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MORTI & FERITI - GIUGNO 2006 Mare Affonda un peschereccio, due morti in Adriatico Sarebbe stato un «colpo di mare» a causare l'affondamento del peschereccio «Vito padre», avvenuto nelle acque al largo di Cupra Marittima (Ascoli Piceno), con la morte di due dei tre membri dell'equipaggio, Salvatore Calise, 50 anni, e Luigi Marini, di 60, entrambi di Martinsicuro (Teramo). Sulla base della testimonianza del sopravvissuto, Roberto Di Giacomo, 35 anni, di Giulianova (Teramo), gli uomini della Capitaneria di porto di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) hanno oggi effettuato una ricostruzione dell'incidente, verificatosi intorno alle ore 16, a circa tre miglia dalla costa. Il natante, lungo 18 metri, della marineria di Martinsicuro, si è trovato nel mezzo di una burrasca e avrebbe imbarcato acqua a causa di un'ondata, andando a fondo in pochi minuti. Il Manifesto 1/06/06 Amianto, dieci dal giudice Maniago .Dieci dipendenti della "Zml" industries di Maniago (ex Zamet Zanussi metallurgica) - assistiti e consigliato dall'avvocato Giuseppe Di prima - si sono rivolti al giudice del lavoro Paola Costa, con l'obiettivo di ottenere lo "status" - sulla base di una legge speciale recentemente introdotta - di lavoratori che hanno operato in condizioni e in luoghi particolarmente disagiati e insalubri. Se tale richiesta dovesse essere accolta potrebbero godere di un trattamento particolarmente favorevole ai fini pensionistici, con l'ottenimento fino a 10 anni di contributi (invece di ottenere la pensione a 65 anni l'avrebbero a 55 anni). Contro la richiesta dei dieci dipendenti "Zml" (si tratta di Euro Miniutti; Dalli Miotto; Maria Teresa Martorama; Armando Nevodini; Romeo Biancarin; Valerio De Biasio; Vitaliano Crovato; Pierantonio Crovato; Marzia Marocco; e Fiore Lorenzi) si è costituito l'Inps, con l'assistenza dell'avvocato Bonetti. I dieci dipendenti sostengono d'avere il diritto al privilegio ai fini pensionistici perché hanno lavorato per molti anni a contatto con l'amianto e le polveri di tale metallo, essendo l'azienda maniaghese sprovvista di una serie di aspiratori, che ne avrebbero ridotto l'impatto sulla salute.

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MORTI & FERITI - GIUGNO 2006

Mare Affonda un peschereccio, due morti in Adriatico

Sarebbe stato un «colpo di mare» a causare l'affondamento del peschereccio «Vito padre», avvenuto nelle acque al largo di Cupra Marittima (Ascoli Piceno), con la morte di due dei tre membri dell'equipaggio, Salvatore Calise, 50 anni, e Luigi Marini, di 60, entrambi di Martinsicuro (Teramo). Sulla base della testimonianza del sopravvissuto, Roberto Di Giacomo, 35 anni, di Giulianova (Teramo), gli uomini della Capitaneria di porto di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) hanno oggi effettuato una ricostruzione dell'incidente, verificatosi intorno alle ore 16, a circa tre miglia dalla costa. Il natante, lungo 18 metri, della marineria di Martinsicuro, si è trovato nel mezzo di una burrasca e avrebbe imbarcato acqua a causa di un'ondata, andando a fondo in pochi minuti.

Il Manifesto 1/06/06

Amianto, dieci dal giudice

Maniago .Dieci dipendenti della "Zml" industries di Maniago (ex Zamet Zanussi metallurgica) - assistiti e consigliato dall'avvocato Giuseppe Di prima - si sono rivolti al giudice del lavoro Paola Costa, con l'obiettivo di ottenere lo "status" - sulla base di una legge speciale recentemente introdotta - di lavoratori che hanno operato in condizioni e in luoghi particolarmente disagiati e insalubri. Se tale richiesta dovesse essere accolta potrebbero godere di un trattamento particolarmente favorevole ai fini pensionistici, con l'ottenimento fino a 10 anni di contributi (invece di ottenere la pensione a 65 anni l'avrebbero a 55 anni). Contro la richiesta dei dieci dipendenti "Zml" (si tratta di Euro Miniutti; Dalli Miotto; Maria Teresa Martorama; Armando Nevodini; Romeo Biancarin; Valerio De Biasio; Vitaliano Crovato; Pierantonio Crovato; Marzia Marocco; e Fiore Lorenzi) si è costituito l'Inps, con l'assistenza dell'avvocato Bonetti. I dieci dipendenti sostengono d'avere il diritto al privilegio ai fini pensionistici perché hanno lavorato per molti anni a contatto con l'amianto e le polveri di tale metallo, essendo l'azienda maniaghese sprovvista di una serie di aspiratori, che ne avrebbero ridotto l'impatto sulla salute. Il giudice Costa, esaminate le tesi dell'avvocato Di prima e del collega Bonetti, ha deciso di disporre una perizia tecnica, per valutare la salubrità dei luoghi di lavori e le possibili ripercussioni patite dai dipendenti. Ro

Il Gazzettino – Cronaca di Udine 2/06/06

Turchia. Esplosione in una miniera Muoiono 17 lavoratori

E' di diciassette morti e 5 feriti il tragico bilancio di un'esplosione avvenuta ieri nella Turchia nord-occidentale. Sono stati tratti in salvo, dunque, i cinque lavoratori all'inizio dati per dispersi. Secondo le prime dichiarazioni del governo, a esplodere sarebbe stata una sacca di gas metano, che ha provocato il crollo della volta di due gallerie adiacenti. I 5 superstiti sono stati ricoverati con sintomi di asfissia o di intossicazione ma sono destinati a essere dimessi in tempi brevi. Al momento dell'incidente nell'impianto, situato presso Odakoy nella provincia di Balikesir, si trovavano in tutto 57 minatori: 40 sono stati soccosi dalle squadre di emergenza oppure sono riusciti a raggiungere la superficie per proprio conto. La miniera è gestita dalla società privata Sentas Madencilik. Il mese scorso in una

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tragedia analoga morì un operaio; diciotto le persone rimaste uccise in aprile in un altro crollo, avvenuto in un giacimento di proprietà statale presso Gediz, nell'Ovest.

Il Manifesto 3/06/06

Napoli . Una morte sul lavoro sotto il segno dell'infamia

«Purtroppo non è la prima volta che un operaio rimane vittima di un infortunio sul lavoro e viene abbandonato dai compagni che scappano perché lavorano in nero e non vogliono perdere il posto, anche se precario». Così Ciro Crescentini, dirigente della Fillea Cgil di Napoli, sull'infortunio sul lavoro verificatosi a Torre del Greco (Napoli), dove è morto un operaio di 43 anni. La polizia non ha trovato nessuno sul luogo di lavoro; ipotizza che i suoi compagni siano fuggiti dopo l'incidente.

Il Manifesto 4/06/06

INCHIESTA. Operaio morto in cantiere, sei indagati

(Ro) Operaio stroncato da un infarto mentre lavorava nel cantiere (appalto del Comune di Pordenone) del sovrappasso di via San Vito a Pordenone: seppure come atto a tutela della difesa il pm Francesco Giannone, dopo aver esaminato la relazione dei poliziotti delle "Volanti" e aver chiesto la perizia medico legale, ha iscritto sul registro degli indagati gli imprenditori Mario Franco, 51 anni, di Jesolo; Fiore Zennaro, 57 anni, di Jesolo; Lorenzo Anese, 50 anni, di Mira; Mirco Anese, 47 anni, di Mira; Roberto Saramin, 41 anni, di Jesolo; e Bedri Menga, 38 anni, di Villorba (Treviso). Nei confronti degli indagati – assistiti d'ufficio dagli avvocati Antonio Pollini, Francesco Ribetti, Fabio Pes, Patrizia Rech; Antonio Raffo e Francesco Raengo - gli inquirenti, però come atto dovuto, hanno contestato l'ipotesi d'accusa di omicidio colposo perché, secondo quanto sostenuto dagli investigatori, non avrebbero eseguito gli accertamenti medici preliminari per accertare l'idoneità al lavoro del muratore albanese Xhafer Levani, 50 anni, di Treviso, che è stato stroncato da un infarto, al primo giorno di lavoro, mentre stava trasportando dei mattoni con una carriola. Vani i pur immediati soccorsi del personale del Servizio d'emergenza "118", mentre il medico legale Roberto Campanella - dopo un esame preliminare - ha optato per una decesso determinato da cause naturale (arresto cardiocircolatorio). I poliziotti, messe in evidenza alcune presunte irregolarità (lavoro nero?), hanno informato il pm Giannone che, seppure come atto dovuto, ha iscritto i sei imprenditori e dirigenti del cantiere sul registro degli indagati.

Il Gazzettino - Cronaca di Pordenone 7/06/06

CIRIÈ EX CARTIERA . Morì operaio in cinque alla sbarra

Dal 1971 al 1993 si sono alternati alla guida della Cartiera De Medici di Ciriè, chiusa due anni fa dal gruppo Reno e «delocalizzata» in India. Ora invece Salvatore Cardello, Dario Sampietro, Daniele Sciucca, Pierino Piano e Luigi Brizio si sono ritrovati in un’aula di Tribunale, accusati di omicidio colposo per la morte di un ex dipendente della cartiera, deceduto nel 1998 per mesotelioma epiteliale. Andrea Gatti, questo il nome dello sfortunato operaio, ha lavorato nell’azienda di regione Remondi, a Ciriè, per quasi vent’anni, come addetto elettrico e manutentore della centrale termica della fabbrica. È qui, secondo l’accusa sostenuta dal pm Eugenia Ghi, che il tecnico sarebbe entrato in contatto con le fibre d’amianto, molto usate in quei tempi per foderare tubazioni e impianti

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di riscaldamento. La lunga permanenza in nei locali caldaia, senza che l’azienda avesse adottato nei confronti del dipendente adeguate forme di protezione, sarebbe la causa della grave malattia, una forma tumorale che si sviluppa solo in seguito all’inalazione di fibre asbestose. Oltre al caso di Gatti era arrivata in Procura anche la segnalazione di un altro decesso di sospetta origine professionale, sempre all’interno della De Medici, un operaio morto per tumore ai polmoni. In quella circostanza, però, è stato lo stesso pubblico ministero a chiedere l’archiviazione del fascicolo: l’uomo era un forte fumatore e dato che non si trattava di mesotelioma (la patologia tipica dei lavoratori a contatto con l’amianto) è stato impossibile ricondurre l’origine dalla malattia all’ambiente di lavoro. Nel caso di Andrea Gatti, invece, la Procura è convinta di poter provare le responsabilità dei vertici della Cartiera, anche se il decesso risale al 1998 e la prescrizione incombe. I cinque dirigenti, assistiti dagli avvocati Claudio Morra e Antonio Mucciarelli, si dicono estranei alle accuse e per il momento non hanno risarcito i familiari della vittima. g. bal.

La Stampa - Torino Cronaca 8/06/06

OPERAIO DI 60 ANNI SI FRATTURA UNA GAMBA, RICOVERATO L’uomo è stato travolto da una trave in ferro caduta da un camion

VADO L. Avrebbe potuto avere risvolti più gravi un infortunio sul lavoro accaduto ieri mattina nel cantiere per la ristrutturazione della centrale Tirreno Power di Vado e Quiliano. Erano le 10, quando un camion con dei materiali destinati ai lavori di ammodernamento degli impianti era entrato dai cancelli dell’area perimetrale al sito di produzione di energia elettrica. Uno dei dipendenti di una ditta esterna che ha eseguito il trasporto, Donato R., 60 anni, di Siracusa, aveva cominciato le operazioni di scarico. All’improvviso è stato travolto da una putrella caduta dal mezzo. Il pesante pezzo in ferro gli è finito sugli arti inferiori procurandogli la frattura di una gamba.Il lavoratore è stato subito soccorso dal personale dell’azienda e subito dopo, anche dai medici dell’automedicale del 118 arrivati in zona insieme ai militi della croce rossa di Vado Ligure. Il sessantenne è stato così trasportato all’ospedale San Paolo di Savona dove gli sono state prestate le prime cure da parte del personale sanitario. Secondo gli stessi sanitari del nosocomio savonese guarirà nel giro di un mese. Proprio in questo periodo Tirreno Power vede al suo interno la presenza di alcuni cantieri per una operazione di repowering del ciclo combinato a metano. Inoltre nei giorni scorsi era stata avanzata ai Comuni di Vado e Quiliano sui quali opera il sito produttivo, un progetto di ulteriore potenziamento, attraverso nuove tecnologie, con la realizzazione di una terza unità a carbone da 460 mw, sul quale si è aperto un confronto con amministratori e cittadini della zona. a. am.

La Stampa - Sezione Savona 8/06/06

PIOBESI L’INFORTUNIO MENTRE PORTAVA IL CIBO AGLI ANIMALI Contadino schiacciato da rotoballa di fieno

Un agricoltore di 59 anni è morto schiacciato da una rotoballa di fieno nella sua azienda agricola. La tragedia è avvenuta ieri mattina intorno alle 9, alla periferia di Piobesi Torinese. La vittima si chiamava Giuseppe Nicola, abitava in via cascina Chiabotto 12. Il cadavere dell’uomo è stato scoperto da due vicini di casa, quando si sono avvicinati al fienile. «Stranamente Giuseppe non rispondeva ai nostri richiami, così siamo entrati nella cascina a cercarlo» hanno detto ai carabinieri di Carignano. Hanno guardato in casa, ma non c’era. Nel cortile, poi nella stalla. Infine si sono diretti verso la tettoia del fieno, e lì lo

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hanno trovato riverso a terra. «Non rispondeva più, abbiamo cercato di sollevarlo, ma lui non respirava. Ci siamo spaventati...» . Così i due vicini hanno chiamato i soccorsi: per l’uomo purtroppo non c’era più nulla da fare. Un infortunio sul lavoro, come ne succedono tanti nella campagne. L’agricoltore stava caricando la rotoballa di fieno sul rimorchio del suo trattore. Un’operazione che faceva da anni, compiendo sempre gli stessi gesti, sempre nella stessa maniera. Un lavoro di routine, apparentemente privo di rischi. Il fieno doveva essere portato nella stalla, serviva a dare da mangiare alle bestie. Per qualche motivo Giuseppe Nicola ha incontrato un intoppo: è sceso dal trattore ed è passato sotto la pala meccanica che reggeva il carico, facendo una grave imprudenza. La rotoballa è scivolata di colpo dai sostegni, travolgendolo in pieno. E’ morto così, in solitudine. Nessuno si è accorto dell’infortunio: Giuseppe Nicola non era sposato, viveva da solo nella sua grande cascina alle porte di Piobesi da quando suo fratello era morto nel 1992. Lo conoscevano bene in paese: una brava persona, gentile, cordiale con tutti. Lavorava da mattina a sera, si concedeva pochi svaghi: avrebbe compiuto 60 anni, il prossimo tre settembre. I vicini di casa lo hanno trovato ai piedi del trattore, riverso a terra, sotto la tettoia. Il medico legale dell’Asl 8 che ha effettuato un primo esame sul cadavere, avrebbe riscontrato una lesione alla base del collo. La rotoballa del peso di circa 5 quintali è caduta da un’altezza di un paio di metri. L’agricoltore non ha avuto scampo. Il corpo è stato trasferito nella camere mortuarie di Carignano a disposizione dell’autorità giudiziaria: nei prossimo giorno sarà effettuata l’autopsia, per stabile le reali cause della morte. m. peg.

La Stampa - Torino Cronaca 8/06/06

INFORTUNIO SUL LAVORO L’UOMO, 39 ANNI, STAVA SPOSTANDO UNA PIEGATRICE DI TRE METRI Muore sotto un macchinario A Vaprio d’Agogna un egiziano addetto ad un trasloco

«Occorre intervenire immediatamente per fermare l’aumento degli incidenti gravi sul lavoro». L’appello è di Carlo Colzani, segretario provinciale della Cisl. «Purtroppo in provincia stiamo assistendo ad un consistente aumento di incidenti sul lavoro molto seri. E questo non accade solo nel comparto dell’edilizia, quello più esposto ai rischi, ma anche in altri settori. Occorre - dice Colzani - intervenire subito per affrontare questo problema». Secondo il segretario della Cisl il problema nasce «dalle misure di sicurezza insufficienti che vengono adottate nelle aziende, che sacrificano tutto alla competitività. Gli effetti si pagano però con la morte o le gravi ferite, anche permanenti di troppi lavoratori, a cui si deve una tutela».

m. g. L’azienda di Vaprio d’Agogna: ieri era in corso il trasloco Marcello GiordaniVAPRIO D’AGOGNA . Incidente mortale sul lavoro ieri mattina a Vaprio d’Agogna. un lavoratore egiziano di 39 anni, è stato schiacciato da un macchinario in un’azienda metalmeccanica. Rizk Amr Moustapha Alì era un lavoratore di origine egiziana che risiedeva da tempo a Borgomanero: l’operaio aveva trovato la settimana scorsa un impiego in una agenzia interinale della zona. Il luogo di lavoro era a Vaprio d’Agogna, in un’azienda specializzata nella realizzazione di impianti di condizionamento che si trova nella fabbrica prima occupata dalla «Green air». In questi giorni si sta effettuando il trasloco da un capannone all’altro, un centinaio di metri dietro la strada regionale 229 del lago d’Orta. Ieri mattina erano in pieno svolgimento le operazioni di trasferimento dei macchinari nel capannone, quando è avvenuto il gravissimo.incidente sul lavoro: l’operaio stava spostando una macchina piegatrice, delle dimensioni di circa tre metri di lunghezza, quando all’improvviso l’impianto è scivolato ed ha colpito in

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pieno l’addetto. Il lavoratore egiziano è rimasto ferito in modo molto grave alle gambe ed all’addome, urtati dal pesantissimo macchinario, rovesciato per terra in mezzo al cortile. E’ stato allertato immediatamente il 118 e dalla centrale di Novara è giunto un elicottero con cui il ferito è stato trasferito all’ospedale Maggiore di Novara. Qui i sanitari hanno accertato lesioni gravissime alle gambe ed all’addome e l’operaio è stato ricoverato in prognosi riservata nel reparto di Rianimazione dove gli sono state prestate tutte le cure del caso, ma verso le 17,30 di ieri, l’uomo ha cessato di vivere, in seguito alle gravissime lesioni che aveva riportato. Sul luogo dell’incidente si sono portati anche i carabinieri di Momo, i vigili del fuoco di Borgomanero ed i tecnici dello Spresal dell’Asl 13, il servizio che si occupa in modo specifico delle problematiche degli incidenti sul lavoro. Secondo i primi rilievi condotti dallo Spresal non è ancora stato chiarito che cosa sia successo: non ci sono stati testimoni dell’incidente, e la dinamica è ancora da ricostruire con esattezza. Un lavoro di cui si sta occupando appunto il servizio dell’Asl 13, vista anche la delicatezza del caso, dopo la morte dell’operaio. Rizk Amr Moustapha Alì lavorava a Vaprio da appena sette giorni: la morte del lavoratore egiziano si aggiunge agli altri due incidenti mortali avvenuti nelle ultime tre settimane nel territorio provinciale.

