che segnano la storia del genere umano, è

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facile cadere in una sorta di “determinismotecnologico” che assegna, implicitamente oesplicitamente, alle innovazioni tecnologiche ilruolo di variabili indipendenti, di fattorideterminanti, di cause di ultima istanza. Così, inquesta prospettiva la rivoluzione neolitica vieneattribuita all’invenzione dell’aratro e agli immensiguadagni di produttività che la sua diffusione haconsentito e, senza la quale, non si sarebbe potutaprodurre l’enorme quantità di surplus agricolo contutte le conseguenze che ciò ha comportato sulpiano dell’organizzazione politica e delle forme didisuguaglianza sociale. Analogamente, larivoluzione industriale viene imputataall’introduzione nelle fabbriche della macchina avapore che ha consentito di sostituire la naturacome fonte di energia, ovvero l’acqua, il vento e laforza muscolare animale o umana. Questeinvenzioni-innovazioni hanno certamente avutouna grande importanza ed è quindi giustificato chevengano assunte per il loro valore di simboli diqueste grandi svolte della storia, ma vannointerpretate nel quadro di modelli pluri-causalicomplessi nei quali sono allo stesso tempo causeed effetti. Le invenzioni-innovazioni non cadono dalcielo, ma nascono da condizioni sociali che lehanno preparate e che ne rendono possibile ladiffusione: così, l’aratro presuppone lasedentarizzazione delle società e ladomesticazione degli animali e la macchina avapore presuppone la manifattura e cioè un mododi produzione già fondato sul rapporto tra capitalee lavoro salariato. È assai probabile che il calcolatore elettronicodiventi il simbolo della rivoluzione digitale, nondimentichiamo però che le sue origini e le sueconseguenze sono profondamente connesse(embedded, direbbero gli anglosassoni) nel tipo disocietà post-industriale che si è affermato verso lafine del XX secolo nella parte sviluppata delmondo. Come la fabbrica, dai tempi di Marx fino altaylorismo-fordismo, presupponeva la presenza diuna grande massa di braccia provenienti dallecampagne, così la moderna impresa post-fordistapresuppone una grande quantità di menti istruite,capaci di manipolare masse ingenti di informazioni.La catena di montaggio, con le sue mansioni

frammentate e ripetitive, anche se non èscomparsa in alcune lavorazioni e in alcune partidel mondo, è stata largamente sostituita dallarobotica e dall’automazione; oggi anche il lavorooperaio riguarda essenzialmente il controllo e lamanipolazione di informazioni e, se questo vale peril lavoro operaio, vale anche a maggior ragione peril lavoro impiegatizio e di concetto e, ovviamente,per il lavoro intellettuale. Nella preparazione di questo dossier abbiamoscelto l’aggettivo “digitale” per indicare il caratteresimbolicamente saliente di questa rivoluzione.Nella letteratura, nel linguaggio dei media e anchenel linguaggio comune, sono diversi i termini chevengono utilizzati per descrivere e definirel’insieme dei fenomeni di questa rivoluzione. Il piùdiffuso è ICT (Information CommunicationTechnologies), o in italiano, invertendo i termini,TCI; altri utilizzano il termine “microelettronica”,altri “telematica”, altri ancora parlano piùgenericamente di “società di rete” (networksociety), “società dell’informazione” (informationsociety) o di “società della conoscenza”(knowledge society). Qui si è preferito il termine“digitale” perché indica la struttura più elementare,la forma che può assumere qualsiasi informazionefatta di segni, suoni o immagini, come sequenze di0 e 1. Gli articoli di questo dossier si dividono idealmentein due parti: la prima è dedicata all’evoluzione delletecnologie che caratterizzano la rivoluzione digitale,la seconda intende invece offrire una panoramicadelle conseguenze in atto e prevedibili solo inalcuni ambiti di applicazione di queste tecnologie.Nella prima parte, il linguaggio, ancorchésemplificato, è inevitabilmente piuttosto “tecnico” equindi non sempre di facile accessibilità per chi nonha, o non ha ancora, familiarità col mondo digitale.Una buona occasione per ricorrere all’aiuto deicollegi di matematica e informatica presenti in tuttele scuole. La seconda parte è, invece, moltoselettiva, nel senso che non esaurisce certol’illustrazione delle possibili conseguenze dellarivoluzione digitale. In effetti, non c’èprobabilmente ambito di attività umana che nonpossa direttamente o indirettamente esseretrasformato dall’impatto delle tecnologie digitali.

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Troviamo spunti di riflessione sull’organizzazionedel telelavoro, sulle apparecchiature elettronicheche usiamo nella vita domestica di tutti i giorni,sulle applicazioni della telemedicina, sulle banchedati e le biblioteche digitali, sull’editoria elettronica.Ma avremmo potuto aggiungere altri argomenti ealtri articoli: sulle strategie militari, sui modelli disimulazione, sulla grafica computazionale, sullamusica elettronica, sulle enciclopedie digitali, sulcontrollo del traffico, sulla pirateria informatica, sulpericolo che l’informazione capillarmente diffusarappresenta per i regimi totalitari, ecc. L’elencopotrebbe allungarsi a dismisura. Del resto, anchenell’ambito di tecnologie consolidate, come adesempio quelle dell’automobile, si nota come ilnumero dei componenti elettronici dei modelli piùrecenti è in continua crescita e ci possiamoaspettare che presto ogni veicolo sarà dotato di unnavigatore satellitare, così nessuno dovrà più saperleggere una carta geografica o chiedere in unalingua sconosciuta un’informazione stradale. Peraltro, è proprio la natura eminentementepervasiva di tali tecnologie che ci consente diparlare di “rivoluzione”. Pervasività in un duplicesignificato, che potremmo indicare come verticale eorizzontale. Verticale, nel senso che questetecnologie ci accompagnano ormai in tutte le oredella giornata e in tutti i giorni della nostra vita,quando lavoriamo, quando consumiamo, quandointratteniamo rapporti coi nostri simili, quando cidivertiamo, quando studiamo e persino quandodiamo forma alle nostre espressioni artistiche.Orizzontale, nel senso che le ICT modificano lecoordinate spazio-temporali e annullano le distanzese non altro perché rendono possibile, con i sistemisatellitari, la comunicazione pressoché istantaneatra due punti qualsiasi della superficie terrestre. I

fenomeni di globalizzazione che hanno resopermeabili i confini tra gli Stati e consentito flussi dicapitali, merci, uomini e idee impensabili fino apochi decenni fa, non sarebbero stati possibilisenza le tecnologie digitali. Ogni tentativo da partedei governi di ostacolare le comunicazioniattraverso i propri confini e di isolare il proprioterritorio dalla penetrazione di idee indesiderate èdestinato a fallire. Certo, gran parte del genereumano è oggi esclusa dall’accesso alle retitelematiche e anche nei paesi avanzati una parteconsistente della popolazione non è in grado diusare gli strumenti telematici. Il digital divide è unanuova forma di disuguaglianza che distingue tra chisubisce passivamente gli effetti dellaglobalizzazione senza poter godere dei suoibenefici e chi invece è nella posizione di sfruttarnetutte le opportunità. Nonostante la persistenza divecchie e la comparsa di nuove divisioni, larivoluzione digitale lascia intravedere la formazionedi un mondo più piccolo ma anche più unito, anchese il percorso sarà tutt’altro che lineare. Un ambito nel quale le nuove tecnologie avrannoun impatto fortissimo è sicuramente quello dellascuola e, più in generale, della produzione,trasmissione e conservazione del sapere. Nonpasseranno molti anni e i bambini si presenterannoin classe il primo giorno di scuola, invece che con iltradizionale sillabario, con un piccolo Pc nella lorocartella. Bisognerà insegnare loro precocementecome non perdersi nei labirinti della rete e comesfruttarne le straordinarie possibilità, perchésicuramente loro sono destinati a vivere in unmondo dove l’alfabetizzazione digitale sarà semprepiù un requisito di cittadinanza.

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Parte primaLa dimensionetecnologica

1 Corrado BonfantiDa Babbage a von Neumann: storie di macchine e di idee

2 Ivo De LottoL’evoluzione del computer dal «mainframe» al palmare

3 Davide Ancona, Giovanni Lagorio, Elena ZuccaI linguaggi di programmazione

4 Vito SveltoLe tecnologie dell’estremamente piccolo

5 Raffaele MeoOltre il mercato: la vicenda del software libero

6 Mario MarcheseReti e servizi di telecomunicazioni: passato, presente e futuro

7 Tommaso Detti, Giuseppe LauricellaInternet: dalle origini al web 2.0

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!1. Babbage pubblicò l’autobiografia nel1864. Il brano citato è tradotto dalla ristampaintegrale (pp. 30-31) dei Passages curata, conampia introduzione, da Martin Campbell-Kel-ly (Rutgers University Press-IEEE Press, NewBrunswick [NJ]-Piscataway [NJ] 1994).

!2. Basta considerare che un periodico spe-cializzato dal significativo titolo «Mathemati-cal Tables and Other Aids to Computation» sipubblicò negli Stati Uniti fino alla fine deglianni Cinquanta ed ebbe una diffusione inter-nazionale.

!3. De Prony aveva strutturato la squadra sutre livelli, secondo i principi della divisionedel lavoro teorizzati dall’economista AdamSmith nel suo famoso The Wealth of Nations,del 1776. Un piccolissimo gruppo di matema-tici di chiara fama – tra di loro Legendre e lostesso de Prony – sceglieva le formule mate-matiche più appropriate, le traduceva in algo-ritmo aritmetico e calcolava, a grandi interval-li, alcuni valori di controllo. I calcoli effettivivenivano eseguiti dal personale di bassa for-za: i “calcolatori”, umani, naturalmente, e do-tati solo di carta e matita. Questi costituivanoil grosso della squadra ed erano individui discarsissima cultura, che non avevano alcunaidea del progetto scientifico ma che eranoparticolarmente addestrati al computo arit-metico. Due gruppi di calcolatori, lavorandoseparatamente, facevano gli stessi calcoli e irisultati dei due gruppi venivano sottoposti aconfronto a cura dei supervisori, gli operatoridi livello intermedio. I supervisori curavanoanche l’esattezza della trasposizione tipogra-fica dei risultati scritti a mano.

La dimensione tecnologica

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Da Babbage a von Neumann:storie di macchine e di ideeTra gli innumerevoli ritrovati che l’ingegno umano ha concepito per gli sco-pi più svariati – chiamiamoli “macchine” nel loro insieme – il computer sidistingue per una caratteristica assolutamente unica: esso non opera su og-getti materiali visibili e tangibili, bensì su quelle entità impalpabili che van-no sotto il nome complessivo di “informazione”.

Il fatto che questa “macchina” sia oggi compattata su qualche piastrinadi silicio – il mitico chip – ci dà la misura dello sviluppo veramente impres-sionante delle tecnologie hardware e software; uno sviluppo che, per dipiù, appare tutt’altro che concluso.

Se questo è lo stato attuale, è altrettanto istruttivo rivisitare i percorsitecnologici e concettuali che hanno condotto a tanto; si tratta di una storiaavvincente e piena di sorprese ma, se volessi condensarla nello spazio diun articolo, dovrei ridurla a mera cronologia. Mi è sembrato più utile fissarel’attenzione – con qualche dettaglio e qualche annotazione di contesto sto-rico – sull’opera di un precursore geniale, Babbage, e di altri due perso-naggi-chiave, Turing e von Neumann, con i quali si è conclusa la “preistoria”del computer e si è aperta l’era informatica.

Charles Babbage (1791-1871) è stato un brillante matematico, ben inse-rito nell’alta società inglese. Ai suoi anni giovanili risale questo episodio,narrato nei Passages from the Life of a Philosopher, la sua autobiografia.

«Una sera [all’incirca nel 1812] mi trovavo seduto nelle stanze dell’Analy-tical Society, a Cambridge, con la testa appoggiata sul tavolo in una speciedi dormiveglia sognante; aperta davanti a me c’era una tavola dei logaritmi.Un membro della Society, entrando nella stanza e vedendomi mezzo ad-dormentato, mi apostrofò, ‘Allora, Babbage, cosa stai sognando?’ al che iorisposi, ‘Sto pensando che tutte queste tavole (e indicavo quelle dei loga-ritmi) potrebbero essere calcolate da una macchina’»1.

Era solo una battuta di spirito, ma fu anche l’inizio dell’interesse di Bab-bage per il calcolo meccanico; un interesse che, col passare degli anni, di-venne assolutamente prevalente tra i molti filoni dei suoi studi, che spazia-rono dalla geologia alle ferrovie, dai fari marittimi all’economia delle fab-briche; sua, tra le tante originali, fu la proposta di semplificare il serviziopostale introducendo il francobollo.

Occorre tenere presente che, a quell’epoca e per ancora un secolo e più,le tavole numeriche dei tipi più svariati erano strumenti indispensabili pervenire a capo dei problemi di calcolo che si presentavano non solo agliscienziati – pensiamo per esempio agli astronomi – ma in moltissimi settoridell’economia, della navigazione e della tecnica2. Non è il caso di entrarein dettagli ma devo almeno ricordare che Babbage era perfettamente con-sapevole di questo aspetto della matematica applicata e aveva ben presentel’impresa del francese de Prony. Costui, cominciando nel 1784, aveva im-piegato per due anni una squadra di un centinaio di persone per metterea punto una tavola dei logaritmi dei numeri naturali fino a 200.000, con laprecisione di quattordici cifre3. Questo lavoro doveva essere propedeuticoalla preparazione di ulteriori tavole, altrettanto vaste e precise, delle fun-

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!4. Vale la pena di ricordare che la mancata a-dozione universale del sistema metrico deci-male è fonte di non trascurabili problemi nel-la ricerca, nell’industria e nel commercio in-ternazionale. Un episodio per tutti. Il 23 set-tembre 1999 la sonda spaziale Mars Orbiter siè spiaccicata sul pianeta rosso a causa di unabanale confusione tra unità di misura: in sededi progetto i calcoli quadravano perfettamen-te, solo che un team di ingegneri esprimeva lemisure in unità metriche, mentre un altro usa-va le unità inglesi. Confusione banale ma dan-no enorme: 125 milioni di dollari, senza con-tare la figuraccia, veramente “planetaria”!

!5. L’invenzione di macchine calcolatrici nu-meriche – ben distinte dai dispositivi di calco-lo analogico come il compasso di Galileo e ilregolo logaritmico – non era certo una novità:le invenzioni più celebrate risalgono all’astro-nomo Wilhelm Schickard, contemporaneo eamico di Johannes Kepler, agli scienziati-filo-sofi Blaise Pascal e Wilhelm Gottfried Leibniz,all’ingegnere padovano Giovanni Poleni e amolti altri personaggi meno noti. Con l’ecce-zione dell’addizionatrice di Pascal – il qualene realizzò un piccolo commercio – si trattavain ogni caso di esemplari unici, di macchine“meravigliose” concepite più che altro per fa-re colpo sui contemporanei e sul principeprotettore. Il primo successo industriale ecommerciale arrise a partire dal 1820 – nelpieno della rivoluzione industriale – all’arit-mometro del francese Thomas de Colmar: u-na calcolatrice per le quattro operazioni basa-ta sostanzialmente sulla macchina di Leibniz.Le calcolatrici meccaniche, rimaste tali anchese ad azionamento elettrico anziché manuale,hanno dato luogo a fiorenti produzioni indu-striali – tra cui quelle della multinazionale ita-liana Olivetti – e sono rimaste in auge fino aglianni Settanta, allorché dovettero cedere ilpasso alle calcolatrici elettroniche tascabili eda tavolo.

zioni trigonometriche basate sulla divisione del quadrante in cento parti(con frazionamenti decimali), in luogo dei consueti novanta gradi (con fra-zionamenti sessagesimali); il tutto doveva infine confluire nelle Tables duCadastre, fortemente volute dai francesi ma mai portate a termine. Questaed altre imprese scientifiche della stessa epoca vanno inquadrate nel climadi fervore razionalizzante inaugurato dagli illuministi; fervore che divenneaddirittura fanatismo integralista sotto i governi rivoluzionari e napoleonicii quali, ope legis, volevano decimalizzare tutto. La decimalizzazione dellemisure angolari, come del resto di quelle temporali, non ha avuto seguitoduraturo ma almeno il sistema metrico decimale è rimasto come una solidae ben fondata eredità di quella ventata innovatrice. Rimane il rammaricoper la mancata adesione da parte dell’Inghilterra – e quindi dei paesi an-glofoni – causato a quell’epoca dal rigetto politico e ideologico di tuttoquanto aveva sentore di rivoluzionario e di napoleonico4.

Ma torniamo a Babbage. Presi in esame i dispositivi di calcolo inventati fino a quel momento, li

trovò tutti inadeguati rispetto a quello che lui aveva in mente: essi eranobensì in grado di eseguire esattamente addizioni e sottrazioni e, quelli piùsofisticati, anche moltiplicazioni e divisioni. Eseguivano però queste ope-razioni una alla volta ed era quindi l’uomo a dover annotare il risultato diun’operazione, impostare gli operandi per l’operazione seguente e così via,di passo in passo5. Babbage voleva invece qualcosa che risolvesse un interoproblema: un procedimento di calcolo di natura generale che, una volta im-postato, procedesse automaticamente fino alla stampa dei risultati, evitan-do ogni intervento umano, compreso quello della trascrizione dei risultatiper trasferirli nella composizione tipografica. Operazione, quest’ultima,tanto banale quanto foriera di possibili errori, come lo stesso Babbage con-statava di frequente spulciando le tavole numeriche stampate fino ad allora;non per nulla i suoi progetti incorporavano anche un organo di uscita ca-pace di comporre direttamente le matrici di stampa.

L’idea che gli parve appropriata fu quella di meccanizzare l’algoritmodel calcolo di polinomi col metodo delle differenze finite, metodo che ri-saliva a Newton e sul quale lo stesso de Prony aveva scritto un trattato. L’ap-plicabilità generale di questo metodo discendeva dal fatto che tutte le fun-zioni matematiche la cui tabulazione fosse di qualche interesse potevano

mdFig. 1 Charles Babbage, poco più checinquantenne, ritratto in un olio del pittoreSamuel Laurence. Fig. 2 Francobollo celebrativo emesso nel1991 dalle poste inglesi.

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!6. Alcune specifiche della MD: 25.000 partimeccaniche elementari, qualche tonnellata dipeso, ingombro di circa 2,5x2x1 metri.

!7. Un ragguaglio con i valori monetari attualisi può fare solo in termini molto approssima-tivi. Secondo Doron Swade, per passare dalvalore di allora a quello attuale, riferito all’an-no 2000, si può applicare un moltiplicatorecompreso tra 30 e 150 a seconda dei casi. Sipuò anche considerare che una famiglia me-dia, nel 1814, contava su un reddito annuo di300 sterline e che, intorno al 1830, un battelloa vapore con scafo metallico ne costava circa30.000, mentre per una locomotiva ferroviariase ne potevano spendere 800 (cfr. D. Swade,The Difference Engine: Charles Babbage andthe Quest to Build the First Computer, PenguinBooks Ltd., New York 2000, pp. X, 14, 67).

!8. A incupire il carattere di Babbage avevanocerto contribuito gli eventi del 1827: annusterribilis in cui gli morirono il padre, la moglieGeorgiana e due figli in tenera età.

!9. È d’uopo ricordare che la MD, pur non es-sendo mai completata, ebbe un seguito signi-ficativo. In primo luogo ad opera di una fami-glia di tipografi-editori svedesi: gli Scheutzpadre e figlio, contemporanei di Babbage.Considerato il loro mestiere, si presume che illoro interesse sia stato suscitato dall’aspettotipografico più che da quello calcolistico dellaMD. Ispirandosi alle idee di Babbage pur sen-za copiarne pedissequamente il progetto eperseguendo anzi obiettivi meno ambiziosi,essi realizzarono ben tre macchine calcolantie stampanti; una di esse, per ironia della sorte,approdò nella stessa Inghilterra, presso l’Uf-ficio centrale dello stato civile dove fu usataper tabulazioni statistiche. Da notare che lo

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essere sviluppate in serie di potenze di ordine crescente, rapidamente con-vergenti e quindi approssimabili, in un certo intervallo, considerandone so-lo i primi termini, i quali, per l’appunto, costituiscono un polinomio.

Il primo progetto di Babbage fu dunque concepito per “dare corpo” all’al-goritmo delle differenze finite e prese il nome di Difference Engine (Macchinadelle Differenze; MD, per brevità). L’algoritmo prescelto aveva anche il pregiodi comportare la somma algebrica (addizione e sottrazione) come unica ope-razione aritmetica richiesta agli organi meccanici. Malgrado questa semplifi-cazione, la meccanica della MD – densa di soluzioni ingegnose e innovative– risultò estremamente complicata e mi limito quindi a descrivere, nell’Ap-pendice 1 (cfr. infra, pp. 106 sg.), il sottostante principio matematico.

La costruzione di un prototipo dimostrativo per la tabulazione di poli-nomi di secondo grado risale al 1822; poca cosa, ma capace di attestare lafattibilità del grande progetto6. Ottenuto l’appoggio della Royal Society, nel1823 Babbage ebbe un finanziamento statale, da erogare in tranches su-bordinate allo stato di avanzamento, e iniziò la costruzione. Però il proget-to, fra litigi e sospetti, si arenò nel 1829 e nel 1833 fu accantonato a causadella defezione dell’ottimo ingegnere capo, Joseph Clement, e di tutta lasquadra di tecnici e disegnatori. Il problema di fondo era in sostanza quelloche, allora come oggi, affligge ogni progetto di ricerca veramente innova-tivo: l’impossibilità di preventivare i costi e la durata di un’impresa che, nonavendo precedenti a cui rifarsi, procede per tentativi e viene quindi ridefi-nita continuamente in corso d’opera. E Babbage era un incorreggibile e vul-canico perfezionista, incapace di tenere fermo un obiettivo definito, ancor-ché perfettibile, rinviando a tempi migliori le sue fughe in avanti; ci spese20.000 sterline del patrimonio ereditato dal padre banchiere e altre 17.000concessegli dal governo nelle fasi iniziali7. Ma la preoccupante vastità deisuoi progetti cominciò a destare dubbi e ostilità. Le sue continue richiestedi finanziamenti, il suo carattere divenuto iroso e scostante, la sua ostentatapresunzione finirono con l’alienargli anche la solidarietà degli estimatori8.Il governo divenne più cauto e nel 1842 pose fine a ogni trattativa, rifiu-tando di imbarcarsi nella MD n. 2, una versione perfezionata che Babbageaveva sfornato nel frattempo9.

La storia era però tutt’altro che conclusa: cominciava il secondo atto chedoveva protrarsi – croce e delizia – fino alla morte di Babbage. Intorno al1834, dalla sua mente scaturì un’idea geniale e completamente nuova: unamacchina calcolatrice “programmabile”, del tutto svincolata da un rigidoschema di calcolo come era stata la MD. La designò Analytical Engine(Macchina Analitica; MA, per brevità). Senza insistere sul fatto che il gover-no inglese, nel 1852, rifiutò anche questa nuova proposta – che rimasequindi quasi per intero fissata solo sulla carta – accennerò alle caratteristi-

Fig. 4 La sezione di calcolo dellaMacchina delle Differenze n. 2, costruitanegli anni Novanta (bicentenario dellanascita di Babbage) presso lo ScienceMuseum di Londra. Pesa più di 3tonnellate e si compone di circa 4000parti elementari. Opera su numeri di 30cifre decimali, utilizzando le differenzefino al settimo ordine.

Fig. 3 La sezione di calcolo della primaMacchina delle Differenze, assemblata nel1822 (altezza 72 cm). La sezione di stampaè andata perduta.

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stesso Babbage, malgrado il suo caratterac-cio, si congratulò pubblicamente con i suoi e-muli svedesi. Macchine delle differenze furo-no in seguito costruite da diversi inventori –Alfred Deacon in Inghilterra, Martin Wibergin Svezia, Bernard Grant negli Stati Uniti, Leo-nardo Torres y Quevedo in Spagna e certa-mente altri – ma rimasero allo stato di pezzi u-nici senza trovare uno sbocco commerciale.

!10. Tra i dispositivi di output, Babbage hafatto cenno anche a un avveniristico plotter(Curve Drawing Apparatus), forse però giun-to neppure allo stadio di progetto effettivo.Un altro dispositivo di output avrebbe dovutoessere il perforatore di schede. I risultati delcalcolo, registrati automaticamente sulleschede, avrebbero poi alimentato un appara-to tipografico “fuori linea”, separato dalla MA,e le aborrite trascrizioni manuali sarebbero ri-maste comunque escluse.

!11. A riguardo del sottosistema di controllodistribuito tra i vari componenti del sistemapiuttosto che centralizzato in un unico bloccofunzionale, va tenuto presente quanto tengo-no a puntualizzare gli specialisti di architettu-re dei computer. Cade a proposito questa an-notazione di Marco Vanneschi: «È sorpren-dente constatare come, nella letteratura divul-gativa, questa problematica sia stata per lun-go tempo descritta facendo riferimento ad ap-procci centralizzati al controllo, di fatto maiimplementati in nessuna macchina realmenterealizzata» (cfr. M. Vanneschi, L’opera scienti-fica di Giovan Battista Gerace, in La CEP: sto-ria, scienza e umanità dell’avventura infor-matica pisana, Felici Editore, Pisa 2009, pp.94-105, p. 104). Anche sotto questo aspettoparticolare, Babbage aveva dunque colto nelsegno.

!12. Cfr. Passages, cit., cap. VIII.!13. Ibid.

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che salienti della MA per farne risaltare le singolari analogie con quello chesarebbe stato il moderno computer elettronico, teorizzato principalmenteda von Neumann nel 1945, vale a dire oltre un secolo più tardi.

Dal punto di vista strutturale, la MA doveva comprendere due parti prin-cipali: la memoria (store) e l’organo di calcolo (mill). La memoria, secondouna delle molte versioni del progetto, avrebbe dovuto contenere 50 numericon la precisione di ben 21 cifre decimali, registrati su altrettanti assi verticali(columns) che supportavano corone dentate decimali, una per ogni cifra; lameccanica delle columns era sostanzialmente la stessa già sperimentata nellaMD. L’organo di calcolo avrebbe eseguito tutte e quattro le operazioni arit-metiche su coppie di numeri di cotanta precisione. C’erano naturalmente an-che l’organo di input – il lettore di schede, di cui ci occuperemo tra poco – equello di output, l’immancabile stampante10. Se infine si tiene conto che lefunzioni di “controllo” erano distribuite tra le varie componenti della mac-china, emerge in tutta evidenza la classica e tuttora valida struttura basata suicinque sottosistemi «ingresso-uscita-memoria-calcolo-controllo» che è passa-ta alla storia come «architettura di von Neumann»11.

In un brano dei Passages, vale a dire nel 1864, è lo stesso Babbage a te-stimoniare il proprio insaziabile perfezionismo: «Nelle svariate serie di di-segni progettuali delle modifiche alla struttura meccanica della MacchinaAnalitica, che già assommano a più di trenta [...]»12. Arrivò a vagheggiarememorie capaci di cento o mille numeri e, quanto alla velocità di calcolo:«Supponendo che la velocità delle parti mobili della Macchina non superii quaranta piedi [circa dodici metri] al minuto, non ho dubbio che: sessantaaddizioni o sottrazioni possono essere eseguite e stampate in un minuto.Una moltiplicazione di due numeri, di cinquanta cifre ciascuno, in un mi-nuto. Una divisione di un numero di 100 cifre per uno di 50 in un minuto»13.Alla luce degli attuali mega-giga-teraflops può venire da sorridere, ma solocoll’ingeneroso senno del poi.

La parte concettualmente più rilevante – la “programmazione” della MA– era realizzata mediante pacchi di schede perforate, una tecnica derivatadal telaio semiautomatico che Joseph-Marie Jacquard aveva perfezionato al-

Fig. 7 Telaio semiautomatico Jacquard. Inprimo piano risaltano le schede perforate che“programmano” il disegno della trama,concatenate tra loro e trascinate da un rullo asezione prismatica.

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Fig. 5 Esempi di schede per laprogrammazione della Macchina Analitica. Inalto una Number Card sulla quale è registratoil valore di pigreco con la precisione di venticifre. In basso un esempio di Operation Card.

Fig. 6 Una porzione dell’organo di calcolo(mill) della Macchina Analitica, fattacostruire da Henry Prevost Babbage nel1910. L’organo di stampa si trova al di sottodella struttura obliqua.

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!14. In alcuni brani dell’autobiografia, lo stes-so Babbage designa come Jacquard Cards leschede da usarsi nella MA. Egli era del restoperfettamente aggiornato sulle tecniche del-l’industria manifatturiera; fu anzi un convintopropugnatore della rivoluzione industriale,come attestato anche dal suo saggio On the E-conomy of Machinery and Manufactures,pubblicato con grande successo nel 1832 etradotto anche in italiano.

!15. È stata verosimilmente proprio l’enormecomplessità costruttiva della MA – nonché laprogressiva obsolescenza della tecnologiapuramente meccanica, soppiantata dall’elet-tromeccanica e poi dall’elettronica – a deter-minare l’oblio in cui cadde l’opera di Babbagesubito dopo la sua scomparsa. Uguale sortetoccò ai tentativi del figlio Henry Prevost Bab-bage, maggior generale dell’esercito colonia-le, il quale pubblicò nel 1889 un’ampia anto-logia degli scritti del padre e fece costruire u-na piccola porzione del mill. La rivalutazionepostuma di Babbage prese le mosse nel 1946,in concomitanza coi primi progetti di calcola-tori elettronici, sui quali le idee di Babbagenon ebbero in realtà alcuna influenza diretta.In quell’anno apparve infatti sulla prestigiosarivista «Nature» l’articolo dell’astronomo L.J.Comrie dal titolo Babbage’s Dream ComesTrue. La rivalutazione di Babbage – accomu-nata a quella di Ada Byron – assunse via via itoni di una vera e propria glorificazione, cul-minando alla fine del secolo scorso nella rico-struzione della MD n. 2 e di alcune parti dellaMA, curate dal già menzionato Doron Swadeed esposte allo Science Museum di Londra.

!16. Un più circostanziato resoconto del ruo-lo di questi due personaggi lo si può trovarenell’articolo di G.O. Longo e C. Bonfanti, AdaByron e la macchina analitica, apparso su«Mondo Digitale», n. 26, giugno 2008, pp. 35-45. «Mondo Digitale - Rassegna critica del set-tore ICT» è il trimestrale dell’Aica (Associazio-ne italiana per l’informatica ed il calcolo auto-matico) pubblicato a stampa e anche libera-mente scaricabile dal sito www.aicanet.it.

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la fine del Settecento e che, assieme alla macchina a vapore, era stata l’em-blema della incipiente rivoluzione industriale14.

Il flusso elaborativo propriamente detto era comunicato alla MA me-diante una sequenza di schede perforate (Operation Cards) ciascuna dellequali comandava l’esecuzione di una operazione aritmetica; in sincroniacon queste schede, la MA leggeva altre schede, denominate Variable Cards,le quali specificavano le “colonne” – leggasi gli “indirizzi” – della memoriada cui prelevare i due operandi e in cui registrare il risultato: tradotto nellinguaggio dei nostri computer, si tratta del formato delle istruzioni «codiceoperativo + tre indirizzi di memoria». Altre schede (Number Cards) forni-vano alla MA i dati iniziali nonché eventuali costanti numeriche da utiliz-zare nel corso del calcolo, accompagnate beninteso dall’indirizzo (column)in cui memorizzarle. Esempi che illustrano la programmazione della MA sitrovano nell’Appendice 2.

Ma non basta. Erano infatti previste le cosiddette Combinatorial Cards,le quali avrebbero dovuto attivare un Repeating Apparatus, capace di ri-prendere una determinata porzione del programma e di ripeterla un certonumero di volte: né più né meno che la fondamentale struttura di controllodegli odierni linguaggi di programmazione, che comprende implicitamenteanche la diramazione condizionata.

Alla luce di quanto sopra, credo di poter affermare che sono gli aspettilogici e funzionali della MA a giustificare la rivalutazione postuma di Char-les Babbage come geniale precursore del moderno “pensiero informatico”;aspetti dinanzi ai quali il pur grandioso progetto meccanico ha invece persoqualsiasi attualità, destando solo l’interesse degli storici della tecnologia. Ebisogna pur dire che lo stesso Babbage – matematico ma soprattutto inge-gnere – dedicò la più gran parte delle sue energie alla concezione e all’in-faticabile perfezionamento del progetto meccanico; al contrario dell’italia-no Menabrea e soprattutto di Ada Byron, il cui merito è stato quello di averdivulgato e approfondito la logica funzionale della MA, la sua portata con-cettuale e le sconfinate potenzialità applicative15.

Ecco dunque qualche parola su Menabrea e su Ada Byron: due perso-naggi se vogliamo ancillari rispetto alla figura di Babbage ma degni di tuttorispetto, meno conosciuto il primo, più “pubblicizzata” la seconda16.

Cominciamo dal conte Luigi FedericoMenabrea (1809-1896), il quale – matema-tico, giovane ufficiale del Genio all’iniziodi una lunga e fortunata carriera come mi-litare e come uomo politico – partecipòattivamente al Congresso degli scienziatiitaliani che si tenne a Torino nel 1840 sot-to gli auspici di Carlo Alberto, re di Sarde-gna. Ospite di riguardo a quel convegnofu appunto il nostro Babbage. Oltre allapresentazione pubblica del progetto dellaMA, Babbage intrattenne sullo stesso ar-gomento molte e fruttuose conversazioni

Fig. 8 Menabrea, ufficiale del Genio, raffigurato in litografia sui campi delle guerre d’indipendenza.

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private con gli scienziati italiani; Menabrea ne trasse materia per un note-vole articolo che poneva l’invenzione di Babbage all’attenzione della co-munità scientifica di tutta Europa17. Babbage fu entusiasta di tale iniziativa;di essa e del suo soggiorno a Torino dette ampio resoconto nell’autobio-grafia, i già menzionati Passages. Particolarmente approfondita fu la discus-sione suscitata da Ottaviano Fabrizio Mossotti sulle strutture di controllonella programmazione della MA. Babbage, per l’importante occasione, ave-va fatto preparare una serie di disegni progettuali molto dettagliati dellaMA, datati appunto 184018; ma è notevole il fatto che in tali disegni sonodescritte esclusivamente le Operation, le Variable e le Number Cards, men-tre non vi compaiono le fondamentali Combinatorial Cards.

Quanto ad Ada Augusta, figlia del poeta Byron e moglie del conte di Lo-velace, ella visse dal 1815 al 1852: una vita breve ma intensa, segnata dasofferenze fisiche e non priva di risvolti avventurosi.

Matematica pressoché autodidatta, conobbe Babbage nei salotti londi-nesi e rimase affascinata dalle sue idee in materia di calcolo automatico;non tanto nei loro aspetti meccanici – poco affini alla sensibilità e alla pra-tica di una dama della buona società, e già il suo interesse per la matema-tica era del tutto inusuale a quei tempi – quanto nelle loro implicazioni con-cettuali. Venuta a conoscenza dell’articolo di Menabrea, ella ne curò imme-diatamente la traduzione in inglese e, con l’approvazione di Babbage, locorredò con una serie di approfondimenti – le celeberrime «note» – che oc-cupano più spazio del testo originale e che costituiscono quasi un trattatoautonomo19. Il culmine del lavoro di Ada, nell’ultima delle sue note, è co-stituito dall’esposizione dettagliata di un notevole programma per il calcolodei cosiddetti «numeri di Bernouilli»; programma in cui, tra l’altro, si fa unuso sistematico dell’iterazione controllata. Sebbene Ada padroneggi con

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!17. L’articolo di Menabrea, redatto in france-se col titolo Notions sur la machine analyti-que de M. Charles Babbage, apparve nel 1842sul periodico «Bibliothèque Universelle deGenève».

!18. In segno di stima e di riconoscenza, Bab-bage lasciò questi disegni ai suoi colleghi to-rinesi; un prezioso lascito tuttora conservatopresso la Biblioteca dell’Accademia delleScienze di Torino.

!19. La traduzione in inglese dell’articolo diMenabrea, corredato dalle note di Ada Byron,è stata pubblicata in forma di libro nel 1843 eristampata in vari luoghi, tra cui nel volume P. Morrison, E. Morrison (a cura di), CharlesBabbage - On the Principles and Develop-ment of the Calculator, Dover Publications,New York 1961, pp. 225-297.

Fig. 9 Pianta complessiva della Macchina Analitica, fatta disegnare da Babbage nel 1840. La grande struttura circolare sulla sinistra costituisce l’organo di calcolo (mill); il corpo linearesulla destra è la memoria (store), con il corredo dei registri (columns) rappresentati da piccolicerchi. Su tre dei quattro angoli del disegno sono rappresentate le Operation, le Variable e leNumber Cards. In alcuni dei suoi scritti, Babbage ha fantasticato di memorie con 100 e 1000registri.

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Turing e von NeumannVolendo sintetizzare l’opera scientifica di Alan MathisonTuring (1912-1954), è conveniente ridurla alle fasi piùsignificative:– l’esordio “logico” del 1936-37;– la prolungata e stressante attività nella “guerra deicifrari” durante la seconda guerra mondiale;– il progetto, nel 1945-46, del computer Ace(Automatic Computing Engine);– le prime idee sull’intelligenza artificiale: programmicapaci di giocare a scacchi, Machine Intelligence esoprattutto l’ideazione (1950) di quel «test di Turing»che ancora oggi suscita interesse e discussioni;– gli studi sulla morfogenesi degli esseri viventi, l’ultimodei campi di ricerca da lui affrontati.Qui prenderemo in considerazione solo la prima diqueste fasi.Nel 1936-37 Turing pubblicò un saggio fondamentaledal titolo On Computable Numbers, with an Applicationto the “Entscheidungsproblem”. Il «problema delladecisione» (Entscheidung sta per “decisione”, intedesco) era stato posto dal celebre matematicotedesco David Hilbert, il quale sperava che qualcunoriuscisse a dimostrare che per qualsiasi asserzioneformulata all’interno di un sistema assiomatico-deduttivo si potesse “decidere” della sua verità o falsità.Kurt Gödel, logico e filosofo di fama mondiale, aveva giàdemolito le speranzose ipotesi di Hilbert con una seriedi teoremi “al negativo”, il più celebre dei quali è statoquello di incompletezza (1931). Turing si mosse nellastessa direzione, dimostrando con strumenti concettualiassolutamente originali che quello da lui chiamato il«problema dell’arresto» (Halting Problem) ènondecidibile. Dimostrò anche l’equivalenza tra i propririsultati e quelli che Alonzo Church, nello stessomomento, aveva ottenuto con l’invenzione del !-calcolo.

Tralasciando i molti e non facili dettagli specialistici,importa qui osservare che la teoria di Turing si fondavasu due elementi:– da un lato l’esatta definizione di algoritmo, ottenutamediante la riduzione del computo ad una sequenza diazioni elementari puramente esecutive – ovvero“meccaniche” o quanto meno “meccanizzabili” – cheoperano successive modificazioni sui dati iniziali del

problema; gli algoritmi di questa natura, quandoapplicati a problemi specifici, vanno sotto il nome di«Macchine di Turing» (MT), senza ulteriori qualificazioni(vedi l’Appendice 3);– dall’altro lato, la descrizione di uno speciale algoritmodi natura generale – qualificato come «Macchina diTuring Universale» (MTU) – capace di “incorporare” inqualche modo una qualsiasi MT e di simularne ilcomportamento.

L’interesse di Turing era a quell’epoca di naturaesclusivamente logica e non per nulla l’algoritmo dellaMTU è rimasto come un classico della filosofia dellacomputazione. Ma più avanti, nel 1945, divenne chiaroche la sua teoria non era altro che il paradigma dellostored program computer, teorizzato da von Neumann:l’hardware (memoria compresa) è l’equivalente dellaMTU mentre i programmi software “incorporati” nellamemoria sono l’equivalente delle MT particolari. Sotto l’aspetto cronologico, l’inizio ufficiale dell’erainformatica si fa comunemente risalire al giugno 1945,data di pubblicazione della First Draft of a Report onthe EDVAC da parte del fisico e matematico John Louisvon Neumann (1903-1957), ungherese di nascita, unadelle menti più feconde e più versatili nel panoramascientifico del secolo scorso. (Edvac è acronimo diElectronic Discrete Variable Automatic Computer. L’Eniac,di cui si parla più oltre, sta invece per ElectronicNumerical Integrator and Computer.)

Poco importa, in questa sede, soffermarci sul fatto chela First Draft non fosse tutta farina del suo sacco – era

Turing era anche un atleta di un certo valore. Qui è ripreso mentreconquista il secondo posto in una gara di mezzofondo, intorno al 1946.

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mdpiuttosto il frutto di un lavoro comune all’interno delprogetto Eniac –, che sia rimasta allo stato di bozza maicompletata nei dettagli e che infine prevedessel’impiego di tecnologie hardware già disponibili. Laproposta radicalmente innovativa non era neppure lacosiddetta «architettura di von Neumann», vale a dire lastruttura generale del calcolatore, che erasostanzialmente una riscoperta delle idee di Babbage.La cesura col passato risiedeva piuttosto nelfondamentale e già citato concetto di «calcolatore aprogramma registrato in memoria» (stored programcomputer), che conferiva alla macchina quellauniversalità applicativa che Turing aveva preannunciatoin sede teorica. Nessuna delle macchine realizzate finoa quel momento possedeva questa caratteristicainnovativa: non la possedevano quei calcolatori a relaiso a valvole termoioniche che sono considerati gliantecedenti immediati del moderno computer, compresoil celebratissimo Eniac; andando a ritroso, non lapossedeva neppure la Macchina Analitica di Babbage. Iprogrammi di queste macchine erano infatti registrati susupporti esterni come le schede perforate oppure, inepoca successiva, il nastro di carta perforato; leistruzioni venivano pertanto passate all’organo di calcolouna alla volta, senza confluire nella memoria erimanervi registrate tutte insieme, con la possibilità dimodificare se stesse nel corso del processo elaborativo.Lo stored program computer, nelle fasi pionieristiche, fuconcepito e usato essenzialmente come strumento per il

calcolo tecnico-scientifico, e questo uso limitativocontinua a trasparire nella denominazione «computer». Èstato solo col passare dei decenni che si è riconosciutae messa a frutto la sua potenzialità “universale”: esso sialimenta oggi di qualsivoglia “informazione” – fotografie,testi, disegni, brani musicali, insiemi di numeri, ecc. –per elaborarla, aggregarla con altre informazioni,conservarla, trasmetterla e renderla fruibile all’utentenelle forme, nei luoghi e nei momenti appropriati. Apatto, beninteso, che l’informazione sia rappresentabilemediante simboli riconoscibili e quindi, in ultima analisi,codificabile sotto forma di stringhe binarie.

Vale la pena di rimarcare che – al contrario della FirstDraft – il progetto del computer Ace, che Turing elaboròquasi contemporaneamente a quello di von Neumann,era un documento estremamente completo edettagliato, quasi un progetto esecutivo, comprensivo diuna stima dei costi e dei tempi necessari allacostruzione. Per di più, Ace contemplava una strutturadistribuita lungo il “bus”, del tutto originale – sarebbestata più tardi ripresa nei minicomputer della Digital – ediversa da quella proposta per l’Edvac, che era invececoncentrata in blocchi funzionali nettamente distinti.Tratto comune ai due progettisti è stato il fatto chenessuno di loro prese parte alla realizzazione deirispettivi progetti: sia Turing che von Neumannabbandonarono le istituzioni nelle quali li avevanoformulati e, mancata la loro spinta propulsiva, i lavoriprocedettero a rilento, tanto che né Ace né Edvacriuscirono ad arrivare primi nella “corsa al computer”,una sorta di tacita competizione che aveva preso l’avviosubito dopo la diffusione della First Draft.

Tra i numerosi contributi scientifici di von Neumannvanno annoverati quelli sulla fisica quantistica, quellifondazionali sulla teoria dei giochi (con OskarMorgenstern) e, nel complesso, le attività di ricerca e didocenza come membro del prestigioso Ias (Institute forAdvanced Study) di Princeton. Il suo ruolo di influenteconsulente scientifico del governo statunitense, eparticolarmente dell’amministrazione militare, prese lemosse dal segretissimo Progetto Manhattan per labomba atomica e poi per quella all’idrogeno; inentrambi i casi i calcoli affidati ai neonati computersvolsero una funzione determinante.

Von Neumann, nel 1952, sullo sfondo dello Ias Computer, lamacchina che, abbandonato il progetto Edvac, fece costruireall’Institute for Advanced Study di Princeton.

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!20. Al contrario di Babbage, Boole visse inmaniera appartata e quasi alle soglie dell’in-digenza.

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tutta sicurezza il concetto del ciclo iterativo, faccio notare che ella lo im-magina, in maniera alquanto vaga, realizzato fisicamente mediante una op-portuna rotazione a ritroso (backwards rotation) del meccanismo di letturadelle schede. Né lei né tantomeno Menabrea fanno alcun cenno alle Com-binatorial Cards e al connesso Repeating Apparatus, a conferma del fattoche questi e altri dispositivi, come il Drawing Apparatus (cfr. supra, nota10), sono rimasti allo stadio di “ipotesi funzionali”, al contrario del mill edello store – le parti fondamentali della MA – su cui Babbage si è arrovellatoin ogni minimo dettaglio.

Tutto ciò a sottolineare come Ada abbia lavorato basandosi esclusiva-mente sui concetti funzionali stabiliti dal suo mentore e non sulla loro piùappariscente implementazione meccanica; il che rende ragione del valoreancora attuale del suo lavoro, un valore indipendente dalle tecnologie equindi anche dal tempo.

Ce n’è davvero abbastanza per giustificare il fatto che Ada sia divenutauna delle icone più referenziate nell’ambito della cosiddetta «scienza alfemminile» e che, tra gli informatici, sia assurta al ruolo di «prima program-matrice di computer».

Concludo ponendo in risalto il fatto che negli stessi anni in cui Babbageelaborava concetti e progetti della Macchina Analitica, un altro matematicoinglese, George Boole (1815-1864), dava alle stampe due opere, innovativealmeno quanto la MA sebbene di natura affatto diversa: The Mathematical A-nalysis of Logic (1847) e An Investigation of the Laws of Thought (1854)20. Ilnocciolo di questi lavori è passato alla storia come «algebra di Boole». Non c’èbisogno d’insistere su quanto l’algebra di Boole sia stata feconda di sviluppiin tanti campi della matematica, dall’algebra astratta alla topologia oltre che,ovviamente, alla logica formale. È poi fin troppo noto, per quanto qui c’inte-ressa, il fatto che l’algebra di Boole costituisce uno dei pilastri teorici su cuipoggia l’informatica, sia per l’hardware sia per il software. Pilastro teorico eanche efficiente strumento di lavoro quotidiano, anche se spesso la usiamo“travestita” con una delle sue formulazioni pressoché isomorfe quali i dia-grammi di Eulero-Venn, le tavole di verità, il calcolo proposizionale.

Aggiungo una piccola chiosa riguardo al titolo delle Laws of Thought:sarebbe stato forse più pertinente riferirsi alle Laws of Reasoning, dal mo-mento che il «ragionamento» (Reasoning) costituisce solo un’isoletta nelgrande e misterioso arcipelago del «pensiero» (Thought), come ben sannogli esploratori della «intelligenza artificiale».

Appendice 1: Algoritmo delle differenze finite1. Calcolo delle differenze finite applicato ai polinomiPrendiamo come esempio di lavoro il polinomio di terzo grado p(x) = 4x3

– 23x2 + 118.Calcoliamo p(x) per una successione di valori della x a partire da x1 e

con incremento costante uguale a ". Siccome le costanti x1 e " sono arbi-trarie (potrebbero anche non essere numeri interi), per semplicità sceglia-mo x1 = 0 e " = 1.

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Calcoliamo adesso le cosiddette “differenze prime”, ovvero p(xn+1) –p(xn) (n = 1, 2, ...) e disponiamole nella riga indicata con #(1).

Andando avanti con le differenze seconde #(2) e poi con le terze #(3),scopriamo che queste ultime assumono un valore costante.

Questa “scoperta” non è una curiosità né tantomeno una stranezza del po-linomio di esempio; è invece uno dei risultati più elementari del «calcolodelle differenze finite», secondo il quale, preso il generico polinomio di gra-do n, ovvero p(n)(x) = anxn + an-1x

n-1 + ..., le sue differenze n-esime sonocostanti e, per di più, facilmente calcolabili con la formula #(n) = "nann!;nel caso del polinomio dell’esempio si ha infatti #(3) = 1 x 4 x 3! = 24.

A quelli che conoscono le derivate, non sarà sfuggito il fatto che, posto" = 1, la differenza n-esima di p(n)(x) ha lo stesso costante valore #(ann!)della sua derivata n-esima. Anche qui nessuna meraviglia, in quanto il cal-colo delle differenze finite, nel caso dei polinomi, fornisce dei risultati chehanno un forte parallelismo con quelli del calcolo infinitesimale; solo cheraggiunge tali risultati con metodi algebrici ovvero «finitistici».

2. Algoritmo della Macchina delle Differenze di BabbageSi fa riferimento al seguente schema.

Per tabulare con la Macchina delle Differenze (MD) il polinomio dell’esem-pio, occorre innanzitutto eseguire, a mano, i calcoli preliminari: i primi 4valori di p(x) e le sottostanti differenze, fino alla terza.

S’impostano poi i valori iniziali sulle rispettive «colonne» (i registri mec-canici della MD) e si passa infine ad azionare i cicli del calcolo automatico,quanti se ne vogliono. Un ciclo comporta che ciascuna colonna, a comin-ciare dalla colonna n. 2, esegua la somma algebrica del numero in essa giàpresente con quello che va a prelevare dalla colonna sottostante.

Appendice 2: Programmare la Macchina AnaliticaNel saggio in cui espone i principi della Macchina Analitica (MA) di Bab-bage, Menabrea ne mette in risalto specialmente gli aspetti logici e funzio-nali, sorvolando quasi del tutto sull’enorme complessità della strutturameccanica. A tale scopo si avvale di un “programma” che risolve un sem-

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plice problema di algebra. L’esempio è elementare ma molto espressivo;vale la pena di riprodurlo per intero, ricordando che, nel gergo della MA,il termine column designa un registro di memoria – realizzato fisicamentein forma di colonna metallica con relativi ingranaggi e anelli numerati – eche card sta per scheda perforata.

«Consideriamo un sistema di due equazioni lineari nelle incognite x e y

{m x + n y = dm xI + nI y = dI

la cui soluzione è x = (dnI - dIn) / (nIm - nmI ) e analogamente per y.Designamo ora con V0 V1 V2 ... le colonne che contengono i numeri e

supponiamo che le prime otto di loro siano state scelte per registrarvi pre-ventivamente, nell’ordine, i valori numerici di m, n, d, m I, n I, d I, n, n I;sarà quindi V0 = m, V1 = n, V2 = d, V3 = mI, V4 = nI, V5 = dI, V6 = n, V7 = nI.

La sequenza delle operazioni comandate dalle schede-operazione [Ope-ration Cards] e i rispettivi risultati possono essere rappresentati come nellaseguente tabella.

[Nella tabella intervengono anche le Cards of the variables – altrovechiamate Variable Cards – le quali, associate a una determinata OperationCard, indicano gli “indirizzi” delle colonne da cui “leggere” o in cui “scri-vere” i valori dei tre argomenti dell’operazione stessa.]

Per ottenere il valore di y, occorre semplicemente aggiungere una serie dioperazioni analoghe a quelle indicate».

L’esempio presentato da Menabrea è talmente chiaro da non richiedereulteriori commenti; chiunque abbia un minimo di familiarità con il computer,vi riconoscerà inoltre la sostanziale identità tra il linguaggio della MA e i mo-derni linguaggi di programmazione. Volendo pignoleggiare, si potrebbe soloosservare la ridondanza delle assegnazioni V6 = n, V7 = n I e così pure la man-cata adozione di un simbolo del tipo (Vk) per designare il valore della varia-bile contenuto nel registro Vk, evitando così possibili ambiguità semantiche;ambiguità che si riverberano nell’uso dei termini variable e column, trattatiquasi come sinonimi. Un avveduto programmatore avrebbe infine “protetto”la divisione finale, alla riga 7 della tabella, anteponendovi in qualche modola domanda V13 = 0? e con la conseguente diramazione.

Quest’ultima osservazione ne induce un’altra, più generale: l’esempio co-struito da Menabrea è un algoritmo puramente sequenziale, che non implica

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costrutti linguistici atti ad esprimere le capacità di alterazione del flusso ela-borativo, capacità che la MA avrebbe posseduto se la sua costruzione fossegiunta a termine. E sono proprio le cosiddette «strutture di controllo» a costi-tuire il cavallo di battaglia di Ada Byron, la quale ne fa l’argomento principaledelle sue celebri e corpose «note» aggiunte al saggio di Menabrea.

Un’analisi dettagliata di tale questione ci porterebbe però troppo lonta-no e diamo quindi solo uno sguardo a un programma alquanto impegna-tivo che Ada presenta a coronamento delle «note»: il programma per il cal-colo dei numeri di Bernouilli, ben noti ai matematici di allora e di oggi.

Il programma è descritto mediante una tabella di struttura analoga aquella vista sopra, però molto più grande e più complicata; ne prendiamoquindi in esame solo uno stralcio particolarmente interessante.

Si può osservare che nella notazione per le variabili, oltre al pedice già con-siderato, compare anche un indice prefisso; questa maggiore espressivitàdel simbolo è legata al fatto che, secondo la meccanica della MA, la letturadi una posizione di memoria è una lettura “distruttiva” e quindi il contenutodei registri invocati come operandi va ripristinato al valore precedente op-pure rinnovato scrivendovi il risultato dell’operazione; queste azioni acces-sorie sono specificate dalle pseudo-istruzioni poste entro parentesi graffe.

Ma quello che maggiormente interessa mettere in evidenza è l’uso so-fisticato che Ada fa dell’iterazione controllata: si noterà infatti l’indicazionedi un ciclo maggiore, che va dall’operazione 13 alla 23, e di due cicli minoriin esso annidati.

Sono tutte cose che oggi, pur rimanendo fondamentali, possono apparireovvie e scontate; ai pochi che a quell’epoca erano in grado di apprezzarle –parliamo della metà dell’Ottocento – dovevano invece suonare come fanta-scienza.

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Appendice 3: Macchine di Turing 1. La macchinaGli ingredienti di una Macchina di Turing (MT, per brevità) sono i seguenti.– Un nastro di carta, suddiviso in caselle e supposto prolungabile a pia-

cere da entrambe le parti.– Una “finestra” sotto la quale il nastro di carta può scorrere a destra e a

sinistra; la finestra evidenzia una delle celle del nastro e tale cella è dettala «cella attuale», designata con CA.

– Un foglio di carta su cui sono disegnate una tabella a doppia entrata detta«area programma» e un’areola detta «area di stato», designata con AS.

– Una matita e una gomma per cancellare.

2. I simboliUna MT opera in base a tre insiemi di simboli, designati come «alfabeti».– Alfabeto dei movimenti: è l’insieme M = {S,D,F}, in cui S e D designano

rispettivamente il comando «fare scorrere il nastro di una casella a de-stra o a sinistra» e F sta per «tenere fermo il nastro».

– Alfabeto dei caratteri: è l’insieme C = {c*,c1,c2,c3,...} dei caratteri che èpossibile scrivere sul nastro; ciascuna cella contiene un solo simbolo. Ilsimbolo c* è in realtà uno pseudo-simbolo in quanto designa l’assenzadi simbolo, ovvero una cella vuota.

– Alfabeto degli «stati»: è l’insieme S = {s*,s1,s2,s3,...} dei simboli che è pos-sibile scrivere nella AS; anche AS ha la capienza di un solo simbolo.Si vedrà più avanti che i simboli dei tre alfabeti fungono anche da ele-

menti costitutivi delle “istruzioni” di una MT.Il numero dei simboli che compaiono negli alfabeti C e S dipende dal

problema che la MT deve risolvere. Il contenuto momentaneo, o attuale, della CA e della AS viene designato

dalle rispettive sigle entro parentesi: (CA) e (AS).

3. Com’è fatta e come opera una istruzioneLe righe dell’area programma sono intestate con i simboli dell’alfabeto C, di-sposti in successione e senza ripetizioni. Le colonne sono intestate con i sim-boli di S (escluso s*), disposti anch’essi in successione e senza ripetizioni.

La coppia di simboli (CA),(AS) individua nell’area programma la riga ela colonna – ovvero l’indirizzo – della casella in cui sta scritta l’istruzioneda eseguire; e l’istruzione, a sua volta, è costituita da una terna di simboliappartenenti, nell’ordine, agli alfabeti C, M e S.

Si fa riferimento alla figura che segue, in cui la «situazione iniziale» in-dica che l’indirizzo dell’istruzione da eseguire è (CA) = c1,(AS) = s2. L’istru-zione da eseguire è quindi c3,D,s3 e i tre simboli che la compongono co-mandano rispettivamente le seguenti azioni elementari:

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I) scrivere il primo simbolo, cioè c3, nella casella attuale CA;II) in base al secondo simbolo, che è D, spostare il nastro di una casella

verso destra (quindi nella finestra appare la cella adiacente a sinistra);III) scrivere il terzo simbolo, che è s3, nell’area di stato AS;

dopodiché si passa ad eseguire la prossima istruzione, il cui indirizzo è co-stituito dalla nuova coppia di simboli (CA) = c3,(AS) = s3.

Se l’istruzione dell’esempio avesse presentato s* come terzo simbolo –cioè se fosse stata c3,D,s* – allora dopo il completamento della III azioneelementare, si sarebbe dato lo stop al procedimento.

È sottinteso che la scrittura di un simbolo in CA, come pure in AS, com-porta la cancellatura del simbolo preesistente, senza riguardo all’eventua-lità che quest’ultimo fosse uguale a quello da scrivere.

Si noti che tutte le azioni descritte sopra sono attuate da un esecutoreche si suppone privo di iniziativa autonoma in quanto gli si chiede solo diattenersi “meccanicamente” alle regole che gli sono state impartite.

Si noti altresì che l’esecutore potrebbe venire a trovarsi di fronte a unasituazione non gestibile secondo tali regole. Facciamo un esempio: dal mo-mento che, in linea di principio, non tutte le caselle dell’area programmadevono necessariamente recare scritta un’istruzione, potrebbe accadereche l’indirizzo (CA),(AS) indichi proprio una casella che non contiene al-cuna istruzione. In simili situazioni l’esecutore dovrebbe ricorrere a questaazione di emergenza: abbandonare il lavoro e segnalare al programmatore– capace di iniziativa intelligente, e quindi capace anche di commettere er-rori – che l’algoritmo da lui scritto contiene (almeno) un bug!

4. AvvertenzeLa descrizione qui presentata si riferisce specificamente alle Macchine “par-ticolari” di Turing (MT), e non entra nel merito, invero complesso, della suaMacchina “universale” (MTU); gli ingredienti di quest’ultima sono peraltrogli stessi delle MT, salvo l’aggiunta di alcuni simboli ausiliari. Quello che èimportante sottolineare è che – malgrado sia invalso l’uso di qualificarlecome «macchine» – sia le MT e sia la MTU sono essenzialmente degli algo-ritmi, ovvero delle costruzioni puramente concettuali.

Inoltre, per alcuni aspetti, ci si è discostati dall’esposizione originaria,specialmente per il fatto che Turing considera l’istruzione come formata dauna quintupla ordinata di simboli. Qui invece si sono estrapolati i primidue simboli della quintupla per utilizzarli, nell’ordine, come “indirizzo” del-l’istruzione, la quale risulta pertanto formata solo dai restanti tre simboli,parimenti ordinati.

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Le varianti qui adottate – e altri autori ne hanno proposte di diverse, aloro più confacenti – sono tuttavia di carattere solo formale e non alteranogli aspetti concettuali.

5. Una MT in azione: la Macchina “+1”Poniamo il seguente problema: dato il numero naturale n, costruire una MTper calcolarne il successore n+1.

Si suppone che le cifre decimali di n siano preventivamente scritte,nell’ordine consueto, in celle contigue del nastro, una cifra per ogni cella,e siano precedute e seguite da almeno una cella vuota; il risultato n+1 deveessere rappresentato nella stessa maniera. All’inizio e alla fine dell’algorit-mo deve essere (CA) = «cifra delle unità».

Date le caratteristiche del problema, conviene adottare i seguenti alfa-beti: C = {c*,0,1,2,...,9} M = {D,S,F} S = {s*,s1,s2}; riguardo a quest’ultimo, sivedrà infatti che due stati “effettivi” sono sufficienti in questo caso.

L’algoritmo presentato qui di seguito risolve il problema, quando si pon-ga inizialmente (AS) = s1. Accanto all’algoritmo è descritto, istruzione peristruzione, il suo sviluppo nel caso n = 299.

Questo esempio – alquanto complicato se rapportato alla disarmantebanalità del problema – rende evidente che le MT sono assolutamente ina-datte all’uso pratico; il loro valore concettuale sta nel fatto che esse, abbi-nate alla MTU, costituiscono il paradigma dello stored program computer,paradigma che è valido ancor oggi e rimarrà valido nel futuro prevedibile.Senza trascurare l’utilità delle MT come “ginnastica mentale”.

Un esercizio altamente istruttivo è quello di costruire la Macchina “+1”in versione binaria. Oltre a risultare più compatto – essendo basato sull’al-fabeto C = {c*,0,1} – questo algoritmo avrebbe il pregio di rendere più evi-dente la logica del ragionamento ad esso sottostante.

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2Ivo De Lotto

Fig. 1 Un centro di calcolo del 1973 dotato dicomputer della serie 6000 della Honeywell.

L’evoluzione del computerdal «mainframe» al palmareIl mainframe, calcolatore principale, era il calcolatore elettronico per eccel-lenza negli anni Sessanta. Sia nella versione a tubi elettronici della fine deglianni Cinquanta sia in quella a componenti a semiconduttore discreti (cfr. ol-tre, Le tecnologie dell’estremamente piccolo, p. 123), esso era un impianto didimensioni considerevoli (occupava un’area di una ventina di metri quadratie aveva un’altezza di circa due metri), assorbiva una potenza elettrica di cen-tinaia di kilowatt, che trasformava in calore, e richiedeva un grosso impiantodi condizionamento. Chi avesse in quei tempi visitato un centro di calcolo,avrebbe trovato oltre al calcolatore con le sue periferiche, memorie di massaa tamburo o nastro e poi anche a dischi magnetici, lettori di schede e di nastroperforato e stampanti, una grande sala per il condizionamento ambientalecon l’aria fresca iniettata nel calcolatore attraverso un pavimento rialzato eun grosso impianto per la stabilizzazione e la continuità dell’alimentazioneelettrica, soprattutto per eliminare le microinterruzioni.

L’organizzazione funzionale del calcolatore era quella canonica: essacomprendeva le unità di memoria, quella logico-aritmetica, quelle prepostealla gestione degli ingressi e delle uscite e il tutto era gestito dall’unità dicontrollo. L’unità di controllo governava, indicando tempi e funzioni, tuttele altre unità operative del calcolatore; la sequenza dei comandi era preci-sata nel programma che l’unità di controllo interpretava (cfr. oltre, I lin-guaggi di programmazione, p. 118). Il programma era memorizzato nellastessa memoria che conteneva i dati sui quali esso doveva operare. Le istru-zioni del programma e i dati erano rappresentati con codifica binaria nellostesso modo; un’istruzione era prelevata dalla memoria, interpretata dall’u-nità di controllo e quindi eseguita operando sui dati a loro volta prelevati

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Fig. 2 Un lettore di schede perforate in usonegli anni ’50-’60.Fig. 3 Un sistema IBM applicato alla difesaaerea al tempo della guerra fredda (1954)per l’analisi di dati provenienti da radar perl’identificazione di bombardieri nemici.

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dalla memoria, così come in memoria venivano messi i risultati ottenuti. Inprima approssimazione, un’informazione prelevata dalla memoria era in-terpretata come istruzione se diretta all’unità di controllo (fase di fetch), in-vece come dato se diretta alle altre unità operative (fase di execute).

Per ottimizzare la gestione delle risorse di un impianto così complessosi è ricorsi ad appositi programmi di servizio che hanno costituito i primisistemi operativi; questi gestivano le varie parti dell’elaboratore, in partico-lare le unità d’ingresso e d’uscita, con un notevole impegno dell’elaboratoreper le fasi di caricamento dei programmi e dei dati e di stampa dei risultati.Per risolvere questo problema venne suddivisa l’attività relativa ad un sin-golo programma nelle fasi di lettura del programma e dei dati, di elabora-zione vera e propria e di stampa dei risultati, dedicandovi tre diversi ela-boratori, coordinati dal sistema operativo. Nella prima metà degli anni Ses-santa venne introdotto nei sistemi operativi il dispositivo virtuale per per-mettere un facile controllo delle periferiche da parte del programmatore;quindi la gestione delle interruzioni (interrupt) per condizionare la sequen-za delle funzioni svolte in dipendenza di segnali asincroni di attenzione ri-volti al sistema operativo da unità interne o esterne. Vennero poi rese di-sponibili le funzioni di cycle stealing mode e di direct memory access peraccedere alla memoria con indirizzamento dall’esterno, con la possibilitàdi connettere apparati esterni al calcolatore e integrarlo così in sistemi piùcomplessi e di trasmettere blocchi di dati tra memoria di massa e memoriaprincipale in modo indipendente dal processore centrale. Con queste tec-nologie si è reso possibile lo spool (Simultaneous Peripheral OperationsOn Line) per gestire in modo efficiente le code di stampa.

La potenza elaborativa, ma soprattutto il costo dell’intero impianto, non-ché le spese di manutenzione ed esercizio, erano notevoli e molto partico-lari erano le competenze richieste al personale addetto alla sua gestione. Èstato naturale quindi scegliere un utilizzo accentrato del sistema, con unaattribuzione delle risorse di calcolo disponibili agli utenti secondo una po-litica di servizio ad una o più code di attesa. L’utente era al servizio dellamacchina; portava il suo pacco di schede alla stazione d’ingresso e tornavain un secondo tempo a ritirare i tabulati dei risultati, con conseguenti di-sfunzioni e ritardi nella messa a punto dei programmi e successivamentenella valutazione dei risultati dei calcoli eseguiti.

