MONUMENTA BERGOMENSIA LXX - Vivi la Provincia Online storico... · La presente opera è l’esito...

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MONUMENTA BERGOMENSIA LXX

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MONUMENTA BERGOMENSIALXX

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Copyright © 2000 Provincia di Bergamo

Ricerca documentaria e cartografica d’archivio: Paolo Oscar, Oreste BelottiRicerca bibliografica: Paolo Oscar, Oreste Belotti, Barbara AriuoloCartografia: Paolo Oscar, Cartografia derivata e S.I.T., Trescore B. – Oreste BelottiFotografie: Luca LucchettiCoordinamento: Sandro GhezziCoordinamento redazionale: Danila Bresciani, Roberto Belotti, Ornella PrevitaliProgetto Grafico: Studio Lavelli - ZanicaCopertina: G&P s.r.l. - GazzanigaImpaginazione e stampa: Ferrari Grafiche S.p.A. - Clusone (BG)

Oscar, Paolo

Atlante storico del territorio bergamasco : geografia delle circoscrizioni comunali e sovracomunali dalla fine del 14. secolo ad oggi / Paolo Oscar, Oreste Belotti ; introduzione di Gian Piero Calza. – Bergamo : Provincia di Bergamo, 2000.XXXII, 542 p. : ill., fot., c. geogr. ; 38 cm.(Monumenta Bergomensia ; 70)ISBN 88-86536-17-8

1. Bergamo <prov.> – Circoscrizioni territoriali – Sec. 14.-20.I. Belotti, Oreste

912 (ed. 11 rid.)

(CIP a cura del Centro di catalogazione della Provincia di Bergamo)

I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica,riproduzione e adattamento totale o parziale,con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm ele copie fotostatiche), sono riservati per tutti i paesi.

ISBN 88-86536-17-8

La presente edizione dell'opera Atlante storico del territorio bergamasco, costituisce una semplice versione digitaledell'edizione cartacea edita dalla Provincia di Bergamo nel 2000. Ad esclusione di alcuni refusi nei testi e nellemappe storico-ricostruttive, nessun intervento di modifica o aggiornamento dei contenuti è stato fattoDicembre 2013

Questa sezione dell’opera e tutte le sezioni collegate tramite link ipertestuali sono state rilasciate con licenzaCreative Commons: Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale - 2013.Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/deed.it.

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PROVINCIA DI BERGAMO

Paolo Oscar Oreste Belotti

ATLANTE STORICODEL TERRITORIO BERGAMASCO

Geografia delle circoscrizioni comunali e sovracomunalidalla fine del XIV secolo ad oggi

Introduzione di Gian Piero Calza

BERGAMO 2000

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La presente opera è l’esito di un’ampia rielaborazione della tesi di laurea intitolata «Per un atlante storico del terri-torio bergamasco. Geografia dei confini comunali dal XIV secolo ad oggi», discussa dai due autori nel 1998 pressola Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.

A detta tesi è stato assegnato il 1° premio al concorso nazionale “Premio L’Universo 1999”, bandito dall’IstitutoGeografico Militare di Firenze per tesi di laurea su argomenti attinenti alla geografia, alla cartografia, agli studi urba-nistici, territoriali e ambientali.

Ringraziamenti

Sotto varie forme e con diverse competenze sono molte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera. Fra queste sentiamo il dovere di ricordare pubblicamente:

Giorgio Mirandola, ordinario di Lingua e letteratura francese, Università di BergamoGiulio Orazio Bravi, direttore della Biblioteca Civica A. Mai di BergamoSandro Buzzetti, archivista della Biblioteca Civica A. Mai di BergamoBruno Caglioni, Elisabetta Manca e personale della Biblioteca Civica A. Mai di BergamoJuanita Schiavini Trezzi, già Direttore dell’Archivio di Stato di BergamoRosa Gimondi e personale dell’Archivio di Stato di BergamoClaudio Albergoni, responsabile dell’Archivio della Provincia di BergamoAnna Nicotera, Carlo Lavelli, Andrea Rota e William Truglio, Area V - Territorio e Ambiente, Provincia di BergamoUgo Pelandi, presidente dell’Opera Pia Misericordia Maggiore di BergamoBarbara AriuoloEmanuele BelloniRosita BrignoliSergio Del BelloCesare FerrariLino LavelliGiorgio ManginiEmilio MoreschiDaniele PelandiAndrea Zonca

Abbreviazioni

ASBg Archivio di Stato di BergamoASMi Archivio di Stato di MilanoB.U.R.L. Bollettino Ufficiale della Regione LombardiaBCBg Biblioteca Civica A. Mai di BergamoBCVe Biblioteca Civica di VeneziaBNBMi Biblioteca Nazionale Braidense di MilanoBNMVe Biblioteca Nazionale Marciana di VeneziaG.U. Gazzetta Ufficiale della Repubblica ItalianaI.G.M. Istituto Geografico Militare di FirenzeN.C.T. Nuovo Catasto Terreni (“Cessato Catasto”)

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ai nostri genitori

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Con la pubblicazione di questo volume, la serie della prestigiosa collana “MonumentaBergomensia”, si arricchisce in modo davvero straordinario aggiungendo il settantesimo con-tributo alla serie completa.

Atlante storico del territorio bergamasco. Geografia delle circoscrizioni comunali e sovra-comunali dalla fine del XIV secolo ad oggi: questo il titolo del volume di Paolo Oscar e OresteBelotti che presentiamo con viva soddisfazione e con la consapevolezza di aver contribuitoalla definizione di un fondamentale tassello della storia delle nostre comunità.

Attraverso un minuzioso lavoro di ricerca basato sulla individuazione e sulla rielabo-razione di informazioni di carattere geostorico, desunte principalmente da fonti documenta-rie e cartografiche, viene conseguito l’obiettivo principale di questo impegnativo lavoro che,in estrema sintesi, si configura come una ricostruzione degli assetti circoscrizionali dei comu-ni della provincia di Bergamo dalla fine del XIV secolo ai giorni nostri.

Il lavoro si struttura in un repertorio di schede, organizzate in sezioni, relative ai comu-ni della provincia ed in un ricco e in buona parte inedito apparato cartografico. L’ambito ter-ritoriale assunto come riferimento coincide con la circoscrizione amministrativa dellaProvincia di Bergamo, compresi i sei comuni della Valle S. Martino recentemente passati aLecco.

Per l’ambito cronologico e per il territorio considerato, il lettore avrà modo di verifi-care che fra il primo livello identificato nel secolo XIV e l’attualità, sono state individuatediverse soglie per le quali sono state realizzate efficaci restituzioni cartografiche storico-rico-struttive. Non meno importante, nell’economia generale della ricerca, è l’apparato icono-grafico di corredo che riproduce mappe storiche ed elaborati cartografici tecnici.