La Stampa - Sezione Novara 8/06/06

GARBAGNA INFORTUNIO . E’ ustionato da una scarica di 15 mila volt

NOVARA . Ancora un incidente sul lavoro dopo quello dell’altro ieri in cui ha perso la vita un operaio egiziano di 39 anni. Ieri pomeriggio, un operaio dell’Enel, di 50 anni, Francesco Torno, mentre lavorava a Garbagna ad una cabina dell’energia elettrica in via Matteotti 76, è stato colpito da una scarica di 15 mila volt. L’uomo è stato sbalzato a terra ed ha riportato ustioni alle mani, per cui è stato ricoverato all’ospedale Maggiore di Novara. L’incidente segue di poche ore la morte di Mustafà Amri Rizk,, l’operaio egiziano che lavorava da solo una settimana presso un’azienda metalmeccanica di Vaprio d’Agogna e che è rimasto schiacciato dallo scivolamento di una macchina piegatrice. «E’ intollerabile che si continui a morire nei luoghi di lavoro in una provincia che dovrebbe essere tra le più attente a livello nazionale in questo settore». Attilio Fasulo, della segreteria della Camera del Lavoro, commenta così la morte di Mustafà. Sull’episodio sono in corso gli accertamenti da parte dello Spresal, il servizio medico dell’Asl 13, e dei carabinieri. Il terzo morto sul lavoro in tre settimane nel Novarese ha suscitato la reazione del sindacato, che chiede il rispetto delle misure di sicurezza: «Bisogna avere maggiore sensibilità per questo argomento - dice Raffaele Arezzi, segretario provinciale della Uil - e fare in modo che le aziende rispettino sempre la normativa». Fasulo osserva che il problema è annoso e di non facile soluzione: «Da anni il sindacato a Novara si batte perchè i luoghi di lavoro siano più sicuri, ma si tratta di una battaglia difficile». Il segretario provinciale della Cisl, Carlo Colzani, lancia una proposta: «Sarebbe opportuno che tutti i benefici ed i contributi pubblici di cui le aziende possono beneficiare venissero condizionati al controllo ed all’applicazione della legge 626 in stabilimento. Sono convinto che avremmo immediatamente meno infortuni e più rispetto della legge». m. g.

La Stampa - Sezione Novara 9/06/06

Morte bianca, nessuna causa

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Non c'era nessuna sostanza particolare che accelerasse una combustione dentro la nicchia in cui stava lavorando Massimo Massarenti, l'operaio di 36 anni morto ustionato nell'aprile scorso ai cantieri navali Visentini. L'ha accertato il perito incaricato dal pubblico ministero Sabrina Duò che sta conducendo le indagini per capire se il saldatore stesse operando in condizioni di sicurezza. L'inchiesta comunque non si è ancora chiusa.

Il Gazzettino - Cronaca di Rovigo 9/06/06

OPERAIO MUORE D'INFARTO TRA I BINARI

Canaro . Si è accasciato al suolo mentre stava spazzando delle canalette che contengono fili elettrici. Mario Cuttini, 47 anni di Treviso, è morto mentre stava lavorando alla linea ferroviaria Rovigo-Ferrara, proprio vicino alla stazione. Nessun incidente, nessun corto circuito, l'uomo è stato colpito da un infarto. È accaduto alle 10.30 di ieri, a duecento metri dalla stazione ferroviaria di Canaro. Cuttini era operaio dipendente della ditta Ceit Impianti Srl di San Giovanni Teatino di Chieti, che stava operando in appalto per le ferrovie in un cantiere che doveva provvedere a qualche rispristino. L'uomo, residente in via S. Pelajo di Treviso, dove viveva da solo, dopo aver sistemato un impianto elettrico, stava ripulendo i binari dai residui lasciati durante la lavorazione. Sarà stato il caldo, o un po' di affaticamento, l'operaio si è in un primo momento seduto per riposare, ma subito dopo si è accasciato a terra. Alle 10.30 è scattato l'allarme al Suem dell'ospedale di Rovigo. All'arrivo dell'ambulanza gli uomini del 118 hanno provato a rianimarlo, ma non c'è stato nulla da fare. Il suo cuore aveva già cessato di battere. Sul posto è intervenuto lo Spisal per i rilievi di rito, così come i carabinieri della stazione di Canaro. Allertato il pubblico ministero Ciro Alberto Savino, non ha potuto far altro che ordinare la rimozione della salma, che è stata trasportata alla camera mortuaria del San Luca di Trecenta. Mario Cuttini era celibe e la sua famiglia aveva già subito un lutto, quello del fratello gemello Paolo nel 1992. Aveva iniziato a lavorare all'età di 16 anni per l'Irt, azienda che si occupava di impiantistica per conto della Telecom, poi acquisita dalla Ceit nel 2000.

Il Gazzettino - Cronaca di Rovigo 9/06706

COLLEGNO INFORTUNIO IN STAZIONE, ALLA FAMIGLIA 325 MILA EURO DI INDENNIZZO . Operaio folgorato: 4 a giudizio

Trecentoventicinquemila euro per la vita di un uomo. È il risarcimento riconosciuto dalla compagnia assicurativa di Trenitalia per la morte di Ernesto Sichera, un operaio specializzato di 57 anni, residente a Torino, morto folgorato nel gennaio del 2001 mentre eseguiva lavori di manutenzione su una motrice nella stazione di Collegno. L’indennizzo è stato formalizzato nel corso dell’udienza preliminare davanti al gup Diamante Minucci, chiamata a stabilire il destino giudiziario dei quattro dirigenti delle ferrovie accusati dalla procura di omicidio colposo. La vedova e i figli di Sichera, assistiti dall’avvocato Emanuel Faletti, hanno preso parte all’udienza ma alla fine non si sono costituiti parte civile, ritenendo soddisfacente il risarcimento extragiudiziale disposto da Trenitalia. Dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio, il gup Minucci ha però stabilito che sussistono tutti gli elementi per rinviare a giudizio i quattro dirigenti: Italo Scarbaci, direttore della divisione Cargo di Trenitalia dello stabilimento di Torino; il direttore della Divisione Infrastrutture delle Ferrovie dello Stato, Giacomo Palmeri; il dirigente dell’Unità Territoriale di Torino Angelo Cantore e il capo-zona di Collegno, Massimo Zambianchi. Nei loro interventi gli avvocati difensori Geo Dal Fiume, Roberto De Sensi, Paolo Davico

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Bonino e Andrea De Carlo avevano invece chiesto il proscioglimento, sottolineando gli errori di procedura commessi dai macchinisti della motrice e dal personale in servizio alla stazione di Collegno. Ma il giudice ha dato più credito alla ricostruzione del pm Marina Nuccio, che sosteneva le responsabilità strutturali di Trenitalia e Fs nella morte dell’operaio. Sichera morì la notte del 12 gennaio 2001, mentre stava intervenendo per riparare il pantografo di un treno merci diretto in Francia, che si era fermato sui binari della stazione di Collegno. In apparenza un lavoro di routine, già svolto centinaia di volte. Ma qualcosa non andò per il verso giusto. Sichera salì sul tetto della motrice e iniziò ad armeggiare con il pantografo, ma dopo pochi istanti una scarica di corrente elettrica lo scaraventò a terra, facendolo precipitare da un’altezza di quattro metri. Il suo cuore si fermò pochi minuti più tardi, mentre lo stavano trasportando d’urgenza all’ospedale Martini. Dopo cinque anni d’indagine e una corposa consulenza tecnica, la Procura ha ravvisato la colpevolezza dei dirigenti, responsabili per i piani di sicurezza obsoleti e inadeguati, per le misure di valutazione del rischio gravemente insufficienti e per la violazione delle norme di prevenzione degli infortuni. Il processo è fissato a novembre. g. bal.

La Stampa - Sezione Aosta 9/06/06

Investito da una fiammata, precipita e muore. La vittima è Adriano Gerardi di San Stino di Livenza. È sopravvissuto solo poche ore a traumi e ustioni

San Giorgio di Nogaro . Cade un pezzo di ferro, le scintille innescano la polvere di magnesio, si alza una fiammata che investe l'operaio . Adriano Gerardi, 56 anni, di San Stino di Livenza, operaio con contratto di collaborazione alla Pometon spa, azienda insediata nella zona industriale dell'Ausa-Corno, è morto ieri pomeriggio, all'ospedale di Udine, poche ore dopo il ricovero. Era stato accolto in condizioni disperate nel reparto di I Terapia intensiva: ogni cura è stata vana, è deceduto per le lesioni riportate nella caduta e le consenguenze dell'ustione. Ieri mattina stava lavorando, assieme a una ditta esterna, alla ripulitura di un capannone da vecchia carpenteteria, su un'impalcatura a oltre tre metri dal suolo. Le strutture della Pometon, uno dei più importanti produttori mondiali di polveri di metallo ferrosi, sono per la gran parte coperte da un sottile pulviscolo di magnesio, residuo anche della precedente attività della struttura. È un materiale particolarmente infiammabile e infatti è bastata la scintilla provocata dal pezzo di metallo al contatto con il suolo per far scoppiare una fiammata che ha investito l'operaio a una temperatura di almeno 1700 gradi. Gerardi d'istinto ha tentato di difendersi il volto e il movimento gli ha fatto perdere l'equilibrio. È precipitato sbattendo pesantemente il capo a terra. Erano da poco passate le 11. Subito soccorso dai compagni di lavoro, verso mezzogiorno è stato trasportato con l'elisoccorso all'ospedale di Udine, dove è stato ricoverato in condizioni gravissime per iltrauma, per ustioni al corpo e in particolare al volto, ma anche per le conseguenze del calore a cui è stato sottoposto. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco di Cervignano, mentre i rilievi e le indagini sono affidate ai carabinieri della stazione di San Giorgio di Nogaro. Il sostituto procuratore Lorenzo Del Giudice ha fatto sequestrare l'impalcatura su cui l'operaio lavorava. La Pometon metal powder fa capo a una holding con sede in Olanda e in Italia dispone, oltre che degli stabilimenti dell'Ausa Corno, di altri due in Veneto, a Maerne e a Marghera. L'attività ha avuto inizio nel 1940 ed è stata oggetto di continui perfezionamenti, aumenti di potenzialità e ampliamenti della gamma produttiva. Dopo gli ampliamenti, gli stabilimenti italiani sono in grado di produrre - grazie a tecnologie più avanzate - una vasta gamma di polveri metalliche quali: ferro, acciaio inossidabile, rame, zinco, stagno, ottone, alluminio,

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magnesio e relative leghe. Le polveri di magnesio in particolare sono ottenute per via metallica in fasi successive partendo, normalmente, da materiale di prima fusione con purezza 99 per cento. Sono utilizzate soprattutto per la desoforazione della ghisa in siderurgia. Polveri e granuli di magnesio immersi o insufflati, eventualmente in miscela con polveri scorificanti basiche, nella ghisa d'alto forno in carro-siluro o in siviera permettono di ottenere bassissimi contenuti di zolfo. Angelo Miorin

Il Gazzettino - Cronaca di Udine 10/06/06

SAN PELAJO. Operaio morto lavorando in ferrovia disposta l'autopsia

(sm) Verranno celebrati martedì o mercoledì nella parrocchiale di S. Pelajo i funerali di Mario Cuttini, l'operaio 47enne stroncato da infarto giovedì mattina, mentre lavorava sulla ferrovia tra Rovigo e Ferrara, nei pressi di Canaro. Anche se parrebbe accertato l'infarto come causa della morte dell'uomo, il magistrato ha comunque disposto l'autopsia per accertare con assoluta certezza la natura del malore. Cuttini, che risiedeva in via S. Pelajo al civico 94/a, lavorava nel settore da giovanissima età. Era stato assunto nel luglio 1975, a 16 anni, dall'Irt, azienda di impiantistica che nel 2000 è convogliata nella Ceit. Cuttini lavorava proprio per la filiale trevigiana di viale IV novembre, con un'esperienza e una professionalità che tutti gli riconoscevano. A Treviso non aveva parenti stretti: i genitori erano scomparsi qualche anno fa, e il fratello gemello Paolo nel 1992. A piangere la sua scomparsa restano zii, cugini e nipoti, che giovedì si sono occupati delle esequie dello sfortunato operaio .

Il Gazzettino - Cronaca di Treviso 10/06/06

CONVEGNO NELL’ASTIGIANO 538 DOMANDE PER OTTENERE I BENEFICI PENSIONISTICI . Nelle aziende a rischio amianto

SAN DAMIANO . Non ricevendo risposte dall’Inail, una trentina di dipendenti dell’O/Cava di Ferrere ha scelto di essere rappresentata da un avvocato. Sono solo alcuni dei lavoratori che negli ultimi anni hanno presentato domanda per accedere ai benefici pensionistici previsti per chi ha lavorato in aziende a rischio amianto. Venerdì sera a San Damiano, in un convegno organizzato dalla Fiom Cgil, ne hanno parlato Giuseppe Morabito, segretario provinciale Fiom Cgil, Claudio Chirchiello della segreteria Fiom, Claudio Caron, ex sottosegretario e promotore della prima legge sull’esposizione all’amianto e Fulvio Perini, ex segretario regionale. «Conoscere per informare» il titolo dell’iniziativa, organizzata a San Damiano perchè sede di molti dei lavoratori impiegati in aziende che presentano tracce di questo materiale. Secondo i dati forniti dalla Cgil, sarebbero 256 mila le domande, a livello nazionale, presentate negli ultimi due anni, 538 in provincia di Asti, di cui 202 tramite la Cgil. Oltre alla fonderia di Ferrere, 82 pratiche arrivano da dipendenti del settore manutenzione delle Ferrovie dello Stato, 39 dall’Avir, 22 dall’Acquedotto del Monferrato, 8 dalla Gianotti Freni di Castello d’Annone, 4 dalla Teksid di Crescentino. Ma l’iter burocratico, si è detto venerdì sera, oltre ad essere molto lungo soffre della nuova legge del 2003, che ha ridotto i benefici pensionistici previsti dalla normativa precedente. «Una legge sulla quale il sindacato dovrà fare chiarezza - ha commentato Caron - oltre a mettere in atto un’azione decisa perchè le domande presentate vengano accettate in tempi brevi». el. f.