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La continua e inarrestabile evoluzione del-le tecnologie elettroniche, dai tubi elettronici,ai transistori, alla integrazione a piccola, me-dia, grande e grandissima scala tuttora in cor-so con conseguente aumento della potenzaelaborativa e delle affidabilità e continuità diservizio, e la riduzione dei costi; la sempre piùdiffusa rappresentazione numerica dell’infor-mazione che ha via via sostituito in ogni ap-plicazione e apparato la sua rappresentazioneanalogica; la convenienza economica e fun-zionale di un colloquio uomo-macchina sem-pre più orientato all’uomo e al suo modo diesprimersi e quindi più naturale ed efficiente,hanno motivato inizialmente lo sviluppo dellamultiprogrammazione, con la presenza con-temporanea in memoria di più programmi edi circuiteria specializzata per proteggere iprogrammi dalla reciproca interferenza. Lamultiprogrammazione assegnava le risorse dicalcolo al programma pronto per l’esecuzionein testa ad una coda di attesa, per un assegna-to lasso di tempo o fino a quando avesse ri-chiesto una operazione di input/output, dopodi che lo rimetteva in fondo alla coda di atte-sa; in questo modo tutti i programmi in attesaricevevano attenzione a turno, implicitamenteavvantaggiando quelli che richiedevano pocotempo di calcolo. Hanno quindi motivato il ti-me sharing, una politica di gestione delle ri-sorse di calcolo che ha fatto apparire all’uten-te remoto come se la macchina fosse a luicompletamente dedicata. Con il time sharingl’utente accedeva al sistema da remoto con una telescrivente, inviando co-mandi al sistema operativo e attivando l’esecuzione di programmi e rice-vendo i risultati sulla propria stampantina; la telescrivente è stata successi-vamente sostituita da una tastiera e da un monitor anche con funzioni gra-fiche e con stampante. Ciò è stato alla base dell’importanza crescente as-sunta dalle modalità grafiche di rappresentazione dell’informazione perpermetterne all’utente una visione sintetica e una più facile acquisizione; atale scopo sono stati sviluppati appositi apparati con monitor grafici attrez-zati con opportuni strumenti d’interazione.

Le stesse motivazioni, congiuntamente con la standardizzazione dei ca-nali (bus) di comunicazione tra le unità di un calcolatore e verso l’esterno,hanno portato allo sviluppo dei minicalcolatori, caratterizzati da costi rela-tivamente contenuti e facile integrabilità in sistemi più complessi (sistemidi misura, sistemi di controllo, centraline di commutazione telefonica, si-stemi dipartimentali integrati in un sistema di elaborazione più complesso,ecc.). Di pari passo si sono evoluti i sistemi operativi, adattandosi alle esi-genze dei minicalcolatori e delle applicazioni cui sono dedicati; appare an-che il sistema Unix, multiutente e interattivo, capostipite di una grande fa-miglia di prodotti tra i quali vanno ricordati Linux, in particolare GNU/Li-

Fig. 4 Un PC-Olivetti assai diffuso all’iniziodegli anni ’80 del secolo scorso.Fig. 5 I primi computer avevano notevolidimensioni e occupavano molto spazio. Inquesta fotografia un computer installato inun locale di fortuna.

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Fig. 6 Una scheda perforata conteneva 80colonne e 11 righe, la moderna «chiavetta»qui riprodotta può contenere fino a 1 milionedi byte.

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nux, e i molti prodotti conformi allo standard Posix, che garantisce una re-ciproca compatibilità necessaria per stimolare ulteriori sviluppi.

Da un lato, l’enorme sviluppo della tecnologia elettronica digitale hacomportato la possibilità di disporre di componenti a costi molto contenutie molto potenti dal punto di vista computazionale; dall’altro lo sviluppodella comunicazione grafica con il calcolatore ha messo in evidenza l’effi-cacia di una tale modalità di comunicazione. Dalla combinazione di questedue tecnologie sono nati le stazioni di lavoro e soprattutto il Pc (PersonalComputer), motore di una vera rivoluzione nell’uso di un mezzo di calcoloper una grande varietà di applicazioni, oggi rappresentate ad esempio daiprodotti Office di Microsoft e dai molti altri prodotti applicativi disponibili.Gli strumenti di interazione sono da un lato la tastiera, il mouse e il touch-screen, dall’altro un’unità grafica per messaggi di varia natura, organizzatacon icone, oppure un microfono e un altoparlante. Il mercato dei Pc non èpiù solo quello degli ambienti di lavoro, ma quello più ampio delle famiglie,delle abitazioni e del tempo libero. Il Pc si è evoluto nel tempo da appa-recchiatura ingombrante a portatile multifunzionale. Sono nati i notebooko laptop, portatili con dispositivi di puntamento sensibili al tatto (touchpad)o palline simili al mouse rovesciato (trackball) e presentazione delle infor-mazioni su uno schermo miniaturizzato.

A questi prodotti a partire dalla metà degli anni Ottanta si affianca losviluppo della rete di calcolatori, che ha portato all’incredibile esplosionedi Internet. Da struttura di interconnessione di macchine per specifiche ap-plicazioni, quali il calcolo scientifico, la rete oggi rappresenta un diffusostrumento di informazione, di comunicazione, di accesso alla potenza ela-borativa, di connessione a sistemi aziendali, in modalità sia wired (cioè viacavo) sia wireless (senza cavo). Alla diffusione della rete si è affiancato losviluppo di sistemi operativi di rete o addirittura sistemi operativi distribuitioperanti su più processori interconnessi.

In parallelo con lo sviluppo dei Pc, si è attuato un tumultuoso affermarsidei telefoni wireless, inizialmente costosi e ingombranti, oggi molto piùeconomici e di dimensioni minime. Va osservato che nulla osta alla minia-turizzazione ulteriore di tali apparati, e in generale degli strumenti infor-matici, se non il fatto che devono interagire con l’uomo, i cui sensi dell’u-

dito e della vista e le cui mani non sono cam-biati negli ultimi millenni. I telefonini o telefo-ni cellulari, nati per permettere di comunicareanche in posti dove il telefono fisso non eradisponibile, sono oggi un diffuso strumento dilavoro, ma all’altro estremo anche un gadget inpossesso di molti bambini per comunicare,per giocare e per accedere ai molteplici servizidi rete.

La tecnologia dei telefoni cellulari si prestaa potenziamenti come capacità di memorizza-zione delle informazioni, di loro elaborazione,di loro presentazione in modo adeguato peruna facile comprensione da parte dell’uomo,e di accesso alla rete, potenziamenti che li tra-sformano in piccoli elaboratori connettibili inrete per una varietà di servizi e applicazioni.Questa stretta sinergia, non più semplicemen-

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te complementare, tra metodi, tecnologie estrumenti propri delle telecomunicazioni edell’informatica sta introducendo un’ulteriorerivoluzione nel modo di comunicare, informar-si, lavorare, divertirsi, i cui sviluppi e conse-guenze non sono ancora perfettamente preve-dibili. In questo contesto va letta la presenzadel palmare, un apparato con capacità di ope-rare in rete, di offrire servizi Gps (Global Posi-tioning System), di fare telefonate e fotografie,di essere un Pc in miniatura, di offrire un am-biente standard per molteplici applicazioni. Laforza del palmare sta nella sua diffusione (tantoda diventare un fenomeno sociale), nella suaportabilità (sta nel taschino di una giacca), nelsupportare la multimedialità (musica Mp3, foto-grafie, giochi, partite di calcio in diretta, ecc.), nell’ampia connettività, nelbasso costo, nella semplicità d’uso, nell’offrire uno standard per lo svilup-po delle applicazioni che garantisca una loro adeguata indipendenza dallapiattaforma.

La rivoluzione prodotta dall’esplosione delle tecnologie dell’informa-zione non ha precedenti nella storia delle innovazioni tecnologiche e delloro impatto sulla vita degli esseri umani: una ragione profonda di ciò èche l’uomo vive d’informazione, della sua memorizzazione ed elaborazio-ne e questa “protesi” potente e versatile, come sempre più può diventareil palmare, ne modifica radicalmente il modo di lavorare, di informarsi eistruirsi, di decidere, di pianificare la propria attività, di socializzare, di go-dere del tempo libero con conseguenze tuttora non ben valutate. Per que-sto motivo i governi, le organizzazioni e i singoli individui farebbero ungrave errore se vedessero questa rivoluzione come un fatto meramente tec-nologico. Essa è sostanzialmente un fatto sociale ed etico e va consideratanel contesto in cui viene posta e come uno strumento per facilitare l’inte-razione sociale, per promuovere l’uomo e il benessere pubblico. Le enormipotenzialità offerte pongono altrettanto gravi problemi etici connessi conla necessità di evitare il ben noto digital divide, che finirebbe per esclu-dere da una varietà di servizi e opportunità soprattutto le persone non piùgiovani, e quindi di programmare un’attività formativa capillare per per-mettere un accesso diffuso a questi nuovi strumenti, di educare in parti-colar modo i giovani ad un uso consapevole e ragionato di queste nuovepossibilità, di redigere norme per un uso corretto delle tecnologie IT e del-le informazioni rese disponibili e di farle rispettare, di operare per una so-luzione ragionata del problema della privacy, di quello della superficialitàconseguente alla eccessiva valorizzazione dell’episodico, di quello dellapirateria, cioè del non rispetto della proprietà intellettuale. Questa rivolu-zione è però, d’altra parte, un’occasione unica, da cogliere in tempi moltobrevi, per promuovere una nuova pedagogia attenta alle notevoli poten-zialità dell’“homo zappiens”, quali appaiono essere i ragazzini cresciuti conle nuove tecnologie IT, per valutare attentamente le implicazioni sociali ecomportamentali conseguenti alla globalizzazione delle informazioni edelle conoscenze e alla rapidità con la quale queste vengono diffuse, perfavorire un’attitudine diffusa a giudicare con consapevolezza e cogliere alvolo le molteplici opportunità offerte.

Fig. 7 Due modelli di smartphone contastiera da macchina da scrivere (QWERTY),consentono di telefonare, mandare e riceveremessaggi, scattare fotografie e inviareimmagini, connettersi a internet, organizzarel’agenda, riprodurre musica e archiviarequalsiasi tipo di informazione e tante altrefunzioni ancora.

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!1. Per brevità, nel resto di questo articolo u-seremo il termine “linguaggi di programma-zione” per riferirci ai linguaggi di programma-zione ad alto livello.

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I linguaggi di programmazioneCos’è un linguaggio di programmazione?Oggi è diventato normale usare quotidianamente strumenti fisicamente“piccoli”, come un calcolatore portatile o uno smartphone, per compierefacilmente operazioni come inviare messaggi, navigare su Internet, dise-gnare, archiviare e modificare fotografie, ecc. Tutte queste possibilità ci so-no offerte attraverso programmi che permettono di elaborare dati e intera-gire con il mondo esterno. All’interno del calcolatore, le informazioni (sianoesse dati o programmi) sono sempre rappresentate come sequenze di bit(le cifre binarie 0 e 1). In modo molto semplificato, un calcolatore, o megliola sua unità centrale di elaborazione (Central Processing Unit o, più breve-mente, Cpu) è in grado di interpretare particolari sequenze di bit di lun-ghezza prefissata (32 o 64 nelle più comuni Cpu attualmente sul mercato)come istruzioni. Queste istruzioni, che costituiscono il cosiddetto linguag-gio macchina, effettuano semplici operazioni, come cambiare il contenutodi una cella di memoria, eseguire la moltiplicazione di due numeri o tra-smettere sulla rete una sequenza di bit.

Tutti i sofisticati programmi che vengono eseguiti dalla Cpu sono for-mati da sequenze di istruzioni (spesso migliaia e più) in linguaggio mac-china. È chiaro che sarebbe un’impresa davvero improba scriverli diretta-mente in questa forma, per quanto fosse proprio quello che succedeva neiprimissimi tempi dell’informatica. Fortunatamente, non è più così: i lin-guaggi di programmazione ad alto livello forniscono un tramite tra il lin-guaggio direttamente eseguibile dalla macchina e quello utilizzato da unumano per descrivere una procedura di calcolo1. Un linguaggio di pro-grammazione è, quindi, un linguaggio per la comunicazione uomo-calco-latore, e come tale si situa a un livello intermedio tra i linguaggi naturali ei linguaggi macchina. In altre parole, è un linguaggio che permette di de-finire in modo rigoroso procedure di calcolo eseguibili da una macchina,dette algoritmi, in modo indipendente dall’architettura della macchina sot-tostante.

È utile ricorrere all’analogia con i linguaggi naturali per comprenderemeglio le varie componenti che costituiscono un linguaggio di program-mazione. La comprensione di un linguaggio naturale richiede:

a) la conoscenza di quali sono le parole che possono essere utilizzateper formare frasi del linguaggio (dizionario), e di quali, tra le frasi compo-ste con parole di quest’ultimo, sono corrette (sintassi, cioè le regole gram-maticali);

b) la comprensione del significato di tali frasi (semantica).Naturalmente, i linguaggi naturali non sono formali, ossia non sono de-

finiti in maniera rigorosa. In altri termini, non è possibile tracciare un con-fine netto tra le parole e le frasi “corrette” e quelle che non lo sono (peresempio, la frase «wxfgh non è una parola italiana» è una frase italiana sen-sata); inoltre, la semantica è spesso ambigua. Per un linguaggio di program-mazione, invece, dizionario, sintassi e semantica, ossia la descrizione diquali sono i programmi ben formati e di quale è l’effetto della loro esecu-zione, devono essere dati in maniera rigorosa. In particolare, dizionario e

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sintassi vengono specificati attraverso un formalismo non a caso chiamatogrammatica libera da contesto e inventato negli anni Cinquanta da un lin-guista, Noam Chomsky. Tali grammatiche si possono rappresentare grafi-camente tramite diagrammi sintattici, come quello riprodotto in basso, chedescrive la sintassi delle usuali espressioni aritmetiche, costruite usando inumeri e i quattro simboli di operazione.

In particolare, un’espressione può essere scritta in tre modi (che corri-spondono ai tre percorsi, da sinistra a destra, presenti nel diagramma as-sociato a espressione): come un numero, come un’espressione seguita daun operatore e un’altra espressione, oppure come un’espressione racchiusafra parentesi tonde. Il fatto che la descrizione di come può essere formataun’espressione includa la presenza di altre espressioni rende possibile de-scrivere espressioni di complessità arbitraria.

Chiaramente, perché un linguaggio di programmazione possa essereutile in pratica, i programmi scritti nel linguaggio devono “essere eseguiti”,in qualche modo, su un calcolatore che di per sé è in grado di riconosceresolo il proprio linguaggio macchina. Il procedimento che permette di otte-nere questo effetto si chiama implementazione del linguaggio. Ci sono fon-damentalmente due approcci che permettono di “eseguire” programmi adalto livello: la compilazione e l’interpretazione. Nel primo caso il linguag-gio ad alto livello viene tradotto nel linguaggio della macchina sottostante,attraverso uno strumento chiamato compilatore. Quindi, il linguaggio diprogrammazione viene “portato a livello della macchina”. Nel secondo ca-so, invece, viene simulata una macchina che può eseguire direttamente iprogrammi nel linguaggio ad alto livello, attraverso uno strumento dettointerprete. È quindi, in un certo senso, la macchina a essere portata al li-vello del linguaggio di programmazione; in questo caso si parla anche dimacchina astratta. Si noti che sia il compilatore sia l’interprete sono a lorovolta programmi.

Come deve essere un buon linguaggio?Un buon linguaggio di programmazione deve anzitutto aiutare a minimiz-zare gli errori di programmazione, ossia a garantire la correttezza del co-dice. Questa qualità comprende varie caratteristiche anche in conflitto traloro, come le seguenti:

• Scrivibilità, ossia la soluzione di un problema deve poter essere de-scritta nel modo più naturale possibile.

• Leggibilità, ossia deve essere facile, leggendo un programma, capirneil comportamento.

• Semplicità, ossia il linguaggio deve essere basato su pochi e sempliciconcetti.

• Robustezza, ossia la capacità del programma di non reagire catastro-ficamente in caso di imprevisti.

Oltre a quello irrinunciabile della correttezza, un altro requisito estre-mamente importante nello sviluppo del software è la mantenibilità (main-tainability). Infatti, un sistema software complesso non è un’entità mono-litica la cui costruzione parte da zero e termina a un dato momento; si tratta,al contrario, di un processo continuo. Alcune caratteristiche che miglioranola mantenibilità sono le seguenti:

• Fattorizzazione, ossia il modellare caratteristiche che costituisconoun’unità dal punto di vista logico in un unico frammento di codice. Alla fat-

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torizzazione corrisponde la localizzazione, ossia, a piccoli cambiamentinella descrizione del problema da risolvere devono corrispondere piccolicambiamenti nel programma.

• Modularità (strettamente collegata alla fattorizzazione): il linguaggiopermette la scrittura di parti di programma indipendenti (moduli).

• Integrabilità: dovendo scrivere programmi “non da zero”, può capita-re di dover utilizzare parti di codice scritte in altri linguaggi.

• Portabilità: un programma che gira su una certa macchina può fun-zionare su un’altra senza doverlo modificare.

• Un’altra famiglia di requisiti importanti nella pratica è quella legataall’efficienza, ossia la velocità di esecuzione (tutti abbiamo sperimentatoquanto sia frustrante dover aspettare “a lungo” una risposta da un program-ma) e l’uso oculato delle risorse del sistema su cui il programma gira, comela memoria. Tuttavia questi requisiti, inizialmente fondamentali, oggi ten-dono a passare in secondo piano rispetto a costi di produzione e di manu-tenzione, portabilità, riusabilità e così via.

• Infine, può avere un peso anche la diffusione del linguaggio, in quan-to più è numerosa la comunità dei programmatori tanto più è facile trovaremateriale, aiuto, librerie di funzioni, documentazione, consigli, strumenti disviluppo.

Paradigmi di programmazioneIl numero di linguaggi naturali diversi parlati nel mondo è enorme, ed esi-stono “famiglie” di linguaggi che presentano molte somiglianze tra loro. Peresempio, italiano ed inglese, pur abbastanza diversi da rendere difficile lacomprensione reciproca, presentano una struttura della frase simile e mol-tissimi vocaboli che risalgono a una radice comune. Al contrario, italiano ecinese non solo sono completamente diversi come lessico, ma obbedisconoanche a una logica sottostante completamente diversa che rende non ba-nale il processo di traduzione.

Analogamente ai linguaggi naturali, anche i numerosissimi linguaggi diprogrammazione inventati dagli inizi dell’informatica a oggi possono esse-re più o meno simili tra loro, e in particolare possono essere raggruppatiin “famiglie” di linguaggi che a grandi linee sono basati sullo stesso mododi descrivere un algoritmo. Queste famiglie sono i paradigmi. In altre pa-role, la soluzione a uno stesso problema può essere data seguendo stilimolto diversi.

Un po’ di storiaCome già ricordato, i primissimi calcolatori venivano programmati in lin-guaggio macchina, ossia tramite sequenze di istruzioni scritte come succes-sioni di bit, o in assembler, un linguaggio equivalente al linguaggio mac-china nel quale vengono usati simboli mnemonici al posto dei numeri.Chiaramente, programmare in questo modo richiedeva molto tempo ed eraestremamente soggetto a errori. Inoltre, un linguaggio macchina per suanatura è legato all’hardware sottostante e quindi cambiare calcolatore po-teva voler dire ritrovarsi a dover usare un linguaggio macchina (o assem-bler) completamente diverso.

La situazione era tutt’altro che ideale, ma all’epoca il tempo dei calco-latori era immensamente più costoso del tempo dei programmatori; quindi,erano questi ultimi a doversi adattare a linguaggi le cui caratteristiche eranodeterminate dall’hardware.

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I primi tentativi di definizione di linguaggi ad alto livello risalgono aglianni Cinquanta. In particolare, nel 1957 John Backus introdusse il FOR-TRAN, un linguaggio che permise, per la prima volta, di scrivere formuleusando i simboli matematici tradizionali, come + e *. Dato che l’hardwareera molto costoso, i requisiti di efficienza erano il vincolo principale nellaprogettazione di nuovi linguaggi. I più significativi di questa fase sono ilgià citato FORTRAN, ALGOL, progenitore di Pascal e C, e COBOL. Questilinguaggi sono stati molto importanti; nonostante l’età, FORTRAN e CO-BOL sono ancora largamente usati, sia per la riluttanza degli utenti a cam-biare (riscrivere i miliardi di linee di codice esistenti sarebbe un’operazionecomplessa e decisamente costosa) sia per il fatto che essi si sono, nel frat-tempo, evoluti.

Intorno agli anni Sessanta vi sono stati alcuni tentativi di definire deilinguaggi basati su un modello di calcolo descritto formalmente, piuttostoche sull’efficienza dell’implementazione. Per esempio, nel 1958 nasce LISP,che ha dato l’avvio al paradigma funzionale. LISP ha un unico tipo di dato,le liste, e ha avuto un notevole successo nel campo dell’intelligenza artifi-ciale. Sempre in quegli anni nasce BASIC, che, grazie a una sintassi sem-plicissima, è diventato molto popolare. Alla fine degli anni Sessanta nasco-no il Simula, che introduce la nozione di classe ed è quindi considerato ilprogenitore del paradigma object-oriented oggi molto diffuso, e il Pascal,progettato soprattutto come strumento didattico.

Negli anni Settanta i computer sono ormai diventati molto più potentidei loro antenati e assieme ai requisiti di efficienza, sempre presenti, diven-tano predominanti quelli di correttezza e mantenibilità. Nascono il C, cheavrà molto successo grazie al suo legame con il sistema operativo Unix, ilsuo potere espressivo e la sua efficienza, il Prolog, capostipite del paradig-ma logico, e Smalltalk, progenitore del paradigmaobject-oriented modernamente inteso.

Gli anni Ottanta sono un periodo di relativo con-solidamento, con una maggiore attenzione alla «pro-grammazione su larga scala» (programming in the lar-ge). Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti spon-sorizza la progettazione di un nuovo linguaggio, chesarà Ada, in onore di Ada Byron Lovelace, consideratala prima programmatrice della storia.

Il C++, derivato dal C, combina la programmazioneobject-oriented e la programmazione di sistema a bas-so livello, in un linguaggio multiparadigma che avràun notevole successo. Il boom di Internet crea interes-se per linguaggi orientati alle applicazioni di rete, por-tando in primo piano problematiche di distribuzione,sicurezza e concorrenza.

Negli anni Novanta, la Sun Microsystems introduceJava, un linguaggio che deve la sua popolarità all’in-tegrazione con uno dei primi web browser, NetscapeNavigator. Sempre grazie a Internet, acquistano gran-de popolarità linguaggi legati al web come JavaScriptper il lato client e PHP per il lato server.

Tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001 nasce la piat-taforma .NET di Microsoft, che permette di combinare,

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Fig. 1 Ada Byron Lovelace.

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con libertà e facilità, componenti software scritte in linguaggi diversi. As-sieme alla piattaforma nasce anche C#, un linguaggio molto simile a Java ein diretta concorrenza con quest’ultimo.

Tra gli sviluppi più recenti citiamo la programmazione aspect-oriented,che punta a risolvere particolari problemi di modularizzazione, e l’integra-zione a livello di linguaggio di aspetti che, storicamente, sono stati consi-derati separatamente: per esempio, il progetto LINQ aggiunge ai linguaggiper la piattaforma .NET una sintassi che ricorda quella di SQL (StructuredQuery Language) per lavorare su collezioni di dati generiche, come array,documenti XML o database.

Il futuro dei linguaggi di programmazioneI linguaggi di programmazione sono alla base dell’informatica: la ricerca dinuovi paradigmi, di tecniche innovative di implementazione e di strumentia supporto della programmazione è sempre attuale. Tuttavia, rispetto aqualche decennio fa, questa ricerca è diventata assai più impegnativa, per-ché ideare e realizzare un nuovo linguaggio di successo richiede semprepiù, oltre a risorse finanziarie e umane non indifferenti, competenze in di-scipline diverse dall’informatica, come la verifica automatica, l’ingegneriadel software, la sicurezza e l’architettura dei computer.

I linguaggi del futuro dovranno conciliare due esigenze contrapposte:da una parte, offrire sempre maggiore espressività, basandosi su modelliintuitivi slegati dal modello computazionale sottostante, in modo da miglio-rare la produttività del software; dall’altra, stare al passo con il rapido evol-versi delle architetture hardware, in modo da sfruttare pienamente le po-tenzialità offerte dalle Cpu di nuova generazione.

I linguaggi multiparadigma sono una risposta alla crescente richiesta dimaggiore flessibilità di utilizzo; per esempio, diversi linguaggi sono nati osi sono evoluti come contaminazione tra il paradigma object-oriented equello funzionale. Esistono addirittura linguaggi di ricerca, come Oz, cheincorporano tutti i principali paradigmi di programmazione attualmenteesistenti. Mentre questi linguaggi sono general purpose, ossia progettati peruna vasta gamma di possibili utilizzi, recentemente stanno riscuotendo suc-cesso i linguaggi domain specific, che, come suggerisce il nome, vengonoideati per domini di applicazione particolari e hanno il vantaggio di poteressere facilmente utilizzati dagli esperti del dominio, senza bisogno digrandi competenze informatiche.

Infine, la recente diffusione sul mercato di Cpu multi-core, dove più pro-grammi possono essere eseguiti in parallelo (ossia, simultaneamente), hadato nuovo impulso al paradigma di programmazione parallela. Sono ba-sati su tale paradigma linguaggi sperimentali come Fortress e X10, svilup-pati rispettivamente da Sun e IBM, che, attraverso diverse astrazioni, per-mettono al programmatore di sfruttare al meglio il livello di parallelismoofferto dalla macchina sottostante.

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La dimensione tecnologica3 • Davide Ancona, Giovanni Lagorio, Elena Zucca • I linguaggi di programmazione

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4Vito Svelto

Le tecnologiedell’estremamente piccoloLe persone di una certa età ricordano le radio a cinque valvole ed il loroutilizzo durante la seconda guerra mondiale per informazione e per intrat-tenimento. Oggi piacciono tanto quei bei mobili in legno, a volte delle di-mensioni di un odierno apparecchio televisivo con display con tubo a raggicatodici. Il Pc che sto utilizzando per queste note, o anche il diffusissimotelefono cellulare, hanno un numero di componenti attivi che è dell’ordinedei miliardi: non si tratta più di valvole, che somigliavano a lampadine invetro, ma di transistori, minuscoli oggettini realizzati con il silicio.

La facile disponibilità di componenti funzionali che occupano poco spa-zio, consumano pochissimo ed hanno una lunga vita utile è legata alla tec-nologia dei semiconduttori, essenzialmente del silicio. In poco più di mez-zo secolo i progressi tecnologici sono stati enormi, tanto da essere sbalor-ditivi anche per chi ha vissuto l’evoluzione dell’elettronica. È questa tecno-logia che è alla base della rivoluzione digitale che ci ha condotto nella so-cietà dell’informazione e della conoscenza.

I transistoriL’industria dei semiconduttori ha oggi raggiunto un fatturato pari a 250 mi-liardi di dollari. Per un apprezzamento di questi enormi importi, si fa pre-sente che il Pil di una nazione come l’Italia è maggiore, rispetto a tale im-porto, solo poco più di quattro volte.

Il punto di partenza fu l’invenzione del transistore, che ebbe luogo neilaboratori della Bell in Murray Hill (NJ, Usa), nel 1948; per tale invenzioneWilliam Shockley, John Bardeen e Walter H. Brattain furono insigniti delpremio Nobel per la fisica nel 1956. L’esigenza di individuare componentipiù adeguati per lo sviluppo dell’elettronica era legata alle limitazioni degliapparati allora disponibili, peraltro usati nelle comunicazioni radio e telefo-

Fig. 1 Un insieme di singoli transistori inseritiin adeguati contenitori metallici, su unavecchia scheda di memoria di un calcolatoreNixdorf del 1969.Fig. 2 Una scheda elettronica costituita da uncircuito stampato sul quale sono montati edinterconnessi numerosi componenti discretied integrati per realizzare una funzioneelettronica.

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La dimensione tecnologica4 • Vito Svelto • Le tecnologie dell’estremamente piccolo

niche. I tubi a vuoto erano ingombranti e poco affidabili e dissipavano unanotevole potenza elettrica; i relais elettromeccanici, usati nelle centrali te-lefoniche, erano lenti ed anch’essi ingombranti e poco affidabili. L’idea e ilcompito di trovare adeguati sostituti per i tubi a vuoto con dispositivi allostato solido e, più precisamente, a semiconduttore erano nella missione co-stitutiva del gruppo di Shockley alla Bell.

Il semiconduttore inizialmente usato per lo sviluppo del dispositivo atti-vo che fu chiamato transistore, fu il germanio. Il transistore aveva molteplicicaratteristiche che lo rendevano migliore rispetto al tubo a vuoto, nell’am-plificazione di segnali elettrici, che era allora la principale funzione elettro-nica. Molteplici apparati esistenti furono “transistorizzati”, realizzati cioè contransistori, invece che con i tubi a vuoto, migliorandone nettamente le carat-teristiche.

In pochi anni ebbe luogo l’invenzione del circuito integrato, che si ri-conduce a Jack Kilby, della Texas Instruments, nel 1958. Lo sviluppo e lagrande affermazione dei circuiti integrati, sono dovuti all’interconnessionedi diversi transistori sulla stessa piastrina, fu realizzato nel silicio: questosemiconduttore continua ad essere il materiale leader per lo sviluppo deicircuiti integrati.

Il modello di sviluppo a rete Le basi tecnologiche della rivoluzione digitale sono state poste nel decen-nio 1950-60. La diffusione dell’invenzione del transistore al di fuori dei la-boratori Bell è legata al modello di impresa diffusa usato da questi labo-ratori per estendere e utilizzare le proprie conoscenze: alle imprese inte-ressate furono offerti la licenza d’uso ed il know-how relativo al transistoree agli sviluppi relativi, dietro un pagamento di una anticipazione fissa sullefuture eventuali royalties. L’invenzione non fu tenuta in casa, nel gruppoATT, allora monopolista della telefonia negli Usa; l’offerta del ritrovatocoinvolse oltre quaranta imprese, principalmente statunitensi, sia prove-nienti dal mondo dei produttori di tubi a vuoto, sia operanti in altri settori,anche non elettronici. L’invenzione del circuito integrato aveva avuto luo-go alla Texas Instruments, perché questa, sorta per operare nel campo del

petrolio, voleva diversificarsi affrontando la produ-zione dei transistori. All’invenzione del circuito in-tegrato, specialmente nella forma che si rivelò ade-guata ai successivi sviluppi, contribuì Robert Noycedella Fairchild Semiconductors, impresa creata dapersone fuoriuscite dalla Bell, dal gruppo, cioè, cheaveva inventato il transistore e la tecnologia dei se-miconduttori. La partecipazione alle conoscenze,ma anche al futuro sviluppo industriale, da parte dinumerose e diverse imprese, contribuì a creare ra-pidamente un vasto mercato manifatturiero di tran-sistori e di circuiti integrati, ma anche di utilizzatoridei ritrovati in diversificate applicazioni. Si creò uninsieme di persone operanti nel campo dei semi-conduttori, che avevano acquisito l’informazioneprimaria dai laboratori Bell, ma che si erano cono-sciuti ed avevano apprezzato il vantaggio della co-municazione abbastanza libera e della condivisionedell’informazione. Il clima delle imprese statuniten-

Fig. 3 I ricercatori-progettisti Grove, Boyce eMore in una fotografia del 1978 insieme aduno dei primi esempi di pellicola adeguata atrasferire immagini per realizzare circuitielettronici.

Fig. 4 Chips di un circuito integrato realizzatisu di uno strato-fetta di semiconduttore di uncalcolatore sperimentale progettatodall’Università di California a Berkeley. Ognichip misura 5 mm.

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si, in particolare di quelle operanti là dove si sarebbe realizzata la SiliconValley, contribuì ad attenuare fortemente la rilevanza della segretezza in-dustriale delle conoscenze; le persone si muovevano frequentemente daun’impresa ad un’altra, magari creando nuove imprese; difficilmente, an-che volendolo, si poteva limitare l’accesso alle informazioni. Complessiva-mente si può osservare che ciò non è stato secondario nel formare un nu-mero di persone operanti nel settore che costituirono una massa sopra-critica, importante nelle fasi di industrializzazione dei prodotti.

Lo sviluppo dell’elettronicaL’elettronica superò il campo della radiotelefonia e pervase in modo tra-sversale quasi tutti i campi d’interesse umano. I transistori furono impiega-ti, inizialmente, per gli apparecchi radio, piccoli e portatili: ricordo ancorache tali radio venivano sinteticamente chiamate «il transistore». Ebbero ap-plicazioni civili nella realizzazione di apparati acustici per persone con dif-ficoltà di udito. Dimensioni, peso e consumo limitati furono aspetti che re-sero queste applicazioni utili per utenti mobili.

È indubbio che l’interesse militare nell’acquisire svariati prodotti dell’e-lettronica con transistori e nel valutarne le potenzialità d’uso, ha costituitoun forte supporto indiretto allo sviluppo del settore. Non bisogna dimen-ticare, peraltro, che lo sviluppo della tecnologia del silicio e dei circuiti in-tegrati è stato il frutto dell’industria privata statunitense, trainata dal grandemercato delle applicazioni militari e civili, anche se poco finanziato, diret-tamente, da fondi pubblici.

Gli anni Cinquanta videro l’affermarsi in ambito industriale della tecno-logia di produzione dei semiconduttori, principalmente transistori del tipoa giunzione, con caratteristiche sempre più coerenti con le previsioni teo-riche e con continue migliorie del processo produttivo. L’obiettivo di fondoera la riproducibilità dei prodotti, il raggiungimento, cioè, di una elevataresa di produzione di transistori con caratteristiche simili e adeguate, daimpianti sempre più automatici.

Il circuito integratoÈ importante far presente che, sia con tubi a vuoto che con transistori, qual-siasi apparato funzionale (quale una radio, un televisore, un telefono cellu-lare) oltre che dei componenti attivi, i transistori, necessita anche di altri com-ponenti (quali resistori, condensatori, ecc.) da interconnettere, per ottenereun circuito elettronico funzionalmente valido.

Uno dei vantaggi dei transistori era costituito dalle sue piccole dimen-sioni: una riduzione enorme rispetto ai tubi a vuoto, ma senza una paral-lela diminuzione degli altri componenti e delle interconnessioni tra uncomponente ed un altro, la dimensione complessiva dell’apparato, pur ri-ducendosi, restava elevata e non coerente con quanto ottenuto con i tran-sistori. Miniaturizzare anche gli altri componenti, diversi dai transistori, ecollegarli tra loro con conduttori di piccole dimensioni conduceva ad unpiccolo apparato. La realizzazione di tutti i componenti (attivi e passivi,transistori e resistori) in una struttura compatta e piccola, effettuata su diuna sottile piastrina di silicio, costituisce il circuito integrato nel silicio. Ilsingolo transistore ha dimensioni submicrometriche. Si fa presente che uncapello umano, per fare un confronto, ha le dimensioni di circa 100 mi-crometri. L’invenzione del circuito integrato monolitico nel silicio la si de-

Fig. 5 Un circuito integrato inserito in uncontenitore per montaggio superficiale con 8piedini montato, tramite saldature, su di uncircuito stampato che lo interconnette adaltri componenti.

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ve, come si diceva, a Jack Kilby della Texas Instruments, che realizzò nel1958 un piccolo amplificatore integrato interconnettendo solo pochi com-ponenti (una decina), attivi e passivi. Era stato questo il primo passo dellarivoluzione tecnologica della microelettronica, che doveva portare a rea-lizzare su superfici di silicio dell’ordine del millimetro quadrato (con spes-sori inferiori al millimetro) circuiti funzionali con milioni di transistori. Lepiccole dimensioni comportano funzionalità accresciute, consumi energe-tici ridotti, e costi minimi.

Bisogna osservare che nella realizzazione di dispositivi che debbonotrattare segnali elettronici, che sono il supporto di “informazioni”, che, ov-viamente, non hanno dimensioni geometriche o peso, non esiste un limitedimensionale come per altri oggetti manufatti, destinati ad interagire diret-tamente con l’uomo (come un’autovettura, una lavatrice, ecc.). Gli apparatielettronici debbono avere parti con dimensioni “umane” solo allorquandodevono interfacciarsi direttamente con i sensi dell’uomo; è il display chedetermina le dimensioni di un televisore o di un Pc, non l’elettronica di ac-quisizione dei segnali e della loro elaborazione.

Nella fabbricazione sia dei singoli transistori sia dei circuiti integrati,l’aumento della produzione contribuisce a migliorare le rese produttive, se-condo una curva di apprendimento del processo produttivo. Ciò consentedi ridurre il costo del singolo prodotto, del singolo transistore, in modopiuttosto drastico. La diminuzione dei costi dei dispositivi a semiconduttorenel tempo, con l’aumento della produzione, contribuisce all’affermarsi delprodotto; maggiore è la produzione, minori sono i costi. Ciò determina unadomanda maggiore da parte del mercato, aumentano gli acquisti e, con lamaggiore produzione, diminuiscono sempre di più i costi. È questo il ciclodi reazione positiva che continua a sostenere la diffusione dei prodotti elet-tronici, il cui costo a parità di funzioni diminuisce notevolmente nel tempo.Prodotti complessi e sofisticati diventano, in poco tempo, prodotti adeguatialle disponibilità economiche di massa.

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Fig. 6. L’immagine mostra quattro circuitiintegrati, ingranditi di molto.

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mdLa legge di MooreLa riduzione dei costi del componente elementare con lo sviluppo della tec-nologia è un fenomeno peculiare dei circuiti integrati; esso si traduce nellacosiddetta «legge di Moore», da colui che mise in evidenza il fenomeno.Gordon Moore notò, nel 1965, che il numero di componenti che si riuscivaa realizzare su di una piastrina di silicio raddoppiava ogni anno, a parità diarea occupata. Dato che il costo del dispositivo dipende essenzialmentedalla superficie occupata nel silicio, da ciò deriva il rapido decrescere delcosto del componente nel tempo. Questo aspetto, che equivale ad un rapi-do miglioramento delle prestazioni e/o dei costi, ha continuato e continuaa caratterizzare la produzione dei dispositivi al silicio.

Tale fenomeno tipico e unico nell’esperienza umana e è la causa princi-pale della rivoluzione digitale e dell’affermarsi della società dell’informazio-ne: funzionalità sempre più complesse a costi sempre inferiori portano unnumero maggiore di persone ad usufruire di apparati elettronici e dei serviziconnessi determinando la pervasività dell’elettronica in tanti settori, da quel-lo di consumo, ai calcolatori, agli apparati di telecomunicazione. Nessun al-tro prodotto subisce e consente una confrontabile riduzione dei costi comeun dispositivo elettronico. Dalla prima comparsa sul mercato a solo qualcheanno dopo, un componente integrato può essere venduto ad un costo note-volmente inferiore. In questo modo l’elettronica è stata il trascinatore delprogresso scientifico e tecnologico alla base dello sviluppo economico e so-ciale che ha avuto luogo dalla seconda metà del XX secolo. Considerando leapplicazioni più attuali, la microelettronica ha avuto un ruolo chiave nellatelefonia mobile, nei “media” digitali, nei calcolatori, nelle reti di comunica-zione, in particolare per Internet, nella realizzazione di automobili semprepiù sicure e meno inquinanti, nella ottimizzazione degli apparati sanitari.

Molto spesso l’interesse commerciale ha portato a prodotti che, a paritàdi costo, rendono disponibili funzioni nettamente più avanzate; ciò è allabase di un normale sottoutilizzo degli apparati elettronico-informatici, nelsenso che l’utente medio usa una piccola parte delle potenzialità disponi-bili in un apparato.

Un effetto indiretto, ma rilevante, della legge di Moore – che in effetti con-sisteva in una semplice osservazione di ciò che era avvenuto nella produzionedei componenti integrati nel silicio – è la sua importanza predittiva. Il passatoviene estrapolato e si prevede il futuro; a livello industriale, si mette a puntoun cammino tecnologico, una “road map”, che consente di individuare le tec-nologie elementari che devono essere migliorate o addirittura introdotte, perottenere un processo produttivo che consenta di raggiungere quanto previ-sto. Nello sviluppo del processo produttivo, gli aspetti generali sono condivisidalle industrie mondiali nel settore: è anche la sinergia tra i molti partecipanti,malgrado la riservatezza industriale, che consente l’impegno di un gran nu-mero di tecnici nelle diverse imprese e, quindi, il raggiungimento degli obiet-tivi produttivi previsti nei tempi indicati. Si prevede il futuro e ci si impegnaperché le previsioni si avverino e si traducano in realtà.

Infatti, aspetto peculiare nel campo, come si è detto, è la disponibilitàa condividere informazioni scientifiche e industriali, sin dall’invenzione deltransistore.

Il microcomputerUn’altra pietra miliare nello sviluppo della microelettronica è la realizza-zione del microcomputer, che ebbe luogo presso Intel nel 1971, con l’ap-

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porto determinante di un italiano, Federico Faggin. Intel, attualmente la piùimportante impresa produttrice di semiconduttori, allora era una piccolaazienda, con un centinaio di persone, che realizzava soluzioni e circuiti in-tegrati su incarico di produttori di svariati apparati funzionali. Essa ebbel’incarico da parte di una società giapponese, la Busicom, di realizzare unaserie di circuiti integrati adeguati a diversi prodotti di calcolo, in primo luo-go ad una calcolatrice stampante da tavolo a basso costo. Per la loro idea-zione, progettazione e realizzazione fu determinante l’apporto di Faggin:questi chip sono alla base della nascita del microprocessore. Fu realizzatala famiglia 4000, che comprende quattro chip di silicio: uno, il principale,è l’unità centrale di elaborazione di uso generale, programmabile per ese-guire le funzioni della calcolatrice; altri tre chip comprendono le funzionidi memoria e di ingresso-uscita. Non si trattava dell’invenzione del compu-ter, in uso già da molti anni, a livello di grosse macchine, del costo di mi-lioni di dollari, o, anche, di minicomputer: anche in Italia Olivetti aveva rea-lizzato un calcolatore di notevoli funzionalità e dimensioni, e apparivanogià i famosi minicomputer della DEC, la famiglia PDP. Si faceva qualcosaanche di più importante: si integrava in una singola piastrina di silicio, delledimensioni di pochi millimetri, la parte essenziale di un calcolatore, l’unitàcentrale di elaborazione.

L’invenzione del microcomputer è alla base della rivoluzione microelet-tronica, cioè della diffusione di intelligenza in tanti diversi apparati, anchelontani dal calcolo e dall’elettronica. La disponibilità di un chip intelligente,di piccole dimensioni, con consumo limitato, a basso costo, programmabile,affidabile, quindi adattabile a molteplici usi, è stata fondamentale per svilup-pi e applicazioni, anche ben diversi da una calcolatrice da tavolo.

Nasceva così il microprocessore: una piastrina di silicio che misura treper quattro millimetri e contiene circa 2300 transistori MOS (Metallo OssidoSemiconduttore).

È da osservare che dal 1971 ad oggi l’evoluzione tecnologica è stataenorme: su di una confrontabile superficie di silicio si realizzano chip concentinaia di milioni di transistori, per funzionalità molteplici e variabili. Ilsingolo transistore ha oggi dimensioni di nanometri, centinaia di volte in-feriori rispetto a quaranta anni fa circa.

Dall’analogico al digitaleLa disponibilità economica di dispositivi microelettronici e l’esigenza diun’affidabile capacità di elaborare e trasmettere informazioni hanno por-tato ad utilizzare sempre più segnali digitali invece che analogici. Il mondoin cui viviamo costituisce una sorgente di segnali essenzialmente analogici;quando si parla al telefono, il microfono crea un segnale elettrico analo-gico, replica del suono che si emette. I transistori erano e sono anche uti-lizzati, quindi, per realizzare amplificatori di segnali elettrici analogici. Pe-raltro, i sistemi elettronici complessi, in particolare i calcolatori, sono ba-sati sull’uso di segnali digitali, cioè di bit: di informazione binaria, di se-gnali con due livelli significativi. I transistori si prestano anche meglionell’utilizzare i più semplici segnali digitali. Per realizzare una determinatafunzione elaborativa occorre disporre di un numero ben maggiore di tran-sistori nel caso digitale, ma si ottengono notevoli vantaggi, quale una so-stanziale insensibilità ai disturbi e indipendenza dall’origine del segnale (ibit sono bit!).

Gli apparati elettronici odierni sono principalmente digitali; si utilizza-

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mdno i notevoli vantaggi di tale tipo di segnale in circuiti integrati, per fun-zioni quale memoria o calcolo. È relativamente facile passare, dove neces-sario come in molti organi di ingresso e di uscita dell’informazione, da se-gnali analogici a digitali o viceversa.

Nel nostro telefonino noi inviamo e abbiamo di ritorno un’informazioneanalogica, il suono della voce, ma il corrispondente segnale elettrico è ela-borato e viene trasmesso nei due sensi in forma digitale.

Dalla microelettronica alla nanoelettronicaNel passare dalla microelettronica alla nanoelettronica la pervasività e l’im-portanza degli apparati, che si basano su hardware elettronico, certamentenon diminuisce. La nanoelettronica può essere definita come l’elettronicache realizza e utilizza strutture elementari dei suoi componenti con dimen-sioni nel campo dei nanometri (milionesimi di millimetri!). Finora ci si basa,principalmente, su dispositivi al silicio, sempre più adeguatamente minia-turizzati, ma la prospettiva di utilizzare dispositivi elementari consistenti insemplici atomi o molecole non è lontanissima.

I MemsLa capacità di realizzare nel silicio e sul silicio strutture meccaniche comples-se molto piccole rispetto a quelle tradizionali della meccanica, ha suggeritola possibilità di impiego di questa tecnologia anche in altri settori. I Mems(Sistemi microelettromeccanici) sono interessanti e speciali componenti, chehanno una struttura le cui parti hanno dimensioni nel campo dei micron (mil-lesimi di millimetri): possono essere completamente statici o avere qualcheparte in movimento. Il connubio tra tecnologie microelettroniche e micro-meccaniche è l’aspetto caratterizzante di questi più recenti componenti.

I Mems combinano strutture microelettroniche, micromeccaniche e, avolte, micro-ottiche e micromagnetiche: si ottengono in tal modo non solosensori ma anche attuatori.

Le prime realizzazioni furono costituite da sensori di pressione per ap-plicazioni mediche e automobilistiche. Sistemi per misurare l’accelerazio-ne trovano largo impiego negli odierni airbag per auto. Alcune testineper scrittura nelle stampanti Ink-Jet sono correntemente realizzate conqueste tecnologie. I Mems attuatori sono adeguati per il movimento dipiccoli specchi per realizzare visualizzatori di immagini o televisivi aproiezione.

Alcuni settori applicativiÈ opportuno far presente quali sono i principali settori applicativi in cui gliapparati elettronico-informatici costituiscono la tecnologia fondante.

L’utilizzo di dispositivi intelligenti di piccole dimensioni, a basso costoe consumo consente di rendere intelligente l’ambiente in cui viviamo, dallacasa, al luogo di lavoro, all’auto. Utilizzare apparati multimediali con pos-sibilità di comunicazione e interazione a distanza, riduce fortemente il pro-blema delle distanze geografiche e dei tempi di risposta; ciò rende il lavoropiù produttivo e migliora la qualità della vita. Per i singoli individui, l’uti-lizzo di apparati mobili, connessi in rete, può consentire un controllo dellapropria salute e sicurezza. Non ci sono difficoltà di principio a rendere di-sponibili apparati che inglobano telefoni mobili intelligenti, dispositivi di

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localizzazione geografica (Gps), sensori del proprio stato di salute: le pos-sibilità di facile e immediata interazione diventano elevatissime.

La disponibilità di adeguate funzionalità a basso costo è il catalizzatoredi sistemi elettronici complessi e interattivi che facilitano la vita, se ben uti-lizzati.

Notevoli sono le applicazioni e le prospettive nel campo della nanobio -elettronica. Apparati miniaturizzati, a basso costo, consentono di effettuareanalisi di liquidi organici e di individuare bassissime concentrazioni di co-stituenti, che possono essere di aiuto nelle diagnosi mediche, ad esempiodi tipo genetico.

In un altro campo, quello dei trasporti, l’utilizzo di apparati elettroniciè fondamentale per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioniinquinanti degli attuali motori, come è determinante per il controllo e la si-curezza del traffico. L’auto elettrica nelle sue diverse varianti richiede elet-tronica a basso costo, quindi miniaturizzata.

Si deve tener presente che in tutte le applicazioni di massa il costo del-l’apparato e del sistema in rete è determinante, per cui la drastica riduzionedei costi che caratterizza la microelettronica, rende realisticamente possibilinumerose applicazioni, che comportano rivoluzioni nel comportamento enella vita quotidiana.

La velocità dello sviluppo della tecnologia dei semiconduttori riferitaagli anni Sessanta è semplicemente sbalorditiva e non trova un confrontoin altri settori. La dimensione di un singolo componente, quale il transisto-re, è diminuita di ben diecimila volte ed oggi si possono integrare in di-mensioni superficiali del centimetro quadro miliardi di transistori. Ciò è allabase dei microprocessori e delle memorie digitali. Il prezzo per conservarein memoria elettronica un Gbit di informazione è diminuito di oltre un mi-lione di volte. La rivoluzione microelettronica discende da questa evoluzio-ne quantitativa rapida, che non ha confronti in altri campi.

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Oltre il mercato: la vicendadel software liberoRichard Stallman e la preistoria del software liberoIl più noto fra i primi protagonisti della storia del software libero è certa-mente Richard Marshall Stallman, «l’ultimo degli hacker», come amava de-finirsi.

Nel 1971 Richard Stallman era stato assunto come ricercatore e sistemi-sta dal leggendario Mit (Massachusetts Institute of Technology), che forseera, e continua ad essere, la più importante scuola mondiale di ingegneria.Qui, dal 1971 al 1983 aveva ingaggiato una infaticabile battaglia per un si-stema “aperto” a tutti gli utenti, contro l’utilizzo obbligatorio di codici di ac-cesso e contro i segreti dei sistemi di sicurezza.

La sua convinzione sulla non utilità e, anzi, sulla dannosità di nondiffondere il codice di controllo della macchina, basata su premesse insie-me etiche e funzionali, trasse forza dal cosiddetto «caso della stampante la-ser Xerox». Questa, messa generosamente a disposizione del laboratorio diintelligenza artificiale dalla stessa ditta, si fermava in continuazione. Per ov-viare ai frequenti guasti Stallman aveva pensato di modificare il program-ma, per attuare in un modo più veloce un pronto intervento cooperativosenza aspettare l’addetto della Xerox. Condizione essenziale per l’attuazio-ne della nuova procedura era la conoscenza del codice sorgente della mac-china, ma la Xerox, diversamente dal passato, negò l’accesso a quel codice,in quanto protetto dal copyright. Il programma proprietario non poteva piùessere conosciuto e trasformato.

Anche il laboratorio di intelligenza artificiale dovette adeguarsi, a rischiodi tagli dei finanziamenti, a quelle richieste di sicurezza che imponevano dilimitare e controllare il libero collegamento ai calcolatori del laboratorio. Co-sì quando, con l’acquisto di un nuovo Digital PDP-10, si interruppe la con-suetudine della condivisione libera delle risorse della macchina, resa possi-bile dal sistema operativo ITS (Incompatible Timesharing System), costruitodagli stessi programmatori e basato su una architettura aperta, Richard Stal-lman lasciò il Mit.

Abbandonando il suo lavoro diprogrammatore sistemista al Mit,Stallman si pose come primo obiet-tivo lo sviluppo di un sistema opera-tivo compatibile con lo Unix diAT&T, il sistema operativo allora piùdiffuso nel mondo dei mini calcola-tori.

Stallman battezzò il nuovo siste-ma operativo con l’acronimo GNU,come «GNU is Not Unix», una defini-zione ricorsiva formulata secondoun’antica consuetudine della comu-nità hacker. In altri termini: «GNUnon è lo Unix di AT&T, non è quindiproprietario, ma ha le stesse funzio-nalità ed è compatibile con quello».

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5Raffaele Meo

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Richard Stallman.

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Stallman impose per GNU un requisito fondamentale, destinato a gio-care un ruolo centrale nel mondo del software libero: essere open source.

Un programma open source è un insieme di moduli disponibili nel co-siddetto formato «sorgente», ossia nella forma in cui le singole unità com-ponenti sono state scritte dai vari programmatori. Il software sorgente, pri-ma di essere utilizzato, deve essere “compilato”, ossia tradotto nel codice“eseguibile” o codice di macchina, una innumerevole sequenza di uno e dizero, che la macchina è in grado di interpretare, ma l’uomo generalmenteno, a meno di affrontare anni di duro lavoro anche su programmi relativa-mente brevi.

Il software proprietario viene generalmente venduto in formato esegui-bile, per rendere praticamente impossibile la sua interpretazione e la suamodifica in funzione delle esigenze del suo utilizzatore. Viceversa, i pro-grammi open source, proprio perché disponibili in forma simbolica, che unprogrammatore riesce facilmente ad interpretare, sono veramente open, nelsenso che possono essere letti, corretti, trasformati in funzione di specificheesigenze.

La Free Software Foundation e la sua ideologiaPer portare a compimento il progetto GNU, nel 1985 Stallman costituì laFsf (Free Software Foundation), una organizzazione non profit basata sucontributi volontari in lavoro e in denaro.

È importante esaminare il significato attribuito al free software. Il termi-ne free che, nella lingua inglese, ha il doppio significato di libertà (comein free speech, uno dei fondamenti della costituzione americana) e gratuità(come in free beer), è inteso nella accezione di libertà e non di prezzo. Ilsoftware libero può essere venduto ma permette di capire le modalità dilavoro del programma e di adattarlo alle proprie esigenze, offre la possibi-lità di redistribuire le copie, aiuta a migliorare il programma stesso, estendele possibilità di distribuire agli altri il contributo del proprio miglioramento,consente il lavoro in collaborazione senza vincoli.

La torre di Babele delle libertà del software. Il copyleftSchematizzando sinteticamente la complessa torre di Babele delle libertàdel software, al gradino più basso, ossia al minimo livello della libertà, èovviamente allocato il software proprietario. Subito sopra sta il cosiddetto«freeware», che è il software distribuito gratuitamente, ma disponibile sol-tanto in formato eseguibile. La diffusione di freeware è una tecnica dimarketing talora adottata da aziende produttrici di software proprietarioper promuovere un nuovo prodotto. La logica del freeware è l’opposto diquella del software libero, perché il prefisso free fa riferimento al prezzo,come free beer, e non alla libertà, come in free speech.

Saltiamo mille piani intermedi per arrivare ai massimi livelli della li-bertà.

In teoria, il livello massimo della libertà con cui può essere distribuitoil software è quello che corrisponde alla denominazione di «pubblico do-minio», che da molti anni è spesso adottata nella comunità degli informatici.Un prodotto software di pubblico dominio può anche essere utilizzato perla realizzazione di software proprietari, così come è avvenuto anche permolti programmi liberi, che essendo distribuiti con licenze permissive sonostati trasformati in prodotti chiusi e proprietari.

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Tuttavia, Stallman non ritenne opportuno rendereGNU di pubblico dominio, anche se quella soluzione a-vrebbe consentito la massima diffusione del prodotto.

La scelta fu quella di proteggere il prodotto con untipo nuovo di licenza, formalmente denominata Gpl(General Public Licence) ma scherzosamente chiamata«copyleft» (la parola non compare su alcun dizionariodella lingua inglese) o «diritto di copia di sinistra», incontrapposizione al più noto «copyright», interpretatocome «diritto di copia di destra». Ognuno può modifica-re e distribuire il prodotto, ma non si possono apporrerestrizioni individuali sul prodotto redistribuito. Ilcopyleft, che in italiano è stato tradotto con «permessod’autore», consente a chi acquista un programma di uti-lizzarlo in un numero indefinito di copie, modificarlo asuo piacimento, distribuirlo nella forma originale o mo-dificata, gratuitamente o a pagamento, alle sole condi-zioni di distribuirlo in formato sorgente e di imporre achiunque acquisisca il prodotto di firmare lo stesso tipodi contratto.

Linus Torvalds e LinuxNell’arco di sei-sette anni la Fsf realizzò un’enorme mole di programmi: com-pilatori, ossia traduttori da un linguaggio sorgente di alto livello come il Cnel linguaggio di macchina; text editor, ossia programmi per la compilazionee la correzione di documenti; debugger, ossia strumenti per l’analisi di pro-grammi al fine di identificare i bachi; interfacce varie; altri strumenti di utilitàgenerale. Nel 1990 il sistema GNU era quasi completo, ma mancava ancorail kernel o «nucleo», ossia l’insieme dei programmi di base che consentonola gestione delle risorse fondamentali, come l’unità di calcolo e la memoriacentrale. Il nucleo era certamente la parte più importante di GNU, ma la suarealizzazione era stata rinviata in attesa della promessa liberalizzazione co-me software libero di un micronucleo, sviluppato dalla Carnegie Mellon U-niversity e successivamente ampliato dall’Università dello Utah.

Fortunatamente, a questo punto una nuova storia e un nuovo protagoni-sta si intrecciano con i primi e portano a compimento l’iniziativa di Stallman.

Nel 1990 uno studente ventenne di informatica dell’Università di Hel-sinki, Linus Torvalds, che si dilettava a programmare il calcolatore trascu-rando lo studio, decide di sviluppare il nucleo di un nuovo sistema opera-tivo, un clone di Unix; per dotare il personal computer delle funzionalitàdi base di un elaboratore di fascia alta.

Nella primavera del 1991 il nucleo del nuovo sistema operativo, versio-ne 0.01, è pronto. Gestisce i file, ossia i documenti, e il file system, ossial’organizzazione gerarchica dei documenti in cartelline e cartellone, con lastessa logica di Unix; è dotato della funzionalità di emulazione di un ter-minale e contiene alcuni driver di base per pilotare le unità periferiche. So-stituendo la consonante finale del proprio nome con la «x» di Unix e adot-tando il pinguino come suo simbolo, Linus battezza il suo prodotto «Linux»,e fa così una prima scelta felice. Ancora più felice e importante è la secondascelta, quella di diffondere il nuovo sistema operativo su Internet, metten-dolo a disposizione di chiunque sia interessato a utilizzarlo, senza chiederealtra contropartita oltre alla collaborazione per migliorarlo ed espanderlo.

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InternetQuando si parla di software libero il pensiero corre automaticamente a Li-nux, che è universalmente considerato come la più importante realizzazio-ne della comunità dei programmatori liberi. La realtà non è questa, essendoil patrimonio del software libero ormai costituito da miliardi di istruzionisorgenti, scritte da centinaia di migliaia di programmatori sparsi in tutto ilmondo. Inoltre, ci si dimentica di Internet, che è stata la madre del softwarelibero, avendo fornito gli strumenti per la diffusione dei principi e dei pro-grammi del figlio, ed è stata la figlia del software libero, in quanto prodottospirituale della logica e degli ideali del padre.

La Rete è stata progettata da migliaia di ricercatori e programmatori ditutto il mondo mettendo in comune un enorme patrimonio di intelligenze,conoscenze, risorse. Questo sforzo collettivo è stato coordinato da un unicoorganismo, l’Ietf (Internet Engineering Task Force), un’associazione liberadi alcune migliaia di studiosi, aperta a chiunque sia interessato ai progettidi Internet, come dimostra il fatto che all’Ietf ci si iscrive a titolo personale,e non come rappresentanti di qualche istituzione pubblica o privata.

Un enorme patrimonio di conoscenze è contenuto in migliaia di docu-menti o Rfc (Request For Comments), generalmente formulati in modoinformale per migliorare la chiarezza, in ossequio a una raccomandazionealtrettanto chiara: «Scriveteli nel cesso, ma scriveteli semplici e chiari».

Narra Giovanni nel suo Vangelo: «Andò Simon Pietro, e tirò a terra la re-te piena di 153 grossi pesci. E sebbene erano tanti, la rete non si strappò».È l’annunciazione di Internet.

Internet è il frutto di due miracoli. Il primo è il miracolo tecnologico delcollegamento simultaneo di 153 milioni di calcolatori su un parco di mi-liardi di calcolatori installati. Il secondo è il miracolo di un’invenzione mol-to complessa ed importante nata fuori dalla logica del mercato, della com-petizione e della gerarchia.

Forse un giorno valuteremo Internet come una delle più importanti in-venzioni dell’uomo, perché mai nella storia dell’umanità è stato disponibileuno strumento così efficace per la diffusione delle conoscenze e la crescitadel sapere.

Le politiche dei governiI governi di molti paesi industrialmente avanzati o in via di sviluppo hannomesso in atto provvedimenti per incentivare l’impiego del software libero.In particolare, per quanto concerne il nostro paese, l’art. 68 del noto «Co-dice dell’amministrazione digitale» recita:

«1. Le pubbliche amministrazioni [...] acquisiscono [...] programmi infor-matici a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed econo-mico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

[...]d) acquisizione di programmi informatici a codice sorgente aperto;[...]2. Le pubbliche amministrazioni nella predisposizione o nell’acquisizio-

ne dei programmi informatici, adottano soluzioni informatiche che assicu-rino l’interoperabilità e la cooperazione applicativa [...] e che consentanola rappresentazione dei dati e documenti in più formati, di cui almeno unodi tipo aperto».

È questa, probabilmente, la legge più ignorata del nostro paese.

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La ragione più importante della convenienza del software liberoProbabilmente l’importanza del software libero va molto al di là della purrilevante dimensione economica del comparto industriale associato. Infatti,nel software libero si possono scorgere il simbolo e la sostanza di una nuo-va rivoluzione tecnologica e industriale, che è andata maturando nell’arcodi un ventennio e che è letteralmente esplosa negli ultimi anni.

In brevissima sintesi, tre sono le caratteristiche salienti del nuovo mon-do. In primo luogo, i nuovi prodotti hanno un prevalente contenuto di co-noscenza teorica, indipendentemente dalla struttura fisica del supporto. Inparticolare, il software è conoscenza pura.

In secondo luogo, il volume di conoscenza antica o recente incorporatain quei prodotti è enorme, difficilmente realizzabile ex novo da una solaimpresa, anche se dotata di imponenti strutture di ricerca e sviluppo.

In terzo luogo, l’intreccio delle conoscenze incorporate in qualunqueprodotto è così stretto e complesso, e la varietà di queste conoscenze è cosiampia, da aggiungere un’ulteriore difficoltà alla loro ricostruzione nell’am-bito di una sola azienda, essendo oggi ogni impresa caratterizzata da unaforte specializzazione in una determinata area.

Il nuovo scenario ingloba immagini molto luminose che inducono al-l’ottimismo. I modelli di business del software libero, più simili a quellidell’artigianato che non a quelli della grande industria, potrebbero renderemeno iniqua la competizione fra imprese piccole e grandi, fra paesi poverie ricchi. La complessità dell’universo delle conoscenze potrebbe rendere lacollaborazione più conveniente della competizione. La solidarietà potrebbemanifestarsi come una nuova, rivoluzionaria opportunità.

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6Mario Marchese

Reti e servizi ditelecomunicazioni: passato,presente e futuroIntroduzione alle applicazioni e tecnologie per le telecomunicazioniUna rete di comunicazione è, in sostanza, una “rete” per la diffusione dellaconoscenza. Storicamente, una delle prime “reti” per la comunicazione diinformazioni è stata il circuito dei monasteri, ove veniva depositata e con-servata conoscenza accessibile dall’esterno. Tale conoscenza circolava an-che da un monastero all’altro e veniva aggiornata quando era disponibilenuova informazione. La caratteristica, sia di accessibilità, sia di circolazioneed aggiornamento dell’informazione consente, a mio avviso, di qualificareil circuito dei monasteri come la prima rete di fornitori di conoscenza (“pro-vider”) europei. La dinamica di accesso all’informazione e di circolazionedella stessa aveva un ordine di grandezza di anni o mesi. In tale ottica, legrandi “vie” per il trasporto di merci possono essere viste come antiche“dorsali” per il trasferimento dell’informazione capaci di connettere sotto-sistemi. L’esistenza delle grandi “vie” ha permesso di ridurre i tempi di ac-cesso e circolazione di informazione a mesi o giorni. Più modernamentehanno svolto un ruolo simile le reti stradali, ferroviarie, autostradali ed ae-ronautiche, che hanno consentito di raggiungere tempi di accesso e circo-lazione di informazione dell’ordine di giorni o ore. Cosa possono fare dipiù le telecomunicazioni? Possono ridurre i tempi per la diffusione dellaconoscenza ad un orizzonte temporale di pochi minuti (come per la retetelefonica tradizionale e la rete radio-televisiva), pochi secondi (come perla telefonia cellulare che aumenta la possibilità di raggiungere il destinata-rio in maniera quasi istantanea) o pochi milli e microsecondi, che sono, ri-spettivamente un millesimo e un milionesimo di secondo, come per la reteInternet e le sue estensioni in reti dedicate ad applicazioni particolari.

È importante accedere alle informazioni rapidamente? La risposta può es-sere affidata a Édith Cresson, che nel 1998, da membro della Commissioneeuropea e responsabile per la Ricerca, l’Innovazione, l’Educazione, la For-mazione e i Giovani, affermò: «la ricerca tecnologica e lo sviluppo gioche-ranno un ruolo centrale nello sviluppo delle nostre società. Insieme all’edu-cazione ed alla formazione, la ricerca tecnologica applicata è un pilastro fon-damentale della “società della conoscenza” che vedremo, gradualmente, e-mergere. Una società nella quale gli indici economici e la qualità della vitadipenderanno più dalla produzione, dalla trasmissione e dallo sviluppo dellaconoscenza che dalla fabbricazione e dallo scambio di beni materiali».