Le caratteristiche strutturali e il contenuto di questa nuova proposta editoriale dellaProvincia di Bergamo giustificano appieno l’impegno sostenuto per la sua realizzazione. Variconosciuta infatti la presenza di una condizione di primaria utilità che, con un termine unpo’ azzardato ma efficace, potremmo definire della repertorialità: qualità di una particolarecategoria di libri che si configurano come compendio di informazioni copiose, originali e benorganizzate, utili soprattutto per qualsivoglia ulteriore approfondimento e che spingonoavanti in modo sensibile il grado di conoscenza storica e culturale di un territorio e dei suoiabitatori.

Come sottolinea Gian Piero Calza nel suo ampio saggio introduttivo, nel quale ci vieneofferta una disanima quanto mai esauriente dei problemi di ricostruzione e rappresentazio-ne della territorialità storica della provincia di Bergamo, l’opera dei due ricercatori berga-maschi si segnala per un motivo particolare che anche a noi piace evidenziare: l’aver porta-to a compimento l’idea di Angelo Mazzi (1841-1925), uno dei più illustri studiosi bergama-schi. È noto infatti come il valente erudito, rigido interprete di tutta la documentazione perla storia di Bergamo, dopo la raccolta e l’elaborazione di materiali di grande interesse, aves-se auspicato la realizzazione di un atlante storico del territorio bergamasco. Ora, con la pub-blicazione di questo Atlante, quello che fu il grande sogno del Mazzi diventa realtà.

Concludiamo facendo nostre proprio le parole che Angelo Mazzi ebbe a scrivere nellontano 1922 sul “Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo” e che ben interpretano l’ap-prezzamento nei confronti degli autori da parte di tutti coloro che amano la nostra terra ber-gamasca: «Credo però che ormai noi possediamo un materiale sufficiente per poterci atten-dere che in momenti men turbinosi dei nostri qualche studioso di buona volontà si accinga acompilare un Atlante Storico della nostra città e del nostro contado. Certo egli si incontreràin punti ancora oscuri ed in intuizioni che andrebbero interamente rivedute; ma, malgradoquesto, tengo per fermo che resterà ancora tanto di incontestato da poter presentare un’o-pera che farà onore e alla nostra città e a chi la compirà».

Tecla Rondi Valerio BettoniAssessore alla Cultura PresidenteProvincia di Bergamo Provincia di Bergamo

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Indice sommario

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. XI

Introduzione

G. P. Calza, Problemi di ricostruzione e rappresentazione della territorialità storica (con particolare riferimento alla provincia bergamasca). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .XV

1 CARTA GENERALE DELLA PROVINCIA DI BERGAMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1

Quadro d’unione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3Carta della provincia con limiti amministrativi comunali attuali e storici, ff. 1-8 . . . . . . . . . . . . . . . . . .4Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12

2 SCHEDE DI REPERTORIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17

Struttura della scheda di repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19Indice delle schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20Schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .21

3 CARTOGRAFIA STORICO-RICOSTRUTTIVA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .341

3.0 CARTE D’INQUADRAMENTO

3.0.1 Quadro sinottico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3423.0.2a Elenco degli atti di descrizione di confine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3443.0.2b Carta della copertura territoriale degli atti di descrizione di confine

del XIV e XV secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3453.0.3a Elenco dei comuni censuari del Catasto Lombardo-Veneto (1853) . . . . . . . . . . . .3463.0.3b Carta dei comuni censuari del Catasto Lombardo-Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . .347

3.1 TAVOLE SINOTTICHE DELLE VARIAZIONI DELLE CIRCOSCRIZIONI COMUNALI . . . . . . . . . . . .349

3.2 CARTE DI SOGLIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .379

3.2.1a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1392 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3803.2.2a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1596 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3823.2.3a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1776 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3843.2.4a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1798 (marzo) . . . . . . . . . . . .3863.2.5a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1805 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3883.2.6a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1809 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3903.2.7a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1816 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3923.2.8a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1853 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3943.2.9a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1936 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3963.2.10a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1961 . . . . . . . . . . . . . . . . . .3983.2.11a-b Elenco e carta delle circoscrizioni comunali all’anno 1999 . . . . . . . . . . . . . . . . . .400

3.3 CARTE DI SINTESI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .403

3.3.1a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1392-1596 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .404

3.3.2a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1776-1798 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .406

3.3.3a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1805-1809 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .408

3.3.4a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1805-1816 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .410

3.3.5a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1816-1853 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .412

3.3.6a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1921-1936 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .414

3.3.7a-b Elenco e carta delle variazioni delle circoscrizioni comunali nell’intervallo 1936-1961 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .416

3.4 CARTE DELLE CIRCOSCRIZIONI SOVRACOMUNALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .419

3.4.1a Suddivisione in factae del territorio bergamasco in età comunale . . . . . . . . . . . . .4213.4.1b Tabelle di raffronto dei comuni ascritti alle factae di

Porta di S. Alessandro, S. Lorenzo, S. Andrea e S. Stefano . . . . . . . . . . . . . . . .4223.4.2 Suddivisione amministrativa della Provincia bergamasca

in periodo veneto, anno 1596 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4263.4.3 Suddivisione amministrativa della Provincia bergamasca

in periodo veneto, anno 1776 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4273.4.4 Suddivisione amministrativa del Dipartimento del Serio

durante la Iª Repubblica Cisalpina, anno 1798 (marzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .428

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3.4.5 Suddivisione amministrativa del Dipartimento del Serio durante la Iª Repubblica Cisalpina, anno 1798 (settembre) . . . . . . . . . . . . .Pag. 429

3.4.6 Suddivisione amministrativa del Dipartimento del Serio durante la IIª Repubblica Cisalpina, anno 1801 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .430

3.4.7 Suddivisione amministrativa del Dipartimento del Serio durante il Regno d’Italia, anno 1805 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .431

3.4.8 Suddivisione amministrativa del Dipartimento del Serio durante il Regno d’Italia, anno 1809 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .432

3.4.9 Suddivisione amministrativa della Provincia di Bergamo durante il Regno Lombardo-Veneto, anno 1816 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .433

3.4.10 Suddivisione amministrativa della Provincia di Bergamo durante il Regno Lombardo-Veneto, anno 1844 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .434

3.4.11 Suddivisione amministrativa della Provincia di Bergamo durante il Regno Lombardo-Veneto, anno 1853 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .435

3.4.12 Suddivisione amministrativa della Provincia di Bergamo al momento dell’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna, anno 1859 . . . . . . . . . . .436

3.4.13 Delimitazione dei comprensori sub-provinciali, 1975-1981 . . . . . . . . . . . . . . . . .4373.4.14 Consorzi intercomunali della Provincia di Bergamo - Comunità Montane . . . . . . .438

4 CARTOGRAFIA STORICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .439

Indice delle carte riprodotte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .441Copertura territoriale delle Corografie e dei Tipi distrettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .441Carte storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .442

5 APPENDICE DOCUMENTARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .461

Indice dei documenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .462Documenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .464

6 FONTI E BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .519

Nota sulle fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .520Fonti documentarie e legislative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .521Fonti cartografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .524Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .525