La Stampa - Sezione Asti 11/06/06

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INDAGINE I RISULTATI DELLA RICERCA EPIDEMIOLOGICA VOLUTA DAL PROCURATORE AGGIUNTO GUARINIELLO Amianto, la strage dei 622

Gli effetti nocivi dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato sono già noti da almeno un paio di decenni: ex operai morti per aver lavorato a strettocontatto con l’amianto, tumori e patologie respiratorie più numerosi rispetto al resto d’Italia. Ma è leggendo i risultati dell’indagine epidemiologica, disposta dalla procura della Repubblica di Torino e depositata in questi giorni, che ci si rende conto della reale portata del disastro. Gli specialisti incaricati dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, Corrado Magnani e Dario Mirabelli, hanno passato al setaccio la vita dei 3440 operai che tra il 1950 e il 1986 hanno varcato i cancelli della fabbrica che produceva manufatti in fibre d’asbesto. La vita e la morte, perché oltre 1800 fra quelle «tute blu» ormai non ci sono più. Secondo le indagini della Procura almeno un terzo di loro sono deceduti per malattie strettamente connesse all’amianto: asbestosi, mesoteliomi pleurici e peritoneali, tumori polmonari. Il pm Guariniello ha inserito i nomi dei 622 lavoratori morti nel fascicolo a carico dei fratelli svizzeri Thomas e Stephan Schmidheiny e del barone belga Jean-Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, cioè i proprietari della multinazionale che negli anni ‘60 e ‘70 diventò leader mondiale dei prodotti per l’edilizia a base di fibre d’asbesto. Questi attempati e facoltosi signori - la famiglia Schmidheiny è considerata la più ricca di Svizzera, mentre il barone è uno dei «Paperoni» del Belgio - sono accusati di reati gravissimi: disastro doloso (secondo la Procura sapevano che nelle loro fabbriche si rischiava la morte), omicidio colposo plurimo, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Le infernali condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento casalese sono rese ancor più chiare dagli altri dati contenuti nell’indagine epidemiologica: tra gli ex operai della Eternit, i ricercatori hanno riscontrato percentuali di tumori polmonari cinque volte superiori alla media nazionale. Poca roba, se paragonato ai mesoteliomi (40 volte in più rispetto alle statistiche italiane) e all’asbestosi (2000 volte in più). Insomma, se i ricercatori avessero svolto la loro indagine in una qualsiasi altra azienda italiana dove non si lavorava amianto, secondo le statistiche avrebbero dovuto trovare un centinaio di tumori polmonari, meno di dieci mesoteliomi e addirittura un solo caso diasbestosi. All’Eternit di Casale il saldo negativo è quindi di 511 morti. Nei prossimi mesi sarà possibile avere i dati anche sul resto della popolazione casalese. L’indagine di Magnani e Mirabelli, infatti, riguarda pure familiari e parenti degli ex lavoratori Eternit e tutte le famiglie che nell’arco di più di 30 anni hanno abitato nelle vicinanze dello stabilimento. Le interviste sono già partite e dalle prime risposte si scopre come a Casale Monferrato l’amianto fosse presente un po’ ovunque. Sui tetti come copertura, ma anche sbriciolato come pietrisco nei giardini, nei cortili e nei sottotetti. Infine si è scoperto che sono entrate in contatto con polveri e fibre cancerogene anche molte donne, in particolare quando spazzolavano o lavavano le tute dei mariti e dei figli operai all’Eternit. La maxi-inchiesta di Guariniello non riguarda soltanto i morti dello stabilimento di Casale: il pm torinese indaga complessivamente su circa 1.300 decessi, molti dei quali registrati a Cavagnolo, Reggio Emilia e Napoli. Anche in questo caso sono state disposte ricerche epidemiologiche per stabilire le cause delle morti. Il procuratore aggiunto procede anche per una ventina di lavoratori italiani defunti per patologie legate all’amianto dopo aver lavorato negli stabilimenti svizzeri di Payerne e Niederurden, ma in questo caso le indagini sono rese difficili dalle autorità elvetiche, che dopo due anni non hanno ancora sbloccato la rogatoria della Procura di Torino. La Suva, l’ente svizzero equivalente all’Inail, si è opposta alla diffusione dei dati appellandosi a «problemi di interesse nazionale». Al posto della vecchia fabbrica dell’Eternit di Casale Monferrato, presto sorgerà un parco

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pubblico. Dopo anni di bonifica, lo scorso 30 marzo sono finalmente incominciati i lavori di demolizione dello stabilimento.

La Stampa - Sezione Aosta 11/06/06

AMIANTO DALL’INCHIESTA DI GUARINIELLO I DATI SULL’ENTITA’ DEL FENOMENO IN CITTA’ DAGLI ANNI ‘50 AGLI ’80 Eternit, morti 622 operai. Intanto altre vittime: ieri la scomparsa dell’editore Numico

CASALE MONFERRATO . L’Eternit ha ucciso a Casale 622 suoi dipendenti (1300 circa in Italia). Lo hanno riferito i consulenti della procura di Torino al pubblico ministero Raffaele Guariniello impegnato nell’inchiesta sui proprietari della multinazionale (i fratelli svizzeri Thomas e Stefan Schmidhaeny e il barone belga Louis De Cartier de Marchienne). Il magistrato aveva affidato a un pool di esperti il compito di quantificare i decessi riconducibili all’esposizione all’amianto. Il conto è arrivato. Per quanto ogni singolo caso sia un dramma e nonostante la frequenza renda ampiamente la consapevolezza della tragedia, quel numero rallenta il respiro e toglie la parola. Ed è, per di più, un dato in difetto, limitato a chi all’Eternit ci ha lavorato. Ma da alcuni anni, ormai, si è constatato che l’amianto colpisce alla cieca. Lo ha fatto anche ieri pomeriggio stroncando il noto imprenditore casalese Giovanni Numico. Un anno e mezzo fa gli era stato diagnosticato il mesotelioma. Ieri ha concluso il suo calvario, di dolore fisico e psicologico, nella data che si era proposto di raggiungere. «Arriverò al mio compleanno» diceva. Così è stato. È morto, nella sua casa in via Alessandria, nel giorno in cui ha compiuto 71 anni. Con lui c’erano la moglie Maria Grazia e la figlia Stefania, oltre i volontari dell'associazione Vitas. Imprenditore da sempre, aveva fondato con il fratello maggiore Bruno (anch’egli stroncato, ancora giovane, da mesotelioma) la catena dei supermercati Vegè. Era quindi passato al settore dell’editoria, socio nella tipografia Diffusioni Grafiche di Villanova. Autonomamente, poi, poco più di 4 anni fa aveva rilevato lo storico settimanale «Eco del Risveglio dell’Ossola» e lo aveva trasformato in bisettimanale con uscite aDomodossola e Verbania. Quando è stata diagnosticata la malattia, Numico non si è fatto illusioni sul futuro, ma, più di tutto, gli pesava non poter organizzare programmi a lungo termine, come era stato da sempre abituato a fare nel proprio lavoro. Ultimamente era molto affaticato e, tuttavia, si era impegnato moltissimo nell’incentivare e promuovere iniziative a sostegno della ricerca, tra cui un'associazione nata in seno al Lions Club. I funerali, non ancora fissati, si faranno a San Maurizio. Tornando all’indagine di Guariniello, vengono evidenziati, per gli ex lavoratori Eternit di Casale, 511 decessi per amianto in più rispetto alla media italiana, a partire dal 1950 fino ai primi anni ‘80. In base alla popolazione della zona, si attendevano 103 casi di tumore polmonare (e ne sono invece stati riscontrati 249), 4 di mesotelioma pleurico (e sono stati 135), 3 di mesotelioma peritoneale (invece sono stati 52), uno di asbestosi (rispetto ai 186, degenerati in decessi per gravi insufficienze respiratorie). E le morti aumentano, sia tra chi ha lavorato a contatto con l’amianto (non solo all’Eternit, anche se questa è la fabbrica dove lo si è manipolato di più), sia tra chi non c’entra per niente. L’oncologa Daniela Degiovanni, medico al S. Spirito e nell'associazione Vitas, riferisce che i nuovi casi sono in crescita: «Fino a un po’ di tempo fa, eravamo intorno ai 25 all’anno, nel 2005 sono stati più di 45». Perché? Perché esplodono adesso quelle lunghe incubazioni (da 10 a 20 a 30 anni) che risalgono al periodo di lavorazione intensiva e del della terribile fibra. Ma per quanto ancora, maledizione, dovrà piangere questa terra?

La Stampa - Sezione Alessandria 11/06/06

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ROCCA D’ARAZZO ARMEGGIAVA VICINO A UN TRATTORE CHE SI E’ MESSO IN MOVIMENTO . Migliora il giovane di Vigliano vittima di un infortunio agricolo

ROCCA D’ARAZZO .Lui, studente del Castigliano, 16 anni non ancora compiuti, pare stesse armeggiando intorno ad un trattore del nonno. Forse il mezzo agricolo si è messo in movimento in un tratto in leggera discesa ed ha rischiato di travolgere il giovane, che nel tentativo di evitare l’investimento, è comunque caduto, riportando gravi ferite. Vittima dell’infortunio un giovane di Vigliano, Marco M.: ricoverato in ospedale ad Asti è stato sottoposto ad un paio di interventi chirurgici. Gli sono stati asportati un rene e la milza, ma, dopo i primi momenti di angoscia, ora sembra che la sua condizione si sia stabilizzata. I medici starebbero per sciogliere la prognosi. Sul posto sono subito accorsi ambulanze e carabinieri. Tra i primi ad arrivare anche il vicesindaco, Pier Luigi Berta. «Abbiamo temuto il peggio - commenta - poi fortunatamente la tempestività dei soccorsi e la forte fibra del ragazzo gli hanno consentito di riprendersi. Gli facciamo tanti auguri di un’immediata guarigione». Resta ora da chiarire l’esatta dinamica. Secondo i primi e ancora sommari accertamenti il giovane, grande appassionato di motori, potrebbe essersi avvicinato al trattore per cercare di riparare un piccolo guasto. Forse il giovane ha inavvertitamente toccato qualche comando e il mezzo si è messo in movimento. f. b.

La Stampa - Sezione Asti 14/06/06

OMICIDIO COLPOSO IL GIOVANE PRECIPITÒ DAL TETTO DI UN CAPANNONE Morte di un operaio «in prestito» Tre costruttori davanti al giudice

Nell’economia flessibile del nuovo millennio capita spesso di sentir parlare di lavoratori «in affitto». In prestito, invece, non era ancora capitato. È successo ieri in un’aula di Tribunale e la circostanza non era delle più piacevoli: tre imprenditori sono stati processati per omicidio colposo in relazione a un infortunio mortale, avvenuto a Beinasco il 13 agosto del 2003. La vittima, Viorel Dumitrescu, un giovane operaio romeno residente a Scalenghe con la famiglia, morì in ospedale dopo essere precipitato dal tetto di un capannone, alto circa 9 metri. Viorel era dipendente, come addetto alle pulizie, della ditta Electric Mas di Collegno, ma quel giorno era stato «prestato» dal suo datore di lavoro a un altro artigiano, Gerard Iapicca, impegnato in lavori di riparazione del fabbricato in strada comunale dei Boschi 10, a Beinasco. Iapicca, difeso dagli avvocati Gebbia e Bortolotto, è comparso ieri davanti al giudice Paola Trovati per rispondere alle domande del pm Nicoletta Quaglino, che lo accusa di omicidio colposo. Insieme con Iapicca rispondono dello stesso reato anche il titolare della Electric Mas, Michele Sergio (avvocati Rossomando e Strumia); e il committente dei lavori - nonché proprietario del capannone - Renzo Imasso (avvocato Gilestro). La vedova di Dumitrescu si è costituita parte civile. «Stavo eseguendo un lavoro per la Electric Mas - ha spiegato Gerard Iapicca in Tribunale - ma siccome c’era stata una piccola tromba d’aria che aveva scoperchiato il capannone di Beinasco, avrei dovuto dare la precedenza a quel lavoro. Il signor Sergio mi chiese di terminare la riparazione che stavo eseguendo da lui, dicendo che poi mi avrebbe dato uno dei suoi operai per aiutarmi ad aggiustare il tetto». Il pm Quaglino: «Ma lei conosceva la qualifica professionale di Viorel Dumitrescu?». Iapicca: «No, ma l’ho visto salire sulla scala e mi sembrava che avesse esperienza di lavori di quel tipo». Secondo l’accusa, quando è caduto l’operaio romeno non indossava alcuna misura di protezione, come hanno rilevato gli ispettori dell’Inps dopo l’incidente. «Aveva l’imbragatura - ha invece detto Iapicca - ma in quel momento si era seduto a riposare e l’aveva tolta perché gli dava fastidio». Dopo l’incidente l’artigiano ha telefonato a Sergio e alla ditta, poi è corso in strada a chiedere soccorso.

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Perché non ha chiamato subito il 118? «Non so spiegarmelo, in quel momento avevo completamente perso la testa». Si riprenderà il 18 settembre.

La Stampa - Sezione Aosta 14/06/06

BASTIA MONDOVI’ LE IMPIEGATE: «I COLLEGHI HANNO OTTENUTO IL RICONOSCIMENTO» Lavorarono con l’amianto

BASTIA MONDOVI’ . «Siamo state vittime di un'ingiustizia. Ora pretendiamo chiarezza». Sono parole dure, quelle pronunciate da Edda Bertola, Emiliana Bonelli, Wilma Botto, Franca Maia e Patrizia Spino, ex dipendenti delle fonderie Subalpine-Tecnocast, l'azienda di Bastia Mondovì fallita nel 1991. Tutte sono state a contatto con l’amianto e, con 32 dei cento lavoratori rimasti in ditta al momento del fallimento, hanno chiesto all’Inail il riconoscimento dell’esposizione. Risultato: solo la loro domanda è stata respinta. «Eppure - dicono - svolgevamo le stesse mansioni dei colleghi. Loro, però, sono quasi tutti uomini». Aperte nel 1972, le fonderie Subalpine di Bastia erano specializzate nella fusione di pezzi di ghisa. Nell'91, a due anni dal passaggio alla Tecnocast, il fallimento. «All’epoca nessuno sapeva che l’amianto provocasse l’asbestosi, gravissima malattia delle vie respiratorie - raccontano le cinque donne -. Eravamo impiegate negli uffici, tranne Patrizia Spino, ma prima siamo state operaie, a contatto con le lastre di amianto. Nello stabilimento, inoltre, non esisteva una divisione in reparti». Nel 2003 le cinque donne e altri 32 lavoratori hanno avanzato all’Inail la richiesta. Per ottenere il beneficio (restituzione del 50 per cento dei contributi versati e anticipo della pensione), il requisito minimo era avere lavorato nella stessa azienda per almeno dieci anni. «Siamo state dipendenti delle fonderie per oltre 14 anni - aggiungono -. Fra i colleghi che hanno ricevuto il beneficio, ci sono un dirigente e altri impiegati. Solo a noi l'Inail ha sempre risposto in modo negativo. Dopo l’ultima volta, a maggio, abbiamo presentato ricorso tramite l'Inca». Il direttore dell'Inca, Emilio Ciuccio: «Il curatore fallimentare delle fonderie ha descritto genericamente le mansioni dei lavoratori. Ciò può avere provocato la concessione del beneficio ad alcuni e non ad altri che rivestivano lo stesso incarico». Si può parlare di discriminazione? Risponde: «Direi di sì: quasi solo uomini hanno ottenuto il riconoscimento». «Forse c'è stato un disguido - dice il direttore dell'Inail, Domenico De Stefanis -. Sono disponibile a rivedere le pratiche». La replica delle cinque donne: «Vogliamo sapere perché ci hanno escluse. La nostra salute vale quanto quella degli altri».

La Stampa 14/06/06

Grave infortunio sul lavoro

Grave infortunio sul lavoro è avvenuto l'altro ieri sera al municipio di Gavazzana. Giulio Repetti, 72 anni, di Novi, titolare della ditta Telecom-Sat di Novi Ligure che si occupa di installazioni di antenne, aveva appena terminato di posizionare una parabolica sul tetto del municipio, ma mentre scendeva da una lunga scala a pioli, ha perso l'equilibrio cadendo a terra. Repetti ha battuto violentemente il capo ed è stato trasferito con il servizio di elisoccorso all'ospedale di Alessandria. Dopo essere stato visitato dai medici del Dea e sottoposto ad un lieve intervento chirurgico, è stato ricoverato nel reparto di ortopedia, ma nella notte le sue condizioni si sono ulteriormente aggravate e pertanto i medici ne hanno disposto il trasferimento nel reparto di terapia intensiva, dove si trova tuttora, in prognosi riservata.g. fo.

