Monumenti industriali del medio corso dell'Adda

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PER LA BASE DI APPOGGIO PIETRA DI MOLTRASIO GRANITO DI BAVENO PER LA STRUTTURA IN FERRO PER L ARCO PARABOLICO PER LE PILE PER LA TRAVATA RETTILINEA METRI CUBI 5000 METRI CUBI 1200 TONNELLATE 1320 TONNELLATE 245 TONNELLATE 950 PER LE FINITURE (ACCIAIO FUSO. GHISA, FERRO FUCINATO) TONNELLATE 110 'Italia, riserva apparentemente ine- sauribile di beni di valore storico- -artistico, ha da tempo voltato le spalle al suo passato agricolo e preindu- striale, e fornisce un complesso non tra- scurabile di monumenti industriali meri- tevoli di attenzione, non fosse altro che per il ruolo svolto nella vita collettiva, e per i problemi che il loro destino pone in rapporto alla pianificazione dello svilup- po territoriale alle diverse scale. Il patrimonio archeologico-industriale, cioè quel complesso di manufatti testi- monianza dei mutamenti indotti dal pro- cesso di industrializzazione nel territorio, ha anche nel nostro paese aree di grande concentrazione, dove l'impatto dello svi- luppo tecnologico sull'ambiente ha lascia- to tracce significative, sia per quantità che per qualità. Uno di questi luoghi è il tratto compreso tra Lavello e Cassano lungo il medio corso del fiume Adda, dove ritro- viamo stratificati diversi fenomeni pecu- liari dello sviluppo industriale, unificati dalla comune necessità di sfruttamento delle acque. Il fiume stesso si struttura come un'im- ponente opera di ingegneria idraulica fi- nalizzata alla utilizzazione complessiva delle acque a fini di navigazione, di irriga- zione, di forza motrice meccanica ed elet- trica. Il fenomeno dell'industria rappre- senta solo l'ultima fase di un processo di modificazione della sua natura, iniziato fin dal principio del XVI secolo con la realizzazione del naviglio della Martesa- na (alle cui conche lavora Leonardo), che collega il fiume alla città di Milano, e l'av- vio dei lavori del canale di Paderno pro- gettato nello stesso secolo da G. Meda e aperto alla navigazione nel 1777. In questo modo l'Adda divenne com- pletamente percorribile, lunga arteria di collegamento fra il lago di Como e la città di Milano, e nell'Ottocento avrebbe costi- tuito una via di comunicazione concor- renziale a quella ferroviaria; tanto è vero che si suggerì l'ipotesi di un suo poten- ziamento per farlo diventare, attraverso il lago di Como e quello di Mezzola, una linea diretta con lo Spluga appena con- quistato, e quindi con l'Europa centrale. Alle opere per la navigazione si ag- giungono quelle relative all'irrigazione, di cui la più importante è quella del canale Muzza, che si diparte dal fiume all'altezza di Cassano. Alle antiche strutture dei ca- stelli medioevali di Trezzo e Cassano si somma progressivamente un consistente patrimonio di ville rinascimentali e ba- rocche (Melzi D'Eril, Borromeo, Castel- barocco, Quintavalle ecc.) che rappre- sentano nel territorio i vertici della strut- tura piramidale di una ricca regione agri- cola organizzata su una produzione di tipo capitalistico di vasti latifondi irrigui. I a trasformazione di questo equilibrio, , che dura vari secoli, avviene in modo massiccio e nel giro di pochi decenni, alla fine del XIX secolo, con la comparsa e lo sviluppo del fenomeno «industria» ap- poggiata al fiume. L'Adda rappresentava per l'impren- ditore una sicura garanzia di approvvi- gionamento di energia a basso costo, non solo per la sua portata, ma anche per la forza dovuta alla ripidità del suo percorso. Grazie alla presenza di bacini di mano- dopera formatasi nell'ambito della tradi- zionale lavorazione di filatura e tessitura a domicilio, oltre alla disponibilità di ac- que di composizione chimica adatta al- l'impiego nei processi di lavaggio e tintu- ra, il settore industriale che operò i mag- giori investimenti nella zona fu quello tes- sile. L'industria tessile e cotoniera, che vantava antiche origini anche in Italia, in quegli anni peraltro conosce un forte svi- luppo, grazie a un regime protezionistico che le assicura i mercati nazionali e rende possibili profitti costanti senza grossi ri- schi di investimento. Gli impianti installati sono di notevole entità e appartengono alla seconda gene- razione dell'impreditoria italiana: sono del 1873 gli opifici di Fara e Cassano della società Linificio Canapificio Nazionale e del 1878 il cotonificio Crespi, generatore del notissimo villaggio operaio prospi- ciente la fabbrica, che si sommano al pre- cedente stabilimento Velvis (Velluti Vi- sconti) di Vaprio d'Adda e, nello stesso paese, al grosso complesso delle cartiere Binda. Questi opifici, unitamente ad altre imponenti presenze connesse all'in- dustrializzazione della zona, come il pon- te in ferro di Paderno (1887), la cui rea- lizzazione faceva seguito a quella dello scomparso ponte di Trezzo (1884), costi- tuiscono altrettanti elementi del paesag- gio industriale dell'Adda, strumenti inso- stituibili per una ricerca che intenda rico- struire le modalità dell'allocazione indu- striale in questi luoghi. Il Linificio Canapificio Nazionale di Fara Gera d'Adda, per esempio, sorse su una precedente filanda Ceriani & C., at- tiva già nella prima metà dell'Ottocento, e fu avviato nel 1870 come primo di una serie di stabilimenti, tra cui quello di Cas- sano d'Adda, che distribuiscono al loro interno diverse specialità di lavorazione della medesima materia prima. L'opificio si presenta come un complesso di corpi di fabbrica che coprono una superficie va- stissima (circa 50 000 metri quadrati, con una cubatura di 424 000 metri cubi). Il linificio, che originariamente occupava 3000 addetti (per il 75 per cento donne), ha indotto nel paese un fenomeno di mol- tiplicazione della popolazione (da poco più di 1000 abitanti nel 1862 si passò a 4000 al principio del secolo) e dell'abita- to. Il paese sarà edificato in gran parte per iniziativa diretta del L.C.N. con abitazio- ni per i dipendenti, eseguite in diversi pe- riodi, e con diversi indici di abitabilità a seconda delle categorie a cui erano diret- te: case a ballatoio, condomini a caserma, convitto, villette. Furono previsti inoltre una serie di servizi come l'asilo infantile, lo spaccio, il dopolavoro, nel tentativo di instaurare un clima di conveniente pace sociale. Gran parte del personale femmi- nile immigrato (le località di provenienza della manodopera erano soprattutto le valli vicine, la Sardegna e le Puglie) tro- vava alloggio nel convitto antistante la fabbrica, costruito nel 1897 e ampliato nel 1924. Questi monumenti industriali dell'Ad- da si presentano oggi in condizioni molto varie: il linificio è ancora funzionante, anche se ha mutato completamente la tecnica di produzione, altri sono semiab- bandonati, ristrutturati o conservati in modo da presentarsi più o meno nello stato originario. In quest'ultima condi- zione è il poderoso sistema delle centrali idroelettriche, che sullo scorcio del secolo XIX e nei primi decenni del XX costitui- rono uno dei settori di maggior investi- mento economico e la forma più evidente di sfruttamento delle acque del fiume. Si tratta di testimonianze di un momento cruciale del decollo industriale lombardo quando l'attenzione nei confronti dell'e- nergia idraulica era tale da poter far spe- rare in una liberazione dalla «schiavitù» del carbon fossile (che rappresentava il 90 per cento del bilancio energetico), mate- ria prima per cui l'Italia dipendeva com- pletamente dall'offerta del mercato in- ternazionale. Contrariamente a ciò che si verificava altrove, l'acqua che scendeva dalle montagne, e non il carbon fossile, costituiva la «materia prima» da cui trarre energia: l'industria elettrica in Italia era l'industria idroelettrica. Tale convinci- mento era andato radicandosi anche per i progressi davvero impressionanti com- piuti negli studi relativi alla produzione e al trasporto a distanza dell'elettricità. Il successo della corrente alternata tri- fase su quella continua, l'acquisita certez- za che proprio grazie a questa sarebbe stato possibile e conveniente condurre l'energia elettrica in luoghi sempre più lontani dalle centrali, impiegando tensio- ni sempre più elevate, congiuntamente alla crescente richiesta di energia dalla città di Milano, costituirono gli argomenti determinanti la scelta allocativa degli impianti sul fiume Adda. S cendendo lungo il corso dell'Adda, a Li partire dalla località di Lavello, in un tratto di 40 chilometri, si trovano otto centrali idroelettriche, attivate tra il 1895 e il 1928. Di queste le più antiche, quella di Vaprio d'Adda della società A. Binda & C. (1895) e quella di Fara Gera d'Adda della società Linificio Canapificio Nazio- nale (1895), con quella successiva di Cre- spi (1909) sono state concepite come strutturali al funzionamento degli opifici a cui sono collegate. Le altre invece sono state utilizzate fin dalla loro origine nel sistema del trasporto dell'energia, e al loro interno si possono distinguere quelle della società Edison in quanto rappresen- tano nel loro insieme la massima utilizza- zione del fiume, oltre a essere legate al più ampio problema dell'elettrificazione della città di Milano. Onde poter approfondire l'indagine con una più dettagliata descrizione delle opere e degli effetti che queste comporta- no nel territorio, concentreremo la nostra attenzione su un esempio autorevole di La costruzione del ponte di Paderno (nella fotografia), il secondo sul fiume Adda dopo quello di Trezzo del 1866, si inseriva nel progetto di allargamento e connessione di reti commerciali nuove, che furono l'elemento portante e la direttrice naturale e obbligata per lo sviluppo dell'industria- lizzazione delle province di Bergamo e Milano. Per la costruzione del ponte, che permetteva il collegamento, sia viario che ferroviario, fra le due province, fu scelta la tecnica di costruzione in ferro che, già sperimentata per il ponte di Trezzo e ben nota in Europa (il primo ponte in ferro fu costruito in Gran Bretagna 100 anni prima, nel 1779, dal Darby: ponte di Coalbookdale) ebbe nel ponte di Paderno una geniale realizzazione, che permise il superamento del fiume con un'unica campata. Costruito con la tecnica della chiodatura in meno di due anni. tra il settembre 1887 e il maggio 1889 dalle officine di Savigliano su progetto dell'ingegner Rothlisberger, il ponte sviluppa una lunghezza complessiva di 266 metri. Le travi maestre sono alte circa 6 metri e distano tra loro 5 metri; all'interno della travata rettilinea è collocato il binario della ferrovia Seregno-Ponte S. Pietro, mentre la strada per Calusco d'Adda corre nella parte alta della travata, e la pavimentazio- ne stradale viene a trovarsi a 80 metri dal pelo normale del fiume. La travata rettilinea è sostenuta da otto pile distanti tra loro circa 33 metri, quattro delle quali sono a loro volta sostenute dalla grande arcata parabolica che, collegando le due sponde del fiume, sviluppa 150 metri di corda e 37 metri di freccia. La costruzione di questa struttura parabolica ha richiesto l'accoppiamento a due a due di quattro grandi arconi disposti con una forte inclinazione rispetto al piano mediano verticale. L'altezza di tali arconi varia da un minimo di 4 metri al vertice a un massimo di 8 metri alle imposte, mentre la distanza tra la mezzana delle due coppie cresce da 5 metri al vertice a 16 metri alle imposte. Questi archi vanno ad appoggiare sopra lastroni di acciaio fuso che ripartiscono i carichi sopra le spalle in muratura costruite con pietra di Moltrasio e rivestite in granito di Bav eno. La grandiosità del manufatto si può percepire osservando i quantitativi di materiali impiegati per la realizzazione, riportati nella tabella. Il ponte, per la sintesi perfetta raggiunta tra solidità strutturale e purezza dell'immagine, rappresenta una delle più riuscite applicazioni della architettura industriale in ferro del XIX secolo. Il ponte di Paderno, oggi ancora funzio- nante, sarà sostituito da un nuovo viadotto il cui progetto è già stato realizzato in conformi- tà al bando di concorso indetto dalla Regione Lombardia, committente della nuova opera. Monumenti industriali del medio corso dell'Adda Lo studio delle centrali idroelettriche dell'Adda suggerisce quale sia, fra pianificazione economico-territoriale e mantenimento del patrimonio storico, artistico e ambientale, il ruolo dell'archeologia industriale di Antonio Bogo, Massimo Negri e Marcella Ricci 18 19