Sull’importanza della rapidità di accesso all’informazione è molto inte-ressante anche il parere del direttore esecutivo di Unicef, Ann M. Veneman,espresso nell’ambito di un’iniziativa Onu-Fondazione Vodafone Group, perle comunicazioni di emergenza: le «comunicazioni rapide consentono disalvare vite umane». Le telecomunicazioni, dunque, non fanno molto di piùche velocizzare e rendere sicura la circolazione di conoscenza rispetto aiprecedenti mezzi di comunicazione, ma ciò non è un elemento trascurabile,dacché apre orizzonti impensabili fino a pochi anni fa.

La dimensione tecnologica

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mdLa situazione attualeUna rete di telecomunicazioni attuale, dunque, coinvolge diverse porzionidi rete: tratte radio, satellitari e via cavo e può essere, a livello di esempio,raffigurata come nella Figura 1. Ad esempio, connettere una rete di sensoriad un aereo che rilevi i dati può implicare, come mostrato in Figura 1, l’at-traversamento di reti radio e satellitari.

Nel contempo, il numero di utenti di una rete di telecomunicazioni è increscita. Dati del 20041 dicono che Internet aveva più di un miliardo diutenti, che il 75% del traffico su Internet era basato su web e che vi erano3,6 milioni di siti web e 300-700 milioni di pagine web. Attualmente tali va-lori sono certamente sottostimati: una fonte Internet2 riporta più di un mi-liardo e mezzo di utenti Internet a fine marzo 2009 rispetto a circa 360 mi-lioni a fine 2000. I dati consentono di evidenziare una notevole crescita del-la diffusione di Internet e, di conseguenza, dell’informazione da essa con-vogliata. Tuttavia, è doveroso notare che tale evoluzione non è uniforme intutto il mondo. La Tabella 1 consente di quantificare il divario tecnologico(chiamato tecnicamente digital divide) tra diverse regioni del mondo3. InEuropa usa Internet circa una persona su due, in Nord America tre personesu quattro, ma in Africa soltanto 5 persone su cento.

Il digital divide dovrebbe essere chiaro anche dalla Tabella 24, che raf-figura la ripartizione percentuale degli utenti Internet sulle regioni delmondo confrontata con la percentuale della popolazione mondiale che vivenella regione.

Parallelamente all’analisi deidati che consentono di valutarel’evoluzione di Internet, è moltoimportante considerare la cresci-ta della telefonia mobile, che rap-presenta l’altro fattore dominantenelle telecomunicazioni, a partiredalla metà degli anni Ottanta, co-me evidenziato in precedenza, eriflettere su tali dati anche in re-lazione alla diffusione della te-lefonia fissa e di Internet.

La Figura 2 mostra la percen-tuale di telefoni fissi (abbona-

!1. S. Kota, K. Pahlavan, P. Leppanen, Broad-band Satellite Communications for InternetAccess, Kluwer Academic Publishers, Boston2004, p. 12.

!2. http://www.internetworldstats.com/stats.htm

!3. Dati tratti da ibid.!4. Dati tratti da ibid.

RegioneUtenti Internet (marzo 2009)

in milioniPercentuale della popolazione

della regione che utilizza Internet

Europa 393,4 48,9%

Africa 54,2 5,6%

Asia 657,2 17,4%

Medio Oriente 45,9 23,3%

Nord America 251,3 74,4%

America latina/Caraibi 173,6 29,9%

Oceania/Australia 20,7 60,4%

Tutto il mondo 1596,3 23,8%

Tabella 1. Milioni di utenti epercentuale di utilizzatori di Interneta seconda della regione del mondo.

RegionePercentuale di utenti Internet

sul totale mondialePercentuale della popolazione

mondiale

Europa 24,6% 12%

Africa 3,4% 14,5%

Asia 41,2% 56,3%

Medio Oriente 2,9% 2,9%

Nord America 15,7% 5%

America latina/Caraibi 10,9% 8,7%

Oceania/Australia 1,3% 0,5%

Tabella 2. Ripartizione percentualedegli utenti Internet sulle regioni delmondo.

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Quadro storico5

1839-1850 Il telegrafo come serviziocommerciale fu inaugurato nel 1839 inInghilterra e nel 1844 negli Stati Unitid’America. Dal punto di vista tecnico lacaratteristica più importante deltelegrafo è stata l’operatività su grandidistanze; per la prima volta il trasportodi informazione era separato daltrasporto fisico di merci e persone. Intale ottica il telegrafo può essereconsiderato il primo vero servizio ditelecomunicazione. Da esso in avanti larapidità e l’affidabilità delle reti ditelecomunicazione sono state obiettivoprimario della ricerca ingegneristicanella società moderna in quanto sonodiventate un’infrastrutturaindispensabile per lo sviluppo dellasocietà stessa.

1850-1866 All’inizio della seconda metàdell’Ottocento le linee telegrafiche siespandevano per gran partedell’Europa, dell’America e del MedioOriente. Nel 1851 l’Inghilterra erapermanentemente connessa con laFrancia mediante un cavo steso traDover e Calais. Negli anni 1857-1858ci furono i primi tentativi per realizzarecavi sottomarini transoceanici e, nel1866, due cavi erano operativi per ilservizio telegrafico attraverso l’OceanoAtlantico.

1871-1880 L’evoluzione più importante inquesto decennio fu il servizio telefonico.La paternità del telefono deve essereattribuita ad Antonio Meucci che, nel1871, dimostrò il funzionamento delsuo apparecchio che chiamòtelettrofono, anche se il primato spettaad un valdostano, Innocenzo Manzetti,

che riuscì a realizzare un apparecchioelettrico in grado di comunicare adistanza già negli anni Cinquantadell’Ottocento, ma senza sviluppareulteriormente il progetto6. Elisha Grayinventò il telefono indipendentemente ene diede dimostrazione nel 1876, mapoche ore prima di presentare larichiesta di brevetto, Alexander GrahamBell presentò la sua. Di conseguenza,negli Stati Uniti e in Canada, Bell èconsiderato l’inventore del telefono. Nel1871 Meucci aveva presentato unbrevetto provvisorio, da rinnovarsiannualmente al costo di 10 dollari, maaveva potuto rinnovarlo solo fino al1873, non potendosi permettere la cifradi 200 dollari per il brevetto definitivo.Comunque, l’11 giugno 2002 ilCongresso degli Stati Uniti hariconosciuto, storicamente, ad AntonioMeucci la paternità del telefono. Aseguito della sua invenzione il telefonoebbe subito uno sviluppo notevole e, nel1880, la Compagnia Telefonica Bellaveva a disposizione circa 100.000strumenti.

1901 Nel 1901 Guglielmo Marconi riuscìa ricevere a St. John’s in Terranova(Canada), la lettera S trasmessa inalfabeto Morse da Poldhu inCornovaglia, attraverso l’oceano,coprendo la distanza di 2100 miglia.Tale sperimentazione dette origine adun’altra pietra miliare per letelecomunicazioni: la radio, anche sel’inizio vero e proprio degli studi sullatrasmissione radio può essere fissata apiù di quarant’anni prima, nel 1860,con la pubblicazione di un lavoro

scientifico di James Clerk Maxwell.Tuttavia, fino all’inizio degli anni Venti,l’unica applicazione della tecnologiaradio fu il telegrafo senza fili. Nelnovembre del 1920, negli Stati Unitid’America, fu inaugurata la primastazione commerciale per laradiodiffusione.

1923-1944 Sviluppo del serviziotelevisivo dal 1923 al 1938. Nel 1935fu introdotto il radar. Durante laseconda guerra mondiale, il radar fupienamente applicato dall’esercitobritannico e, nel 1943, usato inmaniera stabile dalle truppe alleate.

1948-1960 In questi anni videro la lucedue sviluppi fondamentali per letelecomunicazioni del futuro:l’invenzione del transistor nel 1948 daparte di Shockley, Bardeen e Brattain e,nello stesso anno, la pubblicazionedell’articolo scientifico Teoriamatematica delle comunicazioni daparte di Claude Shannon, che segnal’inizio dello studio della teoriadell’informazione e della codifica.

1960-1964 Nel 1960 fu lanciato il primosatellite per le telecomunicazioniamericano, Echo I, completamentepassivo. Due anni dopo, nel 1962, fulanciato Telstar I che, per la prima volta,rigenerava il segnale ricevuto prima diritrasmetterlo. Nei primi anni Sessantasi cominciò a pensare anche allacomunicazione dei dati, in un’epocafinora totalmente dominata dallatrasmissione audio (telefonia) e dallatelevisione. Nel maggio del 1961Leonard Kleinrock pubblicò la sua tesi

!5. Informazioni tratte da A Brief History ofCommunications, IEEE Communications So-ciety, Piscataway (NJ) 2002, e da http://it.wikipedia.org/wiki/Telefono

!6. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Telefono

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di dottorato Il flusso di informazione ingrandi reti di comunicazione, seguita,nel 1964, dal testo Reti dicomunicazioni. Nello stesso periodoPaul Baran propose l’idea di dividerel’informazione in piccoli blocchi chel’inglese Donald Watts Davies,sviluppando l’idea indipendentemente,chiamò «pacchetti». Le idee sulle reti apacchetto furono utilizzate all’internodel progetto Arpanet (iniziato nel1966), inizialmente coordinato daLawrence G. Roberts, che avrebbe datoorigine alla futura Internet portando unavera e propria rivoluzione nelletelecomunicazioni.

1964-1972 In questo periodo leprincipali innovazioni nel campo delletelecomunicazioni sono legate aglisviluppi delle reti per il trasporto deidati (Arpanet, già citata, e successiveevoluzioni), alle comunicazionisatellitari (Intelsat I ed evoluzioni per iltrasporto del traffico telefonico viasatellite), alla ricerca nel settore delle

fibre ottiche e, passo fondamentale, alpassaggio da analogico a digitale.

1972-1984 Dal 1972 al 1983 Arpanetvenne gradualmente trasformata in unarete di reti (Internet) e cominciò asviluppare il suo potenziale dal punto divista commerciale. Nel 1974, Vinton G.Cerf e Robert E. Kahn pubblicaronosulla rivista «IEEE Transactions onCommunications» l’articolo Unprotocollo per la comunicazione tra retia pacchetto che introdusse, di fatto, lafamiglia dei protocolli TCP/IP per laprima volta. Per migliorare la flessibilitàe l’applicabilità del protocollo, all’iniziodel 1978, Cerf, Jon Postel e DannyCohen proposero di dividere TCP ed IP,dando in tal modo origine alla modernastruttura di Internet. Nel giugno 1983ogni computer appartenente adArpanet utilizzava i protocolli TCP/IP. Nel1984 Arpanet, ormai evoluta in Internet,connetteva più di 100 università ecentri di ricerca negli Stati Uniti ed inEuropa. Sempre dal 1972 al 1984 siebbe una grande evoluzione delle fibre

ottiche sia dal punto di vista dellaricerca che delle applicazioni.

1985-2010 In questo periodo leevoluzioni più significative sono state laconvergenza tra personal computer econnettività in rete – rendendo cosìInternet un’infrastruttura permanenteutilizzabile da molti in modo semplice econsentendo la sua impressionantecrescita – e la vera e propria esplosionedella telefonia mobile che, per moltiutenti, ha totalmente rimpiazzato latelefonia fissa. Dal punto di vista deiservizi offerti sulla rete, l’introduzionedei motori di ricerca su Internet e deglistrumenti per consentire una semplice“navigazione” è stata importantissima apartire dai primi anni Novanta. Attualmente i punti chiave sono laconvergenza delle reti esistenti(Internet, telefonia, televisione, radio),la gestione della grande eterogeneità(telecomunicazioni via cavo, viasatellite, via radio) delle reti disponibilie l’estensione delle reti “a banda larga”a tutta la popolazione.

Fig. 1 Rete ditelecomunicazionidi nuovagenerazione.

md

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menti attivi), telefoni mobili (abbonamentiattivi) e utenti Internet sulla popolazionemondiale nel decennio 1997-20077.

L’evoluzione della diffusione di Internetè notevole, ma non come l’evoluzione deitelefoni cellulari che, in un decennio, è pas-sata dal 4% al 49%. Il numero di linee fisseè abbastanza stabile dai primi anni 2000 e,recentemente, accenna una lieve flessione.Il dato relativo alla telefonia mobile è anco-ra più impressionante se valutato per areageografica. La Tabella 38 contiene, suddivisa

per regioni geografiche, la percentuale di telefoni fissi, telefoni mobili eutenti Internet sulla popolazione (come in Figura 2) per l’anno 2007. Essaconsente di osservare due importanti fattori: 1. che in Europa il numero diabbonamenti a telefoni cellulari ha superato il numero di abitanti, ovveroche, in media, ogni cittadino europeo possiede più di un telefono cellulare;2. che la penetrazione della telefonia cellulare in Africa è abbastanza ele-vata se paragonata agli utenti di Internet. Ciò consente di guardare alla te-lefonia mobile e, in particolare, alle reti che non implicano cablatura (wi-reless e satellitari) come a possibili mezzi concreti per ridurre significativa-mente il digital divide.

Uno sguardo sul futuroAnche se questi dati possono essere soggetti ad oscillazioni e, in una certamisura, dipendono anche dalla fonte di provenienza, essi danno una chiaraidea dell’entità del numero di informazioni circolanti, della diffusione e del-l’importanza delle telecomunicazioni, anche se, purtroppo, per ora, in ma-niera non equilibrata tra le diverse zone del mondo.

La diffusione di informazione specialistica in campo sia scientifico, siatecnologico, sia umanistico, è fondamentale, anche dal punto di vista stret-tamente economico, per il futuro. La tecnologia attuale consente di avere co-noscenza diffusa in modo da offrire al cittadino servizi ad alto valore aggiun-to, ovvero servizi che abbiano estensioni anche in campi diversi da quelli percui il servizio era stato pensato. Uno dei punti essenziali, nel futuro, sarà svi-luppare progetti ad alto valore tecnologico (ad esempio, la creazione di si-stemi di telecomunicazioni eterogenei ad alta velocità) che, al loro interno,contengano moduli dedicati ad aree tematiche diverse come la formazione,la mobilità, i beni culturali, l’assistenza, la tele-amministrazione.

La dimensione tecnologica6 • Mario Marchese • Reti e servizi di telecomunicazioni: passato, presente e futuro

Fig. 2 Percentuale di telefoni fissi, telefonimobili e utenti Internet sulla popolazionemondiale nel decennio 1997-2007.

!7. Dati tratti da http://www.itu.int/ITU-D/ict/statistics/ict/index.html

!8. Dati tratti da ibid.

Tabella 3. Percentuale di telefoni fissi,telefoni mobili e utenti Internet sullapopolazione di ogni singola regionenell’anno 2007.

Regione Telefoni fissi Telefoni mobili Utenti Internet

Europa 41% 110% 42%

Africa 3% 27% 5%

Asia (con Medio Oriente) 16% 37% 17%

Nord e Sud America 33% 72% 41%

Oceania/Australia 36% 78% 45%

Mondo 19% 49% 22%140

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mdTutto ciò consente di introdurre il concetto di multimedialità come ela-

borazione e trasmissione di voce, dati ed immagini. La rete di telecomuni-cazioni non offre supporto, come nel passato, ad un solo servizio ma deveconvogliare informazioni audio, video e dati contemporaneamente; devemantenere i servizi attuali e consentire l’introduzione di nuovi servizi al fi-ne di aumentare il benessere dei cittadini e la diffusione di cultura ed infor-mazione.

Nello stesso tempo, le reti di telecomunicazioni sono molto eterogenee,come evidenziato in precedenza. Una rete così complessa come quella rap-presentata nella Figura 1 era impensabile fino a pochi anni fa, mentre oracostituisce il presente ed il futuro nel campo delle telecomunicazioni. I ser-vizi multimediali dovranno essere erogati su reti altamente eterogenee inmaniera trasparente all’utente, che non dovrà percepire in alcun modo lacomplessità dell’infrastruttura e delle soluzioni di rete. Queste ultime, alcontempo, dovranno assicurare una determinata qualità di servizio all’u-tenza9.

Le “parole d’ordine” del futuro sono dunque: multimedialità, gestionedi reti eterogenee a qualità garantita in maniera trasparente all’utente, svi-luppo di nuovi servizi.

ConclusioniLe conclusioni di questa breve relazione orientata a comprendere l’evolu-zione delle telecomunicazioni ed evidenziare le opportunità presenti e fu-ture possono essere affidate al documento che introduce l’Agenda per laCooperazione nel contesto dell’Infrastruttura per l’Informazione globale:«Reti multiple composte da differenti mezzi trasmissivi come fibre ottiche,cavi coassiali, satelliti, radio e cavi in rame porteranno un’ampia gamma diservizi di telecomunicazioni e informazione e di applicazioni tecnologichenelle case, nel mondo degli affari, nelle scuole e negli ospedali. Queste retiformeranno le basi per l’evoluzione delle infrastrutture nazionali e globaliper il trasferimento di informazione creando così una rete unica che uniscail mondo nell’emergente “Età dell’informazione”. Il risultato sarà un nuovomercato per l’informazione in grado di creare opportunità e sfide per indi-vidui, industria e governi»10.

!9. M. Marchese, Quality of Service over Hete-rogeneous Networks, Wiley & Sons, Chiche-ster (Uk) 2007.

!10. R.H. Brown, L. Irving, A. Prabhakar, S.Katzen, The Global Information Infrastructu-re: Agenda for Cooperation, http://www.ntia.doc.gov/reports/giiagend.html

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7Tommaso Detti,Giuseppe Lauricella

Internet: dalle origini al web 2.0 Le origini di Internet risalgono agli anni Sessanta del Novecento e sono mi-litari. Le prime basi teoriche e tecniche della rete vennero infatti poste frail 1960 e il 1962 da un ricercatore americano, Paul Baran, che la pensò perdotare il suo paese di un sistema di comunicazione in grado di sopravviverea un attacco nucleare sovietico e trasmettere l’ordine della rappresaglia. Arealizzarne nel 1969 il primo embrione, Arpanet, fu inoltre un’agenzia delDipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America: l’Arpa (Advanced Re-search Projects Agency).

Quella rete segnò una svolta per almeno due motivi. Essendo digitale,fece del computer, che sino ad allora era essenzialmente uno strumento dicalcolo, un mezzo di comunicazione; essendo distribuita, creò una nuovaforma di comunicazione sociale a fianco di quelle esistenti, che erano bi-laterali o unidirezionali. Il telefono stabiliva un collegamento paritario, mafra due soli individui; la televisione trasmetteva messaggi a un gran numerodi persone, ma queste si limitavano a riceverli. Una rete digitale distribuitamette invece in comunicazione molti individui ed è al tempo stesso inte-rattiva perché ognuno dei suoi nodi trasmette e riceve: tutte le macchine(e coloro che le usano) hanno uguali possibilità.

La storia di Internet inizia dunque con un paradosso almeno apparente,che va sciolto per comprenderne la natura e gli sviluppi: come mai un’isti-tuzione gerarchica per eccellenza come quella militare realizzò una rete pa-ritaria, acefala, che è la negazione della gerarchia?

Una prima risposta rinvia a Baran e al problema della vulnerabilità nu-cleare: una rete distribuita ha più possibilità di sopravvivere sia perché èridondante (ogni nodo è connesso a innumerevoli altri nodi, cosicché perarrivare a destinazione un messaggio può utilizzare un numero molto piùelevato di percorsi, aggirando i nodi distrutti), sia perché si tratta di unnetwork “democratico”, nel quale lo status e la funzione di tutti i nodi sonoidentici.

Fig. 1 Reti centralizzate, decentrate edistribuiteFonte: P. Baran, On Distributed Communications Series, 1. Introduction to Distributed Communications Networks, The Rand Corporation, Santa Monica (Cal.) 1964,http://www.rand.org/pubs/research_memoranda/RM3420/RM3420.chapter1.html

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La dimensione tecnologica

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Ma questa spiegazione non è sufficiente. Quando il progetto di Arpanetfu varato, nel 1966, i suoi obiettivi erano infatti diversi. Sviluppando le in-tuizioni anticipatrici del fondatore dell’ufficio Information Processing Te-chniques (Ipt) dell’Arpa, Joseph C.R. Licklider, i suoi promotori Robert Tay-lor e Lawrence Roberts volevano costruire un «cooperative network of time-shared computers». Grossi e molto costosi, i computer di allora svolgevanoun’operazione alla volta; il time-sharing consisteva nel far accedere piùutenti contemporaneamente a uno di essi, tramite terminali interattivi, percondividerne la potenza. A sua volta, la rete doveva collegare più computersituati a enormi distanze l’uno dall’altro, ripartendo tra loro ingenti carichidi lavoro con grande risparmio di tempo e di denaro.

Che l’Arpa finanziasse il progetto per questi motivi lo disse il suo diret-tore Eberhardt Rechtin in un rapporto del 1969 al Congresso degli Stati Uni-ti: «La rete è costruita per permettere conversazioni fra computer e dar luo-go a un flusso di dati estremamente elevato. Se quest’idea si dimostrerà rea-lizzabile, potrà divenire un fattore di differenza da 10 a 100 nell’effettivacapacità del computer per dollaro». E aggiunse che obiettivo prioritariodell’Arpa era connettere le università impegnate nella ricerca informatica:le installazioni militari sarebbero state allacciate soltanto in seguito. Non acaso i primi quattro nodi di Arpanet furono altrettante università.

Si trattò del resto di un’iniziativa presa autonomamente da Taylor edall’ufficio Ipt, che l’agenzia si limitò ad approvare. Ciò fu reso possibilesia dall’autonomia decisionale di cui anche una struttura militare come l’Ar-pa godeva, sia dal fatto che i suoi dirigenti e coloro che ci lavoravano eranoper lo più ricercatori. Il progetto fu infine sviluppato da studiosi non solodell’Arpa, ma anche delle università e delle imprese, che si spostavanousualmente dall’una alle altre. La circolazione di uomini e idee all’internodi quello che è stato definito un «complesso militare-industriale-accademi-co» favoriva gli scambi e le ibridazioni tra ricerca civile e militare, pura eapplicata.

La soluzione del paradosso delle origini di Internet risiede insommanell’“uso sociale” della rete. Questa fu costruita dai suoi stessi utenti, cheerano e si sentivano una comunità, una rete scientifica. Iniziando a proget-tarla, essi non sapevano ancora con precisione che cosa farci. Le potenzia-lità che si intravedevano erano molte e diverse anche perché i computersono macchine prive di una funzione definita: fanno ciò che si fa fare loro.Quelle prescelte furono le più rispondenti alle esigenze e alle aspettativedei progettisti-utenti, che consistevano nello scambio e nella condivisionedi informazioni e risorse per lo sviluppo della ricerca. La natura della retee gli usi che ne vennero fatti, in altre parole, furono determinati non dal-l’offerta, ma dalla domanda.

Arpanet rimase una sorta di Giano bifronte (un volto militare, uno civi-le) fino al 1983, quando i suoi nodi militari andarono a costituire una reteseparata. A quella data, però, il dualismo originario della rete era stato ri-solto da tempo: sin dal 1971 vi era stato infatti installato il primo program-ma per lo scambio di messaggi di posta elettronica. Questo era divenutosubito l’applicativo di maggior successo di Arpanet, attraendovi nuovi uten-ti e divenendo così un potente fattore della sua crescita. Nel 1973 il trafficodella rete era costituito per tre quarti da messaggi di posta elettronica.

Su queste basi Arpanet crebbe impetuosamente, passando da 19 hostcomputers nel 1970 a 111 nel 1977, a oltre 400 nel 1983. Il suo traffico, che

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Fig. 2 L’insegna di un Internet café aSalvador de Baja (Brasile).

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La dimensione tecnologica7 • Tommaso Detti, Giuseppe Lauricella • Internet: dalle origini al web 2.0

nel 1972 era di 100.000 «pacchetti»1 al giorno, era già salito a 2,9 milioninel 1973, quando fu realizzato un primo link satellitare con le Hawaii. In-tanto nascevano altre reti: le francesi Cyclades e RCP nel 1973, l’americanaTelenet nel 1975, l’europea EIN nel 1976, la britannica EPSS e la canadeseDatapack nel 1977, poi la francese Transpack, la giapponese DX-2 e altreancora, alcune delle quali private, molte universitarie e una – la statunitenseFidonet – rivolta al mondo dell’educazione primaria e secondaria. Negli an-ni Ottanta questi networks si interconnessero, creando una rete di reti, ov-vero Internet.

Perché ciò accadesse, tuttavia, occorreva che tutte le reti adottassero imedesimi protocolli di comunicazione – parlassero cioè lo stesso linguag-gio –, come già facevano i nodi di ognuna di esse. Per far comunicare suArpanet macchine prodotte da aziende diverse, che usavano tecnologie elinguaggi differenti, erano stati progettati dei computer-interfaccia che par-lavano una sola lingua: gli IMP, Interface Message Processors, antenati deirouters. Sviluppato a partire dal 1973-74, il protocollo che vi si affermò co-me standard (TCP, Transmission Control Protocol) fu integrato con un altro(IP, Internet Protocol), che serviva appunto a far comunicare reti diverse,collegate tramite appositi nodi, i gateways. Dopo le prime connessioni spe-rimentali fra reti effettuate nel 1977, TCP/IP fu ufficialmente adottato daArpanet nel 1983, poi da tutte le reti degli Stati Uniti, che poterono cosìconfluire nel network della National Science Foundation, creato nel 1986.

Parlando infine un unico idioma, la rete poteva dispiegare tutte le sueenormi capacità di strumento di comunicazione. La posta elettronica, chene aveva dominato la preistoria, era stata mutuata nella forma da un me-dium antico – la posta cartacea – e anch’essa era una forma di comunica-zione da punto a punto, da mittente a destinatario. Adatta a trasmetteremessaggi di particolare profondità o densità di informazioni, era perfetta

Fig. 3 Arpanet nel 1972Fonte: V. Cerf, R. Kahn, Selected Arpanet Maps,«Computer Communications Review», XX,October 1990, pp. 81-110, p. 86. La geografiadella rete rispecchia quella dei suoi progettisti-utenti, con forti concentrazioni nella west coastattorno a Stanford e alle Università dellaCalifornia e nella east coast attorno aWashington e a Cambridge, Massachusetts. Iprimi quattro nodi erano stati le Universitàdella California a Los Angeles e Santa Monica,quella di Stanford e quella dello Utah a SaltLake City.

!1. Il volume del traffico è misurato in «pac-chetti» perché prima di essere spediti i mes-saggi vengono scomposti in blocchi di ugualidimensioni, che viaggiano separatamentenella rete, per essere riassemblati una voltagiunti a destinazione.

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mdper far condividere contenuti a utenti specializzati, che già si conoscevanoperché operavano nello stesso campo. Lo sviluppo e l’interconnessione dinuove reti, i cui nodi pure aumentarono impetuosamente, ampliarono mol-to il pubblico e ne accrebbero in proporzione la curiosità di nuovi conte-nuti. Per rispondere all’esigenza di disporre di uno strumento di facile usoper cercare documenti già esistenti, depositati nei servers pubblici della re-te, vennero avanzate varie proposte, tra le quali il protocollo Gopher, mauna soluzione davvero efficace fu trovata solo nel 1990.

Quell’anno (lo stesso che, con la chiusura di Arpanet, sancì la fine dellaprima fase della storia di Internet) Tim Berners-Lee presentò al Centro eu-ropeo di ricerche nucleari (Cern) di Ginevra il progetto di quello che sa-rebbe divenuto il World Wide Web: un protocollo – HTTP – per accedere afiles che si trovano in rete, scritti in un linguaggio – HTML – particolarmenteadatto alle ricerche ipertestuali. Connesso a Internet dal 1984, il Cern neera presto divenuto il nodo principale in Europa. Il turnover dei ricercatoridel centro era molto elevato e Berners-Lee puntava a dare loro la possibilitàdi accedere ai documenti realizzati da chi li aveva preceduti. La differenzacon la posta elettronica come strumento di condivisione del sapere è evi-dente: nel web l’autore dei contenuti non sa quali e quanti potrebbero es-sere i suoi lettori. Non a caso per interpretare questa innovazione si è af-fermata la metafora della biblioteca, dopo che già l’impiego degli ipertestiaveva presentato i diversi files come pagine.

Prodotto anch’esso dalla comunità scientifica, il web esprime l’idea cheil sapere accumulato nella rete debba essere messo a disposizione di unpubblico che, grazie all’impetuosa diffusione del personal computer, si tro-va anche fuori dalle università e dai centri di ricerca. Il Cern aveva partoritoun modo di far accedere gli utenti di Internet a un’immensa libreria con-sultabile (navigabile) da libro a libro (da sito a sito), da pagina a pagina.Nel giro di pochi anni la difficoltà di individuare l’identità degli autori deitesti – e quindi di certificarne l’autorità – generò infiniti dibattiti sull’oppor-tunità di una sconfinata biblioteca piena di presunta spazzatura. Ma era an-cora nulla rispetto a ciò che l’evoluzione delle tecniche di pubblicazionenel web avrebbe consentito nel terzo millennio.

La premessa di questa fase è l’affermazione dei motori di ricerca e inparticolare di Google, che stabilisce dei criteri di autorevolezza dei conte-

Fig. 4 Internet arriva anche negli angoli piùremoti del globo.Fig. 5 Postazione Internet per piccolivisitatori del Museo della Comunicazione diBerlino.

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Fig. 6 Gli utentidi Internet nel2009 Fonte: nostraelaborazione dahttp://www.internetworldstats.com/stats.htm. Datiaggiornati al 30giugno 2009. Tuttii dati sonoespressi inpercentuale perrenderlicomparabili.

Fig. 7Incremento degliutenti di Internet,1995-2009Fonte: nostraelaborazione dahttp://www.internetworldstats.com/emarketing.htm. Datiaggiornati al 30giugno 2009.L’istogrammamostra che dal2001 la crescitadegli utenti diInternet è statapiù rapida diquella dellapopolazione.

La dimensione tecnologica7 • Tommaso Detti, Giuseppe Lauricella • Internet: dalle origini al web 2.0

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nuti nel web a partire dal metodo accademico del numero delle citazioni.Con l’avvento di Google i links ipertestuali hanno cessato di essere il me-todo privilegiato per trovare ciò che si cerca e sono divenuti uno degli ele-menti più importanti usati dal motore per stabilire l’utilità di una pagina inrelazione al bisogno di conoscenza espresso dall’utente con la sua richiesta.

Oggi Internet, o per meglio dire il www, è entrato in una fase che è statadefinita web 2.0. L’espressione viene in genere riferita ad alcuni cambia-menti intervenuti nelle modalità con le quali coloro che scrivono program-mi per il web e gli utenti finali si servono della rete. Uno di questi nuovimodi consiste nella possibilità di aggiungere commenti alle pagine pubbli-cate in rete. Così una grande quantità di informazioni che prima erano ri-servate alla comunicazione a due, o al massimo all’interno di gruppi più omeno chiusi (opinioni, riflessioni estemporanee, sfoghi, reazioni immedia-te), è divenuta raggiungibile grazie ai motori di ricerca e visibile a chiun-que. Siti come i blogs, eBay, Wikipedia, YouTube e Facebook sono altreespressioni di tali modalità: consentono ad ogni utente di condividere escambiare con altri utenti pensieri, beni posseduti, conoscenze, filmati, im-magini e dati personali. Il rilievo di innovazioni simili è evidente, ma nonsono venuti meno due dei “caratteri originali” della rete: l’accesso a questisiti è infatti gratuito e aperto a tutti.

Ciò corrisponde a quella tendenza ad una crescita continua, che giàLicklider aveva presagito quando nel 1963 parlò di un «intergalacticnetwork». Il ritmo di incremento della rete sembra confermarlo: nel giugno2009 i suoi utenti ammontavano a 1669 milioni (il 24,7% della popolazionedel pianeta) e avevano fatto registrare un incremento del 362,3% rispettoal 2000. La quantità e la varietà delle informazioni condivise dagli “inter-nauti” sono aumentate in proporzione. Sinora, inoltre, nessuno è mai riu-scito a dare alla rete una struttura gerarchica. Ciò ha avuto come conse-guenza la mancanza di un’autorità unica di controllo, ma anche di autoritàculturali individuabili. La rete, insomma, sembra tuttora lo specchio deisuoi utenti e non di qualcuno che la pensi o la possieda in qualsiasi forma.

In conclusione, se considerare gli effetti dell’avvento e dello sviluppodi Internet come una rivoluzione è sicuramente fondato, a nostro parere

Riferimenti bibliografici essenziali

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applicare tale concetto alla sua storia appare invece problematico. Ciò ren-de assai discutibile l’enfasi con la quale questa o quella delle innovazioniche ne hanno segnato lo sviluppo – e tra esse da ultimo il web 2.0 – vienespesso qualificata come rivoluzionaria. Come abbiamo cercato di mostrare,si è trattato in realtà di un processo evolutivo, nel corso del quale ad essereselezionate sono state le applicazioni che si sono dimostrate più adatte allosviluppo della rete perché meglio rispondevano alle esigenze e alle attesedegli utenti. Perciò, se dovessimo servirci di una metafora per esprimere inestrema sintesi le caratteristiche di tale processo, sceglieremmo quella dellaselezione naturale darwiniana.

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Parte secondaLe implicazioni sulla società

mundusdossier

1 Giulio OcchiniLa fabbrica e l’ufficio nell’era digitale

2 Giulio OcchiniIl telelavoro oggi

3 Giulio OcchiniLa telemedicina

4 Giulio OcchiniLa domotica

5 Lorenzo MoscaL’e-government

6 Nicola CavalliBanche dati e biblioteche digitali

7 Nicola CavalliEditoria elettronica

8 Marco GuiLe nuove tecnologie nella scuola

9 Raffaele MeoL’informatica italiana da Menabrea a Perotto

10 Luigi DaddaIl futuro della società dell’informazione

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La fabbrica e l’ufficionell’era digitaleFabbrica e ufficio sono le due componenti tradizionali dell’organizzazionedell’impresa, indipendentemente dal fatto che essa sia pubblica o privata,manifatturiera o di servizi.

Nella percezione comune, l’automazione della fabbrica aveva comeobiettivo primario la sostituzione dell’uomo con la macchina, mentre quelladell’ufficio si è fin dall’inizio caratterizzata come potenziamento della pro-duttività impiegatizia.

Questa visione, ancora legata alla parcellizzazione del lavoro, è oggi insostanza superata e l’enfasi è adesso sull’organizzazione dell’impresa nelsuo complesso, concepita come un tutto unico che deve evolvere in modoradicale sotto la spinta di alcuni fondamentali fattori di cambiamento. Qualisono questi fattori?

Il fattore InternetUn primo fattore è la grande diffusione delle reti informatiche interattive,accelerata dal fenomeno Internet. Internet è una grande innovazione nonsolo tecnologica, ma anche culturale, che apre la strada al concetto astrattodi impresa rete, ossia dell’impresa vista come un insieme di relazioni trapersone finalizzate a un obiettivo comune. Questo approccio va al di là delconcetto di reingegnerizzazione dei processi aziendali che ha caratterizzatol’ultima decade del secolo scorso, per tendere verso un’efficace gestionedella conoscenza aziendale, tacita o esplicita che essa sia (Fig. 1).

Il valore della conoscenzaA differenza del passato, la questione oggi non riguarda tanto l’ottimizzazio-ne di fenomeni identificabili come processi di produzione o di gestione,quanto la scoperta e la comprensione di un fenomeno complesso che si celanelle pieghe delle pratiche quotidiane, ossia nella diffusa attività di problemsolving che consente all’organizzazione di sopravvivere e compiere la suamissione. La distinzione tra conoscenza esplicita, formalizzabile, e conoscen-za tacita, che appartiene all’individuo, alla sua esperienza e non può essereda lui separata, è un modo molto sintetico di caratterizzare il fenomeno. Si

1Giulio Occhini

Fig. 1 L’evoluzione del ruolo dellatecnologia: dall’informazione allaconoscenza.

Le implicazioni sulla società

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Fig. 2 Lavorare sui fusi orari.

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mdtratta di una distinzione nota da millenni a livello filosofico, ma che solo re-centemente ha acquistato interesse pratico perché contribuisce in modo spe-cifico a connotare la gestione della conoscenza nel suo insieme.

Questo nuovo approccio induce a considerare la conoscenza, implicitao esplicita che sia, come il più importante asset dell’impresa, in grado dicondizionarne strategie e modalità di sviluppo.

La globalizzazioneUn ultimo fattore, pure esso collegato ad Internet ma di portata non solotecnologica, è il fenomeno della globalizzazione. L’impresa oggi, quasi in-dipendentemente dalle sue dimensioni, si trova a competere su un mercatodi estensione mondiale. Ciò impone un cambiamento radicale del modo diaffrontare i problemi di approvvigionamento, produzione, marketing e di-stribuzione che prescinde dai condizionamenti di tempo e di spazio.

I pilastri dell’impresa reteIn questa prospettiva, le componenti di base dell’organizzazione d’impresanon sono più la fabbrica e l’ufficio, ma:– il capitale di conoscenze che occorre gestire, valorizzare e alimentare

continuamente;– i processi di gestione delle risorse (umane, tecnologiche, finanziarie,

ecc.);– i flussi informativi transazionali e relazionali.

Partendo dal primo punto, l’impresa rete diventa una knowledge societyo learning organization la cui competitività dipende dalla capacità di ac-cumulare e valorizzare un patrimonio di conoscenze focalizzate alla suamissione.

A titolo esemplificativo, le conoscenze scientifiche etecnologiche si concretizzeranno nei brevetti, ma faran-no parte del know-how dell’impresa anche il patrimoniodi esperienze accumulate nell’arco della sua vita, la sto-ria dei successi e dei fallimenti dei suoi processi organiz-zativi, dei suoi progetti e delle sue trattative commerciali.

Si potrebbe dire che questa gestione dello stock diconoscenze è un ritorno al passato, alla bottega rinasci-mentale col “mastro”, i “lavoranti” e gli “apprendisti”,però in una dimensione globalizzata resa possibile da In-ternet. Oggi infatti si può “lavorare sui fusi orari”, conti-nuando a progettare e produrre 24 ore su 24, sia pure inposti diversi. Si può, cioè, realizzare un’impresa che simuove col sole attraverso gruppi di lavoro interconnessitramite reti telematiche multimediali, che consentonoagli uni di partire proprio là dove gli altri sono arrivati(Fig. 2).

Passando al secondo punto, cioè i processi di gestio-ne delle risorse, essi vanno dalla ricerca e sviluppo deiprodotti alla loro ingegnerizzazione, fabbricazione,marketing, distribuzione e assistenza post-vendita, se-condo la ormai classica catena del valore di Porter.

Con la globalizzazione e l’avvento di Internet, a fiancodelle imprese che operano su tutta l’estensione della ca-

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Le implicazioni sulla società1 • Giulio Occhini • La fabbrica e l’ufficio nell’era digitale

tena, ne sono nate altre specializzate in segmenti e moduli parziali che, conl’outsourcing, ne hanno eroso parti significative. Questo fenomeno che nelpassato era sostanzialmente limitato al territorio in cui operava l’azienda, siè ora esteso su scala planetaria. Si pensi, ad esempio, alla disintegrazioneglobale dell’industria automobilistica, a quella della componentistica elettro-nica e, come caso addirittura emblematico in quanto immateriale, a quelladel software.

I sistemi informativi che presidiano i processi di gestione delle risorsesono denominati Erp (Enterprise Resources Planning) e nel nostro paesesono pressoché totalmente di provenienza estera. Ciò significa che la stra-grande maggioranza dei sistemi informatici di gestione delle imprese ita-liane è stata pensata e sviluppata altrove, senza tenere in alcun conto le pe-culiarità della nostra struttura produttiva. È certamente questa una delle ra-gioni del ritardo delle nostre imprese, anche di quelle più brillanti, sul pia-no della innovazione organizzativa.

L’ultimo punto riguarda i flussi informativi transazionali e relazionali,che possono essere paragonati al sistema circolatorio e nervoso del corpoumano. Le reti collegano le persone tra loro e il singolo con i dati e le infor-mazioni necessari per svolgere il suo lavoro. Nello schema tradizionale, lacomunicazione, a seconda che sia rivolta all’esterno o all’interno dell’im-presa, si traduce in due flussi distinti. In altre parole, i processi decisionalipiù o meno formalizzati, le comunicazioni ai dipendenti, i rapporti con gliazionisti, i rapporti sindacali viaggiano su canali diversi rispetto a quellicon i fornitori e con i clienti.

Nell’impresa rete, invece, si creano continuamente relazioni con un nu-mero crescente di interlocutori, interni ed esterni, che condividono l’obiet-tivo di massimizzare il valore dell’impresa, cioè i cosiddetti stakeholders.

La sfida dell’open sourceSi è visto prima come l’automazione dell’impresa rete graviti sui sistemiErp. Al di là della loro adattabilità all’utenza italiana, sia essa pubblica oprivata, produttiva o di servizio, questi sistemi software risultano estrema-mente costosi in termini di acquisizione di licenze e di personalizzazionesulle specifiche esigenze.

Una alternativa in grado potenzialmente di ridurre significativamentel’onere economico di queste soluzioni è quella prospettata dal software li-bero o open (cfr. supra, Oltre il mercato: la vicenda del software libero, p.131). Si tratta, come noto, di una proposta che si contrappone a quella delsoftware proprietario, ma che implica una maggiore competenza informa-tica da parte dell’utilizzatore. La soluzione proprietaria è infatti del tipo“chiavi in mano” e può essere inserita così com’è nel contesto organizzativoin quanto il lavoro di personalizzazione è fatto dal fornitore o da un suopartner. Quella aperta comporta invece di accedere direttamente al codicesorgente dei programmi e di modificarlo secondo le proprie necessità.

Si tratta di due approcci sostanzialmente diversi dal punto di vista delrapporto fornitore-utente, con importanti risvolti legali sul diritto di pro-prietà intellettuale o copyright.

Sia per le ragioni economiche menzionate, sia perché stimola la crescitadi competenze informatiche diffuse, l’open source è stato assunto come pa-radigma di riferimento da parecchie amministrazioni governative. Anche inItalia sono state emanate raccomandazioni in questo senso, che però sten-tano a vincere le inerzie del sistema pubblico.

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mdDiverso dovrebbe essere il caso delle imprese che sono tenute a valu-

tare continuamente la produttività della propria organizzazione e per lequali la soluzione open costituisce una sfida da non lasciar cadere.

La concreta fattibilità della soluzione open è però oggi, nel nostro paese,condizionata dalla disponibilità di competenze informatiche difficili da re-perire.

L’ignoranza informaticaDa quanto detto, il modello di impresa che si va prospettando, la cosiddettaimpresa rete, ha come uno dei suoi punti focali la capacità degli addetti divalorizzare le potenzialità applicative degli strumenti informatici.

In effetti secondo statistiche correnti, nei paesi avanzati, dal 25% al 30%della crescita del Pil è attribuibile all’informatica.

Come mostra la Fig. 3, nel nostro paese, su una popolazione attiva dicirca 22 milioni, la metà si avvale quotidianamente dell’informatica. Di que-sta metà, un decimo è approssimativamente costituito da specialisti del set-tore (progettisti e tecnici a vari livelli), mentre i restanti nove decimi sonoutilizzatori, più o meno sistematici, di personal computer e di Internet.

Considerata l’entità del fenomeno, ci si può chiedere quanto le personesiano effettivamente capaci di fare un uso appropriato di questi strumenti.

Per rispondere a tale interrogativo, Aica (Associazione italiana perl’informatica) e Sda Bocconi conducono da alcuni anni una ricerca volta avalutare il «costo dell’ignoranza informatica». L’obiettivo è di misurare, intermini quantitativi, anzitutto quanto costi al paese l’inadeguata prepara-zione informatica degli specialisti e degli utenti finali e poi quanto possaessere profittevole, proprio in termini economici, un investimento focaliz-zato sulla formazione. La ricerca ha riguardato in una prima fase il mondodel lavoro in generale, cioè gli 11 milioni di addetti di cui sopra, e succes-sivamente è stata approfondita a livello settoriale (finanza, sanità, pubblicaamministrazione centrale e periferica). La valutazione viene condotta concriteri oggettivi, misurando analiticamente il divario tra le competenze ef-

Fig. 3 L’informatica nel contesto lavorativo italiano

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Le implicazioni sulla società1 • Giulio Occhini • La fabbrica e l’ufficio nell’era digitale

Bibliografia essenziale

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fettivamente possedute e quelle richieste dagli standard europei di riferi-mento (Ecdl per gli utenti ed Eucip per gli specialisti).

I risultati possono sembrare sorprendenti. Si parla infatti di cifre, a li-vello del paese, dell’ordine di 50 miliardi di euro all’anno! Basterebbe unmodesto investimento in formazione e aggiornamento una tantum per re-cuperare completamente questo ammontare.

Volendo entrare nel merito, le ricerche evidenziano come la perdita diproduttività nel lavoro d’ufficio per il 30-35% sia dovuta alla inadeguatapreparazione dell’addetto al posto di lavoro, mentre per il rimanente 60-65% la causa vada fatta risalire all’inefficienza del sistema informatico. Ven-gono quindi chiamati in causa gli specialisti preposti alla progettazione, ge-stione ed esercizio del sistema.

Va aggiunto che i costi imputabili a carenze nella progettazione del si-stema informatico non si limitano, in realtà, ad incidere soltanto sulla ope-ratività dell’utente, ma hanno un impatto ancora maggiore sulla organizza-zione nel suo complesso. Di qui la grande importanza di un progressivo econtinuo processo di valutazione e aggiornamento delle capacità degli spe-cialisti informatici.

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2Giulio Occhini

Il telelavoro oggiSi parla genericamente di telelavoro quando, grazie all’uso delle tecnologieICT, un’attività viene svolta lontano dal posto in cui tradizionalmente do-vrebbe svolgersi.

Le modalità con cui questo può avvenire sono numerose e se ne segna-lano qui quelle principali:– lavorare a casa, evitando o riducendo significativamente l’andirivieni

(telecommuting) con l’ufficio;– lavorare in movimento (nomadic) – in strada, sull’automobile, in treno,

presso un cliente o fornitore – espletando funzioni che abitualmente ri-chiedono la presenza nella propria sede di lavoro;

– lavorare in un centro prossimo alla propria abitazione, in cui vengonoresi disponibili i mezzi di telelavoro.Il telelavoro costituisce una prospettiva di grande interesse sotto diversi

profili: sociale, organizzativo ed economico nel processo di evoluzione ver-so l’Information Society.

Per quanto riguarda gli aspetti sociali, i benefici del telelavoro possonoessere veramente rilevanti. Riguardano, infatti, aree oggi critiche come iltraffico, l’inquinamento, l’uso razionale del territorio. Il telelavoro, inoltre,consente un più agevole inserimento di portatori di handicap in attività la-vorative.

In termini organizzativi, il telelavoro va a modificare i tradizionali rap-porti gerarchici che vigono nell’ufficio: la prestazione del lavoratore, infatti,può essere misurata solo in base ai risultati e non alla presenza sul postodi lavoro. Questo cambiamento si riflette in modifiche della normativa con-trattuale ma anche in una diversa cultura manageriale.

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Le implicazioni sulla società2 • Giulio Occhini • Il telelavoro oggi

Dal punto di vista economico, il telelavoro dà luogo a miglioramenti del-la produttività e flessibilità, riducendo nel contempo la necessità di investi-menti in uffici e strutture fisiche.

Si può aggiungere che, in termini individuali, il telelavoro può signifi-care un netto miglioramento della qualità della vita: si riducono infatti itempi di trasferimento tra casa e ufficio, c’è una maggior autonomia nel-l’organizzazione del proprio tempo e aumenta il livello di responsabilizza-zione personale.

C’è ovviamente, come in tutti i cambiamenti, un rovescio della medaglia.Tra le difficoltà connesse al telelavoro vanno messi in conto il senso di iso-lamento che può ingenerare nei soggetti, le difficoltà del cambiamento or-ganizzativo e manageriale per le imprese e, per la società, la perdita di unluogo di aggregazione e socializzazione quale è sempre stato il posto di la-voro.

A che punto siamo in Italia col telelavoro?Una recente ricerca condotta dalla società di consulenza Accenture mo-

stra come il nostro paese sia indietro rispetto agli altri paesi europei. Infatti nei paesi nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia), quasi un terzo de-

gli occupati utilizza sistematicamente questa modalità di lavoro. In Germa-nia, Gran Bretagna e Irlanda il telelavoro coinvolge circa un quinto dellapopolazione attiva. In Italia, come anche in Francia e Spagna, siamo al disotto di un telelavoratore ogni venti occupati.

Per quanto riguarda il nostro paese, questo ritardo è dovuto, oltre chea ragioni culturali, anche a un digital divide ancora molto accentuato e allecarenze delle infrastrutture di telecomunicazione. Ci si può aspettare chela situazione cambi con l’ingresso nel mondo del lavoro della nuova gene-razione di “nativi digitali”. C’è però anche da dire che il modello economicoitaliano, largamente basato sulla piccola azienda manufatturiera, si prestacon maggiore difficoltà al telelavoro.

Diffusione del telelavoro in Europa.

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3Giulio Occhini

La telemedicinaL’attività medica consta, sostanzialmente, di tre momenti:– l’osservazione;– la diagnosi;– la terapia.

Queste tre fasi possono essere viste nel loro insieme come un compli-cato processo di elaborazione dell’informazione. Le tecnologie dell’infor-mazione e della comunicazione possono quindi trovare un’ampia utilizza-zione lungo l’intero ciclo di lavoro.

Entrando un po’ più nel merito, l’osservazione comporta la raccolta el’esame di tutti i dati clinici riferibili alla sintomatologia manifestata dal pa-ziente. In sostanza: analisi del sangue, radiografie, elettrocardiogrammi,elettroencefalogrammi, ecc. Tutto questo insieme di informazioni può es-sere oggi digitalizzato ed entrare a far parte di una cartella clinica alla qualeè possibile accedere a distanza in modo telematico, ad esempio sullo scher-mo di un Pc.

Il medico, in base alla propria esperienza, interpreta i dati trasmessi eformula la diagnosi. Anche in questa fase l’ICT può portare un importantecontributo consentendo il cosiddetto consulto virtuale, ossia una diagnosicondivisa per via telematica tra più specialisti del settore, indipendente-mente dalla loro sede, che può essere addirittura in continenti diversi.

Sempre per via telematica, la terapia può essere comunicata al pazientein modo che provveda di conseguenza.

Quando ricorrere alla telemedicina?Il caso classico è quello di pazienti in zone difficilmente accessibili, per

esempio in montagna, o di personale marittimo in navigazione. Ma può es-sere utilmente impiegata per l’assistenza in remoto a pazienti non ospeda-lizzati con difficoltà di spostamento come anziani o disabili. Oppure nel-l’ambito di un ambiente ospedaliero per tenere sotto controllo in modo au-tomatico lo stato di pazienti in situazioni critiche. In molte applicazioni, latelemedicina ha la funzione di monitorare continuamente determinati pa-rametri fisiologici e di mettere automaticamente in allarme le strutture diintervento.

Un campo interessante di applicazione della telemedicina è anche quel-lo della formazione a distanza degli operatori sanitari. Qui si può andaredalle convenzionali metodologie di e-learning a sistemi estremamente so-fisticati basati sulla realtà virtuale.

A titolo di esempio, la figura nella pagina seguente mostra come nel ca-so di una operazione al cervello, l’équipe medica possa preventivamentefare un intervento su un paziente simulato. La simulazione del paziente av-viene raccogliendo tutti i suoi dati biomedici in una cartella clinica digitale(Tac, Nmr, scintigrafie, ecc.), che costituisce il database del cervello del pa-ziente. L’équipe medica indossa caschi stereoscopici, ossia che consentonouna visione tridimensionale, per osservare il campo operatorio man manoche l’intervento procede. Attraverso appositi guanti dotati di sensori elet-tronici, gli operatori possono controllare l’azione degli strumenti chirurgici(bisturi, forbici, ecc.) mediante la reazione tattile e la visione del campooperatorio. Dopo questa operazione simulata, ma estremamente realisticaperché relativa allo specifico paziente, si può passare all’intervento vero eproprio con molte più garanzie di successo.

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Le implicazioni sulla società3 • Giulio Occhini • La telemedicina

Sempre restando nell’ambito della chirurgia di estrema delicatezza, co-me quella sul cervello, si può anche ricordare la chirurgia robotizzata. Loscopo di questo tipo di applicazioni è di ottenere la massima precisione econtemporaneamente di ridurre l’invasività dell’intervento. Il chirurgo chesovrintende l’operazione del robot non occorre sia presente nella sala ope-ratoria ma può trovarsi, come già avvenuto, addirittura in un continente di-verso.

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4Giulio Occhini

La domoticaLa parola domotica nasce dall’unione del termine francese domestique, chea sua volta deriva dal latino domus (casa), col sostantivo informatique. Ter-mini analoghi sono home automation (automazione della casa), smart ho-me (casa intelligente), building automation (automazione degli edifici) ealtri.

Più specificamente, oggi la domotica è un settore applicativo delle di-scipline informatiche, elettroniche e di comunicazione1. In questo ambito,gli aspetti di automazione e controllo sono relativamente semplici rispettoalle applicazioni industriali, dato il tipo di processi da monitorare: illumi-nazione, climatizzazione, controllo degli accessi, sensori per la sicurezza(gas, fuoco), e l’insieme degli elettrodomestici.

È invece complessa la parte che concerne le interconnessioni tra gli sva-riati sottosistemi e la programmazione dei dispositivi di controllo e super-visione, che in strutture di grandi dimensioni possono arrivare ad esseremigliaia. Un esempio concreto può dare un’idea precisa dei problemi af-frontati dalla domotica.

Il più classico esempio è il condizionamento dell’ambiente. Il microcli-ma di un grande edificio, per esempio un centro commerciale, dipende dal-la esposizione di ogni singolo locale, dalla sua tipologia e dalla presenzadi persone e macchine al suo interno. Per ottenere un ambiente conforte-vole è necessario far arrivare aria calda o fredda in modo differenziato nellevarie zone, regolando temperatura e flusso in uscita con i servomeccanismie i sensori presenti. Inoltre, è necessario regolare i gruppi generatori di cal-do e freddo in modo da ottimizzare i consumi ed eventualmente attivare igruppi di riserva. Tutto il funzionamento deve essere monitorato, insiemeagli altri sistemi automatici dell’edificio, da una sala di controllo dotata de-gli opportuni allarmi. Un sistema di questo genere può essere costituito damigliaia di sensori per la temperatura e l’umidità (interna ed esterna), perla presenza di persone e per il consumo energetico e da altrettanto nume-rosi attuatori per le portate di aria, le pompe, i gruppi generatori, ecc. Ilcollegamento tra tutti questi dispositivi costituisce la rete domotica che, asua volta, si collega alla rete locale che fa capo ai computer della sala dicontrollo ed eventualmente anche ad Internet per interventi di tipo remoto.Un software specifico presenta agli operatori dei quadri sinottici, genera iparametri di regolazione di tutto il sistema e in caso di necessità consenteinterventi correttivi da parte dell’uomo. Ogni sensore e attuatore è costitui-to da un microcomputer a basso costo che esegue compiti standard in mo-do coordinato con gli altri, oppure può essere programmato per svolgereazioni locali specifiche di regolazione, di acquisizione dati o di allarme.

Sistemi con strutture analoghe controllano gli altri servizi automaticidell’edificio: l’illuminazione, gli ascensori, l’apertura e chiusura delle porte,le comunicazioni vocali (citofoni, altoparlanti), i consumi di elettricità, ecc.

Guardando al futuro, si può prevedere una focalizzazione delle tecnichedomotiche al servizio dell’individuo, che dia luogo alla cosiddetta ambientintelligence. Si tratta di applicazioni e servizi che creano una interazionediretta tra la persona e la sua abitazione, oppure tra il lavoratore e il suoufficio in un quadro di comunicazioni mobili.

Un importante obiettivo dell’ambient intelligence è rivolto ad aiutarepersone con forme di disabilità o in età avanzata che sono confinate a casa.

!1. Per approfondimenti, si veda l’articolo diRenato Zaccaria, ICT pervasiva: la domotica,in «Mondo Digitale», n. 24, 2008.

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Le implicazioni sulla società4 • Giulio Occhini • La domotica

Per fare un esempio, un soggetto, affetto da malattia cronica, potrà esseremonitorizzato con continuità e sollecitato automaticamente a prendere acerti orari determinate medicine o a svolgere determinate attività fisiotera-peutiche.

Fonte: www.megaitalia.it, società Mega Italia.

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5Lorenzo Mosca

L’e-governmentIl governo elettronico: una introduzioneL’argomento di questo articolo è il governo elettronico (e-government), ov-vero l’applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comu-nicazione ai processi di governo. Come Ithiel de Sola Pool1 aveva osservatoa proposito di altri media, storicamente l’introduzione di tecnologie poten-zialmente in grado di modificare l’attività comunicativa dei governi e le re-lazioni fra cittadini e governanti è sempre stata preceduta e seguita da undibattito che ha contrapposto dialetticamente libertà e controllo. Per dirlacon Eco, gli apocalittici hanno disegnato scenari orwelliani, in cui le nuovetecnologie avrebbero dotato i governi di strumenti di sorveglianza senzaprecedenti, mentre gli integrati hanno immaginato scenari in cui esseavrebbero ricreato le condizioni per forme di democrazia diretta, come nel-la democrazia ateniese. Queste opposte visioni sono il frutto di una man-cata sintesi fra posizioni chiaramente ispirate da un lato dal determinismotecnologico (la tecnologia influenza la società) e dall’altro dal determini-smo sociale (la società influenza la tecnologia). La realtà è ovviamente piùcomplessa e se è vero che le tecnologie della comunicazione hanno pro-dotto delle trasformazioni rilevanti nel nostro modo di intendere e com-prendere la realtà, è pur vero che la società recepisce in maniera attiva leinnovazioni tecnologiche, appropriandosene e plasmandole in base ai pro-pri bisogni ed orizzonti culturali2.

Ma che cosa si intende esattamente per governo elettronico? E quali so-no stati gli effetti dell’introduzione delle nuove tecnologie della comunica-zione nei processi di governo? Esse hanno davvero innovato i processi bu-rocratici e la pubblica amministrazione? Come si è evoluto il quadro italianonell’ultimo decennio? A tali quesiti si cercherà di rispondere in quanto se-gue. Occorre comunque sottolineare che trovandoci in una fase di forte in-novazione tecnologica, lo scenario di cui si discute è soggetto a rapide evo-luzioni e cambiamenti. Tuttavia, si possono individuare alcuni fattori chenon sembrano destinati a subire variazioni di rilievo nel breve periodo.

Cosa si intende per e-governmentCome scrive Freschi3 il termine e-government si riferisce «al processo di in-novazione tecnico-organizzativa della pubblica amministrazione attuato at-traverso l’adozione delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’infor-mazione e finalizzato a migliorarne le prestazioni grazie all’integrazione deiprocessi di produzione e fornitura dei servizi». Il termine e-government siriferisce quindi a una serie di dimensioni distinte che riguardano la diffu-sione dell’informazione istituzionale, la trasparenza e l’efficienza dei pro-cessi burocratici, la fornitura di servizi a cittadini e imprese, il coinvolgi-mento dei cittadini nei processi decisionali pubblici. In primis, l’e-govern-ment dovrebbe consentire un più ampio e facile accesso alle informazioniistituzionali, mediante la digitalizzazione degli atti che oggi possono esse-re facilmente consultati online e archiviati sui propri computer. Inoltre, l’e-government dovrebbe consentire una maggior trasparenza delle procedu-re burocratiche (ad esempio permettendo ai cittadini di conoscere gli iterdelle proprie richieste, di accedere ai bilanci delle pubbliche amministra-zioni, agli elenchi dei consulenti con i relativi compensi, a bandi ed esiti

!1. I. de Sola Pool, Tecnologie di libertà. Infor-mazione e democrazia nell’era elettronica,Utet, Torino 1995.

!2. J.B. Thompson, Mezzi di comunicazionee modernità, Il Mulino, Bologna 1998.

!3. A.C. Freschi, Dall’e-government all’e-go-vernance, in «Rivista Italiana di Comunicazio-ne Pubblica», 2004, n. 21, pp. 60-73, p. 60.

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Le implicazioni sulla società5 • Lorenzo Mosca • L’e-government

delle procedure di appalto pubblico, ecc.). Per quanto riguarda la fornituradi servizi, l’e-government dovrebbe permettere di poter ottenere una seriedi servizi senza recarsi fisicamente nei rispettivi uffici e, soprattutto, evitan-do lunghe attese. I servizi online riguardano sia i cittadini (per esempioiscrizioni scolastiche, immatricolazioni, pagamento dei tributi, prenotazio-ne di visite mediche, certificati medici, denunce, pratiche edilizie, servizianagrafici, ecc.) sia le imprese (richiesta di permessi, autorizzazioni, pre-sentazione di domande di finanziamento, sportello unico attività produtti-ve, ecc.). Infine, per quanto riguarda il coinvolgimento dei cittadini nelledecisioni che li riguardano, grazie all’e-government le amministrazioni han-no la possibilità di sondare le opinioni dei propri cittadini rispetto a sva-riate tematiche di pubblico interesse. Se le consultazioni online e il votoelettronico rientrano all’interno di questa dimensione del governo elettro-nico, il coinvolgimento vero e proprio dei cittadini nei processi decisionalimediante l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione va sotto il nomedi e-democracy (democrazia elettronica).

È bene chiarire che, nonostante i buoni propositi, la diffusione dell’e-government si scontra con una serie di ostacoli di natura tecnologica, or-ganizzativa e culturale. Dal punto di vista tecnologico, come si vedrà oltre,la diversa diffusione di Internet a livello territoriale crea delle barriere al-l’accesso che fanno sorgere preoccupazioni circa la reale democraticità del-le nuove tecnologie. Dal punto di vista organizzativo, è stato notato che leorganizzazioni sono generalmente refrattarie al cambiamento e tendono in-vece a riprodurre sistemi di routine e procedure standardizzate e ripetitive,disincentivando l’innovazione e il cambiamento. Inoltre, le culture organiz-zative e individuali possono ostacolare la diffusione delle tecnologie, lad-dove l’età anagrafica rappresenta spesso un fattore che scoraggia organiz-zazioni e individui dall’adozione delle tecnologie.

Breve storia dell’e-government in ItaliaLa diffusione dell’e-government in Italia ha proceduto in maniera piuttostodifficoltosa e comunque non lineare e, soprattutto, riflettendo in molti casile disuguaglianze economiche preesistenti a livello territoriale4. I primi ten-tativi sistematici di digitalizzazione della pubblica amministrazione in Italiarisalgono ai primi anni Novanta con la creazione dell’Autorità per l’infor-matica nella pubblica amministrazione (Aipa) nel 1993. L’Aipa, in quantoautorità indipendente, era sganciata dal controllo governativo e ciò avrebbeprodotto, secondo alcuni osservatori, una carenza di direzione politica alprocesso di sviluppo dell’e-government lasciando significativi spazi di au-tonomia alle singole amministrazioni. Un caso spesso citato è quello dellarete civica Iperbole (Internet per Bologna e l’Emilia-Romagna) che vide laluce nel 1995 offrendo ai cittadini bolognesi l’attivazione gratuita di un in-dirizzo e-mail ed il servizio di connessione ad Internet.

È solo fra il 1999 e il 2000 che l’Italia definisce un piano d’azione perla società dell’informazione. Le politiche italiane del governo elettronicocominciano a definirsi parallelamente all’iniziativa E-Europe varata alla finedel 1999 dalla Commissione europea ed approvata dal Consiglio europeodi Lisbona (marzo 2000). Esse hanno quindi una chiara matrice sovranazio-nale che si definisce sempre più nettamente con i piani d’azione E-Europe2002, E-Europe 2006 e con la strategia «I2010» per una società dell’informa-zione europea innovativa ed inclusiva.

Le politiche di e-government cominciano a configurarsi con maggiore

!4. L. Mosca, La comunicazione con il pubbli-co: un’analisi comparativa dei siti web delleRegioni italiane, in S. Vassallo (a cura di), Leregioni. Capitale sociale, equilibri politici erendimento istituzionale, Rapporto di ricercadell’Istituto Cattaneo, Bologna 2009, pp. 251-277.

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mdchiarezza nel corso dell’ultimo decennio con la definizione di un quadronormativo preciso (ad esempio l’approvazione del Codice dell’amministra-zione digitale nel 2005), la disponibilità di una notevole capacità di spesae allocazione di risorse e in seguito all’emergere di nuovi assetti istituzio-nali e organizzativi (creazione del Centro nazionale per l’informatica nellapubblica amministrazione, di un Ministero e di assessorati ad hoc, istituzio-ne di strutture regionali e territoriali dedicate all’e-government).

Di particolare rilevanza è stato il piano di azione e-government artico-latosi in due fasi nel quinquennio 2001-2006. Esso prevedeva il co-finan-ziamento di progetti per la creazione di infrastrutture tecnologiche per glienti locali, la realizzazione di servizi online per cittadini e imprese e losviluppo della cittadinanza digitale. Alcune iniziative di notevole impor-tanza sviluppate in questo ambito (come la carta di identità elettronica ela carta dei servizi che dovrebbero rendere più semplice e uniforme lafruizione dei servizi) vedono l’accavallarsi di iniziative concorrenti svilup-pate da diverse amministrazioni con il rischio del sostanziale fallimentodel progetto.