La Stampa - Sezione Alessandria 14/06/06

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PROCESSO EX BREDA. Il perito dell'accusa : «Quattordici casi certi di morte correlata all'esposizione all'amianto»

Per l'accusa le morti da amianto , oggetto del processo contro i vertici dei cantieri navali ex Breda, ora Fincantieri, sono certe. Ieri in aula bunker a Mestre, Valeria Ascoli, patologa dell'Università La Sapienza di Roma, consulente del pubblico ministero Gianni Pipeschi, ha illustrato gli elementi che costituiscono le diagnosi di malattia degli operai oggetto del processo. Complessivamente nel procedimento sono inclusi quattordici casi di morte: dodici per mesotelioma pleurico (il tipico tumore da esposizione ad amianto ) e due per carcinoma del polmone (cancro anch'esso associabile all'esposizione ad amianto ). Si tratta di lavoratori dell' ex Breda, in servizio a partire dal 1955 e deceduti a partire dalla metà degli anni Novanta, dopo un lunghissimo periodo di latenza della malattia: Mario Bragato, Gino Causin, Sigfrido Chinellato, Giorgio Faraon, Pier Umberto Favero, Dino De Pieri, Guerrino Maguolo, Gianni Scaggiante, Ivone Semenziato, Bruno Stocco e Alfonso Vianello.Ma nel processo, tra le morti contestate, ci sono anche quelle di tre donne: Cecilia De Pieri, Jolanda Gianni e Guerrina Pizzato, ammalatesi perché per trenta, quarant'anni hanno lavato le tute da lavoro dei mariti e perciò esposte anch'esse all'inalazione di fibre di amianto . Ascoli ha esaminato dettagliatamente, davanti al giudice monocratico Barbara Lancieri, i documenti relativi ai vari casi raccolti dalla Procura di Venezia, utilizzando criteri scientifici ufficialmente riconosciuti. "Si tratta di referti con risultati di esami specifici che testimoniano una diagnosi certa - ha spiegato l'esperta. - E le diagnosi sono state suffragate ulteriormente anche dal fatto che purtroppo la sopravvivenza dei soggetti malati è stata poi breve, tra gli otto ed i dodici mesi".Nelle scorse udienze anche Enzo Merler, responsabile del Registro dei Mesoteliomi del Veneto, chiamato a deporre dal pm Pipeschi, aveva affermato che per le diagnosi, il Registro tiene conto degli esiti delle analisi istologiche o citologiche effettuate su campioni di tessuto prelevato dalle persone malate, ma fondamentale è anche la ricostruzione della storia lavorativa degli individui.In generale il mesotelioma non è associabile al fumo ed è confermato che insorge a seguito di una esposizione ad amianto prolungata nel tempo.Gli interventi dei consulenti del Pm sisusseguono ormai da mesi e stanno ricostruendo le condizioni di lavoro all'interno dei cantieri navali e la correlazione tra esposizione ad amianto e i casi di morte contestati. Le prossime udienze in calendario prima della pausa estiva sono previste il 28 giugno ed il 12 luglio. Nicoletta Benatelli

Il Gazzettino Cronaca Venezia - Mestre 15/06/06

POZZUOLO. Nell’incidente, avvenuto nello stabilimento nel giugno 2003, perse la vita Diego Servidio. Autista morto, patteggia un gruista Rinviati a giudizio quattro addetti dell’Abs e il titolare della "3C Cargo" di Cividale

Pozzuolo . Il 20 giugno di tre anni fa Diego Servidio, 31 anni, di Cividale, da pochi giorni autista della "3C Cargo" di Cividale, perse la vita in una delle tante tragedie del lavoro. Il giovane era andato in azienda molto presto e assieme al collega Albano Muradore aveva raggiunto l'Abs di Cargnacco per caricare manufatti d'acciaio. Ma alle 7.10 Servidio fu travolto da un carico di barre d'acciaio mentre operava nel reparto "condizionamento" e morì quasi due ore dopo all'ospedale di Udine per le gravi lesioni subite. Ieri, il Giudice per le indagini preliminari Paolo Lauteri ha rinviato a giudizio (il processo si celebrerà il 16 ottobre prossimo) per omicidio colposo Giacomino Osella, 50 anni, BorgoValsugana, sino al 23 aprile 2003 delegato del Cda dell'Abs con ampi poteri in materia d'igiene e sicurezza del lavoro; Roberto Bissacco, 41 anni, Colloredo di Prato, via Udine 70, all'epoca dei fatti delegato del Cda in materia d'igiene e sicurezza del lavoro, sia pure

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limitatamente ad alcuni reparti, tra cui il "condizionamento"; Renzo Doret, 45 anni, Coseano, via della Pace 11, dirigente responsabile del laminatoio-condizionamento; Sergio Iacuzzi, 51 anni, Bertiolo, via della Vigna 3/6, preposto al reparto di condizionamento (tutti assistiti da Giuseppe Campeis); e Ranieri Mungherli, 37 anni, Pradamano, via Toscanini 22, amministratore unico della "3C Cargo di Cividale" (assistito da Nunzia Barra del Foro di Tolmezzo), che secondo l'accusa avrebbe omesso di adottare misure necessarie ad evitare incidenti "interfacciandosi" con i responsabili della prevenzione infortuni dell'Abs. La difesa ha invece scelto di chiedere lo stralcio della posizione di Claudio Fasan, 50 anni, Lumignacco di Pavia di Udine, via Pascoli 58, il gruista in servizio quella mattina all'Abs che ha patteggiato 6 mesi con la condizionale, pena sospesa. Secondo l'accusa, Fasan avrebbe affrettato le operazioni in maniera imperita e imprudente, avendo spostato la gru senza attendere che i due camionisti, tra cui Servidio, scendessero dal camion. Il giudice Lauteri ha inoltre ammesso tutte le parti civili (i genitori di Diego Servidio, Michele e Velia e un fratello, Rudi), costituitesi con l'avvocato Carlo Monai di Cividale.

Il Gazzettino Cronaca di Udine 16/06/06

L’incidente sul lavoro costò la vita ad un operaio di Oriago mentre caricava una nave . Morte al Porto, chiesti 5 rinvii a giudizio

(m.f.) Cinque richieste di rinvio a giudizio per omicidio colposo. Le ha chieste il sostituto procuratore Antonio Pastore nei confronti di altrettanti indagati che, a vario titolo, avrebbero per negligenza, imprudenza o imperizia provocato l'incidente sul lavoro che il 24 aprile 2004 costò la vita ad un operatore portuale all'interno del porto industriale a Marghera. La vittima è Mauro De Gobbi, 53 anni di Oriago, il quale stava lavorando assieme ad altri colleghi al carico della nave cipriota Patraikos II, diretta in Iran. Mentre caricavano una serpentina per forni elettrochimici pesante 28 tonnellate, accadde la tragedia: il carico si sganciò colpendo in pieno il poveretto, che morì in ospedale poche ore più tardi. Il magistrato che ha coordinato l'inchiesta aveva formulato l'ipotesi di omicidio colposo e di violazione di alcune norme contro gli infortuni nei confronti dell'amministratore delegato della LP, società che fabbricò la struttura di supporto della serpentina, del progettista della stessa, nel coordinatore delle operazioni di banchina e del responsabile delle operazioni di coperta sulla nave. La consulenza tecnica disposta dal Pm come "accertamento tecnico irripetibile" ed eseguita dagli ingegneri Pierluigi Zamuner e Tiziano Gomirato concluse che la struttura di supporto della serpentina sarebbe stata dimensionata in modo "manifestamente erroneo e inadeguato rispetto al peso della serpentina", e che inoltre non sarebbero state rispettate alcune misure di sicurezza sulla banchina nella quale veniva effettuato il carico delle merci. La moglie della vittima, Stefania, e i tre figli sono assistiti dall'avvocato Augusto Palese e molto probabilmente chiederanno la costituzione di parte civile nell'eventuale processo. L'udienza preliminare si svolgerà il 21 settembre dal giudice Licia Marino.

Il Gazzettino 16/06/06

VALSUGANA DI SANGUE. L’incidente all’alba di ieri, forse per un colpo di sonno dell’autista. La vittima era trevigiana come i compagni, feriti. Schianto all'alba, operaio dilaniato dal guard-rail A Nord di Primolano il furgone su cui viaggiava con due colleghi è uscito di strada piombando su un tratto di barriera

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Bassano . Lo sperone del guard-rail ha sventrato il furgone e dilaniato un uomo. Poco prima dell'alba di ieri tre operai trevigiani sono stati protagonisti di uno spaventoso incidente, in Valsugana: uno è morto , gli altri due sono rimasti gravemente feriti. La vittima è Luigino Piva, 53 anni, di Onè di Fonte; i feriti sono Lino Rech, 55 anni, di Monfumo, e Loris Gallina, 26 anni, di Asolo. Il mezzo, un Peugeot, apparteneva alla ditta "Pellizzer" di Onè che, tra altri incarichi, ha quello della manutenzione delle arterie in Trentino. I tre addetti, durante la notte, erano stati appunto a lavorare in quella regione e ieri, alle 5.30, stavano tornando verso casa. Guidava Lino Rech. Appena entrati in Veneto, sulla ss. 47, immediatamente a nord di Primolano di Cismon del Grappa, il camioncino, per regioni ancora ignote, è sbandato paurosamente ed è piombato su un tratto di barriera stradale. La chiglia del guard-rail è entrata nei veicolo squarciandolo quasi fosse un giocattolo di latta. Luigino Piva è morto sul colpo, i due compagni hanno subìto gravi traumi. Scattato l'allarme, sul posto sono accorsi sanitari, poliziotti, pompieri. Questi ultimi hanno estratto a fatica i feriti dalle lamiere contorte e poi hanno dovuto lavorare per due ore per recuperare il corpo della vittima, tremendamente devastato e incastrato. I vigili hanno dovuto tagliare a metà la carcassa distrutta del Peugeot e interi pezzi di guard-rail. Lino Rech è stato portato all'ospedale di Bassano. Le sue condizioni erano delicate, ma durate la giornata di ieri si è leggermente ripreso: una prima prognosi parla di 45 giorni. Loris Gallina è stato ricoverato a Feltre: pure lui è in situazione seria ma non in pericolo di vita. Gli uomini della Polstrada di Bassano hanno eseguito i rilievi e disciplinato il traffico, che ha subìto pesanti rallentamenti. Di fatto la statale è stata riaperta alle 8. Inspiegabili, si diceva, le cause del drammatico sinistro. I tre operai avevano effettuato lavori impegnativi ed erano sicuramente stanchi: forse il guidatore ha avuto un colpo di sonno o un malore. Il tragico incidente ha parecchie analogie con quello avvenuto il 4 maggio scorso, sempre sulla "47", a Primolano. In quella occasione Ermanno Carlesso, 48 anni, di Nove, al volante di camion adibito al trasporto latte, si ribaltò e s'infilò con la cabina nello spartitraffico collocato a centro carreggiata. Gli spezzoni d'acciaio fecero scempio. Luigino Piva, molto conosciuto a Fonte, lascia la moglie Sandra Garizzo e i figli Giuliano, 30 anni, sposato, che vive con la famiglia e Andrea, 24 anni, anche lui sposato, abitante a Montebelluna. Quest'ultimo è particolarmente conosciuto nel mondo del calcio perché è stato giocatore della Pievigina e attualmente milita nell' AsoloFonte. Il corpo del povero Luigino Piva sarà composto all'obitorio dell'ospedale di Bassano del Grappa e con ogni probabilità i funerali saranno celebrati sabato. Luigino lavorava da 29 anni alla Pellizzer Costruzioni, che dista un chilometro circa da casa sua. «Al momento la causa dell'incidente pare sia imputabile a un colpo di sonno», ipotizzano i familiari.

Il Gazzettino 16/06/06

Milano. Operaio muore a 24 anni cadendo dal tetto in plexiglas

Grave incidente sul lavoro ieri, vicino a Rho, in provincia di Milano: Andrea L., 24 anni, è morto dopo aver fatto un volo di 15 metri; l'operaio stava rifacendo la copertura in plexiglas del tetto di un'azienda, la Forgiature Vienna di Terrazzano, quando il soffitto ha ceduto. E' risultato registrato al primo giorno di lavoro come dipendente della Gs Coperture, ditta che opera proprio nel bresciano. Il ragazzo, ancora vivo ma già in condizioni gravissime, è stato soccorso da un'ambulanza del 118 e da un'equipe medica dell'Ospedale Maggiore di Milano, trasportata sul posto a bordo dell'elisoccorso. A nulla sono valsi i tentativi dei soccorritori di tenere in vita l'operaio, perché la caduta aveva causato gravi fratture craniche.

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Il Manifesto 20/06/05

SALZANO Per una lampadina che, cadendo dalle mani del giovane operaio, si è rotta provocando l’innesco dei vapori di benzina . Fiamme in officina, ustionati meccanico e cliente . Il primo, che era nella buca, è stato avvolto dal fuoco, il secondo è stato raggiunto al volto.

Salzano . Una tragedia sfiorata a causa di una piccola scintilla. A causa di una piccola distrazione, ieri, un operaio ed un cliente dell'Autofficina De Franceschi di Salzano se la sono vista veramente brutta e sono tuttora ricoverati al reparto grandi Ustioni dell'ospedale di Padova. Uno dei due, è in prognosi riservata. Un incidente sul lavoro successo in mattinata, tra le 10 e le 11, che ha visto protagonisti due uomini che si trovavano all'interno dell'officina di via Villatega 1 (proseguimento di via Roma, la strada che da Salzano porta a Noale). La dinamica ha dell'incredibile: S.D., operaio 21enne di Salzano, sta lavorando ad una vettura con dei problemi al serbatoio della benzina. Per riuscire ad individuare e riparare il guasto, l'automobile viene posta su di un ponte levatore in modo da poterne esaminare il fondo. L'operaio, con l'aiuto di una torcia, si cala nella fossa del ponte e comincia ad effettuare le dovute riparazioni. Ma proprio in questo momento, in una frazione di secondo, accade l'imprevedibile: la lampada, alimentata da una normale pila da 12 volt, sfugge alla presa dell'uomo, cade e si rompe. In un attimo, il corto circuito letale: i vapori della benzina si incendiano a contatto con la scintilla elettrica e le fiamme avvolgono l'operaio che esce come una torcia umana dalla buca infernale. Una lingua di fuoco impazzita colpisce al volto anche P.C., 56 anni di Salzano, conoscente dei proprietari e, forse, cliente e proprietario della vettura. Immediatamente accorre l'ambulanza del Suem che trasporta i due malcapitati al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Mirano. Dopo una prima medicazione, però, i due vengono trasferiti al policlinico della città del Santo e ricoverati al Reparto specialistico con ustioni di 2° grado al 30 per cento del corpo, alle mani ed al volto. Il più grave, secondo il referto medico, sarebbe l'operaio: sul giovane di Salzano, infatti, non è ancora stata sciolta la prognosi. Il titolare, Mauro De Franceschi, è in stato di choc e non rilascia dichiarazioni. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco di Mestre: un intervento a fini di controllo, non essendosi propagato l'incendio né all'interno dell'officina né negli esercizi nelle vicinanze. A svolgere le indagini in merito all'accaduto sono gli uomini dello Spisal dell'Asl 13, l'ente preposto per gli infortuni sul lavoro: sono già in atto le verifiche del caso sul posto, sui metodi e sugli strumenti di lavoro affinchè siano in regola, cioè, con la normativa 626 sulla sicurezza.Davide Tamiello

Il Gazzettino Cronaca di Padova 20/06/06

I DATI: UNO DEI SETTORI PIU’ A RISCHIO E’ L’EDILIZIA DIVISA TRA «CAPORALATO», IMPREPARAZIONE

NOVARA . Sino a un mese fa sembrava un anno più fortunato degli altri ma poi in tre settimane la situazione è precipitata: tre morti per infortunio sul lavoro in pochi giorni. L’anno scorso, uno dei più «neri», il bilancio era stato pesantissimo: sei vittime nei primi sei mesi, poi altre due. Troppe tragedie. Incide il desiderio di risparmiare a tutti i costi ma anche l’ignoranza e le mai morte pratiche del «caporalato», soprattutto in edilizia. «In media si verificano in media cinque-sei decessi all’anno. I dati parlano di un miglioramento, c’è una progressiva riduzione ma i numeri hanno ancora contorni preoccupanti» dice Biagio Calò, direttore del servizio Spresal dell’Asl 13, team di una trentina di tecnici, medici e infermiere. L’anno scorso ha comminato sanzioni per 822 mila

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euro contestando 1022 contravvenzioni (i dati più alti di tutto il Piemonte). I settori di maggiore pericolosità sono l’edile e il metalmeccanico con officine meccaniche e anche rubinetterie e puliture. Da sei anni lo Spresal vara regolari controlli a tappeto nei cantieri edili. Nel 2005 sono stati visionati 149 luoghi di lavoro, effettuati 279 sopralluoghi a carico di 197 imprese e 41 autonomi: in tutto sono state inviate 1954 notifiche per varie violazioni alle norme di sicurezza. I cantieri irregolari erano 112, quelli a norma 37. Un rapporto di tre a uno che spiega perchè l’edilizia paghi un tributo così altro di vittime: l’anno scorso i morti sono stati quattro, nel 2004 due e nel 2003 tre. Ma impressanti sono le cifre dei feriti: soltanto nel 2005 sono stati ben 539 con prognosi di meno di quaranta giorni, quelli più gravi tredici. Perchè? «Risparmiare sulla sicurezza è il modo più semplice e la cultura della riduzione dei rischi si applica meglio in una fabbrica strutturata piuttosto che in un cantiere - premette Calò -. Spesso però si scoprono situazioni di irregolarità generale che incidono anche sulla sicurezza: i ‘’caporali’’ reclutano ancora gli operai nelle piazze, all’alba. Spesso si tratta di manovalanza senza formazione specifica, per lo più stranieri che a volte non si capiscono tra loro perchè parlano lingue diverse». Un’indagine ad hoc dello Spresal ha avuto per oggetto pure le rubinetterie e imprese dell’indotto dove si è valutata la sicurezza ma anche l’uso di sostanze cancerogene come cromoesavalente e nichel. Sono state esaminate 60 aziende del Novarese e 40 del Vco con l’Asl di Omegna, l’Arpa di Grugliasco, il Politecnico di Torino e la Medicina del lavoro di Novara. Su un campione di venti aziende di trattamenti galvanici è stata eseguita un’indagine più approfondita: «Abbiamo svolto - precisa Calò - un monitoraggio ambientale sulle sostanze aerodisperse e uno biologico, prelevando campioni di urine agli addetti a inizio e fine turno». Un altro «fronte» sono i cantieri per la costruzione del treno ad alta velocità: dal 2001 lo Spresal volge controlli regolai coordinando anche le Asl di Vercelli e Chivasso. Nel 2005 i cantieri regolari sono stati 21 contro 29 non a norma, 44 i verbali trasmessi al giudice con 15 lavorazioni sospese e due sequestrate. «I pericoli più ricorrenti sono le cadute dall’alto oppure il rischio di folgorazione - conclude Calò -. Un operaio l’anno scorso è morto così in un cantiere Tav».