Transcript of Monumenti industriali del medio corso dell'Adda

PER LA BASE DI APPOGGIO

PIETRA DI MOLTRASIO

GRANITO DI BAVENO

PER LA STRUTTURA IN FERRO

PER L ARCO PARABOLICO

PER LE PILE

PER LA TRAVATA RETTILINEA

METRI CUBI 5000

METRI CUBI 1200

TONNELLATE 1320

TONNELLATE 245

TONNELLATE 950

PER LE FINITURE

(ACCIAIO FUSO. GHISA,FERRO FUCINATO) TONNELLATE 110

'Italia, riserva apparentemente ine-sauribile di beni di valore storico--artistico, ha da tempo voltato le

spalle al suo passato agricolo e preindu-striale, e fornisce un complesso non tra-scurabile di monumenti industriali meri-tevoli di attenzione, non fosse altro cheper il ruolo svolto nella vita collettiva, eper i problemi che il loro destino pone inrapporto alla pianificazione dello svilup-po territoriale alle diverse scale.

Il patrimonio archeologico-industriale,cioè quel complesso di manufatti testi-monianza dei mutamenti indotti dal pro-cesso di industrializzazione nel territorio,ha anche nel nostro paese aree di grandeconcentrazione, dove l'impatto dello svi-luppo tecnologico sull'ambiente ha lascia-to tracce significative, sia per quantità cheper qualità. Uno di questi luoghi è il trattocompreso tra Lavello e Cassano lungo ilmedio corso del fiume Adda, dove ritro-viamo stratificati diversi fenomeni pecu-liari dello sviluppo industriale, unificatidalla comune necessità di sfruttamentodelle acque.

Il fiume stesso si struttura come un'im-ponente opera di ingegneria idraulica fi-nalizzata alla utilizzazione complessivadelle acque a fini di navigazione, di irriga-zione, di forza motrice meccanica ed elet-trica. Il fenomeno dell'industria rappre-senta solo l'ultima fase di un processo dimodificazione della sua natura, iniziatofin dal principio del XVI secolo con larealizzazione del naviglio della Martesa-na (alle cui conche lavora Leonardo), checollega il fiume alla città di Milano, e l'av-vio dei lavori del canale di Paderno pro-gettato nello stesso secolo da G. Meda eaperto alla navigazione nel 1777.

In questo modo l'Adda divenne com-pletamente percorribile, lunga arteria dicollegamento fra il lago di Como e la cittàdi Milano, e nell'Ottocento avrebbe costi-tuito una via di comunicazione concor-renziale a quella ferroviaria; tanto è veroche si suggerì l'ipotesi di un suo poten-ziamento per farlo diventare, attraverso il

lago di Como e quello di Mezzola, unalinea diretta con lo Spluga appena con-quistato, e quindi con l'Europa centrale.

Alle opere per la navigazione si ag-giungono quelle relative all'irrigazione, dicui la più importante è quella del canaleMuzza, che si diparte dal fiume all'altezzadi Cassano. Alle antiche strutture dei ca-stelli medioevali di Trezzo e Cassano sisomma progressivamente un consistentepatrimonio di ville rinascimentali e ba-rocche (Melzi D'Eril, Borromeo, Castel-barocco, Quintavalle ecc.) che rappre-sentano nel territorio i vertici della strut-tura piramidale di una ricca regione agri-cola organizzata su una produzione ditipo capitalistico di vasti latifondi irrigui.

Ia trasformazione di questo equilibrio,,

che dura vari secoli, avviene in modomassiccio e nel giro di pochi decenni, allafine del XIX secolo, con la comparsa e losviluppo del fenomeno «industria» ap-poggiata al fiume.

L'Adda rappresentava per l'impren-ditore una sicura garanzia di approvvi-gionamento di energia a basso costo,non solo per la sua portata, ma ancheper la forza dovuta alla ripidità del suopercorso.

Grazie alla presenza di bacini di mano-dopera formatasi nell'ambito della tradi-zionale lavorazione di filatura e tessituraa domicilio, oltre alla disponibilità di ac-que di composizione chimica adatta al-l'impiego nei processi di lavaggio e tintu-ra, il settore industriale che operò i mag-giori investimenti nella zona fu quello tes-sile. L'industria tessile e cotoniera, chevantava antiche origini anche in Italia, inquegli anni peraltro conosce un forte svi-luppo, grazie a un regime protezionisticoche le assicura i mercati nazionali e rendepossibili profitti costanti senza grossi ri-schi di investimento.

Gli impianti installati sono di notevoleentità e appartengono alla seconda gene-razione dell'impreditoria italiana: sonodel 1873 gli opifici di Fara e Cassano della

società Linificio Canapificio Nazionale edel 1878 il cotonificio Crespi, generatoredel notissimo villaggio operaio prospi-ciente la fabbrica, che si sommano al pre-cedente stabilimento Velvis (Velluti Vi-sconti) di Vaprio d'Adda e, nello stessopaese, al grosso complesso delle cartiereBinda. Questi opifici, unitamente adaltre imponenti presenze connesse all'in-dustrializzazione della zona, come il pon-te in ferro di Paderno (1887), la cui rea-lizzazione faceva seguito a quella delloscomparso ponte di Trezzo (1884), costi-tuiscono altrettanti elementi del paesag-gio industriale dell'Adda, strumenti inso-stituibili per una ricerca che intenda rico-struire le modalità dell'allocazione indu-striale in questi luoghi.

Il Linificio Canapificio Nazionale diFara Gera d'Adda, per esempio, sorse suuna precedente filanda Ceriani & C., at-tiva già nella prima metà dell'Ottocento,e fu avviato nel 1870 come primo di unaserie di stabilimenti, tra cui quello di Cas-sano d'Adda, che distribuiscono al lorointerno diverse specialità di lavorazionedella medesima materia prima. L'opificiosi presenta come un complesso di corpi difabbrica che coprono una superficie va-stissima (circa 50 000 metri quadrati, conuna cubatura di 424 000 metri cubi). Illinificio, che originariamente occupava3000 addetti (per il 75 per cento donne),ha indotto nel paese un fenomeno di mol-tiplicazione della popolazione (da pocopiù di 1000 abitanti nel 1862 si passò a4000 al principio del secolo) e dell'abita-to. Il paese sarà edificato in gran parte periniziativa diretta del L.C.N. con abitazio-ni per i dipendenti, eseguite in diversi pe-riodi, e con diversi indici di abitabilità aseconda delle categorie a cui erano diret-te: case a ballatoio, condomini a caserma,convitto, villette. Furono previsti inoltreuna serie di servizi come l'asilo infantile,lo spaccio, il dopolavoro, nel tentativo diinstaurare un clima di conveniente pacesociale. Gran parte del personale femmi-nile immigrato (le località di provenienza

della manodopera erano soprattutto levalli vicine, la Sardegna e le Puglie) tro-vava alloggio nel convitto antistante lafabbrica, costruito nel 1897 e ampliatonel 1924.

Questi monumenti industriali dell'Ad-da si presentano oggi in condizioni moltovarie: il linificio è ancora funzionante,anche se ha mutato completamente latecnica di produzione, altri sono semiab-bandonati, ristrutturati o conservati inmodo da presentarsi più o meno nellostato originario. In quest'ultima condi-zione è il poderoso sistema delle centraliidroelettriche, che sullo scorcio del secoloXIX e nei primi decenni del XX costitui-rono uno dei settori di maggior investi-mento economico e la forma più evidentedi sfruttamento delle acque del fiume. Sitratta di testimonianze di un momentocruciale del decollo industriale lombardoquando l'attenzione nei confronti dell'e-nergia idraulica era tale da poter far spe-rare in una liberazione dalla «schiavitù»del carbon fossile (che rappresentava il 90per cento del bilancio energetico), mate-ria prima per cui l'Italia dipendeva com-pletamente dall'offerta del mercato in-ternazionale. Contrariamente a ciò che siverificava altrove, l'acqua che scendevadalle montagne, e non il carbon fossile,costituiva la «materia prima» da cui trarreenergia: l'industria elettrica in Italia eral'industria idroelettrica. Tale convinci-mento era andato radicandosi anche per iprogressi davvero impressionanti com-piuti negli studi relativi alla produzione eal trasporto a distanza dell'elettricità.

Il successo della corrente alternata tri-fase su quella continua, l'acquisita certez-za che proprio grazie a questa sarebbestato possibile e conveniente condurrel'energia elettrica in luoghi sempre piùlontani dalle centrali, impiegando tensio-ni sempre più elevate, congiuntamentealla crescente richiesta di energia dallacittà di Milano, costituirono gli argomentideterminanti la scelta allocativa degliimpianti sul fiume Adda.