Le differenze regionali e il problema del divario digitaleOccorre chiarire che, come già accennato, la diffusione dell’e-governmentsul territorio nazionale non è avvenuta in maniera uniforme e che si regi-strano significative differenze nell’accesso a Internet e nell’offerta di servizispostandosi dalla Sicilia al Trentino. Un elemento importante delle politi-che nazionali del governo elettronico riguarda il divario digitale (digital di-vide) a livello territoriale, ovvero la diversa dotazione di infrastrutture tec-nologiche disponibili a livello regionale e i differenti livelli di accesso a In-ternet nei diversi contesti regionali. La riduzione del divario digitale, intesocome esclusione dall’accesso e dall’uso di Internet, dovrebbe rappresentareuno dei principali obiettivi delle politiche del governo elettronico per ga-rantire una partecipazione universale ed egualitaria alla società dell’infor-mazione. Le regioni italiane sono intervenute in misura diversa per cercaredi affrontare il problema. A fronte di un livello di accesso a Internet chenel 2007 era stimato dall’Istat come di poco inferiore al 40% a livello na-zionale (mentre la penetrazione di Internet è doppia nei paesi del Nord Eu-ropa), emergono delle significative differenze se si considerano diversearee geografiche. Se la distanza fra Nord-Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta,Lombardia, Liguria), Nord-Est (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-VeneziaGiulia, Emilia-Romagna) e Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) è limi-tata e comunque inferiore a un punto percentuale, un divario considerevole(di quasi dieci punti percentuali) emerge fra l’Italia centro-settentrionale el’Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Cala-bria) e insulare (Sicilia e Sardegna), dove meno di un cittadino su tre accedead Internet. Considerando le valutazioni dei siti web delle amministrazioniregionali che sono state effettuate periodicamente dal Censis a partire dal2000 tenendo in considerazione anche l’offerta di servizi online, si può no-tare una certa stabilità nel posizionamento delle diverse regioni. Mentre ilgruppo delle regioni del Nord-Est mostra un risultato significativamentemigliore rispetto a tutti gli altri, le regioni del Nord-Ovest e quelle del cen-tro-Italia presentano risultati simili collocandosi in posizione intermedia.Fanalino di coda si confermano, ancora una volta, le regioni dell’Italia me-ridionale e insulare. Esiste quindi un divario territoriale evidente fra Nord

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e Sud: sviluppo economico, capitale sociale e innovazione tecnologica sem-brano avvitarsi in una spirale perversa.

Prospettive future dell’e-governmentSempre più spesso si parla oggi di «web 2.0», termine generico che indicala seconda generazione di applicazioni Internet la cui caratteristica princi-pale è rappresentata dall’interattività e dalla possibilità per gli utenti di es-sere non solo ricevitori passivi di informazioni, ma anche emittenti e pro-duttori attivi di contenuti. Esempi spesso citati di web 2.0 sono Facebook(letteralmente, «il libro dei volti»), MySpace (letteralmente, «il mio spazio»)e YouTube (letteralmente, «la tua televisione»). Il termine onnicomprensivospesso usato per richiamare tali strumenti è quello di social networks (let-teralmente, «reticoli sociali»), che indica applicazioni che consentono la co-struzione di reti amicali e/o professionali su Internet. Esse permettono dicondividere e diffondere contenuti multimediali auto-prodotti e consento-no agli utenti di appropriarsi di contenuti di matrice istituzionale e non,modificandoli o stravolgendoli a loro piacimento. Infine, esse consentonoagli utenti di commentare istantaneamente (azzerando le distanze spazio-temporali) quegli stessi contenuti.

Ma in che senso il web 2.0 potrebbe influenzare una pubblica ammini-strazione che, come si è visto, in Italia non ha ancora completato il processodi digitalizzazione, stenta a fornire servizi mediante Internet e arranca dalpunto di vista degli strumenti maggiormente interattivi messi a disposizio-ne dalla generazione 1.0 di applicazioni digitali (per esempio forum, blog,chat-line, strumenti di consultazione online, ecc.)?

Un esempio può essere rappresentato da Eu Tube, ovvero un canale uf-ficiale dell’Unione europea creato nel marzo del 2006 su uno dei socialnetwork di maggiore successo (YouTube). Nella homepage dello stesso silegge: «incoraggiamo la libertà di espressione e il dibattito aperto», preci-sando però che contenuti di tipo xenofobo, aggressivo, molesto o spazza-tura (spam) saranno censurati. Soprattutto nei paesi anglosassoni, ancheFacebook e MySpace sono ormai entrati a far parte degli strumenti utilizzatidai candidati per mobilitare i propri simpatizzanti e i potenziali elettori (damanuale è il caso di Barack Obama in occasione delle elezioni presidenzialiamericane del 2008).

Volgendo l’attenzione verso il vecchio continente, ci accorgiamo che ilnostro paese sconta ancora un forte ritardo nel governo elettronico di pri-ma generazione, elemento che ci fa dubitare che la pubblica amministra-zione in Italia riuscirà a fare proprie in tempi brevi le potenzialità di quelloche potremmo definire un «e-government 2.0».

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Le implicazioni sulla società5 • Lorenzo Mosca • L’e-government

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mdBanche dati e biblioteche digitaliFino dalla sua prima diffusione negli anni Novanta del secolo scorso, unadelle metafore che ha avuto maggior successo nella divulgazione del webè quella della biblioteca. Come una biblioteca, ed in realtà molto di più chequalsiasi singola biblioteca, il web mette a disposizione documenti sia te-stuali che audiovisivi, animati, statici e, in particolare negli ultimi anni, pro-grammi interattivi. A differenza delle biblioteche che catalogano i propri“contenuti” secondo logiche, appunto, di catalogo e comunque con regoleprecise e quanto più possibile condivise, il web è caotico e la ricerca è or-mai possibile solo nelle parti che vengono comunemente intese come“emerse” per distinguerle dal “deep web”, che appunto è sotterraneo e rin-tracciabile e navigabile solo da chi conosce la strada. Chi tenta di dare unordine al web sono i motori di ricerca, Google in primis, ma lo fanno se-condo logiche e algoritmi non condivisi (anzi coperti dal segreto industria-le) e quindi potenzialmente non soddisfacenti.

Il web sembra realizzare il mito della biblioteca universale, o piuttostodella biblioteca di Babele, di borgesiana memoria; è però possibile ancheincontrarvi luoghi, ovviamente virtuali, dove l’informazione, i contenuti, so-no organizzati secondo logiche condivise e quanto più possibile rigorose.Sono le cosiddette biblioteche digitali, o banche dati. Luoghi, prodotti oservizi, come li si voglia definire, che si distinguono dal resto del web peressere in qualche modo delimitati e perché organizzano in modo schema-tico le informazioni in essi contenute.

La biblioteca digitale è resa possibile fondamentalmente da due fattori: ilprimo è il web stesso, che permette di rendere disponibili per la consultazioneonline, per il download e per la successiva consultazione offline, i documentidigitali, mentre il secondo è noto sotto il nome di digitalizzazione dell’infor-mazione ed è anche precedente alla diffusione di Internet. Altro non è chel’effettiva disponibilità in formato digitale di contenuti, siano essi articoli, libri,fotografie, immagini, canzoni, documenti audio, animazioni o filmati.

L’idea di biblioteca digitale nasce forse anche prima della diffusione delweb e si può anche intenderla in qualche modo come un suo antesignano.Un celebre articolo degli anni Cinquanta di Vannevar Bush (How We MayThink), infatti, immaginava il Memex: una specie di scrivania automatizzata,dotata di un sistema di proiezione di microfilm (unica tecnologia disponi-bile al tempo) e di una serie di strumenti per mettere in relazione tra loroi documenti su di essi riprodotti. Lo stesso autore lo definì una «sorta di ar-chivio e biblioteca privati».

Più vicino al concetto di biblioteca digitale come lo conosciamo oggi èil docuverso di Ted Nelson, fra l’altro “inventore” del termine «ipertesto».Nelson, già negli anni Sessanta, descrive un sistema ipertestuale distribuito,lo Xanadu, costituito da una rete di documenti elettronici e dotato di uncomplesso sistema di rimandi e di reperimento dei documenti stessi.

In definitiva una biblioteca digitale o una banca dati si distingue dal re-sto del web, dove pure risiede, per essere un insieme di documenti di varianatura, organizzati intenzionalmente, attraverso uno schema condiviso el’utilizzo di descrittori standard, i cosiddetti metadati, ossia delle informa-zioni descrittive sul tipo di contenuto presente (mi dice, ad esempio, che

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Le implicazioni sulla società6 • Nicola Cavalli • Banche dati e biblioteche digitali

«Guerra e pace» è un titolo e non un soggetto), unito ad un sistema ad hocdi reperimento delle informazioni e di consultazione delle stesse.

La quantità di documenti disponibili in formato digitale cresce costan-temente, i progetti di digitalizzazione (si pensi al progetto Google Books oa Gallica su cui torneremo in seguito) sono in continua espansione ed è incontinua crescita il numero di banche dati disponibili, gratuitamente o piùspesso a pagamento.

In particolare per quanto riguarda l’ambito della ricerca scientifica, ladisponibilità in formato digitale e consultabile via web di contenuti è dive-nuta una realtà consolidata, tanto che tutti i maggiori editori accademici, inprimis quelli anglosassoni, seguiti in questi ultimi anni anche da quelli dialtri domini linguistici, hanno reso disponibile la quasi totalità della loroproduzione secondo queste modalità. Il punto di partenza è costituito dallebanche dati di citazioni bibliografiche (quindi solo insiemi di informazionisu quello che veniva prodotto) che davano la possibilità al ricercatore discoprire articoli o libri di suo interesse, per andare poi a cercarli fisicamen-te nelle biblioteche, per arrivare in seguito alla disponibilità del full-text,del testo completo dell’articolo (processo ormai pressoché completato an-che con la digitalizzazione di articoli pre-era elettronica), per arrivare infinealla digitalizzazione del contenuto di intere monografie.

Le biblioteche digitaliNon è il caso di fare una rassegna di tutte le banche dati disponibili, com-pito oltretutto assai arduo, può essere però interessante citare almeno treesempi molto celebri. Già nel 1992 la Bibliothèque Nationale de France haavviato un progetto per l’archiviazione elettronica del suo patrimonio libra-rio che è risultato nella creazione del sito Gallica (http://gallica.bnf.fr) eGallica 2. Si tratta di una banca dati costituita da diverse collezioni di testie immagini digitalizzati che rendono disponibili centinaia di migliaia di do-cumenti. Attraverso un motore di ricerca è possibile consultare il catalogoe poi accedere ai documenti, che vengono distribuiti in formato Pdf. Nellamaggior parte dei casi, tuttavia, il file Pdf dei testi disponibili attraverso Gal-lica contiene la scansione delle immagini delle pagine originali, e non il re-lativo testo elettronico: non è dunque possibile svolgere ricerche o effet-tuare analisi testuali al suo interno.

Progetto simile, ma su base europea, in parte in risposta al progetto didigitalizzazione messo in atto da Google (Google Books), è Europeana, sitolanciato nell’autunno del 2008 (http://www.europeana.eu). Attraverso que-sto sito è possibile consultare più di dieci milioni di documenti digitali, rac-colti fra le biblioteche, i musei e gli archivi di tutti i paesi europei. Uno dei“contribuenti” principali di Europeana è proprio Gallica.

Il servizio di Google chiamato Google Books o, in italiano, «Google ricer-ca libri», è nato nel 2004 in collaborazione con alcune importanti bibliotecheamericane e anglosassoni (fra cui la celebre Bodleian Library di Oxford) edalcuni editori, sempre anglosassoni. Nel corso di questi anni moltissimi edi-tori hanno aderito a questo servizio per rendere disponibili per la ricerca informato digitale i propri libri, per arrivare a realizzare quello che, forse, erail sogno stesso dei fondatori del celebre motore di ricerca: rendere disponi-bili tutti i libri del mondo in formato digitale perché possano essere ricercaticon una semplice richiesta. Nelle parole stesse dell’azienda:

«Il loro obiettivo era creare una versione digitale delle biblioteche e la lorogrande visione era quella di un mondo futuro con vaste raccolte di libri digi-talizzati, dove le persone avrebbero utilizzato un software per indicizzare i

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mdcontenuti dei libri e analizzare le relazioni tra di essi, determinando la perti-nenza e l’utilità di un dato libro tramite il numero e la qualità delle citazionipresenti in altri libri. [...] Già allora, Larry e Sergey [i fondatori di Google] pen-savano che in futuro le persone sarebbero state in grado di eseguire ricerchefra tutti i libri del mondo per trovare quelli di loro interesse. Ciò che non po-tevano immaginare era che un giorno avrebbero lanciato un progetto per ren-derlo possibile»1. Attualmente Google Books ha scannerizzato e reso comple-tamente disponibili in digitale più di 500.000 libri, mentre sono parzialmentedisponibili (perché i detentori del copyright non hanno voluto renderli dispo-nibili interamente), ma completamente ricercabili, più di un milione di libri.

Altre iniziative degne di nota, fra le molte presenti, sono sicuramente ilprogetto Gutenberg (http://www.gutenberg.org/wiki/Main_Page) che ren-de disponibili più di 30.000 libri in formato digitale, interamente trascritti(non semplicemente scannerizzati come i progetti di cui abbiamo parlato so-pra) e quindi interamente ricercabili e con una qualità redazionale del testosicuramente superiore. Partner del progetto Gutenberg per l’Italia è LiberLi-ber (http://www.liberliber.it), che ha reso disponibili in formato digitale etrascritto moltissimi testi in italiano dei quali erano scaduti i diritti d’autore.

L’editoria universitaria e l’open accessIn questi ultimi anni si sta affermando, in particolare in ambito anglosas-sone e nelle discipline cosiddette Stm (Science, Technology and Medicine)un nuovo modello per l’editoria scientifica digitale (in particolare quellaperiodica), che sfrutta in modo più compiuto le possibilità offerte dallapubblicazione elettronica trasmessa via Internet.

Questo modello, da molti promosso più come filosofia che come mo-dello economico, si propone di favorire lo sviluppo di pubblicazioni cheabbiano questi due requisiti fondamentali:

1. L’autore/gli autori ed il/i detentore/i dei diritti relativi a tale contri-buto garantiscono a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevo-cabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo,trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori daesso derivati in ogni formato digitale per ogni scopo responsabile, soggettoall’attribuzione autentica della paternità intellettuale (le pratiche della co-munità scientifica manterranno i meccanismi in uso per imporre una cor-retta attribuzione ed un uso responsabile dei contributi resi pubblici comeavviene attualmente), nonché il diritto di riprodurne una quantità limitatadi copie stampate per il proprio uso personale.

2. Una versione completa del contributo e di tutti i materiali che lo cor-redano, inclusa una copia dell’autorizzazione come sopra indicato, in unformato elettronico secondo uno standard appropriato, è depositata (e dun-que pubblicata) in almeno un archivio in linea che impieghi standard tec-nici adeguati (come le definizioni degli Open Archives) e che sia supportatoe mantenuto da un’istituzione accademica, una società scientifica, un’agen-zia governativa o ogni altra organizzazione riconosciuta che persegua gliobiettivi dell’accesso aperto, della distribuzione illimitata, dell’interopera-bilità e dell’archiviazione a lungo termine.

Quindi, i lettori possono consultare gratuitamente articoli, saggi, mono-grafie ed in generale materiale digitale pubblicato secondo questa modalità,che si sta diffondendo rapidamente. Attualmente si contano più di 5000 rivi-ste pubblicate in questo modo. Un buon modo per ricercarle tutte e rendersiconto della mole di informazioni disponibili è consultare il sitohttp://www.doaj.org (Directory of Open Access Journals), che ne indicizzacirca 4000.

!1. http://books.google.cl/intl/it/google-books/history.html

Bibliografia

! Calvo M., Ciotti F., Roncaglia G., Ze-la M.A., Internet 2004. Manuale perl’uso della rete, Laterza, Roma-Bari2003.

! Dichiarazione di Berlino sull’OpenAccess, http://oa.mpg.de/openac-cess-berlin/berlindeclaration.html

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Editoria elettronicaLa storia dell’editoria elettronica è molto breve se comparata a quella del-l’editoria tradizionale, ma densa di eventi ed innovazioni. Già con l’intro-duzione dei primi personal computer e dei programmi di videoscritturaverso la fine degli anni Settanta del secolo scorso si può parlare di editoriaelettronica, anche se la realizzazione di libri e riviste elettroniche avverràpoi negli anni Ottanta tramite i Cd-Rom e negli anni Novanta con la dif-fusione della rete Internet. I testi vengono ormai prodotti quasi esclusiva-mente attraverso tecnologie digitali, ma la distribuzione e la fruizione av-viene ancora per lo più grazie alla stampa. Per editoria elettronica pro-priamente detta si devono intendere testi composti, distribuiti e fruiti informa digitale.

Possiamo pensare alle prime mailing lists delle università americanenegli anni Ottanta come il primo sistema di editoria elettronica, anche separagonare una semplice e-mail di testo con un libro è operazione ardita.

Nel corso degli anni Ottanta l’editoria elettronica distribuita su Cd-Romha conosciuto un discreto successo, tanto che si è iniziato a parlare di finedel libro. Il Cd-Rom si è rivelato efficiente per buona parte dell’editoria diriferimento (dizionari, enciclopedie, atlanti, ecc.), meno per altre forme.Le limitazioni dell’editoria su Cd-Rom erano principalmente legate alla di-stribuzione (che non differiva sostanzialmente da quella dell’editoria car-tacea tradizionale) e alla relativa difficoltà di replicabilità. In contesti edu-cativi, ad esempio, per far sì che uno stesso gruppo di persone potesseusufruire contemporaneamente dello stesso contenuto su Cd-Rom era ne-cessario ricorrere a degli stratagemmi al limite della legalità (la copia) oa degli accorgimenti a volte complessi (architetture di rete, ecc.).

Ovviamente una grande rivoluzione per il settore editoriale fu quelladella diffusione dei browser e del web, che avvenne verso la metà degli an-ni Novanta, insieme alla diffusione del formato Pdf, che permette di utiliz-zare i collegamenti ipertestuali a risorse esterne al documento (sempre chesi abbia una connessione ad Internet) e a elementi multimediali. Un’altracaratteristica fondante dell’editoria elettronica in rete è relativa alla possi-bilità, da parte di diversi utenti, di utilizzare la stessa risorsa contempora-neamente. Dalla fine degli anni Novanta fino ad ora si è vista una costantecrescita del materiale editoriale disponibile elettronicamente, tanto chebuona parte dell’editoria accademica è ormai disponibile anche in formatoelettronico, o, in alcuni casi, solo in formato elettronico.

Negli ultimi anni si sono diffusi prima i computer portatili ed ora diversioggetti portatili (Pda, cellulari di terza generazione, ecc.), che permettonosia di collegarsi a Internet che di fruire testi digitali in mobilità. Una grandeprospettiva sembrano avere gli ebook readers di seconda generazione, cheincorporano la tecnologia dell’inchiostro elettronico e che permettono lafruizione di testi digitali senza i problemi tipici della lettura al video.

7Nicola Cavalli

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Le implicazioni sulla società

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8Marco Gui

Le nuove tecnologie nella scuolaIntroduzioneLa scuola è oggi l’istituzione sociale in cui l’integrazione delle nuove tec-nologie della comunicazione risulta più problematica.

All’origine di questa difficoltà c’è soprattutto una frizione sostanziale trale logiche di organizzazione dei contenuti dei media digitali e i tradizionalimodelli didattici. La scuola è da sempre il luogo di trasmissione del sapereistituzionalizzato, che si basa sulle logiche della linearità e della consequen-zialità argomentativa, tipiche della stampa. Questo suo monopolio non èstato scalfito dai media di massa (radio e tv) perché questi erano, e sono,strumenti quasi interamente confinati nell’ambito dell’informazione e dellosvago. Diverso è invece il caso dei media digitali, che si insinuano in quasitutti gli ambiti delle attività umane: dal lavoro allo svago, dal mantenimentodi rapporti interpersonali alla partecipazione civile, fino, appunto, allo stu-dio e alla formazione. E lo fanno con logiche per molti aspetti originali:ipertestualità, reticolarità dei rimandi e modularità dei contenuti.

A rendere ancora più problematica l’introduzione dei nuovi strumentinelle scuole c’è il problema – importante anche se contingente – delle fortidifferenze nella familiarità con i media digitali tra gli insegnanti e i loro stu-denti. Mentre gli studenti sono sempre di più – come oggi va di moda dire– dei “nativi digitali”, gli insegnanti fanno parte di una generazione che siè formata in tutt’altro contesto mediatico.

Infine, l’utilizzo dei nuovi media a scuola necessita di infrastrutture chespesso ancora mancano, e – cosa ancora più importante – di modelli didat-tici per integrare i nuovi strumenti al di là di una visione tecnicistica da “oradi informatica”.

Di fronte a queste difficoltà e ambivalenze, la tentazione di molti inse-gnanti, soprattutto nei primi anni della diffusione dei media digitali, è stataquella di tenere fuori dalle classi ogni riferimento a questo mondo nascen-te. La scuola avrebbe così conservato quel rigore e quella linearità che le èpropria, e i ragazzi, forti di un’impronta rigorosa, avrebbero affrontato dasé nella vita anche l’apprendimento e l’uso dei media digitali.

Tuttavia molti segnali ci dicono che questa soluzione non è sufficientee che l’uso consapevole dei nuovi media fa ormai parte del profilo dell’uo-mo di cultura e del cittadino integrato. L’uso degli strumenti di comunica-zione digitali è infatti sempre più centrale nella vita delle persone e nonpuò essere marginalizzato nella formazione scolastica. Questo è vero inmassima misura proprio per quei “nativi digitali” che da sempre hanno spe-rimentato la presenza costante della connessione e di strumenti digitali nel-le loro attività.

Le ricerche svolte in Italia e all’estero sull’uso dei media digitali da partedegli studenti ci dicono che il gruppo dei pari costituisce la fonte primariaper la familiarizzazione con le nuove tecnologie1. Tuttavia, quello che i ra-gazzi apprendono nello scambio e interazione con i coetanei è limitato perlo più alle attività di svago e al mantenimento di rapporti personali in Rete.Mancano invece delle fonti di competenze su quel terreno più insidioso cheriguarda la consapevolezza critica dell’uso dei nuovi strumenti. D’altro can-

!1. Cfr., ad esempio, J. Van Dijk, The Deepe-ning Divide. Inequality in the InformationSociety, Sage Publications, London 2005; M.Gui e L. Accorsi, Fare i compiti con i nuovi me-dia, in A. Colorni (a cura di), KIWI (Knowled-ge interaction web information). L’uso di ca-nali non tradizionali nella didattica, Edizio-ni Metid - Politecnico di Milano, Milano 2006,pp. 15-35; S. Bentivegna, Disuguaglianze di-gitali. Le nuove forme di esclusione nella so-cietà dell’informazione, Laterza, Roma-Bari2009.

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to, le famiglie in molti casi non sono in grado – sia per ragioni generazionaliche per mancanza di capitale culturale2 – di fornire un’integrazione forma-tiva in questa direzione. Il rischio è quello di condannare i ragazzi ad unuso limitato e limitante dei nuovi strumenti, proprio mentre questi diven-tano il tramite principale per la maggior parte delle attività umane.

La socializzazione all’uso formativo dei nuovi media appare quindi uncompito imprescindibile della scuola di oggi, di cui solo essa è per moltiversi in grado di farsi carico. Nei paragrafi seguenti cerchiamo di capire co-me si comportano e cosa pensano gli insegnanti di fronte a questa difficilesfida, ripercorrendo alcuni risultati della ricerca empirica in questo campo.Infine cercheremo di analizzare, sempre in riferimento alla ricerca empiri-ca, quali sono le “competenze digitali” sulle quali gli studenti appaiono piùcarenti e privi di guida.

Gli insegnanti e le nuove tecnologie: evidenze dalla ricercaDalla più recente indagine dell’Istituto IARD sugli insegnanti italiani3 emer-gono alcuni dati interessanti sugli atteggiamenti e i comportamenti in me-rito all’uso delle ICT.

Innanzitutto, emerge che la classe insegnante ha vissuto una enormecrescita nell’uso delle nuove tecnologie negli ultimi dieci anni. Nell’indagi-ne, precedente, del 1999 affermava di aver navigato su Internet per que-stioni attinenti la didattica l’8,8% degli insegnanti delle primarie, il 15,6%degli insegnanti delle medie e il 36,6% di quelli delle superiori. Nell’inda-gine attuale (2008), le percentuali salgono rispettivamente all’86,6% (pri-marie), 89% (medie) e 92,6% (superiori).

Ma che uso fanno di questi media gli insegnanti nel loro lavoro e – cosapiù importante – qual è la ricaduta di questo uso sugli studenti? I dati ci diconoche l’utilizzo dei new media da parte degli insegnanti si limita per lo più adun ruolo che si può definire “di retroscena”. In esso rientrano tutte le attivitàche ne prevedono un utilizzo al di fuori della classe e del rapporto diretto congli studenti. Ad esempio: gli insegnanti usano moltissimo il Pc e Internet perscrivere testi da presentare agli studenti, per scrivere e stampare le copie deicompiti in classe, oppure navigano spesso su Internet per preparare le lezionidel giorno dopo. Molto meno frequenti sono invece le attività che portano di-rettamente i nuovi media in classe, oppure che coinvolgono gli studenti inuna riflessione sul loro uso, che li spingono ad usarli anche da soli per ap-profondire alcuni contenuti e meccanismi di comunicazione.

Emerge insomma un quadro in cui la crescita nell’uso dei nuovi mediada parte degli insegnanti non ha ancora una ricaduta altrettanto significa-tiva nel rapporto didattico tra docenti e studenti. Quando sono direttamen-te gli studenti a usare i media digitali, gli insegnanti manifestano ancoradelle ambiguità e sollevano delle riserve. Mentre, infatti, i docenti rispon-dono in grandissima maggioranza che l’introduzione delle ICT nella didat-tica è un fatto positivo, i giudizi favorevoli diminuiscono nettamente quan-do gli viene chiesto, ad esempio, se è bene che i propri studenti utilizzinodirettamente Internet come ausilio per lo studio a casa.

Su questo aspetto è interessante prendere in considerazione ciò che diquesto atteggiamento recepiscono gli studenti. In una ricerca effettuata su560 ragazzi delle superiori nelle regioni Lombardia e Campania4, è statochiesto ai rispondenti se considerassero i propri insegnanti favorevoli ocontrari all’uso di Internet per fare i compiti. Successivamente, in una do-

!2. Ad esempio, nella ricerca di Gui e Accorsi(Fare i compiti cit.), risulta che il padre è per-cepito come attore importante nel fornirecompetenze digitali dal 33% degli studenti difamiglie di livello culturale alto e solo dal 12%degli studenti provenienti da famiglie di livel-lo culturale medio-basso. Parallelamente,l’importanza degli insegnanti in questo sensopassa dal 41% degli studenti con backgroundalto al 59% di quelli con background medio-basso (p. 26).

!3. A. Cavalli e G. Argentin (a cura di), Gli in-segnanti italiani: come cambia il modo di fa-re scuola. Terza indagine dell’Istituto IARDsulle condizioni di vita e di lavoro nella scuo-la italiana, Il Mulino, Bologna 2010. Per laprima e la seconda indagine IARD sugli inse-gnanti cfr. A. Cavalli (a cura di), Insegnare og-gi. Prima indagine IARD sulle condizioni divita e di lavoro nella scuola italiana, Il Muli-no, Bologna 1992; Id. (a cura di), Gli inse-gnanti nella scuola che cambia. Seconda in-dagine IARD sulle condizioni di vita e di la-voro nella scuola italiana, Il Mulino, Bologna2000.

!4. Gui e Accorsi, Fare i compiti cit.

Le implIcazioni sulla società8 • Marco Gui • Le nuove tecnologie nella scuola

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manda aperta, venivano anche indagate le presunte ragioni di queste po-sizioni. Il 56% del campione risponde che i propri insegnanti sono favore-voli e il 44% li considera invece contrari. Analizzando le risposte aperte sinota che i ragazzi percepiscono molto chiaramente i dubbi dei professori,mentre rimangono molto meno chiare e articolate le ragioni del sì, e sem-pre gravate da riserve sui possibili abusi dello strumento5.

A dire il vero, la cautela degli insegnanti appare in qualche modo giu-stificata dai comportamenti fraudolenti – anche molto originali6 – che emer-gono come pratiche frequenti. Tuttavia, sembra che ci sia una difficoltà afar passare anche una pars construens del ragionamento, ad esempio laconsapevolezza che saper usare bene Internet costituisce oggi parte inte-grante e fondamentale della formazione superiore. Questa consapevolezzaè forse il messaggio fondamentale da trasmettere oggi ai ragazzi perché essistessi inizino a considerare il loro uso di Internet come non estraneo maanzi costitutivo della loro crescita culturale.

Le “competenze digitali” che solo la scuola può offrireLa ricerca sulle competenze digitali ci dice alcune cose importanti rispettoalle aree che non vengono coperte dalla formazione istituzionale, ma chediventano sempre più importanti per un uso pieno delle opportunità co-municative nella nostra società.

La letteratura ci conferma che in generale i ragazzi presentano capacitàavanzate dal punto di vista “operativo”: sanno navigare con scioltezza suInternet, conoscono la struttura delle pagine, i trucchi della navigazione,scambiano e modificano foto e altro materiale audiovisivo. Su questo ter-reno operativo mostrano anche grande creatività, soluzioni impreviste e in-novative.

Ciò di cui i ragazzi mancano è piuttosto un’altra parte delle “competen-ze digitali”, quella che ha a che fare con la dimensione cosiddetta “infor-mazionale”7. Molte pratiche specifiche rientrano in questa dimensione: lacomprensione delle logiche di ordinamento dei motori di ricerca e la valu-tazione del grado di autorità delle fonti8; la conoscenza e familiarità pre-gressa con risorse specifiche su Internet da cui si sa di poter ottenere ri-sposte su temi specifici9; la comprensione delle influenze commerciali suicontenuti10, ma anche la capacità di riorganizzazione dei materiali trovati,che viene chiamata da Eshet-Alkalai «reproduction literacy»11.

La recente indagine dell’Autorità inglese per le comunicazioni12 mostracome la maggioranza dei ragazzi dai 16 ai 24 anni si senta sicura della pro-pria abilità nel cercare informazioni su Internet, ma che solo una minoranzadi essi è abituata a valutare il sito web dal quale prende le informazioni,riesce a capire l’orientamento ideologico della fonte, si chiede quali possa-no essere le conseguenze della diffusione delle proprie informazioni per-sonali in siti di social networking (come Facebook).

La dimensione “informazionale” dell’alfabetizzazione digitale si mostrainsomma come l’obiettivo su cui gli insegnanti possono più utilmente con-centrare i loro sforzi di dialogo con gli studenti, da soli o coadiuvati daesperti esterni. La sfida che gli si presenta è quella di arrischiarsi su un ter-reno in cui non hanno la familiarità e la dimestichezza che gli permette dimuoversi in un ambito conosciuto. Lo possono fare con uno spirito di con-fronto più che di trasmissione di sapere, e i loro studenti – e probabilmenteloro stessi – ne avranno molto da guadagnare.

!5. Ecco alcune delle ragioni che i ragazzi at-tribuiscono alla diffidenza dei professori neiconfronti di Internet: «è troppo comodo», «nonfa ragionare», «su Internet ci sono informazio-ni errate e inventate», «si prendono le informa-zioni senza leggerle», «distrae», «induce a farecose non pertinenti», «i professori non lo co-noscono e pensano che serva solo a copiare(soprattutto i più anziani o quelli che insegna-no materie letterarie)», «non si impara a scri-vere da soli perché si fa copia e incolla». Leprincipali ragioni con cui invece vengonospiegate le posizioni favorevoli dei docentisono le seguenti: «è rapido», «integra ciò cheviene insegnato», «coinvolge maggiormentegli studenti», «offre la possibilità di effettuareesercizi interattivi», «ma attenti ai rischi: noncopiare, non abusare, filtrare le informazioni,rielaborare ciò che si trova» (Gui e Accorsi, Fa-re i compiti cit., p. 27).

!6. Emerge ad esempio un uso del lettore Mp3per registrare informazioni da ascoltare poidurante il compito in classe tramite auricolarinascosti, l’ascolto di audiolibri al posto dellaloro lettura, l’uso dei messaggi sms per pas-sarsi informazioni tra i banchi oppure il cellu-lare in funzione di calcolatrice.

!7. Van Dijk, The Deepening Divide cit.!8. C. Petrucco, Ricercare in Rete, Pensa Mul-

timedia, Lecce 2003.!9. E. Hargittai, A Framework for Studying

Differences in People’s Digital Media Uses, inN. Kutscher e H. Otto (a cura di), CyberworldUnlimited, Verlag für Sozialwissenschaften/GWV Fachverlage GmbH, Wiesbaden 2007,pp. 121-137.

!10. D. Buckingham, Digital Media Litera-cies: Rethinking Media Education in the Ageof the Internet, in «Research in Comparativeand International Education», 2007, vol. 2, n.1, pp. 43-55.

!11. Y. Eshet-Alkalai, Digital Literacy: A Con-ceptual Framework for Survival Skills in theDigital Era, in «Journal of Educational Multi-media and Hypermedia», 2004, vol. 13, n. 1,pp. 93-106.

!12. Ofcom, Digital Lifestyles. Young AdultsAged 16-24, 2009, in http://www.ofcom.org.uk/advice/media_literacy/medlitpub/med-litpubrss/digital_young/young_digital_life-styles.pdf

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L’informatica italiana da Menabrea a PerottoCharles Babbage e Luigi Federico MenabreaPochi sanno che la storia dell’informatica può essere fatta iniziare a Torino,esattamente 170 anni fa. Era la fine del 1840 e si svolgeva presso l’Accade-mia delle Scienze torinese il secondo congresso degli scienziati, o, come sidiceva allora, dei “filosofi italiani”. Dall’Inghilterra arrivò anche il matema-tico Charles Babbage, oggi considerato il primo informatico della storia.

Babbage aveva prodotto, nei suoi primi anni di attività scientifica, un ot-timo lavoro tecnico grazie al quale era stato chiamato a coprire la cattedra diMatematica dell’Università di Cambridge. Ma da una decina di anni aveva la-sciato la teoria per buttarsi, anima e corpo, nello studio e nel progetto delprimo calcolatore programmabile della storia. Veniva a Torino per presentarealla comunità scientifica mondiale, per la prima volta, il frutto del suo lavoroe portava con sé un enorme baule contenente i disegni ed il modello di qual-che parte della sua Analitical Engine, o «Macchina Matematica».

I disegni rimarranno all’Accademia delle Scienze, ove sono conservatituttora.

Babbage era stato invitato in Italia da Giovanni Plana, ingegnere e mi-litare, autorevole membro e successivamente presidente dell’Accademiadelle Scienze. Era anche direttore dell’Osservatorio astronomico di PalazzoMadama ed è ancor oggi noto per un trattato in tre volumi sul movimentodella Luna. Come tutti gli astronomi di quei tempi, era probabilmente as-sillato dal problema del calcolo delle orbite dei corpi celesti.

Forse fu il desiderio di far meglio quei calcoli spendendo minor faticaad indurre Plana ad invitare a Torino Babbage, della cui fantastica macchinamatematica già si parlava molto, anche se nessun articolo scientifico le eraancora stato dedicato. Il dibattito con i matematici italiani fu appassionatoe si svolse non solo in pubblico, ma anche nell’ambito di gruppi di lavoropiù ristretti, proseguendo a volte nella stessa stanza di Babbage.

Abachi, pallottolieri ed altri ingegnosi strumenti di calcolo compaiononella storia antica di tutte le civiltà e da tempo consentivano l’esecuzioneautomatica o semiautomatica delle singole operazioni aritmetiche. Il di-ciannovenne Blaise Pascal, 200 anni prima di Babbage, aveva costruito unacalcolatrice meccanica che eseguiva somme e sottrazioni e, trenta anni do-po, Gottfried von Leibniz aveva realizzato una macchina a ruote dentateche calcolava anche la moltiplicazione, la divisione e la radice quadrata.

Ma a Torino, per la prima volta, si parlò di programma, il concettocentrale della scienza e della tecnica informatica: ossia della descrizionedella sequenza delle istruzioni, con possibili salti e diramazioni, da ese-guirsi automaticamente senza l’intervento dell’uomo fra un’operazione ela successiva e da considerarsi come un dato di ingresso alla pari dei datinumerici.

La descrizione del programma era affidata, nell’invenzione di Babbage,alla scheda perforata, figlia del cartone che Jacquart aveva introdotto neltelaio qualche decennio prima, per memorizzare il disegno da riprodurre.

Babbage non aveva mai trovato il tempo di descrivere la sua invenzionein un articolo scientifico. Così Plana si accinse a farlo, ma dopo poco si ac-

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9Raffaele Meo

Le implicazioni sulla società

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corse della difficoltà e della complessità del lavoro e vi ri-nunciò. Plana aveva ricevuto il titolo nobiliare di baroneed era anche barone in senso accademico, autoritario equasi dispotico. Così trasferì il compito di descrivere lamacchina matematica ad un suo giovane e brillante col-laboratore, Luigi Federico Menabrea.

Menabrea, che sarebbe certamente divenuto un gran-de uomo di scienza se non avesse avuto altri interessi,produsse un ottimo documento illustrativo della macchi-na di Babbage. L’articolo fu presentato nel 1842 alla Bi-bliotèque Universelle de Genève e ha importanza concet-tuale e storica perché può essere considerato il primo la-voro scientifico nel settore dell’informatica.

Qualche mese più tardi il lavoro di Menabrea fu tra-dotto in inglese ed ampiamente commentato dalla contes-sa Ada di Lovelace, figlia di Lord Byron, studiosa dalla ap-profondita cultura matematica, che aveva sempre seguitocon molto interesse il lavoro di Babbage.

In suo onore, l’importante linguaggio di programma-zione voluto dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uni-ti d’America per risolvere il problema della standardizza-zione del suo software è stato chiamato Ada.

Le macchine per scrivere e le calcolatrici meccaniche Olivetti Nel 1908 l’ingegner Camillo Olivetti fonda a Ivrea, a 40km da Torino, la Ing. C. Olivetti & C. S.p.A., prima fabbricaitaliana di macchine per scrivere. L’azienda annovera 20dipendenti e dispone di una struttura produttiva allocatain una officina meccanica di circa 500 mq.

La capacità produttiva è dell’ordine di 20 macchineper scrivere alla settimana.

Il primo modello innovativo, chiamato M1, è presen-tato nel 1911 all’Esposizione universale di Torino.

È il gioiello della tecnologia meccanica di quegli anni,e riscuote subito molto successo sul mercato. Questo con-sente una rapida espansione dell’azienda che nell’arco dipochi anni amplia il suo catalogo prodotti con nuovi mo-delli innovativi ed apre in tutto il mondo nuovi impiantiproduttivi e nuove filiali commerciali.

Tra i molti prodotti che riscuotono successo sul mer-cato meritano di essere ricordati l’MP1, la prima macchinaper scrivere portatile, prodotta tra il 1932 e il 1935; laLexicon 80, del 1948, nota per l’eleganza del design; lalunga serie delle calcolatrici meccaniche, dalla Divisum-ma 14 del 1948, la prima calcolatrice al mondo capace dieseguire le quattro operazioni elementari di somma, sot-trazione, moltiplicazione e divisione, alla Divisumma 24del 1956, che in tutto il mondo fu per molto tempo con-siderata sinonimo di calcolatrice.

Protagonisti di quei successi industriali furono Camil-

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Le implicazioni sulla società9 • Raffaele Meo • L’informatica italiana da Menabrea a Perotto

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lo Olivetti, il figlio Adriano, che gli subentrò, e molti progettisti, autenticigeni della meccanica, come Natale Capellaro che fu assunto in Olivetti co-me operaio e divenne direttore generale dell’azienda, in virtù di molte doti,prime fra tutte il rigore scientifico e la creatività.

I primi calcolatori elettronici italianiNei primi anni Cinquanta l’industria informatica mondiale muove i suoi pri-mi passi. Nel 1951 nasce Univac, il primo calcolatore elettronico prodottosu scala industriale, e, a brevissima distanza di tempo, seguono Ibm, Re-mington e poche altre grandi imprese mondiali. Anche in Italia arrivano leprime due macchine, destinate al Politecnico di Milano e all’Istituto nazio-nale per le applicazioni del calcolo di Pisa.

Nel 1954 si costituisce a Pisa un gruppo di ricerca congiunto compostoda ricercatori dell’accademia – Università, Consiglio nazionale delle ricerche,Istituto nazionale di fisica nucleare – e dell’Olivetti, con l’obiettivo di realiz-zare i primi calcolatori elettronici italiani. Fu Enrico Fermi a consigliarequell’avventura per impiegare il contributo di 150 milioni di lire che gene-rosamente i Comuni di Pisa, Lucca e Livorno avevano versato per la costru-zione di un sincrotrone, che si decise poi di realizzare a Frascati.

L’accordo stipulato dall’Olivetti con l’Università di Pisa prevedeva dap-prima la costituzione di un gruppo misto di ricercatori e progettisti acca-demici e industriali e, successivamente, la costruzione di un calcolatorescientifico presso l’Università (la Calcolatrice elettronica pisana o Cep) e diun calcolatore commerciale presso i laboratori industriali dell’Olivetti. Dalpunto di vista scientifico-tecnico il progetto ottiene importanti risultati. LaCalcolatrice elettronica pisana si caratterizza per la genialità di numerosesoluzioni tecniche e per la solidità del progetto. Opererà ininterrottamenteper molti anni, consentendo sia l’esecuzione di calcoli complessi importantiper le ricerche nei settori della fisica, della chimica, della biologia, sia losviluppo di nuove tecniche e nuove tecnologie per l’informatica.

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Dopo la fase di studio congiunto, il laboratorio dell’Olivetti, che è guidatodall’ing. Mario Tchou, figlio dell’ambasciatore cinese a Roma, che AdrianoOlivetti ha reclutato dalla Columbia University, viene trasferito a Borgo Lom-bardo, alle porte di Milano, dove si completano i prototipi dei primi calcola-tori industriali dell’Olivetti, l’ELEA 9001 e successivamente l’ELEA 9003.

L’ELEA 9003 è il primo calcolatore del mondo interamente transistoriz-zato: infatti, tutte le valvole termoioniche, caratteristiche dei calcolatorielettronici della prima generazione, sono state sostituite con transistori,realizzando grandi economie di costi, ingombri e assorbimenti di energia.

Può operare in multiprogrammazione, per cui i calcoli di più utentipossono essere svolti in parallelo, riducendo i tempi di attesa dei risultati.Inoltre, nel momento in cui un’unità periferica lenta, come un lettore di na-stro magnetico, chiede il trasferimento di un blocco di dati, scatta un inter-rupt, o interruzione, che consente all’unità centrale di elaborazione di pas-sare ad altre attività senza rimanere inoperosa.

L’ELEA 9003 ha un’unità centrale di calcolo in grado di elaborare100.000 istruzioni al secondo, con una memoria centrale a nuclei di ferrite,espandibile da 20.000 a 160.000 caratteri. La caratteristica particolare è lacapacità di gestire fino a 20 unità periferiche a nastro magnetico.

Sfortunatamente, nel 1960 muore Adriano Olivetti, l’apostolo della con-versione da azienda meccanica ad azienda elettronica, e l’anno successivoMario Tchou perde la vita sulla terza corsia dell’autostrada Milano-Torino.Le spese sostenute per entrare nel nuovo comparto produttivo e l’investi-mento finanziario affrontato per acquistare l’azienda americana Un-derwood che avrebbe dovuto facilitare l’ingresso nel mercato americanoportano l’indebitamento a 200 miliardi di lire e inducono il Comitato di ri-sanamento e il Consiglio di amministrazione alla chiusura delle attività elet-troniche e al rientro nel settore della meccanica. Così, nel 1964 l’intero set-tore elettronico dell’Olivetti viene ceduto alla General Electric.

La «Perottina», il primo personal computer della storiaNel 1950, nel gruppo degli assistenti del prof. Carlo Ferrari, al Politecnicodi Torino, lavora un giovane ingegnere, Pier Giorgio Perotto, destinato agiocare un ruolo importante in questa storia. Quei giovani si occupano diaerodinamica ed utilizzano modelli matematici molto raffinati che richie-dono enormi volumi di calcolo. Essi dispongono soltanto di calcolatorimeccanici che richiedono tempi lunghissimi per l’introduzione dei dati. Ècosì che Pier Giorgio Perotto avverte l’esigenza di uno strumento di calcolosemplice e maneggevole, che consenta di alleggerire quell’enorme fatica eaumentare la produttività dei ricercatori.

Poco tempo dopo, Perotto lascia il Politecnico di Torino ed entra nelgruppo di progetto dell’Olivetti che opera a Pisa sotto la guida dell’inge-gner Tchou. L’esperienza è esaltante, ma, come abbiamo visto, si concludedrammaticamente. Così Pier Giorgio Perotto ritorna amareggiato all’Olivettidi Ivrea, ove si trova praticamente isolato, in una realtà industriale che si èrituffata nel mondo della meccanica, ripudiando l’elettronica.

L’isolamento si rivela subito una grande opportunità perché Perotto vie-ne lasciato libero di sviluppare, insieme ad un paio di eccezionali collabo-ratori – Giovanni De Sandre e Gastone Garziera – il prototipo di quella mac-china che aveva sognato nel laboratorio di Torino quando sviluppava i mo-delli aerodinamici. A quella macchina che appare subito come il primo per-

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sonal computer della storia viene dato il nome ufficiale di Programma 101,esclusivamente perché in inglese uan-ou-uan suona bene, ma a quel nomemolti preferiscono il più familiare soprannome di «Perottina».

Nel 1965 l’Olivetti partecipa alla grande fiera di New York presentandocon enfasi la nuova linea di prodotti meccanici e relegando la Perottina inuna saletta in fondo allo stand. Ma il pubblico prende d’assalto quella sa-letta, costringendo gli organizzatori all’istituzione di un improvvisato ser-vizio d’ordine per disciplinarne l’accesso.

La Perottina appare subito a tutti come un’autentica meraviglia tecnolo-gica. Sul piano scientifico risulta rivoluzionaria l’adozione come memoriacentrale di una linea magnetostrittiva, molto più economica e leggera delleunità di memoria a nuclei ferritici che si impiegavano nei calcolatori di queitempi. Come memoria di massa e come dispositivo ausiliario di ingresso-uscita, viene utilizzata una scheda magnetica, che può essere consideratacome la progenitrice del floppy disk. Adotta, poi, un linguaggio di program-mazione sviluppato ad hoc, in funzione delle esigenze di ricercatori di tuttele discipline, anche di quelle lontane dal mondo dell’informatica.

Il mondo accademico è il primo ad impadronirsi del nuovo prodigiosostrumento di lavoro che consente al singolo ricercatore di sviluppare auto-nomamente i programmi di cui ha bisogno e di mandarli in esecuzione sen-za l’intermediazione dei tecnici che disciplinano e, inevitabilmente, condi-zionano, in quegli anni, l’accesso alle risorse di calcolo.

Di questa nuova macchina nell’arco di pochi anni si vendettero oltre44.000 esemplari, un numero molto inferiore alla domanda del mercato.

Nel 1967 la Hewlett Packard versò 900.000 dollari all’Olivetti, implicita-mente riconoscendo di aver violato il brevetto della Programma 101 con ilsuo modello HP 9100. Un dollaro simbolico fu versato dall’Olivetti all’ing.Perotto come inventore del primo personal computer della storia.

Le implicazioni sulla società9 • Raffaele Meo • L’informatica italiana da Menabrea a Perotto

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Il ritorno all’elettronicaNegli ultimi anni Settanta e nei primi anni Ottanta l’Olivetti torna all’elet-tronica con grandi, importanti successi.

Nel 1975 alla Fiera di Hannover viene presentata la coppia di elaboratoriP6040 e P6066, caratterizzati da floppy disk, stampante integrata, sistemaoperativo proprietario, linguaggio BASIC.

Nel 1982 viene presentato M20, un nuovo personal computer, basato suun microprocessore potente ma poco diffuso, lo Zilog Z8001, e un sistemaoperativo proprietario, nato nei laboratori Olivetti, chiamato PCOS e carat-terizzato da ottime prestazioni e funzionalità.

Nel 1984 nasce un potente personal computer chiamato M24 e prodottonello stabilimento di Scarmagno. Adotta il sistema operativo DOS di Ibmed è perfettamente compatibile con il Pc di Ibm, rispetto al quale presentaprestazioni molto più elevate. Riscuote un enorme successo sul mercato eapre la via a numerosi altri prodotti in virtù dei quali Olivetti diviene unodei massimi produttori mondiali di personal computer.

Altrettanto importante è l’evoluzione delle macchine per scrivere che sisvolge parallelamente a quella dei Pc. Nel 1978 nasce ET101, la prima mac-china per scrivere elettronica prodotta nel mondo, seguita da altri modellidi successo come ET351.

Nel 1996 l’ennesima crisi finanziaria induce il management Olivetti achiudere lo stabilimento produttivo di Scarmagno. È la fine dell’industriainformatica nazionale.

Il 12 marzo 2003 la Ing. C. Olivetti & C. è cancellata dal registro delleimprese.

Tre citazioni senza commenti1964. Uno dei più grandi manager dell’industria italiana:

«La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza gran-di difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia,un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale oc-corrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare».

1999. Un grande economista e ministro dell’Economia:«Il treno delle tecnologie dell’Informazione per il nostro Paese è irrime-

diabilmente perduto. Non dobbiamo spenderci nemmeno una lira».2004. Un grande manager di oggi:«Solo una coerente strategia di cessioni e di tagli poteva raccogliere

qualche consenso in Borsa. Secondo il mercato la stagione del computerera terminata e l’unica speranza era il passaggio ai telefoni».

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Il futuro della societàdell’informazioneSiamo, oggi, tutti immersi e coinvolti nella straordinaria avventura dello svi-luppo della scienza e della tecnologia. È perfettamente lecito, saggio chie-dersi: dove arriveremo?

La risposta non è affatto facile.Si è spesso indotti a pensare in modo trionfalistico: quello che è stato

già ottenuto è sotto gli occhi di tutti. Non è mai avvenuto nella storia del-l’umanità che un numero così grande di persone si sia dedicato alla scienzaed alla tecnologia. Ciò spiega i grandi risultati già raggiunti, e giustifica an-che l’attesa di nuovi e più importanti sviluppi.

È giustificata tale attesa (che significa, letteralmente, speranza)? Proprio perché le applicazioni informatiche sono letteralmente sotto gli

occhi di tutti oramai da molti anni, dobbiamo valutare l’esperienza vissuta nonpiù soltanto sotto gli aspetti tecnologici, ma anche per le conseguenze che es-sa ha indotto nel nostro modo di vivere, di lavorare, di studiare, di divertirci.Gli effetti delle tecnologie sono perciò anche sociali, psicologici ed etici.

Rilevanti sono anche gli aspetti economici per le cospicue risorse chegli sviluppi tecnologici richiedono.

Complessivamente, la tecnologia nel suo insieme ha contribuito a creareuna società nuova. Non tutti, però, anche nei paesi più progrediti, ne hannotratto profitto. Dobbiamo perciò preoccuparci di come la tecnologia possaarrivare a tutti. Ed è comunque importante chiederci come la stessa tecno-logia evolverà, perché essa è ancora ben lontana da una situazione di rela-tiva stabilità che, presto o tardi, verrà comunque raggiunta.

Tutti i precedenti aspetti sono emersi durante il periodo storico già tra-scorso. Abbiamo imparato a sviluppare la tecnologia. Sappiamo che il pro-gresso non è mai lineare e prevedibile. Siamo spesso portati a riconosceree ricordare solo i successi, ma sappiamo anche che non tutti gli sforzi com-piuti sono stati coronati da successo.

Ciò vale anche per i problemi indotti dallo sviluppo tecnologico. Siamo,anzi, immersi in un mare di problemi che riguardano sia la vita dei singolisia della società nel suo complesso. È allora importante guardare anche alpassato per apprendere il da farsi.

Il passato, dagli inizi nei tardi anni Quaranta ad oggi, è descrivibile inperiodi durante i quali ebbero luogo profonde innovazioni tecnologiche.Dalla prima generazione di calcolatori, caratterizzata dall’uso di valvoleelettroniche (dal triodo al pentodo agli schermi televisivi ottenuti con in-gombranti e pesanti dispositivi basati sull’ottica costruita intorno a fasci dielettroni), si è passati alla seconda generazione (fine degli anni Cinquanta),basata sui transistori, dispositivi che si basano sul controllo di correnti elet-triche con un consumo di energia elettrica molto minore. Questi permiserodi soddisfare una esigenza che si manifestò subito nella concezione dei cal-colatori: la necessità di realizzare reti logiche di grande complessità.

Ricordo qui che il primo grande calcolatore americano, Eniac, richiese18.000 valvole (una radio ne richiedeva 5, un televisore almeno una dozzi-na), con un consumo di energia così alto che “mandò in tilt” la rete elettricadella città di Philadelphia, negli Stati Uniti.

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10Luigi Dadda

Le implicazioni sulla società

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mdLa tendenza alla miniaturizzazione continuò, rendendo necessari dispo-

sitivi ancora più piccoli, i cosiddetti «circuiti integrati», così chiamati perchéottenuti realizzando in una sottile piastrina di silicio, di pochi millimetriquadrati, decine, poi centinaia, poi migliaia di transistori. Fu così raggiuntala terza generazione, caratterizzata dai circuiti integrati ma anche dall’in-venzione di memorie di nuovo tipo, facenti uso di minuscoli anelli di ma-teriale ferromagnetico o ferriti. Si credette, allora, che quest’ultimo tipo dimemoria, di grande robustezza e semplicità, avrebbe offerto una soluzionepermanente. Così non fu, perché, nel frattempo, la tecnologia dei circuitiintegrati fu applicata con successo alle memorie, ottenendo una soluzionemolto più efficace e meno costosa.

Anche l’architettura stessa dei sistemi di calcolo subì una evoluzione so-stanziale, introducendo la possibilità di ottenere non solo calcolatori usabilicon terminali distanti, ma soprattutto di costituire vere e proprie reti di cal-colatori. Tutto ciò si può intendere come la realizzazione di una quarta ge-nerazione.

Può essere di qualche interesse citare un progetto che all’epoca (anniOttanta) fu oggetto di vivaci discussioni. Il Giappone, divenuto una grandepotenza industriale e in particolare elettronica, lanciò il calcolatore chiama-to «della quinta generazione». Esso era fondato soprattutto sull’uso gene-ralizzato della intelligenza artificiale. Tale disciplina, molto controversa maanche molto importante, era in una fase iniziale di sviluppo, ancora conpoche applicazioni, peraltro sviluppate soprattutto nel mondo occidentale,più che nello stesso Giappone. Ne sortirono, dopo molti anni, alcune ap-plicazioni, nessuna delle quali veramente rivoluzionaria come prometteva-no, invece, i sostenitori.

L’evoluzione della tecnologia informatica, peraltro, proseguì su altrestrade.

Si svilupparono i calcolatori portatili, per l’uso personale, oggi sotto gliocchi e, soprattutto, nelle mani di tutti: l’informatica passava dalle mani de-gli specialisti a quelle dell’uomo comune. Il calcolatore portatile è l’espres-sione di una profonda rivoluzione tecnologica resa possibile dalla tecnolo-gia di semiconduttori che si è espressa soprattutto al livello dell’architetturagenerale dell’informatica, con la possibilità di costituire reti di calcolatori.Dai grandi centri di calcolo nei quali si concentrava tutta l’informazione aduna distribuzione capillare della stessa. L’espressione più completa di taleconcezione si manifestò con la creazione di Internet e con la sua evoluzio-ne, che continua ancora oggi.

Non si può però dire che Internet abbia attenuato l’attenzione sui siste-mi di grande potenza di calcolo, che anzi crebbe con lo sviluppo e la dif-fusione dei supercomputers. Questi furono richiesti soprattutto dal settorescientifico. All’inizio degli anni Novanta si formulò una previsione: se unacerta potenza di calcolo fossa stata raggiunta (1 gigaflop, cioè mille milionidi operazioni al secondo), si sarebbe data soluzione ad una decina di pro-blemi tecnico-scientifici ancora insoluti. Si sarebbe potuto sostituire la gal-leria del vento essenziale per la progettazione di aerei, con una “galleriaelettronica” capace di ottenere soluzioni più raffinate; sarebbe stato possi-bile risolvere l’equazione di Schödinger per la soluzione delle complesseequazioni quantistiche che descrivono le molecole, ottenendo di avviareuna vera e propria nuova chimica; sarebbe stato possibile fondare una verae propria informatica biologica, con l’obiettivo ambizioso di poter simulareil comportamento di cellule viventi. Per i fisici che studiano l’universo come

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la struttura più intima della materia, sarebbe stato possibile prevedere sullabase dei modelli finora sviluppati, nuovi fenomeni da verificare poi con icomplessi esperimenti da eseguire con il nuovo super acceleratore di par-ticelle del Cern di Ginevra. E così via.

L’obiettivo venne raggiunto. Ma non bastò a saziare la fame di potenzadi calcolo degli scienziati. È, questo, un fatto che si è sempre verificato. Laricerca pone, inevitabilmente, obiettivi sempre più ambiziosi. È in atto, og-gi, il raggiungimento di un nuovo obiettivo per il supercalcolo: quello diuna potenza che raggiunga il petaflop, cioè una potenza pari a 1000 tera-flops (1 teraflop vale 1000 gigaflops).

Basterà tutto ciò? Certamente permetterà di raggiungere nuovi obiettiviscientifici, ma è praticamente certo che tra qualche anno si mirerà ancorapiù in alto.

Il supercalcolo è una applicazione certamente desiderabile e da perse-guire. Vi sono, però, anche altri obiettivi altrettanto desiderabili e persegui-bili.

È importante notare che emerge un’altra esigenza per la ricerca scien-tifica: quella di rendere disponibile la grande potenza di calcolo a tutti i ri-cercatori, e ciò perché la ricerca stessa ha generato un nuovo modo di ri-cercare, ed in tutti i settori, non più soltanto nella fisica o nell’ingegneria.Si è già detto dell’informatica biologica, ma oramai tutte le scienze sono di-rette in quella direzione: il supercalcolo. Si può anzi affermare che esso hapermesso di fare scienza in modi nuovi, dando origine alle scienze compu-tazionali.

Tali esigenze hanno anzi provocato lo sviluppo, accanto ad Internet, de-stinato a promuovere lo scambio di informazioni, anche di una rete chepermette a tutti i ricercatori l’accesso al supercalcolo, anche per coloro chenon dispongano direttamente di un supercalcolatore. Si sono perciò svilup-pate reti speciali, dette grids.

Il concetto di rete si è anzi generalizzato, per rispondere, per esempio,alle esigenze di connettere tra loro in rete molti sensori di grandezze dellapiù varia natura per il controllo di sistemi, essi stessi connotati da caratte-ristiche assai diverse.

Si possono costruire reti di sensori per il controllo del territorio, per quan-to riguarda i fenomeni franosi, oppure del traffico in un sistema stradale. Retidi sensori televisivi sono già ben note per la rilevazione di fatti criminosi.

Sensori di grandezze fisiologiche possono concepirsi per problemi me-dici. Sensori televisivi di piccole dimensioni sono diventati strumenti di dia-gnosi nuovi e preziosi nell’intestino umano.

Tutto ciò è stato reso possibile con la realizzazione non solo di nuovisensori ma anche di sistemi di calcolo dedicati a specifiche applicazioni edinglobati con gli stessi sensori. Si tratta dei sistemi detti embedded, che pos-sono essere utilizzati in macchine o strumenti della più varia natura per ot-tenerne altri del tutto nuovi.

Tale è l’attuale stato di sviluppo della tecnologia informatica, che si rivelacome tecnologia trasversale, capace di interagire con tutte le altre tecnologie,di natura meccanica come di quella chimica, o elettrica o biologica.

Ci si può chiedere anche, tra l’altro, se gli attuali componenti costituiticon circuiti integrati possano offrire, come è stato fatto finora, le necessariepotenze di calcolo crescenti col tempo con una legge empirica detta «leggedi Moore». Essa dice che i circuiti integrati sono finora cresciuti al ritmo diun raddoppio del numero dei transistori ogni 18-24 mesi. Si prevede che

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Le implicazioni sulla società10 • Luigi Dadda • Il futuro della società dell’informazione

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tale ritmo si attenuerà sensibilmente nel prossimo decennio. E dopo? Sonoin fase di sviluppo nuovi dispositivi che promettono densità molto maggio-ri di quelle, anch’esse grandissime, oggi realizzabili: alcuni milioni di tran-sistori su un solo “chip” di silicio.

Essi già permettono di realizzare su un chip non più solo un completocalcolatore, ma una rete di più processori: si tratta della tecnologia dettaSoC (System on Chip).

Le nuove tecnologie permetteranno, per esempio, di utilizzare un soloelettrone (o al più due) per rappresentare un bit di memoria. Sono perciòin prospettiva realizzabili dispositivi con capacità di calcolo molto maggioridelle attuali. Si affaccia un problema imbarazzante: per farne che? Non cre-do che saremo troppo disorientati. L’esperienza di oltre mezzo secolo hamostrato che l’uomo non si sazia facilmente per la quantità di informazionee di calcolo.

Abbiamo finora parlato di capacità di calcolo realizzabili su un chip. Isistemi di calcolo richiedono anche altre funzioni. La più rilevante tra esseè costituita dalla capacità di trasmettere a distanze spesso modeste ma an-che grandissime (per esempio transatlantiche). La tecnologia delle comu-nicazioni ha prodotto due nuovi mezzi: i satelliti per comunicazioni (per legrandi distanze) e le fibre ottiche (per distanze sia modeste sia anche tran-satlantiche).

Un accenno finale può essere opportuno sul grado di interazione congli oggetti informatici direttamente utilizzati da un vasto pubblico di per-sone, anche per sottolineare la rapidità di adattamento necessaria.

Una persona di circa quarant’anni, nata perciò in un’epoca che non po-teva ancora essere definita “digitale” ma certamente già avviata ad esserloin misura sempre crescente, ha potuto familiarizzare con Internet, comecon il cellulare. Ha così acquisito, tra l’altro, conoscenze ed abilità diventateessenziali in molte delle più comuni professioni, in particolare quelle im-piegatizie.

Chi è nato anche solo pochi anni fa può dirsi nato in un’epoca già for-temente “digitale”. Le cose nuove che suo padre vide nascere sono oramainaturalmente sotto i suoi occhi. Egli può apprenderle anche con l’aiuto deigenitori (che non ebbero tale possibilità).

Nasce così un problema: la qualità di tale apprendimento. Sarebbe mol-to importante ed utile che la stessa scuola si facesse carico di trasmettereuna conoscenza qualificata, soprattutto capace di essere propedeutica allenuove situazioni che non mancheranno di realizzarsi in un prossimo do-mani.

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* Devo dichiarare che que-sto interesse è nato a par-tire da un corso di aggior-namento, organizzato dalGDH (Associazione deidocenti di storia e geogra-fia svizzera) a Rolle, vicinoGinevra, nel 2005.

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Come oggi con gli animali, a metà Ottocentocon gli umani si organizzavano degli zoo.Questa forma di spettacolo si diffuse anchein Italia, fino al dopoguerra. Il suo studio, og-gi, è una straordinaria occasione per aprirein classe le questioni della colonizzazione edel razzismo.

Da anni inserisco abitualmente nel mio pro-gramma di storia di quarta e quinta liceoscientifico il tema delle esposizioni universalie dei cosiddetti «zoo umani» in Europa*. Lun-gi dal costituire un evento nuovo, le esibizionidi esseri umani si intrecciano, durante il di-ciannovesimo secolo, con le problematicherelative allo sviluppo del colonialismo, del-l’imperialismo, alla nascita delle scienze an-tropologiche, allo sviluppo tecnologico e dellefonti d’informazione, ai primi fenomeni propridi una cultura massificata. Ecco perché que-sto tema si rivela di estrema utilità, per esem-pio in vista degli esami di Stato.In particolare mi sono chiesta se, data la dif-fusione del fenomeno, esso si fosse verifica-to anche in ambito nazionale. La risposta èaffermativa, la bibliografia in materia pernulla generosa e molto differenziata nelle ti-pologie degli eventi analizzati. A quanto mirisulta, le esposizioni più studiate sono statequelle torinesi, forse perché furono le primein ordine di tempo ad essere interessate dafenomeni così eclatanti, vale a dire la possi-bilità di incontrare dal vero, in carne ed ossa,rappresentanti di un’umanità (proveniente

Gli «zoo umani»nel programmadi storia

Monica Ducati

spesso dai territori coloniali) inconsueta,guardata a tratti con scherno, ma anche concuriosità. I gruppi umani che più degli altrifurono vittime e protagonisti di questo feno-meno furono i popoli africani.Data la natura dell’argomento preso in con-siderazione, il confronto con diverse fonti è i-nevitabile e sicuramente produttivo e moti-vante, sia per i docenti sia, ancor più, per glialunni: oltre ai testi sono disponibili immagi-ni, articoli presenti in rete, cataloghi di mo-stre, cd-rom, fotografie, ecc. L’attività puòessere suddivisa in una serie di lezioni, di cuiuna prima introduttiva, da effettuarsi conl’ausilio di un videoproiettore; il lavoro puòcontinuare poi con una serie di ricerche pergruppi d’interesse. Seguiranno lo scambiodei materiali e la presentazione dei lavori diciascun gruppo, con un confronto finalesull’attività. In genere a questo scopo io pro-pongo un piccolo questionario di valutazionee autovalutazione del percorso, con conse-guente discussione finale in plenaria. Forni-sco di seguito alcune schede che possonoservire di traccia per il lavoro, così suddivise:– una scheda introduttiva;– sette schede relative al tema «I villaggi in-digeni in Italia dal 1884 al 1911»;– due schede relative al tema «Le esposizio-ni coloniali italiane dal 1914 in poi»;– una scheda sulle esposizioni umane con-temporanee;– una scheda conclusiva.