7 INDICI ANALITICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .529

Indice dei comuni attuali e dei comuni storici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .530Indice generale dei comuni storici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .533Indice dei provvedimenti legislativi dal 1861 ad oggi - ordinamento cronologico . . . . . . . . . . . . . . .536Indice dei provvedimenti legislativi dal 1861 ad oggi - ordinamento alfabetico . . . . . . . . . . . . . . . . .538

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XI

Osservando una carta fisica della Lombardia, si è subito colpiti dalla particolare configura-zione morfologica delle due provincie orientali, Bergamo e Brescia. Infatti Cremona, Mantova,Lodi, Milano sono interamente pianeggianti; Pavia comprende una fascia collinare e vasti tratti dipianura; Como, Varese e Lecco si distendono tra basse montagne e zone lacustri; la Valtellina è in-teramente montana. Solo Bergamo e Brescia possiedono tutti i quattro caratteri del territorio lom-bardo: pianura, collina, lago, montagna. Si aggiunga a questo, per quanto riguarda Bergamo, la fit-ta frammentazione amministrativa del territorio. La Provincia di Bergamo, con un milione di abi-tanti, è suddivisa oggi in ben 244 Comuni, spesso minimi per dimensione; nel Comune capoluo-go risiede circa il 10 % della popolazione. Alcuni paragoni a questo punto diventano sorprenden-ti: la regione Toscana, con tre milioni e mezzo di abitanti, e con 22.000 chilometri quadrati di su-perficie (la superficie della Provincia di Bergamo è di 2.700 chilometri quadrati, dieci volte inferiore)ha solo 280 Comuni, che sono quindi molto vasti; la Provincia di Milano ha 240 Comuni e quat-tro milioni di abitanti, dei quali quasi 2 milioni risiedono nel capoluogo; la regione Molise rag-gruppa 300.000 abitanti in 130 Comuni, il più grande dei quali non supera le 50.000 anime.L’Umbria ha 92 Comuni. In tutta l’Italia, solo le Provincie di Cuneo, Torino, Como e Milano han-no un numero di Comuni superiore a 240 unità.

Se si procede poi a esaminare in modo più particolareggiato una carta amministrativa del-la Provincia di Bergamo, ci si trova di fronte ad altre interessanti caratteristiche. Montagna, colli-na, pianura, occupano grosso modo tre ampie fasce orizzontali, equivalenti in altezza ma non in su-perficie a causa della forma a triangolo rovesciato del territorio. I Comuni più settentrionali, Val-bondione, ad esempio, o Schilpario, hanno superficie assai estesa, con una popolazione relativa-mente ridotta e concentrata nella zona di fondo valle, lungo le strade di attraversamento. Sembraquasi di trovarsi di fronte ad una proiezione del Mercatore, in cui i luoghi prossimi al polo vengo-no dilatati a dismisura. Ma anche la forma delineata dai confini di questi comuni è spesso strana:si pensi a Rovetta, ad Albino, ad Averara: sagome strette e lunghe, poste di traverso alle valli, perricoprirne contemporaneamente versanti e fondo. La posizione della città che dà il nome al terri-torio è spesso decentrata, secondo gli obblighi e le convenienze dell’orografia generale. Nella pia-nura la situazione è nello stesso tempo analoga e opposta: analoga perché anche qui incontriamoComuni assai estesi, come Cologno, Martinengo, Caravaggio, Treviglio; ma opposta perché que-sti comuni sono in genere assai popolosi, addensati intorno a un nucleo centrale che è il punto diriferimento di tutto un sistema urbano. Si pensi a Treviglio: scendendo da Bergamo lungo la sta-tale 42, o venendo da ovest per la statale 11, Cassanese, o da Crema, o da Brignano, sempre ladirezione è segnata dal campanile di San Martino, posto esattamente all’intersezione di questequattro vie, come un gigantesco faro nel mare delle nebbie padane. Anche le linee dei confini nel-la Bassa sono diverse: con lunghi tratti rettilinei, che seguono non un crinale, ma un fosso o unastrada vicinale, con sagoma in genere tondeggiante, e con il nucleo abitato maggiore posto in po-sizione baricentrica. La fascia intermedia, che comprende Bergamo e i suoi colli, l’Isola, le collinedi Scanzo, di Cenate, di Grumello, fino a Sarnico da una parte e a Paderno dall’altra, è invece ca-ratterizzata dall’estrema frammentazione, con Comuni densi di popolazione, dal territorio piccolissimoo minimo, pigiati l’uno accanto all’altro, lungo un sistema viario quanto mai intricato. E’ questa lazona del massimo sviluppo economico, la zona dei servizi e delle infrastrutture; ma anche la zonain cui l’agricoltura estensiva della bassa diventa coltivazione specializzata, viticultura o florovivaistica,la zona in cui la grande industria tessile, prevalente nelle valli, si trasforma in una miriade di piccolee medie imprese, attive in tutti i settori.

Questa complessa e differenziata articolazione del territorio bergamasco non è, evidentemente,frutto del caso. La geografia ne è la prima causa. Nelle alte valli, là dove le possibilità di utilizzo eco-nomico del terreno erano assai scarse, e dove grandi estensioni permettevano la sopravvivenza dipopolazioni limitate, i Comuni si trovarono a incorporare boschi, pascoli, ma anche distese rocciose,altipiani brulli e inabitabili, sterpaie e burroni privi di interesse e di valore. A differenza di altre re-gioni italiane, in cui malaria e pirati rendevano le alture preferibili alle terre più basse, la vita civi-le ed economica delle valli bergamasche si addensò abbastanza presto nel fondo valle, più facilmentecoltivabile. Nella Bassa, invece, ogni fazzoletto di terra poteva produrre ricchezza, purché irrigato.Quindi fossi, canali, percorsi acquatici segnati da filari di piante: tutto il paesaggio della pianura ècondizionato ancor oggi da questo sistema sofisticato e complesso, che segue la conformazione delterreno e il suo scendere da Nord verso Sud, modulando l’intera struttura urbana e viaria del ter-ritorio. Mentre in montagna la conformazione della valle si imponeva naturalmente come direzio-ne degli spostamenti di persone e di traffici, nella pianura ci si poteva muovere in ogni senso sen-za eccessive difficoltà: le vie vennero così a costituirsi non come direttrici obbligate e indipenden-ti, ma come reticolo, in equilibrio tra la duplice necessità di consentire gli scambi e di non ostaco-

Prefazione

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XII

lare l’estendersi delle coltivazioni e del sistema irriguo. La fascia intermedia, collinare, è semprestata la zona più preziosa e caratteristica della bergamasca. Clima mite ed esposizione al sole ne han-no fatto un luogo privilegiato sia per la residenza, sia per coltivazioni di qualità. I movimenti dimerci e persone non sono frenati né da nebbie, come accade in pianura, né dalla neve, spessopresente in montagna. Il fitto e variegato intreccio di dolci alture e di ampi tratti piani favorisce gliinsediamenti, produttivi e commerciali.