La Stampa - Sezione Novara 21/06/06

VERBANIA INTERVENTO CGIL «Legge amianto da estendere alle appaltatrici»

L’ex Montefibre di Pallanza VERBANIA . «Allargamento ad altri reparti per Sisma e Vinavil, nessun altro riconoscimento per Montefibre e ditte appaltatrici esterne». E' quanto emerge dalla relazione della Contarp, l'agenzia regionale per le perizie tecniche dell'Inail, a proposito dell'istruttoria finalizzata all'estensione dei benefici di legge per i lavoratori che hanno lavorato a contatto con l'amianto. I risultati sono stati esposti dalla direzione Inail del Vco ai sindacati, nel corso di una riunione a Gravellona Toce. La Cgil del Vco ha subito emesso un giudizio negativo sul responso che si riferisce alla Montefibre:«Non ci sono altri riconoscimenti rispetto a quanto già previsto. Soltanto per una piccola parte di manutentori meccanici, elettrici ed edili è stata riconosciuta l'esposizione all'amianto». Commento positivo della Cgil per gli esami che riguardano la Sisma e la Vinavil. Qui la Contarp ha ammesso che anche i lavoratori di altri reparti lavoravano in ambienti contaminati dalla polvere di amianto. Pertanto si è allargato il riconoscimento alla «bulloneria» della Sisma e all'«acetico» e al «carburo» della Vinavil. Dicono alla Cgil:«E' incredibile: questo verdetto è proprio uguale e contrario a quello della Magistratura che ha riconosciuto il nesso tra amianto e sviluppo del mesiotelioma (il tumore causato dall'amianto) alla Montefibre e non alla Sisma». Aggiungono i sindacalisti:«Abbiamo chiesto con forza all'Inail che venga riesaminata con maggiore attenzione la questione affinchè si approdi ad una valutazione

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uniforme per tutte le aziende. Se così non sarà cercheremo di battere altre vie fino a quando non arriveremo ad una soluzione positiva». f. r.

La Stampa Sezione Verbania 21/06/06

Morti nei cantieri, nuove vittime. Infortuni a Roma, Vasto e Fermo. La Fillea denuncia il sistema dei subappalti. Ires Cgil: i precari sono più esposti e meno informati

Nuova tragica serie di morti sul lavoro, ieri, con un bollettino che si aggiorna purtroppo senza sosta. A Roma è morto un giovane edile, Carlo Merola, di 24 anni, che lavorava in un cantiere della Roma-Fiumicino. L'operaio è rimasto schiacciato da un mezzo, il battipali, che si è rovesciato; insieme alla sua squadra stava costruendo la complanare per l'accesso alla terza corsia del Grande Raccordo Anulare, al chilometro 7,6 dell'autostrada. A Vasto, nel pescarese, è morto un altro operaio: Giuseppe Di Ilio, 40 anni, è precipitato dal terzo piano di un edificio in costruzione. Stava lavorando con un montacarichi che si è staccato improvvisamente, provocando la caduta del manovratore da un'altezza di circa 10 metri. Di Ilio è morto all'istante, schiacciato dal montacarichi. E ancora: in un'azienda del fermano, a Ortezzano, è morto un altro ragazzo di 24 anni, Andrea Gagliardoni, di Porto Sant'Elpidio. Il giovane è rimasto impigliato con il capo in un macchinario per la produzione del frontale delle lavatrici, all'interno della ditta Assoplast. Intanto, sempre ieri, dall'Ires Cgil è stata diffuso uno studio sulla sicurezza e il lavoro precario: gli «atipici» percepiscono meno i pericoli, perché in genere sono meno formati e informati, e sono perciò più esposti agli infortuni sul lavoro. «Perché le imprese non mettono in sicurezza i lavoratori?», chiede Sandro Grugnetti, segretario della Fillea Cgil laziale: «Nel 2006 - continua - si sono registrati già 8 incidenti mortali nel Lazio di cui 5 a Roma. Lo scorso anno si sono perse ben 20 vite umane, e molti lavoratori hanno lasciato le loro famiglie senza neppure un sostegno economico su cui contare». La Fillea Cgil denuncia il continuo ricorso al subappalto: l'impresa Sif, dove lavorava l'operaio morto sulla Roma-Fiumicino, aveva ottenuto il subappalto dalla società Tonini per la messa in opera dei pali. «Soprattutto nella realizzazione delle opere pubbliche, le grandi società - spiega Grugnetti - una volta acquisiti grandi lavori, impegnano direttamente una quantità di lavoratori che si possono contare sulle dita di una mano. Il resto è formato da una catena di subappalti, utilizzati fuori dai limiti del normale».Dall'Ires invece viene un'analisi preoccupante sul lavoro precario: non solo gli «atipici» sono svantaggiati sul fronte contrattuale, ma sono anche maggiormente esposti al rischio infortuni rispetto ai lavoratori stabili. I precari - spiega l'Ires Cgil - sono infatti troppo preoccupati di perdere il posto per valutare i rischi per la salute e la sicurezza del lavoro. Dalla ricerca emerge che gli atipici, nel 61,9% dei casi, sono molto preoccupati dell'eventualità di perdere il lavoro contro il 15,2% dei lavoratori standard. Il 30,1% dichiara però la totale assenza di rischio nei luoghi di lavoro, contro il 16,9% delle risposte fornite dai lavoratori a tempo indeterminato. Il lavoratore atipico percepisce in misura inferiore ad un suo collega con contratto a tempo indeterminato i rischi a cui è sottoposto. Il 25,2% dei lavoratori manuali atipici non percepisce rischi lavorativi, contro il 15,4% dei manuali a tempo indeterminato. Inoltre, il 23,6% dei lavoratori a tempo indeterminato descrive un contesto lavorativo caratterizzato da fattori di rischio «alto o molto alto», contro solo il 19,4% dei manuali atipici. «Da questo quadro - ha spiegato il presidente dell'Ires Agostino Megale - appare chiaro come adeguate politiche di prevenzione e tutela debbano fare perno sulla formazione e l'informazione sui rischi del lavoro, che spesso la condizione occupazionale non consente di percepire. Si tratta quindi di favorire, tra le imprese, una cultura della sicurezza che sia considerata come un vantaggio, in termini di qualità del

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lavoro e dei processi. Dove c'è meno sindacato c'è più rischio». La scarsità dell'informazione, conclude l'Ires, rende necessario il lancio di una campagna in cui coinvolgere il servizio pubblico della Rai.

Il Manifesto 21/06/06

Sbarca in città la Fondazione "Sosteniamoli subito" . Morti sul lavoro, un aiuto alle vedove e agli orfani

È diventata pienamente operativa, a soli pochi mesi dalla sua costituzione, la Fondazione Anmil "Sosteniamoli subito" onlus per l'erogazione di contribuiti in favore dei familiari superstiti dei lavoratori che sono deceduti nei luoghi di lavoro. L'attività della Fondazione Anmil a Pordenone sarà operativa nella sezione di via Molinari 48/a. Il presidente provinciale Amedeo Bozzer spiega che, «per il completamento della pratica di infortuni o trascorrono in media quattro mesi prima che ai superstiti venga erogata la rendita dall'Inail e, nei casi di famiglie monoreddito, alla tragedia affettiva va ad aggiungersi il dramma di una situazione in cui la stessa sopravvivenza quotidiana diventa un ulteriore problema». La Fondazione comincerà ad attuare i primi interventi, mentre proseguirà parallelamente l'intensa attività di promozione svolta sin dalla sua costituzione, per fare conoscere gli scopi dell'Anmil e sensibilizzare l'opinione pubblica sul grave fenomeno degli infortuni sul lavoro che provoca 4 morti al giorno. «E proprio le condizioni dei familiari, provocate dalle conseguenze di un incidente mortale che molto spesso si sarebbe potuto addirittura evitare - aggiunge il presidente Bozzer -, all'indomani della disgrazia diventano invisibili e rimangono sconosciute ai più, in quanto realtà "scomode" e alle quali si preferisce negare dignità di cronaca pur di salvaguardare gli interessi economici di un mondo imprenditoriale spesso con pochi scrupoli. Purtroppo, la cultura della sicurezza è ancora un miraggio in tanti ambienti di lavoro - commenta il presidente Bozzer - e le piccole e medie aziende, quelle che più facilmente sfuggono ai controlli e dove la manodopera in nero è il sintomo di un business che opera nell'illegalità solo per il proprio tornaconto, provocano la morte di lavoratori giovani e impreparati ad affrontare i rischi del lavoro a cui vengono assegnati. E ancor più triste è dunque il ricatto a cui le famiglie sono costrette a sottostare, nella speranza di uno stipendio che già di per sé fa vivere di stenti, quando poi si rileva una beffa persino l'esiguità della rendita riconosciuta a titolo di risarcimento».

Il Gazzettino Cronaca di Pordenone 21/06/06

Infortunio nel mobilificio: titolare e carrellista sotto processo per lesioni colpose. La vittima chiede danni per oltre un milione di euro.Niente strisce pedonali in fabbrica, due indagati

Finire sotto processo per lesioni colpose e vedersi chiedere un risarcimento da un milione e centomila euro non è cosa da tutti i giorni, ma se poi si è incappati nel tritacarne della giustizia - si è appreso dalla difesa - perché non si è trasformata la fabbrica in una strada, realizzando le strisce pedonali, la questione può diventare un "caso" clamoroso. È quanto sta capitando a un mobiliere, 56 anni, di Maron di Brugnera (guida un'azienda con sede in via Gatti a Pordenone); e al dipendente, 42 anni, di Prata, che guida i muletti. I due, assistiti dall'avvocato Marco Di Benedetto, sono chiamati a rispondere dell'ipotesi d'accusa di lesioni colpose perché - per i pm Daniela Bartolucci e Annita Sorti - il 26 febbraio 2002 - il primo quale amministratore della ditta e il secondo quale magazziniere carrellista – per negligenza, imprudenza e in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni , avrebbero permesso che si operasse nel mobilificio in condizioni tali da non prevenire

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l'incidente nel quale un operaio, 50 anni, di San Daniele del Friuli, venisse investito dal carrello elevatore, riportando ferite gravi, inizialmente giudicate guaribili in oltre 40 giorni (invalidità permanente tra il 45 e il 50 per cento e incapacità lavorativa del 70 per cento). La vittima dell'infortuni o si è costituita parte civile, con l'avvocato Laura Ferretti, chiedendo il mega risarcimento. Per gli inquirenti gli indagati non avrebbero realizzato la segnaletica orizzontale in fabbrica (passaggi pedonali) e di conseguenza le vie di transito per gli operai, contravvenendo alle regole di prudenza stabilite dal Codice della strada. Non solo. Non sarebbe stata regolata la velocità del muletto come stabilito nei corsi di formazione antinfortunistica. Tali condotte fuorilegge - per Procura e Ispettorato del lavoro - avrebbero determinato l'infortuni o dell'operaio di San Daniele che, il 26 febbraio 2003, venne investito dal muletto, riportando un trauma cranico commotivo con fratture multiple e scomposte a femore e gamba sinistra, ma anche al piede destro e al braccio destro. Il pm Bartolucci, esaminate le prove, ha chiesto e ottenuto dal giudice Rodolfo Piccin un decreto penale di condanna da qualche migliaio di euro nei confronti di mobiliere e carrellista . Decreto penale al quale gli indagati, consigliati dall'avvocato Di Benedetto, si sono opposti. Ora la parola passerà al giudice Roberta Bolzoni. Intanto la questione è stata presa in esame dagli esperti dell'Associazione industriali che - trovatisi di fronte a un caso così singolare da poter innescare questioni giuridiche tanto clamorose da investire migliaia di aziende italiane (strisce pedonali in fabbriche, trasformate strade urbane) - vorrebbero veder celebrato il processo. L'avvocato Di Benedetto punta invece a trovare un accordo o quantomeno a smussare le contestazioni degli inquirenti per non creare un caso. In attesa del processo penale o di quello civile l'avvocato Ferretti ha presentato una dettagliata memoria nella quale illustra le conseguenze dell'infortunio. I mesi e mesi d'inattività del cliente, seguiti da vari interventi chirurgici. Ha messo in evidenza i danni fisici permanenti, ma anche quelli patrimoniali, morali, esistenziali, estetici, della sfera sessuale e relazionale patiti dal cliente. Tutto ciò - conclude il legale di parte civile proponendo il risarcimento milionario - determinato dalle condotte che gli inquirenti contestano agli indagati. La questione, indipendentemente dall'opposizione o meno al Decreto penale, farà sicuramente scuola.

Il Gazzettino Cronaca di Pordenone 22/06/06

CASARSA DELLA DELIZIA. Lesioni colpose, Indagato Noé Bortolin

Casarsa della Delizia . Il giudice Roberta Bolzoni, dopo aver ascoltato le testimonianze di due tecnici, sottoposti al fuoco di fila delle domande dell'avvocato difensore Antonio Malattia e del pm Giorgio Cozzarini, ha disposto il rinvio del procedimento penale nel quale Noé Bortolin, 74 anni, di Casarsa della Delizia è chiamato a rispondere dell'ipotesi d'accusa di lesioni colpose. L'indagato, quale presidente del Consiglio d'amministrazione della società "Viticoltori friulani La Delizia" Scarl - secondo quanto ricostruito e sostenuto dal pm Cozzarini - il 30 agosto 2001 a Casarsa, per negligenza e inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, non avrebbe adottato gli accorgimenti per prevenire l'infortuni o sul lavoro nel quale rimase ferito l'operaio Roberto Moras. Il dipendente - sempre secondo quanto ricostruito e sostenuto dagli inquirenti dei carabinieri e dell'Ispettorato del lavoro - venne investito da un getto d'acqua, contenente soda caustica, alla faccia, riportando lesioni, che i medici giudicarono guaribili in oltre 40 giorni (inabilità al lavoro), ma soprattutto un'invalidità permanente alla vista dell'1 per cento. L'infortuni o - secondo gli inquirenti - sarebbe stato innescato da un cattivo funzionamento di una valvola dell'impianto a "Rotogetto" che veniva utilizzato per lavare le vasche del vino.

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Ieri, davanti al giudice Bolzoni, sono sfilati due tecnici che hanno illustrato le caratteristiche il funzionamento dell'impianto a "Rotogetto" per il lavaggio delle vasche del vino. Il magistrato, poste alcune domande, ha poi aggiornato il progetto, quando dovrebbero sfilare gli ultimi testimoni. Procura e difesa, nella prossima udienza, potrebbero formalizzare le richieste conclusive.

Il Gazzettino - Cronaca di Pordenone 23/06/06

Trieste. Infortuni nuovamente in crescita in Friuli

Trieste .Infortuni nuovamente in crescita in Friuli Venezia Giulia. L'allarme arriva dai dati sui primi due mesi del 2006, che evidenziano un aumento dell'8,2\% rispetto allo stesso periodo del 2005. L'incremento dei casi denunciati, se anche i mesi successivi dovessero confermare questo andamento, segnerebbe una preoccupante inversione di tendenza rispetto al triennio precedente, che era stato caratterizzato, nella nostra regione, da un lieve ma costante calo degli infortuni . A preoccupare è anche il confronto con il resto del Paese: l'incremento del Friuli Venezia Giulia è più che doppio sia rispetto al dato complessivo del Nordest (+3,4\%), sia a quello nazionale (+3,7\%). Una recrudescenza che preoccupa parecchio il sindacato, soprattutto alla luce dei ritardi nell'attuazione delle delibere 3926 e 3927 del 2002. Nei due provvedimenti in questione si prevedeva un progressivo potenziamento degli organici dei servizi di prevenzione e sicurezza delle Asl, nonché delle risorse ad essi destinate. «Gli obiettivi di quelle due delibere, confermati ed implementati negli atti successivi di indirizzo annuale della Giunta, sono stati in talune situazioni disattesi e non si sono rispettate le destinazioni dei fondi», denuncia Giuliana Pigozzo della segreteria regionale Cgil. «Abbiamo ripetutamente chiesto all'assessorato di intervenire - afferma ancora la Pigozzo - e di vincolare le risorse stanziate su prevenzione e sicurezza, nonché di accertare eventuali responsabilità da parte dei direttori generali delle aziende. Questo delle risorse vincolate è il criterio da seguire, a nostro parere, anche nell'approvazione del provvedimento attualmente in discussione sul programma di attività consolidato per la gestione del servizio sanitario regionale». Sempre con l'obiettivo di verificare l'utilizzo coerente dei fondi, la Cgil non esclude «la possibilità di sollecitare l'intervento degli organi giudiziari». Anche le imprese vengono chiamate a una maggiore presa di responsabilità. «Fermo restando - precisa ancora la Pigozzo - che nessun miglioramento concreto è pensabile in assenza di un efficace sistema di prevenzione e vigilanza che contrasti ogni forma di illegalità. È anche per questo, del resto, che il sindacato si batte per l'approvazione di una legge regionale sugli appalti».

Il Gazzettino 23/06/06

Infortuni Bergamo e Verona, in 24 ore quattro morti sul lavoro

L'esplosione ha raso al suolo il capannone e ha ucciso sul colpo l'unico operaio che si trovava all'interno. Alcuni lavoratori, sbalzati dallo spostamento d'aria, se la sono cavata con ferite e traumi leggeri. E' successo ieri alla Cosimo Fina, ditta specializzata nella manutenzione di bombole e di serbatoi sotto pressione, nella zona industriale di Terno d'Isola (Bergamo). Nel capannonne erano stoccate bombole di acetilene che l'operaio avrebbe dovuto spostare. Una fuga di gas ha innescato probabilmente una reazione a catena. E' il secondo infortunio mortale sul lavoro in meno di 24 ore in provincia di Bergamo. Giovedì nel deposito della San Pellegrino un camionista tedesco è stato

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investito e ucciso da un muletto in retromarcia. Le operazioni di carico e scarico dei Tir che trasportano in tutta Europa acqua minerale e bevande sono esternalizzate. Le due ore di sciopero, subito proclamate dal sindacato, hanno di nuovo puntato il dito contro gli appalti, «porti franchi» che abbassano sia i salari che la sicurezza. Sempre giovedì, in provincia di Verona, due edili rumeni sono morti, schiantati al suolo da trenta metri di altezza. Stavano lavorando sul campanile della chiesa di Buttapietra. Non avrebbero agganciato il fermo che chiude il cestello della gru. In regola con il permesso di soggiorno, lavoravano come manovali per una ditta veronese. Se erano manovali, non dovevavo stare sulla gru.