Scendendo lungo il corso dell'Adda, a

Li partire dalla località di Lavello, in untratto di 40 chilometri, si trovano ottocentrali idroelettriche, attivate tra il 1895e il 1928. Di queste le più antiche, quelladi Vaprio d'Adda della società A. Binda& C. (1895) e quella di Fara Gera d'Addadella società Linificio Canapificio Nazio-nale (1895), con quella successiva di Cre-spi (1909) sono state concepite comestrutturali al funzionamento degli opificia cui sono collegate. Le altre invece sonostate utilizzate fin dalla loro origine nelsistema del trasporto dell'energia, e alloro interno si possono distinguere quelledella società Edison in quanto rappresen-tano nel loro insieme la massima utilizza-zione del fiume, oltre a essere legate alpiù ampio problema dell'elettrificazionedella città di Milano.

Onde poter approfondire l'indaginecon una più dettagliata descrizione delleopere e degli effetti che queste comporta-no nel territorio, concentreremo la nostraattenzione su un esempio autorevole di

La costruzione del ponte di Paderno (nella fotografia), il secondo sul fiume Adda dopo quello diTrezzo del 1866, si inseriva nel progetto di allargamento e connessione di reti commerciali nuove,che furono l'elemento portante e la direttrice naturale e obbligata per lo sviluppo dell'industria-lizzazione delle province di Bergamo e Milano. Per la costruzione del ponte, che permetteva ilcollegamento, sia viario che ferroviario, fra le due province, fu scelta la tecnica di costruzione inferro che, già sperimentata per il ponte di Trezzo e ben nota in Europa (il primo ponte in ferro fucostruito in Gran Bretagna 100 anni prima, nel 1779, dal Darby: ponte di Coalbookdale) ebbe nelponte di Paderno una geniale realizzazione, che permise il superamento del fiume con un'unicacampata. Costruito con la tecnica della chiodatura in meno di due anni. tra il settembre 1887 e ilmaggio 1889 dalle officine di Savigliano su progetto dell'ingegner Rothlisberger, il ponte sviluppauna lunghezza complessiva di 266 metri. Le travi maestre sono alte circa 6 metri e distano tra loro5 metri; all'interno della travata rettilinea è collocato il binario della ferrovia Seregno-Ponte S.Pietro, mentre la strada per Calusco d'Adda corre nella parte alta della travata, e la pavimentazio-ne stradale viene a trovarsi a 80 metri dal pelo normale del fiume. La travata rettilinea è sostenutada otto pile distanti tra loro circa 33 metri, quattro delle quali sono a loro volta sostenute dallagrande arcata parabolica che, collegando le due sponde del fiume, sviluppa 150 metri di corda e 37metri di freccia. La costruzione di questa struttura parabolica ha richiesto l'accoppiamento a due adue di quattro grandi arconi disposti con una forte inclinazione rispetto al piano medianoverticale. L'altezza di tali arconi varia da un minimo di 4 metri al vertice a un massimo di 8 metrialle imposte, mentre la distanza tra la mezzana delle due coppie cresce da 5 metri al vertice a 16metri alle imposte. Questi archi vanno ad appoggiare sopra lastroni di acciaio fuso che ripartisconoi carichi sopra le spalle in muratura costruite con pietra di Moltrasio e rivestite in granito diBav eno. La grandiosità del manufatto si può percepire osservando i quantitativi di materialiimpiegati per la realizzazione, riportati nella tabella. Il ponte, per la sintesi perfetta raggiuntatra solidità strutturale e purezza dell'immagine, rappresenta una delle più riuscite applicazionidella architettura industriale in ferro del XIX secolo. Il ponte di Paderno, oggi ancora funzio-nante, sarà sostituito da un nuovo viadotto il cui progetto è già stato realizzato in conformi-tà al bando di concorso indetto dalla Regione Lombardia, committente della nuova opera.

Monumenti industrialidel medio corso dell'Adda

Lo studio delle centrali idroelettriche dell'Adda suggerisce quale sia,fra pianificazione economico-territoriale e mantenimento del patrimoniostorico, artistico e ambientale, il ruolo dell'archeologia industriale

di Antonio Bogo, Massimo Negri e Marcella Ricci

18

19

Centrale di Fara L.C.N.0

15Centrale CRESPI S T.1.

ADDA FILO

km 12 km 4 - km 9

k m 1.5 -km ..km 1. 3

Centrale SEMENZ A MONTED IS O N

Il grafico illustra schematicamente il sistema di presa, di immissione e di sbarramento, attual-mente esistente, delle acque nel medio corso del fiume Adda. Le derivazioni indicate sono

o2o F.

0311ADDA

o;!osi o 7 ,oo

oo

n6

o 9 -- Canale Martesana_—

Centrale TACCANI EN E L canale di derivaz ione in galleria

oe F. AD DA

010

Centrale di Vaprie I TALCEMENT1

16- - k m 2 5

Riferimenti geografici Caratteristiche idrauliche Macchinario installato

Nomeattuale

Nomeoriginario

Proprietàattuale

Proprietàoriginaria

Annodi Quota

attivazione s.l.m.ProvinciaComune

Dati di concessione Turbine Generatori PotenzaelettricaefficienteSalto Portata Potenza Nu- Potenza in HP

Nu-Potenza (kVA) Tensione

(metri) Località medio(metri)

media(m3/s)

media(HP)

me-ro

me-ro

(volt) efreq.

(kW)di unaunità totale di una

unità totale

Soc. Gen.Ital.

SEMENZA diCalusco

MONTEDISON Edisondi

1831920 mBERGAMOCalusco crAdda 9,10 40,000 4853 2 2400 4800 2 2000 4000 15 000

3-42 2880

Elettricità

diSoc. Gen.Ital. MILANO

BERTINI Porto MONTEDISON Edison 1898 152 Cornate 29,01 32,500 12 571 4 2160 8640 4 2000 8000 15 000 9600d'Adda di m Porto d'Adda 2 2800 5600 2 3400 6800 3-42

Elettricità 14 240 14 800

Soc. Gen.

ESTERLE diResega

MONTEDISONtal.Edisondi

1914 150m

MILANOCornateResega

38,8139,10

72,0000,932

37 256486

6 6900 41 400 62

56005850

39 60011 700

15 0003-422250

24 720

Elettricità 37 742 51 300 3-16

Soc. per ledi Forze 5 1200 6000 5 1200 6000 14000

TACCANI Trezzo ENEL Idrauliche 1906 150 MILANO 7,85 67200 7029 3-42 8500

B. Crespi 13 200 13 500 34250

di BERGAMOCRESPI Crespi Soc.

ADDAFILOCotonificio8. Crespi

1909 141m Capriate

s. Gervasio4,53 35,200 2126 3 1000 3000 3 800 2400 14 000

350 1960

di diSoc.

Soc.A. Binda 1895 160 MILANO

DATI NON DISPONIBILI

di

D'ADDA

di

d'Adda

Soc.Linificioe

Nazionale

2221895 BERGAMO4,70 20,700 1297 3 500 1500 3 450 1350 525

Linificio 8,00 80.000 8535 6 1900 11 400 6 2000 12 000 8000di Soc. e 123 MILANO 1 890 890 1 865 865 3-42-50

RUSCA Cassano L.C.N. Canapificio 1928 m Rassano d'Adda 6,00 15,000 1200 1 445 445 1 430 430 8000 8500d'Adda Nazionale 9735 12 735 13 295 3-42

Caratteristiche tecniche delle otto centrali dell'Adda. I valori di salto medio sono quelli per cui furichiesta la concessione allo sfruttamento delle acque; nel caso della Esterle il secondo valore è rife-

rito alle turbine eccitatrici, perla Rusca a un salto utilizzabile perla produ- ratori utilizzati, suddivisi secondo la potenza. Per la Esterle, 2 turbinezione. A ogni dato di concessione è associato il numero di turbine e gene- muovevano anche 2 generatori a 16 Hz per la ferrovia Milano-Lecco.

uJ

oMA LGRATE

Centrale BERTIN1MONTEOISON

Centrale ESTERLE MON TEDISON

2

destinate a diversi usi: dall'irrigazione (roggia Vailata), alla naviga- trali, per utilizzare al massimo la portata del fiume, sono dispostezione (canale Martesana ), alla produzione di energia elettrica. Le cen- serialmente tranne la Bertini e la Esterle che lavorano in parallelo.

2S.Anna

01 Centra, RUSCA L C N

Cassano

>

km 1 km a 5km 2.5

questi impianti: la centrale Bertini, dettadi Paderno.

L'importanza di questo impianto non èdovuta solo al fatto di essere stata la pri-ma costruita per la produzione di energiaelettrica da trasportare a distanza, maanche all'avere costituito un importantepunto di riferimento nella storia dellatecnologia idroelettrica.

Le sue turbine furono, all'epoca, le piùpotenti installate in Europa, seconde soloa quelle del Niagara; la relativa linea ditrasporto dell'elettricità era la più lungarealizzata. La creazione della centrale èda vedersi strettamente legata alla elettri-ficazione di Milano; l'energia elettricaprodotta a Paderno veniva trasportatacon una linea aerea per alimentare prin-cipalmente il sistema tranviario urbano.

Va ricordato che una clausola dellaconvenzione stipulata con il Municipio,per il servizio tranviario, stabiliva che lasocietà Edison «qualora avesse provve-duto all'esercizio con un impianto di tra-smissione elettrica dell'energia posto fuo-ri dal territorio del Comune, era tenuta aprovvedersi di un altro impianto autono-mo locale di riserva, capace di dare tuttal'energia elettrica necessaria per garanti-re continuità al servizio». L'impiantoidroelettrico di Paderno venne così af-fiancato dalla centrale termoelettrica diMilano Porta Volta, costituendo un com-plesso sistema di produzione, trasmissio-ne e distribuzione dell'energia elettricanella città. Le due centrali, operanti inparallelo, potevano disporre di una po-tenza complessiva di 11 000 kW, ai qualisi potevano aggiungere, nei momenti dimaggior carico, alcune migliaia di chilo-watt prodotti dalla centrale di Santa Ra-degonda in Milano, la prima centraletermoelettrica d'Europa.

T e acque del fiume, nel tratto tra Pader-1---1 no e Porto d'Adda (circa 4 chilome-tri), superano un dislivello di quasi 30metri, acquistando una velocità enormeattraverso una successione di rapide chene rendono impossibile la navigazione: ilnaviglio di Paderno fu appunto costruitoper superare tale impedimento naturale,scorrendo parallelo al fiume e ricongiun-gendosi a esso a Porto d'Adda.

La grande quantità di energia possedu-ta dalle acque del fiume in questa localitàfu stimolo a tutta una serie di progetticommissionati nel tentativo di utilizzarlacome forza motrice in loco; l'unico che sipropose lo scopo di utilizzare tale energiasotto altra forma in altri luoghi fu quellodegli ingegneri Enrico Carli e Paolo Mi-lani, che porta la data del 6 giugno 1889.