La complessa configurazione del territorio bergamasco dipende però, in modo particolare,dai percorsi storici che lo hanno segnato. Bergamo, occorre dirlo subito, non è mai stata protago-nista di eventi importanti, che abbiano avuto influenza sulle vicende nazionali o europee; è anzidifficile sfogliare un manuale di storia e trovarla menzionata. L’unica battaglia di un certo rilievosvoltasi sul suo territorio è quella di Cortenuova, combattuta nel 1237 tra Federico II e la LegaLombarda. In età comunale Bergamo non ha svolto un ruolo significativo nel multiforme intrecciarsidelle relazioni politiche, né è stata, più tardi, sede di una Signoria o di una corte. La stessa avven-tura di Bartolomeo Colleoni, di gran lunga la figura più brillante e universalmente nota della storiabergamasca, non ha segnato, in fondo, che un episodio cronologicamente assai limitato, e senza con-seguenze palesi sui successivi assetti politici. Ma questa posizione marginale rispetto al dipanarsi del-la principale trama storica europea non ha impedito a Bergamo di avere una sua storia, povera dieventi spettacolari, ma densa di vicende importanti per lo sviluppo del territorio. Non dimenti-chiamo innanzi tutto che i Comuni dell’estremo sud non hanno mai fatto parte di una “comunità oro-bica”. Il cosiddetto Fosso Bergamasco, confine per molti secoli tra Serenissima e Ducato di Milano,ha sempre segnato il discrimine, sin dal tardo Medio Evo, tra popolazioni che avevano come pun-to di riferimento politico ed economico Milano, e altre popolazioni che preferivano guardare a Este a Nord. Il passaggio di Bergamo alla Serenissama, nel Quattrocento, fu indolore proprio perchécorrispondeva a una vocazione naturale di gran parte del territorio. Le valli, in particolare, ricava-rono da questo passaggio notevoli vantaggi. Innanzi tutto Venezia offriva grandi possibilità di la-voro a mano d’opera generica, avvezza alla fatica e in cerca di fortuna. Nella città lagunare i valli-giani bergamaschi furono facchini, servitori, manovali, carpentieri: la maschera di Arlecchino è lamigliore testimonianza di questa forte emigrazione. Ma Venezia e il suo sistema commerciale furo-no anche un veicolo straordinario per la vendita dei prodotti in cui le valli erano specializzate: lane,panni, tessuti in genere. Mercanti di Bergamo operarono a Venezia e sul mare, accumulando for-tune che spesso erano ridistribuite sul luogo di origine, in forma di beneficenza o di opere d’arte. Perchi voleva rimanere a casa, un’altra opportunità si presentava. Attraverso Ca’ San Marco e la ViaMercatorum prima, la strada Priula poi, la Valle Brembana veniva a essere la strada più sicura, an-che se non la più agevole, tra gli immensi possedimenti di Venezia e la Valtellina. Valtellina signifi-cava Grigioni, Reno, apertura verso i Paesi Bassi e la Media Europa: quella stessa via che con benmaggiore difficoltà, attraverso Genova e il Ducato di Milano, dovevano percorrere gli Spagnoli perconservare le comunicazioni tra Castiglia e domini fiamminghi. La Val Seriana, dal canto suo, si af-facciava sulla Val Camonica, e da lì su Trento, su Bolzano, sul Tirolo. Non sarà allora da conside-rarsi così casuale che la famiglia a cui si deve la fondazione del sistema postale europeo fosse di Cor-nello, in Val Brembana: queste vie mercantili, percorse per gran parte dell’anno da carovane dimuli da foraggiare, da uomini che andavano nutriti e alloggiati (ma anche rapinati, l’occasione pre-sentandosi…), costituivano un flusso continuo di denaro, possibilità economiche, idee, informazio-ni. Grati a Venezia per tutte queste opportunità, i bergamaschi furono sempre fedelissimi a SanMarco. In cambio ricevettero un buon governo, prosperità, e soprattutto larghi margini di libertà edi autonomia. Venezia non aveva alcun interesse a guastare un rapporto che tutto sommato funzionavabene, e serviva egregiamente il suo utile. Soprattutto conveniva ai disegni della Serenissima avererapporti con molti piccoli comuni, facilmente controllabili attraverso i loro maggiorenti, che eranoa loro volta il punto di riferimento per la ripartizione del carico fiscale, e impedire la nascita di co-muni vasti, ricchi, potenti, che potessero ambire a un ruolo di interlocutore privilegiato. La molte-plicità dei localismi, coordinati d’altra parte in un sistema ferreo di controlli e di tutela, favoriva poiil proliferare delle più svariate iniziative economiche, legate spesso a situazioni particolari e minime:ed è fin troppo ovvio concludere che abbondanza di iniziative economiche voleva dire ricchezza, eche ricchezza significava poter imporre molte tasse senza suscitare scontento eccessivo. I due ret-tori, podestà e capitano, che Venezia inviava nelle sue terre principali rappresentavano la Repub-blica, e il loro ruolo consisteva nel confrontarsi continuamente con gli esponenti maggiori delleclassi locali, che continuavano a emergere secondo i vecchi sistemi affermatisi in età feudale e co-munale. Un equilibrio di poteri dunque, una specie di larga strada a due corsie in cui dall’alto albasso e dal basso all’alto intercorrevano rapporti rapidi e serrati, che non facevano mai perdere aigovernanti la sensazione vigile di quanto si muoveva ai confini estremi del dominio. Se si conside-rano queste condizioni particolari, la presenza di un così grande numero di Comuni sul territorio ber-gamasco non apparirà più un’anomalia, o, peggio, una frammentazione localistica e anarcoide,ma, al contrario, una dominante della particolare storia bergamasca. Naturalmente, ben diversaera la situazione oltre il Fosso che segnava i confini della Serenissima. Lì Milano era vicina, anzi, in-combente, e di autonomie o rappresentanza, nei possedimenti del burocratico, assolutista governospagnolo non era nemmeno possibile parlare.

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XIII

La conquista francese, nei primi anni dell’Ottocento, sconvolse tutto: gli ordinamenti comela vita quotidiana, i rapporti tra le classi e i ruoli delle istituzioni: nulla di strano che anche le or-ganizzazioni territoriali, e in particolare il sistema dei Comuni, subissero mutamenti profondi. Na-poleone, da bravo figlio dell’Illuminismo e della Rivoluzione, poco si curava delle tradizioni costituite.Egli partiva dal progetto astratto di uno Stato accentrato ed efficiente, che trasmettesse nel modopiù rapido e certo i voleri dell’Imperatore alla periferia. I Comuni erano per lui una semplice unitàamministrativa, da rendere funzionale, economica, pronta nelle risposte. Vediamo perciò che isuoi legati fanno e disfano senza esitare, accorpando frazioni, smembrando territori, collocando uo-mini e beni secondo un disegno concepito astrattamente, in un progetto di razionalizzazione incurantedella storia passata e dei suoi esiti. Avverrà più o meno lo stesso, e per gli stessi motivi, in epocafascista. Anche Mussolini sarà un grande accorpatore di Comuni. Il Comune non è più espressio-ne dei suoi abitanti, che si organizzano e associano come meglio credono, secondo legami di san-gue, di abitudine, nel vario e complesso divenire delle vicende storiche, sempre preoccupati di as-sicurare l’armonia interna, la fratellanza fra i cittadini, il loro senso di appartenenza a una unità, in-differente e spesso opposta a chi non ne fa parte, agli “altri”, ai “foresti”. Tutto ciò appare irrazionale,vetusto, eccentrico al disegno di uno Stato compatto, proteso nei confronti internazionali, impe-rialista. Importa a questo scopo che il Comune sia tramite tra Stato e cittadini, il mezzo appuntoattraverso cui giunge la voce dell’autorità, e attraverso cui lo Stato riceve quanto gli è dovuto, tas-se e servizio di leva. Dunque non sindaco eletto ma governatore o podestà nominato dall’alto, neiquali confluiscono i due compiti di rappresentare lo stato e di rappresentare i cittadini. Lo Stato nonpuò allora permettersi di avere troppi podestà: occorre razionalizzare, rendere omogenee le unitàin cui esso si organizza, creare insomma una struttura moderna, alle esigenze della quale partico-larismi e localismi possono essere agevolmente sacrificati.