Il Manifesto 24/06/06

Infortuni Bergamo e Verona, in 24 ore quattro morti sul lavoro

L'esplosione ha raso al suolo il capannone e ha ucciso sul colpo l'unico operaio che si trovava all'interno.Alcuni lavoratori, sbalzati dallo spostamento d'aria, se la sono cavata con ferite e traumi leggeri. E' successo ieri alla Cosimo Fina, ditta specializzata nella manutenzione di bombole e di serbatoi sotto pressione, nella zona industriale di Terno d'Isola (Bergamo). Nel capannonne erano stoccate bombole di acetilene che l'operaio avrebbe dovuto spostare. Una fuga di gas ha innescato probabilmente una reazione a catena. E' il secondo infortunio mortale sul lavoro in meno di 24 ore in provincia di Bergamo. Giovedì nel deposito della San Pellegrino un camionista tedesco è stato investito e ucciso da un muletto in retromarcia. Le operazioni di carico e scarico dei Tir che trasportano in tutta Europa acqua minerale e bevande sono esternalizzate. Le due ore di sciopero, subito proclamate dal sindacato, hanno di nuovo puntato il dito contro gli appalti, «porti franchi» che abbassano sia i salari che la sicurezza. Sempre giovedì, in provincia di Verona, due edili rumeni sono morti, schiantati al suolo da trenta metri di altezza. Stavano lavorando sul campanile della chiesa di Buttapietra. Non avrebbero agganciato il fermo che chiude il cestello della gru. In regola con il permesso di soggiorno, lavoravano come manovali per una ditta veronese. Se erano manovali, non dovevano stare sulla gru.Il Manifesto 24 giugno 2006

Il lavoro sarà pure «immateriale» ma la salute ce la rimetti lo stessoI risultati di una ricerca sugli operatori di call center. Condotta dai Cobas su un campione di 500 lavoratori: stress, mobbing, insonnia, depressione, gastrite. Ma anche dermatiti

Francesco Piccioni. RomaMorire sul lavoro è sempre l'ipotesi estrema, naturalmente. ma è il punto terminale di una catena di indifferenza per la salute di chi «presta la propria opera» che parte dal momento stesso che un essere umano entra «in azienda». Qualsiasi cosa produca, materiale o «immateriale» che sia. Una situazione resa esplosiva dalla precarietà contrattuale, che è arrivata a squilibrare definitivamente un rapporto di forza già da tempo a tutto vantaggio dell'impresa. «Ritmi e ambiente di lavoro, flessibilità oraria, precarietà»: questa la miscela venefica individuata nella prima inchiesta nazionale sui lavoratori dei call center. Condotta dai Cobas, su basi sociologiche di prim'ordine, ha coinvolto un campione di 500 lavoratori, di diverse società, di tutte le tipologie contrattuali. I risultati sono stati illustrati ieri mattina, a Roma. Ne escono fuori dati pesanti per quanto riguarda lo stress mentale e fisico, le relazioni con i «capi», il mobbing o le vere e proprie vessazioni, fino all'uso di tranquillanti e antidepressivi. Un insieme di disagi che si presta grandemente ad essere minimizzato, confinato tra i piccoli o grandi «fastidi» del vivere associato. Ed è infatti questa, quasi

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sempre, la linea difensiva proposta dalle aziende e avallata da «specialisti» non sempre indifferenti al fascino imprenditoriale. Vito Totire -medico e presidente nazionale dell'Aea (Associazione esposti all'amianto) - legge i dati in perfetta continuità con quel che accade i tutti i luoghi di lavoro. Ricorda che la Ue ha quantificato il danno economico da stress lavorativo equiparandolo a quello della vera e propria infortunistica. E' questo, di fatto, l'unico «argine istituzionale» alla tendenza che vuol cancellare ogni responsabilità di impresa per una vasta tipologia di malattie professionali. Un grande aiuto alle aziende è dato dall'attuale legislazione, che rende estremamente difficile poter dimostrare che una certa patologia è causata da un certo lavoro. Persino nei casi di mesotelioma si è cercato di dimostrare che non era l'amianto il responsabile, ma la sola «predisposizione genetica». La stessa Inail ha ricevuto in questi anni oltre un migliaio di denunce per disturbi «da stress»; ma ne ha riconosciute solo pochissime, e quasi sempre dopo una sentenza di un giudice. La legislazione, infatti, permette alle aziende di nominare un proprio specialista per decidere se è responsabile o non d'aver provocato una determinata patologia in un lavoratore. E quindi l'azienda non paga quasi mai. La soluzione ci sarebbe, e a costo zero: affidare il riconoscimento alle Asl. Un suggerimento per un governo che volesse restituire dignità e tutela al lavoratore.Eppure il lavoro di call center non sembrerebbe, a prima vista, tanto «stressante». Bisogna entrare nel dettaglio dei meccanismi produttivi per rendersene conto davvero. La tipologia di lavoro è altamente standardizzata e parcellizzata, ripetitiva. Ma la ripetizione si applica a una relazione col cliente, che richiede perciò grande attenzione e concentrazione. Le aziende, del resto, hanno attivato i call center proprio per interrompere i rapporti con gli utenti, che volentieri ridurrebbero all'esazione della bolletta. L'operatore, perciò, è nella posizione di dover collegare qualcuno che magari protesta per un disservizio ad un'azienda che non vuole avere rapporti diretti neppure con l'operatore stesso, che infatti «dipende» da altre società. «L'operatore - spiega un ricercatore - è psicologo, venditore, ragioniere, moderatore, centralinista». Deve essere uno che «risolve i problemi» senza avere nessuna certezza di poter risolvere i propri (la «condizione precaria» è talmente generalizzata nei call center da far sentire tali anche i lavoratori con contratto a tempo determinato). Ed ecco allora una serie di microeventi quotidiani che lentamente fanno evolvere patologie comuni a pressoché tutti gli operatori (al 70% donne, comunque). Il carico di lavoro è «sovradosato» per il 70% degli intervistati, la stessa percentuale che lo considera «mentalmente impegnativo», con intervalli di riposo sufficienti solo per il 18%. Sul posto di lavoro non si mangia affatto o lo si fa malissimo, in tempi ristrettissimi; mobbing e vessazioni sono «abituali» o quasi per il 40%. La stanchezza cronica aggredisce il 50%, anche perché il 70% di loro si trova a prendere di continuo decisioni in tempi rapidi. Così il 50% circa è stabilmente depresso, cosa che comporta un 10% di consumatori di antidepressivi; mentre fa uso di tranquillanti il 15%. Ben il 23% accusa patologie varie che riferisce direttamente al lavoro. E anche al luogo fisico (numerosi i casi di dermatiti, pediculosi, ecc). Le aziende ne sono così consapevoli che stanno già correndo ai ripari con annunci tipo: «selezioniamo persone particolarmente resistenti allo stress». Una razza a parte, per non intralciare la produttività.

Il Manifesto 25/06/06

La grande opera uccide Tragedia sull'Autostrada «dei miracoli»: un morto, quattordici feritiUn tratto in costruzione della Catania-Siracusa precipita addosso a venti operai. Uno di loro muore, si chiamava Antonio Veneziano. Era al lavoro da soli tre giorni

Massimo Giannetti. Catania. Erano circa le undici quando ieri mattina sotto l'autostrada in

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costruzione tra Augusta e Carlentini è venuto giù l'inferno: i circa venti operai che in quel momento erano al lavoro sono stati letteralmente travolti dall'enorme ponteggio di ferro e cemento crollato da oltre venti metri di altezza. Poteva essere una strage, ma il bilancio è comunque pesante: un giovano operaio morto e altri quattordici feriti, due dei quali in gravi condizioni. Le cause della tragedia fino a tarda sera erano ancora incerte.Saranno gli operai sopravvissuti a ricostruirle nei prossimi giorni. Al momento si fanno soltanto ipotesi: a provocare il crollo del ponteggio - circa 140 metri - potrebbe essere stato il braccio di una gru-ponte che si è abbattuto sul cantiere; un'altra ipotesi, anche questa al vaglio della magistratura di Siracusa che ha aperto un'inchiesta, è che a originare la tragedia sia stato il cedimento del terreno sul quale era poggiata la stessa gru. Una terza ipotesi, ben più grave delle altre, è che a cedere sia stato lo stesso pilastro di cemento che sorregge il ponte. Per diverse ore si sono temuti crolli a catena su tutto il viadotto in costruzione, lungo circa trecento metri. La tempestività dei soccorsi avrebbe contribuito ad evitare il peggio. E mentre i vigili del fuoco facevano evacuare il cantiere (perché avevano sentito «scricchiolii») dalle macerie venivano intanto estratti miracolosamente illesi una decina di operai. Per due loro compagni le condizioni sono apparse invece subito gravi e sono stati portati di corsa al «Cannizzaro» di Catania, dove sono attualmente in prognosi riservata. Per Antonio Veneziano purtroppo non c'è stato niente da fare: i soccorritori lo hanno trovato già morto sotto le macerie. Aveva 25 anni, era di Messina ed era stato assunto appena tre giorni dalla «Spic» di Treviso, la ditta che sta eseguendo i lavori in subappalto per contro della società «Pizzatorri di Parma», General contractor dell'austostrada dei «miracoli», interamente gestita dall'Anas. Sembra che gli operai fossero regolarmente assunti (almeno questo riferiscono fonti sindacali). Certo è che le condizioni in cui lavoravano non dovevano essere proprio eccellenti. E dopo l'ennesima tragedia sul lavoro intervengono tutte le alte cariche dello stato, dal presidente della repubblica al presidente del senato a quello della camera. Per Giorgio Napolitano il «drammatico bilancio dell'incidente mette in evidenza situazioni inaccettabili sotto il profilo della sicurezza sul lavoro, e richiama alla necessità di una più costante e forte vigilanza per il rispetto delle norme e delle condizioni di lavoro».Fausto Bertinotti e Franco Marini chiedono che venga fatta presto luce su quanto accaduto: «Le istituzioni - dice il presidente della camera - agiscano affinché siano individuate le cause e le responsabilità sociali di questa terribile tragedia, perché si moltiplichino l'impegno affinché venga accolto l'appello del capo della repubblica per il rigoroso rispetto delle norme di prevenzione e sicurezza». Sicurezza e prevenzione che secondo Cgil, Cisl e Uil - che per domani hanno proclamato uno sciopero dei lavoratori della Catania-Siracusa - nei cantieri siciliani lasciano il tempo che trovano: «La verità è che c'è un sistema che fa acqua da tutte le parti - accusa il segretario regionale della Cgil, Italo Tripi -. La Regione oltre a esprimere il doveroso cordoglio, abbia chiaro7 che non può stare a guardare: convochi subito i sindacati e si metta in regola per quello che sono le azioni di sua competenza per rafforzare i sistemi di sicurezza nei luoghi di lavoro e a garantire il rispetto delle norme in materia». «Nel settore delle costruzioni e nell'edilizia manca ogni forma di controllo pubblico - rincara la dose Enzo campo, segretario della Fillea - a fronte di circa 600 addetti necessari in Sicilia alla vigilanza dei cantieri, secondo l'Ispettorato alla sanità, ce ne sono meno di 200». «Governo regionale e Asl sono assenti - aggiunge - e non si preoccupano dei servizi di prevenzione nei confronti dei nostri lavoratori. Da anni denunciamo questa situazione e ad oggi non abbiamo trovato nessuna risposta». Sulla sicurezza e sui tagli ai fondi Anas, i sindacati nei prossimi giorni lanceranno alcune iniziative. La Filca-Cisl critica anche la legge Obiettivo che «abbatte le garanzie di sicurezza consentendo il ricorso al subappalto per il 100% delle opere». Della tragedia

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sull'autostrada il governo riferirà martedì alle commissioni di camera e senato: «I fatti di oggi - dice il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro - dimostrano quanto la gestione ai General contractor sia opaca e poco trasparente e dimostra che la smania di finire i lavori e fare profitti sia controproducente per la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini».Il Manifesto 25 giugno 2006Lavoro Nuovo infortunio a Pisa Muore alla Saint GobainDrammatico incidente sul lavoro ieri a Pisa. Carlo Pratelli, 62 anni, dipendente di una ditta di trasporti, è morto all'interno dello stabilimento della «Saint Gobain». L'incidente sarebbe avvenuto in un'area non gestita direttamente dalla «Saint Gobain», quella di carico e scarico delle merci, gestita dalla ditta di autotrasporti «Mancini» di Cascina, e dalla «Altea». Pratelli, che era alla guida di una motrice, sarebbe entrato nell'area per il carico intorno alle 10.30. L'uomo era sceso dalla cabina della motrice ed attendeva, sul lato destro dell'autoarticolato, che venisse caricata la merce. Quando i due magazzinieri incaricati si sono allontanati per prendere altre casse, hanno sentito un forte rumore. Pratelli è stato trovato sotto tre casse di lastre di vetro del peso complessivo di 6 tonnellate. Il pesante carico è scivolato di lato, probabilmente perché qualcuno, forse la stessa vittima, ha alzato gli stabilizzatori dell'autoarticolato quando ancora non era stato messo in sicurezza.

Il Manifesto 26 giugno 2006

Ieri l'incidente sul lavoro nel cantiere. E oggi parla uno dei due operaiin prognosi riservata: "E' accaduto in un istante, norme di sicurezza rispettate"Catania, stanno meglio i due feriti. Di Pietro: "Poca attenzione alla sicurezza"E' questa, secondo il ministro, l'ipotesi più credibile per il crolloIl Papa oggi all'Angelus ha invocato "più sicurezza su lavoro".

CATANIA - Rimangono stazionarie le condizioni dei due dei 14 feriti nell'incidente sul lavoro di ieri, nel cantiere dell'autostrada Catania-Messina. Giuseppe Langella, 22 anni, e Salvatore Carraturo, di 46, sono quelli che hanno riportato le lesioni più gravi, e che sono ancora ricoverati in prognosi riservata nell'ospedale Cannizzaro di Catania. E intanto il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, punta il dito contro il cantiere. Le cause del crollo sono da attribuire, secondo il ministro, a "poca attenzione verso i sistemi di sicurezza della struttura, ed in particolare della messa in quiete del cemento armato dei pilastri di appoggio". Una affermazione pesante, che lo stesso ministro poche ore dopo renderà più sfumata con una nota nella quale si legge che la causa del crollo precedentemente indicata deve intendersi solo come "un' ipotesi": "Secondo un'ipotesi che sarà posta nei prossimi giorni al vaglio degli esperti - precisa il Ministro - le responsabilità sembrerebbero da attribuire alla poca attenzione verso i sistemi di sicurezza della struttura, ed in particolare della messa in quiete del cemento armato dei pilastri di appoggio. Per la risposta del governo occorrerà aspettare i tempi necessari per l'istruttoria". "Abbiamo nominato la commissione d'inchiesta per l'incidente avvenuto ieri in Sicilia - ha sottolineato Di Pietro - e domani mattina, come prima cosa, si farà il provvedimento. Sono stati nominati l'ingegnere Tullio Russo, Presidente di sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e gli ingegneri Roberto Daniele e Stanislao Tongo, funzionari del secondo dipartimento del Ministero delle Infrastrutture". Oggi sulla vicenda è intervenuto anche il Papa, reclamando una maggiore sicurezza nei cantieri: "Serve maggiore attenzione alle condizioni di sicurezza sul lavoro" affinchè non si ripetano "simili drammatici eventi", ha detto Benedetto XVI all'Angelus, esprimendo anche "il suo profondo dolore" per il grave incidente.

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Carraturo si trova - intubato - nel reparto di rianimazione, dove è stato sottoposto a un intervento chirurgico per la stabilizzazione di una frattura complessa al bacino e di diverse altre fratture. Le sue condizioni sono definite gravi, ma dovrebbe riuscire a superare la crisi. Langella invece è nel reparto di chirurgia d'urgenza, è cosciente e parla tranquillamente, i medici pensano di potere sciogliere la prognosi in breve tempo. Ecco come ha raccontato l'incidente, in cui ha perso la vita un operaio: "All'improvviso ho sentito tutto sotto di me crollare, urla e dolore. Non c'è stato nessun segnale premonitore: ho sentito i colleghi gridare, tutto si è svolto in frazioni di secondo. Un botto e giù a terra....".