Nel progetto la centrale si presentacome un complesso organismo di cui l'e-dificio non rappresenta che una delle mol-te componenti: l'impianto, infatti, comin-cia a organizzarsi 2690 metri più a monte,e precisamente nei pressi del paese diPaderno, con la diga di sbarramento cheattraversa diagonalmente il fiume racco-gliendo e convogliando le acque al bacinosovrastante l'edificio motori situato inlocalità Porto d'Adda.

In quegli anni la società Edison, distri-

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La parte che più caratterizza l'impianto di una centrale elettrica è quella dell'edificio che ospita leturbine e gli alternatori: nel caso della centrale Bertini questo sorge in località Porto d'Adda e sipresenta come un unico corpo di fabbrica squadrato, a pianta rettangolare, con l'ingresso sul latocorto (fotografia al centro). Un vero e proprio involucro rivestito da materiali semplici, pietra emattoni a vista, lungo le cui pareti si aprono, regolarmente intervallati, ampi finestroni ad arco. Laloro cadenza riprende il ritmo del doppio ordine di arcate ribassate che sembrano sostenere lacostruzione lungo tutto il fronte verso il fiume (fotografia in alto), sul pelo dell'acqua. Questecostituiscono le bocche d'uscita dell'acqua proveniente dalle turbine nell'ampio bacino cheimmette nel canale prolungamento del naviglio di Paderno. Nella descrizione della parte archi-tettonica dell'impianto non si può trascurare il tipo di decorazione prescelta per un edificio chedoveva assolvere una funzione inusitata nella tradizione delle tipologie architettoniche; questaè di un tipico gusto lombardo, tratta da un repertorio proprio dell'eclettismo ottocentesco, maè comunque ridotta ai minimi termini. La rigorosa serialità della struttura architettonica siinserisce perfettamente nel meccanismo ingegneristico che ne costituisce l'intorno: le grossetubature (fotografia in basso) delle sette condotte forzate dell'acqua sul retro, gli alti gradoniche costituiscono lo sfioratore con l'annesso canale di restituzione delle acque al fiume sul la-to destro dell'edificio e i numerosi fili ad alta tensione che congiungono fisicamente l'edificioalla linea palificata di trasporto dell'energia elettrica. Sopra l'edificio della centrale, nella par-te alta della riva scoscesa del fiume, venne costruito dalla stessa società Edison anche uno sta-bile a più piani destinato ad ospitare il personale addetto al funzionamento dell'impianto.

butrice di energia elettrica per Milano, sitrovò a dover affrontare il problema delcosto della materia prima per la produ-zione dell'energia elettrica; infatti, sulloscorcio del 1889, il prezzo del carboneaumentò del 20 per cento, a causa delrincaro dei noli e di uno sciopero minera-rio inglese. Fu questo uno degli elementiche indussero la Edison a ricercare nuovefonti di energia e che portarono alla con-clusione degli accordi con gli estensori delprogetto per l'utilizzazione delle rapide diPaderno. Sulla base di tale progetto ven-ne richiesta dalla società Edison la con-cessione per derivare un volume d'acquadi 30 metri cubi al secondo, ritraendo unaforza di 6680 cavalli dinamici teorici,concessione che fu accordata con decreto27 marzo 1890.

L'iter subito successivamente da que-sto progetto, modificato numerose voltenel giro di pochissimi anni, denota il rapi-do evolversi degli interessi verso questosettore, al quale veniva richiesto il massi-mo sfruttamento dell'energia naturale, infunzione della diminuzione del costo diproduzione per rispondere adeguatamen-te all'aumentata richiesta di energia elet-trica.

La prima revisione fu fatta dal Carlistesso che, perfezionando il progetto conuna più completa utilizzazione del saltodisponibile, elevava la potenza nominaledell'impianto da 6680 a 10 960 cavalliteorici, ribassando di molto il costo percavallo unitario prodotto.

Ogni opera era stata posta sulla spondadestra del fiume per utilizzare la diga dipresa dell'antico naviglio, opportuna-mente modificata con una sovrappostachiusa mobile tipo Poirée. Fu utilizzatocome canale derivatore il primo tratto di690 metri del naviglio, cioè fino alla pri-ma delle sei conche che lo compongono.Oltre questo tratto l'acqua derivata dove-va percorrere una condotta sotto pressio-ne in galleria della lunghezza di 2 chilo-metri, per poi sfociare in un bacino dicarico sovrastante l'edificio motori. Ilsecondo progetto Carli fu modificato, manon sostanzialmente, dal Milani: oltreagli adattamenti per la maggiore portata,il Milani progettò un nuovo tracciato delcanale alimentatore, rinunciando al pro-posito di farvi scorrere l'acqua sotto pres-sione, e sostituendolo con un canale apelo libero, parte in galleria e parte alloscoperto. Il progetto definitivo attribuivaall'impianto una potenzialità di 17 280cavalli nominali; esso prevedeva l'utiliz-zazione di una portata di 45 metri cubi alsecondo, per un salto di 28,81 metri inperiodo di magra e una portata di 52 me-tri cubi al secondo per un salto di 24,96metri in periodo di piena. Il costo delleopere idrauliche avrebbe superato i tremilioni di lire, e la costruzione avreb-be richiesto non meno di venti mesi dilavoro.

Se assai importante si presentava aquell'epoca il progetto complesso delleopere idrauliche, importanza anche mag-giore rivestiva l'aspetto elettrico del pro-blema. Si trattava di trasportare per 32chilometri, da Paderno a Milano, la po-

tenza che si calcolava intorno a 9500 kWeffettivi. Ne sorgevano vari problemi diimportanza fondamentale, del tutto nuovio perlomeno con rilevanti aspetti di novi-tà, e alla cui soluzione poteva scarsamen-te soccorrere una esperienza diretta. Iproblemi più importanti riguardavano lestesse caratteristiche dell'impianto: laforma della corrente (optando per quellatrifase), la frequenza (42 cicli al secondo)e la tensione (13 500 volt, per allora ele-vatissima). La revisione definitiva delprogetto fu approvata con decreto in data17 marzo 1895; i lavori presero l'avvioall'inizio del 1896, con un piano di esecu-zione in due tempi. In una prima faseerano previste l'esecuzione delle opereidrauliche per la totale capacità (amplia-mento della diga di presa, il canale deriva-tore, il bacino d'ammissione, lo sfiorato-re, il bacino di scarico con il canale direstituzione delle acque); la costruzionedell'edificio motori e l'installazione di tregruppi generatori (costituiti ciascuno dauna turbina tipo Francis da 2160 HP e daun alternatore da circa 2000 kVA, chilo-voltampère) la posa di una delle due pali-ficazioni parallele previste per il trasportodell'energia da Paderno a Milano. Leopere idrauliche furono portate a terminenell'estate del 1898; nell'autunno fu con-clusa la costruzione dell'edificio motori enell'ottobre anche la prima palificazioneera terminata.

Con la seconda fase dei lavori si com-pletò l'installazione dei gruppi generatoricon quattro turbine identiche alle prece-denti, di cui una di riserva, e si realizzò ilraddoppio della linea di trasmissione; allafine del 1900 la centrale era completa efunzionante.

Da ogni alternatore installato nellacentrale uscivano tre fili che condu-

cevano la corrente alternata alla tensionedi 13 500 volt costituenti un sistema dicorrente trifase. Le linee, prima di usciredall'edificio delle turbine e degli alterna-tori, salivano in un locale superiore doveerano collocati i parafulmini, quindi pas-sando per apposite aperture andavano acollegarsi alla prima coppia di pali dellalinea.

Una linea come questa, ad alta tensionee destinata ad alimentare servizi pubbliciimportanti, fu studiata con particolarecura onde evitare ogni interruzione delservizio. Era indispensabile una linea sul-la quale fossero possibili la manutenzio-ne, il ricambio delle diverse parti, e lariparazione dei guasti eventuali, senzainterrompere il trasporto.

Questo scopo fu raggiunto dividendo lalinea in due; fra la stazione elettrica diPaderno e quella di Porta Volta in Milanocorreva una doppia fila di pali ciascunadelle quali portava nove fili. Quando eranecessario, per una ragione qualsiasi, la-vorare su uno dei pali, tutta la mezza lineaa cui esso apparteneva era tolta dal circui-to e il servizio veniva sopportato total-mente dall'altra metà.

Questa linea fu una delle prime a paliinteramente metallici: ogni palo a tralic-cio, disegnato e costruito dalle officine di

In data 12 marzo 1896 la società Edison indirizzava alle più prestigiose case costruttrici d'Europa ilProgramma di Concorso «tendente a provocare una gara tecnica riguardo al nuovo ed importanteimpianto delle turbine di Paderno». Il Programma indicava una serie di vincoli meccanici cuiavrebbero dovuto attenersi i progettisti: si consigliava infatti l'adozione di turbine ad asseorizzontale con potenze dell'ordine dei 2000 HP effettivi; l'installazione di un regolatore di velocitàper ogni turbina; il rispetto della condizione di massima accessibilità di ogni organo meccanicoanche durante la marcia; l'attacco diretto delle turbine alla dinamo e la protezione di questa daeventuali proiezioni di acqua. Sei case inviarono i loro progetti, e precisamente le ditte Escher Wyss& C. (Zurigo); Ganz & C. (Budapest); Golzern Maschinenfabrik (Golzern); Piccard & Pictet(Ginevra); Riva Monneret & C. (Milano); Singrun Frères (Epinal). Vincitrici del concorso di primogrado risultarono la Riva Monneret e la Escher Wyss; in seconda istanza la fornitura venneassicurata alla casa di Milano. La centrale Bertini è pertanto dotata di macchine Riva (turbine di tipoFrancis a unica cassa) in cui l'acqua arriva lateralmente in una camera cilindrica di lamiera di acciaiodel diametro di 3,30 metri (fotografia in alto), che avviluppa il complesso dei distributori e delleruote. Queste macchine erano le più potenti fino ad allora costruite, dopo quelle del Niagara. In essela regolazione della portata veniva eseguita manualmente agendo sul distributore (foto al centro).Le turbine lavorano a 180 giri al minuto, e ciascuna può smaltire fino a 8700 litri di acqua al secondocon un rendimento garantito del 78 per cento. Il regolatore che comandava la rotazione dell'ottura-tore era del tipo Ganz & C. Le macchine sono direttamente accoppiate, mediante giunto diadattamento, ai generatori (fotografia in basso) forniti dalla ditta Brown Boveri & C. di Baden.