Tutto questo, e molte altre cose ancora si potranno scoprire percorrendo con attenzione econ senso della storia le pagine di questo Atlante, che sembra avere la doppia ambizione di pre-sentarsi come strumento di lavoro, funzionale ad altri studi specifici, e di essere esso stesso un ri-sultato concluso e autonomo, un punto fermo in quella “Storia di Bergamo” che a tanti anni dal Be-lotti è ormai completamente da riscrivere. Quello della cosiddetta “storia locale” è infatti uno fra itemi più interessanti che si presentino oggi all’attenzione dello storico. Per tanti anni, dal Ro-manticismo e dal Risorgimento in poi, la storia locale è stata essenzialmente rivendicazione di glo-rie passate, e indirettamente strumento di affermazione politica. Dimostrare la ricchezza delle pro-prie tradizioni, l’importanza degli avvenimenti accaduti su territorio, la validità delle istituzioni da cuiesso era stato governato, nel momento in cui questi territori venivano a loro volta accorpandosi performare lo stato unitario, significava giustificare la pretesa di pesare maggiormente al tavolo delledecisioni. Più tardi, di fronte alle molte delusioni e ai molti tradimenti della grande politica (si pen-si alle dittature, alle guerre, alla crisi delle ideologie), la storia locale divenne, classicamente, un ri-fugio, una fonte di ammaestramenti e di esempi, un giardino chiuso da coltivare in silenzio, osten-tando indifferenza verso i tumulti e le follie che agitavano il mondo. Questo è ancora, per tantiaspetti, lo spirito di un Belotti, che vede nella propria attività di storiografo un surrogato dell’atti-vità politica e civile: se la dittatura sbarra l’accesso alle cariche pubbliche, se la libertà di espressioneè stata soppressa, se non è più possibile un impegno attivo a favore della propria comunità, nes-suno impedisce di rievocarne i fasti, l’amore per la libertà, l’attaccamento ai valori aviti, e di pre-parare con questa rievocazione tempi migliori. Queste concezioni della storia locale sono oggi de-cisamente tramontate. Da Braudel in poi i piccoli fatti, i sistemi sociali delle comunità, l’econo-mia, i commerci, il vivere e la fatica quotidiana sono visti come la chiave più importante e prezio-sa attraverso cui sia dato penetrare il senso profondo della storia. Non si studia dunque la storia lo-cale perché mancano le forze o l’entusiasmo per affrontare temi più importanti e impegnativi: alcontrario la storia locale diventa la storia più vera, più prossima agli avvenimenti e ai movimenti chehanno condizionato nei secoli la vita degli uomini comuni (ammesso che abbia un senso parlare di“uomini comuni”). Purtroppo per molto tempo la storia locale è stata feudo di eruditi dilettanti, in-faticabili nello snidare carte e archivi, ma non sempre affidabili nella valutazione e nell’interpreta-zione delle loro scoperte. Spesso per mancanza di metodo, più spesso ancora per la mancanza dipunti di riferimento generali certi entro cui collocare le proprie minuziose analisi, questi studiosi han-no finito per pubblicare opere prive di solidi puntelli, in cui a pagine documentate e ferree si ac-compagnano altre pagine generiche ed insoddisfacenti. La disponibilità di questo Atlante renderàpiù difficile, in futuro, cadere in consimili trappole, almeno per i temi di sua pertinenza. Cono-scere con esattezza i mutamenti territoriali dei Comuni permetterà di descrivere ogni vicenda sto-rica nei suoi esatti termini geografici, e comprendere come questi abbiano potuto influenzarla.Punto di arrivo di lunghe e laboriose ricerche, ma soprattutto punto di partenza per altre ricerchecertamente utili e fruttuose, questo Atlante sarà davvero un monumento nella sterminata biblio-grafia bergamasca: nel senso fisico per le sue dimensioni, in senso metaforico per la sua importanza,e nel senso etimologico della parola, per la capacità che certamente esso avrà di ammonire, di su-scitare interessi, di indicare agli studiosi la strada dell’assoluta disciplina metodologica e del più fe-condo rigore scientifico.

Giorgio Mirandola

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XV

La rappresentazione della territorialità:“Descriptio” geografica, Dizionario Co-rografico, Atlante Storico.

Di fronte ad un’opera come la presente, chenon ha l’eguale nel pur vasto panorama deglistudi di storia del territorio, e nemmeno in quel-lo più ristretto e ad essa appropriato degli atlan-ti di geografia storica, credo sia opportuno ri-prendere le fila di una trama ininterrotta di studie ricerche sul tema della territorialità comunale –la sua genesi, la sua evoluzione, la sua geografia– tema cui hanno dato significativo svolgimen-to eminenti studiosi bergamaschi1 e che oggi,sulla scia di quelli, si arricchisce di un ulterioreimportante contributo.

A chi risale infatti l’idea di un “atlante storico”del territorio bergamasco, se non al più illustre deisuoi studiosi, a quell’Angelo Mazzi che proprio al-la fine delle sue ricerche, quasi a conclusionedell’opera di tutta una vita, formulò l’auspicioche tale opera si compisse a partire dai mate-riali che lui stesso, da ultimo, aveva portato allaluce2. Ma di ciò si vedrà nel seguito.

Ora occorre ricordare che l’esigenza segnalatadal Mazzi per l’area bergamasca era sentita, neimedesimi anni, per l’intero territorio nazionale.È del 1921 il progetto di un grande Atlante Sto-rico nazionale destinato «a figurare le modifica-zioni delle sole circoscrizioni politiche, cioè del-le variazioni dei confini degli Stati via via for-matisi, ingranditi, frazionati o scomparsi»3.