L'uomo ha ricordato anche di non aver perso i sensi, durante la tragedia. "Sono rimasto sempre sveglio e presente a me stesso - ha spiegato - ero cosciente, l'unico problema era quello di respirare per la polvere che si era alzata. Abbiamo visto subito il collega morto, lo conoscevamo poco perchè era con noi da meno di una settimana". L'operaio ha escluso però che la responsabilità di quanto accaduto sia dei suoi datori di lavoro: "Nel cantiere tutto era in regola, nessuno ci metteva fretta. I sistemi di sicurezza erano rispettati: lavoravamo con caschi, cinture e tutto il necessario. La tragedia che è accaduta è stata soltanto sfortuna, sfortuna nera". Il Presidente dell'Anas, Vincenzo Pozzi, ha istituito una commissione d'inchiesta che dovrà accertare "in tempi brevi" le "reali cause" dell'incidente avvenuto ieri in un cantiere dell' autostrada Catania-Siracusa, che ha causato la morte di un giovane operaio e il ferimento di altre 14 persone. Inoltre, in base a quanto stabilito dal Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, il Presidente dell'Anas consegnerà lunedì una prima relazione sul crollo.

E intanto domani sarà eseguita l'autopsia sul corpo di Antonio Veneziani, l'operaio morto. La salma è nell'obitorio dell'ospedale Umberto I di Siracusa, a disposizione della Procura della Repubblica.

La Repubblica 25-06-2006

Tragedia annunciata. Napolitano: «E' inaccettabile»Intervengono il capo dello stato e il presidente della camera Fausto BertinottiGli operai travolti dal crollo dell'autostrada. Sotto accusa la legge sui cantieri di Berlusconi, gli appalti, la precarietà

Carla Casalini. Le prime parole del presidente della repubblica Giorgio Napolitano sono per il ragazzo morto sotto il pilone dell'autostrada Catania-Siracusa, Antonio Veneziano, al suo terzo giorno di lavoro, e per gli altri operai feriti, travolti assieme a lui nel crollo dei 140 metri di campata sbriciolati al suolo. Ma Napolitano non si limita ai «sentimenti di profonda commozione, partecipazione al dolore della famiglia della giovane vittima, solidarietà a tutti i lavoratori feriti,e vicinanza all'intera comunità», inviati ieri tramite il prefetto di Siracusa Benedetto Basile. Ma questo certo non emenda il presente-futuro di altri possibili morti e feriti sul lavoro, come quelli di ieri, «una tragedia annunciata», come hanno commentato brutalmente i sindacati. E il capo dello Stato non si è tirato indietro: bene la «tempestività dei soccorsi» ma «il drammatico bilancio mette in evidenza situazioni inaccettabili per la sicurezza sul lavoro».Situazioni «inaccettabili», e molti esponenti di governo e parlamentari si sono uniti alla reazione energica di Napolitano chiedendo inchieste rigorose una vigilanza «più forte e costante per il rispetto delle norme e delle condizioni di lavoro». Il ministro per le infrastrutture Di Pietro è ovviamente intervenuto subito toccando (come nell'intervista qui accanto) un punto nevralgico: i «controllori» del rispetto delle norme nei cantieri. E' la

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rimessa in discussione della «legge Obiettivo» messa in opera da Berlusconi a dicembre 2001, che vantava la «semplificazione delle procedure», tra le quali va annoverata la cancellazione fra controllati e controllori. Ma la legge del centrodestra sui cantieri andrebbe buttata e riscritta, al pari della legge 30, altrimenti è vano, ancorché doveroso, sottolineare come fa il segretario dei Ds Piero Fassino che l'«episodio luttuoso conferma drammaticamente l'urgenza di restituire tutela e sicurezza a un lavoro in questi anni troppo insediato dalla precarietà». L'urgenza imporrebbe allora di cancellare dalla «legge Obiettivo» molti altri capitoli, come quello che consente all'imprese la libertà di appalti e subappalti anche per il centro per cento dei lavori di cantiere. Quanto a quella sorta di stupore sulla realtà di «rischi e pericoli» da lavoro «pure in un paese industriale avanzato» come l'Italia - tema che suscita scandalizzate reazioni anche in altri esponenti politici - fa pensare che Fassino e altri esponenti del centrosinistra non abbiano mai letto relazioni come quella, corposa, prodotta dal ds Carlo Smuraglia in conclusione di un'indagine bicamerale sugli incidenti e malattie da lavoro, all'epoca non lontana del precedente governo di centrosinistra. in quella relazione, dopo le indagini che avevano coinvolto esponenti di tutte le forze politiche, emergeva a chiare lettere, assieme a indicazioni specifiche su come migliorare norme e prassi, anche un appunto di fondo: le cause di violazione della vita dei prestatori d'opera - si diceva - sono intimamente connesse all'organizzazione del lavoro, oggi nella sua forma di deregolazione selvaggia.Il presidente della camera Fausto Berinotti, nel suo lungo passato di dirigente sindacale conosce bene questo «terreno», come traspare dal suo messaggio di ieri, che al messaggio di «dolore per la morte di un lavoratore e il ferimento di molti altri», non è tenero - pur nell' aplomb del suo nuovo ruolo - con la 'politica', le istituzioni, che debbono «agire» mnon «rassegnandosi di fronte alla terribile sequenza di morti sul lavoro», che Bertinotti sa bene lunga e inamovibile senza contraddizione con l'essere l'Italia un «paese industrializzato». Gianni Pagliarini del Pdci martedì riunirà la commissione lavoro che presiede sulla questione bruciante della sicurezza sul lavoro, su cui insiste anche il capogruppo dei deputati verdi Bonelli. Mercoledì sarà volta dell'audizione di Di Pietro sul crollo dell'autostrada alla commissione trasporti della camera. Ma resta, sotteso alle dichiarazioni di alcuni esponenti dell'Unione, a partire dai Ds e dalla Margherita, una contraddizione sui «tempi» per accertare i risvolti della «tragedia»: la necessità che comunque «proseguano i lavori dell'autostrada, fondamentale per la Sicilia». Cche il gioco non si fermi.

Il Manifesto 25/06/06

Edilizia. Morti da record

Osservatorio Fillea Cgil. Dei quasi 1200 infortuni mortali censiti dall'Inail nel 2005, 253 si sono verificati nell'edilizia. Di questi l'osservatorio della Fillea Cgil ne ha monitorati 191. L'indagine sindacale aggiunge qualche particolare alla nude cifre.I 29 morti in Lombardia e i 20 nel Lazio sono in qualche modo proporzionali al numero degli addetti e dei cantieri. Spicca l'anomalia della Calabria, con 14 omicidi bianchi nonostante gli addetti siano molti meno che in Veneto, dove i morti sono stati 9. Una vittima su cinque era immigrata: 36 morti stranieri, tutti tra i 26 e i 35 anni, tutti concentrati nelle Nord e nel Centro Italia. La causa più frequente degli infortuni mortali resta la caduta dall'alto (42%). Un quarto delle vittime è stato travolto da gru, carrelli elevatori o ruspe. Il 10% è morto per il corllo di una struttura, il 9% è stato folgorato.I mesi più «neri» nel 2005 sono stati settembre e ottobre. Le giornate più a rischio sono state il lunedì e il venerdì (ma molti infortuni si sono verificati anche in giorni festivi). Il 46%

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degli infortuni mortali si verifica in tarda mattinata, prima dell'interruzione per il pranzo. Il 12% degli infortuni mortali si è verificato «formalmente» al primo giorno di lavoro. E' l'indicatore più drammatico dell'estensione del lavoro nero in edilizia dove si viene assunti «post mortem». Dall'analisi della Fillea emerge che più l'impresa è piccola, più l'infortunio è grave. Ogni 100 infortuni denunciati in piccole imnprese, 5 hanno provocato menomazioni permanenti. Secondo l'Inail, il costo sociale di tutti gli infortuni ammonta a 28 miliardi di euro, pari a 3 punti di pil. Se si aggiungono le malattie professionali i punti di pil diventano 4.

Il Manifesto 25/06/06

«Appalti, il rischio calcolato» Enzo Campo, segretario della Fillea Cgil siciliana avanza tre ipotesi sul crollo del ponteggio: errore di progettazione, indagini geologiche sbagliate, cattiva qualità dei materiali usati. E accusa il sistema degli appalti e l'assenza dei controlli nei cantieri

Manuela Cartosio. Enzo Campo, segretario della Fillea Cgil Sicilia, parla di «morte annunciata». E, per lui, non è un frusto stereotipo. Annunciata perché «l'errore umano e il caso questa volta non c'entrano nulla». Il crollo del viadotto sulla Catania-Siracusa è figlio «del modello delle costruzioni in Italia». Un modello fatto di appalti a go-go e di mancanza di controlli.Secondo le prime informazioni Antonio Veneziano, l'operaio deceduto, lavorava in quel cantiere da soli tre giorni. E' verosimile?Stiamo verificando. Al momento non sappiamo se Veneziano fosse iscritto alla cassa edile di Messina, dove abitava. Di certo stava lavorando per la Spic di Treviso, specializzata in viadotti. La Spic è una delle ditte a cui la Pizzarotti, general contractor della Catania-Siracusa, ha appaltato l'opera.Cosa può aver provocato il crollo?Avanzo tre ipotesi: un errore tecnico di progettazione del viadotto, una diagnosi geologica sbagliata del terreno su cui poggiavano i piloni, la cattiva qualità dei materiali usati.Sono tutte ipotesi pesanti. Soprattutto l'ultima fa subito pensare agli appalti. Il «massimo ribasso» si ottiene risparmiando sia sulla forza lavoro che sui materiali.E' un'ipotesi inquietante, ma va presa in considerazione. Il sindacato chiede da anni di rivedere la normativa sugli appalti. La catena degli appalti allarga le maglie dei controlli, deresponsabilizza l'azienda capofila, incentiva il lavoro nero, moltiplica l'insicurezza.Le leggi sulla sicurezza del lavoro ci sono. Anzi, secondo alcuni, sono fin troppe efarraginose.Il fatto è che le imprese non le rispettano. Hanno la certezza dell'impunità perché i controlli non vengono fatti. In Sicilia dovrebbero esserci 600 addetti alla prevenzione nei luoghi di lavoro. Ce ne sono meno di 200. Si svuota la funzione dei servizi pubblici di controllo per poi dire che non funzionano. Così la morte nei cantieri è un rischio calcolato. C'è una responsabilità oggettiva delle Asl e anche della Regione Sicilia.Non è una piaga siciliana. Succede così anche nel ricco Nord.E' vero. Questa tragedia poteva succedere anche altrove. Ma al Sud l'assenza dei controlli è metodica e organizzata.Che notizie hai del cantiere dove è avvenuto il crollo?Ci lavorano un migliaio di persone, dipendenti di una decina di aziende. Il sindacato è presente e ha chiesto più volte alla Pizzarotti di mettere sotto controllo l'orario di lavoro. Si fanno turni filati anche di 10 ore e, come si è visto, si lavora anche il sabato.Avete ottenuto qualcosa?Purtroppo no. Il problema è che in una regione che ha fame di lavoro, un posto sicuro

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vicino a casa per due o tre anni è come fare 13 al totocalcio. Se la ditta chiede due ore di straordinario ogni giorno, l'operaio le fa. Spesso anche volentieri, perché qui le famiglie sono quasi tutte monoreddito. Il sindacato e il singolo lavoratore sono in una condizione di oggettiva debolezza di fronte all'impresa. L'autostrada Catania-Siracusa ha permesso a molti specializzati di rientrare dal Nord. Hanno esperienza.La Catania-Siracusa è una delle megaopere della famosa cartina esibita da Berlusconi nelle studio di Vespa.Sì, ma non l'ha inventata lui. E' venuto un anno fa a tagliare il nastro e stop. L'autostrada era in progettazone da anni. Pur di far partire i lavori, la progettazione l'aveva fatta a sue spese la Provincia di Siracusa. L'Anas non aveva i soldi neppure per quella.Per la Catania-Siracusa è stato fatto un appalto da 500 milioni di euro. I soldi ci sono o no? Il cantiere rischia di chiudere per ragioni diverse dal crollo?Il ministro Di Pietro l'ha messa nell'elenco delle priorità. Il che per un verso ci fa piacere, per un altro ci inquieta. Questa è un'opera già in costruzione, i soldi ci dovevano già essere tutti. Non vorrei che dovessimo riconquistarci una cosa che avevamo già conquistato.Di Pietro, Bertinotti e il presidente della Repubblica Napolitano hanno avuto parole dure per questo ennesima tragedia del lavoro.Parole che ci rincuorano perché non sono di circostanza. La nota emessa dal Quirinale contiene un severo richiamo alla vigilanza e i controlli. Di questo, nel dolore, siamo grati al presidente Napolitano.

Il Manifesto 25/06/06

PROCESSO CONTRO ESAME DEL CONSULENTE DI DIFESA «L’esposizione all’amianto può dare reazioni diverse»

VERBANIA . Controesame del consulente tecnico della difesa, professor Marcello Lotti, ieri al processo per l'amianto killer in cui sono imputati di concorso in omicidio colposo plurimo 17 ex dirigenti di «Montefibre spa». Secondo il pm Nicola Mezzina sono responsabili della morte di 13 ex dipendenti del polo chimico di viale Azari, tutti uccisi in epoche diverse da mesotelioma maligno alla pleura per esposizione a polveri e fibre di amianto. Secondo le relazioni dei consulenti difensivi Vito Foa e Carlo La Vecchia (nella scorsa udienza) risulterebbe difficile, anche 30 anni dopo il termine dell'esposizione all'amianto, diagnosticare l'origine del mesotelioma in assenza di sintomi anche se visibile radiologicamente. Ieri il professor Lotti ha ribattuto alle domande del pm ed ha affermato che le risposte immunitarie sono soggettive. «Ogni persona esposta alla medesima concentrazione di amianto - ha aggiunto - reagisce in modi diversi. Non tutti i soggetti esposti contraggono necessariamente il mesotelioma». La pubblica accusa ha replicato che non sono accettabili misure di sicurezza che garantiscano parzialmente la salute dei lavoratori e che, nel caso specifico, dall'amianto si salvino soltanto le persone con particolari caratteristiche immunitarie. «Che 'di amianto si muore' - ha aggiunto il pm - già lo si scriveva nel 1940 e addirittura in un Regio Decreto del 1909, quando ancora i raggi X non erano stati scoperti, si faceva riferimento all'adozione di cautele contro l'amianto». Parti civili al processo sono il sindacato Cgil - Vco e l'associazione «Medicina Democratica». Il processo riprenderà il 4 luglio con la requisitoria dell'accusa; proseguirà il 6 e 10 luglio con le arringhe difensive e di parte civile. Sul tema «Amianto nei luoghi di lavoro, molti esposti, molti morti, risposte parziali», la Cgil - Vco organizza un convegno giovedì 29 giugno alle 9 nell'auditorium della Famiglia Studenti a Intra. Vi prenderanno parte Daniela Gattuso, direttrice Inca Cgil - Vco, Francesco Lembo, responsabile Spresal Asl 14, Sergio Bonetto, legale della «Associazione familiari vittime amianto» di Casale

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Monferrato, Nicola Pondrano, responsabile nazionale Cgil per la vertenza Eternit, Carluccio Alberganti, assessore provinciale Vco. a. r. L’ex Montefibre a Pallanza

La Stampa Sezione Verbania 27/06/06

Nuovo infortunio a Pisa Muore alla Saint Gobain

Drammatico incidente sul lavoro ieri a Pisa. Carlo Pratelli, 62 anni, dipendente di una ditta di trasporti, è morto all'interno dello stabilimento della «Saint Gobain». L'incidente sarebbe avvenuto in un'area non gestita direttamente dalla «Saint Gobain», quella di carico e scarico delle merci, gestita dalla ditta di autotrasporti «Mancini» di Cascina, e dalla «Altea». Pratelli, che era alla guida di una motrice, sarebbe entrato nell'area per il carico intorno alle 10.30. L'uomo era sceso dalla cabina della motrice ed attendeva, sul lato destro dell'autoarticolato, che venisse caricata la merce. Quando i due magazzinieri incaricati si sono allontanati per prendere altre casse, hanno sentito un forte rumore. Pratelli è stato trovato sotto tre casse di lastre di vetro del peso complessivo di 6 tonnellate. Il pesante carico è scivolato di lato, probabilmente perché qualcuno, forse la stessa vittima, ha alzato gli stabilizzatori dell'autoarticolato quando ancora non era stato messo in sicurezza.