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Lo sbarramento per la seconda centrale Edison sull'Adda, detta diRobbiate (oggi centrale Esterle ), fu fatto a monte della diga di Paderno eprecisamente in località Robbiate. Tale sbarramento consiste in una digaa cinque paratoie trattenenti l'acqua con un dislivello di 8,7 metri tramonte e valle. Le paratoie sono di tipo Stoney e ognuna di esse misura 10metri di lunghezza e 9 di altezza. A destra della diga si origina il canalederivatore che nei primi 338 metri serve anche per la navigazione; altermine di questo tratto si trovano l'edificio di presa, una conca per la

navigazione e la scala per la rimonta dei pesci. Da questo punto il canalesegue a mezza costa la valle e poco prima del ponte di Paderno entra ingalleria per uscirne poco prima del bacino di ammissione. Questo canalederivatore è lungo complessivamente 4972 metri, di cui ben 3365 ingalleria. Il canale termina nel bacino di ammissione in cui si innesta-no sette tubi di lamiera, che conducono forzatamente l'acqua alle tur-bine nell'edificio motori (nella fotografia): sei sono gli alimentatoridei gruppi principali; il settimo, più piccolo, serve per le eccitatrici.

L'ampio edificio motori (fotografie in alto) della centrale Esterle,particolarmente decorato, rappresenta una notevole applicazione delrepertorio eclettico rinascimentale-lombardo impegnato a offrire unaimmagine di solidità e credibilità della società Edison. La tecnica didecorazione esterna e interna è quella a graffio ottenuta sovrappo-nendo strati policromi di intonaco che affiorano a seconda della pro-fondità dell'incisione del disegno, con un effetto di notevole resisten-

za agli agenti atmosferici, tanto da apparire ancora oggi in ottimostato. Anche internamente la sala macchine (fotografia in basso asinistra) conferma la funzione di rappresentanza dell'impianto connumerosi elementi di arredo decorati come le lampade in ferro bat-tuto. L'impianto funziona attualmente con i gruppi generatori ori-ginari; sono state cambiate successivamente solo alcune parti ac-cessorie come i quadri di comando (fotografia in basso a destra).

Savigliano, era fondato in una massa dicalcestruzzo; gli isolatori ceramici dellalinea, parte a campanelle e parte a om-brello multiplo, vennero forniti dalla dittaRichard Ginori e presero il nome di «iso-latori di Paderno».

La linea, lunga 32 785 metri, nel suopercorso non seguiva la strada, ma attra-versava le campagne con un tracciato pra-ticamente rettilineo subendo deviazioniconsistenti solo nell'attraversamento diferrovie, corsi d'acqua e all'entrata inMilano. La società Edison pagava al pro-prietario del terreno una quota per metrodi attraversamento a copertura dellaschiavitù derivante dall'imposizione deipali e dei fili, dei danni causati durante laposa in una fascia di tre metri attorno allalinea e dei danni causati durante trentaanni per riparazioni e manutenzione, ri-servandosi il diritto di accesso e transitonella suddetta fascia. Relativamente allaripartizione della potenza prodotta, unaprima derivazione veniva fatta dalla cen-trale stessa per fornire energia ai vicinipaesi della Brianza; un'altra al chilometro20 per la città di Monza e una terza aSesto S. Giovanni, ove esisteva una sta-zione di convertitori per la tranvia inte-rurbana Milano-Monza.

A Milano la linea, girando dietro il ci-mitero Monumentale, arrivava all'offici-na di Porta Volta da cui si dipartiva ladistribuzione per la città che comprende-

va: una rete sotterranea, a corrente trifa-se, per la distribuzione di energia a scopopromiscuo di forza motrice e illuminazio-ne; una rete sotterranea a corrente conti-nua per la distribuzione di energia a scopoquasi esclusivo di illuminazione per il cen-tro della città; una rete tranviaria aereache si andava sviluppando rapidamente.Le ultime due reti venivano alimentateattraverso la vecchia centrale di S. Rade-gonda, adibita a officina convertitrice.

II rapido incremento dell'utenza della città di Milano e del suo hinterland,

dovuto al diffondersi dell'illuminazioneprivata e ai consistenti prelievi di zoneindustriali come Monza e Sesto S. Gio-vanni interessate dal progressivo espan-dersi della rete di distribuzione, portaro-no a un ampliamento delle iniziative dellasocietà Edison, e a una più accorta poli-tica di sfruttamento delle forze idraulichefornite dai corsi d'acqua: produrre ener-gia senza bruciare energia significava esignifica usare nel modo migliore possibi-le le risorse naturali energetiche rinnova-bili come appunto i fiumi.

Il criterio seguito per l'impianto diPaderno era stato restrittivo: trarre dalleacque dell'Adda una potenza costante-mente disponibile ogni giorno per tutti idodici mesi dell'anno. Questa potenzanon poteva che essere la minima inverna-le, e la centrale termica di Porta Volta a

Milano assolveva unicamente una fun-zione di riserva. Adottando nuovi criteririsultò conveniente proporzionare l'im-pianto idroelettrico a una portata supe-riore a quella di minima magra e integrarele deficienze stagionali con una centraletermica.

Sulla base di questo criterio, quando lasocietà Edison nel 1906 deliberò di prov-vedersi di nuovi impianti, si ricorse un'al-tra volta all'Adda per un suo più ampiosfruttamento. Apparve evidente la possi-bilità di avere a disposizione un maggioredislivello di quello utilizzato dalla centra-le Bertini tra Paderno e Porto d'Adda.

Fu così ideato un nuovo impianto, chedoveva sottendere quello già in funzione,captando le acque dell'Adda circa un chi-lometro a monte della precedente presa,convogliandole in un canale derivatorescavato in galleria per la massima parte, erestituendole al letto naturale con un sal-to di circa 39 metri, alquanto più a valledella centrale esistente. Le opere idrauli-che del nuovo impianto, che si chiamò diRobbiate dal nome della località presso laquale sorse la diga (oggi centrale Esterle),furono proporzionate a una portata dicirca 80 metri cubi al secondo, ottenendouna potenza elettrica di 24 720 kW.

Con questa struttura topografica i dueimpianti si trovavano a essere idrauli-camente in parallelo anziché in seriecome generalmente avveniva; di conse-

guenza in periodo di acque abbondanti sisuddividevano l'acqua mentre nei periodidi magra la centrale di Paderno smettevadi produrre; alla centrale termica di PortaVolta, potenziata a 30 000 kW, fu riser-vato il compito di compensare la deficien-za stagionale di energia elettrica. Neiprimi mesi del 1914 fu attivata la nuovacentrale, dotata di sei gruppi generatori

costituiti ciascuno da una turbina tipoFrancis a doppio corpo da 6900 HP e daun alternatore da 6600 kVA a 42 Hz difrequenza; due di tali gruppi erano prov-visti di un secondo alternatore da 5850kVA a 16 Hz di frequenza per fornireenergia alla linea Milano-Lecco delleFerrovie dello Stato, sulla base di un con-tratto stipulato nel 1912.

La «magnificenza» con cui è stato rea-lizzato l'edificio motori rappresenta uninteressante esempio di architetturamonumentale applicata all'industria,esplicativa dell'importanza che l'impian-to in quel momento doveva rappresentareper la società di appartenenza. Lo stile,tratto dal repertorio eclettico, presentacaratteri di chiara estrazione rinascimen-

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SISTEMA ED1SON IN ITALIA

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Abbiamo onore di inforrna,vi eh e abbiamo rilevato la licenza escluivadi applicare in Italia i siatemi EDIgON per l'illuminazione elettrica é per l'applica-zione delrelettricitA alla tramissione della forza motrice ed alle ferrovie.

Siamo quindi in misura di procedere immediatamente a qualunque instal-lazione di illuminazion elettrica sia con lampade elettriche a incandescenza sistemaEnisoa come anche cou lampade ad arco ovo venga richiesto.

aistema ED/R. , oltre ad avere la priorità su tutti gli altri 'ditemi di

illuminazione elettrica ad incandescenza anche quello che riunisco le condizioni.migliori per la durata delle lampade, /a facilità della loro installazione e li tenditi+delle macchine. Esso è il solo che pormett* di faro una illmninazione in qual-siasi proporzione , sia per applicazioni isolale in opifici od abitazioni private.aia per stazioni centrali di illuminazione nelle città e nei grandi centri industrialicon macellin* dinamo-elettriche capaci di alimentare da 30 fino a 1200 lanipad,Crediamo inutile di aggiungere che l'illuminazione elettrica a incandescenza, oltrealla convenienza nel costo della lisce, presenta il vlintaggio di sopprimere in modoassoluto qualunque pericolo di esplosione o di incendio. •

Stiamo apprestando il listino tic; 'metri prezzi e le necessarie istrezioni cheavremo l'onore di comunicarvi fra pochi g iorn i. in caso eh(' intendeste fare l'ap-plicazione od anche solo l' esperimento dei nostri apparecchi vogliate trasmettereii dati Deeragari ed eventualmente il pianu della toea/ità in eui ai deve installare

Gradite i nostri pili distinti saboti.

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Il 28 giugno 1883 fu attivata la centrale termoelettrica di S. Radegonda che disponeva di sei grup-pi generatori capaci ciascuno di erogare 900 ampere a 125 volt di tensione, e alimentare da 160a 1200 lampade a incandescenza da 16 candele. La centrale rimase in attività fino al 1923.

La prima circolare del Comitato per l'applicazione dell'elettricità sistema Edison, costituitosi aMilano dopo che Edison aveva presentato, all'Esposizione internazionale di Parigi del 1881, lasua lampada a incandescenza. Il comitato acquistò il 28 luglio 1882 il teatro detto di S. Radegon-da, per impiantarvi una centrale termoelettrica, che fu la prima di questo tipo in tutta Europa.

tale-lombarda, in cui predomina il ros-seggiare del mattone a vista abbinato albianco delle pareti trattate a intonaco.

Nel 1917 la società Edison, semprepremuta dalla crescente domanda dienergia elettrica, aveva chiesto la conces-sione per una nuova installazione sull'Ad-da, atta a integrare il complesso idroelet-trico esistente Robbiate-Paderno. Losbarramento di Robbiate creava nel lettodel fiume un dislivello di 8 metri tra il pelolibero dell'acqua a monte dello sbarra-mento e quello a valle: sull'utilizzazionedi questo dislivello fu progettata la cen-trale di Calusco (oggi Semenza) capace diutilizzare l'acqua di morbida eccedente laportata della centrale di Robbiate, primache alimentasse quella di Paderno.

La centrale di Calusco venne edificatasulla riva sinistra del fiume, con una con-figurazione particolare: non vi è canalederivatore (analogamente alla centrale diTrezzo d'Adda) né bacino d'ammissione.Le acque convogliate alla sinistra dellosbarramento di Robbiate in un canalebacino, con sfioratore di troppo pieno,vengono immesse, dopo aver superato unsistema di intercettazione a paratoie me-talliche, in due vasche (profonde 9 metri,larghe 6 e lunghe 18) sul fondo delle qualisono sistemate le turbine.