Fatte le debite proporzioni, cioè scendendodall’ambito nazionale a quello provinciale, l’a-tlante bergamasco avrebbe dovuto in egual mo-do illustrare delle variazioni di confini, di quellicomunali all’interno della circoscrizione provin-ciale e, nelle intenzioni del Mazzi, limitatamenteal periodo medioevale. Se l’auspicata carta del ter-ritorio di Bergamo non trovò alcun estensore,del grande progetto a scala nazionale non fu rea-lizzata che una prima redazione schematica dicarte della regione comasca in età medioevale,delineata dal Bognetti e da prendersi quale mo-dello per la redazione di analoghe carte di altri ter-ritori4. E il Mazzi, che dal Bognetti era conside-rato fra gli studiosi illustri di storia del territorio5,sarebbe sicuramente stato, se il suo lavoro non sifosse interrotto, l’estensore dell’atlante berga-masco.

L’esigenza di provvedere alla delineazione diuna cartografia storica con funzione scientifica– «compito per il quale l’Italia è rimasta si puòdire muta»6 – è stata rilanciata più di recente dauno dei più sensibili fra i nostri geografi, il Gam-bi. «I compiti di una cartografia storica sono in pri-mo luogo di dare la ricostruzione più che si puòintegrale di una situazione e di uno svolgimento;una ricostruzione con fini più o meno particola-ri, che sia di chiarimento a un discorso e qualchevolta, là dove con le parole l’esplicazione rimaneinadeguata, lo perfezioni. Quindi la cartografia de-ve avere come prima dote la organicità, cioè fi-gurare cose in relazione storica fra di loro»7. E fra le cose da mettere in relazione fra di loro efra i compiti di ricerca storica per i quali la car-tografia di carattere ricostruttivo può recare no-tevoli benefici, il Gambi elenca, significativa-mente, «le ripartizioni amministrative delle pro-

vincie preunitarie, sia le civili come le religiose,con la loro struttura di base e la loro evoluzionedopo l’Unità nazionale»8, che è precisamenteun’operazione di carattere ricostruttivo propria diun atlante storico come il presente che, pertan-to, va oltre il carattere meramente descrittivoproprio, fino a ieri, dei pur vasti dizionari coro-grafici dei comuni compresi in singole realtà re-gionali.

Ma anche qui, fra i primissimi esempi di re-pertori descrittivi delle realtà comunali di un in-tero circondario, figura un’opera “locale”: quel Di-zionario Odeporico della provincia bergamasca,compilato nei primi anni del secolo scorso daGiovanni Maironi Da Ponte «pubblico professo-re di storia naturale generale nell’Imperial Re-gio Liceo di Bergamo»9.

È di particolare significato l’enunciazione de-gli intenti dell’opera: «Lo scopo che mi sonoprefissato, nella compilazione del Dizionario, èquello di offrire ai miei concittadini, disposte se-condo l’ordine alfabetico dei luoghi, le notizieche si riferiscono alla storia, alla distribuzionepolitica, alle novità di natura e d’arte, all’industriae al commercio della Provincia Bergamasca edi tutte le sue parti, Comuni e villaggi; in unaparola, ho procurato di far conoscere la patriasotto tutti gli aspetti che possono essere utili eimportanti». Vi si coglie l’intento civile cui l’au-tore subordina quello scientifico secondo la pra-tica, tutta umanistica, di una disciplina geogra-fica applicata ad una realtà di carattere storico-naturale. Che è in fondo la concezione che haispirato non solo i geografi della classicità, maanche gli intellettuali e i cultori di “varia uma-nità” del nostro Rinascimento, impegnati tutta-via, e di frequente, in compiti di governo delterritorio.

Come è avvenuto da parte dei patrizi-uma-nisti veneziani, presenti spesso nel ruolo di fun-zionari della Serenissima nei suoi domini di Ter-raferma. Per il territorio bergamasco basti pen-sare alla Descriptio che ne traccia MarcantonioMichiel a conclusione del mandato di governatorein terra orobica del padre suo, Vettore, agli ini-zi del ’50010; o la radiografia che ne fa Giovan-ni Da Lezze nel suo Catastico alla fine del me-desimo secolo11. In forma diversa, ma con egua-le intento di lettura e rappresentazione oggettiva,è la realtà insediativa del territorio bergamascoche sia il Michiel come il Da Lezze e il Maironi DaPonte assumono a oggetto dei loro rispettivi“atlanti” descrittivi, attraverso i quali pensano disoddisfare l’esigenza di fornire informazioni uti-li non solo all’arricchimento culturale ma anche,e soprattutto, all’azione di governo12.

Ma questo genere di informazioni rimane an-cora, a ben vedere, di carattere letterario: espli-citamente nel caso di Michiel e di tutta la tradi-zione delle Descriptiones geografiche; implici-tamente nel caso dei Catastici e delle Relazionidei Rettori veneti o delle Statistiche di AnticoRegime che mai hanno trovato supporto analiticoe cartografico secondo la concezione che ogginoi abbiamo della lettura e visualizzazione dellerealtà territoriali.

La produzione cartografica pur così cospicuae avanzata da parte della Serenissima è rimastasostanzialmente aderente al modello della de-

Introduzione

Problemi di ricostruzione e rappresentazione della territorialità storica(con particolare riferimento alla provincia bergamasca).

Frontespizio del Dizionario odeporico di G. Maironi Da Ponte.

Frontespizio del Repertorio delle comunità del territorio e distretto berga-masco (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

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scriptio letteraria – descriptio era anche il ter-mine designativo, nella tradizione umanistica,delle rappresentazioni geografiche13 – dalla qua-le sono costantemente assenti le linee di confinedelle circoscrizioni territoriali infraprovinciali. E non perché la realtà dei villaggi e dei comunifosse in qualche modo trascurata, anzi, ma per-ché, topograficamente, il problema della deter-minazione dei confini delle circoscrizioni territo-riali minori non fu mai affrontato e risolto senon con le prime catastazioni moderne: quella co-siddetta “teresiana” (in realtà di Carlo VI) per laLombardia “milanese”; quella napoleonica perla Lombardia “ex veneziana” (le provincie di Ber-gamo e Brescia). Sicché per Bergamo dovrà at-tendersi la carta del Manzini (1816) che acquisi-sce i dati del catasto napoleonico (del quale ilManzini era stato l’esecutore) per avere final-mente restituite, per la prima volta, le confina-zioni comunali all’interno della provincia14. E questo avviene nei medesimi anni in cui il Mai-roni Da Ponte porta a termine la sua lunga (lun-ghissima, immaginiamo) ricerca “odeporica”(cioè “di viaggio”) sulle cose e gli avvenimentiinterni a quelle singole circoscrizioni. Sono glianni subito dopo la Restaurazione, quando anchein altre realtà regionali/provinciali, dove si tro-vavano ad essere compresenti la cultura illumi-nistica della classificazione e del Dizionario equella napoleonica della geografia e dell’Atlante,si procede all’allestimento di analoghe “rappre-sentazioni” del territorio.