IntroduzioneScheda n. 1. Le esposizioni universali inEuropaAl termine «Esposizione» sono sottesi diver-si tipi di manifestazioni, fiere, eventi, chepossono riguardare l’ambito nazionale, piut-tosto che quello internazionale, che possonoessere industriali, oppure a carattere agrico-lo, di fotografia e arti applicate, ovvero colo-niali. Rimanendo ancora nell’ambito delledefinizioni, possiamo considerare questo fe-nomeno più mondiale che europeo, anche senel nostro continente esso ebbe origini especificità proprie.In ordine cronologico, il primato ufficiale

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munduslaboratorio

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G. Abbattista, cfr. Torino1884: Africani in mostra,in «Contemporanea», a.VII, n. 3, agosto 2004, p.402.

ni a Torino, La rappresen-tazione dell’‘altro’ nelle e-sposizioni torinesi (1884-1911), http://www.univ-trieste.it/~humdiv/Diver-sita.pdf, p. 1). Sulle farseteatrali, sempre a cura di

un gruppo di assabesi aTorino durante il 1884, inoccasione dell’Esposizio-ne nazionale, nacqueroprodotti di pasticceria acui venne dato il loro nome(cfr. G. Abbattista, Africa-

2. Ricordiamo la non ca-suale coincidenza dellanascita dell’antropologiaculturale negli anni dimaggiore sviluppo del co-lonialismo europeo.3. In seguito alla venuta di

1. R. Corbey, Vetrine etno-grafiche: il racconto e losguardo, in S. Lemaire (acura di), Zoo umani. DallaVenere ottentotta ai rea-lity show, Ombre Corte,Verona 2003, p. 85.

dati, agli incidenti sul lavoro, alle relazioni fi-nali dei giurati, spesso critiche, alle ingentis-sime spese di allestimento e disallestimento.Un caso particolare concernente questo fe-nomeno sono le esibizioni di esseri umaniche si sono succedute con costanza in granparte del mondo, a partire dall’ultimo ven-tennio dell’Ottocento fino a tutto il periodoprecedente la seconda guerra mondiale. Èsu iniziativa del tedesco Hagenbeck che ve-diamo nascere un’attività di questo tipo or-ganizzata secondo criteri commerciali e si-stematici (si ricordi in particolare l’esibizio-ne di lapponi ad Amburgo tra il 1874 e il1875). In realtà, «Hagenbeck non fu certo ilsolo a prendere simili iniziative. Già Cri-stoforo Colombo e Hernan Cortés avevanoportato Indiani e Aztechi dal Nuovo Mon-do»1, ma ciò che muta è lo scenario nel qualequesti fenomeni avvengono. L’Europa delsecondo Ottocento, segnata da una marcataindustrializzazione (seppure non diffusa o-vunque) e da uno sviluppo tecnologico insempre maggiore espansione, attraversatada correnti culturali, come il positivismo e leneonate scienze sociali2, che la sostengononel suo ottimismo, vede la nascita di un pub-blico che, seppure dentro cifre imparagona-bili a quelle odierne, manifesta interessi,reazioni, e condiziona a volte pesantementela riuscita di una mostra piuttosto che diun’altra. In questo caso, la presenza di esseriumani all’interno di un giardino zoologico,assieme a bestie rare e feroci, oppure al se-guito di un impresario rappresentò, seppurein maniera altalenante, un sicuro motivo disuccesso per gli organizzatori delle iniziati-ve di questo tipo. Per averne la riprova, bastaconsiderare le ricerche relative alle fontid’informazione dell’epoca, giornali, periodi-ci e riviste satiriche, la letteratura, le canzo-ni, addirittura l’ispirazione di farse teatrali edi fenomeni di costume3, il diffondersi di car-

nell’allestimento di queste mostre spetta aLondra, sia a livello nazionale (nel 1756) cheinternazionale (nel 1851). Sarà dunque du-rante il XVIII secolo che, forte dello svilupposcientifico e tecnologico e della riflessione sudi esso, l’Europa caratterizzerà questi avve-nimenti in maniera sempre più marcatamen-te industriale: l’esposizione diverrà alloral’occasione per mostrare prodotti, stimolareconsumi, accrescere il prestigio della nazionepromotrice, rivaleggiare con altri Stati o città.Sicuramente le esposizioni diventavano unavetrina che faceva riflettere lo splendore, rea-le o inventato, del luogo nel quale erano orga-nizzate; ad evidenziare questo carattere dicelebrazione che gradualmente assunsero, sipuò notare che spesso erano indette in datespecifiche, in ricorrenze particolari, prevalen-temente di carattere politico. Ricordiamo adesempio la prima esposizione nazionale chesi tenne a Firenze nel 1861 per l’unità d’Italia,quella di Torino nel 1898, volta a ricordare icinquant’anni dalla concessione dello Statutoalbertino, i festeggiamenti parigini per il cen-tenario della rivoluzione (1889), ecc.Verosimilmente si può affermare che le dueanime delle esibizioni, quella spettacolare equella istituzionale, sono connesse l’unaall’altra, rivelando aspettative e contraddi-zioni di un medesimo sistema. L’Italia en-trerà in ritardo dentro questo meccanismo:dall’unità in poi si seguiranno in generaleschemi organizzativi derivanti dal mondoanglosassone, e sarà la monarchia sabaudaa farsi soprattutto promotrice di queste ini-ziative, unendo sezioni artistiche alle fiereindustriali, per compensare la mancanza diuna reale industrializzazione urbana nelpaese, e insistendo, dalla metà dell’Ottocen-to in poi, più che altro sulle esposizioni agri-cole. Queste operazioni non erano esenti dalacune: dai rischi per la sicurezza dei visita-tori in occasione di alcuni allestimenti azzar-

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sorse: già poco dopo il loro arrivo gli assa-besi si rifiutarono categoricamente di dor-mire nelle capanne che erano state prepara-te per loro nel Parco, e ne fecero costruiredelle altre sotto la loro direzione. La loropresenza a Torino lasciò delle tracce consi-stenti, non solo sulla stampa, ma anche dalpunto di vista iconografico. Kreta, Kamil, idue fanciulli Alì e Mohammed avevano li-neamenti regolari e una certa fierezza nellosguardo, corpi slanciati e agili; insomma,nessuna delle caratteristiche che ci si sa-rebbe aspettati da quelli che la scienzadell’epoca continuava a considerare degliesseri subumani. Si poté invece apprezzare,man mano che i giorni passavano, la loro ca-pacità di muoversi in un consorzio urbano:superate le iniziali reticenze, essi si feceroritrarre, godettero delle delizie della cucinaitaliana, interagirono con il pubblico, spez-zando anche qualche cuore. Seppero calarsiperfettamente in un ruolo, assunsero un’in-dividualità costruita loro attorno dalle emo-zioni, dai commenti, dalle aspettative di chili guardava. «Gradualmente, agli occhi dimolti dei più benevoli osservatori la vicendadei sei Assabesi parve tradursi in una lam-pante dimostrazione della possibilità di in-nalzamento sulla scala della civiltà: queiselvaggi, a contatto con la società occiden-tale, si erano prontamente “domesticati”,con un processo di cui l’Esposizione era sta-ta l’improvvisato laboratorio. La stampad’informazione e quella satirica rivelano, aquesto proposito, una comune reazione ten-dente a esprimere compiacimento per l’ef-fetto di attrazione-seduzione che vari aspet-ti della cultura materiale occidentale stava-no avendo sugli africani»4.L’aspetto più curioso e che scatenò, una vol-ta messo a nudo, i rimproveri più pesanti, fula questione della falsa identità degli africa-ni. Ad un certo punto, non si sa da quali fon-ti, nacque l’idea che i sei, tre uomini, unadonna, due bambini, fossero dei principi ocomunque dei dignitari di corte. Da allora inpoi le reazioni del pubblico e le pretese degliassabesi si fecero sempre più forti. Per unverso i visitatori, non si sa se spontanea-

toline illustrate aventi a soggetto individuie/o paesaggi. Ciò che purtroppo manca, inaggiunta ai dati numerici relativi all’affluen-za (neppure questi sempre registrati), è ladocumentazione delle impressioni diretta-mente espresse dai visitatori.

A. I villaggi indigeni in Italia dal1884 al 1911Scheda n. 2. 1884 - Torino, Esposizione na-zionale: «Baia di Assab» nel Parco del Va-lentinoSi tratta del primo esempio riccamente docu-mentato di esibizione di esseri umani all’in-terno di una fiera. Le testimonianze relativeall’evento sono numerose e diversificateperché si trattava di un momento fortementepropagandistico per la città di Torino, con u-na forte affluenza di pubblico e una signifi-cativa presenza degli organi di stampa.Nella fattispecie si trattò di collocare all’in-terno del Parco del Valentino un gruppo disei africani provenienti dalla baia di Assab direcente acquisizione. Pare non ci fosseun’intenzione premeditata di coinvolgeredegli esseri umani; certo è che la vicenda as-sunse dei contorni inaspettati, a causa ad e-sempio del rifiuto dei sei assabesi di essereutilizzati come semplici oggetti da esposi-zione, della spinosa questione delle speserelative al loro mantenimento e cura, deglieffetti di ritorno sul pubblico. L’esposizionevirò rapidamente dagli obiettivi commercialiiniziali fino ad assumere le caratteristiche diuna fiera delle colonie, con l’avallo delle so-cietà coloniali e geografiche che si occupa-vano dello studio e dell’esplorazione di queiterritori. Non si conoscono i motivi che con-vinsero gli africani a venire in Italia: certo inquest’occasione, come in molte altre, ebberoun’importanza fondamentale gli interme-diari e i traduttori; e molto probabilmentenon si accennò ai sei il destino che avrebberosubito una volta arrivati nella penisola. Ven-nero accompagnati in Italia in una cabina diterza classe, visto che si riteneva fossero a-bituati alle ristrettezze della povertà.Ci si rese al contrario subito conto di nonaver a che fare con dei selvaggi privi di ri-

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4. Abbattista, Torino1884: Africani in mostra,cit., p. 395.

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mente o per effetto dell’interpretazione deigiornali, aumentarono ancor più la loro inva-denza, per l’altro, gli stessi protagonisti del-la vicenda pretesero, venendo subito accon-tentati, di essere presentati ai reali. Il 17 lu-glio del 1884 essi furono ricevuti in udienzaprivata dal re Umberto I a Torino, ricevetteropiù volte doni dal principe Amedeo, otten-nero di essere considerati visitatori dellamostra, e non semplici ospiti.!Il colpo di sce-na fu rappresentato dal fatto che, una voltatornati in patria, gli assabesi si rivelaronoper ciò che effettivamente erano: dei pove-racci che non avevano esitato a rivendere iregali ricevuti dai notabili italiani. Da quinacquero la reticenza dello stesso ministeroad occuparsi del pagamento delle spese disoggiorno degli ospiti africani; l’acredinedella stampa, soprattutto dei quotidiani mi-lanesi e romani, laddove invece i fogli tori-nesi tendevano a fornire un’interpretazionepiù attenuata della vicenda; le proteste deilettori.A fine agosto, dopo quasi due mesi, il soggior-no obbligato in Italia degli abitanti di Assabfinì. Poi, «dopo pochi mesi, fu organizzata laspedizione di Massaua [...]»5, la città che di-venterà la capitale della colonia eritrea.

Scheda n. 3. 1891-92 - Palermo, Esposizio-ne nazionale: «Mostra eritrea»Gli scopi prioritari che portarono alla sceltadi Palermo furono, in primo luogo, la verificadel sistema doganale, e poi l’auspicata col-laborazione tra le industrie del Nord e l’eco-nomia del Sud Italia, con il possibile inter-vento, che si aspettava, di sponsor localiche fornissero i finanziamenti. Per quantoriguarda l’allestimento di villaggi indigeninegli spazi dell’esposizione, in questa occa-sione venne creato «un villaggio eritreo ri-prodotto con un criterio etnografico più ri-goroso, con capanne ricostruite in loco dagliindigeni, con suppellettile autentica [...]»6.

È evidente la polemica con Torino, accusatadi scarsa serietà e improvvisazione, di con-tro all’orgoglio trionfalistico con il qualevenne presentata la mostra palermitana.Certo, siamo dentro un’atmosfera profonda-mente mutata, sono passati sette anni, el’eccidio degli italiani a Dogali nel 1887,nonché la creazione della colonia eritrea nel1890, condizionarono pesantemente lo svol-gersi della manifestazione.

Scheda n. 4. 1898 - Torino, Esposizione na-zionale: «Villaggio eritreo» e «Amazzonidel Dahomey»Il 1898 si presenta difficile e pieno di proble-mi per il Regno d’Italia. Dopo la sconfitta diAdua del 1896 e la caduta del secondo gover-no Crispi le forze reazionarie del paese, do-vendo fronteggiare la sempre più massicciacrescita delle forze socialiste e le proteste dipiazza, si richiamarono direttamente alloStatuto albertino con l’intenzione, pretta-mente politica, di mettere in pratica le solle-citazioni del barone Sidney Sonnino che all’i-nizio del 1897 ne aveva chiesto un’interpre-tazione restrittiva in senso antiparlamenta-re. In base a queste finalità venne organizza-to l’evento del 1898, che fu però inserito in u-na cornice di comodo falsamente operaisti-ca. Infatti a promuovere l’iniziativa fu, già apartire dal 1893, la società «La libertà», de-putata alla previdenza e all’incremento dellaforza lavoro.A causa delle tensioni politiche e delle am-biguità di fondo che minavano le possibilitàdi successo dell’esposizione (infatti le cifreriguardanti il pubblico furono scarse), le esi-bizioni etniche furono presentate un po’ insordina. C’erano, tra le attrazioni principali,il villaggio eritreo, che «fu mimetizzato al-l’interno di una sezione più generale intito-lata agli Italiani all’estero [...]»7, e le amazzo-ni del Dahomey: l’effetto di fascinazione, edinsieme d’inquietudine, che la figura femmi-

5. Ivi, p. 403.6. M. Picone Petrusa, Cin-quant’anni di esposizioniindustriali in Italia, in M.

Picone Petrusa, M.R. Pes-solano, A. Bianco, Legrandi esposizioni in Italia1861-1911. La competizio-

ne culturale con l’Europa ela ricerca dello stile nazio-nale, Liguori, Napoli 1988,p. 17.

7. Picone Petrusa, Cin-quant’anni di esposizioniindustriali in Italia, cit., p.22.

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nile di colore esercitava (ed esercita) sull’im-maginario collettivo, è ben documentato dauna nutrita serie d’immagini, nelle quali sinota spesso una fisicità pesante dei corpi, ingenerale nudi per lo meno fino alla cintola,dentro contesti aggressivi, il che serve per-fettamente a veicolare un’interpretazionedell’amazzone come essere bestiale.

Scheda n. 5. 1902 - Torino, Prima esposizio-ne internazionale d’arte decorativa mo-derna: «Villaggio sudanese e sud-oranese»La prima esposizione di inizio secolo, previstaper la primavera del 1901, fu ritardata di unanno a causa dell’assassinio di Umberto I. Lamanifestazione, di carattere prettamente ar-tistico, aveva l’obiettivo di far dialogare imaestri della decorazione italiani e stranieri,investendo in un settore che, rispetto a quellodello sviluppo industriale, poteva sicuramen-te far guadagnare all’Italia qualche punto.Nel settore delle attrazioni, accanto allemontagne russe, al toboga e al labirinto difiori, era situato un villaggio di sudanesi esud-oranesi. Si occuperà di far venire a Tori-no i quindici «mori»8 l’impresario Gravierche, a causa della scarsa affluenza di pubbli-co, sarà costretto a dimettersi. In ogni modo,comunque, il comitato organizzativo riusciràa trovare delle occupazioni al gruppetto, peril divertimento dei visitatori e la gioia degliazionisti.

Scheda n. 6. 1906 - Milano, Esposizione in-ternazionale: «Via del Cairo» e «Villaggioeritreo»Va evidenziato subito il reperto iconograficoperché questa fu l’esposizione celebre per ilfalso, qui riprodotto. Leggiamo ora parte del-la didascalia che l’accompagna: «Esposizio-ni e mostre coloniali diventano ben presto u-no dei veicoli della propaganda coloniale, euno degli strumenti privilegiati per la forma-zione della “coscienza coloniale” del paese,spesso rappresentando per migliaia di italia-ni l’unica occasione per conoscere l’alteritàafricana. Montagne di cartapesta e onnipre-senti palmizi servono a “situare” villaggi a-fricani ricostruiti per sedurre il visitatore, ri-creando un mondo nel quale gli indigeni so-no parte del paesaggio, spesso indotti a si-mulare i gesti della propria quotidianità in-ducendo nel visitatore, attraverso la testi-monianza della propria docilità e “arretra-tezza”, l’orgoglio del dominatore e del civi-lizzatore»9. L’elemento saliente è però chené gli “indigeni” né tanto meno gli elefantisono africani.La ricostruzione irrealistica di scenari esoti-ci era tutt’altro che infrequente nelle esposi-zioni: spesso la gente reclutata per questiruoli proveniva dai bassifondi dei porti colo-niali, e va ricordato altresì l’episodio dei con-tadini algerini che furono portati in Francia epresentati come i tuareg di Timbuctu. Per in-garbugliare ancor più queste vere e proprietruffe a danno del pubblico (che pagava re-golarmente il biglietto d’entrata) venivano,proprio per fugare i dubbi, esibiti agli stra-nieri dei «certificati di autenticità etnica rila-sciati da amministratori coloniali delle regio-ni di provenienza – anch’essi, peraltro, pro-babilmente falsi»10.

8.L’espressione è virgolettata nell’articolo di C. Accorne-ro dal titolo Meraviglia, divertimento e scienza: l’imma-gine del l’Afri ca attraverso le esposizioni torinesi (1884-1928), in C. Pennacini (a cura di), L’Africa in Piemonte tra’800 e ’900, Regione Piemonte, Torino 1999, p. 79.9. S. Palma, L’Italia coloniale, Editori Riuniti, Roma 1999,p. 56.10. Abbattista, Torino 1884: Africani in mostra, cit., p.401.

Fig. 1 «Villaggio eritreo. Cartolina della serie

“Esposizione di Milano”, 1906. Foto Pilade

Rocco & C.». Da S. Palma, L’Italia coloniale,

Editori Riuniti, Roma 1999, p. 56.

Fig. 1

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11. O.G.B., in G. Treves (acura di), Le esposizioni del1911: Roma, Firenze, Tori-no. Rassegna illustratadelle Mostre indette nelletre Capitali per solenniz-zare il Cinquantenario delRegno d’Italia, Treves, Mi-lano 1911, p. 107.12. Toga-Rasa, in ivi, p.302.13. Ivi, p. 303.14. M. Bottaro, Genova1892 e le celebrazioni co-lombiane, Pirella, Genova1984, pp. 45-46.

Dante e che forse hanno un identico signifi-cato il quale potrebbe essere anche quellod’invitare ad entrare alla Kermesse od all’in-ferno»12. Le geishe che vi si trovano sono«napoletane», la moschea si chiama cosìperché è piena di mosche. «Alle diciotto d’o-gni giorno i due villaggi [quello somalo equello eritreo, nota mia] si chiudono ed i mo-retti vengono accompagnati in altro localepiù riparato, nell’interno della città ove pas-sano la notte [...]. Alla mattina alle nove sonodi nuovo all’Esposizione per riprendere la lo-ro parte nella commedia ufficiale in questaMostra delle nostre miserie coloniali»13. A-maramente il commentatore conclude chequesti spettacoli, guardati dai torinesi consimpatia divertita, non valgono veramente ildenaro e il sangue che sono costati al Regno.Questo pezzo rivela paradigmaticamente lanatura commerciale e superficiale di questispettacoli, la visione paternalistica e ridutti-va del mondo non europeo, l’assenza di qual-siasi serio scrupolo di natura scientifica. Inogni caso, in più d’una pagina viene ribaditoa chiare lettere che erano questi i «ritrovi fa-voriti» e «preferiti», i «divertimenti» dell’E-sposizione, a dimostrare il rapido scadere diuna formula che forse, proprio per questo, ri-scuoteva i successi più significativi.

Scheda n. 8. Le esposizioni missionarieUn discorso a parte va fatto per le esposizio-ni missionarie, anch’esse inserite all’internodelle fiere o in sezioni separate. Senza pre-tendere di fornire un elenco esaustivo, pos-siamo sicuramente rilevare la presenza di e-sibizioni di questo tipo a Genova nel 1892 ea Torino nel 1898. Nel primo caso si trattò del«villaggio fueghino» all’interno della Mostradelle missioni, «a dimostrare lo stato moralee materiale delle popolazioni selvagge e ido-latre dell’America all’epoca della scoperta,l’antico stato delle regioni ora civili e l’effica-cia delle missioni»14. In effetti spesso gli in-dividui esposti erano dei giovani conversiche venivano così chiamati a testimoniarel’effetto positivo che su di loro aveva operatol’apostolato missionario. Questo sposta-mento d’interesse sull’America meridionale

Scheda n. 7. 1911 – Torino, Esposizione in-ternazionale: «Kermesse orientale», «Vil-laggio somalo», «Villaggio eritreo»Sarà il francese Portauborde ad organizzare,sulla riva destra del Po, un vero e propriomondo a sé: la «Kermesse orientale», nellaquale si ricreò «una varia, pittoresca, inte-ressantissima evocazione degli usi, dei co-stumi, dell’industrie, dell’arte, dei diverti-menti, delle religioni, dei popoli orientali.L’Egitto, la Tunisia, l’Algeria, il Madagascar,il Congo, il Senegal, il Niger, la Colonia Eri-trea, la Cina, il Siam, il Giappone e l’Indocinavi saranno evocati con mirabile e impressio-nante fedeltà»11. Vi era inoltre una mostraufficiale organizzata dal Ministero degli E-steri, dal Regio Commissariato dell’Emigra-zione e da alcune società coloniali, collocatanel padiglione degli Italiani all’estero.All’interno dell’esposizione si mescolavanopubblicità di iniziative commerciali, una bi-blioteca coloniale, mostre etnografiche a fi-nalità scientifica e divulgativa, volte a mo-strare anche e soprattutto agli africani inter-venuti (componenti di famiglie notabili, li-berti di Mogadiscio, ascari) lo splendore e lagrandezza della nazione. In questa occasio-ne l’Italia giolittiana, ormai ben avviata sullavia della colonizzazione, tra associazioni na-zionaliste e sostegno degli intellettuali, cele-bra i suoi fasti e le sue pochezze, in attesadella guerra con la Turchia, che la porterà adottenere la sovranità sulla Tripolitania e laCirenaica. Niente può rendere al meglio que-sti momenti di retorica esaltazione, che ser-vivano a coprire gli orrori delle imprese colo-niali, del corsivo al vetriolo, a firma di Toga-Rasa: «un moretto avvolto in un mezzo len-zuolo originariamente bianco ed ora colordelle nocciuole [...] dà una grattatina in testaper arrestare o fugare un nemico fastidiosoin agguato entro la selva dei capelli crespini[...] Finita la sua toeletta dentifricia, l’unicache egli abbia mai fatto in suolo europeo,brandisce di nuovo la lancia e riprende a sal-tellare, ripetendo il suo monotono:Olorò, Olororò, Ah! Ah; Maria!Parole di colore oscuro che ricordano il PapeSatan, Pape Satan Aleppe del gran padre

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Prima mostra triennaledelle terre italiane d’oltre-mare: 9 maggio-15 ottobre1940-XVIII, 1, Stab. Tip. F.Raimondi, Napoli 1940.

rie di musei e di esposizio-ni coloniali in Italia, Pagus,Paese (TV) 1992, p. 52.18. Mostra triennale delleterre italiane d’oltremare,

niale e senso comune et-nografico nella Mostra del-le terre italiane d’Oltrema-re, in N. Labanca (a curadi), L’Africa in vetrina: sto-

16. S. Lemaire, Dal “sel-vaggio” esibito all’“indi-geno” addomesticato, inZoo umani cit., p. 131.17.G. Dore, Ideologia colo-

15. S. Montaldo, Un nuovo«medium» per una societànuova: l’Esposizione, inPatria e affari: TommasoVilla e la costruzione delconsenso tra unità e gran-de guerra, Carocci, Roma1999, p. 346.

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era peraltro dovuto alla necessità di deviarel’attenzione dalla disastrosa sconfitta di A-dua. A Torino, invece, si trattò di una Mostrad’arte sacra, missioni e opere cattoliche, in-dipendente dal punto di vista organizzativoe amministrativo, ma collegata all’Esposi-zione da un vialetto, e dotata di un villaggioetiopico al suo interno. Dopo il massacro del-le truppe al comando di Baratieri si trattò di«attuare l’opera di ricostruzione della co-scienza coloniale traumatizzata dalla scon-fitta»15.

B. Le esposizioni coloniali italianedal 1914 in poiScheda n. 9. 1928 - Torino, Esposizione na-zionale: «Villaggio eritreo», «Villaggiosomalo»L’occasione dell’allestimento è rappresen-tata dal quarto centenario della nascita di E-manuele Filiberto e dal decimo anniversariodella vittoria nella prima guerra mondiale.Per il fatto che, in epoca fascista, le finalitàe le caratteristiche delle esposizioni eranodiverse rispetto a quelle di fine Ottocento,qui si espongono i prodotti delle colonie (an-che di quella libica) in maniera più sistema-tica e attenta rispetto al passato, con una se-rie di sussidi didattici e divulgativi, una or-ganizzazione cronologica del materiale, unavolontà di completezza esplicativa nella co-struzione dei villaggi indigeni. L’obiettivo èquello di dimostrare i progressi e legittima-re l’azione coloniale italiana in Africa, attra-verso un diffuso utilizzo di immagini, plasti-ci, modelli, che rispondono ad un intento di-dascalico da ottenersi attraverso l’apparen-te immediatezza comunicativa, soprattuttodi fotografie e diapositive. Prevale quindipiù che altro un intento classificatorio, al-l’interno del quale il soggetto colonizzatonon si pone più come protagonista esotico,ma come «parte integrante dello scena-rio»16.

Scheda n. 10. 1940 - Napoli, Prima mostratriennale delle terre italiane d’oltremare:«Villaggi indigeni», «Caffè arabo»Qui tutti gli elementi importanti della propa-ganda fascista erano presenti: il richiamo al-la romanità e, per antitesi, la forza innovatri-ce di cui si sentiva investito il regime; il na-zionalismo della razza; il riferimento alle co-lonie come estensione del territorio naziona-le; il continuo richiamo al valore e al lavorodegli italiani.Intanto, vediamo perché si scelse Napoli:«Città effimera, perché sede di contenuti econtenitori in gran parte destinati ad essererimossi, ma ancor più perché mentre si cre-deva di celebrarvi la massima esaltazionedell’impero, se ne consumava al contrario lasua dissoluzione. L’entrata in guerra pocodopo la sua apertura ne segnò le sorti; le cro-nache belliche eclissarono la stessa presen-za della rassegna sulle pagine dei giornali,mentre i bombardamenti ne danneggiaronogravemente le strutture»17.In essa una delle cifre interpretative fonda-mentali era costituita dal nesso civiltà/bar-barie: laddove il regime incarnava il nuovo, inativi esibiti servivano, da un lato, a mostra-re la loro arretratezza, dall’altro a evidenziarel’opera migliorativa prodotta su essi e sulleloro civiltà dalla moderna tecnologia fascista.I loro compatrioti presenti nei villaggi rico-struiti mostrano, come si può rilevare esami-nando le fonti iconografiche, sempre la stes-sa immagine stereotipata. Nonostante que-sti limiti intrinseci, furono ancora una voltaquesti, come già a Torino nel 1884, i luoghiverso cui maggiormente si diresse l’attenzio-ne del pubblico, incuriosito e sedotto dallapossibilità di viaggiare verso scenari incon-sueti senza spostarsi dalla propria città, diammirare scenari più veri di quelli originali,dall’eventualità di vincere il primo premiodella lotteria, cioè «un viaggio della durata digiorni 30 nell’Africa Orientale Italiana [...]»18.

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19. Visitabile all’interno del sitohttp://www.museoafricano.it20. Consultabile all’indirizzo http://

www.chiamasenegal.it/cosCA.htm21. All’indirizzo http://news.fr.msn.com/Article.aspx?cp-documentid=2642657

Scheda n. 11. Oggi: le esposizioniumane politicamente corretteChe ne è rimasto oggi delle esposizioni? Inrete si nomina la moderna esibizione, permotivi umanitari questa volta (la raccolta difondi per la costruzione di un pozzo e di unascuola), di un gruppo di pigmei camerunesi,avvenuta dentro un’oasi naturalistica popo-lata di animali, ad Yvoir (Belgio), a partire dalluglio 2002. La piccola comitiva è stata rim-patriata durante il mese successivo a causadelle proteste delle organizzazioni umanita-rie.E ancora, in rapida sequenza: la ricostruzio-ne del villaggio africano – sponsorizzato co-me «L’Africa vicino a Milano» –, situato nelparco divertimenti di Calcinate (BG), assi-duamente frequentato da insegnanti e comi-tive di scolari del Nord Italia, interessante e-sempio di commistione con il vicino museodedicato all’Africa19; i camion di «Arriva l’A-frica», che negli anni 1997 e 1998 hanno per-corso l’Italia permettendo ai visitatori «Unviaggio reale e metaforico alla scoperta delcontinente»20, permettendo, una volta en-trati, di sentirsi «come in un vero villaggio a-fricano»; il progetto, contestato dalle asso-ciazioni in difesa dei diritti dell’uomo, dell’e-mittente France 2 a proposito di un gioco te-levisivo, a carattere squisitamente commer-ciale, che prevede lo schieramento di con-correnti in due gruppi appartenenti a diversipopoli tribali; e, per finire, il calco del craniodi Lilian Thuram, il famoso calciatore, cheverrà esposto al Musée de l’Homme di Pari-gi, a dimostrare che tutti gli esseri umani ap-partengono ad un’unica specie21.Certo oggi le cose sono cambiate, come si èvisto all’Esposizione internazionale del la-voro svoltasi a Torino nel 1961, dove l’Africaera rappresentata non più tramite villaggima attraverso delegazioni in visita, con il so-stegno dell’Onu. Rimane comunque la ricor-sività del fenomeno, attraverso forme diffe-renti. Pascal Blanchard, nell’usare la fortu-nata espressione «zoo umani», sostiene cheè soprattutto il pubblico a rendere tale lozoo; senza cioè una serie di persone cheguardano, senza un uso studiato dell’icono-

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22. Montaldo, Patria e af-fari cit., a p. 12 dell’Intro-duzione.23. Ivi, p. 11.

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grafia, forse questi fenomeni non sarebberoneppure esistiti. Essi in particolare rispon-dono a tre caratteristiche salienti: una lega-ta all’idea di spettacolo, un’altra alla pseudo-scientificità dell’organizzazione, la terza aduna artificiosa ricostruzione del reale. È cer-to quindi che non possiamo mettere sullostesso piano un’esposizione industriale ot-tocentesca, una mostra coloniale in epoca fa-scista, un villaggio odierno situato all’inter-no di un parco didattico o una trasmissionetelevisiva in cerca di audience, ma proprioper questo, e per evitare pericolosi frainten-dimenti, dovremmo sicuramente cercare dirimediare alla mancanza di memoria riguar-do a questi episodi, il che potrebbe forse ren-dere ragione delle, in fondo, scarse protesteche si sono avute e si hanno a riguardo.

Scheda n. 12: ConclusioniAlmeno dal punto di vista progettuale, si puòritrovare una continuità tra le esposizionitardo-ottocentesche e quelle coloniali pro-prie del ventennio fascista: tale finalità, per-seguita sistematicamente, rappresentò «ilprimo tentativo compiuto dal potere pubbli-co di intervenire sulla stratificazione plurise-colare e caotica di elementi che avevano co-stituito col tempo la supposta identità italia-na, riorganizzandoli alla luce di un unicoprincipio [...]»22, il patriottismo, «utilizzatoper sostituire un liberalismo che mostravasempre più la corda e corazzare così la mag-gioranza escludendo il più a lungo possibilesocialisti e cattolici dall’area di governo»23.È vero però che, al di sotto di questa costan-te, possono essere fatte alcune precisazioni:in primo luogo non tutte le mostre avevanoun carattere specificamente coloniale. Nellaseconda metà dell’Ottocento esse, sia nazio-nali che internazionali, ospitavano delle se-zioni etnografiche all’interno di una struttu-ra, articolata e diversa, che le conteneva,laddove i padiglioni etnografici divennero e-lementi centrali delle esposizioni durante ilfascismo. Va quindi registrato un forte incre-mento, presente in queste ultime, dell’a-spetto propagandistico; anche le fiere otto-centesche costituivano strumenti di genera-

zione del consenso, ma assunsero altresì uncarattere di fenomeno di costume, di moda,in cui i soggetti umani esposti erano guarda-ti sicuramente con superiorità, ma anchecon uno sguardo curioso, caratteristica inve-ce non attribuibile alle collezioni coloniali. Inragione della rapida degenerazione delle e-sposizioni del secondo Ottocento, causatadal loro continuo reiterarsi e dall’insistenzasulla spettacolarizzazione, le esibizioni colo-niali ridurranno sempre più l’esposizione u-mana, sostituendola con repertori e collezio-ni di oggetti, attraverso un uso costantedell’immagine fotografica: l’obiettivo dellarappresentazione dei nativi, ancora comun-que sottoposti a studi etnografici, era so-prattutto quello di sottolineare la positivitàdel sistema coloniale, che aveva saputo edu-care e civilizzare popolazioni senza legge.

Fig. 2 Cicli Gaia, cartolina pubblicitaria, 1910

circa, disegno: Santon. Stampa: Lit. A. Cotta,

Torino (collezione Bocca). Da C. Pennacini (a

cura di), L’Africa in Piemonte tra ’800 e ’900,

Regione Piemonte, Torino 1999, p. 22.

Fig. 2

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tema coloniale. In ogni caso, davanti a unoschermo o piuttosto nella sala di un museo,o ancora nell’angolo di un parco torinese,stava un pubblico che condizionava e a suavolta rimaneva influenzato da ciò che vede-va: pare importante precisare che solo su-perficialmente esso può essere considerato“borghese”, poiché invece, a seconda del ti-po di evento cui partecipava, poteva esserepiù o meno specializzato. Andiamo dalle co-mitive operaie organizzate in visita alle mo-stre industriali e nazionali28 (alle quali le cro-nache rimproveravano talvolta scarso inte-resse nei confronti degli aspetti didattico-e-spositivi, a vantaggio degli angoli più spet-tacolari), le quali comunque, nonostante fa-cilitazioni nei biglietti ferroviari e d’ingres-so, incisero poco sulla percentuale di afflus-so alle mostre; all’interesse suscitato anchein un pubblico non coltivato dall’Esposizio-ne nazionale del Ritratto italiano tenutasi aFirenze nel 1911, che era nata invece con l’o-biettivo di rivolgersi ai cultori appassionati;al progressivo peggioramento nella qualitàdei visitatori che andava di pari passo con laloro incessante crescita, e con lo scadere del-le rappresentazioni. Certo alcuni provvedi-menti (come l’entrata gratuita la domenica,l’istituzione di abbonamenti, ecc.) testimo-niavano di una volontà di allargamento dellabase sociale che poteva fruire delle esposi-zioni, ma esse rimasero comunque, da que-sto punto di vista, fortemente ambigue, poi-ché ambigue rimanevano le loro finalità, le-gate sia a forme di prestigio nazionale e divalorizzazione culturale che a operazionicommerciali e pubblicitarie. Questi eventi ri-sultavano inoltre essere formidabili macchi-ne per la costruzione del favore sociale: edi-ficate su presupposti più o meno razzistici(più rozzi e marcati nel 1884, più sottilmentepedagogici e giustificati scientificamente

Questi processi fanno parte di quella che gliautori del testo Zoos humains definiscono«L’invention de l’Autre», sia nel disciplina-mento del suo corpo che nell’uso delle rappre-sentazioni veicolate da tutta una serie di stru-menti, dai più qualificati a quelli di uso corren-te: opuscoletti e fascicoli, quotidiani e rivisteillustrate, cartoline, fotografie, film, e ancora,spettacoli di rivista e marionette, francobolli,medaglie, monumenti e musei24. Nell’imma-gine riprodotta a fronte, ad esempio (Fig. 2), sinota come non sempre la raffigurazione dellostraniero di colore servisse ad incarnare valo-ri razzistici: qui, anzi, siamo in presenza di u-na figura che funge da testimonial positivo,garante della qualità del prodotto.Costituiscono spunti da approfondire il ruo-lo delle scienze sociali e antropologiche inrapporto agli eventi espositivi, come pure iltema della visione del corpo dell’altro, inquesto caso l’indigeno, che è stato volta avolta castigato, erotizzato, mitizzato e di-sprezzato. Attraverso di esso un Occidentein crisi cerca nell’alterità fisica «la riafferma-zione della propria potenza, ma anche larealtà perduta di un corpo meno controlla-to»25. La figura del cosiddetto «selvaggio»,quindi, costituisce né più né meno che «ungesto di sovranità»26. In questo senso l’im-magine rappresentata, in fotografia piutto-sto che nel cinema, anziché rivelare sé stes-sa fa luce sui nostri pregiudizi; importantisono, per questa finalità, oltre alle immaginiufficiali e scientifiche, le foto amatoriali, an-che se scattate da militari. Se l’indigeno fasubito il suo ingresso nel cinema con la na-scita stessa delle sale di proiezione (ricordia-mo la Baignade de nègres dei fratelli Lumiè-re, proiettata a Parigi nel 1896)27, sarà so-prattutto durante il ventennio fascista che siassisterà in Italia ad una produzione, peral-tro scarsamente organica, di proiezioni sul

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27. Per una panoramica diquesto tipo di film, da fineOttocento fino agli anniQuaranta del Novecento,si veda, di É. Deroo, Il cine-ma guardiano dello zoo, inZoo umani cit., p. 156.28. Secondo Montaldo (Unnuovo «medium» per unasocietà nuova: l’Esposi-zione, cit., p. 315), 500gruppi organizzati di ope-rai visitarono l’Esposizio-ne nazionale di Torino nel1884.

Paris 2004, p. 323.25. N. Bancel, O. Sirost, Ilcorpo dell’Altro: una nuo-va economia dello sguar-do, in Zoo umani cit., p.166.26. Ivi, p. 175.

struction de l’image del’Autre, in N. Bancel, P.Blanchard, G. Boëtsch, É.Deroo, S. Lemaire (a curadi), Zoos humains. Autemps des exhibitions hu-maines, La Découverte,

nuova: l’Esposizione, cit.,da p. 338 in avanti; P.Chiozzi, Le immagini nelleesposizioni coloniali, inL’Africa in vetrina cit., pp.37-46; E. Edwards, Laphotographie ou la con-

24. Sull’uso delle immagi-ni nella propaganda, ita-liana prima e durante il fa-scismo, e straniera, si ve-dano rispettivamente S.Montaldo, Un nuovo «me-dium» per una società

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nel 1911), esse incarnavano in pieno la poli-tica del consenso alle imprese coloniali per-seguita prima dalla Sinistra storica, e poi daisuccessivi governi fino al fascismo. Stru-

mento formidabile per realizzare ciò, assie-me a cinema e fotografia, fu la stampa. Per-vasiva e alfabetizzatrice, essa costituì unodei principali sintomi della nascita della so-cietà di massa, facendosi luogo di mediazio-ne tra le ideologie dominanti e le attese deilettori, contribuendo alla divulgazione di o-pinioni e stereotipi, sempre più dinamici epersistenti, e sfruttati per finalità politiche.In questo senso la carta stampata, che a fineOttocento risultava essere ancora il princi-pale mezzo di comunicazione, servì moltissi-mo a costruire un immaginario collettivo sul-l’Africa e le sue colonie. Quest’ultimo, edifi-cato interamente sulle figure del diverso dasé, contribuì per contro a rafforzare negli ita-liani il senso di una ideale unità nazionale.Pare sia stato proprio questo intrecciarsi trastrutturazione del sé e visione dell’altro co-me estraneo (essa stessa attentamente e ar-tificialmente ricostruita dentro le esposizio-ni) a produrre il cambiamento di qualità, equindi di natura, nella percezione del diver-so, favorendo il compiersi della transizionedal sogno estetico ed esotizzante alle conce-zioni e credenze appartenenti al sistema dipensiero colonialista.

Fonti multimediali

! Abbattista, Dagli Ottentotti agli Assabesi. Preambolo a una ricerca sulleesposizioni etniche in Italia nel sec. XIX, http://www.cromohs.unifi.it/9_2004/abbattista_ottassab.html

! G. Abbattista, Africani a Torino. La rappresentazione dell’‘altro’ nelle e-sposizioni torinesi (1884-1911), http://www.univtrieste.it/~humdiv/Di-versita.pdf

! N. Bancel, P. Blanchard, S. Lemaire, Gli zoo umani della Repubblica colo-niale, http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Settem-bre-2000/pagina.php?cosa=0009lm28.01.html&titolo=Gli%20zoo%20u-mani%20%20della%20Repubblica%20coloniale

! S. Berhuse, L’affaire des Baka du Cameroun en Belgique, http://archive.indymedia.be/news/2002/09/31136.html

! Cours Cps 2005, Je, nous et les autres (Cd-Rom relativo al corso tenutosia Rolle [Svizzera] dall’11 al 13 maggio 2005 all’interno delle attività di ag-giornamento previste dal Consiglio d’Europa).

! A. Fradcourt, Pygmées: du parc naturel au musée, http://www.lalibre.be/debats/opinions/article/74464/pygmees-du-parc-naturel-au-musee.html

! Wikipedia, http://it.wikipedia.org

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Il cinema ci fornisce straordinari materialiper affrontare con gli allievi i temi della storiaafricana, non solo quelli di tipo antropologi-co, come i griot, ma anche eventi storici scot-tanti, come Lumumba e l’indipendenza delCongo, o le tragedie del Rwanda.

La storia non è semplicemente il passatoche abbiamo alle spalle, è anche e soprat-tutto il prodotto di un presente che la (ri)co-struisce sulla base di implicite finalità. Ladidattica della storia ha sovente sofferto diuna certa mancanza di consapevolezza aquesto livello, mostrandosi, di conseguen-za, incapace di prodursi in un’ottica autocri-tica rispetto ai contenuti da essa stessa vei-colati. Testimonianza di questa difficoltà èla manualistica scolastica, che tende in ge-nere a riprodurre prospettive settoriali ma-scherandole di universalità. La memoriacollettiva viene così forgiata secondo diret-tive di senso che sono a loro volta storica-mente determinate. Non c’è da scandaliz-zarsene, ma è bene esserne consapevoli inmodo da porsi nelle migliori condizioni perfar perno sulla criticità acquisita.Un ausilio prezioso per effettuare questo du-plice movimento di acquisizione di consape-volezza e di riposizionamento critico può es-sere rappresentato dallo sguardo dell’altro.È in virtù di una collocazione eccentrica ri-spetto alla prospettiva abitualmente assun-ta che si rende, infatti, possibile aprire ulte-riori dimensioni di lettura a rappresentazio-

Nuoveimmagini pernuove scritturePer una didattica della storia con l’usodella cinematografia africana

Silvia Failli

ni che tenderebbero altrimenti ad autocon-validarsi. Diviene allora importante dar forzaall’alterità ed è proprio questa una delle ra-gioni del ricorso alla cinematografia africanaper il ripensamento della didattica. Essa vie-ne presentata in questa sede non tanto comestrumento utile per aggiungere contenutiinformativi al canone disciplinare scolastico,quanto come occasione di decentramentocognitivo rispetto alle prospettive consoli-date.Al di là di queste considerazioni generali,prima di addentrarsi nel percorso propostooccorre effettuare qualche premessa di ca-rattere specifico.Una prima considerazione riguarda la diffi-coltà di reperimento delle opere della «ci-nematografia africana». Com’è avvenutoper la manualistica scolastica, infatti, an-che la cinematografia ha sofferto e conti-nua a soffrire di sguardi egemonici. Il fun-zionamento del circuito commerciale dettainesorabili leggi di mercato e le indicazioniche forniamo qui di seguito risentono gran-demente di questo stato di cose. Se, pertan-to, da una parte si è cercato di tenere contodella reperibilità nel circuito homevideoitaliano, la scarsità di materiale effettiva-mente rintracciabile ci ha costretto anche adelle eccezioni (che verranno debitamentesegnalate). Una seconda considerazione concerne ilconcetto stesso di «cinematografia africa-na». Parlare di cinema africano è, infatti, pro-blematico in quanto profonde differenze ca-ratterizzano le molte cinematografie deipaesi del continente; l’aggettivo «africano»,inoltre, può designare comunemente sia ifilm sull’Africa, sia quelli prodotti o copro-dotti in paesi africani, sia quelli realizzati daregisti di origine africana. La selezione cheproponiamo esclude le zone del Maghreb,dell’Egitto e del Sudafrica in quanto necessi-terebbero di un’analisi a sé; si tratta, d’altraparte, di una selezione composita relativa-mente alla “africanità” delle pellicole ed i ti-toli proposti sono riconducibili tanto all’am-bito della fiction, quanto a quello del docu-mentario.

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mettere in questione lo stesso presente. Fo-calizzandosi su vicende ad alto valore sim-bolico (oltre che reale), il regista ne proponeuna lettura che smarca rispetto alle imma-gini consolidate e mette in atto, non senzamodalità iconoclastiche, una vera e propriastrategia di riappropriazione del passato daparte di soggetti a cui è stata riconosciutapoca voce in capitolo. Un tentativo eversivo,che non avrebbe potuto non incontrareostacoli, come testimonia il fatto che le ope-re del regista sono incappate a più ripresenelle maglie della censura: Emitaï e Campde Thiaroye (quest’ultimo pluripremiato al-la Mostra del cinema di Venezia) hanno in-contrato numerosi ostacoli in Francia, men-

Una terza considerazione concerne la defi-nizione stessa del concetto di storia e laquestione della validità delle fonti e dellemetodologie in prospettiva di ricerca stori-ca. È una questione di ordine epistemolo-gico che necessiterebbe di un lungo dibat-tito, ma che è al contempo impossibile elu-dere poiché, diversamente da quanto av-viene per la storiografia canonica, in Africaè sovente l’oralità a costituire l’ambito direperimento del materiale informativo. Neconsegue l’esplosione stessa dei confini di-sciplinari, con l’inevitabile intersecazionedel dominio del mito con quello della sto-ria.

Ri-scrivere la storia Tra le voci più autorevoli nel rivendicare ildiritto all’esercizio dello sguardo anche indirezione di una vera e propria “riscrittura”della storia troviamo Sembène Ousmane(1923-2007). Prima scrittore, poi regista, ilpioniere della cinematografia africana (ilsuo La noire de..., del 1966, viene comune-mente indicato come il primo lungometrag-gio dell’Africa nera) ha considerato la cine-matografia uno degli strumenti educativiper eccellenza (la «scuola della sera», se-condo le sue stesse parole), oltre che di verae propria militanza socio-politica. Sono al-meno tre i lavori considerati propriamentestorici della sua cinematografia: Emitaï(1971), che mette in scena un episodio di re-sistenza delle donne senegalesi al predomi-nio francese durante la seconda guerramondiale; Ceddo (1976), con la messa a fuo-co di alcune strategie di penetrazione nel-l’Africa dell’Ovest di cristianesimo edIslam; Camp de Thiaroye (1988), che central’attenzione su un episodio ben poco glorio-so dell’armata coloniale francese in Sene-gal. Si tratta di tre lungometraggi che fannoemergere con evidenza l’impegno educati-vo di cui Sembène si fa propugnatore: far sìche, attraverso la fruizione filmica, l’imma-ginario dello spettatore non si chiuda in vi-sioni di comodo, che si aprano degli interro-gativi e che, attraverso la rivisitazione dieventi del passato, si venga sollecitati a ri-

Campo Thiaroye

In Senegal, nel 1944, un battaglione di fucilieriarriva al campo di Thiaroye fiero di aver combat-tuto i nazisti in Europa. La fierezza lascia prestoposto alla disillusione di fronte alle promessenon mantenute, all’umiliazione, al razzismo del-la gerarchia militare. Esasperati, i soldati seque-strano un generale e reclamano quanto dovutoloro. L’ufficiale cede ma invia i propri carri con-tro il campo [Cinemateca di Ouagadougou, Ca-talogo 2008].

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1. VHS, distribuz.: Delta-video.2. http://www.cine3mon-des.com3. Mypheduh Films: http://www.sankofa.com/catalog4. http://www.saveriani-brescia.com5. Distribuz.: Ripley’s film.6. Distribuz.: Cecchi GoriHome Video.

tre Ceddo ha dovuto addirittura far fronteall’ostracismo senegalese che, ai tempi delpresidente Senghor, si è fatto scudo di unapresunta imprecisione linguistica per bloc-care la circolazione dell’opera.Dei tre lavori indicati solo Camp de Thiaroyeè reperibile in Italia nella versione Vhs dop-piata1, gli altri possono essere rinvenuti solocon sottotitoli in varie altre lingue2.

Un antidoto al dogma: sapere di non sapereSpostandoci sull’altro versante del conti-nente, nell’area del Corno d’Africa, incon-triamo Hailé Gerima (1946). Il regista etiope,docente presso la Howard University di Wa-shington, sta godendo di un momento diparticolare notorietà in Italia in virtù dellarecente uscita sugli schermi del suo Teza,premiato a Venezia nel 2008, vincitore ai fe-stival di Cartagine e Ouagadougou. I lavoridi Gerima trattano prevalentemente temati-che a carattere storico e ripercorrono alcuneimportanti questioni legate allo schiavismo(Sankofa, 1993) ed al colonialismo (Adwa,an African victory3, 1999). Un tema, que-st’ultimo, che fa da sfondo anche a Teza,seppure nel contesto di un discorso più am-pio relativo alla diaspora africana in Europa,con il suo razzismo mai sopito, ed allargan-do la problematica storica fino a compren-dere le vicende di tutta una generazione diintellettuali che, dopo le brutalità del colo-nialismo, ha fallito nell’obiettivo di edificareuna nuova, moderna Etiopia. L’intento diGerima, come lui stesso afferma, è di oltre-passare l’idea di una realizzazione cinema-tografica di evasione rispetto alle asperitàdel reale e, in esplicito contrasto con lo “sti-le hollywoodiano”, di uscire dall’illusionedelle risposte dogmatiche (poiché, come so-stiene il regista, se è vero che noi «pensia-mo di sapere», l’ambito del nostro non-sape-re è così vasto che, anti-socraticamente, sa-rebbe più corretto dire che «non sappiamoneanche di non sapere»). Dei due film di Gerima reperibili in Italia,Teza delinea una vicenda strettamente in-trecciata con la storia africana e mondiale,

mentre Sankofa4, ambientato in massimaparte in una piantagione del Nord America,è più centrato sulle brutalità dello schiavi-smo che sulle sue ragioni storiche. Teza èstato distribuito nelle sale cinematografi-che5 nella versione doppiata ed è in venditain Dvd6.

La disumanità dell’umanoUn terzo luogo di intersecazione fra «cine-matografia africana» e storia è rappresen-tato dai lavori di Raoul Peck (1953), anch’e-gli scrittore e regista. Con la sua biografia

Teza

Anbenber torna al suo villaggio senza una gam-ba, immerso nell’incubo di ricordi che premonoper farsi strada. La storia del protagonista equella dell’Etiopia prendono forma congiunta-mente: alle spalle l’imperialismo di Hailé Selas-sié e le tracce della presenza italiana, poi la rivo-luzione di Menghistu ed il successivo disordinepolitico e sociale, ma anche gli studi in una Ger-mania percorsa da inattese discriminazioni raz-ziali.

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7. Per il documentario inpellicola: http://www.coeweb.org; per il Dvd invarie lingue: http://www.jbaproduction.com; per ilFestival di Verona: [email protected]. http://www.hbo.com

nato solo in pellicola, mentre la fiction è re-peribile con facilità in Dvd, ma con sottoti-toli in francese, inglese, tedesco, spagnolo(per informazioni su una prossima reperibi-lità in Italia suggeriamo di contattare l’orga-nizzazione del Festival del cinema africanodi Verona)7.

Il riferimento a Raoul Peck ci fornisce l’occa-sione per accennare ad un’altra area d’inte-resse storico/cinematografico: quella relati-va al genocidio del Rwanda-Burundi. Il con-senso conseguito con Lumumba presso lepopolazioni africane ha fatto guadagnare alregista un credito di fiducia tale da consen-tirgli di accedere a testimonianze dirette e adocumenti originali sul genocidio, ivi com-prese le deposizioni rilasciate da carnefici evittime nell’ambito della Commissione Pacee Riconciliazione dell’Onu. Il risultato di que-sto lavoro è Sometimes in April (2005), che èstato proiettato in prima mondiale allo stadiodi Kigali al cospetto di un pubblico di 30.000persone che gli hanno tributato un grandeconsenso. Purtroppo il film non è reperibile initaliano, ma solo con sottotitoli in varie altrelingue8.

siamo nel mezzo di evidenti intrecci cultu-rali: nato a Port-au-Prince, ha avuto lo Zai-re/Congo come seconda patria, per diveni-re ministro della Cultura ad Haiti, ma lavo-rando e studiando a cavallo di Stati Uniti,Germania e Francia (dove è stato insignitodel titolo di Cavaliere delle Arti e della Let-teratura). Tra le sue opere più significative,due prendono spunto dall’assassinio delprimo ministro Patrice Lumumba, padredell’indipendenza congolese: il documen-tario Lumumba. La mort d’un prophète(1991) ed il lungometraggio Lumumba(2000), entrambi pluripremiati in diversi fe-stival nel mondo. Due lavori realizzati conforte attenzione documentaristica: come ilregista tiene a precisare, anche per la rea-lizzazione della sua fiction ha utilizzato«talmente tante fonti e testimonianze danon dover inventare niente», e tutti i di-scorsi riproposti «sono autentici, sia quellidi Lumumba che quelli di Kasa Vubu e delre del Belgio». L’accostamento delle dueopere sarebbe d’altra parte utile per rileva-re il diverso trattamento cui sono stati sot-toposti i materiali documentari, nonché perriflettere sull’uso stesso del linguaggio ci-nematografico (nel secondo lavoro, adesempio, la compatta documentazione èsembrata ad alcuni supportare un intentoagiografico). In entrambe le opere, il ritrat-to dell’eroe congolese ucciso dalle pallotto-le belghe viene tracciato mettendo in luce,con l’orrore della storia, l’inquietante com-promissione dell’Occidente. Purtroppo il documentario può essere visio-

Lumumba

Di notte, in piena savana, due militari belgi fanno a pezzi il cadavere di unuomo e ne cancellano per sempre ogni traccia. Si tratta dell’eroe dell’indi-pendenza congolese, Patrice Lumumba, che dopo solo sei mesi al governodello Stato indipendente del Congo viene brutalmente assassinato. Perso-naggio scomodo nella scena politica internazionale, Lumumba lascia il po-sto a Mobutu, che imporrà la sua dittatura per più di trent’anni. Il film tracciaun ritratto appassionante della vita e del pensiero del leader carismaticosvelando i retroscena privati e politici che l’hanno portato alla sconfitta e allamorte [Festival del Cinema Africano di Milano, Catalogo XI].

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Thomas Sankara. L’homme integre

Il documentario è stato costruito recuperandoimmagini di repertorio, testimonianze, estrattidi discorsi ufficiali e ci fornisce un ritratto diSankara relativo ai 4 anni di quella Presidenzache ha fatto seguito alla rivoluzione del 1983 eche si è tragicamente conclusa il 15 ottobre 1987con la morte/uccisione del suo eminente propu-gnatore. Estratti di discorsi rivelano la sua visio-ne del governo e delle relazioni internazionali edevidenziano l’insieme di idee che lo hanno mitiz-zato nella coscienza di molti [ImmaginAfrica2007, catalogo].

In Italia ha avuto una certa diffusione, inve-ce, Hotel Rwanda, dell’irlandese TerryGeorge9. Si tratta di un film che può sicura-mente essere utilizzato per accendere l’in-teresse verso una tematica di così forte ri-lievo e che fornisce anche degli utili ele-menti di contestualizzazione, ma nell’ambi-to di una concezione narrativa spettacolaredi impianto hollywoodiano che rischia di re-legare sullo sfondo la complessità della vi-cenda storica. Sul tema del genocidio ruandese sono d’al-tra parte reperibili in Italia degli altri lavori,che tengono, però, la tematica storica sullosfondo per centrare la narrazione su altricontenuti ad essa connessi. È questo il casodi Munyurangabo (2007), del coreano Lee Isaac Chung, interamente girato in Ruanda,e del pluripremiato cortometraggio Wara-mutsého! (2009) del camerunese AugusteBernard Kouemo Yanghu10.

Confidando nella distribuzione... Sospesi nel limbo della distribuzione sonodue altri documentari che ci sentiamo di se-gnalare in quanto di forte pertinenza per ladidattica della storia, auspicandoci che laprocedura per la loro reperibilità in Italia siaterminata al momento dell’uscita di questoarticolo. Il primo è il documentario Thomas Sankara.L’homme integre (2007), che ripercorre iquattro anni di governo del presidente delBurkina Faso fino al suo assassinio nel 1987.In questo caso la regia è del belga RobinShuffield, cui si deve il tentativo di imporreall’attenzione una figura di assoluto rilievoper la storia dell’Africa che è generalmenteassente dal sistema dei riferimenti storicidei nostri manuali scolastici. L’indagine haportato il regista a rinvenire negli archivifrancesi materiali rimasti emblematicamen-te intonsi, incellofanati sotto la polvere deltempo e confinati nell’oblio dell’insignifi-canza, salvatisi, quindi – si potrebbe affer-mare – più per esito di una rimozione che pervera e propria cura conservativa, mentremolto altro materiale risulta essere stato di-strutto. A fronte di questa sorta di dispersio-

ne, resiste la testimonianza dei burkinabé,nella cui memoria l’immagine del presidentesi conserva assolutamente viva e idealizzata(a dispetto della permanenza sull’attualeseggio presidenziale di colui che viene indi-cato come il più probabile mandante del suoassassinio). Il documentario è rinvenibile con sottotitoli invarie lingue; per informazioni sulla possibi-lità di reperimento della versione in italianosuggeriamo di contattare l’organizzazionedel Festival del cinema africano di Verona11.

Per ripercorrere visivamente alcune tappedella storia recente dell’Africa un ulterioredocumentario è African lens, di ShravanVidyarthi. Il regista realizza il proprio lavoroutilizzando le immagini fotografiche di un

9. Distribuz.: Cecchi Gori.10. Per entrambi: http://www.coeweb.org11. [email protected]

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Moderni griot Per quanto riguarda, infine, l’ultima questio-ne cui abbiamo accennato nella parte inizia-le di questo scritto e relativa alla problema-tica storiografico-epistemologica, indichia-mo la reperibilità in Italia di un lavoro di DaniKouyaté, Keïta! L’heritage du griot (1994): ilfilm mette in scena il rapporto fra un anzianogriot ed un ragazzino, il quale scopre la sto-ria della propria terra attraverso i raccontidel vecchio.Il griot è la figura che, per antonomasia, rap-presenta la continuità della tradizione, la bi-blioteca vivente della società, la sua memo-ria storica. Dani (1961), regista del film, figlio

noto reporter indo-kenyota rimasto uccisonel corso della guerra del Biafra durante losvolgimento del proprio lavoro. Anche il re-gista ha origini indiane, testimoniate dal suostesso nome, ma è nato e cresciuto a Nairobi,in Kenya, dove esercita la professione digiornalista e dove risiede una nutrita comu-nità di indiani, giunti al seguito degli inglesiper la costruzione della rete ferroviaria. Il do-cumentario, bello per le immagini, è partico-larmente utile per dare spessore visivo a luo-ghi e persone che hanno intessuto la storiadell’Africa del XX secolo. Per la reperibilità di African lens rinviamo alsito ufficiale del film e suggeriamo di contat-tare l’organizzazione del Festival del cinemaafricano di Verona per l’eventuale reperibi-lità della versione in italiano12.

2 Nuove immagini per nuove scritture

12. http://www.priyafoundation.org; [email protected]

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Keïta! L’heritage du griot

L’eredità del griot, ovvero l’importanza della tra-dizione orale per la trasmissione della cultura edella storia dei popoli africani. Il griot, deposita-rio di questo immenso potere, è rappresentatonel film dall’anziano Djeliba, che lascia un gior-no il villaggio, per recarsi in città ad iniziare ilgiovane Mabo alla conoscenza di sé attraversola storia dei suoi antenati. I racconti di Djelibasono avvincenti e carichi di magia al punto cheMabo comincia a trascurare la scuola. Intessutanel film vi è la storia mitica di Soundiata Keïta,fondatore dell’impero mandingo.

African lens

Il regista coniuga una biografia individuale finoad oggi rimasta sconosciuta – quella del foto-grafo indo-kenyota Priya Ramrakha – con le“biografie” dei paesi africani nel periodo crucia-le dell’indipendenza e del post-indipendenza: ilKenya con la figura del futuro presidente JomoKenyatta e l’inquietante vicenda della rivoltadei Mau Mau, il Congo con la carismatica figuradi Patrice Lumumba, ma anche la Rhodesia/Zim-babwe, lo Yemen... fino al tragico finale dellamorte in Nigeria mentre sta realizzando un re-portage in occasione della guerra civile del Bia-fra [ImmaginAfrica 2008, catalogo].

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del volto più conosciuto della cinematogra-fia africana, Sotigui Kouyaté (1936-2010), è ilprimogenito dell’ultima discendenza di unadelle più note famiglie di griot dell’Africasub-sahariana. “Griot moderno”, come il pa-dre ha scelto di appropriarsi degli strumentidi comunicazione del mondo occidentale percontinuare nella tradizione ereditata. La fi-gura del griot, come lui stesso afferma, attra-versa, infatti, un momento di particolare dif-ficoltà: radio, televisione, stampa, ne stannooccupando gli spazi e, per le nuove genera-zioni, il suo ruolo si sta svuotando di senso;cinema e teatro divengono, allora, gli stru-

menti per recuperare la possibilità stessadella trasmissione. «Il cinema è il mio lavoro,il teatro il mio piacere», afferma il regista, so-lo che il teatro (il buon teatro) sembra ancorpiù difficile da realizzare in un’Africa che,mancando dei necessari mezzi di sussisten-za, non riesce ad investire sulla cultura; il ci-nema di conseguenza, dice il regista, «perme non è un divertimento, è un’arma» per di-fendersi dall’aggressione delle immaginiche arrivano in Africa da ovunque e per con-tinuare ad esistere come cultura. Keïta! L’heritage du griot è reperibile in Ita-lia13.

13. http://www.saveria-nibrescia.com

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Occorre mettere le tecnologie al servizio del-le esigenze del docente. Per questo sono ne-cessarie sperimentazioni che provino a farconvivere gli strumenti e i know how con leragioni dell’epistemologia storica.

Che cosa sono i mondi virtuali?Chiamati anche «mondi sintetici» o «meta-versi», i mondi virtuali sono degli ambientitridimensionali in cui gli utenti sono rappre-sentati da avatar che si muovono nello spa-zio, comunicano fra loro e contribuiscono acreare lo spazio stesso. I mondi virtuali nonsono siti Internet e hanno bisogno di unbrowser (cioè il “navigatore” che consentedi visualizzare le pagine web) differente daquello che serve per il web. Per accedere ai mondi virtuali bisogna gene-ralmente:! scaricare un software da un determi-

nato sito;! registrarsi fornendo il nickname (o no-

me utente) che contrassegnerà il proprioavatar.

A quel punto l’utente è pronto per iniziare lasua avventura in uno spazio che somiglia a-gli scenari di certi videogiochi (alla cui tec-nologia in effetti il mondo virtuale si ispira),dove il suo avatar agisce e interagisce. Ci sono quindi diverse possibilità. Ma i do-centi interessati ad acquisire le competenzeutili per svolgere attività didattiche nei mon-

Mondi virtuali:scenariimmersivi per ladidatticaCome fare Storia nella scuolasecondaria con le nuove tecnologie?

Anna Rita Vizzari

Alcuni mondi virtualiTra parentesi sono indicati i siti in cui si creal’account – ossia il profilo utente – e si scarica ilsoftware necessario.

La Main grid di Second Life (www.secondlife.com), il cui regolamento è rigoroso e chia-ro: fino al mese di agosto 2010 solamente imaggiorenni avevano l’accesso, che ora do-vrebbe essere aperto ai ragazzi sopra i 16 an-ni; l’intero mondo virtuale di Second Life sichiama “Grid” ed è frazionato in Sim (di cui èfornito il nome nei landmarks, ossia nei colle-gamenti), che a loro volta possono suddivi-dersi in Land.

La Teen area di Second Life, spazio educativo ri-servato ai ragazzi dai 13 ai 17 anni; per i mag-giorenni esistono forti restrizioni: possonoaccedere soltanto in una determinata Land edopo controlli investigativi (il c.d. «back-ground check») che implicano il pagamentodi una cifra consistente nonché l’attesa didue mesi. Lo scorso agosto se ne è ventilatal’abolizione.

Opensim (www.opensimulator.org e www.opensimulator.com), versione free della tec-nologia di Second Life, della quale non ha lerestrizioni.

Cyberlandia (www.cyberlandia.net), con tec-nologia Opensim, metaverso tutto italianoma poco frequentato.

Mondi Attivi, versione italiana di ActiveWorlds(www.mondiattivi.com).

Scuola 3d (www.scuola3d.eu), con tecnologiaMondi Attivi, l’unico mondo virtuale gratuitosicuro per i minori in quanto l’ingresso è su-bordinato a una richiesta specifica e non ano-nima e la finalità è esclusivamente didattica.

di virtuali (a partire dal più noto, ossia Se-cond Life), quale aiuto possono trovare?

Iniziative di formazione per i docenti su Second LifeNel suo La scuola dopo le nuove tecnologie,Giovanni Biondi (ex direttore dell’AgenziaScuola) mette in evidenza come nelle scuoleil computer non venga ancora usato abba-stanza – né a livello di tempo né a livello diapplicazioni – e sollecita il superamento del-la dimensione esclusivamente testuale in fa-vore di esperienze immersive in cui gli alun-

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Bibliografia telematica: articolipubblicati su riviste telematiche

! A. Masala, Bauman: «Anche la Seconda Vitaè liquida». Il sociologo vede in SL una manife-stazione della precarietà moderna, in «2L Ita-lia - Second Life Magazine», 1, ottobre 2007,p. 7.