L'impianto è strutturato in modo dapoter utilizzare la forza posseduta da unagrande massa d'acqua (85 metri cubi alsecondo) e non l'energia dovuta al saltoesistente tra la quota del pelo libero del-l'acqua e quella della turbina, principiosul quale erano basati i due precedentiimpianti. Avendo impiegato turbine areazione tipo Francis, adatte per salti piùelevati, fu necessario utilizzare sei turbinecon distributore a direttrici manovrabiliper la regolazione della portata calettatesu uno stesso albero (lungo 16 metri) ingruppi di due. L'impianto, con l'insiemedei due sistemi motori della potenzacomplessiva di 4800 HP, sviluppavauna potenza elettrica di 4000 kVA; latensione, alla frequenza di 42 Hz, eradi 13 000 volt.

Si può dire che si tratta di una «centralesommersa» in quanto tutta la zona delleturbine è completamente sovrastata dal-l'acqua, mentre la zona in cui sono collo-cati gli alternatori, la sala controllo e quel-le servizi è al livello del pelo libero del-l'acqua a valle dello sbarramento.

I tre impianti, agendo in parallelo, svi-luppano complessivamente una potenzaelettrica efficace di 37 000 kW.

I 'area intorno al medio corso dell'Addadi cui ci siamo occupati è attualmen-

te oggetto di ipotesi per un suo poten-ziamento e sviluppo, costituendo unimportante fascia di territorio adiacenteall'area metropolitana. Il fiume stesso ele sue sponde sono destinati alla costitu-zione di un parco di importanza regiona-le. Di riscontro si verifica una progressi-va disattivazione e sostituzione dellevecchie strutture industriali e del tessutocreatosi intorno ad esse: l'abbandono eil degrado del naviglio di Paderno, laforte contrazione subita dal settore tessi-

le, mentre si assiste invece al potenzia-mento di strutture come quella viariacon la sostituzione del ponte di Padernoe quella per la produzione di energiaelettrica con la ventilata ipotesi dell'in-stallazione di una grande centrale idroe-lettrica e la conseguente chiusura dellecentrali Edison.

Questo fenomeno pone urgentementeil problema del rapporto tra esigenze del-la pianificazione economico-territorialee mantenimento del patrimonio storico--artistico-ambientale; rapporto che è sta-to visto a volte come freno alle esigenzedella pianificazione ma che in realtà è edeve rimanere freno ai tentativi, pur-troppo quasi sempre riusciti, di specula-zione mascherati da un'immagine di pro-gresso o di necessità. L'archeologia indu-striale si pone il problema della lettura edel mantenimento di questi manufattiestendendo a essi il concetto di bene cul-turale per il loro importante significatostorico-sociale troppo spesso ignorato, equindi suscettibili di una iniziativa per latutela, la catalogazione, la valorizzazionee il riuso che meritano.

Ricavare informazioni da oggetti fisici,il cui fine originario era essenzialmenteproduttivo o collegato al momento dellaproduzione, è il compito primo della ar-cheologia industriale e giustifica anchel'adozione di una tale denominazione,dove il momento archeologico non si limi-ta (anche se lo include) all'atto fisico delrendere visibile ciò che non lo era (loscavo, quando necessario). ma si realizzain maniera analoga nella interpretazionedel resto come fonte di informazione sto-rica, anche quando esso sia in superficie,destinato a usi diversi, abbandonato, o(come a volte accade) ancora in parte le-gato ai fini per cui era stato originaria-mente concepito.

Non si tratterà allora di rimuoverenecessariamente zolle di terra, ma di cer-care sotto i camuffamenti degli stili e del-le esigenze celebrative, o sotto le modifi-cazioni imposte dalla ristrutturazioneproduttiva, le funzioni originarie non giàper mera curiosità antiquaria, ma perricostruire una dinamica che negli spazidel lavoro e nella loro storia ha il suocentro di interesse.

Acuta è stata la polemica (e lo è anco-ra) sulle diverse accentuazioni che porta-no talora a privilegiare alcuni aspetti dellavoro archeologico-industriale (per suanatura interdisciplinare): di volta in voltala storia della tecnologia, o quella dell'ar-chitettura, o quella economica e sociale.Per parte nostra siamo tra quelli che han-no più volte ricordato come al centro diogni ricerca sul passato utile per il presen-te stiano gli uomini, i loro rapporti, il lororapporto con l'ambiente.

E di tutti questi è il nesso tra uomini ecose allo scopo della produzione di merciche ci interessa, cioè quel costituirsi inclassi tra loro vincolate da rapporti de-terminati, che sta alla radice della societàindustriale fondata sul modo di produzio-ne capitalistico. La «stratificazione» degliinsediamenti produttivi a seguito del rin-novamento tecnologico e delle vicende

Dopo l'inaugurazione della centrale di S. Radegonda con l'illuminazione del teatro Manzoni,si iniziarono i primi esperimenti per l'illuminazione pubblica. Nell'immagine (da «L'illustra-zione italiana»), il primo (18 marzo 1884) in piazza del Duomo, con lampade ad arco.

Il 2 novembre 1893 si inaugurava a Milano il primo tram elettrico a conduttura aerea, a spese dellaSocietà italiana di elettricità sistema Edison. La prima linea andava da piazza del Duomo a cor-so Sempione (nella fotografia), con un percorso di circa 3 chilometri. Al servizio furono adibitedieci carrozze, alimentate da corrente continua proveniente dall'officina di via Gian Battista Vico.

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Nella centrale Semenza il gruppo di turbine è collegato sul fondo didue grosse vasche isolabili mediante paratoie metalliche movibilimanualmente (fotografia a sinistra). In ognuna di queste vasche sonocontenute, calettate su un albero di 16 metri di lunghezza, sei turbinesuddivise in gruppi di due. L'acqua, riempiendo le vasche, pesa diret-

tamente sulle turbine imprimendo il movimento. La regolazione dellaportata è ottenuta variando la sezione di passaggio dell'acqua attra-verso il distributore, operazione controllata da un regolatore oleodi-namico (fotografia a destra) della ditta Riva-Calzoni, di cui quellidella centrale Semenza sono gli unici esemplari esistenti e funzionanti.

La centrale di Calusco (fotografia in alto), oggi Semenza, si trovasulla sponda sinistra dell'Adda a ridosso dello sbarramento di Rob-biate di cui si vedono, sulla sponda destra, gli edifici accessori qua-li quello di presa, la scala dei pesci e la conca per la navigazione. Ilcomplesso della centrale è strutturato in un unico corpo che identi-fica due volumi; nel primo è contenuta la sala di controllo, nel se-

condo, il più alto, sono contenuti i gruppi generatori mentre nel suoprolungamento verso la diga di Robbiate (fotografia in basso a si-nistra) sono contenute, al fondo di apposite vasche, le turbine. Taliturbine vengono alimentate dalle acque di morbida, eccedenti larichiesta della centrale Esterle, posta a valle, prelevate direttamen-te dallo sbarramento sul fiume (fotografia in basso a destra).

economiche dà ragione ulteriore dellaadozione di un metodo di indagine che,dalla archeologia, mutua la identificazio-ne nel territorio di differenti «strati»,ognuno relativo a precisi livelli dello svi-luppo economico, scientifico e sociale.Non sempre tali strati corrispondono fisi-camente a successioni in verticale di por-zioni di terreno: essi possono più spessoessere sovrapposizioni su uno stesso edifi-cio originario di strutture che ne modifica-no la fisionomia e le funzioni (dalla clamo-rosa trasformazione di ospedali e conventiin opifici, alla ristrutturazione di manufattiedilizi già concepiti per fini produttivi, main funzione della forza motrice idraulicapiuttosto che di quella elettrica e così via),

non è comunque raro imbattersi in traccia-ti ferroviari abbandonati o rovine di forna-ci, ponti e altre strutture legate alla primaetà dell'industrialesimo, veri e propri re-perti archeologici.

È appena il caso di ricordare che giàl'archeologia classica e quella medioevalesi sono misurate con lo studio dei luoghipiù antichi della produzione, ma qui l'og-getto è diverso e dunque lo sono ancheproblemi e strumenti di intervento. Glioggetti della archeologia industriale (as-sunto che essa si occupi dei resti delleattività produttive obsolete, fisico rappre-sentarsi di un modo di produzione preci-samente indentificato e quindi non con-fondibile con tradizioni produttive di tipo

artigianale o preindustriale) hanno unlegame molto più diretto con la loro con-temporaneità; essi sono spesso calati nel-l'uso corrente, nella dinamica economicache anima il territorio oggi, in diretto rap-porto con il posto che vi occupavano ieri.Va detto che, proprio in virtù di tale rap-porto con il presente, i monumenti indu-striali, ancor più di quelli celebrativi tra-dizionali, sono investiti da processi di usu-ra molto rapidi, dove non è tanto la corro-sione degli elementi atmosferici a opera-re, quanto quella del decadimento tecno-logico e della convenienza economica.Sicché l'archeologia dell'industria è co-stretta a dotarsi di strumenti che consen-tano la più precisa registrazione dell'esi-

stente sapendo che gran parte di questo è,per sua natura, destinato alla più rapida etotale delle distruzioni e che i principi diuna politica di tutela debbono ancora unavolta poggiare su precisi criteri di selezio-ne derivanti da una conoscenza appro-fondita del patrimonio e quindi da ade-guate scale di valori.

Tale conoscenza implica la messa apunto di strumenti di registrazione ade-guati alla varietà delle situazioni-tipo ealle possibilità di archiviazione, consul-tazione e lettura dei dati. Purtroppo èproprio di tali strumenti e delle loro pro-cedure di applicazione che si sente mag-giormente la mancanza nel nostro paese,in particolare quando si fa un confrontocon le esperienze straniere, spesso moltopiù avanzate, anche se non sempre to-talmente condivisibili. Gran Bretagna eStati Uniti hanno da tempo formulatoprogrammi per la protezione e il censi-mento dei beni di natura archeologi-co-industriale, mentre Svezia, Polonia,Francia, Belgio fanno pure registrare unacrescente attenzione verso queste pro-blematiche.

erto i più noti sono i casi della GranBretagna, dove l'archeologia indu-

striale è nata ed è divenuta interesse cul-turale di massa, tanto da occupare ampiospazio sui depliant pubblicitari del BritishTourist Authority come una delle attrat-tive principali del patrimonio storico na-zionale. Il museo open-air di Ironbridge,articolato su un'area di oltre 15 chilome-tri quadrati intorno al primo ponte in fer-ro della storia umana (realizzato dai fra-telli Darby nel 1779 sul fiume Severn),accoglie ogni anno circa 160 000 visitato-ri ed è solo la punta emergente di unavasta rete di associazioni locali e museiindustriali di cui sarebbe qui impossibilerendere conto.