Ad esempio in Toscana, dove l’eredità leo-poldina (di ascendenza “teresiana”) del periodogranducale e quella del governo napoleonico tro-vano il loro esito culturale nel grande Dizionario-Atlante dello Zuccagni Orlandini, avviato conla monografia dedicata allo Stato fiorentino epoi esteso via via, con i sui 17 volumi usciti fra il1835 e il 1845, all’intero territorio nazionale15.Il termine “corografia” con il quale l’opera sipresenta, si afferma ora (in sostituzione della de-scriptio e dell’odeporicon) come indicativo diuna illustrazione integrata – storica e geografi-ca – di un determinato territorio (chora = re-gione) che solo nei casi più compiuti (come quel-lo dello Zuccagni Orlandini) è corredato da unaillustrazione cartografica nella quale la geogra-fia fisica si accompagna a quella politico-ammi-nistrativa attraverso il disegno della maglia deiconfini infraregionali e infraprovinciali.

Le altre imprese del genere, dedicate ai Co-muni di Italia, mancano in genere dell’atlante:così è, nel periodo preunitario, per il Diziona-rio Corografico della Lombardia (1854)16, pri-mo volume del più ampio Dizionario Geogra-fico Universale dell’Italia17 “compilato da pa-recchi dotti italiani”; così è, dopo l’Unità, per ilDizionario Corografico dell’Amati (1866)

18 com-

pilato a sua volta “col concorso per gli articolicorografici e per i termini, delle Rappresentan-ze Comunali e Provinciali”.

La realtà territoriale dei Comuni italiani, in-somma, nel passaggio dagli Stati preunitari al-l’Unità nazionale, rimane una realtà storico geo-grafica da inventariare in ordine alfabetico e dadescrivere “corograficamente” secondo il mo-dello del Dizionario, non da ricostruire topogra-ficamente e diacronicamente secondo il model-lo dell’Atlante Storico, come invece la presenteopera, per un intero ambito provinciale e per laprima volta, si propone di fare. Inserendosi essa,pertanto e a buon diritto, in un filone di studiche pone il problema della territorialità innanzi-tutto come problema storico, del quale occorrequindi comprendere la genesi e l’evoluzione po-litica; ma anche lo considera sotto l’aspetto geo-

grafico, cioè delle confinazioni fisiche delle qua-li occorre altrettanto opportunamente ricostrui-re la fenomenologia e la morfologia alla scalatopografica.

Da un lato, dunque, il tema della territoria-lità riguarda, in sede storica, l’origine stessa de-gli ambiti territoriali comunali; dall’altro, sottol’aspetto geografico, l’accertamento della conti-nuità e/o delle mutazioni relative ai limiti fisicidei medesimi ambiti. I due aspetti non possonoessere disgiunti l’uno dall’altro: ed entrambi so-no quelli che l’Atlante Storico si incarica di ri-costruire e quindi rappresentare.

La ricerca geografica sulla territorialità:i contributi della geografia amministrativa.

La ricerca “geografica” sulla territorialità co-munale presenta alcuni aspetti che può esseredi qualche interesse esaminare qui brevemente.Come è noto, tale ricerca costituisce l’oggettodisciplinare della cosiddetta geografia ammini-strativa, termine introdotto da Olinto Marinellial quale si devono diversi contributi allo studiodelle circoscrizioni infraregionali e infraprovin-ciali19, nonché l’importante “Atlante dei tipigeografici” pubblicato dall’Istituto GeograficoMilitare negli anni ’2020.

Per i geografi della scuola del Marinelli, lageografia amministrativa è una branca della geo-grafia politica «che ha come oggetto di studio ericerca le unità territoriali in cui lo Stato è diviso»21.Quanto al metodo della ricerca, si precisa che lecircoscrizioni, siano esse regionali, provinciali ocomunali, «vengono studiate in quanto tali, e noncome territori i cui confini servono a delimitare lostudio di un’area geografica circoscritta»22.

Viene meno, come si comprende, il caratte-re “corografico” proprio degli studi precedentie con esso anche l’intenzione di identificare la“regione naturale” con la “regione storica” (se-condo i principi della geografia umana di scuolafrancese)23, in quanto ora le singole circoscrizio-ni “vengono esaminate per se stesse, nella loroforma, ampiezza e confini”. È dunque un ap-proccio precipuamente geografico-descrittivo, estatistico-morfologico, al di fuori di qualsiasi pro-spettiva storica.

All’indomani dell’unificazione nazionale, al-cune “anomalie” nel disegno delle circoscrizioni,comunali in particolare, all’interno delle diverserealtà “regionali” del nuovo Regno (ma do-vremmo dire provinciali in relazione all’ordina-mento posto in essere), favorirono tale approc-cio, che trovò poi particolare favore allorché sipretese di rimediare a tali anomalie ricorrendo al-le soppressioni forzose dei comuni minori peringlobarli entro i confini delle circoscrizioni mag-giori (come avvenne con la raffica di decreti go-vernativi del 1927).

Fu dunque a cavallo dei due secoli ultimi chei primi studiosi cominciarono ad occuparsi de-gli aspetti più specificatamente geografici degliambiti territoriali comunali24. Era in relazione a si-tuazioni particolari di Comuni del Sud che si af-frontava il problema della determinazione uffi-ciale – da parte dell’autorità militare o degli uffi-ci catastali – dei confini comunali25; ed era infunzione della politica di soppressione delle pic-cole autonomie comunali, varata con la primaLegge Comunale e Provinciale (1865) e poi pra-ticata in modo massiccio dal governo fascista,che si studiò il significato anche storico delle va-riazioni geografiche delle circoscrizioni comu-nali, qualche volta con giudizi non positivi sulcomune vasto ma scarsamente popolato; giudi-

XVI

La suddivisione interna del territorio bergamasco agli inizi del ’500, secon-do la descrizione di M. Michiel (fonte: Bergamo 1516. Città e territorionella Descriptio di Marcantonio Michiel, a cura di Maria Luisa Scalvini eGian Piero Calza, Centro grafico editoriale, Padova 1984, fig. 5).

I centri abitati del territorio bergamasco menzionati nella Descriptio diM. Michiel (fonte: Bergamo 1516, cit., fig. 6).

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R. Biasutti, Carta dei tipì di insediamento in Italia (in «Memorie dellaSocietà Geografica Italiana», V-XVII, Roma 1923, tav. f.t.).

XVII

zi che finivano per avallare la concezione domi-nante di considerare l’ampiezza del territorio co-munale in funzione della densità demografica26.

Si vedrà nel seguito quale fosse, al proposito,l’opinione di Carlo Cattaneo. Rimanendo nel-l’ambito degli studi di geografia amministrativa,l’approccio morfologico ha portato sì alla indi-viduazione di alcune tipologie di confini provin-ciali e comunali (come nella tav. 72 della primaedizione dell’Atlante di Marinelli)27, ma la con-siderazione che ne seguiva, di carattere valutati-vo, riteneva necessario che si dovessero far cor-rispondere l’andamento dei confini con i limitidi unità territoriali dai caratteri fisico-geograficiomogenei, e considerava quindi legittimo modi-ficarne il disegno là dove questa congruenza nonsi verificasse. Era in questo senso che si intendevaconferire agli studi una utilità pratica – e non so-lo critica – e che si voleva far sentire la voce deigeografi – e il peso della scienza – nelle decisio-ni delle autorità amministrative. Alle quali unavallo “scientifico” non poteva che far comodo,nel perseguire un modello di riorganizzazioneamministrativa fortemente centralizzato.