Il Manifesto 27/06/06

CANEVA. Dramma alla ditta Allegranzi: un azionista patteggia l’altro è assoltoInfortunio mortale: 8 mesi

Un azionista di riferimento assolto per non aver commesso il fatto, mentre l'altro ha concordato la pena con il pm Annita Sorti (davanti al giudice Rodolfo Piccin): questa la conclusione del procedimento penale nel quale i fratelli Gabriele e Claudio Allegranzi, di Caneva, titolari dell'Azienda "Allegranzi marmi", con sede nell'immediata periferia del centro del paese della Pedemontana, erano chiamati a rispondere dell'ipotesi d'accusa di omicidio colposo. I due imprenditori (noti negli ambienti sportivi per la passione per i rally), assistiti e consigliati dall'avvocato Marco Zucchiatti, erano chiamati a rispondere dell'ipotesi d'accusa di omicidio colposo perché - secondo quanto sostenuto dal pm Annita Sorti, sulla base delle conclusioni del collega Federico Facchin e dei carabinieri di Caneva e dell'Ispettorato del lavoro - il 13 marzo 2003, per imprudenza, negligenza e inosservanza delle leggi sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non avrebbero adottato gli accorgimenti necessari a impedire il verificarsi dell'incidente nel quale perse la vita l'operaio Michel Hasomaj, 23 anni, originario dell'Albania. L'operaio - da quanto emerso nella discussione in aula - stava scaricando una lastra di marmo del peso di svariate centinaia di quintali. Improvvisamente - ha ricostruito l'accusa - il pezzo di marmo si sganciò dal gru che lo movimentava, investì e schiaccio l'operaio, che riportò ferite al bacino e alle gambe, ma soprattutto lesioni interne gravissime. Il personale del "118", accorso velocemente, riuscì a sottoporre Hasomaj a cure intensive e a intubarlo, tanto da stabilizzarne le condizioni e a trasferirlo in fin di vita all'ospedale di Udine con un mezzo dell'elisoccorso. L'operaio resto per alcuni giorni sospeso tra la vita e la morte, ma poi il suo cuore di fermò nonostante il prodigarsi dei medici udinesi. Ieri l'avvocato Zucchiatti, viste le prove in possesso degli inquirenti, è riuscito a dimostrare l'innocenza di Gabriele Allegranzi, mentre per il fratello Claudio ha chiesto e ottenuto di concordare 8 mesi di reclusione, sospesa. Roberto Ortolan

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Il gazzettino Cronaca di Pordenone 27/06/06

Bassano del Grappa . La gru sfonda il soffitto, operaio in fin di vita

Il carico si stacca dalla gru, sfonda il soffitto del capannone e un'intera "capriata" di cemento precipita al suolo, schiacciandolo. Un incredibile incidente ha ridotto, ieri, in fin di vita, Bruno Furlan, 42 anni, di Castelminio di Resana (Tv), e per un pelo non ha coinvolto anche il fratello Maurizio. La disgrazia è avvenuta in un fabbricato industriale in costruzione a Marostica, nei pressi di Bassano. Alle 14.30 alcuni operai dell'impresa edile si sono messi a spostare dei fasci di reti metalliche usando la gru. I fratelli Furlan si sono dedicati invece a trattare il pavimento del capannone con una macchina che liscia e smeriglia il cemento. Improvvisamente un "pacco" di maglie metalliche che era stato sollevato dalla gru si è sganciato, si è abbattuto sulla copertura del capannone e un'intera sezione di questa - circa 100 mq. di pannelli avolta - è piombata in basso. «Ho udito un gran botto - ha raccontato Maurizio Furlan, 38 anni, di Castelminio di Resana - e ho intravvisto piovere pezzi di laterizio. 'Bruno, cade tutto! Scappa!' - ho gridato a mio fratello, che però è stato sommerso dai detriti. Io mi sono buttato in un angolo e miracolosamente non sono stato colpito. Quando il polverone si è dissolto ho trovato mio fratello sotto a delle lastre, con una vasta ferita in testa e una gamba squarciata. Sembrava morto ; poi mi sono accorto che respirava e sono corso fuori in cerca di aiuto». Alle urla disperate di Maurizio Furlan sono accorsi degli operai e tutti hanno cercato di liberare la vittima dell'incidente. Ma è stato solo con l'intervento dei sanitari e dei vigili del fuoco di Bassano che è stato possibile alzare i pannelli e recuperare il ferito. Bruno Furlan è stato portato al S. Bassiano. Le sue condizioni sono gravissime. B.C.

Il gazzettino - Cronaca del Nord Est 27/07/06

Edilizia: tre uccisi in un giorno

Una mattanza inarrestabile. Sono gli edili che muoiono lavorando. Stamattina si terranno i funerali di Antonio Veneziano, caduto sabato nell'incidente nel cantiere della Catania-Siracusa, dove erano rimasti feriti altri 14 operai. In tutta Italia i lavoratori del settore si fermeranno per un'ora. Ma proprio ieri ben altri tre incidenti mortali. Il primo a Gairo, in Ogliastra (Sardegna), dove Ugo Scattu è rimasto schiacciato dall'escavatore che stava guidando. Il secondo a Frosinone, nel quartiere Cavoni, dove Angelo Boccadamo, 45 anni, è stato travolto dal crollo del ponteggio su cui si trovava, insieme a un collega rimasto gravemente ferito, per lavori di rifacimento della facciata di una palazzine. L'ultimo, nel pomeriggio, sull'autostrada del Brennero, all'altezza di Trento. Un operaio che stava segnalando con la bandiera i lavori in corso è stato investito da un camioncino.

Il manifesto 28/06/06

Svolta nell’inchiesta sulla fabbrica di Tezze (quattro indagati): l’11 luglio sarà conferito l’incarico a Erminio Clonfero e a Gino Gianandrea Una perizia per collegare il cromo ai tumori I due esperti dovranno stabilire se 8 morti e tre malattie siano state causate dai veleni usati alla Tricom e in seguito alla Pm Galvanica

Bassano . L'inchiesta sui decessi e sui casi di grave malattia di addetti od ex-addetti della "Tricom" di Tezze sul Brenta diventata dal 1995 "Pm Galvanica", arriva a un nuovo,

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fondamentale capitolo. Il Pm bassanese Giovanni Parolin ha chiesto una perizia in incidente probatorio per individuare se vi è un nesso di causalità tra le esposizioni dei dipendenti alle sostanze trattate in azienda e quanto capitò al loro organismo e se i responsabili delle due società succedutesi adottarono le misure previste dalla legge a tutela della salute dei lavoratori. Il Gip Morandini ha accolto la richiesta e ha convocato tutte le parti nonchè i due esperti che eseguiranno lo studio per l'11 luglio. In quella data conferirà l'incarico al dottor Erminio Clonfero dell'Istituto di medicina del lavoro dell'Asl 16 di Padova, e all'ingegner Gino Gianandrea di Milano. La vicenda è complessa, la materia controversa, i due periti probabilmente non esauriranno il loro compito nei 60 canonici giorni. Ma quando lo consegneranno, quali che siano le loro conclusioni, sarà un rapporto estremamente pesante. Sarà determinante per l'inchiesta che, a seconda degli esiti, potrà giungere in aula o avviarsi all'archivio, e per l'eventuale allargamento delle indagini e magari per l'eventuale apertura di altre cause consimili. Ma soprattutto potrà dare una prima risposta agli interrogativi e alle angosce dei congiunti degli 8 operai deceduti e dei 3 che ancora vivono, ma con una spada di Damocle sulla testa. Il fascicolo era stato aperto dalla Procura della Repubblica di Bassano alla fine del 2003, su segnalazione della Procura di Padova, intenta a seguire il caso di inquinamento da cromo esavalente delle falde, di cui al processo in corso a Cittadella, e su esposto di una famiglia tedarota. Le indagini sono state e vengono svolte dalla sezione di Pg del Corpo forestale. All'inizio dello scorso aprile il Pm Parolin ha indagato: Paolo Zampierin, 61 anni, di Tezze sul Brenta, titolare della Pm; Angelo Zampierin, 62, di Romano, responsabile del reparto di cromatura; Adriano Sgarbossa, 61 anni, di Tezze, a suo tempo legale rappresentante della Tricom; Rocco Battistella, 73, di Tezze, già impiegato della "vecchia" Tricom, a lungo sindaco del paese e attualmente assessore provinciale. Le accuse (in qualità di datori di lavoro o di dirigenti delle due unità, per comportamenti intercorsi dal 1974 al 2003): omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime, omissioni di difese e cautele contro gli infortuni e i disastri ambientali, violazioni delle norme di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro. Gli inquirenti hanno interrogato coloro che potevano essere coinvolti nella vicenda (in tutto è stato sentito un centinaio di persone) e si sono concentrati su 8 decessi e 3 casi di malattia che potevano essere ricondotti alle sostanze tossiche sprigionatesi in azienda. I decessi avvennero per neoplasie alle mucose nasali, alla gola, ai polmoni e all'esofago. Il decorso dei soggetti è stato ricostruito esaminando le cartelle cliniche. Sarebbe stato accertato che già alla fine degli anni '70 operai dell'allora Tricom accusavano disturbi che la letteratura medica associava e associa all'esposizione ai bagni di cromo. Ancora, queste ed altre patologie erano collegabili alla inspirazione di una trentina di sostanze tossiche impiegate in ditta. Nonostante ciò, i vertici della Tricom, prima, e della Pm, poi, non avrebbero fatto fare verifiche mediche, non avrebbero provveduto a una rotazione del personale, così da ridurre i rischi, e in generale non avrebbero dotato l'impresa di adeguati impianti per il trattamento dei fumi e la prevenzione degli infortuni e delle malattie. Ai periti si chiede di accertare se gli indagati, in relazione all'esposizione al cromo o ad altre sostanze nocive da parte degli addetti, osservarono le misure previste dalla legge; se vi sia rapporto di causalità tra l'esposizione e le 8 morti; se vi sia rapporto di causalità tra l'esposizione e i 3 casi di malattia. Bruno Cera

Il Gazzettino 29/06/06

Stava lavorando in un cantiere nel Pordenonese quando è crollato a terra - I medici dell’ospedale hanno constatato una gravissima disidratazione Muratore ucciso da un colpo di calore

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Pordenone . Primo morto a causa del caldo nel Nordest. È un muratore bosniaco di 48 anni.Le raccomandazioni e i timori di medici ed esperti hanno trovato puntuale conferma. Il caldo torrido e improvviso, come quello che in questi giorni sta facendo boccheggiare gli italiani, può uccidere. I soggetti più a rischio sarebbero anziani e bambini, ma non solo. Particolarmente esposti sono anche i lavoratori che compiono sforzi impegnativi sotto il sole per lungo tempo. Come appunto il caso dei lavoratori del settore edile. Lo testimonia quanto accaduto martedì, ma che ha avuto il tragico epilogo ieri quando, alle 7.25, si è fermato il cuore del muratore bosniaco Muharem Saranovic, 48 anni, che era entrato in Italia da pochi giorni.L'uomo, si è appreso da fonti investigative e mediche, era svenuto, nel pomeriggio di martedì, mentre lavorava in un cantiere edile di via Dal Mas, a Vigonovo di Fontanafredda.Da quanto ricostruito attraverso il racconto dei colleghi, l'uomo aveva appena terminato dei lavori quando ha iniziato a barcollare, cadendo a terra privo di sensi. Era stato subito soccorso dai colleghi, che avevano fatto scattare la richiesta di aiuto al personale del "118". Il personale dell'emergenza lo aveva sottoposto a cure intensive, intubandolo e trasferendolo a tutta velocità in ospedale.Ai medici del Pronto soccorso le condizioni del muratore erano subito apparse molto gravi, tanto che ne avevano disposto l'immediato trasferimento nel reparto di terapia intensiva. Ma nonostante le tempestive cure non è stato possibile evitare il decesso del muratore bosniaco. La diagnosi del primo bollettino medico non lasciava dubbi: il muratore era rimasto vittima di colpo di calore, con disidratazione e le sue condizioni si presentavano molto gravi. L'operaio , sottoposto a continue flebo, ha combattuto contro la morte per l'intera notte ma, nonostante il prodigarsi dei medici, non ce l'ha fatta.Ad ucciderlo, stando al referto che gli specialisti hanno fatto arrivare in Procura della Repubblica che sta indagando sulle circostanze che hanno portato al decesso, sarebbe stato il colpo di calore. Il pubblico ministero Federico Facchin, esaminata la relazione dei medici, ha immediatamente avviato un'inchiesta con l'obiettivo di stabilire le esatte cause della morte, ma anche per individuare eventuali responsabilità. Nel pomeriggio gli inquirenti hanno contattato i responsabili dell'azienda e i colleghi del muratore, per capire quanto accaduto nel cantiere di Fontanafredda.

Il Gazzettino - Cronaca del Nord Est 29/06/06

Bergamo. 5 morti sul lavoro a giugno, 3 immigrati

Manuela Cartosio. Sono spirati nella notte, uno in una clinica di Palermo, l'altro agli Ospedali riuniti di Bergamo. Si erano infortunati sul lavoro mercoledì. A Calogero Minardi, 40 anni, una scheggia di metallo schizzata come un proiettile da una tagliatrice ha perforato un polmone. Lavorava all'argenteria Stancampiano di Palermo. Della seconda vittima le agenzie non riportano il nome. Aveva 25 anni, era egiziano, è stato investito da un carrello mentre puliva uno scivolo della malta alla Av Strutture di Calvenzano. Con lui salgono a cinque le vittime del lavoro in provincia di Bergamo nel solo mese di giugno. Tre di loro erano immigrati.Il primo giugno il senegalese Laye Dieng è precipato dal tetto delle Fonderie Pilenga a Comun Nuovo. Morto per caduta dall'alto, il 15 giugno, anche il brasiliano Leandro Canaver: stava installando una grondaia in una villa a Soncino. Straniero, ma non immigrato, il camionista tedesco Franz Rainert investito il 22 giugno da un carrello elevatore sul piazzale di carico e scarico della San Pelligrino.Francesco Buccolini è l'unica vittima, ma potevano essere di più, dell'esplosione che a Terno d'Isola ha raso al suolo un capannone della Cosimo Fina, saturo di acetilene.Martino Signori da due settimane è passato dalla Fiom alla segreteria della Cgil di

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Bergamo. Tra le sue competenze c'è la sicurezza nei luoghi di lavoro. Non è un pivello, eppure si sente schiacciato da un senso di impotenza. «Un impatto drammatico», dice, «fare vertenze sul salario e sull'orario è un conto, i morti li subiamo». Cgil, Cisl e Uil incontreranno questa mattina il prefetto di Bergamo. Sono arrivati da poco a Bergamo una decina di nuovi ispettori del lavoro. L'altro ieri il ministro del lavoro Damiano ha dichiarato che molti ispettori in passato non hanno potuto svolgere il loro lavoro sul campo: non c'erano neppure i soldi per fare il pieno di benzina. «Vogliamo sapere se i dieci ispettori vanno in giro o stanno in ufficio», dice Signori. C'è bisogno di controlli come del pane e però, ammette, la radice dell'insicurezza sta nella precarietà, nelle esternalizzazioni, negli appalti al massimo ribasso. Tagliare quella radice mortifera non spetta agli ispettori, spetta alla politica, al governo, all'azione sindacale.Alla Av di Calvenzano su 126 addetti 30 sono «somministrati», nuova definizione degli interinali post legge Biagi. Sballottati da un'azienda all'altra senza formazione, senza neppure conoscere il luogo fisico dove operano. Sembra che a causare l'esplosione a Terno d'Isola sia stata l'interruzione della corrente elettrica. Se è così, è una cosa gravissima, significa che un'azienda dove si maneggiano bombole di gas non c'era un generatore di riserva. Il brasiliano caduto dal tetto a Soncino «non aveva la cintura di sicurezza». Evidentemente «non era legato» neppure il senegalese precipiatto dal tetto della fonderia. Era assunto a tempo indeterminato e Signori si chiede come mai sul tetto «hanno mandato proprio il senegalese». La sua risposta è che agli immigrati «toccano i lavori più ingrati e rischiosi». Chiediamo al segretario della Cgil se tre immigrati su cinque vittime non scalfiscono le zucche bergamasche pertinacemente leghiste.: «Se muore un bianco, uno dei nostri, un po' ci si agita. Se muore un extracomunitario, spiace e basta».Mirco Rota, neosegretario generale della Fiom , annuncia per settembre una campagna sulla sicurezza. Obiettivo: allargare la contrattazione aziendale sulla sicurezza a tutti gli ambiti dell'impresa, «comprese le funzioni affidate a terzi», vale a dire esternalizzate.

Il Manifesto - 30 giugno 2006

NOVI ALLARME SINDACALE Ritardatari Salta bonus amianto?

NOVI LIGURE . Sono almeno un centinaio i lavoratori della provincia che hanno presentato all'Inail la domanda di riconoscimento dei benefici previdenziali per il danno da amianto dopo il 15 giugno scorso, che era il termine ultimo per la presentazione della richiesta. Una dimenticanza che costerà probabilmente cara, salvo proroghe, a coloro che hanno lavorato in ambienti esposti all'amianto. Sono tutti dipendenti dell'Ilva di Novi, della Cementir di Arquata, dell'Europa Metalli di Serravalle, e della Roquette di Cassano Spinola. Aziende che hanno già avuto il riconoscimento dei benefici previdenziali previsti dalla legge. «Questi lavoratori - spiega Bruno Motta, coordinatore provinciale della Fiom Cgil, per i problemi legati alla presenza di amianto sui luoghi di lavoro - nonostante abbiano lavorato a contatto dell'amianto, purtroppo non otterranno quanto i loro colleghi che avevano presentato le relative domande entro le date previste». Per questi lavoratori potrebbe anche entrare in gioco la politica che potrebbe superare questo problema. «C'è infatti un disegno di legge presentato dal senatore Casson - continua Motta - che vorrebbe riaprire tali termini. Contiene anche la possibilità di accedere a particolari benefici per coloro che non avessero raggiunto i 10 anni di esposizione previsti dalla vigente normativa, con diversi coefficienti di moltiplicazione». Precisa Motta: «In altre parole, chi è stato esposto sino a 5 anni, avrà un moltiplicatore di 1,10 e di 1,15 per 10 anni di esposizione. Nel caso in cui non siano state effettuate le bonifiche ambientali nelle aziende, secondo i canoni di

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legge in vigore, decade anche la data del 31 dicembre '92 quale termine del periodo di esposizione». Il numero maggiore dei lavoratori che ha presentato la domanda di riconoscimento da questo rischio è allo stabimento siderurgico dell’Ilva dove se ne contano circa una quarantina.

La Stampa Sezione Alessandria 30/06/06