Sul piano pubblico vanno inoltre segna-late le attenzioni riservate dal Council forBritish Archaeology alla realizzazione diprogrammi in questo campo e la costitu-zione dell'archivio di schede di rilevazio-ne (per quanto piuttosto approssimative)presso il Centre for the Study of the Hi-story of Technology dell'Università diBath.

La Gran Bretagna è inoltre l'unico pae-

se a godere di una definizione legislativadi monumento industriale (Act del Mini-stry for Public Buildings and Works del1965) dapprima intesa a identificare etutelare il patrimonio architettonico esuccessivamente estesa anche ai benimobili comprendendo così anche mac-chine e suppellettili.

Forse meno conosciuta, ma di grandeimportanza, l'esperienza degli Stati Uniti:qui operano una Society for IndustrialArchaeology sul modello inglese, associa-zione volontaria che ha esteso la sua pre-senza al di là dei confini nazionali racco-gliendo esperti di tutto il mondo, e soprat-tutto un ente federale: lo Historic Amen-can Engineering Record (H AER).

Inquadrato nell'Heritage Conservationand Recreation Service (Dipartimentodegli Interni) l'HAER svolge una minu-ziosa opera di rilevamento su tutto il vastoterritorio nazionale, censendo i complessidi interesse archeologico-industriale eformulando ipotesi di tutela e riutilizzo,quando possibili. L'opera dell'HAER siavvale di gruppi interdisciplinari chesvolgono un lavoro di rilievo e progetta-

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•Un importante processo evolutivo si ebbe nei dispositivi per ad-durre le portate scaricate dalle vasche di carico al livello sottostan-te del corso d'acqua. Finché le utilizzazioni per forza motrice silimitavano a modeste portate e a piccoli salti l'energia da dissiparenon era cospicua e la massa d'acqua proveniente dallo sfioratorepoteva cadere liberamente o nel canale di scarico o nel corsod'acqua. Aumentate le portate e i salti, il problema di condurre le

acque di scarico cadenti da una certa altezza divenne fondamenta-le. La soluzione adottata nell'impianto di Paderno (a sinistra), ilprimo di considerevoli dimensioni, fu quella a gradoni che sostan-zialmente provvede allo smaltimento frazionato dell'energia. Nel-l'impianto di Robbiate (a destra) la soluzione a gradoni fu sostitui-ta con sifoni Gregotti e scivolo dissipatore che consentivano, coningombri assai minori, lo smaltimento delle portate esuberanti.

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La prima facciata, e la parte riservata alla documentazione graficae fotografica del manufatto edilizio, della scheda elaborata dallaSocietà italiana per l'archeologia industriale (SIA!). La struttura

della scheda (quella qui presentata riguarda la rilevazione del Ma-cello di Vigevano) è pensata in modo da consentire l'elaborazioneelettronica dei dati e facilitare così un successivo lavoro di ricerca.

zione sul campo durante campagne estivein collaborazione con enti locali, impreseprivate, associazioni culturali. La docu-mentazione raccolta è poi resa disponibileal pubblico gratuitamente, in modo che ilmateriale documentario (disegni, foto-grafie, ecc.) possa essere utilizzato permostre, iniziative di studio e di program-mazione dello sviluppo territoriale nellediverse regioni di cui si è occupato loHAER. Nel 1978 tali progetti di studioapprofonditi di determinate aree o mo-numenti industriali erano poco meno diventi con uno sforzo economico di note-voli dimensioni.

Sia nel caso degli USA, sia in quello delRegno Unito, va rilevata una sensibilitànon comune delle aziende verso la tutelae Io studio del proprio passato. La Confe-derazione dell'industria britannica è d'al-tra parte intervenuta da tempo su questotema e lo stesso museo di Ironbridge èstato realizzato anche con il contributodella British Steel Corporation, dellaTarmac Limited e di altre imprese locali

senza la partecipazione delle quali sareb-be oggi difficile la gestione di una attivitàche comporta oltre 130 000 sterline dispesa all'anno. Dal canto suo l'HAER èdotato di un Emergency Recording Team(ERT), appositamente creato per la regi-strazione di monumenti industriali desti-nati alla distruzione, e il cui interventoavviene a pagamento su richiesta delleindustrie che intendano modificare inmodo massiccio i propri impianti, ma vo-gliano conservarne memoria secondoschemi di registrazione scientifici (mal'efficacia dell'intervento dell'ERT vaben al di là di questi ambiti conoscitivi, senel 1977 solo cinque dei ventisette casi incui era intervenuto l'Emergency Recor-ding Team si sono poi conclusi con consi-stenti demolizioni). D'altra parte il pro-blema del riutilizzo di contenitori indu-striali, della sua convenienza economicaoltre che delle opportunità culturali, èparticolarmente sentito negli Stati Uniti,dove spesso i quartieri industriali di piùantica data sono situati nel cuore della

l'archeologia industriale, fino a tracciarepercorsi didattici nella città con pannelli,centri di informazione e promozione diiniziative culturali, e così via. Il discorsodel museo «abitato» e non «separato»dalla comunità ha qui avuto una primaimportante applicazione.

Abiamo delineato un arco di esperien-ze che va al di là dell'atto del censi-

mento, della identificazione e interpreta-zione del monumento industriale per af-frontare il problema delle molteplici pos-sibilità di restituzione all'uso quotidiano.Tali problemi di tutela, restauro, riusosono ovviamente propri di tutto il com-plesso dei beni culturali di un paese e sonooggetto di ampie discussioni da diversotempo: va notato però come proprio nelcampo dell'archeologia industriale sianostati conseguiti, all'estero, risultati di no-tevole significato capaci di fornire indica-zioni che vanno ben al di là dell'ambitodella conservazione del patrimonio indu-striale. È il caso dell'Ecomuseo di LeCreusot, in Francia, dove il principio diuna conservazione globale dell'ambientein stretto rapporto con la comunità locale,così come si configura oggi, ha dato origi-ne a una interessante esperienza nataintorno alle settecentesche vetrerie e poiallargatasi a tutta la regione circostantecomprendendo, oltre alle vetrerie e alle

officine siderurgiche e meccaniche di LeCreusot, i complessi minerari di Blanzy ediverse strutture produttive delle campa-gne circostanti (mulini, magazzini, ecce-tera). È, ancora una volta, l'idea del mu-seo «diffuso» che ha trovato nel passatoindustriale un suo campo particolarmentefecondo di applicazione.

La casistica potrebbe molto ampliarsiandando dal risanamento dei quartieriartigiani e industriali di Lodz in Polonia,al restauro delle ferriere di Engelberg inSvezia, al museo di archeologia industria-le di Gand in Belgio imperniato sui temidell'industria tessile. Si sono cioè registra-te vicende diverse, con accentuazioni dif-ferenti a seconda dei contesti nazionali,delle risorse e delle peculiarità del patri-monio, ma è certo che molta strada è statacompiuta da quando, al finire degli annicinquanta, l'espressione «archeologiaindustriale» veniva usata per le prime vol-te sulle riviste inglesi. E così dal problemadi un rapporto puramente descrittivo conl'oggetto si è passati a una coscienza piùprofonda del suo significato culturale ealla ricerca di strumenti per l'interpreta-zione di questo significato e la sua tra-smissione al pubblico più vasto.

Non si può dire che questa sia anche lasituazione del nostro paese, dove di

archeologia industriale si è cominciato a

parlare solo da poco, in particolare inoccasione del primo convegno interna-zionale su questo tema organizzato a Mi-lano nel giugno 1977 dalla appena costi-tuita Società Italiana per l'ArcheologiaIndustriale (SIAI) che si trovava a racco-gliere l'eredità di un centro di documen-tazione lombardo. fondato l'anno prece-dente in ambito universitario. È vero cheoggi la SIAI conta alcune sezioni regiona-li (Piemonte, Lombardia, Emilia-Roma-gna, Lazio) e che un analogo centro didocumentazione si è costituito a Napolicon competenza territoriale su tutto ilMezzogiorno, ma è altrettanto vero che ladiscussione stenta a uscire dalle defini-zioni teoriche per affrontare i problemiinerenti la sperimentazione di proceduree la esperienza di lavoro nel territorio.

L'archeologia industriale è ancora,cioè, in una fase definitoria, alla ricerca diuna propria fisionomia mentre le urgenzederivanti dallo stato di abbandono di unpatrimonio sinora praticamente ignorato(salvo casi sporadici anche se importanticome il lavoro del Museo della scienza edella tecnica di Milano nel campo dellaconservazione di macchinari, per esem-pio) si fanno più pressanti. Comunquealcune cose sono state fatte, e altre sonoin corso, e anche di notevole interesse.

Interventi di restauro e riuso di edificiindustriali adibiti a usi scolastici e sociali

città e pongono problemi non indifferentiin vista di una rivitalizzazione dei centriurbani degradati.

Alla realtà americana appartiene ilcaso forse più clamoroso di intervento sulpatrimonio storico-industriale, cioè la ri-vitalizzazione della città di Lowell, Mas-sachusetts, centro tessile culla della rivo-luzione industriale negli Stati Uniti. Quil'intero centro storico comprendente fab-briche, magazzini, edifici commerciali èstato risanato con opere di restauro, e sisono create importanti strutture musealiincentrate sulla documentazione delletecniche dell'industria tessile ottocente-sca e sui modi di vivere da questa indottinella collettività. Canali, percorsi ferro-viari abbandonati sono stati restituiti ai-l'uso pubblico come passeggiate e zone diricreazione, edifici industriali sono stati inparte riciclati a fini commerciali, e in par-te riutilizzati ancora per scopi produttivi.li tutto nell'ambito della costituzione diun parco urbano in cui l'opera di tutela siè rivolta principalmente agli oggetti del-

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Resti degli altoforni di Blist Hill, uno dei siti che compongono il museo open-air di Ironbridge.Costruiti in diverse riprese a partire dal 1832 gli impianti vennero del tutto abbandonati negli anniventi del nostro secolo. Nel 1973 il museo promosse i lavori di scavo e restauro, e oggi le strutturedel complesso sono chiaramente leggibili: si tratta di tre forni alti circa 50 piedi, affiancati dadue costruzioni per l'alloggiamento di macchine a vapore che insuffiavano l'aria attraverso unarete di condotti sotterranei. Tutt'intorno sorgevano magazzini e officine di fabbri ferrai.