! I. McMillan, L’antico Egitto nel tempio di A-mon. Lo splendore del Nuovo Regno riprodot-to per gli avatar egittologi, in «2L Italia - Se-cond Life Magazine», 9, luglio-agosto 2008, p.20.

! E. Tower, La seconda vita della scuola italia-na. Lezioni di “bottega” a 3D per una nuovadidattica, in «2L Italia World», 1, maggio2007, pp. 26-27.

! E. Tower, Scuola3D, crescere col web. Dall’in-fanzia al liceo in 750 nel virtual world altoate-sino, in «2L Italia - Second Life Magazine», 5,marzo 2008, pp. 10-11.

! Papper Papp (P. Pandolfini in real life), Il digi-tal divide della scuola. Biondi: «Sperimente-remo Second Life anche contro il bullismo», in«2L Italia - Second Life Magazine», 5, marzo2008, pp. 12-13.

! R. Tedeschi, Second Life tra i banchi. Futuriprof e scuola si avvicinano ai mondi virtuali, in«2L Italia - Second Life Magazine», 5, marzo2008, p. 8.

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ni imparano facendo. L’esigenza di un rinno-vamento nella didattica – mediante un utiliz-zo massivo delle nuove tecnologie e l’impie-go dei mondi virtuali – ha stimolato alcunienti che si occupano della formazione dei fu-turi insegnanti.Su Second Life, precisamente nel Campus Se-condLearning dell’Agenzia Scuola (Indire128, 128, 0) si sono svolte e si svolgono delleiniziative di formazione rivolte ai docenti. Agestire i corsi è StevieRay Vaughan (al secoloAndrea Benassi, ricercatore dell’AgenziaScuola), il quale da un lato mette in evidenzache figure eccezionali, come Leonardo daVinci, hanno imparato con la pratica dell’ap-prendistato piuttosto che sui libri e dall’altroritiene che la chiave dell’insegnamento delfuturo sia il learning by experience, specificodei mondi virtuali, poiché gli alunni si calanonon in un luogo bensì in una situazione e co-struiscono i luoghi, piuttosto che viverli. Se-condo il ricercatore, è sbagliato l’approcciodei docenti che si chiedono: «Come posso fa-re in questo mondo virtuale ciò che faccio inclasse?», perché se un mondo virtuale è im-piegato secondo la metodologia tradizionaleviene usato al di sotto delle sue potenzialità esoltanto come alternativa virtuale alla realtàscolastica: allora a che cosa servirebbe?1

I docenti del mondo anglosassone utilizzanoi mondi virtuali come mezzo di apprendimen-to (se ne trova ampia documentazione nelweb2) e in Italia alcune università stannoconsolidando la propria presenza su SL: siveda ad esempio il caso della Sim «DigitalHumanities», realizzata dagli studenti delcorso di laurea in Informatica umanistica del-l’Università degli Studi di Pisa in collabora-zione con il Centre for Computing in the Hu-manities del King’s College3, nella quale si èeffettuata la ricostruzione di monumenti ededifici come il laboratorio di Galileo Galilei.

Esperienze italiane nei mondivirtualiNella Teen area di Second Life alcune scuolesuperiori hanno svolto negli ultimi anni pro-getti sperimentali con il supporto dell’Agen-zia Scuola: due istituti trentini4, facendo ri-corso proprio alla versione “per minori” diSecond Life, hanno partecipato a un proget-to di reciprocal teaching che coinvolgeva an-che alunni della secondaria di 1° grado; unadecina di studenti scelti (di altri tre istitutisuperiori trentini)5 ha partecipato a un pro-getto mirante a potenziare il pensiero creati-

1. Meritano un cenno altreiniziative di formazione.Nella sim Indire si è svoltoun gioco di ruolo legato algiallo, coordinato da Gia-no Gigamon (Giorgio Bar-ba). Nella land Secondani-

tel – presso la Galleria(72/68/3501) – si svolgonoiniziative di formazionecurate e gestite da LisaTebaldi (Annalisa Boniel-lo), Gioacolo Maximus(Gioachino Colombrita) e

Anitel Sosa (Valerio Pe-drelli) dell’Associazionenazionale Tutor E-Lear-ning (www.anitel.it). Nel-la sim Imparafacile (59,181, 22) Imparafacile Ru-no (Giovanni Dalla Bona)

fra le varie cose ha allesti-to una sorta di fiera dedi-cata alla didattica su Se-cond Life, in cui vengonoforniti – anche gratuita-mente – alcuni strumentiutili. L’estensione web

delle sue attività si trovain http://imparafacile.ning.com. Altri incontri diformazione hanno luogonella land di Moonlight U-niversity presso la sim To-rino Italy 2 (45, 241, 624).2. Si veda ad esempio Glo-bal Kids, Inc.’s Best Practi-ces in Using VirtualWorlds For Education, inwww.holymeatballs.org/pdfs/BestPractices.pdf3. Sul progetto si veda: E.Salvatori, «Podcasting» e«Second Life»: dall’ascol-to alla creazione in alcunicorsi universitari di storia,in «Mundus», 2, 2008, pp.192-198. Il wiki dell’espe-rienza è in http://iu.di.uni-pi.it/wiki/index.php/IU_Second_Life. Qualche ate-neo ha realizzato uno spa-zio per i servizi e la didat-tica: si veda per tutti quel-lo dell’Università degliStudi di Cagliari (Unica 55,111, 401).4. Gli istituti coinvolti nelreciprocal teaching erano ilLiceo “Russell” di Clès e l’I-stituto comprensivo diTaio, in provincia di Trento.5. L’Istituto d’arte “Vitto-ria”, il Cfp “Artigianelli” eil Centro moda “Canossa”di Trento.

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Fig. 1 Simulazione di scavo @ Roma Transtiberim

di Torin Golding (http://toringolding.

blogspot.com): fonti materiali.

6. Cfr. Il Risorgimento suSecond Life. «Garibaldi,che ne pensi dei Dico?», inwww.repubblica.it (arti-colo del 26 marzo 2007).7. Con il programma Frapsscaricabile da http://www.fraps.com. A tenereutili corsi per la realizza-zione di video è Elisa Rubi-no (Eleonora Porta).

Life (vedi il box con i landmarks). Il docentepuò imparare a girare in world dei video(machinima)7 e a scattare foto da condivide-re con gli alunni e, in certe situazioni, ricor-rere al proprio avatar per far “muoverenell’ambiente” un alunno per volta sottostretto controllo, condividendo con il restodella classe tramite il videoproiettore.

Tipi di approccioVediamo ora quali sono i modelli di attivitàche si possono svolgere in un mondo virtualenell’ambito della storia. La classificazioneche si propone non ha la pretesa dell’esau-stività e parte dall’approccio più semplice aquello che richiede delle abilità complesse.Va ricordato che se ci si muove su SecondLife non è possibile far interagire più avatardi alunni a meno che non abbiano l’età ri-chiesta, perché soltanto l’avatar dell’inse-gnante potrà muoversi liberamente senzaviolare il regolamento. Per le attività cheimplicano l’impiego di avatar gestiti da piùalunni si deve ricorrere ad ambienti sicuricome Scuola 3d e il metaverso educational– il cui nome provvisorio è «SecondLear-ning World» – che sta realizzando AndreaBenassi dell’Agenzia Scuola.

1. Il modello del museo tradizionale: lafruizioneL’avatar visita un luogo, osserva le opere inesposizione, legge i pannelli esplicativi ed e-ventualmente accede alle pagine web che in

vo, con l’obiettivo finale della realizzazionedi un’esposizione artistica.Un’esperienza particolare fu quella che ebbeluogo su Second Life per la presentazione del-la collana «Risorgimento» di «Repubblica»:gli avatar di Giuseppe e Anita Garibaldi, Maz-zini, Cavour – animati da altrettanti storici –rispondevano alle domande degli astanti6.Dal 2005 esiste un mondo virtuale rivolto aglialunni: Scuola 3D dell’Istituto pedagogico diBolzano, dove alcuni insegnanti dei diversiordini di scuola stanno praticando una didat-tica attiva e immersiva. Gran parte degli sce-nari è stata o verrà creata dai ragazzi (alcuniprogetti sono in fase di realizzazione).

Suggerimenti e spunti per unadidattica della storia nei mondivirtualiNella didattica della storia le immagini sonoimportanti (anzi, fondamentali), ma i mondivirtuali offrono qualcosa di più: la possibilitàdi esplorare e di creare scenari storici, viven-do dall’interno in modo immersivo gli ambien-ti, di muoversi all’interno di essi, di soffermar-si sui dettagli, di orientarsi nello spazio. Il mondo sintetico diventa uno strumentoper conoscere – in modo più approfondito –realtà lontane nello spazio e nel tempo.Per attività che implicano l’utilizzo di piùavatar è necessario ricorrere a mondi vir-tuali accessibili ai minori. Ma è un peccatonon utilizzare didatticamente la sterminatagamma di scenari storici presenti su Second

3 Mondi virtuali: scenari immersivi per la didattica

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Fig. 1

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Fig. 2 Esperienza afro-americana @ SugarHill

Retreat, ormai sparita: esempio di fonti

iconografiche.

Sitografia

! http://www.agenziascuola.it, sito dell’ex In-dire, ora Ansas (Agenzia nazionale per lo svi-luppo dell’autonomia scolastica).

! http://www.secondlearning.it, sito sulla di-dattica nei mondi virtuali.

! http://www.secondlifeblog.it, blog su Se-cond Life.

! http://www.secondlifeitalia.com, punto di ri-ferimento per gli utenti italiani di Second Life.

! http://www.2litaliaworld.it, per scaricare inpdf i numeri di «2L Italia - Second Life Maga-zine».

! http://elisamuve.blogspot.com, Education invirtual worlds, blog della docente Elisa Rubi-no, reporter in SL.

! http://marinugausman.blogspot.com, L’illu-sione persistente, blog della docente MariaGuida.

! http://www.scuola3d.eu/weblog, curato daidocenti che praticano la didattica su Scuola3d.

! http://nuke.moonlightuniversity.com, sito diMoonlight University.

8. La presente classifica-zione è soggettiva e si ba-sa sulle esperienze vissu-te dalla scrivente nei mon-di virtuali, nella consape-volezza che si può effet-tuare un’ulteriore sottori-partizione. Per esempio,qua si accorpano simula-zione e gioco di ruolo, cheinvece vengono distinti daE. Musci la quale – nell’ar-ticolo Il laboratorio con igiochi didattici, in P. Ber-nardi (a cura di), Insegna-re Storia, De AgostiniScuola, Novara 2006, pp.226-239 – classifica le atti-vità ludiche – nella vitareale – relative alla storianelle seguenti: giochi disimulazione, giochi di ruo-lo, role playing, giochi di e-scursione, giochi di per-corso, libri-gioco.9. Essi sono reperibili gra-tuitamente in certe land inSecond Life e già precon-fezionati insieme agli ava-tar in Scuola 3D.

genere sono linkate per gli approfondimenti.Fruisce – in modo più o meno attivo – ma noninteragisce (a meno che non segua una gui-da o non comunichi in chat con i “compagnidi visita”) e non produce (a meno che nonscatti delle fotografie virtuali).Vantaggio rispetto alla didattica tradiziona-le: la possibilità di visitare gratuitamenteluoghi lontani nel tempo e nello spazio.Competenza da attivare: acquisire la capa-cità di selezionare le informazioni.

2. Il modello della visita guidata: l’alun-no-ciceroneUn modello di livello leggermente più avan-zato è costituito dall’esperienza in cui l’alun-no fa da guida, illustrando – in voice o in chattestuale – agli astanti (virtuali o reali) le ca-ratteristiche, la funzione, la storia del monu-mento, del reperto o dell’opera d’arte.Vantaggio rispetto alla didattica tradiziona-le: come nel modello della fruizione.Competenze da attivare: rafforzare la capa-cità di analisi, saper comunicare usando il les-sico specifico (architettonico, ad esempio).

3. Il modello del gioco di ruolo8

Ogni avatar rappresenta un personaggiostabilito, magari indossa costumi d’epoca9:

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Fig. 2

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rali.it/mostre-e-monumen ti-romani-su-second-life.htm

pi.wordpress.com.11. www.romabenicultu-

ley, che ha allestito la simarcheologica: http://oka-

10. Si veda il blog dell’ Uni-versity of California, Berke-

3 Mondi virtuali: scenari immersivi per la didattica

interagisce con gli altri avatar rappresentan-do un determinato avvenimento storico o unprocesso particolare. Questo genere di atti-vità richiede l’impiego di più avatar, per cuicon gli allievi minorenni va attuato in un me-taverso sicuro.Si possono anche sperimentare delle alterna-tive alla realtà effettuando una sorta di ucro-nia: che cosa sarebbe potuto succedere se...?Per evitare confusione, se a “giocare un ruolo”è un numero cospicuo di alunni, piuttosto chela chat vocale è meglio usare quella testuale,che permette sia di individuare l’emittente diuna determinata battuta sia di salvare la con-versazione come un testo teatrale. Vantaggio rispetto alla didattica tradizionale:

gli alunni più timidi superano le inibizioni chehanno nella fase recitativa, inoltre non servo-no spese per costumi e scenografie, che sonogià preconfezionati o si possono creare ad hoc.Competenze da attivare: saper cogliere espiegare – vivendole in prima persona – ledinamiche di un processo storico.

4. Il modello della caccia al tesoro: la ri-cercaL’insegnante conduce gli alunni in un deter-minato ambiente virtuale e chiede loro di tro-vare un dato oggetto, come «l’invenzione diX» o «il mezzo di trasporto di Y». Il primo a-lunno che individua l’oggetto richiesto tele-trasporta l’insegnante e i compagni per atte-

Argomento Luogo o Evento CoordinateMetodologia Simulazione di scavo Roma Transtiberim (33, 45, 22)Cartografia Deposito di cartine storiche Rumsey Maps 1 (128, 127, 14)Paleontologia Parco sul genere di “Jurassic Park” Dinosaurs Park (10/133/25)Paleolitico Grotte di Lascaux Modesta (93, 45, 55)Neolitico Sito neolitico di Çatalhöyük in Turchia e Scavi archeologici di

Okapi10Okapi (75,146,41)

Stonehenge Tefnut (76/80/80)CAM1 (85/164/40)Mogwa (189/110/59)

Mesopotamia Tempio di Ishtar Orache (175, 43, 130)Egitto Giza ICommons (177, 149, 48)

Ricostruzioni di monumenti egizi Satin Teddy (54/126/30)Ricostruzioni di monumenti egizi France3dMartinique (119/109/22)

Minoici Palazzo reale di Cnosso The Minoan Empire (14, 61, 25)Civiltà nuragica Nuraghi, tombe dei giganti e altri megaliti nella sim curata dai

fratelli Mario e Marco PiredduSardigna (156, 188, 28)

Mondo greco Tempio di Zeus a Olimpia Nautilus-Elissa (132/31/28)Atene Greece (72/26/35)

Mondo romano Ostia Roma Transtiberim (186/159/23)Roma antica11 Roma (215/25/22)

Civiltà bizantina Monastero ortodosso di Santa Caterina Odessa Captivating (70/187/24)Islamismo Spagna araba Al Andalus Alhambra (128/128/0)Vichinghi Villaggio vichingo WD2 (198/47/23)

Villaggio vichingo Dublin 2 (36/235/7)

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nello che propone unascelta di edifici storici. Ilwiki dell’iniziativa è

pp. 202-209.13. Il laboratorio si visua-lizza cliccando su un pan-

del cellulare: giocare nelsito archeologico di Egna-zia, in «Mundus», 1, 2008,

12. Cfr. A. Brusa, V. Sepe,M. Corallo, C. Ardito, R.Lanzilotti, Sul buon uso

Argomento Luogo o Evento CoordinateMedioevo Borgo medievale francese Threemile (19/11/57)Rinascimento Signorie e Principati Toscana (192/75/403)

Invenzioni di Leonardo da Vinci Agorà Saturnia Gogol (212/95/23)Civiltà cinese La Grande Muraglia Picklefish Island (196/139/31)

La città proibita Obscuro Valkyrie (145/85/40)Età dei Tudor Ricostruzione di una città inglese dell’età dei Tudor Renaissance Island (116/89/26)Civiltà precolombiane Chichen Itzà Visit Mexico (195/62/38)

Rovine di Tulum Visit Mexico 2 (204/117/34)Rovine Maya Alviso (162/152/64)

Le Scienze nel Seicento Laboratorio di Scienze curato da Lisa Tebaldi Vulcano/Vulcano (79/119/433)Laboratorio di Galileo Galilei Digital Humanities13 (131/72/32)

I nativi americani Museo dei nativi americani Native Lands (58/140/25)Castelli neogotici Riproduzione di Burg Hohenzollern Stillman (29/179/48)

Riproduzione di Neuschwanstein Verloren (208/130/43)La Belle Epoque Parigi Primi del Novecento Paris 1900 (9/174/16)Repubblica di Weimar Ricostruzione Germania anni ’20 Dudintsev (116/60/500)L’Olocausto Ricostruzione di un villaggio ebreo nell’Europa orientale di fine 1800 Zeide Kamp (184/6/22)

US Holocaust Memorial Museum US Holocaust Museum (64/116/26)Ricostruzione della notte dei cristalli US Holocaust Museum1 (102/76/27)

Il Comunismo La piazza rossa Moscow Island (170/196/22)Guerra del Vietnam Vietnam Veteran’s Memorial Wall The Wall (39/32/25)Il Crollo del muro di Berlino La porta di Brandeburgo Berlin Brandenburger Tor (120/140/34)Questione palestinese Museo dell’Olocausto palestinese IslamOnline dot Net2 (28/169/24)Musei Riproduzione di un museo reale: la Dresden Gallery Dresden Gallery (118/118/26)

stare di averlo reperito. Una versione piùcomplessa può essere l’adattamento al mon-do sintetico dell’esperienza svolta nell’areaarcheologica di Egnazia col cellulare12. I pas-si da effettuare possono essere i seguenti:– l’insegnante invia agli avatar degli alun-

ni un messaggio contenente un percorsocon elementi specifici di monumenti;

– gli alunni (con un avatar personale o digruppo) ispezionano la land a caccia deimonumenti contenenti quei determinatiambienti;

– gli alunni, individuato l’oggetto o l’am-biente richiesto, scattano una “foto” perdocumentare di aver trovato quanto ri-chiesto;

Bibliografia telematica: articoli pubblicati in siti web

! A. Benassi, L’italiano in Second Life. Non ambientazioni didattiche ma e-sperienze nelle quali immergere gli studenti per l’apprendimento dellalingua e ancor di più la cultura italiana, in www.agenziascuola.it

! A. Benassi, La SecondaVita della Rete, in www.secondlearning.it

! M. Guida, Emotional Bandwith, un apprendimento ben valorizzato. Stu-dente e Docente: un racconto in prima persona dell’esperienza in SecondLife, in www.agenziascuola.it

! F. Vettori, A scuola di creatività nel virtuale. Intervista a Lorenzo Frizzera,Docente presso il Centro Moda “Canossa”di Trento, in www.agenzia-scuola.it

! F. Vettori, La necessità di una diversa consapevolezza metodologica.Sperimentare modelli didattici: reciprocal teaching, ambiente virtuale eabilità comunicativa, in www.agenziascuola.it

iu.di.unipi.it/wiki/index.php/IU_Second_Life; gliaudio su www.illaborato-

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Fig. 3 Ricostruzione della Notte dei cristalli

@ US Holocaust Museum1: fonti scritte

e iconografiche http://www.ushmm.org/museum/

exhibit/focus/kristallnacht/videos/?content=neumann

sta è quello della microstoria: le case, i mezzidi trasporto, l’abbigliamento, il culto.Vantaggio rispetto alla didattica tradiziona-le: economicità dell’attività, che non richie-de l’acquisto di materiali, apprendimentocollaborativo.Competenze da attivare: trattandosi diun’attività più avanzata e completa, gli o-biettivi costituiscono una summa di quelliindicati per i modelli precedenti.

Scenari presenti su Scuola 3dAbbiamo visto le tipologie di approccio. Maun utente ha bisogno anche di sapere dovesi possono svolgere queste attività. Esistonosu Second Life aree dedicate alla storia?

Vediamo i progetti legati alla storia:– il parco della Preistoria14 (con ambiente

giurassico, ambiente paleolitico e am-biente neolitico) curato dall’insegnanteMaria Gragnaniello;

– il progetto «Abitazioni umane nel tempoe nello spazio»15: sono state riprodotte a-bitazioni sumeriche e babilonesi oltreche abitazioni di popolazioni nordichecome gli Inuit16;

– Roma Antica17;– Vipiteno fascista18.

– alunni e docente effettuano un debrie-fing metacognitivo sull’esperienza appe-na fatta, riflettendo anche sulla relazionefra caratteristiche degli ambienti e lorofunzione. Tale riflessione può esseresvolta anche nella chat testuale (che sipuò salvare, per cui resta un segno delladiscussione).

Vantaggio rispetto alla didattica tradiziona-le: la possibilità di agire in uno spazio ampioe ricco di edifici, oggetti, persone.Competenze da attivare: riconoscere unmonumento o un reperto, rielaborare quan-to appreso, riflettere sul proprio percorso diapprendimento, condividere le proprie ri-flessioni.

5. Il modello del laboratorio: la realizza-zionePer le attività proposte sopra, i ragazzi pos-sono realizzare un prodotto, ad esempio:– album fotografici con immagini catturate

negli ambienti oggetti di analisi;– video dei percorsi effettuati.A un livello più alto si può realizzare un’ar-chitettura o uno scenario, esperienza che sa-rebbe il non plus ultra fra quelle praticabili inun mondo virtuale. Un argomento che si pre-

3 Mondi virtuali: scenari immersivi per la didattica

riodigalileogalilei.it/au-dio.html14. http://www.scuola3d.eu/wiki/index.php?title=Il_parco_della_Preistoria15. http://www.scuola3d.eu/wiki/index.php?title=Abitazioni16. http://studiamocome-todo.blogspot.com, blogdi servizio degli alunnidella IV C della scuola pri-maria “Don Bosco” di Car-dito (NA).17. http://www.scuola3d.eu/wiki/index.php?title=Roma_Antica18. http://www.ipbz-cor-si.it/scuola3d/documen-ti/38/2484_vipiteno_fa-scista.pdf

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Fig. 3

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Bibliografia su cartaceo

! Alessandri G., Dal desktop a second life. Tecnolo-gie nella didattica, Morlacchi, Perugia 2008.

! G. Biondi, La scuola dopo le nuove tecnologie, A-pogeo, Milano 2007.

! Banzato M., Corcione D., Second Life: un mondoeducativo “tridimensionale”. Una panoramica su-gli usi educativi, in «TD - Tecnologie Didattiche»42, 3/2007.

! Benassi A., L’italiano in Second Life. Non ambien-tazioni didattiche ma esperienze nelle quali im-mergere gli studenti per l’apprendimento dellalingua e ancor di più la cultura italiana, in www.agenziascuola.it

! Benassi A., La Seconda Vita della Rete, inwww.secondlearning.it

! Biondi G., La scuola dopo le nuove tecnologie, A-pogeo, Milano 2007.

! Bonaiuti G., E-learning 2.0. Il Futuro dell’appren-dimento in rete, tra formale e informale, Erickson,Trento 2006.

! Brusa A., Giochi avanzati per le medie, in A. Brusa,A. Brusa, M. Cecalupo, La terra abitata dagli uomi-ni, IRRSAE Puglia-Progedit, Bari 2000, pp. 104-123.

! Brusa A., V. Sepe, M. Corallo, C. Ardito, R. Lanzi-lotti, Sul buon uso del cellulare: giocare nel sito ar-cheologico di Egnazia, in «Mundus», 1, 2008, pp.202-209.

! Cuenca Lòpez J.M., Storia e videogiochi. Un’ana-lisi didattica, in «Mundus», 1, 2008, pp. 166-172.

! Guida M., Emotional Bandwith, un apprendimen-to ben valorizzato. Studente e Docente: un rac-conto in prima persona dell’esperienza in SecondLife, in www.agenziascuola.it

! Marconato G., Introduzione. La breve storia delletecnologie digitali nella didattica, in G. Marcona-to (a cura di), Le tecnologie nella didattica. Lo sta-to dell’arte nel nuovo millennio, Erickson, Trento2009, pp. 15-23.

! Marconato G., E-learning senza Learning Object:un approccio per attività di apprendimento, in G.Marconato (a cura di), Le tecnologie nella didatti-ca. Lo stato dell’arte nel nuovo millennio, Erick-son, Trento 2009, pp. 145-161.

! Musci E., Il laboratorio con i giochi didattici, in P.Bernardi (a cura di), Insegnare Storia, Utet, Torino2006, pp. 226-239.

! Parisi D., Le simulazioni e la storia. Le simulazionicome ambienti di apprendimento per lo studiodella storia, in TD!- Tecnologie Didattiche.

ml

Le attività che si svolgono su Scuola 3d sonoaccompagnate da riflessioni e operazionimetacognitive che si svolgono nel wiki (areadi lavoro collaborativo) e in blog di servizio.

Scenari presenti su Second LifePer un “nuovo arrivato” (in gergo «newbie»)non è facile sapere dove andare, tantomenose l’obiettivo è quello di svolgere un’attivitàcosì specifica come la didattica della storia:qui si propone una lista di ambienti in cui èpossibile realizzare attività legate alla sto-ria. Tale lista è frutto di un lavoro di ricercaeffettuato coi seguenti strumenti:– browser di Second Life, che forniscono il

teleport (ossia il teletrasporto) ai luoghiscelti (http://slbrowser.com);

– lo strumento Search all’interno di SecondLife: poco utile in quanto molti luoghinon hanno lo stesso nome nel mondo vir-tuale;

– la ricerca tramite Google di espressionicome «history in second life» o «archaeo-logy in second life»;

– contatti con avatar di persone (disponibi-lissime) che conoscono il mondo virtuale.

Nelle tabelle alle pp. 204-205, forniamo lecoordinate19 di ambienti significativi utiliper attività legate alla storia, nella consape-volezza che il mondo virtuale è in fieri e chepertanto possono sopraggiungere novità:nascono nuovi luoghi, altri cessano di esiste-re o vengono rimpiazzati o trasferiti altrove:si suggerisce di fare una verifica prima disvolgere attività didattiche.

Le fontiUna problematica sull’impiego di Second Li-fe è: come attivare su Second Life il processoattivo dell’interrogare le fonti? O meglio,quali sarebbero le fonti?Generalmente i lavori che si svolgono su Se-cond Life sono subordinati alla consultazio-ne delle fonti di diversa natura: scritte, ico-nografiche, materiali, orali.

19. Le coordinate dei luo-ghi su Second Life sonocostituite da 3 numeri rife-

riti appunto alle 3 dimen-sioni.

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!Pranzetti R., Farmeschi N., Possibilità di uso dei mondi virtuali nella for-mazione - Un confronto fra Second Life e Scuola 3d, in http://www.cala-meo.com/books/0000540794da9c58aba7d

!Roncaglia G., L’immaginario urbano in Second Life, in dspace.unitus.it

!Salvatori E., Podcasting e Second Life: dall’ascolto alla creazione in alcunicorsi universitari di Storia, in «Mundus», 2, 2008, pp. 192-198.

!Salvatori E., Podcasting. La trasmissione della memoria da Guccini ad Ava-tar: un ritorno al futuro (http://historycast.org/storiusando/24.htm).

! Tanoni I., Teso R., Il curricolo tecnologico. Proposte per la scuola dell’in-fanzia e primo ciclo, Erickson, Trento 2009.

! Vayola P., Il laboratorio con le nuove tecnologie e con il web, in P. Bernardi(a cura di), Insegnare Storia, Utet, Torino 2006, pp. 211-225.

! Vettori F., La necessità di una diversa consapevolezza metodologica. Spe-rimentare modelli didattici: reciprocal teaching, ambiente virtuale e abi-lità comunicativa, in www.agenziascuola.it

! Vettori F., A scuola di creatività nel virtuale. Intervista a Lorenzo Frizzera,Docente presso il Centro Moda “Canossa” di Trento, in www.agenzia-scuola.it

A Roma Transtiberim esiste un’area in cui sipuò svolgere una simulazione di scavo e os-servare alcune fonti materiali.Nella sim dell’Esperienza afro-americana èpossibile consultare fonti iconografiche: fo-tografie e disegni dei vari momenti dalloschiavismo alle guerre mondiali ai lanci nel-lo spazio.Ancora più completa dal punto di vista dellagamma di fonti presenti è la sim sull’Olocau-sto, dove coesistono fonti iconografiche,scritte e collegamenti a un sito web in cui sipossono ascoltare le testimonianze dei su-perstiti, ossia le fonti orali.

Le obiezioni possibiliDifficilmente le città e i luoghi sono riprodot-ti esattamente: perlopiù sono presenti i mo-numenti salienti, per cui non è possibilesvolgere uno studio urbanistico20.Ogni tanto qualche landmark di Second Lifenon è più attivo, allora avviene anche su SLquello che accade nel web: qualche sitosmette di esistere per cui il link/landmarknon è più valido. Anche in questo senso quin-di ha ragione Bauman21 che ritiene SL lospecchio della precarietà del nostro tempo*.

3 Mondi virtuali: scenari immersivi per la didattica

20. Si veda in merito G.Roncaglia, L’immaginariourbano in Second Life, inhttp://dspace.unitus.it21. Asya Masala, Bau-man: «Anche la Seconda

Vita è liquida». Il sociolo-go vede in SL una manife-stazione della precarietàmoderna, in «2L Italia - Se-cond Life Magazine», 1,ottobre 2007, p. 7.

* Un ringraziamento va al-le persone attive su SL chemi hanno dato risposte elandmarks utili e conti-nuamente aggiornati; diesse fornisco il nome vir-

tuale e, tra parentesi,quello della vita reale: Im-parafacile Runo (GiovanniDalla Bona), Lisa Tebaldi(Annalisa Boniello), Bari-sone Sirbu (Marco Pired-

du), Marinu Gausman(Maria Guida), NicomartiKaru (Nicoletta Farme-schi).

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seo aperto, territorialmente diffuso e utile al-la cittadinanza che apparteneva a quei luo-ghi e a quei tempi. Si rilevava, inoltre, la per-dita delle matrici e delle tracce legate alla ru-ralità, in seguito alla forte urbanizzazione eacquisizione tecnologica che portava versonuovi comportamenti sociali, esigenze cul-turali e di conoscenza, rischiando la scom-parsa di una storia millenaria. L’attenzione non si concentrò solo sugli og-getti della vita quotidiana, ma colse l’insie-me dello spazio all’interno del quale una cul-tura si era sviluppata. In questo risiede l’in-novazione avviata in Francia, l’idea che ilmuseo non è solo raccolta, catalogazione econservazione di oggetti, ma è l’insieme delpaesaggio nei suoi aspetti materiali e imma-teriali, dall’architettura, alle testimonianzeorali, ai saperi, alle persone, alle attività eco-nomiche e produttive, agli elementi dellacultura in atto.De Varine definisce i concetti chiave in: ter-ritorio, comunità, patrimonio.Non si tratta solo di una organizzazione chesi esprime in modo operativo su un territoriodefinito per i suoi confini socio-culturali e disviluppo, ma di una progettualità continua eflessibile, aperta e reticolare che opera attra-verso meccanismi di collaborazione nego-ziata e partecipata tra attori locali ed extra-locali, crescendo nel tempo e attivando mec-canismi di valorizzazione condivisi in un si-stema di relazioni, ruoli e potenzialità.

Mulino di Borgo Ampiano.

Ecomuseo Lis Aganis.

Lavorazione del legno.

Casso (PN).

Antico borgo.

Per le vie di Casso.

209

4

È agli inizi degli anni Settanta che compareper la prima volta il termine «ecomuseo», inun momento nel quale si stava affrontando ladiscussione sulla nuova museologia. Gli eco-musei hanno avuto una diffusione notevolein vari paesi del mondo, in particolare inFrancia e Spagna. Per quanto riguarda l’Ita-lia, si tratta di una realtà relativamente re-cente, sviluppata soprattutto nelle regionidel Nord.

Gli ecomusei: dall’ideazione alla realizzazioneIl termine fu pensato in Francia da Huguesde Varine, all’epoca direttore dell’Icom (TheInternational Council of Museums), e venneutilizzato ufficialmente dal ministro del-l’Ambiente francese, Robert Poujade, nel1971.La riflessione di quegli anni nasceva dal bi-sogno di rivedere il concetto di museo, inparticolare rispetto al suo rapporto con ilpubblico. L’attenzione dei museologi si con-centrò sull’esigenza di rendere il museo se-de e strumento di confronto con un pubblicosempre più ampio, superando il target di ri-ferimento dei musei rivolto ad una élite coltae specialistica, la sola che aveva l’opportu-nità culturale per accedere ai contenuti mu-seali, essendo in grado di decifrarne la com-plessità. Si propose di passare da un museoconservativo ad un museo come «luogo discambio, discussioni, condivisioni», un mu-

Ecomusei:territorio,comunità,patrimonio

Giuliana Massaro

ml

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sediamento tradizionale ha caratterizzato laformazione e l’evoluzione del paesaggio».Le leggi della Provincia Autonoma di Trento(2000) e della Regione Friuli Venezia Giulia(2006), hanno ereditato da quella piemonte-se le finalità generali; in particolare la secon-da, più recente, è riuscita a recepire alcuni a-spetti significativi dell’evoluzione del con-cetto di ecomuseo, spingendosi ad esprime-re, nell’art. 1, cm. 2, un tentativo definitorio.Gli ecomusei sono infatti istituiti dalla Re-gione Friuli Venezia Giulia per «recuperare,testimoniare e valorizzare la memoria stori-ca, la vita, le figure e i fatti, la cultura mate-riale e immateriale, le relazioni fra ambientenaturale e ambiente antropizzato, le tradi-zioni, le attività e il modo in cui l’insediamen-to tradizionale ha caratterizzato la formazio-ne e l’evoluzione del paesaggio e del territo-rio regionale, nella prospettiva di orientarelo sviluppo futuro del territorio in una logicadi sostenibilità ambientale, economica e so-ciale, di responsabilità e di partecipazionedei soggetti pubblici e privati e dell’interacomunità locale»1. Questo testo di legge hail merito di inserire, fin nella definizione de-gli obiettivi, il concetto di sostenibilità am-bientale e di partecipazione della comunitàlocale. Gli obiettivi specifici definiscono lemacroaree di intervento: «Conservazione eValorizzazione del Patrimonio Culturale,Conservazione e Rinaturalizzazione del Pa-trimonio Ambientale, Educazione e Didatti-ca, Formazione, Ricerca, Comunicazione ed

L’esperienza degli ecomusei in ItaliaLa Regione del Piemonte è stata la prima cheha inteso costruire e utilizzare tale proget-tualità attraverso la legge regionale n. 31 del1995. Nel dicembre dello stesso anno la Pro-vincia di Torino delibera in materia con larealizzazione del Progetto Cultura Materiale«che consenta sia un riequilibrio territorialenel campo culturale, sia uno strumento ingrado di innescare piccole economie locali»e identifica negli ecomusei lo strumento o-perativo adatto al raggiungimento di questiscopi. La Regione Piemonte ha dato vita adun vero e proprio sistema ecomuseale dislo-cato su quasi tutto il territorio regionale: inaree montane ma anche urbane, di pianura edi collina, sia in zone rurali che industriali.La legge della Regione Piemonte definiscel’ecomuseo come una «forma museale mi-rante a conservare, comunicare e rinnovarel’identità culturale di una comunità. Consi-ste in un progetto integrato di tutela e valo-rizzazione di un territorio geograficamente,socialmente ed economicamente omogeneoche produce e contiene paesaggi, risorse na-turali ed elementi patrimoniali, materiali eimmateriali». Gli obiettivi generali sonoquelli di un patrimonio inteso in senso olisti-co, in particolare si intende: «ricostruire, te-stimoniare e valorizzare la memoria storica,la vita, la cultura materiale, le relazioni fraambiente naturale ed ambiente antropizza-to, le tradizioni, le attività e il modo in cui l’in-

4 Ecomusei: territorio, comunità, patrimonio

210

1. Legge regionale n.10/06 della Regione FriuliVenezia Giulia.

PatrimonioTerritorio Comunità

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2. Ibid.3.Lis Aganis (le agane) so-no figure femminili legateal mito e alla leggenda, cheabitano attorno ai corsid’acqua e nelle grotte. Connomi e caratteristiche di-versi, sono presenti nelmondo leggendario diquasi tutti i paesi dellamontagna pordenonese.L’Ecomuseo ha scelto sim-bolicamente questo nomea rappresentare l’opportu-nità per il territorio di usci-re da quelle forme di isola-mento che lo caratterizza-no, portando alla luce lesue potenzialità.

laborazione con docenti e alunni; sostieneattività di ricerca e documentazione per il re-cupero della memoria e delle emozioni delpassato; realizza materiali didattici, divul-gativi e informativi; organizza mostre, even-ti e giornate dedicati a tematiche specifiche,visite di studio in luoghi e siti alla scoperta ditutto ciò che è unico. L’Ecomuseo comprende un territorio mon-

Eventi, Sensibilizzazione e coinvolgimento,Attività di Sviluppo Locale Sostenibile e Ge-stione»2.Sempre del 2006 è la legge della Regione Sar-degna mentre le ultime leggi in ordine ditempo sono quelle della Regione Lombardiae del Molise.Da questa sintetica analisi si ricava che in I-talia non esiste una normativa comune a tut-te le regioni. La spiegazione sta nella pecu-liarità degli ecomusei che nella fase di avviosi sono promossi e regolati in modo autono-mo, in un processo bottom up, nato da biso-gni, meccanismi di relazione, progettazionipartecipate e vissute dai diretti soggetti delterritorio. Solo in una fase successiva si sonoproposti agli interlocutori istituzionali al finedi vedersi riconosciuti come entità culturali,con dignità di dominio e governo.In Friuli vi sono attualmente tre ecomusei re-gionali: l’Ecomuseo delle acque del Gemo-nese (UD), l’Ecomuseo Lis Aganis (PN), l’E-comuseo della Val Resia (UD).

L’esperienza dell’Ecomuseo Lis Aganis3

C’era una volta una donna con tanti bambinida crescere.Un giorno incontrò una salamandra sulla sponda di un ruscello e la aiutò a parto-rire.[...] era una agana [...]L’agana le regalò una matassa di lana il cuifilo non finiva mai.Con quella matassa, lavorando, la donnapoté allevare i suoi figli.La matassa passò di mano in mano e si diceche continui a girare.L’Ecomuseo Lis Aganis conta 45 soci (asso-ciazioni culturali e di volontariato, comuni,pro loco, istituti scolastici del territorio) e hacome obiettivi la promozione culturale, so-ciale e civile; il recupero e la valorizzazionedei patrimoni locali; la promozione di unamigliore qualità della vita nelle aree rurali eil sostegno a forme di sviluppo sostenibileper il territorio locale. L’Ecomuseo attua la-boratori con esperti locali, famiglie, scuole;valorizza percorsi di didattica situata in col-

ml

Gruppo musicale

“Le agane”.

Scolaresche

nell’Ecomuseo

Lis Aganis.

Un percorso

nell’Ecomuseo

di Lis Aganis.

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Frana sul Monte Toc.

La diga del Vajont.

Abitato di Casso.

tano e pedemontano, legato da elementigeo-spaziali propri: i confini amministrativicon la Regione Veneto a ovest e la Provinciadi Udine a est; il conoide Meduna-Cellina,formatosi geologicamente per azione deighiacciai e delle acque, che hanno modella-to un ambiente d’alta pianura caratterizzatoda terreno sassoso e ghiaioso, con insedia-menti di specie floro-faunistiche specifiche.L’ambiente montano è caratterizzato da roc-cia dolomia e fenomeni di carsismo, presen-ta diversità paesaggistiche di grande sug-gestione con forte prevalenza di elementinaturali ancora integri. Queste caratteristi-che ambientali hanno consentito la nascitadi microcosmi abitativi. I borghi montani,pur avendo caratteristiche similari, sonospesso divergenti. Gli impianti urbanisticiutilizzano le stesse risorse naturali, pietra elegno, ma le interpretano e adattano archi-tettonicamente, divenendo originali e spes-so magiche. Un elemento rende questo ter-ritorio unico e ne costituisce un filo-legameindissolubile: la presenza dell’acqua. Ac-qua, risorsa fondamentale di queste vallate,che ha originato attività manifatturiere difondo valle, che unisce l’energia per l’uomoad un caleidoscopio di colori, di luci e di om-bre, che da sempre ha accompagnato e gio-cato con le genti che vicino ad essa hannostabilito la loro dimora. Acqua, che unisce legenti nella memoria e nella storia, spessotragica, come quella del disastro del Vajont.Acqua, ribelle alla superficialità e leggerez-za delle scelte umane. Acqua, che forte hafatto sentire il grido di un ambiente usurpa-to e non preservato, attaccato e non difeso,inascoltato. Acqua, che nel rombo sordodella notte del 9 ottobre 1963, tramanda digenerazione in generazione una lezionefondamentale per la crescita futura, nel ri-spetto dell’ambiente, della sua storia, dellasua cultura che profonda scorre, goccia do-po goccia, attraverso il tempo4.

L’Ecomuseo Lis Aganis e la sua organizzazioneL’Ecomuseo Lis Aganis ha sede a Maniago eopera attraverso un addetto all’organizza-

4 Ecomusei: territorio, comunità, patrimonio

4. Afferma L. Vastano inVajont, l’onda lunga, Pon-te alle Grazie, Milano2008: «Il 10 ottobre diquell’anno l’Italia si sve-gliò senza sapere che lasua Storia [...] non sarebbepiù stata la stessa».

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A sinistra:

Laboratorio al

Castello di Toppo,

“Il gioco dei

sassolini”; al centro ea destra: Laboratorio

“Magredi” a Vivaro.

Settimana per lo

sviluppo sostenibile –

Presentazione delle

realizzazioni delle

scuole.

Laboratori in piazza.

ml

zione e un supporto amministrativo. Lastruttura gestionale prevede: un presiden-te, l’assemblea dei soci, un gruppo di ammi-nistrazione, un comitato tecnico-scientifico,gruppi di progetto.Le funzioni di gestione amministrativa e digoverno sono svolte dall’assemblea dei socie dal gruppo di amministrazione. Il comitatotecnico-scientifico è composto da esperticon competenze nei campi disciplinari spe-cifici, nella progettazione, nella formazione.Ha compiti di direzione progettuale, cura ladocumentazione, pone in relazione le inizia-tive, idee, proposte delle cellule in un pianoorganico. I gruppi di progetto sono organi-smi flessibili attivati su richieste e proget-tualità specifiche delle singole cellule, inter-vengono nel campo della didattica, dell’ar-cheologia, dei vecchi mestieri. I gruppi sonocomposti dagli appartenenti alla cellula sup-portati da uno o più tutor/facilitatori, con ilcompito di favorire la realizzazione e concre-tizzazione del progetto.L’intervento progettuale dell’Ecomuseo uti-lizza la metodologia della progettazione par-tecipata, attraverso incontri di gruppo, fo-cus-group, interviste, documentazione, for-mazione, interventi di esperti e facilitatori,che vede come protagonisti il comitato tec-nico-scientifico, le associazioni, i rappresen-tanti istituzionali, la popolazione. Gli istituti scolastici, con le proprie risorsesia strutturali che umane – personale tecni-co/amministrativo, insegnanti e alunni –,sono soggetti attivi nella pratica ecomusea-le. Essi si propongono sia come fruitori delleopportunità dell’Ecomuseo, sia come co-struttori culturali del territorio, attraverso lapartecipazione alla progettazione, realizza-

zione, produzione di documentazione. L’esi-genza delle scuole di essere parte viva diquesta forma autentica e partecipativa sulterritorio nasce dalla rilevazione del biso-gno di costruire identità stabili, che svilup-pino l’idea di appartenenza intesa come as-sunzione di ruoli e responsabilità collettivi.La formazione dell’essere cittadini significacreare situazioni per imprese collettive,strutturate su compiti autentici, dove gli al-lievi possano giocare un ruolo attivo condi-videndolo con altri attori del territorio di ap-partenenza o esterno ad esso. È così che ipercorsi didattici hanno prestato attenzione

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4 Ecomusei: territorio, comunità, patrimonio

L’Ecomuseo Lis Aganis: sviluppo diuna metodologiaNella relazione tra Ecomuseo e scuola si èsviluppata una metodologia riconoscibileper due caratteristiche: la progettazionepartecipata e la didattica situata.Con la prima si intende una progettazione dicontesto con l’intervento di più soggetti eche si identifica nelle seguenti fasi di lavoro:rilevare i bisogni condivisi di un territorio; i-potizzare traguardi; verificare il piano di a-zione e la fattibilità; ridefinire e riconsidera-re il progetto complessivo; adattare e sce-gliere strategie e tecniche; valutare, consi-derare, controllare, comunicare.

Laboratori in piazza.

all’attivazione di contesti di interazione rea-le sui luoghi del vicinato, dell’immediata-mente prossimo o del molto lontano, consi-derando in questo tutte le opportunità offer-te dalla rete. Bambine e bambini assumonoil ruolo di costruttori di conoscenza, dive-nendo promotori culturali di sé stessi e delterritorio di appartenenza, sia esso realeche digitale. La progettazione educativa ac-quisisce un ruolo fondamentale per la co-struzione di piani di sviluppo territoriale so-stenibile, dove etiche e valori si coniuganocon la necessità di sviluppare apprendi-menti, abilità e conoscenze plurime e inte-ragenti.

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resse naturalistico e/o sociale, in laboratori insito o specifici disciplinari (di storia, scienze,tecnica, archeologia o artistico/creativi), nel-la produzione di documentazione audio/vi-deo, land art, multimedia.L’esperienza ha consentito, attraverso lametodologia utilizzata, di attivare processiculturali e intrecciare, secondo modelli aper-ti, l’identità propria con la storia e con il pre-sente. Lo scopo è formare abitanti del mondoche, attraverso la cittadinanza attiva e so-cialmente partecipata, si interessino del pro-prio e altrui bene stare e bene essere, qua-lunque sia il luogo, il sito, il tempo che li vedeprotagonisti.

Per didattica situata si intende l’insieme deiseguenti elementi: le “tracce”, ovvero tuttigli elementi che sono reperibili nella realtà enella memoria dei luoghi, degli oggetti e del-le persone; i “luoghi esperti” intesi comeparti di paesaggio paradigmatiche di ele-menti di territorio portatori di significati, co-noscenze, saperi; i “luoghi di affezione”, ov-vero i siti che consentono l’attivazione diprocessi in grado di suscitare motivazione estimoli culturali.L’azione delle scuole nell’Ecomuseo ha vistogli alunni protagonisti nella costruzione di“mappe di comunità”, nel recupero di luoghi,passaggi, sentieri, spazi di particolare inte-

Scolaresche

nell’Ecomuseo.

ml

Bibliografia

! H. De Varine, Le radici del futuro, Clueb, Bolo-gna 2005.

! L.Vastano, Vajont, l’onda lunga, Ponte delleGrazie, Milano 2008.

! Collaborazione: Debora Del Basso, Chiara A-viani, C.T.S. Ecomuseo Lis Aganis

Sitografia

! http://www.ecomusei.net

! http://www.fems.asso.fr

! http://www.osservatorioecomusei.net

! http://www.ecomuseolisaganis.it

Mappa di comunità, realizzata nel Comune di

Tramonti di Sopra.

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1. Cfr. la dispensa Il labo-ratorio di storia, di A. Del-monaco, Punto Edu, Piat-taforma Indire, 2008.

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Un laboratorio ludico su uno degli argomentipiù appassionanti della storia antica, nel qua-le si mettono in gioco conoscenze e abilità sto-riche, geografiche e delle scienze sociali.

Presentazione iniziale del laboratorioLa scelta di ideare ed effettuare un laborato-rio sul popolo dei Fenici nasce dalle curiositàdei bambini, esposte in classe più volte, diconoscere in maniera più approfondita le a-bitudini e la cultura di antichi popoli marinaiche percorrevano il Mar Mediterraneo pereffettuare scambi e commerci con altre co-munità in territori costieri. Alla base di tale laboratorio sta l’interesse in-nato del bambino per il mare e per tutto ciòche concerne la navigazione, le rotte maritti-me, i venti, le barche e lo scambio di merci.Codesto desiderio di conoscere e scoprireviene alimentato man mano nel corso delle at-tività incentivando l’alunno ad avvicinarsi alpopolo fenicio attraverso saperi che vengonoacquisiti con l’avanzare delle lezioni colletti-ve in aula. Ogni elemento conosciuto divienebase di un sapere già acquisito, ma di fonda-mentale importanza poi nel tempo, per losvolgimento del gioco-laboratorio finale daltitolo Sulle rotte dei fenici attraverso cui l’a-lunno mette in atto i concetti già appresi at-traverso una logica sequenziale e temporale,realizzando così un’attività metacognitivacompleta. Come riferisce la Delmonaco, è pro-

Laboratorio:Sulle rotte dei Fenici

Marco Zanasi

prio da Piaget, Vygotskij e Bruner che inizia aconsolidarsi la consapevolezza che appren-dere non significa «adeguarsi alle istruzioniche provengono dall’insegnamento», mamettere in moto un «peculiare processo atti-vo, attraverso cui ogni allievo e ogni allieva èsoggetto e non oggetto del suo stesso svilup-po»1. È da qui che prende forma il laboratorioin cui il bagaglio di informazioni che l’alunnoporta con sé viene utilizzato come tessutoconnettivo spontaneo, ma di grande valore,che verrà messo a frutto dal bambino stesso.

Obiettivi del gioco-laboratorioLa preparazione e la progettazione del labo-ratorio partono dall’elaborazione di obiettiviiniziali molto chiari già agli alunni che nevengono a conoscenza fin dall’inizio delle at-tività in classe. Comprendendo fin da subitole finalità che le attività propongono, il bam-bino va a calibrare i prerequisiti con le cono-scenze che man mano vengono apprese perrendere il tutto chiaro e significativo.Alcuni obiettivi stabiliti sono i seguenti:– conoscere quali popoli si svilupparono

sulle coste del Mar Mediterraneo;– apprendere la civiltà fenicia, la loro arte e

la loro cultura;– sapere come i Fenici svilupparono l’arte

della navigazione;– conoscere la differenza fra tipi di imbar-

cazioni;– riconoscere alcune parti delle navi feni-

cie;– sapersi orientare su una cartina geo-sto-

rica;– conoscere la direzione dei venti e i punti

cardinali;– leggere e comprendere testi di carattere

storico;– saper ricavare informazioni da una carti-

na geo-storica.

Passaggio n° 1: «Conosciamo il territorio». Tempi: 3 h circaIl gioco-laboratorio non può essere effettua-to se non vengono superate alcune fasi difondamentale importanza per l’acquisizionedi concetti storici. Uno in particolare è il ter-

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– erano commercianti;– costruivano barche con il legno di cedro;– erano una civiltà marittima;– si stabilirono in Libia.Da tale discussione si ricavano collettiva-mente alcune parole chiave, che vengono e-videnziate e utilizzate per l’inquadramentostorico che diventa la parte successiva dellavoro iniziale, in cui l’alunno fa uso di con-cetti derivanti dalla geografia e dalla storiaper poi unirli e crearne un tutt’uno. Per fareciò l’insegnante fornisce strumenti di sup-porto; in questo caso si è fatto uso di una car-tina che gli alunni hanno osservato attenta-mente e dove hanno messo in rilievo quelloche già conoscevano: il Mar Mediterraneo ela città di Palermo. Attraverso l’uso del sus-

ritorio in cui si sono sviluppate le principaliciviltà del mare: i Fenici e i Cretesi. L’atten-zione si soffermerà in particolar modo sul po-polo fenicio. L’accostamento ai popoli marittimi è stato ef-fettuato attraverso la lettura di un brano daltitolo Hiram, abile timoniere (cfr. riquadro inbasso). Il breve racconto ha portato gli alunnia ragionare sull’antico mestiere del timonie-re e in particolare su alcune peculiarità dellebarche fenicie e sulla loro costruzione. Gli a-lunni sono stati stimolati attraverso doman-de e accompagnati all’assimilazione dellenuove conoscenze con una discussione col-lettiva successiva.Chi era Hiram?Che lavoro faceva?Come era la sua barca? Ricerca la descrizio-ne sul brano letto.Che cosa trasportava la sua barca?Al termine di queste domande è scaturita u-na discussione che è poi culminata in unbrainstorming, punto di partenza delle ideee delle conoscenze per poi formulare ipotesi.Dalla lettura del brano che cosa puoi capiredel popolo fenicio?Tali sono state le risposte dei bambini:– erano abili marinai;

Fotocopia del bacino del Mediterraneo, base del gioco-laboratorio.

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5 Laboratorio: Sulle rotte dei Fenici

sidiario vengono ricercate le successive pa-role chiave ricavate dalla discussione e os-servati il territorio e le sue caratteristichefondamentali, in cui il popolo fenicio si stabi-lisce.Contenuti:– caratteristiche del territorio; – organizzazione politica delle città-Stato

fenicie;– definizione di base commerciale;– ripasso del termine colonia;– l’artigianato e i prodotti ricercati: la por-

pora, il vetro e i gioielli;– la cultura fenicia.

Passaggio n° 2: «È ora di salpare».Tempi: 1! h circaDopo aver accompagnato gli alunni alla co-noscenza preliminare del territorio ed averconstatato la vera acquisizione dei contenu-ti trattati, si sposta l’attenzione su un secon-do tassello importante per la realizzazionedel laboratorio finale: l’uso e le caratteristi-che delle navi fenicie. Anche in questo caso si sfruttano i prerequi-siti di conoscenza del bambino e si sottopon-gono alcune immagini di barche e navi; at-traverso un’accurata osservazione e il dialo-go collettivo se ne osservano le caratteristi-che, il loro uso in mare e si effettuano con-fronti per individuarne differenze e somi-glianze rispetto a quelle che potevano esse-re dei Fenici.Le immagini presentate sono le seguenti:– barca a vela;– nave porta container;– nave da crociera;– portaerei;– rimorchiatore.Assieme si cerca di scoprire l’uso odierno ditali imbarcazioni per soffermarsi su quellespecifiche per il trasporto di merci. Se ne os-servano i lineamenti, la struttura, il tipo dipropulsione utilizzato e se ne scrivono le ca-ratteristiche. Tale confronto viene poi utiliz-zato in una discussione collettiva grazie aduna immagine stilizzata di imbarcazione fe-nicia e se ne individuano le differenze, perpoi studiarne le caratteristiche.

In questo contesto si inserisce il termine di«nodo» come unità di misura di velocità di u-na nave, per poi effettuare, successivamen-te, un collegamento con la disciplina di ma-tematica. Utilizzando le conoscenze apprese sulle ca-ratteristiche delle barche fenicie, si chiedeagli alunni di usufruirne per la realizzazionegrafica di una barca che abbia le particola-rità fondamentali studiate in precedenza. Ogni bambino realizza la propria imbarca-zione dandole un nome inventato. La classeha così una sua flotta che viene esposta at-traverso un cartellone recante il nome delbambino e il relativo nome della barca.

Passaggio n° 3: «La moneta: un mezzo per commerciare».Tempi: 2 h circaLa necessità, ora, è quella di concentrare l’at-tenzione dei bambini, non più sugli aspettitecnici o metodologici utilizzati dai Fenici pergli spostamenti, ma, in particolare, sul loromodo di fare commercio e sull’uso di oggettimediatori per lo scambio dei prodotti. Si inizia una discussione partendo da unadomanda stimolo:Quali prodotti venivano commerciati mag-giormente dal popolo fenicio?La maggior parte dei bambini risponde ade-guatamente specificando i prodotti che deri-vano dal territorio e realizzati artigianal-mente: cedro del Libano, tessuti, oggetti divetro e ceramica, tessuti di porpora, gioielli,vasi ed altri oggetti d’artigianato. Come già fatto precedentemente, le parolechiave vengono segnate alla lavagna e attra-verso il dialogo intercomunicativo si ricercala motivazione che ha spinto gli alunni a sce-gliere tali prodotti e non altri. Se ne ricava lanecessità del popolo fenicio di commerciaree scambiare i loro prodotti sottolineandol’importanza del legno come materiale pre-zioso per la costruzione delle barche e la loromanodopera. La concentrazione si sofferma sui tessuti diporpora; l’argomento viene approfondito at-traverso la lettura di una fonte scritta sullascoperta mitologica della porpora.

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Passaggio n° 4: «I venti, le rotte e i mari». Tempi: 1! h circaGli alunni, in questo penultimo passaggio,hanno ormai un contesto conoscitivo presso-ché totale per affrontare il gioco-laboratoriofinale che li vedrà coinvolti a squadre. Senzaquesto quadro completo il risultato finalenon avrebbe lo scopo previsto inizialmente,cioè l’unione di tutti i passaggi finora effet-tuati, per una conoscenza logica e metaco-gnitiva completa.Viene consegnata ai bambini la fotocopia cheservirà come base per il gioco-laboratorio fi-nale. I bambini osservano la cartina del baci-no del Mediterraneo (cfr. supra, p. 217) e as-sieme al docente evidenziano il territorio del-la Fenicia.

Si prende poi in considerazione la grandebussola sopra raffigurata e assieme ai bam-bini si collegano le scritte con i punti cardi-nali appropriati (allacciandosi alla disciplinageografica) e si osservano la tabella dei ventie le loro direzioni.

In questo contesto, ben concretizzato, vie-ne inserito l’argomento della moneta inve-stendo su di essa una certa importanza co-me passaggio fondamentale dallo scambioal prodotto comprato. Si avvicinano i bam-bini a questo attraverso un dialogo sull’usoal giorno d’oggi delle monete e al valoreche tutt’ora viene dato ad esse. Si presen-tano immagini su fogli da lucido di monetefenicie e se ne osservano le caratteristiche.Si stimolano i bambini con domande:Che cosa potete notare?Come sono fatte?Che cosa è inciso su di esse?Le domande stimolo provocano una discus-sione e se ne ricava che la maggior parte deibambini nota su di esse immagini di prodottialimentari in uso nel periodo fenicio. Si passa ora alla fase manipolativa e creativa. Ad ogni alunno viene consegnato un pezzodi rame sottile con incisi già alcuni cerchi dimedesime dimensioni. Lo scopo del labora-torio è creare tre (o più) monete simili a quel-le fenicie con l’effige di prodotti alimentari edi commercio, conformi a quelli osservatinelle fonti iconografiche. Ogni bambino avrà quindi tre monete, checonserverà per il gioco conclusivo, le qualisaranno osservate da tutti, fatte girare e cu-stodite nel quaderno.

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Alcune monete prodotte dai bambini.

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5 Laboratorio: Sulle rotte dei Fenici

L’attenzione degli alunni verrà concentrataprevalentemente sull’etimologia dei variventi e se ne ricava, attraverso l’uso del vo-cabolario, la definizione appropriata. Vengono definiti i significati di «Stella Pola-re» e «rotta».Attraverso l’uso di una fonte scritta vengonocolorate, con diverse sfumature di azzurro,le differenti correnti che dominano il MarMediterraneo e si evidenziano alcune città obasi commerciali che serviranno per il gioco-laboratorio: Cagliari, Palermo, Troia, Carta-gine, Fenicia, Cadice, Atene, Cnosso.

Passaggio n° 5: «Sulle rotte dei Fenici». Tempi: 2 h circaOgni bambino ora dovrà tenere conto diquanto appreso nei vari passaggi e utilizzar-lo nel gioco-laboratorio finale che diviene ilvertice del lavoro conoscitivo effettuato. Glielementi che ora l’alunno dovrà mettere afrutto riguarderanno:– conoscenze sulla cultura fenicia;– conoscenza sulle barche fenicie;– conoscenza degli aspetti commerciali e

di scambio;– conoscenza dei prodotti commerciati (i

più importanti);– conoscenza delle rotte, dei venti e della

loro direzione.I bambini si suddividono in 8 squadre com-poste ciascuna da 3 bambini. In ciascuna squadra gli alunni dovranno ri-vestire diversi ruoli: – capitano;– rematore;– marinaio (può essere più di uno).Liberamente gli alunni si divideranno i ruoliin maniera autonoma creandone una discus-sione socialmente condivisa dagli altri mem-bri della squadra. Il capitano avrà il compito di scegliere la bar-ca che la ciurma dovrà occupare durante ilgioco. Si rimembra che la barca sarà sceltada quelle prodotte precedentemente nelpassaggio 2 con il relativo nome creato dalbambino che l’ha realizzata.Ad ogni squadra così suddivisa il docenteassegnerà una base commerciale.

Ad esempio: la base commerciale di Cagliariavrà come barca la “Fuciliera”, come capita-no Giulio, come rematore Andrea e come ma-rinaio Alessio.La base commerciale di Cnosso avrà comebarca la “Superquack”, come capitano An-gelo, come rematore Gabriele e come mari-naio Martina. Ogni squadra presenterà alla classe la pro-pria barca, la propria ciurma e la propria ba-se commerciale di partenza. Si avrà così un quadro completo del contestodi partenza. I bambini di ogni squadra si ra-duneranno in un unico banco che verrà con-trassegnato da apposite scritte che eviden-zieranno le varie basi commerciali. Il docen-te utilizzerà un cartellone con incollata lastessa fotocopia ingrandita dei bambini edevidenziate le basi commerciali. Ogni bambino della squadra dovrà anchemettere a disposizione della propria ciurmatutte le monete prodotte antecedentemente. Riassumendo, ogni squadra avrà:– una sua base commerciale di partenza;– una ciurma con i ruoli ben divisi;– il nome della barca e l’immagine di essa;– 9 monete da utilizzare per il gioco;– un dado da gioco per ciascuna squadra.Il docente sulla cattedra avrà a disposizionedel gioco due elementi importanti: una seriedi carte chiamate “Imprevisto” e una tabellacon dei punteggi che non sarà visibile agli a-lunni se non al termine del gioco. Nella prima fase di gioco ogni squadra dovràdecidere quali prodotti dovrà commerciarecon le altre basi commerciali e quali compra-re. Terminata la stesura dei prodotti, su pic-coli foglietti, ogni squadra di bambini dichia-rerà i propri. Ad esempio, nella stiva della barca “Spiritodei venti” abbiamo i seguenti prodotti:– 9 legni di cedro;– 7 stoffe di porpora;– 8 collane;– 3 vasi decorati di vetro;– 6 vasi decorati.Inizialmente il docente avrà attribuito segre-tamente un punteggio ben preciso ad ogniprodotto. Tale punteggio viene assegnato in

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gio, la ciurma dovrà pescare una carta “Im-previsto” e svolgere quanto definito in essa. Il gioco termina quando ogni squadra riescea commerciare con tutte le basi commercialie ad acquistare il maggior numero di prodot-ti che secondo i bambini sono pregiati e im-portanti come lo erano per il popolo fenicio.Al termine del gioco, quando tutte le barcherientrano in patria, si assegna ai prodotti ac-quistati un punteggio di valore deciso daldocente. La ciurma che avrà il punteggio piùelevato vincerà il gioco-laboratorio. Esempio di punteggi:– tessuti di porpora (1 x 10 punti);– vestiti in genere (1 x 10 punti);– legno di cedro (1 x 10 punti);– ...Il gioco termina con una discussione sul mo-tivo dell’acquisto da parte di ogni singola ba-se commerciale per accompagnare i bambininell’acquisizione del concetto di prodottopregiato, ma a tale concetto il bambino potràarrivare solo se avrà messo a frutto i mecca-nismi complessi già acquisiti.

base al suo valore, alla sua importanza per ilpopolo fenicio, alla sua robustezza e all’uti-lizzo che esso può avere in altri territori.(Nell’immagine in alto: alcuni esempi di car-te “Imprevisto”).

Lo scopo del giocoOgni squadra, a turno, dovrà commerciarecon le altre basi commerciali attraverso lacartina del bacino del Mediterraneo che lesarà stata fornita, e dove sono segnate lecittà costiere dalle quali acquistare prodottidi valore (nella foto: alcuni bambini intentinello scambio). Il capitano di ogni squadradovrà decidere, assieme alla sua ciurma, do-ve spostarsi e definire, a voce alta, la rotta daseguire precisando bene i venti che sfrutteràper raggiungere tale rotta. Il lancio del dadodecreterà, al termine di un giro completo digioco, chi partirà per primo. Se la rotta è giusta, il docente acconsentiràal movimento della barca e all’acquisto dellemerci; al contrario, se la rotta non è corretta,la ciurma dovrà stare ferma e non commer-ciare. All’atto dello spostamento nella base com-merciale decisa, solo il capitano, preceden-temente accordatosi con gli altri, potrà com-prare o vendere prodotti usando le monetemesse a disposizione della squadra. Prima di affrontare, a turno, un nuovo viag-

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Nel 2009 ben sei convegni hannoaffrontato le questionididattiche e professionaliconnesse con l’avvento dellenuove tecnologie.

Manuali di carta e manualiinformatici nel mirino di ricercatori e insegnanti

La Fiera del Libro di Torino 2009 è stataaperta dal dibattito tra Umberto Eco eJean-Claude Carrière intitolato «Non spe-rate di liberarvi dei libri» e questo proprionell’anno in cui il Ministero della Pubbli-

ca Istruzione ha emanato una circolare sull’ado-zione dei libri di testo che ne impone la digitaliz-zazione – almeno parziale – a partire dall’a.s.2011/2012. La scuola quindi sarà la prima a doverfare i conti con l’innovazione tecnologica in cam-po editoriale e non solo. Che conseguenze avràciò sull’insegnamento (e sull’apprendimento)della storia e della geografia? Certamente i libridiverranno meno pesanti, addirittura c’è chi pen-sa che l’insegnante potrà definitivamente liberar-sene1 utilizzando l’abbondante materiale presen-te sul web e sembra così riproporsi l’annosa que-stione “manuale sì/manuale no”, ma – si sa – i

problemi nella storia non si presentano mai conla stessa faccia. In questo caso, anzi, la questionesi fa più complessa: con che criteri decidere qualicontenuti tenere sul cartaceo e quali mettere online? L’informatizzazione permette un enciclope-dismo ancora più spinto che costringe a fare iconti con quali debbano essere i contenuti essen-ziali soprattutto per discipline come la storia e lageografia, ma anche con il problema connessoalla validazione di questi contenuti, così comesull’affidabilità delle fonti: come costruire critericondivisi? Saranno necessarie nuove competen-ze per gli insegnanti, e in che rapporto con quelledisciplinari specifiche? In un bell’articolo com-parso sul primo numero di questa stessa rivista,José Marìa Cuenca López2 ha analizzato diversetipologie di videogiochi storici evidenziandone ilpotenziale educativo in un’ottica laboratoriale: diquante analisi simili disponiamo sui multiformimateriali didattici che la rete fornisce, e che sem-pre più verranno messi a disposizione dalle stes-se case editrici, e non solo? Le iniziative sul temadell’innovazione a scuola sono state davvero pa-recchie: che spazio ha avuto in esse la didatticadisciplinare? Non credo che sia mai capitato che nell’arco diun solo mese in Italia si siano svolti ben sei con-vegni3 sullo stesso tema (la scuola e l’innova-

* Non è ben chiarochi sia l’autore diquesta frase: secondoalcuni, Paul Valéry,secondo altri, ArthurC. Clarke, ma conmolta più probabilitàsi tratta di una frasetratta dalla saggezzapopolare, come quel-la, molto simile, «Lestagioni non sonopiù quelle di una vol-ta». La cito traendolada un bell’interventodi Andrea Granelli alconvegno «Gli E-Book a scuola» tenu-tosi a Roma il 17 mar-zo 2009.1. Qualcuno, piùestremista, pensa an-che di liberarsi degliinsegnanti stessi...2. J.M. Cuenca López,Storia e videogiochi.Un’analisi didattica,in «Mundus», 2008(1), pp. 166-172.3. Nell’ordine: «DaSocrate a Google –come si apprende nelnuovo millennio», se-minario internaziona -le organizzato dal -l’Associazione docen -ti italiani, Bologna,27-28 febbraio 2009(videoregistrazionedi molti degli inter-venti ed abstract nelsito: http://ospitiweb.indire.it/adi/SemFeb

2009/Sf9_abs_frame.htm); «LiberinTo –Primo Forum Nazio-nale sul libro scolasti-co» organizzato dal -l’Ufficio scolasticoregionale per ilPiemon te, Torino, 5-7marzo 2009 (una par-te del convegno puòessere vista nel sito:http://www.usrpie-monte.it/WebTV.asp

x); «Gli E-Book ascuola: un’occasionedi innovazione», con-vegno nazionale or-ganizzato da Gara-mond Editoria e For-mazione, Roma, 17marzo 2009 (visibilenel sito: http://www.g a r a m o n d .it/index.php?pagina=556); «I na ti digitali»,convegno organizza-

to da Università degliStudi di Milano, NovaMultimedia, Fast, Ai-ca, Milano, 20 marzo2009 (visibile sul sito:http://www.nova-multimedia.it/webTV/); «Un giorno discuola nel 2020», con-vegno internazionaleorganizzato dallaFondazione per laScuola della Compa-

gnia di San Paolo, To-rino, 26-27 marzo2009 (visibile sul sito:http://www.fonda-zionescuola.it/ma-gnoliaPublic/iniziati-ve/convegno-26-27marzo/video-clip.html); «Class roomanywhere – I Digitalnatives nell’Europadell’Istruzione», ter-zo seminario nazio-

nale, organizzato dal - l’Istituto tecnicocom merciale e lin-guistico “Marco Polo”di Bari con il patroci-nio dell’Ufficio scola-stico regionale per laPuglia, Bari, 26-27marzo 2009 (cfr.:h t t p : / / w w w .marcopolobari.it).Non verrà fatta inquesta sede una elen-

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«Il futuro non è più quello d’una volta»*

Maria Teresa di Palma

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zione tecnologica), organizzati da attori diversie soprattutto con relatori diversi ed internazio-nali come è successo tra il 27 febbraio e il 27marzo del 2009. Se poi si considera un periodopiù ampio, risulta anche una continuità neltempo del fenomeno e una capillarità piuttostosorprendente per una tematica che investe lascuola. La “stagione”, se così la vogliamo chia-mare, si è aperta a Bologna il 19 e 20 settembre2008 con «DoceBo»4, ed è tuttora in corso. L’im-pegno istituzionale è quello che più colpisce:dal 5 al 7 marzo a Torino, è l’Ufficio scolasticoregionale del Piemonte a organizzare il «Primoforum sul libro scolastico – LiberinTo»; il 26 e27 marzo a Bari è l’Ufficio scolastico regionaledella Puglia a patrocinare «Classroom anywhere– I Digital natives nell’Europa dell’Istruzione»; il15 aprile l’Ufficio scolastico regionale dell’Emi-lia Romagna approfondisce nel convegno «Do-ceBo Tech»5 le tematiche già trattate a settem-bre; dal 22 al 24 aprile si svolge a Trento il con-vegno «Didamatica 2009»6, un appuntamento dapiù di vent’anni organizzato dall’Aica7, che perla prima volta ha visto la partecipazione direttadel Miur e del Cnipa8; tra l’11 e il 14 maggiol’Ufficio scolastico regionale del Lazio, nell’am-bito del «Forum sulla Pubblica Amministrazio-ne» organizza insieme al Miur una serie nutritadi incontri sul tema dell’innovazione tecnologi-ca e la scuola9; il 20 maggio sarà l’Ufficio sco-lastico regionale della Lombardia a organizzareuna intensa giornata di studio intitolata «Web2.0: e-scuola, facciamo il punto»10. Inoltre, inconvegni organizzati da associazioni diverse, ilcoinvolgimento istituzionale è avvenuto attra-verso la partecipazione qualificata di relatori

come la presidente della Commissione Culturadella Camera, Valentina Aprea11, Giuseppe Co-sentino, capo dipartimento per l’Istruzione delMiur, Francesco De Sanctis, direttore dell’Usrdel Piemonte12, Sergio Cicatelli13, funzionariodel Ministero, e infine l’ispettore ministerialeAugusto Tarantino e Roberto Didoni14 dell’An-sas della Lombardia. Non può quindi essereconsiderato un fenomeno casuale ed episodico,un semplice “cavalcare l’onda trendy”, e per ca-pirne la logica è necessario correlare i temi trat-tati, emergenze globali, con i diversi interventiche stanno investendo la scuola italiana. L’innovazione tecnologica in atto è infatti un fe-nomeno globale che non può non coinvolgerela scuola sia dal punto di vista antropologico siada quello didattico e cognitivo. Sono sotto gli oc-chi di tutti i mutamenti che la diffusione non solodel web 2.0, ma anche di tutti i nuovi strumentitecnologici di comunicazione, stanno apportan-do nella vita quotidiana e soprattutto nei modidi vivere e comunicare di coloro che della scuolasono i veri protagonisti: gli studenti, ragazzi natidagli anni Novanta del Novecento in poi e nellacui esistenza il computer è un oggetto da semprepresente, come i frigoriferi lo sono stati per la ge-nerazione precedente15. Questo è stato il temacentrale di due convegni milanesi: «Nativi e im-migranti digitali»16 e «I nati digitali»17. Nel primo,preceduta dall’intervento di Geert Lovink18, èstata presentata – nel corso della prima giornata– la ricerca «La dieta mediale digitale degli stu-denti milanesi»19 condotta dall’OsservatorioNuovi Media dell’Università degli Studi di Mila-no Bicocca, attraverso focus group e interviste inprofondità, coinvolgendo 1186 studenti delle

cazione puntuale ditutti gli interventipresentati nei singoliconvegni, visto cheora ne è facilmentereperibile on linenon solo il program-ma, ma anche la regi-strazione integrale/parziale.4. Convegno orga-nizzato dall’Ufficioscolastico regionaledell’Emilia Romagnae dal Miur a Bologna.5. «Docebo Tech –Nuove tecnologie ascuola», convegno diapprofondimento or-ganizzato dall’Ufficioscolastico regionaleper l’Emilia Roma-gna, Bologna, 15aprile 2009.6. «Didamatica 2009– Informatica per ladidattica», convegnoorganizzato dall’Uni-versità degli Studi diTrento – Dipartimen-to di Informatica eStudi Aziendali – conla collaborazione delCnipa e del Miur (cfr.il sito http://services.economia.unitn.it/di-damatica2009/ per ilprogramma comple-to, la registrazionevideo e la presenta-zione di alcuni inter-venti).7. Associazione ita-liana per l’informati-ca e il calcolo auto-matico.8. Centro nazionaleper l’informatica nel-la pubblica ammini-strazione.9. Per l’elenco com-pleto, cfr.: http://www.lazio.istruzio-ne.it/allegati/2009/maggio/prot7555_09.zip10. «Web 2.0: e-scuo-la, facciamo il punto –Le nuove frontieretecnologiche e la

scuola», incontro or-ganizzato dall’Ufficioscolastico regionaledella Lombardia, Mi-lano, 20 maggio 2009.Come si legge nellalocandina si tratta «delprimo di un ciclo diquattro seminari diapprofondimento de-dicati al tema nuovefrontiere tecnologi-che a scuola».11.Che è intervenutasia al convegno «DaSocrate a Google» or-

ganizzato dall’Adi aBologna, sia a «Ungiorno di scuola nel2020», organizzatodalla FondazioneScuola della Compa-gnia di San Paolo aTorino.12. Al convegno «Ungiorno di scuola nel2020», organizzatodal la FondazioneScuola della Compa-gnia di San Paolo aTorino.13. Presente al con-

vegno «Gli E-Book ascuola: un’occasionedi innovazione», or-ganizzato da Gara-mond Editoria e For-mazione, a Roma.14.Entrambi interve-nuti al convegno «Inati digitali», organiz-zato da UniversitàStatale di Milano, No-va Multimedia, Aica eFast a Milano.15. Si tratta del cosid-detto «effetto frigo»(cfr. G. Lotito, Emi-

granti digitali. Origi-ni e futuro della so-cietà dell’informa-zione dal 3000 a.C.al 2025 d.C., BrunoMondadori, Milano2008).16. Convegno orga-nizzato dal Laborato-rio informatico disperimentazione pe-dagogica e dal grup-po di ricerca Nume-dia Bios dell’Univer-sità degli Studi di Mi-lano Bicocca, Milano,

6-7 novembre 2008(cfr.: http://www.nu-mediabios.eu/).17. Cfr. supra, nota 3.18. Autore di ZeroComments. Teoriacritica di Internet,pubblicato da BrunoMondadori (Milano,2008), uno deglisponsor del conve-gno.19. I cui risultati so-no visibili sul sitohttp://www.numdia-bios.eu/

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lauree triennali della Bicocca. Ciò che si evincedai dati raccolti è che dopo l’avvento di Interneti consumi culturali stanno cambiando e che so-prattutto gli old media sono utilizzati molto me-no di quelli nuovi, anche se non per tutti gli in-tervistati il rapporto con la tecnologia è lo stes-so20. Inoltre, mentre la lettura dei giornali, perquanto saltuaria nel corso della settimana, avvie-ne più utilizzando il giornale cartaceo che quelloon line, il 49,3% legge meno di 5 libri in un anno(e sono studenti universitari!) e il 68% di loro siconnette a Internet mediamente più di 5 ore allasettimana (ma il 25,6% lo fa per più di 20 ore).Sempre nel corso di questo convegno, ma il gior-no successivo, è stato presentato il libro di PaoloFerri e Susanna Mantovani, Digital Kids. Come ibambini usano i computer e come potrebberousarlo genitori e insegnanti21, frutto di un’altraricerca pluriennale (dal 2004 al 2008), condottadalla!Facoltà di Scienze della Formazione dell’U-niversità Milano Bicocca!in collaborazione conFondazione Ibm Italia su «Bambini e computer».Questa volta a essere analizzati sono stati i com-portamenti dei bambini di una fascia di età com-presa tra 0 e 6 anni, la cui familiarità con il com-puter ben si presta ad esperimenti di collabora-tive learning già dalla scuola dell’infanzia. Nelconvegno «I nati digitali» è stata invece presenta-ta l’inchiesta omonima coordinata dalla profes-soressa Eleonora Baldi tra 500 studenti di un li-ceo scientifico bergamasco22, molto interessanteper la metodologia adottata sia nella raccolta chenella archiviazione dei dati23. Derrick DeKerckhove, noto massmediologo allievo di Mar-shall McLuhan, nell’intervento di apertura delconvegno, dopo aver delineato i comportamentiche sembrano caratterizzare i giovani, ha anchericordato come non ci sia concordanza sulla de-finizione di «nativi digitali», che per alcuni studio-si rischia di nascondere sotto un’etichetta comu-ne una pluralità di situazioni economiche e cul-turali che fanno sì che sussista un certo grado didigital divide all’interno della stessa generazio-ne e non solo tra generazioni successive. Sempresul tema delle nuove modalità di fruizione cul-turale, Giovanni Peresson dell’Associazione ita-

liana editori, ha presentato, nell’ambito del con-vegno «LiberinTo»24, i dati di un’altra inchiestacondotta dall’Aie da cui risulta che, se è vero chegli studenti sono forti fruitori di Internet, esisteuna correlazione stretta tra capacità di lettura econnessione informatica: coloro che si connet-tono per più tempo sono anche coloro che leg-gono di più. Inoltre, emerge sia da questa inchie-sta sia da quella della professoressa Baldi che lamaggior parte dei ragazzi consultati continua aritenere il libro lo strumento più adatto allo stu-dio, mentre Internet è utilizzato più come canaledi informazione e di comunicazione.

Come usare le nuove tecnologie?

Ecco quindi emergere un secondo temaricorrente in questa “stagione dei con-vegni”: quello di come le nuove tecno-logie possono essere utilizzate in clas-se. Anche questo è un tema globale:

non c’è paese, per quanto povero e martoriato,che non si stia ponendo il problema di comesfruttare al meglio le potenzialità che le nuovetecnologie forniscono per migliorare il livello diistruzione. Molto apprezzato in questo senso èstato l’intervento di Sugata Mitra al convegno«Un giorno di scuola nel 2020»25, nel corso delquale sono stati illustrati gli esperimenti da luicondotti in tutta l’India (ma soprattutto nei vil-laggi più poveri e isolati), ma anche in Gran Bre-tagna, sulla facilità con cui bambini e ragazzi im-parano a usare il computer, a capirne il linguag-gio e ad apprendere dei contenuti anche in unalingua diversa da quella parlata, in assenza di uninsegnante, a patto però di lavorare in gruppo,scambiandosi informazioni e consigli. La tecno-logia da sola non basta: Timothy J. Magner26 nelcorso dello stesso convegno ha illustrato il “pa-radosso della produttività” secondo il quale ne-gli Stati Uniti, negli anni Novanta del Novecento,a fronte di un investimento di milioni di dollariin computer, la produttività delle aziende è rima-sta “piatta”. Certamente quindi, accanto ai tantosbandierati e-book nella scuola è necessario unmodello complessivo sia di e-learning, sia di e-

20. Sono state infattiindividuate tre cate-gorie di utenti: i «crea-tivi tecnologici», i «po-co connessi» e quelli«meno attivi dellenuove tecnologie» (lamaggioranza).21. Etas, Milano2008.22. I cui risultati sipossono leggere in-tegralmente on lineall’indirizzo http://www.nova-multime-dia.it/index.php?op-tion=com_content&task=view&id=91&Itemid=11823. I ragazzi doveva-no rispondere a delledomande, alla cuiformulazione essistessi avevano colla-borato, utilizzandopreferibilmente un

linguaggio iconico –fotografie, ma anchefilmati o tratti dallarete o, meglio ancora,autoprodotti.

24. Cfr. supra, nota 3.25. Per chi volessevedere la videoregi-strazione dell’interointervento: http://

www.fondazione-scuola.it/magnolia-Public/iniziative/convegno-26-27marzo/Sugata-Mitra/video-

2.html26. La sua presenta-zione in Power Pointè visibile all’indiriz-zo: http://www.fon-

dazionescuola.it/ma-gnoliaPublic/iniziati-ve/convegno-26-27marzo/Timothy-Ma-gner/Magner-en.html

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teaching: l’e-book per funzionare ha bisogno diun progetto di e-school, come ha sostenuto An-tonello Busetto27, dirigente dei Servizi innovativie tecnologici di Confindustria al convegno «GliE-Book a scuola: un’occasione di innovazione».

La situazione italiana

Se questo è un fenomeno mondiale, co-me viene affrontato dalla scuola italiana?La Finanziaria approvata ad agosto del2008 comprendeva un articolo di cuinon si è parlato molto subito28: l’art. 15

della legge 133/2008, relativo ai libri di testo, cheha poi avuto regolare esecuzione con la C.M.16/2009 sulle adozioni dei libri di testo, a cui èstato dato da tutti gli organi di stampa un risaltomaggiore. In esso si stabilisce che entro l’annoscolastico 2011/2012 tutti i libri di testo dovran-no essere in versione totalmente o parzialmenteon line e scaricabili dalla rete. Si tratta di una nor-ma di legge unica nel panorama internazionale,anche se per noi non è nuova: già nel 2004 infattilo stesso ministro dell’Economia di oggi, GiulioTremonti, aveva tentato di proporre una similenormativa29, ma allora le proteste, soprattutto daparte del mondo dell’editoria, erano state tali dabloccarne l’approvazione. Cosa è cambiato og-gi? Evidentemente in questi cinque anni il pro-cesso, quasi come un fiume carsico, è proseguitoin modo sotterraneo e poco evidente, per ricom-parire in superficie oggi, con questa serie inin-terrotta di convegni e conferenze. Viene ovvia-mente da chiedersi: perché proprio ora? Molti edi diverso tipo sono i processi che convergonoa questa congiuntura: alcuni sono chiari ed evi-denti, altri al momento molto meno leggibili, equindi non è semplice rispondere alla domanda.Oltre al citato art. 15 della legge 133/2008, altri

due provvedimenti riguardanti l’innovazione so-no stati presi dal governo. Il primo, più generale,è il piano «E-government 2012» che coinvolgetutta la pubblica amministrazione, ma che dedi-ca alla scuola ben cinque progetti30; il secondoè il piano dell’Indire per la diffusione nelle scuo-le secondarie di primo grado delle Lavagne inte-rattive multimediali (Lim)31, «superfici interattivecollegate a un computer che, anche attraversoun proiettore integrato e un campione di conte-nuti didattici digitali, consentono di portare nelladidattica di tutti i giorni i linguaggi digitali»32. Seper l’introduzione delle Lim siamo in fase di at-tuazione33, è più difficile prevedere quanto delpiano di e-government potrà essere effettiva-mente attuato nei tempi illustrati in conferenzastampa, visto che il fabbisogno per la sua realiz-zazione ammonta a 241 milioni di euro, mentrele attuali disponibilità sono di soli 37 milioni34.Già nel 2004 vi era stato un primo progetto pilotache aveva visto entrare in 680 aule di informaticadi altrettanti istituti scolastici della Lombardiadelle Lim (già da quasi un decennio in uso nelmondo anglosassone), ma solo da poco sononoti i risultati di tale sperimentazione, sia in ter-mini di utilizzo, sia di efficacia didattica35. Certa-mente, rispetto ad allora, il progetto attuale èmolto più accurato sia perché impone che tali la-vagne non siano relegate al laboratorio di infor-matica, ma messe nelle classi di quei docenti(non solo di tecnologia ed informatica) che si so-no dichiarati disponibili a seguire una formazio-ne specifica per il loro utilizzo, sia perché è in at-to una campagna di informazione quasi capilla-re, e tutti questi convegni non fanno altro cheamplificarla, proprio per invitare i docenti a far-ne un uso diffuso nella pratica didattica. Nel suointervento in apertura del convegno «LiberinTo»

27. La videoregistra-zione del suo inter-vento è visibile all’in-dirizzo: http://www.garamond.it/files/Vi-deo/convegno_ebook_marzo09/convebook_v04.html28. Conteneva anchealtri articoli che han-no fatto non poco di-scutere sulle sortidella scuola italiana enon solo.29. Cfr. in propositoL.M. Reale, In aulacon l’E-book: una ri-voluzione italiana,2004, in http://www.simonel.com/ebook/ebook05.html30. Presentato dalpresidente del Consi-glio e dal ministroBrunetta il 21 gen-naio 2009, compren-de i seguenti progetti:«Scuole in rete» perrendere disponibile ilcollegamento Inter-net a banda larga atutte le sedi e classidelle istituzioni scola-stiche; «Didattica di-gitale» per introdurrecontenuti digitali e li-bri on line nella didat-tica, rendendo dispo-nibile alle scuole unapiattaforma tecnolo-gica per l’offerta dicontenuti degli edito-ri e per lo sviluppo ela condivisione dicontenuti gratuiti daparte dei docenti, mi-gliorare la dotazionetecnologica dellescuole e diffonderel’adozione dellascuola a distanza perstudenti ospedalizza-ti: «Nella scuola unodegli obiettivi è dota-re 10.500 istituti di al-meno tre aule infor-

matizzate con lava-gne digitali interatti-ve e personal compu-ter» (R. Brunetta,2012: al via l’era di-gitale, in «Media Due-mila», XXVII, 2, mar-zo 2009, pp. 6-7, p. 6);«Servizi scuola-fami-glia via Web»; «Ana-grafe scolastica na-zionale»; «Compagnodi classe» per dotareogni studente dellascuola primaria di un

computer a lui dedi-cato come strumentodidattico (cfr. sito conpdf).31. Annunciato inuna conferenza stam-pa congiunta dei mi-nistri Gelmini, Bru-netta e Tremonti, il 2ottobre 2008, ma ilbando per l’acquisi-zione di 8000 Lim eracomparso sulla G.U.dell’Unione Europeail 20.6.2008 (n. S118).

32. Traggo la defini-zione da un’intervi-sta al direttore gene-rale dell’Indire, Gio-vanni Biondi (Anco-ra poca la tecnologiatra i banchi? «No, il li-mite è nei comporta-menti», in «MediaDuemila», XXVII, 2,marzo 2009, pp. 16-19, p. 16).33. Proprio in questigiorni sta per iniziareil corso di formazione

dei tutor che dovran-no seguire da settem-bre la sperimentazio-ne nelle scuole.34. I dati sono fornitinello stesso docu-mento di presenta-zione del piano.35. A partire dall’a.s.2006/2007 c’è stataun’azione di monito-raggio condotta dal -l’équipe del! Cremit(Centro di ricerca sul-l’educazione ai me -

dia, all’informazionee alla tecnologia del -l’Università Cattolicadi Milano, www.cre-mit.it) coordinata daPier Cesare Rivoltel-la, in merito alla fasedi sperimentazionedel progetto Digi-scuola. Per una sinte-si del report effettua-to nel luglio 2008 cfr.:http:// www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1566

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Giovanni Biondi, direttore dell’Indire, ha defini-to le Lim come una specie di cavallo di Troia perfar entrare finalmente l’informatica nella scuolaitaliana, non come materia a sé stante, ma comeperno centrale di un adeguamento metodologi-co della scuola alle esigenze di una società chenon è più quella fordista, per la quale tutti gli in-dividui dovevano produrre in serie e quindi im-parare in serie, in cui il modello di scuola si fon-dava solo sulla trasmissione unidirezionale delsapere, ma la società dell’informazione in cui ciòche conta è la capacità di ognuno, la creatività,la competenza individuale di problem solving.Inoltre la maestra Paola Limone – a nome dellaaffiatata équipe che ci ha lavorato – ha presen-tato in diversi convegni36 il progetto «Un compu-ter per ogni studente» attuato in due scuole ele-mentari piemontesi. Si tratta di un’esperienzaimportante, non solo perché sta sperimentandol’uso in classe, accanto agli strumenti tradiziona-li, di un computer leggero e portatile che i bam-bini utilizzano sia a casa che a scuola, ma ancheperché dietro di essa c’è un lavoro di più di unanno di docenti e studenti di scuole diverse: unaéquipe di docenti esperti si è occupata sia di sce-gliere un migliaio tra i numerosi siti didattici chefossero rispondenti alle finalità del progetto eche fossero sicuri per i bambini e soprattutto perle famiglie, sia di progettare un settaggio funzio-nale; il lavoro di configurazione e di collaudo deicomputer è stato invece fatto dagli studenti diuna classe 4a di informatica di un Itis presentesul territorio. Per la condivisione dell’esperienzae la sua diffusione, il quotidiano «La stampa» hamesso a disposizione un blog37 che aggiorna intempo reale sul percorso che si va compiendo38.

I manuali di carta

Non è quindi del tutto casuale che pro-prio nel mese di marzo, un mesestrategico per l’inizio della campa-gna di acquisizione delle Lim e so-prattutto per le adozioni dei libri di

testo, siano stati organizzati tanti convegni. Il di-battito sui libri di testo e sulle conseguenze della

C.M. 16/2009, è stato ripreso più volte e da di-versi punti di vista: a discutere sui risultati dellainchiesta sugli universitari milanesi è stato chia-mato Sergio Saviori, direttore editoriale di Mon-dadori Education, a commentare quelli dell’in-chiesta sui liceali bergamaschi Spiro Coutsoucosdella RCS e al convegno «I nati digitali» il dibattitosi è acceso con l’intervento di Paolo Liguori sullaquestione della “gratuità” di Internet e sul dirittod’autore: due questioni centrali, visto che il librodi testo è anche il prodotto di un’industria priva-ta e non è ancora considerato un servizio socia-le. In proposito, nel corso della tavola rotondadedicata all’editoria del convegno «LiberinTo»(purtroppo tenuta a tarda ora) Marco Griffa dellaLoescher ha proiettato un bel video39 curato dal-la casa editrice D’Anna in cui viene mostrato ilcomplesso processo produttivo di un libro di te-sto; gli altri editori partecipanti40 al dibattito sisono soffermati sul problema della percezionedel costo dei libri di testo in rapporto a quellodella perdita di importanza della scuola nellepriorità sociali; infine la professoressa Ethel Ser-ravalle, dell’Aie, ha sottolineato la funzione chegli editori, con la loro competenza non solo ti-pografica, ma anche disciplinare e didattica,hanno svolto in questi anni di continue riformeche hanno spesso lasciato disorientati gli opera-tori del settore. Se era ovvio che a discutere di innovazione edidattica fossero tecnologi ed editori, è menoovvio che si sia dato poco spazio alle questionipiù legate all’apprendimento e soprattutto alledidattiche disciplinari. Pochissimi gli esperti in-vitati a parlare: Roberto Cubelli41, al convegno«Da Socrate a Google», ha incentrato il propriointervento sui meccanismi della memoria42; nelcorso del convegno «LiberinTo» BeniaminoBrocca43 ha difeso il ruolo dei pedagogisti nellascuola e soprattutto ha messo in evidenza lostretto rapporto che intercorre tra educazione eistruzione. Cinque i temi toccati dalla relazionedi Marcel Crahay44, che ha aperto il convegnointernazionale «Un giorno di scuola nel 2020»45:partendo dalla domanda se sia possibile l’ap-

36. Sia a «Da Socratea Google» (il testo incui viene dettagliata-mente spiegato il pro-getto si può leggereall’indirizzo: http://ospitiweb.indire.it/adi/SemFeb2009_at-ti/sa9_frame.htm), sia a «LiberinTo».37. Cfr. il sito delquotidiano «La stam-pa» alla pagina: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplru-briche/unpcperogni -studente/hrubrica.asp?ID_blog=237 38. Sono in atto in di-verse scuole progettidifferenti di speri-mentazione di uso delcomputer individualein aula, ma in un soloconvegno («Da Socra-te a Google») si è fattocenno a quella chestava per partire aBrescia utilizzando lemacchine XO conce-pite da Nicholas Ne-groponte del Mit,nell’ambito del pro-getto «One Laptopone Child», illustratoanche nella relazionedi Paola Limone (cfr.supra, nota 36).39. Come nasce il tuolibro di scuola, visibi-

le all’indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=kJ62kdSAF_A40. Della Sei e dellaLattes.

41. Professore di Psi-cologia generale,Università di Trento.42. Si può trovarne lasintesi nel sito dell’A-di (http://ospitiweb.

indire.it/adi/).43. Professore di Pe-dagogia, Universitàdi Bolzano.44. Professore di Psi-cologia dello svilup-

po, Università di Gi-nevra.45. Ora leggibile sulsito della Fondazioneper la Scuola dellaCompagnia di San

Paolo, alla pagina:http://www.fondazio nescuola.it/magnoliaPublic/iniziative/convegno-26-27marzo/Marcel-Crahay.html

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prendere, se – nell’apprendimento scolastico –sia meglio partire dal semplice o dal comples-so, ha trattato il tema delle difficoltà nell’inve-stigazione del rapporto tra apprendimento e in-segnamento per arrivare a collegare la defini-zione di insegnamento efficace a quella deicompiti prioritari della scuola, e a rilevare comeoggi sarebbe necessario fare un nuovo pro-gramma di ricerca su come l’insegnamento pos-sa contribuire all’apprendimento. Molto piùbreve la risposta di Pietro Boscolo46, che si èsoffermato sull’ambiguità insita nel concetto diapprendimento inteso sia come acquisizione,sia come acculturazione. Temi di indubbio in-teresse, che però poco si sono soffermati sulrapporto tra apprendimento ed innovazionetecnologica nella scuola. Di ciò si è invece oc-cupata la relazione al convegno «Da Socrate aGoogle» di Francesc Pedró47, nel corso dellaquale è stata esposta una sintesi dei dati OcsePisa sui consumi mediatici degli studenti, anchese, allo stato attuale delle ricerche, non è pos-sibile dare una risposta univoca alla domandase la tecnologia abbia effetti sullo sviluppo del-le conoscenze e sul rendimento scolastico. Perora si possono fare solo delle correlazioni, chequindi non delineano rapporti di causalità:dall’analisi dei dati risulta che sono incremen-tate le abilità visivo-spaziali e l’intelligenza nonverbale. Allo stesso tempo non c’è una vera evi-denza di miglioramenti nei rendimenti; i datisono “strani”, contraddittori: se la tecnologia èutilizzata a scuola non emergono miglioramen-ti, mentre se è utilizzata a casa i risultati miglio-rano soprattutto nelle abilità matematiche; inol-tre più tempo è dedicato ai videogames, più mi-gliorano i risultati in scienze. Insomma la stradada fare a livello di ricerca sulle ricadute cogni-tive dell’uso delle nuove tecnologie è ancoramolta, anche perché non sembra essere suffi-ciente la categorizzazione dei ragazzi con menodi 25 anni come «digital natives». Per quanto ri-guarda l’Italia, una delle rare ricerche sperimen-tali sul problema è il già citato lavoro48 sull’usodelle Lim e i meccanismi di apprendimento,

coordinato da Pier Cesare Rivoltella49. Molto in-teressante quindi il suo intervento, che ha aper-to il convegno «Didamatica 2009»50, nel corsodel quale ha posto il problema del rapporto trametodologie didattiche e introduzione delletecnologie, rilevando come non ci sia automa-tismo tra innovazione metodologica e innova-zione tecnologica, anche se per sfruttare appie-no le potenzialità di quest’ultima, la didatticadovrebbe essere centrata sul fare (learning bydoing) e sul collaborare (collaborative learninge didattica metacognitiva). Sembrerebbe undialogo a distanza con l’intervento fatto un me-se prima al convegno «Gli E-book a scuola:un’occasione di innovazione» da Andrea Gra-nelli51: poiché nella storia raramente la compar-sa di un nuovo medium ha eliminato quelli pre-cedenti, piuttosto ne ha ampliato non solo ilnumero ma anche le funzioni, ciò che oggi bi-sognerebbe fare è capire quali strumenti ri-spondano meglio ai diversi e complessi (e nonancora del tutto esplorati) meccanismi di ap-prendimento, valutando bene i pro e i controdi ciascuno in rapporto alle finalità che si vo-gliono raggiungere. In tutto ciò, grandi assenti sono stati i contenutida insegnare e le didattiche disciplinari. Solonel corso del convegno «LiberinTo» un momen-to specifico di discussione è stato riservato ai li-bri di testo di storia: una tavola rotonda dal ti-tolo «Libri di storia. Poche o troppe storie? Equali?», alla quale sono stati chiamati a parteci-pare, oltre al prorettore dell’Università degliStudi di Torino – docente di storia antica – Ser-gio Roda, Giuseppe Recuperati, docente di Sto-ria moderna, e Mario Trombino, Fabio Cioffi eAntonio D’Itollo, autori di libri di testo di caseeditrici torinesi. Il dibattito si è concentrato sulproblema della vastità della materia, su cosa si-gnifichi insegnarla e sulle difficoltà presenti neldelinearne un canone. Senza parlare poi della«impossibilità di orientarsi nel mare infinito diquestioni, immagini, conoscenze, notizie checaratterizza la nostra società cognitiva», comeaveva scritto Antonio Brusa52: la ricchezza di

46. Professore di Psi-cologia dell’educa-zione, Università diPadova.47. Uno dei respon-sabili del progetto«New MillenniumLearners» del Centrefor Educational Re-search and Innova-tion (Ceri) dell’Ocse.Per vedere la presen-tazione in PowerPoint cfr.: http://www.oecd.org/LongAbstract/0,3425,en_2649_35845581_405

19438_1_1_1_1,00.html48. Cfr. supra, nota35.49. Docente di Meto-di e tecniche delle in-

terazioni educativedell’Università Catto-lica di Milano.50. Per la presenta-zione in Power Pointcfr.: http://services.

economia.unitn.it/didamatica2009/pro-gram ma.html51. Co-fondatore diKanso, società di con-sulenza che si occu-

pa di innovazione ecustomer experience.Una registrazione vi-deo si trova all’indi-rizzo: http://www. ga-ramond.it/files/Vi-

deo/convegno_ebook_marzo09/conve-book_v04.html52. A. Brusa, Edito-riale, in «Mundus»,2008, 1, pp. 6-9, p. 6.

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documentazioni di ogni tipo che il web forniscerende ancora più pressante questa problemati-ca che da tempo si dibatte, ma nessuno degliinterventi ha preso in considerazione l’argo-mento, nonostante il convegno vertesse sul rap-porto tra innovazione tecnologica e libri di te-sto. Nessuno, ad esempio, ha accennato alleproposte di utilizzo delle simulazioni informa-tiche53, dei videogames come nuove frontieredella didattica della storia; nessun accenno acome nei libri di testo in modalità on line po-tranno essere creati link molteplici alla docu-mentazione abbondante e soprattutto nessunoche sia intervenuto su come gli insegnanti pos-sano farne un buon uso; oppure su come l’a-pertura al mare magnum di Internet ponga sot-to una luce nuova il problema dell’affidabilità,del falso storico, dell’opinione contrabbandataper fatto. Alla geografia e al suo insegnamentosi potrebbe dire che sia andata ancora peggio,visto che nessun dibattito le è stato dedicato,anche se spesso Google Earth è stato citato persottolineare quanto le risorse informatiche pos-sano venire in aiuto nell’insegnamento della di-sciplina, quanto lo semplifichino. Un ritornopericoloso alla banalizzazione, a una pretesa dioggettività per una rappresentazione cartogra-fica, ma anche al trattamento di questa discipli-na come una lingua morta, da cui poco di nuo-vo si può distillare. Come se non fosse mai esi-stito Yves Lacoste con la sua critica, come se Le

metafore della Terra non fossero mai state ana-lizzate, come se dopo il positivismo non ci fos-se più stata ricerca geografica, perché ormai laTerra era stata descritta. Come ha notato il pro-fessor Dematteis in un altro recente convegno54

non dedicato alla scuola, ma molto interessanteper le possibili implicazioni didattiche, «la car-tografia va molto avanti, mentre i geografi sonoindietro nello studio di ciò che sta accadendonella cartografia». Non è un problema della solageografia, ma potrebbe essere riferito a tutti icampi e non solo del sapere; un problema co-stante nel rapporto tra innovazione, ricerca, di-vulgazione e scuola che oggi sembra essere po-sto con maggiore forza solo perché lo stiamovivendo, ma che ha accompagnato il camminodella scienza e della conoscenza, forse solo conuna velocità diversa. Concludo con una citazio-ne, anche questa, come quella iniziale, di origi-ne incerta: «In tanti hanno predetto l’invenzionedell’automobile, ma nessuno di questi si è maiposto il problema del parcheggio»55.

53. Come quelle pro-poste al convegno«Da Socrate a Google»da Domenico Parisiche non è uno stori-co, ma direttore di ri-cerca all’Istituto diScienze e tecnologie

della cognizione delCnr di Roma e che daanni lavora alla lorocreazione (cfr. http://ospitiweb.indire.it/adi/SemFeb2009_atti/DParisi/sa9D_frame_dir.htm).

54. «Le sfide cartogra-fiche: movimento,par tecipazione, ri-schio», organizzatoda Università degliStudi di Bergamo,Université Laval Qué-bec, École Polytech-

nique Fédérale deLausanne, Bergamo,23-24 aprile 2009.55. La citazione ètratta dal sito: www.aristarcodisamo.it/documents/ipse/IA/1967predizioni.pdf, in

cui è riprodotto il te-sto (I. Asimov, Predi-zioni e anti-predizio-ni, trad. it. di M. Galli,A. Mondadori, Mila-no 1975), ma senza irelativi numeri di pa-gina.

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Bibliografia

! Toffler, A. (1980), The Third Wave. New York:Morrow.

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rezione del prof. Fabio Donato3 e della dott.ssaAnna Maria Visser4, che esalta i loro profili e leloro competenze, permettendo una sintesi tra leistituzioni dell’economia e quelle umanistiche.Certamente i temi del management e della gover-nance per le istituzioni e organizzazioni culturalirestano il fulcro del corso. Anche la scelta inter-disciplinare (oltre alla facoltà di Economia sonocoinvolte anche quelle di Lettere, Scienze e Ar-chitettura), la connessione con il mondo profes-sionale (principalmente con la partecipazionedell’ANMLI), l’analisi delle esperienze di diversetipologie di musei (da quelli di arte a quelli storicie scientifici) e la propensione per un confrontocon le esperienze internazionali raccontate dailoro protagonisti, hanno dimostrato e dimostra-no una volontà dialettica che abbatte qualsiasitentazione di autoreferenzialità. Un mix di lezionifrontali, tavole rotonde e osservazione critica dialcuni casi di studio sono un trend collaudato evincente che piace sia ai corsisti inseriti nel set-tore sia agli aspiranti professionisti culturali. I fre-quentanti sono impegnati nell’elaborazione diun project work, prima, e di una tesi che concludeil percorso formativo. Il corso non vuole fare della cultura un’indu-stria commerciale, ma punta al raggiungimentodella sua autosufficienza. Il successo del MuSeC è anche comprovato dalconseguimento nel 2006 del prestigioso “Pre-mio Venezia alla Comunicazione”.

1. La sua prima edi-zione risale al 2003.2. I settori disciplina-ri interessati dal corsosono pertanto vari especulari tra loro:economia della cultu-ra, dello sviluppo e si-stemi di finanziamen-to; strategie aziendali

e sistemi di manage-ment; Contabilità ebilancio; sistemi dimisurazione delleperformance e scelteorganizzative; formegiuridiche e implica-zioni gestionali; mu-seologia, museogra-fia e museotecnica;

parchi, musei natura-listici e museografiascientifica; progetta-zione e gestionedell’attività musealeed espositiva; archi-tetture museali, stra-tegie di sviluppo e ri-qualificazione urba-na; nuove tecnologie

per la comunicazionee la documentazione;confronto con siste-mi istituzionali e nor-mativi stranieri nelsettore culturale. Permaggiori info si ri-manda al sito del Mu-SeC http://www.mu-sec.it/

3. Docente di Econo-mia delle aziendeculturali e ordinariodi Economia azien-dale presso la facoltàdi Economia dell’U-niversità di Ferrara.4. Presidente del-l’ANMLI (Associazio-ne Nazionale dei Mu-

sei Locali e Istituzio-nali), membro del di-rettivo dell’ICOM Ita-lia e docente di Ge-stione e organizza-zione dei musei pres-so la facoltà di Eco-nomia di Ferrara.

MuSeC: un’economia della cultura è possibile

Raffaella Rosa Ardito

Il MuSeC, il Corso di perfezionamento inEconomia e Management dei Musei e deiServizi Culturali dell’Università di Ferrara,giunto alla sua settima edizione1, si propo-ne di integrare le discipline “classiche” del

mondo culturale con quelle economiche e ma-nageriali per formare professionisti che operinoo si inseriscano nel settore con maggiore con-sapevolezza2. Il bisogno a cui risponde il corsoè reale e avvertito nell’ambiente museale: puòun operatore culturale e dei servizi educativi di-sporre solo di una formazione scientifica e spe-cialistica e non conoscere i fondamenti delle di-scipline economico-aziendali con le quali ordi-nariamente si trova a trattare? Se analizziamo ilpanorama museale italiano appaiono evidentigli insuccessi causati dalla scarsa presenza di fi-gure professionali che possano vantare una for-mazione organica. Lo sviluppo e il progressodei servizi culturali possono avvenire solo attra-verso operatori che sappiano organizzare e ge-stire in modo competente e coniugare strategi-camente, efficacemente ed efficientemente lacultura con la sua economia. Una visione com-plessiva dei problemi e una conoscenza ade-guata delle esperienze e dei progetti innovativi,anche a livello internazionale, poi, è d’obbligo.Questo è, dunque, l’impegno del MuSeC. L’offer-ta formativa, strutturata in moduli, si presentamolteplice e completa grazie alle scelte organiz-zative. Prima fra tutte la preferenza per una codi-

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ImmaginAfricaSilvia Failli

Come funziona e quali sono iproblemi di uno dei più antichimaster in Studi interculturali

Nel contesto dell’Università di Padova,nell’ambito della Facoltà di Lettere eFilosofia, sotto l’amministrazione delDipartimento di Storia, nel 1999 èstato istituito il Master in Studi Inter-

culturali, giunto oggi alla sua decima edizione1.L’iniziativa, al suo sorgere, ha raccolto un’esi-genza che stava maturando in un contesto socia-le in evidente trasformazione: la presenza di unsignificativo numero di immigrati provenientidalle diverse parti del mondo era ormai divenutasfondo costante dello scenario territoriale italia-no e questo faceva sorgere specifiche necessità.In virtù di questa considerazione, sulla scia del-l’idea che questa variegata presenza potesserappresentare non solo e non tanto un proble-ma, quanto un’opportunità da perseguire, si è ri-tenuto utile dare avvio ad un percorso di forma-zione/ricerca che, pur facendo perno sulle di-verse aree di studio consolidatesi in ambito ac-cademico, non ne ricalcasse sic et simpliciter ledistinzioni disciplinari ed i percorsi curricolari ecercasse di promuovere stili di riflessione ade-guati a declinarsi in pratiche interculturali. L’articolazione del Master ha così preso la formadi un intreccio di saperi organizzati in quattro

grandi aree (Teorie e modelli dell’intercultura,Aree culturali e flussi delle migrazioni, Cittadi-nanza e territorio, Integrazione linguistica) lequali, se da una parte intendono delineare lecoordinate di orientamento entro cui pensare lapratica (definendo la cornice concettuale dell’in-terculturalità ed intersecando gli ambiti della fi-losofia, delle letterature, delle religioni, così co-me i campi dell’educazione e della giurispru-denza), dall’altra forniscono specifiche informa-zioni relative alle diverse aree (mondo islamico,Africa, Estremo Oriente, America latina, Europaorientale) anche attraverso una presa di contattocon alcune specificità linguistiche (arabo, cine-se, igbo). Nel percorso di formazione è, inoltre,inserito un periodo di stage che costituisce l’oc-casione per una messa alla prova operativa deipresupposti teorici forniti nella didattica fronta-le. Tale attività, della durata minima di 200 ore,può essere svolta dagli studenti sia in struttureesterne all’Università (in Italia o all’estero), sia incontesto universitario e nell’ambito dello stessoMaster. Fra le alternative offerte, viene fornita lapossibilità di effettuare uno stage o di realizzareun’attività di project work in riferimento al pro-getto ImmaginAfrica (anch’esso promosso dalDipartimento di Storia), sorto in stretta relazionecon l’insegnamento di Educazione Intercultura-le presente nell’ambito del Master stesso.

Il progetto veicola, a partire dal suo stesso nome,l’intento di promuovere la conoscenza del mon-do africano, ma anche – soprattutto – di sollecita-re una più articolata riflessione su sé stessi (sulproprio essere culturalmente connotati), nellaprospettiva e nel contesto di un dialogo intercul-turale. Grazie alla relazione con le forme espres-sive proprie delle diverse culture, infatti, se da unaparte è plausibile conseguire un allargamentodella conoscenza in direzione dell’alterità, si ren-de anche possibile il perseguimento di una diver-sa consapevolezza, poiché è proprio nel confron-to delle posizioni che ciò che prima restava inos-servato può emergere all’evidenza. Lo stesso termine “immagine”, utilizzato per la de-nominazione ImmaginAfrica, racchiude al pro-prio interno una multiformità di significati. Ciò a

1. Un primo nucleoideativo di questa at-tività, centrato sullepossibilità di utilizza-zione della cinemato-grafia africana per ladidattica intercultu-rale della storia, èpresentato nel Labo-ratorio di questo nu-mero. Per le iscrizio-ni: http://www.lette-re.unipd.it/media-zione/

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cui la parola allude sono le immagini nel senso let-terale del termine (non a caso, attorno alla cine-matografia ruota uno dei principali fulcri dell’atti-vità progettuale), ma il termine viene inteso anchein modo figurato: in senso lato “immagini” sono lestesse idee (ciò che guardiamo con gli occhi dellamente), quindi, estensivamente, tutte le diverseforme di rappresentazione che ci facciamo/abbia-mo del mondo, anche indipendentemente dall’e-sperienza sensibile e visiva in particolare.Una delle questioni di fondo del progetto concer-ne, allora, “come noi immaginiamo l’Africa” (qua-le idea ne abbiamo). Partendo dalla considerazio-ne che le rappresentazioni del mondo africanotendono generalmente ad appiattirlo in una di-mensione di povertà/miseria, di malattia e degra-do che sollecita l’idea di un bisogno di aiuto a ca-rattere unidirezionale, o, in alternativa, di un luo-

go di “primitività” che, proprio in quanto tale, è ri-tenuto idoneo a far riemergere l’umanità smarri-tasi nel mondo della tecnica, il progetto cerca dioperare in direzione di una “moltiplicazione delleimmagini”. Lavorando con la cinematografia afri-cana, ad esempio, non si tratterà tanto di corro-borare quanto già ci sembra di sapere, in collu-sione con l’immaginario comune, quanto di intra-prendere una direzione di scoperta che risulteràtanto più stimolante quanto più ci consentirà dientrare in contatto con le diverse forme di alteritàdi cui il continente africano è portatore. Nell’in-tento di rendere effettiva una vera e propria formadi dialogo interculturale, sarà inoltre importanteche questa messa in relazione venga effettuata inmodo da valorizzare i caratteri dell’alterità. Saràfondamentale, quindi, che, già a partire dalla scel-ta dei film da proporre in sala (al pubblico adultoo alle scolaresche), accanto alla tematica trattataanche la qualità espressiva del prodotto venga va-lorizzata, poiché – dobbiamo ricordarlo – un verodialogo si effettua a condizione che venga rico-nosciuta pari dignità agli interlocutori. È impor-tante, quindi, che il messaggio subliminale veico-lato (come avviene frequentemente laddove sipropongono pellicole di scarsa qualità) non rical-chi sempre di nuovo la consueta idea della po-vertà/primitività di mezzi/espressioni, ma rendaevidente la presenza di una complessità di parigrado, seppure di diverso carattere. La questione, se da un lato ha a che fare con la“realtà” del continente africano (sempre più com-plessa di quanto le immagini veicolate dai massmedia diano modo di pensare), dall’altro, comeaccennavamo sopra, riguarda anche l’idea chenoi abbiamo di noi stessi (poiché le immagininon prendono forma in un assoluto, ma semprenel contesto di una dinamica interpretativa, in uncontinuo gioco di rimandi e comparazioni). Unaquestione ulteriore è quindi quella del diversogrado di conoscenza che è possibile acquisire dinoi stessi attraverso l’esposizione a mondi altri,cioè dell’immagine (idea) di noi che, attraversoquesto confronto, prende (altra) forma. La chiavedi approccio è interculturale in quanto la prospet-tiva da cui muove il progetto – e che al contempocerca di promuovere – non intende chiudere nel-la fissità di un punto di vista, ma renderlo eviden-te nel suo agire, problematizzarlo, sottoporlo apossibilità alternative di articolazione in una pro-spettiva dialogica. Lo sguardo che rivolgiamo anoi stessi, in quanto mediato attraverso lo sguar-

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Silvia FailliImmaginAfrica

do dell’altro, può consentirci, a determinate con-dizioni, di intraprendere questo percorso in dive-nire, poiché attraverso un diverso modo di posi-zionarsi nella dinamica interpretativa cambia an-che la nostra stessa fisionomia.

È in questo sfondo di problematicità che Immagi-nAfrica formula le proprie proposte. La fisiono-mia del progetto cambia di anno in anno in con-siderazione di una serie di variabili legate allarealtà territoriale ed alla fisionomia stessa deglistudenti che vi collaborano. Dal 2005, anno dellasua prima edizione, è sempre rimasto presente ilsettore legato alla cinematografia, mentre dal 2006si è aggiunta la collaborazione con le associazionidi africani presenti sul territorio che, di anno in an-no, ci consente di definire e sviluppare delle atti-vità di interesse comune; nel 2007 e 2008 sono statirealizzati incontri con scrittori migranti ed un per-corso teatrale in ambito carcerario; nel 2008, fra lealtre cose, si è dato ampio spazio ad un’esposizio-ne di arte africana contemporanea. Per quanto ri-guarda il progetto del 2009, sono due i nuclei del-l’attività progettuale: vengono affrontati il temadelle diverse “culture della salute” presenti nellearee dell’Africa e dell’Occidente e quello della di-dattica della storia in chiave interculturale. In rela-zione a quest’ultimo tema, ha preso avvio un per-corso di ricerca volto a mettere a punto attività la-boratoriali da effettuare con le classi (a partiredall’interessamento dell’insegnante di storia, macon il coinvolgimento delle altre aree curricolari)e percorsi di formazione per gli insegnanti.

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Come di consueto, il primo panel è stato dedi-cato alla situazione del paese ospitante, sul pia-no della ricerca storica e della didattica dellastoria. Nel caso di Cipro, è emerso un quadrodi identità religiose che si sono progressiva-mente essenzializzate, per poi politicizzarsi do-po l’indipendenza (1960), facendo precipitarel’isola in una spirale di violenza, fino alla defi-nitiva spartizione del 1974, che persiste ancoroggi, anche se, almeno dal 2003, si va manife-stando una certa volontà di dialogo tra le dueparti. Tra gli strumenti della divisione, l’inse-gnamento della storia: non solo le narrative “uf-ficiali” proposte dai manuali scolastici, ma an-che gli stessi curricoli appaiono fortementeideologici e improntati a rafforzare i due nazio-nalismi contrapposti. Dei manuali turco-cipriotisi è avviata una revisione nel 2004, in una chia-ve “ciprocentrica”, che ha stimolato un analogorinnovamento, ancora in corso, di quelli greco-ciprioti. Pare esserci un generale accordo, alme-no tra i docenti ciprioti presenti, sul fatto cheun maggiore rilievo alla storia sociale e mate-riale e lo spostamento dell’attenzione su comeformare la capacità di pensare storicamente, sti-molando forme di apprendimento attivo, sareb-bero la strada migliore per educare al ricono-

Euroclio è la più notaassociazione d’insegnanti distoria in Europa

La XVI Conferenza annuale di Euroclio siè svolta dal 5 all’11 aprile 2009 a Nicosia(Cipro), dove si sono incontrati 170 trainsegnanti ed esperti di didattica dellastoria provenienti da tutta Europa.

Non ci poteva essere ambientazione più appro-priata per discutere di Assunzione della pro-spettiva dell’Altro e dialogo interculturale dellacittà divisa dalla “linea verde”, che separa leparti greca e turca dell’isola. A interporsi tra ledue, una buffer zone presidiata dalle forze dipeacekeeping dell’Onu, nella cui sede (il LedraPalace Hotel) si sono svolti i lavori. Fa benesperare che tra i co-organizzatori locali fosserorappresentate numerose associazioni di inse-gnanti di entrambe le parti, nonché l’Ahdr, As-sociation for Historical Dialogue and Research,presieduta da Chara Makriyianni, già membrodel board di Euroclio, impegnata in una propo-sta di insegnamento della storia che prenda ledistanze dai nazionalismi contrapposti che ca-ratterizzano ancora, in buona misura, curricolie prassi scolastica.

XVI Conferenza annuale di Euroclio

Maria Laura Marescalchi

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Maria Laura MarescalchiXVI Conferenza annuale di Euroclio

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scimento dell’Altro, al di là dei pregiudizi. Tut-tavia, le visite alle scuole e gli stereotipi che an-cora campeggiano nelle immagini dei manualidi storia o per le strade lasciano pensare che ilcammino non sarà breve. Con la conferenza di Michelle Fine, della CityUniversity di New York, che ha raccontato un’e-sperienza incentrata sulla soggettività dei di-scenti e sulla creazione di “spazi di dialogo” at-traverso le barriere generazionali, sociali, etni-che, si è entrati nel vivo della conferenza. I panelsuccessivi, dedicati uno all’empatia, l’altro allosguardo delle scienze sociali su storia e memoriacollettiva, hanno portato la discussione sull’ap-parato concettuale e sulla “cassetta degli attrez-zi” dell’insegnante, esplicitando quanto unabuona formazione storica, basata sull’uso corret-to di una varietà di fonti e sul confronto di diver-se prospettive, sia cruciale per combattere e sra-dicare gli stereotipi. Il discorso si è focalizzatopoi sull’insegnamento delle questioni contro-verse (controversial issues), tema a cui la didatti-ca britannica, per esempio, è molto attenta, e sulquale sarebbe opportuno che anche in Italia siriflettesse di più. A rafforzare l’immagine di una formazione sto-rica finalizzata all’acquisizione non solo di co-noscenze e competenze disciplinari, ma, attra-verso queste, al rafforzamento delle competen-

ze di cittadinanza, specie in società multietni-che, hanno contribuito gli interventi dei rappre-sentanti del Consiglio d’Europa, presenza co-stante alle attività di Euroclio, i quali hanno an-che richiamato l’attenzione sulla centralità del-la formazione degli insegnanti, oggi di fronte anuove sfide che richiedono una preparazionespecifica. Le quattro sessioni di workshop hanno permes-so ai partecipanti di scegliere tra ventidue di-verse attività, non tutte dello stesso livello qua-litativo, tutte variamente collegate ai temi dellaconferenza: dall’analisi di stereotipi, alla propo-sta di approcci multiprospettici a questioni con-troverse e realtà problematiche; dall’analisi del-le rappresentazioni delle memorie collettive, amodi creativi di sviluppare il dialogo intercul-turale, alla proposta di percorsi incentrati su fi-gure di frontiera che si muovono attraversoconfini geografici, sociali, etnici, dove è emersoil ruolo rilevante delle donne.Come sempre, l’impegno profuso dal board edal segretariato di Euroclio, assieme alle asso-ciazioni locali, ha dato vita a un’organizzazioneimpeccabile, che fa della conferenza annualeun appuntamento di inestimabile valore per laformazione degli insegnanti di storia, per laqualità delle esperienze proposte e per le pos-sibilità di confronto offerte. Se a Cipro era presente soltanto chi scrive, unapiù nutrita rappresentanza italiana ha parteci-pato alla conferenza successiva, A Bridge TooFar? Teaching Common European History, cheha avuto luogo in Olanda, a Nimega, dal 22 al28 marzo 2010. Dedicata all’esplorazione dellastoria europea, si è svolta attorno a cinque fo-cus (l’epoca romana, cristianità e islam, la rivo-luzione industriale, la seconda guerra mondia-le, la guerra fredda e oltre) che hanno permes-so comparazioni tra pratiche didattiche e pre-scrizioni curricolari. Proprio su queste ultime èincentrata la relazione che si può leggere nel si-to web del Landis (http://www.landis-online.it/portale/index.php?action=getArticolo&id=460).

Sitografia

! Per un resoconto più dettagliato: http://www.landis-online.it/porta-le/index.php?action=getArticolo&id=394

! Per informazioni su AHDR (Association for Historical Dialogue andResearch): http://www.cyprus-tube.com/historical-dialogue/index.php

! Per informazioni su Euroclio: http://www.euroclio.eu/site/index.php

Per informazioni sull’impegno del Consiglio d’Europa nell’ambitodella didattica della storia e della dimensione di educazione alla cit-tadinanza:

! http://www.coe.int/t/dg4/education/historyteaching/default_EN.asp

! http://www.coe.int/t/dg4/education/historyteaching/default_FR.asp?

! http://www.theewc.org/ (Centro Wergeland di Oslo)

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cavalleria, al coinvolgimento di ampi strati dellapopolazione nella crociata, alla persecuzionedegli ebrei ed alla diffusione della lebbra, im-portata dai crociati nell’Europa occidentale. Ilsecondo film in programma racconta le vicendedi uno dei protagonisti del XIII secolo: France-sco d’Assisi. La proiezione dell’opera che Lilia-na Cavani ha dedicato a Francesco nel 1989 (laregista aveva girato un lungometraggio sul san-to di Assisi per la televisione nel 1966) ha offer-to a Chiara Frugoni l’opportunità di toccare laquestione della ricostruzione biografica deipersonaggi medievali in generale e di France-sco in particolare, dato che di quel santo furonoredatte nel volgere di circa quarant’anni, accan-to ad altre Vite, ben tre biografie tutte ufficialima destinate le prime due (entrambe dovute aTommaso da Celano) alla condanna all’oblio,sostituite dall’opera più recente dettata da Bo-naventura da Bagnoregio. Il terzo film propostonella rassegna è l’adattamento cinematograficodi un capolavoro della letteratura italiana: il De-cameron di Giovanni Boccaccio nella lettura diPier Paolo Pasolini. Tra i molti temi che l’ambi-zioso lavoro di Pasolini offre agli spettatori,Corrado Bologna ha scelto di porre l’accentosui numerosi richiami alla pittura del tardo Me-dioevo e della prima età moderna, che di con-tinuo è possibile cogliere nelle scene del film,dove lo stesso regista compare nelle vesti di at-tore per interpretare Giotto. Con l’ultima pelli-

Medioevo. Parole e immagini, Roma 12 ottobre- 4 novembre 2009

Silvia Giuliano

In occasione dell’iniziativa Ottobre piovonolibri: i luoghi della lettura, l’Istituto storicoitaliano per il Medioevo con la collabora-zione dell’Agiscuola ha organizzato cinqueincontri dedicati alla rappresentazione del

Medioevo nella cinematografia e destinati siaagli studenti delle scuole secondarie superiori,sia ad un più ampio pubblico di appassionati distoria medievale.I primi quattro appuntamenti si sono tenuti nel-la bella sede romana dell’Agiscuola e prevede-vano la proiezione integrale di una pellicolad’argomento medievale, una conferenza di ca-rattere divulgativo tenuta da uno specialistadelle tematiche toccate dal film e la lettura dieloquenti passi presi da famosi testi medievalie di brani tratti da saggi particolarmente impor-tanti nel percorso della ricerca medievisticaproposti dagli attori Silvia Giuliano e AndreaGiuliano. L’incontro conclusivo si è svolto all’I-stituto storico italiano per il Medioevo dove stu-diosi di storia medievale, esperti di storia dellacultura e uomini di cinema e di scuola si sonoconfrontati in una tavola rotonda dedicata alpossibile impiego della cinematografia per ladidattica.Ha aperto la breve rassegna il film Brancaleonealle Crociate di Mario Monicelli commentato daFranco Cardini, che ha concentrato la sua densaesposizione soprattutto sulle vicende del XII se-colo aprendo numerose parentesi dedicate alla

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Silvia GiulianoMedioevo. Parole e immagini, Roma 12 ottobre-4 novembre 2009

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cola in cartellone si superano i tradizionali con-fini cronologici del Medioevo per raccontare levicende conclusive dell’avventurosa breve vitadi Giovanni delle Bande Nere (morto nel 1526),cui è dedicato Il mestiere delle armi di ErmannoOlmi. Nel commento al film, Massimo Miglio hafatto una distinzione tra gli elementi tipici dellapoetica di Olmi presenti anche in questa pelli-cola (l’umanità riflessa negli occhi dei bambiniche guardano la guerra; una sorta di mancanzadi profondità storiografica per cui le guerre siassomigliano tutte) ed alcuni elementi peculiaridel film storico in costume. Egli, poi, ha propo-sto una chiave di lettura osservando come inquesta pellicola, dedicata al crepuscolo di un’e-poca, l’argomento di fondo sia costituito dallearmi ancor più che dal mestiere delle armi: cosìle corazze nascondono gli uomini ridotti a“vuoti simulacri” e le armi da fuoco costituisco-no il segno più evidente della fine di un’era(Giovanni muore ucciso dalla ferita infertagli daun nuovo tipo di cannoncino che bucava le ar-mature).La tavola rotonda conclusiva, introdotta da Mas-

simo Miglio e Antonio Lo Bello, non si è limitataa tirare le fila dei temi toccati in seguito alleproiezioni, ma ha portato un contributo nuovo.Matteo Sanfilippo ha posto l’accento su come,anche in Europa, l’immagine del Medioevo co-munemente diffusa risente dei modelli veicolatidal cinema holliwoodiano, e ha richiamato al-cune delle tappe attraverso cui queste tipologiesi sono formate a partire dalla metà del XIX se-colo prima nella letteratura e poi anche nella ci-nematografia. Con gli interventi di Luciana Del-la Fornace e di Giuseppe Sergi l’attenzione si èspostata sulle possibili ricadute didattiche delcinema per l’insegnamento della storia, e nonsolo per quella medievale, e sulle esperienzeconcrete che si sono svolte negli ultimi decenniin Europa. In chiusura dei lavori, Giuliano Mon-taldo ha portato la sua testimonianza di registaimpegnato a dare verosimiglianza alle ambien-tazioni dei film storici in costume raccontandocon grande maestria, tra altre cose, l’effetto chefece alle comparse mongole impegnate sul setdel suo Marco Polo il vedersi abbigliati come icavalieri del Gran Khan.

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Non c’è dubbio che, per celebrare questo primoincontro – uno dei pochi esempi di collaborazio-ne internazionale di istituzioni di questo tipo esi-stenti al giorno d’oggi in Europa –, il tema sceltosia stato veramente azzeccato, adatto ed allettan-te. L’educazione della cittadinanza europea e laformazione dei corpo docenti, è un argomentoche, sia in Italia che in Spagna e in altri paesidell’Unione Europea, continua ad essere un mo-tivo di dibattito, fatto che dimostra tutta la sua im-portanza, concreta e teorica. La scelta di questotema come filo conduttore del congresso rispon-de al fatto che, sebbene l’educazione per la citta-dinanza attiva sia stata inclusa come oggetto pre-ferenziale di studio da parte di molti sistemi sco-lastici nazionali, in risposta al piano di sviluppodell’Unione Europea approvato nel marzo 2000– la cosiddetta «strategia di Lisbona» –, non si sonoancora visti segni tangibili di miglioramento. No-nostante gli sforzi realizzati, si continua a notareun progressivo ed evidente disinteresse, da partedei cittadini europei – soprattutto dei più giovani– ad avvicinarsi alle istituzioni e agli organismipolitici dell’Unione, o alla partecipazione attivaalla politica comune europea. Lo prova la bassapartecipazione alle elezioni europee, che abbia-mo riscontrato di recente, ed è molto lungo ilcammino che resta per far radicare in questi cit-tadini la chiara coscienza di appartenere ad unacomunità sovranazionale ed un’identificazionecon la cittadinanza europea, poiché continuanoa predominare le concezioni identitarie regiona-liste campaniliste, proprie delle tradizionali di-mensioni dei vecchi Stati-nazione, di fronte allarealtà di un’unità politica, economica e giuridicasovranazionale, capace di integrare tutti.

Avanti, nonostante i problemi

Pedro Miralles, Rafael Valls

A proposito del XX Simposiointernazionale di didattica dellescienze sociali e del I Convegnointernazionale italo-spagnolo dididattica delle scienze sociali

L’esigenza che Auschwitz non si ripeta è in assolutola prima in campo educativo.(T. Adorno)

Esiste realmente un concetto unitario evalido di «cittadinanza europea»? Sonoapplicabili i principi di questa cittadi-nanza in un’Europa fortemente multi-culturale? Quali sono le caratteristiche

culturali che dovrebbe avere un cittadino euro-peo ideale o modello prototipo? Quale deve es-sere il compito dell’educazione nella formazio-ne di un’identità ed una coscienza da cittadinieuropei? Di quali conoscenze di storia, geogra-fia, ecc. dovrebbe tener conto un cittadino eu-ropeo? Sono alcune delle domande che sono state po-ste – per quanto non tutte abbiano una risposta– al Congresso internazionale italo-spagnolo dididattica delle scienze sociali, tenutosi a Bolo-gna (31 marzo-3 aprile 2009), che ha suggellatola collaborazione tra l’associazione spagnolaAupdcs (Associazione universitaria dei profes-sori di didattica delle scienze sociali) e le italia-ne Dipast (Centro internazionale di didatticadella storia e del patrimonio) e Clio ’92 (Asso-ciazione di insegnanti e ricercatori sulla didatti-ca della storia).