Impianti per la lavorazione del carbone a Gilly, in Belgio. Il grande camino di ventilazione siinnesta in un severo edificio in mattoni a vista: un elemento del paesaggio industriale comprenden-te la Région du Nord, la Wallonie e la Rhur, documentata dalla mostra Le paysage de l'industrie,allestita a Bruxelles nel 1975, una delle prime iniziative realizzate nell'Europa continentale.

come a Torino per iniziativa dell'ammini-strazione comunale, o a Chiavenna a ope-ra della Comunità Montana (per questeesperienze si veda la documentazioneraccolta nel volume Architettura del lavo-ro di P. Caputo, C. Fazzini e A. Piva,Marsilio, Venezia, 1979) o la lunga vi-cenda del Macello romano del Testacciosalvato dalla distruzione e ora in attesa diconcrete opere di ristrutturazione, hannoaffrontato in vario modo i termini di unarestituzione all'uso collettivo dei conteni-tori industriali abbandonati, così come èavvenuto nel convegno dell'aprile 1980 aCollegno, tenutosi proprio in quel villag-gio Leumann, che è tra i primi esempi diintervento pubblico nel settore, dopo chela Regione Piemonte ha esplicitamentecompreso i beni storico-industriali nel-l'ambito della propria legislazione inmateria di beni culturali.

Va inoltre detto che la pubblicistica ita-liana si va ampliando (va segnalato il«Notiziario», trimestrale della SIA!Lombardia, unica pubblicazione del ge-nere in Italia) con frequenti articoli e al-cuni contributi più corposi intesi a scio-gliere i nodi teorici che la disciplina portacon sé. La matrice dell'interesse versol'archeologia industriale si definisce, inquesti casi, con chiarezza provenendodagli ambiti della storia dell'arte e dell'ar-chitettura o da quelli progettuali e urbani-stici, più che dalle linee di ricerca dellastoria della tecnologia come avvenuto neipaesi anglosassoni. Ma a queste originariecompetenze si sono aggiunti contributidiversi, sia nella storia economica e socia-le che in quella letteraria e di costume,con l'intento di fornire una lettura com-plessiva dei monumenti individuando tut-te le relazioni tra uomini e industria senzaappiattimenti su l'uno o l'altro degli inte-ressi scientifici che avvicinano di volta involta al reperto di archeologia industriale.Tale discussione e tali contributi sonospesso incentrati sulle questioni metodo-logiche anche per la scarsità di conoscen-ze sul patrimonio del nostro paese.

i ritorna così alla centralità di una ope-L2 razione imprescindibile per ogni ulte-riore sviluppo conoscitivo in materia, cioèle definizione di strumenti e procedureatti al censimento dei beni archeologico--industriali, e la loro sperimentazione inaree campione come primo passo versouna azione generalizzata almeno allezone di più antica industrializzazione. Aquesto proposito va citata la adozione daparte dell'Istituto centrale per il catalogo(Ministero dei beni culturali) di due sche-de di registrazione espressamente conce-pite per il rilievo dei reperti del primoindustrialesimo: la scheda «impianti in-dustriali» e quella «macchine e meccani-smi», entrambe intese come allegati allegià esistenti schede «A», destinate al ri-lievo di opere d'architettura civile.

Non è qui il caso di addentrarsi neiproblemi che tali strumenti comportano,nelle eventuali modifiche che possonoessere apportate e nel posto che tale lavo-ro può e deve rivestire nell'ambito piùgenerale del lavoro di censimento che l'I-

stituto va portando avanti su scala nazio-nale. È da sottolineare invece l'importan-za di tale passo come segno di una acqui-sizione del patrimonio archeologico-in-dustriale all'attenzione degli organi pub-blici competenti in materia di tutela delpatrimonio storico-artistico e di quelloambientale. Prima tappa (si spera) versoil superamento del dilettantismo e delvolontarismo che hanno finora caratteriz-zato forzatamente molte delle iniziativesu singoli monumenti o aree geografiche.

Chi scrive ha avuto l'opportunità disperimentare - per conto dello stesso Isti-tuto - questi strumenti di rilevazione nelVigevanese, catalogando alcune delle ri-manenze del passato produttivo di quellazona, dopo aver utilizzato negli anni pre-cedenti altri strumenti realizzati nell'am-bito della SIA!. Alcuni dei risultati di que-sto lavoro sono riportati nella documenta-zione iconografica di queste pagine e ri-chiedono certamente ulteriori approfon-dimenti, ma ciò che conta è il tendenzialesuperamento della iniziativa privata(sempre frammentaria per limiti oggettivi,quale che sia la serietà dell'impegno) perandare a un coinvolgimento (sia pure mol-to graduale, e tutto da realizzare) degliorganismi statali e degli enti locali. Daquesti ultimi sono, d'altra parte, venuti iprimi contributi di iniziativa a cominciareda alcune mostre (San Leucio: archeolo-gia, storia, progetto, sulla comunità utopi-ca di San Leucio, Milano 1977; Perma-nenze e modernizzazione: per una storiadell'industria in Umbria, Terni 1979;Primi esiti di un inventario, mostra sull'ar-cheologia industriale in Campania e nelMezzogiorno, 1978; Macchine, scuoleindustria, mostra organizzata a Bolognasu modelli di macchine ottocenteschi re-staurati in un istituto tecnico della città),fino a tentativi di censimento sistematico(il film Archeologia industriale a Veneziae la mostra Venezia, città industriale sonostati i primi risultati di un'operazione delgenere) e al coinvolgimento degli ambitiscolastici.

Da questo ultimo punto di vista, parti-colarmente interessante è stata l'iniziati-va sviluppata negli anni 1977-78 e1978-79 a Brescia nell'ambito dell'Istitu-to tecnico per geometri «N. Tartaglia»:qui una classe di studenti ha operato ilrilievo e la successiva opera di progetta-zione per il restauro e la restituzione all'u-so collettivo di un importante complessodi tre fornaci (1875-1904) sul fiume Mel-la. Le due tappe sono state illustrate daaltrettante mostre, e l'iniziativa ha coin-volto anche la locale Sovrintendenza inuna azione di tutela degli edifici studiati.Tale esperienza,oltre a rimandarci ad al-tre analoghe e ben più estese e continua-tive attuate da molto tempo in Inghilter-ra, sembra confermare l'utilità didatticadella archeologia industriale.

Intorno a questo tipo di lavoro possonoinfatti convergere diverse competenzedisciplinari spezzando quella struttura«divisa» dell'azione formativa che è dapiù parti denunciata; così come l'osserva-zione di realtà vicine all'esperienza quo-tidiana dello studente può dare una di-

mensione concreta e di utilità immedia-tamente percepibile. che spesso mancaagli studi anche nei corsi a indirizzo tecni-co-scientifico.

Sembra dunque che il metodo della ar-cheologia industriale (fondato sul

lavoro sul campo e sul ricorso alle piùdiverse fonti con particolare riguardo aquelle orali e locali, dunque alla realtàsociale immediatamente circostante l'og-getto della ricerca) suggerisca anche l'ipo-tesi di un suo uso come strumento di so-cializzazione della conoscenza storico--scientifica dell'ambiente. Ancor più, glioggetti stessi della archeologia industria-le, essendo parte integrante di un feno-meno percettivo di massa quale è il rap-porto con l'ambiente industriale e con ilprocesso produttivo, si offrono come utilioccasioni di ricerca «partecipata» capacedi coinvolgere attivamente proprio chi glioggetti della archeologia industriale hamaterialmente prodotto, in un processodi socializzazione delle conoscenze su unpassato fortemente compromesso con lacontemporaneità e che coinvolge diret-tamente (e spesso drammaticamente) lavicenda personale e collettiva di interecomunità.

I destinatari primi dei risultati di unaricerca archeologico-industriale sonodunque coloro che, in posizione storica-mente subalterna, ne hanno prodotto glioggetti di studio, e che dalla coscienzaimmediata dell'entità di un patrimoniodebbono e possono passare alla coscienzastorica di questo per saperne comprende-re il significato e dunque formulare (oalmeno valutare) proposte in merito aldestino di manufatti di continuo al centrodi problemi di riconversione, sia per i rit-mi dello sviluppo tecnologico che per lacrisi dell'apparato produttivo. Il censi-mento di tali oggetti, e le sue procedure.non possono quindi essere disgiunti dal-l'uso che dei risultati della ricerca si in-tende fare.

Poiché si è ormai ampiamente accetta-to che il censimento dei beni culturalidebba rispondere a fini di utilità sociale esoprattutto ai fini della pianificazione diinterventi organici nel territorio, tuttoquesto si ricollega evidentemente al rap-porto con quel tessuto culturale di baseche comincia, sia pure lentamente, a esse-re investito di questi temi. Censimento ecatalogazione andranno dunque svolti inrapporto attivo e coordinato con l'entelocale, l'associazionismo culturale, ilmondo della scuola e tutti i momenti, isti-tuzionali e non, utili allo scopo di stabilireuna relazione esplicita e comprensibiletra patrimonio culturale e società. Sonoquestioni di principio troppo spesso disat-tese dalle esperienze condotte nel nostropaese in materia di beni culturali, o limita-te dalla insufficienza di mezzi e conoscen-ze. L'archeologia industriale, ulteriorebanco di prova della validità di una taleispirazione, non potrà sottrarsi a tuttiquesti limiti e a questi condizionamenti.ma potrà certamente arricchire le espe-rienze finora compiute e indicare nuovipercorsi di ricerca.

(011~11nIMIM

ARCHEOLOGIA

LE SCIENZE edizione italiana di

SCIENTIFIC AM E R I CANha pubblicato su questo argo-mento numerosi articoli tra cui:

LA PROSPEZIONE ARCHEOLOGICAdi C. M. Lerici (n. 5)

LE PITTURE GRECHEDELLA TOMBA DEL TUFFATORE

di M. Napoli (n. 8)

UN AVVENTUROSO VIAGGIOCOMMERCIALE BIZANTINO

di G. F. Bass (n. 39)

LA VITA NELLA GRECIA MICENEAdi J. Chadwick (n. 53)

LE INCISIONI RUPESTRIDELLA VALCAMONICA

di V. Fusco (n. 55)

MONTE SIRAI:UNA FORTEZZA CARTAG1NESE

IN SARDEGNAdi S. Moscati (n. 67)

17 000 ANNIDI PREISTORIA GRECAdi T. W. Jacobsen (n. 98)

ALLA SCOPERTADELL'IMPERO DI CARTAGINE

di S. Moscati (n. 107)

COME EBBE INIZIOL'ETÀ DEL FERRO

di R. Maddin, J. D. Muhlye T. S. Wheeler (n. 113)

GLI ANTECEDENTIDELLA SCRITTURA

di D. Schmandt-Besserat (n. 120)

CARTAGINE E LE SUE MONETEdi E. Acquaro (n. 121)

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