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Pedro Miralles, Rafael VallsAvanti, nonostante i problemi

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Evidentemente, il superamento di queste sfideha bisogno di un progetto educativo, e in que-sto progetto, le scienze sociali e la loro didatticadevono giocare un ruolo da protagoniste. Infat-ti, sebbene – come molto accuratamente ha os-servato Nicole Tutiaux-Guillon – l’educazionealla cittadinanza non costituisca l’oggetto esclu-sivo di una determinata materia, e debba esserepromossa come asse trasversale in stretta con-nessione con l’educazione ai valori (per quantonon esista un consenso molto esplicito su que-sti ultimi), buona parte della responsabilità delsuo insegnamento – in realtà – ricade sullescienze sociali. Di fatto, come è apparso chiaramente nel sim-posio, l’insegnamento delle scienze sociali deveessere centrale nella formazione di un concettodi cittadinanza, in cui il binomio “democrazia-identità sovranazionale” deve essere mostratocome una realtà non imposta forzatamente: an-che se è vero che, per raggiungere questo sco-po, si deve superare l’impostazione attuale del-le scienze sociali, come vengono oggi insegna-te. Queste, allo stato attuale, non aiutano glistudenti a crescere e a comprendere il mondo,non li formano come cittadini, né li aiutano acomporre armonicamente i dati della propriaidentità. D’altra parte, non si può migliorarel’insegnamento di queste materie, né puntarealla formazione di una cittadinanza democrati-ca, capace di affrontare la sfida della societàdell’informazione, se non si trovano i mezzi permigliorare la formazione degli insegnanti. Que-sta è proprio la funzione essenziale delle asso-ciazioni organizzatrici di questo convegno.

Sono molte, e di diverso genere, le sfide che la«strategia di Lisbona» presenta all’educazione.Ecco perché il simposio è stato diviso in cinquegrandi blocchi che, secondo il criterio degli or-ganizzatori del convegno (Rosa María Ávila del-la Università di Siviglia e Ivo Mattozzi e BeatriceBorghi dell’Università di Bologna), inquadranoi principali aspetti della formazione alla cittadi-nanza europea. In un primo blocco si è cercato

di dare una definizione chiarificatrice del con-cetto di «cittadinanza europea» dal punto di vi-sta della formazione. Un secondo gruppo haanalizzato il ruolo della geografia nell’insegna-mento della cittadinanza europea; un terzoblocco si è posto la stessa problematica per ladidattica della storia; un quarto modulo si è in-centrato sull’importanza della didattica del pa-trimonio come strumento di educazione per lacittadinanza e, infine, un quinto ed ultimo grup-po ha discusso della necessità di attivare inizia-tive di formazione permanente.

La struttura delle sessioni ha tenuto conto dellecaratteristiche di una riunione, in cui bisognavadare spazio ai lavori italiani, spagnoli e di altrenazioni, e si è rivelata soddisfacente. L’unica ec-cezione è stata la prima sessione che, dopo l’a-pertura istituzionale del simposio, a cura di Lui-gi Guerra e Monica Donini, è stata inauguratada una tavola rotonda (alla quale hanno parte-cipato, da parte italiana, Clara Albani, da partespagnola, Ernesto Gòmez e, per una panorami-ca generale, Ian Davis dell’Università di York)in cui sono state trattate le diverse concezioniche – sulla cittadinanza europea e la sua forma-zione – si hanno in Europa, Italia e Spagna. Lealtre si sono, invece, aperte con una relazioneprincipale, affidata a specialisti che si sono as-sunti il compito di offrire una visione generaleeuropea: Hartwig Haubrich, dell’Università diFriburgo, che ha parlato di didattica della geo-grafia nella formazione della cittadinanza euro-pea; Falk Pingel, dell’Istituto Georg Eckert diBraunschweig, che ha fatto una relazione sul-l’insegnamento della storia; Nicole Tutiaux-Guillon, dell’Università di Lille, che ha espostola situazione della formazione dei professori inFrancia (c’è stata una sola eccezione: la sessio-ne dedicata alla didattica del patrimonio cultu-rale, diretta da due degli organizzatori, RosaMaría Ávila e Ivo Mattozzi). Dopo la relazioneiniziale è stato presentato un contrepoint affi-dato a due specialisti, uno spagnolo ed uno ita-liano, in cui si sono confrontati punti di vista e

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situazioni dei due paesi. In chiusura, ogni ses-sione ha presentato un sunto delle comunica-zioni, inviate da studiosi italiani, spagnoli edell’America latina. Questa formula di relazionecollettiva è stata una novità nella storia dei sim-posi organizzati in Spagna, è stata valutata mol-to positivamente, e si sono apprezzati la felicitànella scelta dei relatori e il loro coordinamento.In particolare si segnala il fatto che una parteimportante degli spagnoli era molto giovane:un buon segnale per il futuro.Il simposio è terminato con l’approvazione di undocumento sull’educazione alla cittadinanza eu-ropea, che contiene diverse richieste alle auto-rità scolastiche dell’Unione Europea: inclusionedel tempo e dello spazio tra le competenze dibase; la ricerca di un curriculum comune per l’e-ducazione della cittadinanza; revisione dei con-tenuti geografici e storici, affinché promuovanola cittadinanza europea; creazione di gruppi diricerca internazionali e promozione di incontritra insegnanti europei; sostegno alla mobilità de-gli studenti; definizione del profilo dei professo-ri di scienze sociali, con proposte alternative diformazione che stimolino l’idea dell’unità e delladiversità dell’Europa e con un dibattito sullecompetenze professionali degli insegnanti.

Sia le commissioni invitate sia le comunicazioniinviate hanno dimostrato che la ricerca nella di-dattica delle scienze sociali in Spagna – e inbuona parte anche in Italia, per quanto in mi-sura minore – ha subito un incremento signifi-cativo durante gli ultimi decenni, con un allar-gamento verso percorsi e tematiche nuove, conun incremento sia della quantità dei lavori siadella loro qualità: i primi progetti ufficiali di In-dagine e Sviluppo (I+D), contratti con impreseed istituzioni, master riconosciuti legalmente,dottorati, ecc. Possiamo affermare che negli ul-

timi anni sono state poste le basi per superarela tradizionale precarietà e arcaicità della didat-tica della storia. Gli atti del Congresso sono già stati pubblicati, acura di Rosa María Ávila, Beatrice Borghi e IvoMattozzi dalla Pàtron Editore di Bologna (2009),e testimoniano un significativo aumento dellecomunicazioni rispetto alle riunioni precedenti(per l’associazione spagnola si tratta del XX sim-posio).

Crediamo che siano da accogliere molto favo-revolmente le iniziative plurinazionali di questotipo. La didattica delle scienze sociali ha vissutosinora quasi completamente chiusa all’internodelle frontiere nazionali, forse per il tipo di con-tenuti e per le preoccupazioni, fino a poco tem-po fa, predominanti nel suo insegnamento. Èora di internazionalizzare le nostre conoscenze,i problemi e le preoccupazioni, così come le so-luzioni proposte dalla ricerca didattica. Qualco-sa di simile si dovrebbe fare con le indaginipubblicate nelle riviste specialistiche, affinchédiventino autentiche testimonianze delle inda-gini internazionali. E bisognerebbe farlo anchecon le organizzazioni internazionali già esisten-ti, come la International Society for History Di-dactics (della quale ha già parlato «Mundus» nelsuo primo numero) che dovrebbe rafforzare ilsuo radicamento nei paesi che sinora hanno di-mostrato una certa tradizione di ricerca, e un in-teresse consolidato nell’insegnamento/appren-dimento delle scienze sociali, per quanto ri-guarda le questioni internazionali. Tutto quelloche significa accomunare gli sforzi, sia all’inter-no di ogni paese (com’è doveroso) sia a livellointernazionale, cosa fondamentale, non farà al-tro che potenziare la nostra capacità di offrireproposte e risposte più adatte alle nostre so-cietà sempre più complesse.

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Proseguono le edizioni del ConcorsoEustory, rivolte alle scuole italiane se-condarie di secondo grado, per «pro-muovere l’educazione alla democraziae alla cittadinanza europea attraverso

lo studio della storia contemporanea». Nel 2009 è stata introdotta una novità: la parte-cipazione, prima limitata ai lavori di gruppo o diclasse, è stata allargata anche a singoli studenti,peraltro con una adesione per il momento quan-titativamente modesta; inoltre, a partire da que-sta edizione, la maggior parte dei contributi per-venuti è in formato “video” e non più cartaceo.Il Concorso Eustory 2009 era intitolato: «La storiadegli altri». Alla Fondazione per la Scuola dellaCompagnia di San Paolo, che ha organizzato ilConcorso, sono giunte complessivamente 31 ri-cerche (3 individuali), in prevalenza da scuolepiemontesi (8 contributi), e le restanti abbastan-za rappresentative di tutte le aree della penisola.Una partecipazione così consistente si può spie-gare in diversi modi e, in primis, con l’ampiezzadel tema, come si evince dallo stesso sottotitolodel bando: «L’“altro” può essere chiunque, vicinoo lontano, uguale o diverso, amico o nemico, in-dividuo o collettività».Quasi tutti i contributi hanno centrato il tema esi sono rivelati di buona qualità. Il consistentemargine di libertà offerto ha avuto un ovvio ri-flesso sui lavori pervenuti e, come era da atten-dersi, il concetto di alterità è stato declinato invario modo. Così, di volta in volta, al centro del-l’indagine troviamo: “l’altro” nel fisico (l’handi-cap), nella psiche (la follia, in un interessante la-voro sull’ex Ospedale psichiatrico provinciale diUdine, che mescola proficuamente storia localee uso di fonti primarie), nella cultura (gli zingari).Quasi la metà dei lavori, comunque, si è concen-trata “sull’altro lontano nel tempo” (la Shoah e laResistenza): quest’ultimo argomento è stato trat-

tato, ad esempio, da 3 degli 8 contributi piemon-tesi, segno che anche la storia del territorio eser-cita una notevole attrazione.In conclusione, vi sono stati lavori originali einattesi, come quello intitolato: «La mia stanza» –che sembra alludere al guscio che protegge diUna stanza tutta per sé di Virginia Woolf – chetratta dell’alterità individuale custodita nella“propria cameretta”, primo baluardo adolescen-ziale contro il mondo esterno. O quello intitola-to: «Quando i docenti erano studenti», che mettea confronto due generazioni: i docenti di unaclasse (ex studenti) e gli allievi della medesimaclasse. Tematiche più “tradizionali” legate allaSeconda guerra mondiale hanno comunque do-minato l’edizione 2009.Quest’ultimo fatto era da attendersi, poiché i te-mi delle leggi razziali, della Resistenza, dell’Olo-causto, del confine orientale italiano sono benpresenti nei nostri programmi di storia, nell’are-na politica e mediatica e nella società. La lorotrattazione, a scuola, permette di affrontare conprofitto quella promozione dell’educazione allademocrazia, di cui anche il concorso si fa porta-voce, come si diceva all’inizio.Un unico appunto può essere mosso: il bandoinvitava a riflettere sul fatto che «raccontando glialtri raccontiamo il nostro rapporto con gli altrie quindi anche noi stessi, chi siamo». Proprioquesto confronto, però, è spesso venuto a man-care: è stata infatti presentata sovente la storiadegli “altri”, ma raramente sono stati chiariti ilprocesso di individuazione del “noi” e le carat-teristiche dell’altro termine di paragone (vale adire ciò che ci distingue dagli altri), per poi met-tere in contatto e in discussione queste duerealtà. Ciò che è stato sottovalutato dai contribu-ti pervenuti è che ogni individuo appartienecontemporaneamente a più gruppi, come evi-denziato dalla letteratura psicologica e sociolo-

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Il Concorso Eustory: le edizioni 2009 e 2010

Marco Silvani

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gica sull’identità sociale da H. Tajfel (1979), U.Beck (1999) e M. Wieviorka (2002). Questo haimpedito di sviluppare efficacemente il rappor-to “noi”-“loro” e valutare, da un lato, le ricadutedell’alterità sul “noi” e, dall’altro, i processi di in-terazione tra i gruppi. Ciò, infatti, avrebbe per-messo una migliore comprensione di fenomeniquali il razzismo e l’immigrazione; e più in ge-nerale di considerare l’esistenza di molteplicipunti di vista, la cui legittimità deve essere basa-ta sulla capacità di argomentare la propria neiconfronti di verità “altre”.Le scuole premiate sono state: il Liceo Scientifico«L. da Vinci» di Reggio Calabria (La Calabria co-me terra di confine: l’identità come differenza,la differenza come identità), il Liceo Classico «E.Torricelli» di Faenza (Il sogno spezzato. La vicen-da di Enrica Calabresi. Persecuzione di genere,politica razziale nell’Italia fascista), l’ITIS «G.Marconi» di Jesi (Il quarto chiodo. zingari... gi-tani... schegge di civiltà) e il Liceo Scientifico Pa-ritario «M. Fossati» di Rivoli, Torino (Le “imprese”di un giusto).Dopo il buon risultato ottenuto dalla precedenteedizione, quella del 2010 intitolata: «Cambia lasocietà, cambia il modo di comunicare», pensataper stimolare le classi e i docenti a riflettere sulla«società della televisione e del computer» – cosìè etichettata la storia contemporanea dal curri-colo di storia olandese (cfr. «Mundus», 2, 2008, p.86) – ha parzialmente tradito le aspettative e sol-levato alcuni interrogativi.La tematica avrebbe dovuto attirare l’interessedegli insegnanti e ancor più degli studenti,quella “Generazione Y” o “Echo Boomer” im-mersa, come quotidianamente ci ricorda la cro-naca, in una realtà sempre più dominata dallatelevisione, dai cellulari e da Internet. L’Istatconferma questa tendenza: il 97,4% dei giovani(14-17 anni) possiede un cellulare e l’82% (11-19 anni) naviga su Internet. Oltre a ciò, le stesseforme espressive previste dal bando – ancheipertesti e video – avrebbero dovuto stimolarel’adesione e lo sviluppo del tema; invece, lapartecipazione è stata limitata e la coerenzaspesso dubbia. Complessivamente, quasi la metà dei 12 lavori (3individuali) pervenuti da tutta Italia alla Fonda-

zione per la Scuola della Compagnia di San Pao-lo non ha centrato il tema proposto (come testi-moniano, ad esempio, i contributi sullo «Stragi-smo rosso e nero» o «Il proibizionismo in Ameri-ca») e quanti lo hanno fatto si sono concentrati osulla società che cambia o sulle innovazioni ap-portate ai mezzi di comunicazione, ma non sulleloro reciproche influenze. La questione poteva essere affrontata da molte-plici prospettive e con gradi diversi di profon-dità. Anche tra quanti hanno colto il bersaglio,argomenti rilevanti quali l’evoluzione e il ruolodei mass-media e della propaganda nella socia-lizzazione; il mercato e la pubblicità; la societàdell’immagine; il web 2.0, che attraverso i socialnetwork produce community e identità insoliteche dividono e/o uniscono i giovani secondo lo-giche nuove; l’evoluzione della lingua e del lin-guaggio, come base della comunicazione; la co-municazione a scuola (rapporto docente-di-scente, discente-discente) sono stati solo margi-nalmente toccati. La superficialità degli elaborati e la loro esiguitànon possono essere giustificate dalla scarsa fa-miliarità degli insegnanti con la terminologia del-la “società dell’informazione”, come sostengonoalcuni allievi che dichiarano: «Blog, forum, chat,[...] Wikipedia, Youtube, Facebook, Myspace,Twitter, Gmail, Wordpress, Tripadvisor sono [...]termini sconosciuti ad un pubblico maturo, mamolto noti a noi giovani». Piuttosto, potrebbe es-sere l’assenza di una letteratura consolidata sul-l’argomento cui appellarsi – perché il fenomenoè troppo recente – a spiegare perché i docentinon abbiano sollecitato a sufficienza le classi. Intal senso – e l’edizione 2009 lo ha dimostrato –studiare il passato offre un vantaggio: si può at-tingere alla solida storiografia esistente.I lavori premiati provengono dall’IPSIA «Odero»di Genova Sestri Ponente (Comunico... Ergosum), dal Liceo Scientifico «A. Calini» di Brescia(Il faldone) e dall’IPCSSTG «Europa» di Napoli(Web 2.0: comunicare interagendo). Come negli anni passati, oltre al premio alla scuo-la, una rappresentanza dei vincitori parteciperàad un seminario internazionale frequentato daigiovani premiati degli analoghi concorsi che sisono tenuti negli altri 20 paesi aderenti a Eustory.

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1Una collana di studimedievistici rivoltaalla scuolasecondaria: il progetto «Itinerarimedievali per la didattica»

L a collana «Itinerari medievali per la di-dattica» è un’iniziativa ideata nella pri-

mavera del 2008 da me e da Roberto Greci,a seguito di alcune riflessioni sulla didatticadella storia medievale maturate in seno allaScuola di specializzazione per l’insegnamen-to secondario di Parma. La serie editoriale,realizzata grazie alla collaborazione con lacasa editrice Clueb di Bologna, raccoglie, en-tro un progetto coerente e organico per inten-ti e per aspetto tipografico, diversi percorsi diapprofondimento sull’età medievale pensatiper le scuole superiori. Spirito di fondo dell’iniziativa è quello di sta-bilire un contatto biunivoco, vicendevolmen-te proficuo e, almeno nelle intenzioni, perdu-rante, tra l’università e la scuola, guardandoin primo luogo al corpo docente, ma anche,attraverso la mediazione di quest’ultimo, aglistudenti. Ciò non toglie naturalmente che i li-bri in catalogo, in virtù dell’agile formato edella loro asciuttezza (in media, 130 paginea volume), possano tornare utili alla prepa-razione degli studenti universitari; ma, riba-disco, l’obiettivo prioritario dell’iniziativa re-sta puntato sull’insegnamento secondario,diventato oggetto di particolare attenzioneda parte dei docenti universitari proprio gra-zie all’esperienza maturata entro le Ssis.La collana conta ad oggi otto titoli, di cui seial momento in commercio. Entro luglio2009, saranno pubblicati i restanti due volu-mi, ma il progetto non intende esaurirsi inquesto primo blocco, costituito da: M. Ador-ni, L’economia nel Medioevo; S. Leprai, I luo-ghi e le forme del potere nel Medioevo; P. Si-lanos, Chiesa e vita religiosa nel Medioevo;G. Denicoli, La società medievale. Realtà eimmaginario; M. Greci, La cultura nel Me-

dioevo; M. Carion, Popoli e culture ai confinidell’Europa medievale; B. Baldi, Personaggidel Medioevo; M. Adorni, Il Medioevo oltre ilMedioevo. Altri otto lavori sono infatti già incantiere, per un totale di sedici volumi, che,questa almeno la nostra ambizione, garanti-ranno una scelta sufficientemente ampia percoprire i temi portanti della storia medievale.Gli stessi titoli dei volumi, quasi ovvi nella lo-ro netta sobrietà, denunciano del resto la vo-lontà di rifarsi alle macrocategorie tematichedella disciplina (cultura, società, economia,religione, istituzioni)1. La vocazione squisitamente didattica dellacollana è percepibile con immediatezzaguardando non soltanto ai contenuti. L’archi-tettura dei volumi fa bene intendere, di fatto,come essi vengano a configurarsi alla stre-gua di strumenti indirizzati a supportare, e inqualche modo ad alleggerire, l’attività svoltadal professore in classe. Ogni singolo testo èstato concepito come un’unità di apprendi-mento, ovvero come un corso monografico inpiccola scala dedicato a una delle grandiquestioni della storia medievale. Gli autori scelti per partecipare al progettoImd sono giovani laureati, dottorandi e dot-tori di ricerca particolarmente interessati agliaspetti didattici della disciplina. Insieme aloro è stato condotto un impegnativo lavorosul linguaggio, un lavoro arduo, ma anche digrande soddisfazione se guardiamo agli esitifinali. Come noto, non è facile comunicare,nella fattispecie scrivere, contenuti scientifi-ci attraverso un tono che risulti semplice sen-za essere semplicistico. Il rischio, non infre-quente, è quello di strizzare l’occhio al codiceinformativo dei mezzi di comunicazione dimassa, che, quando è in oggetto la trattazio-ne di un argomento storico, tende a privile-giare l’aneddotica a effetto o l’enciclopedi-smo da quiz televisivo2. L’attento lavoro sugli aspetti espositivi haportato, così, alla produzione di contenuti aun tempo sintetici e rigorosi, scritti senzasbavature retoriche e dove i tecnicismi, lad-dove presenti, sono espressamente chiariti e

commentati. Il tono generale è discorsivo.L’impressione, alla fine, è quella di leggerebrevi saggi, corredati da fonti scritte, sia nar-rative sia documentarie, tradotte in italianoquando necessario. La scelta di arricchire –anzi, di completare – ciascun capitolo conuna piccola appendice documentaria è statafatta anche per ragioni di tipo metodologico,ossia partendo dal convincimento che, oggipiù che mai, in tempi di derive tuttologiche,sia buona cosa rafforzare negli studenti l’i-dea che le fonti, mediatrici del passato, deb-bano sempre sostanziare qualsiasi discorsostorico. A chiusura di ogni capitolo, è stataposta una bibliografia orientativa, in cui sonoconcentrati alcuni titoli di opere di sintesi re-centi, facilmente rintracciabili in libreria o inbiblioteca.Mi preme, per concludere, evidenziare chetutti i titoli della collana sono coerenti con l’i-dea di trasmettere – divulgando gli esiti dellarecente ricerca scientifica – un’idea della ci-viltà medievale dinamica, avida di sperimen-tazioni istituzionali e risultato di continue sin-tesi e sovrapposizioni socioculturali. Il Me-dioevo di «Itinerari medievali per la didattica»è pertanto altra cosa dal Medioevo stereoti-pato, che non cessa di fare presa, non sol-tanto sul senso comune (oggi, peraltro, glo-balizzato), ma anche sulle persone colte e, diconseguenza, sugli studenti delle scuole su-periori e dell’università3.

Simone Bordini

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1. Una minima parte di questi testi è già confluita, con finalitàinformative, nella sezione «Didattica» (anch’essa, come lacollana Imd, concepita come spazio di raccordo tra univer-sità e scuole superiori) del sito web Itinerari medievali per laricerca e la didattica, che curo sotto la responsabilità scien-tifica di Roberto Greci e che molto deve al lavoro redazionaledi Marco Carion: http://www.itinerarimedievali.unipr.it2.S. Bordini, La storia mediata. Il Medioevo visto dal Web: per-corsi di ricerca e didattica, Clueb, Bologna 2008, pp. 61 sg.

3. Cfr. by J. Arnold, K. Davies, S. Ditchfield (a cura di), Historyand Heritage. Consuming the Past in Contemporary Culture.Papers presented at the conference «Consuming the Past»,University of York, 29 November-1 December 1996,Donhead, Shaftesbury 1998; G. Sergi, L’idea di Medioevo.Fra storia e senso comune, Donzelli, Roma 2005 (prima ed.1998); Id., La rilettura odierna della società medievale: i mitisopravvissuti, in D. Lupo Jalla et al. (a cura di), Medioevo rea-le Medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali traregioni d’Europa, Atti del convegno (Torino, 26-27 maggio2000), Città di Torino, Torino 2002, pp. 89-96; F. Marostica(a cura di), Medioevo e luoghi comuni, Atti dei convegni rea-lizzati congiuntamente dal Dipartimento di Paleografia e me-dievistica dell’Università degli Studi di Bologna e dal Serviziometodi e tecniche della ricerca e della sperimentazione edu-cativa dell’IRRE-ER (Bologna, Aula Prodi, 3 ottobre 2001 e 7marzo 2002), presentazioni di F. Frabboni e M. Montanari,Tecnodid, Napoli 2004; A. Brusa, Un prontuario degli stereo-tipi sul medioevo, in «Cartable de Clio», 5 (2004), disponibileanche su Insegnare/Apprendere Storia. Didattica della sto-ria e delle scienze sociali (http://www.storiairreer.it/Mate-riali/BrusaLuoghiComuni.htm) e nella sezione «Mondi me-dievali» di Storia medievale. Dai castelli ai monstra(http://www.mondimedievali.net/pre-testi/stereotipi.htm).

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mundusbiblioteca2

Lapis Lapidis.Epigrafi latine per le scuole

!G. Imperatori, T. Piermarini, D. Ricciotti, F.Rosei, S. Tarquinio, Lapis Lapidis.Materiali e progetti per lo studio delleepigrafi romane di Ascoli Piceno,Edizioni Lìbrati, Ascoli Piceno 2008, pp.173 (con Cd-Rom), ! 20,00.

Lapis lapidis è uno strumento didatticoper lo studio delle epigrafi romane di

Ascoli Piceno. Il volume, corredato di Cd-Rom, nasce dalla collaborazione tra due li-cei della città, il classico “F. Stabili” e loscientifico “A. Orsini” e il Museo Archeolo-gico Statale. Insieme, dal 2005 al 2007,hanno portato avanti il progetto «Imparareal Museo», con l’obiettivo di studiare leepigrafi del lapidarium di Ascoli, e di pro-muovere il corso di formazione per docenti«Didattica dell’antico» (2006). Il volume è denso di contenuti: il mondodell’epigrafia romana è fatto di codici benprecisi, nomenclature, formule, lessicospecifico. Il lettore (allievo o professore)viene aiutato a comprendere come leggereun’iscrizione, come interpretarla, come

orientarsi nel panorama epigrafico roma-no. Successivamente, dopo aver appresogli strumenti tecnici, viene proiettato nellarealtà territoriale, sia per mezzo di una se-zione ampia dedicata alla storia della co-lonia romana letta attraverso le fonti, siaper mezzo di una oculata scelta di epigrafidel lapidarium ascolano. Le iscrizioni sonoschedate e riportano i parametri canonici:provenienza, datazione, riferimento al CIL(Corpus Inscriptionum Latinarum – ancoraoggi la più vasta raccolta di iscrizioni esi-stente, redatta da Theodor Mommsen nellaseconda metà dell’Ottocento), trascrizionedel testo, traduzione (non si dimentichi loscopo didattico di questo lavoro) e com-mento.Diverso approccio ha il Cd-Rom. Più dina-mico già per sua natura, il supporto multi-mediale offre la possibilità di conoscere lediverse esperienze che hanno animatoquesta pubblicazione: si passa dai progettididattici realizzati da allievi e insegnantisulle iscrizioni di Ausculum, fulcro del lavo-ro, ai giochi che insegnano a gestire lecompetenze acquisite. Una sezione del Cdè dedicata alla messa in testo e video delleconferenze tenute da docenti universitari efunzionari della Soprintendenza archeolo-gica delle Marche nell’ambito del conve-gno sulla didattica dell’antico; un’altra, in-vece, a videointerviste realizzate agli stessicuratori del progetto (docenti dei licei e di-rettrice del Museo archeologico statale diAscoli Piceno). Il libro dimostra come una disciplina eru-dita, e percepita come distante dal lavoroscolastico e dalla divulgazione, sia inrealtà una miniera di proposte di insegna-mento, concrete e coinvolgenti. Quello checolpisce maggiormente, al termine dellalettura, è la capacità – che hanno avuto gliautori – di accorpare in un’unica soluzionediscente e docente, ognuno chiamato afarsi carico, secondo il proprio ruolo, dellacura per il proprio territorio.

Laura Rizzo

3Giochi di bambini

!R. Andreassi et al. (a cura di), Giroarte:i bambini, il gioco, la conoscenza siaggirano tra le vie dei paesi. Progettofinanziato dalla L. 285/97: guidadidattica, Tip. l’Economica, Campobasso2007.

Questa guida didattica è il consuntivo diGiroarte, un progetto di giochi didattici,

svoltosi in Molise a cura di Terredimezzo(spin off dell’Università degli Studi del Moli-se) e che ha coinvolto sette scuole del Molisecentrale (tra primaria e secondaria di primogrado), durante l’a.s. 2004/2005. L’idea ènata nel quadro della legge 285/97 sui di-ritti dell’infanzia, dell’adolescenza e delle fa-miglie, con l’obiettivo di fornire ai giovaniun’occasione di crescita intelligente: cono-scere il proprio territorio attraverso il gioco.La guida contiene, oltre al racconto delleesperienze fatte sul campo ad opera deglistessi operatori – formati da un corso previ-sto nell’ambito del progetto – tutte le propo-ste ludiche, i progetti, il materiale didattico(anche in Cd), la descrizione delle attivitàsvolte dai giovani scolari molisani insiemeagli adulti, accompagnatori, ma per un gior-no protagonisti dei giochi accanto ai bambi-ni. Per ogni comune è stata progettata un’at-tività mirata che valorizzasse le evidenze ar-tistiche e culturali del luogo. Due le sezioniportanti del volume: nella prima sono de-

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scritte le attività ludico-didattiche svolte neicomuni interessati dal progetto, nella secon-da compare la descrizione di alcuni labora-tori «ispirati alle metodologie dell’archeolo-gia sperimentale» e raccolti sotto il nome diArcheoparco. Al centro dell’attenzione: vitaquotidiana, cibo, cultura del territorio, spaziabitati, musei locali; gli strumenti principali:giochi di società e manipolazione di oggetti.Tutto il materiale didattico è costruito con pe-rizia e dietro ogni singola attività c’è un assi-duo lavoro di ingegno e pazienza. Questo vo-lume è ricco di utili attività che ogni inse-gnante può proporre agli allievi, naturalmen-te, adattandole al proprio territorio utilizzan-do un po’ di fantasia. Il progetto è stato pro-mosso dall’Unione dei Comuni “Alto Biferno”,in collaborazione con l’Università degli Studidel Molise, la Soprintendenza per i Beni ar-cheologici del Molise, l’Ufficio scolasticoprovinciale (ex Provveditorato agli studi) diCampobasso e l’Irre Molise.

Laura Rizzo

4Blat, metalls i cabdills.Frumento,!metalli esignori della guerra

!Josep Bosch e Joan Santacana, Blat,metalls i cabdills. Catalunya del neolítica la iberització, Rafael Dalmau editor,Barcelona 2009, pp. 253.

Come mai la preistoria suscita solo curiositànella gente e non un interesse reale? È la

domanda che si pongono gli autori del libro.In poco più di duecento rapide pagine Bo-sch e Santacana ripercorrono, con un lin-guaggio scorrevole, la storia archeologicadella Catalogna, dal 10.000 a.C. fino al 700a.C. Ogni cultura che si è sviluppata, che siè evoluta o che è scomparsa in questa re-gione, viene raccontata con le connessionie le inevitabili interazioni tra l’uomo e il ter-ritorio interessato. Si considerano l’aspettoantropologico, la vita delle popolazioni, lestrategie di sussistenza, l’economia, le ca-ratteristiche naturali e morfologiche dei luo-ghi. Schemi esemplificativi trattano i temipiù caldi come le ipotetiche dinamiche delneolitico catalano e dei primi sistemi di agri-coltura, i modelli socio-economici del neoli-tico medio, gli esempi di esportazione deiminerali di cava, la religione, la metallurgiadel bronzo o la struttura della società delbronzo medio.

Le"schede di approfondimento, seguendo laceramica, il principale indicatore delle co-munità preistoriche e protostoriche, mostra-no il rapporto uomo/territorio e l’interazionetra le diverse società che hanno coabitatonella Catalogna.Le schede dal carattere tecnico descrivonol’immanicatura di un falcetto neolitico o diun’ascia e la sua utilizzazione, la perforazio-ne con un trapano o la costruzione di una se-poltura dei campi d’urna catalane.Interessanti, infine, sono la ricostruzione o lefoto-ricostruzioni dei modelli abitativi ispiratidirettamente dai rilievi archeologici dei luo-ghi presi in esame, che ci mostrano un qua-dro evolutivo dell’abitazione preistorica eprotostorica catalana.Conclude il libro un’interessante tavola cro-nologica che mette in parallelo la regionecon il vicino Mediterraneo e il Vicino Oriente.Gli autori del testo sono specialisti di didat-tica: ci offrono quindi una panoramicaesaustiva, per quanto sintetica, di un perio-do, ma al tempo stesso spunti di ricerca di-dattica e di applicazione nelle scuole, chepossono essere utilizzati anche dal docenteitaliano.

Mario Iannone

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quelli che hanno accompagnato questi ulti-mi nell’esperienza), infatti, pur consapevolidell’esercizio duro e sistematico che richiedela scrittura in una società che privilegia altrilinguaggi, meno faticosi e più immediati, se-guendo l’esempio di Rodari e della suaGrammatica della fantasia hanno gettato«parole suoni immagini nella mente deglistudenti provocando una serie infinita di rea-zioni a catena “attraverso” analogie e ricordi,significati e sogni [...]» (Gianni Rodari).L’esercizio finalizzato della scrittura, non piùavvertito come una penitenza, ha aiutato adattivare la memoria – come dice GabriellaBonini, insegnante del “Filippo Re” – e a tro-vare il filo che unisce singoli eventi, ha con-sentito ai ragazzi di conoscere meglio il con-testo in cui si muovono, di riflettere su di sée, nel contempo, di decentrarsi sviluppandola capacità di entrare nei “regni privati” deglialtri e di provare empatia per coloro con iquali incrociano la loro vita, di comunicare,infine, attraverso la parola e «di trovare, attra-verso di essa, i pensieri» (Joseph Joubert).Nei racconti possiamo così cogliere le gioie, leansie, i drammi – quelli eterni e quelli moderni– dell’esistenza umana. Un uomo di colore, aCape Town, nel XXI secolo non riesce a sedersisull’autobus sebbene i posti siano vuoti, per-ché gli altri passeggeri bianchi non lo voglionoaccanto: «Tanto per cominciare l’autista, un ti-po giovanissimo, mi fa correre per un centi-naio di metri prima di aprire la porta; maneanche me la prendo, perché so che il bruttodeve ancora arrivare. Tranquillamente cercoun posto a sedere, ma non c’è un ragazzo di-sposto a farmi sedere accanto a lui: trovanoscuse che non stanno né in cielo né in terra.Poi arriva il leader del gruppo: il ragazzo piùmaleducato e spudorato mai visto sulla terra[...]» che, alla domanda dell’uomo se potessesedersi, risponde che deve metterci la cartellae aggiunge in tono basso: «Poi sei negro epuzzi» (Davide Bartoli).Un sindacalista italiano, la cui memoria dàsegni di debolezza per l’avanzata inesorabiledi una terribile malattia, tornando a casa,vorrebbe gridare agli altri il valore della iden-tità (Dimitri Campanini); Anna, un’autistadell’Act (l’Azienda di trasporti pubblici diReggio Emilia), non si limita a trasportaredue disabili ma stabilisce, con i suoi passeg-geri, una comunione umana profonda che vaal di là del suo dovere (Daniele Caiumi);un’anziana dialoga con i giovani compagni di

viaggio evidenziando, nonostante l’età o pro-prio in forza dell’età, una grande voglia di vi-vere e il bisogno di stare con gli altri (Ales-sandro Fiaccadori); un uomo viene osserva-to con tale intensità da riportare alla mentedi chi lo fissa dal sedile posteriore memoriescolorite dal tempo; un altro, di 76 anni, chesta scappando dalla casa del figlio per an-dare all’ospizio, racconta ad un autista – se-condo Tania Andrea Secci – il dramma chesta vivendo («è un periodo che mio figlio nonmi parla, non mi prende in considerazione,mi tratta come un bambino [...] se succedequalcosa in casa o in famiglia gradirei essereinformato») e riceve una parola di incorag-giamento («Se vuole un consiglio, non vadaall’ospizio, torni a casa e ne parli con suo fi-glio; forse ieri sera era troppo stressato e ma-gari avrà detto qualcosa che non pensava»).Un ragazzo si proietta nel 2300 d.C. e rag-giunge con un «raggio di luce verde lumine-scente» l’autobus che, alimentato da un gasnon inquinante, viaggia a 40 metri dal suolo,dispone solo di posti a sedere imbottiti ed ècondotto da un pilota automatico (CristianoPalma); un altro giovane immagina di percor-rere nel 2250 la città su autobus sulle cui pa-reti sono state riprodotte opere di Monet, Pi-casso, Munch (Alfredo Alfieri).Ma anche gli autobus, i biglietti, i sedili attra-verso le parole dei ragazzi prendono vita, de-scrivendo il mondo dal loro punto di vista:«Oddio [...] dice il biglietto [...] sono clau-strofobico [...] mi deve aver richiuso di nuovoin quello schifoso portafogli [...] Mi piace es-sere mostrato perché sono un po’ narcisistae, quando passa il controllore, è il mio mo-mento di gloria!» (Anna Rastiello). La parola dei racconti serve anche a salvarenella memoria collettiva vecchi paesaggi co-me quello della fornace di Vezzano «formataun tempo da un grande porticato stretto tradue braccia grigie di roccia e mattoni», dovegiungevano carretti guidati da uomini dalleschiene doloranti e carichi di «bianchi mas-si» estratti dai minatori e lavorati negli altifor-ni da operai pieni di sudore «annerito dallafuliggine» (Nicolò Munari).Il mondo quotidiano, insomma, con tutte lesue problematiche (la salute, il lavoro, il raz-zismo, la qualità dei servizi, ecc.) entra, attra-verso la pratica della scrittura, a scuola e, di-ventando oggetto di confronto e dialogo, puòaiutare i ragazzi e, indirettamente, gli adulti,non solo a toccare realtà interiori altrimenti ir-

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Racconti in viaggio

!G. Bonini (a cura di), Racconti inviaggio, Autori vari, a cura del Comunedi Reggio Emilia.

Il premio letterario «Racconti in viaggio», da7 anni ormai, coinvolge gli studenti del bien-

nio delle scuole superiori di Reggio Emilia inpercorsi di scrittura creativa ispirati al temadel viaggio in autobus attraverso la città. Il progetto chiede ai ragazzi di descrivere, inbrevi racconti (ma non mancano canzoni rap),le scene che avvengono su autobus o treni cit-tadini, le persone che utilizzano il servizio ditrasporto pubblico, o i paesaggi osservabilidurante gli spostamenti; propone loro di valu-tare la qualità dei servizi offerti e il comporta-mento degli autisti; suggerisce di prefigurarelo sviluppo urbano dei secoli futuri.La metafora del viaggio scelta per tale pro-getto, che ha precedenti illustri nella lettera-tura (basti pensare a Omero, Dante, Ke-rouac), ha portato alla pubblicazione di rac-colte molto interessanti e molto curate dalpunto di visto grafico e editoriale: i 5 volu-metti che raccolgono i testi degli studenti(stampati ora in 10.000 copie) sono coltempo diventati più ponderosi e, soprattutto,mostrano una crescente disinvoltura da par-te dei ragazzi nel narrare e nel descrivere.Dalla loro lettura si capisce come i docentiabbiano saputo integrare, in questa attività,aspetti storici, geografici e letterari.I docenti (sia i promotori dell’iniziativa sia

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raggiungibili ma anche a definire nuove rego-le sociali dotate di senso per tutti, più adatteai contesti attuali e a far crescere la consape-volezza che partecipare alla vita politica (nelsenso etimologico del termine) garantisce lademocrazia e attribuisce senso alla vita.Questo progetto, infine, si propone come unmodello di collaborazione (sinergie, si do-vrebbe dire) fra scuola e territorio. Infatti,nato per volontà di alcuni docenti dell’Istitu-to professionale “Filippo Re”, ha visto coltempo crescere il numero dei partecipanti(più di 2000 nell’ultima edizione) grazie an-che alla fattiva collaborazione offerta allescuole dal laboratorio Baobab e dall’Act eal patrocinio della Provincia e del Comune,istituzioni che, in coerenza con il patrimoniodi sensibilità degli enti locali reggiani, han-no saputo ben interpretare il loro mandatosociale, mettendo a disposizione dell’inizia-tiva le loro risorse economiche, ideative,grafiche, editoriali.

Mimma Tamburiello

6Storie di confine

!AestOvestStoria, memoria e attualità di una terradi confineOsservatorio balcani, provinciaautonoma di Trento, progetto co-finanziato dall’Unione europea,nell’ambito del programma «Europa peri cittadini» 2007-2013.

Questo DVD, realizzato dall’Osservatoriosui Balcani, è una risorsa preziosa per

tutti coloro che vogliano approfondire la que-stione dei Balcani in quanto terra di confine,in senso storico, antropologico e politico, maanche e soprattutto come banco di prova perla società europea, poiché riunisce punti divista, documenti e ricerche, italiani, croati esloveni in un unico impianto coerente.Il percorso multimediale è strutturato in 3moduli: La storia; I luoghi; In Europa.Ognuno di questi moduli è denso e ricco dimateriali ed è basato su concetti forti, chepermettono non solo di compiere un viaggonel passato, ma soprattutto di cogliere unavisione a tutto tondo del rapporto dell’uomocontemporaneo con la storia e la memoria.La sezione sui luoghi, per esempio, è basatasull’idea di “luogo della memoria” elaboratadallo storico francese Pierre Nora: posti co-me il sacrario militare di Redipuglia (vicinoGorizia), o la Risiera di San Sabba (Trieste),vengono rappresentati in tutto il loro valore diluoghi simbolici, concrezioni del passato diuna comunità in cerca di sé stessa, ma an-che in continuo mutamento.

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Di particolare interesse è il modulo sull’Euro-pa, dove diversi materiali multimediali testi-moniano speranze, disillusioni ed esperienzelegate alla trasformazione dei confini di que-sta area da muri divisori a luoghi di transito(di merci e di idee). Nel video EU-foria, peresempio, allo scoccare del 21 dicembre2007, molta gente che aspetta festante l’uf-ficializzazione dell’adesione della Sloveniaall’area Schengen, confessa, dinanzi ad unatelecamera, alcuni “peccati” di contrabban-do. Un documento straordinario che mostra,alle soglie del suo scomparire, un mondo incui contrabbandare biciclette, radio a transi-stor e persino caffè era un modo per soprav-vivere dignitosamente.Più tradizionale, ma non per questo meno uti-le, è il capitolo dedicato alla storia dei Balcani:il numero e la varietà di documenti (canzoni,video, interviste, immagini, narrazioni, trattatiinternazionali, cartine storiche, ecc.) rendequesto DVD uno strumento essenziale per gliinsegnanti, sia che vogliano affrontare un per-corso storico tradizionale, sia che si voglianolanciare in una pista didattica innovativa, par-tendo dall’oggi e dalle sue molteplici formeespressive sperimentando con gli studenti unfare storia che si coniuga con i linguaggi spe-rimentati dai ragazzi quotidianamente.Un’ultima nota: AestOvest è navigabile an-che on-line, all’indirizzo http://aestovest.osservatoriobalcani.org.

Elena Musci

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7Laboratori micro

!Un ragazzo in “direzione ostinata econtraria”A cura di Caterina Cerullo, Pina Pedron,Nicoletta PontaltiFondazione Museo Storico del Trentino,Trento 2010 ([email protected]).

Il Museo Storico del Trentino ci ha abituato,ormai da una ventina di anni, a prodotti di-

dattici di altissima qualità. Anche quest’ulti-mo, come gli altri, si propone al professoredi storia sia come uno strumento già prontoper l’uso, sia come modello sul quale esem-plare altre attività didattiche di pregio." Periniziare, va notato come il volumetto sia de-stinato ad una gamma differenziata di do-centi. Per l’insegnante “tradizionale” (leggo,spiego e interrogo), costituisce un testo dilettura storica che scorre liscio, dal suo in-cipit verso la fine, come un normale (buon)manuale, o come un brano antologico. Perl’insegnante moderno, capace di inserirenella sua programmazione momenti di atti-vità intelligente, Un ragazzo in “direzioneostinata e contraria” diventa un tavolo di la-voro, sul quale realizzare un’esperienza diconoscenza storica, che può essere calibra-ta rispetto alla competenza della classe, es-

sendo articolata su più livelli (anche questoè un merito del libretto). Osserviamone i variaspetti, ordinatamente. In primo luogo, la vi-cenda scelta è toccante e straordinariamen-te ricca. È la storia di Giorgio Marincola, fi-glio di un militare italiano e di una ragazzasomala, cresciuto in Italia" sotto il fascismo,e diventato partigiano in Trentino, dove trovòla morte. È un racconto fecondo di motivistoriografici e pedagogici, che riassume inpoche pagine il conflitto razziale, i problemidell’identità, la lotta partigiana,"e tocca infi-ne la questione generazionale, poiché mettein scena la vita e le scelte di un adolescentedella stessa età degli studenti.Sarà questo il primo livello di impiego: unastoria avvincente, che suscita problemi efa discutere. Il secondo nasce dal modocon il quale è costruita la storia: una suc-cessione di brani delle autrici (per spiega-re, raccordare, presentare) e di documenti.Tutto ordinato cronologicamente, in modoche l’osservazione della trama documen-taria non faccia perdere mai di vista il pri-mo livello, quello della vicenda." Ma, unavolta scesi nel laboratorio, le domande ele attività si infittiscono;" nascono i proble-mi e gli enigmi (sempre alla portata dellettore) e, conseguentemente, il piacere didiscutere e di risolverli." Come montare fradi loro i documenti? Sommandoli" e acco-standoli l’uno all’altro, come le tessere diun mosaico? Oppure cercando, per ognu-no di essi, il senso, lo scopo, e soppesan-do la quantità di verità e di fatti che nepossiamo ricavare? Domande e problemiche potranno essere gestiti in forma inte-rattiva e (apparentemente) spontanea daldocente, oppure in forma guidata, seguen-do il ricco eserciziario che chiude il volu-metto." Vi è un terzo livello, infine, al qualele autrici invitano ad accedere. Quello del-la responsabilità individuale. Ecco la sto-ria di un ragazzo. Le sue scelte di vita. Ec-co trenta" giovani studenti, con le loro scel-te di vita. Ci si può confrontare, e si deve.La storia serve anche a questo:" a porredei problemi che attraversano la nostracoscienza. I documenti sui quali si lavora sono ricavatidal libro di C. Costa e l. Teodonio, Razza par-tigiana. Storia di Giorgio Marincola, Iacobel-li editore, Roma 2008. E anche questa –quella di utilizzare buone ricerche storiogra-fiche – è una doverosa indicazione di meto-

do, per i colleghi che vogliano cimentarsinella costruzione di unità didattiche analo-ghe. La collana nella quale è inserito questovolume si chiama “Il cantiere dello storico”e raccoglie anche altri lavori destinati allescuole (La Shoah; La nascita della Repub-blica (1945-1948); Intellettuali e fascismo;La Grande Guerra. Storie di soldati; La vitaquotidiana nell’Italia occupata 1943-1945). Essa ci fa sperare in altre opere, co-struite secondo un modello nel quale unadidattica semplice e essenziale si presti aindagare le questioni potenti e ricche dellastoria.

Antonio Brusa

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1. A. Delmonaco, Una memoria per il futuro.Esperienze nell’Insmli e nel Landis, in «ItaliaContemporanea», 219, 2000, pp. 322-323.2. Per un’immagine della rete Insmli, cfr.http://www.italia-liberazione.it/it/index.php.Tra i propri membri, il Landis vanta diversi socicollettivi, tra cui alcuni istituti della rete con iquali ha sviluppato rapporti più stretti.

sservare come gli storici ri-costruiscono il passato, im-parare a trasporre nell’inse-

gnamento la sostanza della storiasenza che ne impallidiscano i conno-tati scientifici, rispondendo tuttaviaalle esigenze della comunicazione frale generazioni, scoprire le pratichedidattiche in cui si addensi il signifi-cato del rapporto fra la storia che sicostruisce ogni giorno e quella chealtri nel tempo hanno vissuto, è ilmodo in cui la rete di Istituti della Re-sistenza ha lavorato [...] ma era neces-sario un centro nazionale di riferi-mento che individuasse strategie dipercorso, formasse competenze, lin-guaggi e pratiche capaci di diventarestrumento per gli interventi, di sem-pre maggiore raggio, sul terrenodell’aggiornamento1.

Con queste parole Aurora Delmona-co, attuale presidente, rievoca le ra-gioni della fondazione del Laborato-rio nazionale per la didattica dellastoria, alla fine del 1983. Dunque ilLandis, associazione di insegnanti eformatori, nasce all’interno di una re-te, quella degli Istituti per la storia delMovimento di Liberazione in Italia,che conta oggi circa 65 “nodi” su tut-to il territorio nazionale2. Tali istituti

O sono nati nel dopoguerra con lo sco-po di raccogliere, conservare e stu-diare il patrimonio documentariodella Resistenza, ma col tempo il te-ma originario si è venuto allargandoall’intera storia contemporanea esempre più si è venuta affermandol’esigenza di confrontarsi con la tra-smissione generazionale, in un pre-sente in rapido mutamento. Dopol’università, la scuola è diventata unodegli interlocutori privilegiati dellarete, che si è dovuta dotare degli stru-menti per dialogare con insegnanti estudenti; il Landis, si potrebbe dire, èstato il luogo dove si è costruito il lin-guaggio adatto a questo scopo, il«centro nazionale di riferimento» dicui Delmonaco parla.

Il laboratorio di storiaErano anni di grande fervore innova-tivo nella scuola: si era avviata la sta-gione delle sperimentazioni; nell’am-bito dell’insegnamento della storia cisi misurava finalmente con la lezionefrancese delle Annales, che portavacon sé l’esigenza di un’apertura dellastoria alle scienze sociali e con ciò po-neva le premesse di uno scardina-mento del tempo lineare e della spa-zialità rigida della storia politico-isti-

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Il Landis - Laboratorionazionale per la didattica

della storiaMaria Laura Marescalchi

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mundusstrutturetuzionale, in favore di una moltepli-cità di durate e di una pluralità di spa-zi. Si affacciava la necessità di passare,nell’insegnamento, dalla storia-rac-conto alla storia-problema; assumevaperciò rilievo l’ambito del saper fareaccanto a quello del sapere, si inco-minciava a parlare di laboratorio distoria:

un luogo e un modo – “fisicamente”

e teoricamente attrezzato – che per-

metta a insegnanti e studenti l’eserci-

zio quotidiano delle loro capacità

operative3.

Il Landis si è misurato con questinuovi bisogni, attraverso la propostadi percorsi di formazione problema-tizzanti, nati dall’incontro della sto-riografia con le esigenze della didat-tica, imperniati su una nuova figura,l’insegnante-ricercatore, non più tra-smettitore di un sapere concluso, maattrezzato, attraverso l’uso di unamolteplicità di fonti e di strumenti fi-no ad allora confinati nell’officinadello storico, a portare in classe

una didattica non ripetitiva [che] de-

ve rendere visibile il modo in cui si

costruiscono le rappresentazioni sto-

riografiche, deve far apprendere il

linguaggio storico4.

La centralità dell’interrogazione dellefonti e dello svelamento dei meccani-smi dell’operazione storica non pote-va che spostare l’attenzione sulla sog-gettività di studenti e insegnanti, sullacentralità della loro collocazione tem-porale nel processo di insegnamen-to/apprendimento della storia, che daquel presente deve partire e ad essodeve ritornare, caricandolo di senso.

Dunque, se è vero che la riflessionedidattica del Landis prende le distanzedall’approccio tutto etico-politico cheaveva caratterizzato gli Istituti neglianni Cinquanta e Sessanta5, è altret-tanto vero che il modello di formazio-ne storica che propone si configuraanche come educazione civile.

Formarsi per formareSu queste linee si sono svolti negli an-ni Novanta i seminari residenziali For-marsi per formare. Pensati principal-mente per offrire nuovi strumenti aidocenti comandati presso gli istitutidella rete, il cui compito sarebbe statopoi di organizzare attività di formazio-ne nei rispettivi territori, essi hanno af-frontato i nodi più importanti e inno-vativi della storiografia, definendo al-cune delle linee portanti del program-ma di ricerca didattica del Landis edell’intera rete: Approcci storiograficialla soggettività (1991/1992), Spazi,tempi, cittadinanze (1994/1996),Quale storia per queste generazioni(1999/2000). Queste attività hannoprodotto non solo “buone pratiche”didattiche, ma anche numerosissimiarticoli e saggi – soprattutto a firma dimembri storici come Aurora Delmo-naco, Scipione Guarracino, MaurizioGusso, Raffaella Lamberti, TeodoroSala – tutti con un denominatore co-mune: la volontà di coniugare ricercastorica, impegno civile e le questioniche il presente pone rispetto al nododella trasmissione e della memoriastorica, nonché una forte attenzionealle soggettività poste in gioco nelrapporto educativo6. Non va trascurato che, in quegli stes-si anni, anche il Ministero dell’Istru-zione era impegnato in un’opera di

3. R. Lamberti, Sulla didattica della storia nellascuola secondaria, in «Italia Contemporanea»,132, 1978, p. 82.4. Ivi, p. 78.5. L’osservazione è di A. De Bernardi, in Discor-so sull’antifascismo, a cura di A. Rapini, BrunoMondadori, Milano 2007, p. 54.6. Molti di questi articoli sono stati pubblicatisu «Italia contemporanea» o su www.novecen-to.org. Tra le pubblicazioni, vale la pena di se-gnalare, in ordine cronologico: le due inchiesteInsegnanti di storia tra istituzioni e soggetti-vità, a cura di E. Guerra e I. Mattozzi (Clueb, Bo-logna 1994), e Interpreti del loro tempo. Ragaz-zi e ragazze tra scena quotidiana e rappresen-tazione della storia, a cura di N. Baiesi e E.Guerra (Clueb, Bologna 1997); Testimoni di sto-ria (Quaderni Miur, Roma 2004), un’opera col-lettanea che contiene gli esiti della ricerca trien-nale Memoria e insegnamento della storia,svolta nell’ambito del protocollo d’intesa Miur-Insmli-Landis (1999/2002).

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7. Gli esiti della ricerca sono usciti in volumecol titolo Quale storia per una società multiet-nica? Rappresentazioni, timori e aspettativedegli studenti italiani e non italiani: un percor-so di ricerca, a cura di E. Guerra e E. Rosso (Bo-logna 2005).8.La Scuola di Pace di Monte Sole sorge nei luo-ghi teatro della strage cosiddetta di Marzabottoe fin dalla nascita, nel 2001, è stata diretta daNadia Baiesi, che, in costante dialogo con i rap-presentanti di un gruppo di associazioni preva-lentemente impegnate nei diritti umani e nelleproblematiche di genere, costituito in Coordi-namento, le ha impresso una ben definita lineaculturale largamente debitrice alla riflessionesviluppata nell’ambito del Landis, riportando-ne lusinghieri apprezzamenti a livello interna-zionale.

svecchiamento dell’insegnamentodella storia e ha riconosciuto nel Lan-dis e negli altri istituti della rete deivalidi interlocutori. Risale infatti aquegli anni il protocollo d’intesa chelega Insmli e Landis al Ministero del-l’Istruzione, in un rapporto di consu-lenza sui temi legati all’educazionealla cittadinanza, che si vorrebbe inuno stretto collegamento con la for-mazione storica, in linea coi docu-menti europei, nonché su curricoli eordinamenti, ambito che ha visto im-pegnati soprattutto Antonio Brusa,Aurora Delmonaco e Maurizio Gus-so. Dal 2001 il Landis è ente qualifi-cato per l’aggiornamento presso ilMinistero dell’Istruzione; inoltre, faparte del Forum delle Associazionidisciplinari della scuola, un organi-smo costituito a Bologna nel 1997con l’intento di dare un contributocritico al progetto di riforma del mi-nistro dell’Istruzione Luigi Berlin-guer, e che da allora si va misurandocon tutte le proposte che dal Ministe-ro arrivano.

Storia, memorie e prospettive pluraliDalla metà degli anni Novanta ad og-gi, la riflessione su soggettività, gene-re, trasmissione generazionale si èsempre più strettamente intrecciatanel Landis a quella sul rapporto trastoria, storie e memorie, dando vitaad alcune esperienze particolarmen-te significative.Da un lato, una ricerca regionale sul-

la nuova società multietnica7, che af-fronta il nodo problematico di qualestoria proporre a classi con allievi edallieve provenienti da altri paesi, por-tando la discussione sugli scenarisuggeriti dalla World History e daglistudi post-coloniali. Dall’altro, la presenza nel Coordina-mento delle Associazioni per la Scuo-la di Pace di Monte Sole8, che haaperto tutto un versante della rifles-sione, legato alla gestione di conflittie memorie e alle potenzialità forma-tive dei “luoghi di memoria”, che sista evolvendo nel confronto conesperienze analoghe incontrate inItalia e nel mondo. Da due anni, infine, il Landis stacoordinando un “laboratorio diffuso”dal titolo Percorsi di storia e memoriatra Argentina e Italia, nell’intento dimettere in rete esperienze diverseper giungere a una rilettura di alcuniaspetti della storia italiana degli ulti-mi due secoli, proiettata su confinipiù vasti, e a un ampliamento del pa-radigma della memoria in ambitoscolastico.

Un futuro possibileL’intento di sistematizzare gli esiti diquesto impegno pluriennale, a bene-ficio dei docenti in formazione, hapreso corpo nel volume curato daPaolo Bernardi, Insegnare storia.Guida alla didattica del laboratoriostorico (Utet, Torino 2006). Qui sipuò osservare un’altra peculiarità delLandis: la volontà di dare spazio a un

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! Il Landis - Laboratorio nazionale per la didattica della storia

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intreccio di voci plurali, unite dallacomune dimensione laboratoriale. Itemi affrontati – già oggetto della col-laborazione con l’agenzia ministeria-le Indire, nell’ampio progetto di for-mazione a distanza dei neoassunti,nell’anno scolastico 2004/2005 – spa-ziano dalla didattica per competenzeal laboratorio con le fonti, dalla rifles-sione sul manuale all’individuazionedi rilevanze storiografiche. Nella se-zione dedicata a metodi ed applica-zioni, appare inoltre la sfida, intra-presa non da oggi, di misurarsi conuna varietà di linguaggi, dalla lettera-tura all’arte, dal cinema al gioco, econ le nuove tecnologie. In questi ultimi anni il mondo dellascuola è cambiato, così come è cam-biato il contesto in cui la scuola ope-ra: l’avvicendamento generazionalesi traduce spesso in minor entusia-smo tra i docenti, vittime di una cam-pagna di delegittimazione senza pre-cedenti; gli interventi ministeriali so-no sempre meno condivisi con gliesperti disciplinari e sempre più di-scutibili; i finanziamenti destinati allaformazione e all’aggiornamento degliinsegnanti sono in progressiva ridu-zione. A tutto ciò si accompagna unuso pubblico dissennato della storia,in una misura forse mai così pervasi-va, amplificato dal moltiplicarsi di“agenzie formative” concorrenti, inun clima di crescente conformismo.A queste difficoltà il Landis sta cer-cando di rispondere, da un lato, pro-ponendosi all’interno di quegli spazie di quelle reti ancora disponibili al

dibattito e alla riflessione per costrui-re occasioni di confronto, dall’altro,consolidando, all’interno della reteInsmli, il proprio ruolo di documen-tazione e disseminazione delle espe-rienze prodotte nell’ambito di un’e-ducazione alla cittadinanza intesa co-me declinazione dell’insegnamentodella storia, non come alternativa.

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Landis - Laboratorio nazionale per la didattica della storiaVia Sant’Isaia, 18 – 40123 Bologna – Tel. e fax: +39 051 333217E-mail: [email protected] Sito web: www.landis-online.it

Accoglie soci individuali (insegnanti, formatori, ricercatori, operatori culturali,ecc.) e collettivi (scuole, associazioni, fondazioni, istituti).Le quote annuali di associazione sono: 25 " per i soci individuali, 100 " per i soci collettivi.

Dispone di una raccolta di manuali scolastici di storia e di materiali didattici suvari supporti, in prevalenza prodotti dal Landis stesso o da istituti della rete Insmli,consultabili in sede dov’è in via di allestimento anche un Archivio di risorse di-dattiche prodotte nell’ambito della rete Insmli.

Ha raccolto, negli anni Ottanta e Novanta, circa 2600 volumi e annualità di 45 pe-riodici attinenti la didattica della storia e i nodi problematici di volta in volta af-frontati. Questa collezione è consultabile presso la biblioteca dell’Istituto regionale“Parri Emilia-Romagna”, che ha sede nello stesso stabile.

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• Ancona DavideUniversità di Genova

• Ardito Raffaella RosaHistoria Ludens, Bari

• Berti Anna EmiliaUniversità di Padova

• Bonfanti CorradoAICA (Associazione italiana per l’informatica ed ilcalcolo automatico)

• Bordini SimoneUniversità di Parma

• Bordone RenatoUniversità di Torino

• Brunelli CatiaUniversità di Urbino

• Brusa Antonio Università di Bari

• Buoncompagni FrancescoUniversità di Macerata

• Cajani LuigiUniversità «La Sapienza», Roma

• Cavalli AlessandroUniversità di Pavia

• Cavalli NicolaUniversita di Milano-Bicocca

• Cigognetti LuisaIstituto Parri

• Dadda LuigiUniversità della Svizzera italiana

• De Lotto IvoUniversità di Pavia

• Detti TommasoUniversità di Siena

• di Palma Maria TeresaDocente Scuola secondaria superiore, Pavia

• Ducati MonicaDocente Scuola secondaria superiore, Trento

• Failli SilviaUniversità di padova

• Ferraresi AlessandraUniversità di Pavia

• Giuliano SilviaISIME (Istituto Storico Italiano per il Medioevo)

• Greco GaetanoUniversità di Siena

• Gui MarcoAssegnista di ricerca, Università di Milano-Bicocca

• Iannone MarioHistoria Ludens

• Lagorio GiovanniUniversità di Genova

• Lauricella GiuseppeUniversità di Siena

• Leprai StellaUniversità di Parma

• Marchese MarioUniversità di Genova

• Marescalchi Maria LauraLandis

• Massaro GiulianaComitato Tecnico Scientifico Ecomuseo «Lis Aganis» (PG)

• Mattozzi IvoUniversità di Bologna e Associazione Clio ’92

• Meo RaffaelePolitecnico di Torino

• Miralles Pedro Università di Murcia

• Mosca LorenzoUniversità Roma 3

• Musci ElenaUniversità di Bari

• Occhini GiulioAICA (Associazione italiana per l’informatica ed ilcalcolo automatico)

• Panciera WalterUniversità di Padova

• Rizzo LauraDottore di ricerca, Università di Bari

• Salza AlbertoMuseo di Etnografia e Antropologia dell’Universitàdi Torino e National Museums del Kenya

• Servetti LorenzaIstituto Parri

• Silvani MarcoSocietà italiana per lo studio della storiacontemporanea

• Sorlin PierreUniveersità Paris-Sorbonne

• Svelto VitoUniversità di Pavia

• Tamburiello MimmaDocente Scuola secondaria superiore, Bari

• Tarantini MassimoUniversità di Siena

• Tutiaux-Guillon NicoleUniversité d’Artois

• Valls PedroUniversità di Valencia

• Viaggio SalvatoreUniversità della Tuscia

• Vizzari Anna RitaDocente scuola secondaria superiore, Cagliari

• Zanasi MarcoUniversità di Bologna

• Zannini AndreaUniversità di Udine

• Zucca ElenaUniversità di Genova

Autori

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rivista semestraleanno II

numero 3-4gennaio-dicembre 2009

Prezzo del fascicoloItalia ! 25,00Estero ! 35,00

Mundus DossierQuesto volume contiene i due numeri del 2009 (il 3 e il 4). È un numerodoppio, dunque, con due temi monografici. Il primo è costituito dal Dossiersulla Rivoluzione digitale, con il quale «Mundus» chiude la trilogia dellerivoluzioni che periodizzano la storia umana: il Neolitico, l’Industrialismo,l’Informatica. Questa raccolta di saggi, curata da Alessandro Cavalli, sisegnala per la sua marcata interdisciplinarità. Una qualità che non puòsfuggire all’insegnante odierno. Si osserverà, infatti, che – dallamatematica alla storia – vi è rappresentato quasi per intero il campodisciplinare della secondaria superiore. I numeri successivi di «Mundus» sioccuperanno dei temi «forti», all’interno di questa periodizzazione. Siinizierà con il Medioevo; seguiranno il Mediterraneo e via via gli altriargomenti che costituiscono la sostanza di un buon programma di studistorici.

Mundus Ricerche monograficheIl secondo tema monografico è uno degli argomenti più scottanti (e menoconosciuti e discussi, dobbiamo dire) che riguardano l’insegnamentostorico: quello della formazione iniziale. Come tutti sanno, il Ministro, dopoaver chiuso con grande prontezza le Scuole di Specializzazioneall’insegnamento Secondario, non è stato altrettanto rapido nel sostituirlecon uno strumento analogo. «Mundus» invita i colleghi e gli insegnanti adutilizzare questa lunga pausa per riflettere sulle esperienze e attrezzarsi peril futuro. Lo fa pubblicando le ricerche dei colleghi della Sisem (la societàdei modernisti italiani), integrate da apporti di colleghi esteri. Questosecondo dossier (Ricerche Monografiche) è curato da Gaetano Greco eWalter Panciera.

Mundus RicerchePer le evidenti esigenze di spazio, il settore ricerche è ristretto. Ma non perquesto meno appetibile. Da una parte, infatti, si inaugura (per «Mundus»)uno dei settori di ricerca più antichi e nobili, della didattica storica: quelloche fa riferimento alla psicologia evolutiva. Anna Amelia Berti, infatti, ci offreuna rassegna sintetica quanto esaustiva di un secolo di studi, divisa in duepuntate (la seconda verrà pubblicata nel prossimo numero). Dall’altra, siprosegue un filone già sondato da «Mundus»: quello della geografia, esegnatamente dei rapporti fra le due discipline. Un tema diventatocaldissimo (lo si dice nell’editoriale) a seguito della riforma degli studi dellasecondaria. Questa volta, l’argomento scelto è la Geopolitica, dal momentoche si presta magnificamente quale campo variamente utile al docente diStoria/geografia/educazione civile.

Mundus LaboratorioQuesto numero, inoltre, si apre con una vastissima sezione di Questioni –dalla Preistoria all’Iraq contemporaneo – che, unita ai contributi riportatinelle sezioni informative di Panorama e Biblioteca, vuole consolidarel’immagine di una didattica della storia aperta al mondo e non confinata aisoli drammi della penisola.Il Laboratorio offre una vasta gamma di attività. Da quelle, specificatamenteper le Superiori, esemplate dal contributo di Monica Ducati, sugli «Zooumani», un fenomeno poco conosciuto ma di grande rilevanza storica e,come potrà constatare il lettore/insegnante, di grandissima portatadidattica; a quelle per le Medie, esemplate dal contributo di AnnaritaVizzari, sull’uso didattico delle tecnologie; a quelle destinate ai colleghidelle Elementari, ai quali Mundus offre un laboratorio/gioco sui Fenici.Strettamente legata al laboratorio, infine, è la descrizione del Landis, ilprimo e più importante laboratorio di didattica storica italiano (Strutture).

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