Solo qualche voce isolata osava sostenere,controcorrente, che per sveltire la burocrazia eranecessario decentrare e non utilizzare le circo-scrizioni periferiche a soli fini statistici28. Per lamaggior parte dei geografi, l’alterazione dellamaglia dei confini storici mediante l’accorpa-mento dei comuni minori a quelli maggiori co-stituiva una semplice modificazione morfologi-ca, di adeguamento, per di più, degli ambiti am-ministrativi all’ambiente fisiogeografico.

La tendenza a giustificare su base geografi-ca la razionalizzazione delle maglie confinarie alivello comunale si è riproposta, sorprendente-mente nel secondo dopoguerra, in un clima cul-turale e politico che si voleva mutato rispetto aquello fra le due guerre. Non può che considerarsisorprendente, ci sembra, il fatto che nel 1947, al-l’esordio delle nuove istituzioni repubblicane, siproponesse – anzi, si progettasse – una revisio-ne di confini comunali romagnoli nell’intento diporre rimedio a “configurazioni strane e supe-rate dai tempi” per farle “aderire a unità terri-toriali omogenee”29. Le nuove circoscrizioni co-munali avrebbero dovuto essere “definite se-condo modelli anglosassoni di pianificazione ter-ritoriale” e concepite come “aree di gravitazioneattorno a un centro … aree di gravitazione gior-naliera e naturale, cioè più che si può libera, e

non coatta come quella creata per l’espletazioneodierna di doveri amministrativi”30.

Ad analoghi principi sono ispirate le propo-ste di intervento per riformare le circoscrizioni co-munali nelle Marche e in Sicilia31. L’intento ra-zionalizzatore muove in ogni caso da un assun-to di base: le confinazioni comunali costituisco-no dei limiti artificiosi per le singole comunità ene comprimono lo sviluppo economico.

Ben diverso è l’approccio degli studiosi fran-cesi, per i quali la realtà ambientale delle unitàterritoriali minori coincide con la loro realtà sto-rica. «Esiste un rapporto – per il Demangeon,ad esempio – fra il territorio del Comune, chericalca quello delle vecchie parrocchie, e i limitinaturali e antropici che di una comunità ruralesono l’indispensabile riferimento: corsi d’acqua,crinali di monti, linee di bosco, percorsi stradali»32.

Lo studio delle circoscrizioni minori, da par-te degli studiosi francesi, riguarda anche la loroorigine, ed è pure in prospettiva storica che se nevaluta il significato e il ruolo, in relazione al ruo-lo e al significato delle circoscrizioni maggiori(distrettuali e dipartimentali, nell’ordinamentotransalpino). E poi l’approccio sembra addirit-tura capovolto rispetto a quello ricorrente danoi: il Meynier, ad esempio, studiando in parti-colare i comuni rurali33, ne sottolinea la stabilitànel tempo rispetto alle unità più vaste e mute-voli, e ritiene che la stabilità del territorio, propriadelle unità minori, sia un elemento essenziale epositivo, punto di riferimento indispensabile perla costituzione di unità più vaste, perché a lorovolta queste ultime possano essere unità orga-niche e non aggregati accidentali di insediamentiprivi di alcun legame e storico e naturale che liunisca34.

Un’ulteriore indicazione, di carattere meto-dologico, ci viene dai geografi francesi e riguar-da gli strumenti di analisi più idonei allo studio del-le circoscrizioni territoriali35: è attraverso le car-te geografiche, topografiche e catastali che sipossono esaminare gli ambiti comunali nella lo-ro numerosità, forma e ampiezza; valutare lacorrispondenza fra confini naturali e confini sto-rici; misurare il rapporto tra ampiezza delle cir-coscrizioni e densità dell’insediamento; seguire levariazioni dei tracciati confinari nel tempo.

Infine il Desplanques segnala un ultimo aspet-to significativo dello studio dei confini, che haeffetti sul più generale studio del paesaggio36: i li-miti comunali pur non incidendo materialmentela superficie terrestre, in quanto linee invisibili, co-stituiscono in ogni modo una presenza reale erientrano sensibilmente a far parte del paesaggiogeografico, in quanto il Comune è la cellula ele-mentare nella organizzazione dello spazio. La“presenza” delle linee di confine rientra pertan-to in una concezione più ampia del paesaggioantropogeografico, non limitata al criterio dellapura visibilità (come vorrebbe il Biasutti)37 ma incui rientrino anche componenti di più sottile per-cettibilità e di più ampia sensibilità storica.

Questa sensibilità per la presenza immate-riale, nell’ambiente insediato, dei confini che de-finiscono le unità territoriali minori, è presente an-che negli studi dei geografi di lingua inglese etedesca38.

Non mancano, d’altra parte, fra gli studiosidi geografia amministrativa, coloro che muovo-no obbiezione alla piccola dimensione delle unitàcomunali storiche ritenendole inadeguate allemutate condizioni della vita associata moderna,alla nuova dimensione del governo e della pia-nificazione del territorio, alla diversa comples-sità dell’organizzazione dei trasporti e delle in-terdipendenze economiche39.

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La dimensione comunale “piccola”: aspet-ti geografici e storici.

In Europa, in particolare nei paesi del Centro-Ovest e del Sud, si riscontra un grande sminuz-zamento dei territori comunali sia per ampiezzache per forma che per struttura interna40.

Si è voluto cogliere una differenza, nello smi-nuzzamento, fra i paesi che sono stati toccatidai “riordinamenti” napoleonici, come la Fran-cia, il Belgio, l’Italia, e paesi che ne sono stati ri-sparmiati come la Svizzera, la Germania e laGran Bretagna, paesi nei quali l’autonomia mu-nicipale si è potuta meglio sottrarre all’accen-tramento statale facilitando il permanere degliassetti territoriali storici, cioè delle piccole e pic-colissime dimensioni delle circoscrizioni comunali.

La piccola dimensione è tuttora ricorrentenella geografia amministrativa francese, dove i37.962 comuni esistenti al 1966 comportavanouna superficie media di 14,33 Kmq per comune.In nessuna regione si raggiunge l’ampiezza me-dia dei Comuni italiani. Malgrado la Rivoluzio-ne e l’accentramento napoleonico, in Francia iComuni hanno mantenuto una stabilità secolare:le 32.000 parrocchie esistenti al XIV sec. sonoda porre in relazione ai 33.000 Comuni del ’700e questi ai circa 38.000 Comuni attuali, con latendenza quindi a ridurre nel tempo la loro di-mensione media.

In Belgio i Comuni sono mediamente più pic-coli di quelli francesi: 11,8 Kmq; nei Paesi Bas-si, dove il numero complessivo dei Comuni nonraggiunge il migliaio, la superficie media per Co-mune è di 34,6 Kmq; nel minuscolo Stato delLussemburgo, che conta solo 126 Comuni, lasuperficie media è di circa 20 Kmq.

Nei paesi esterni all’area di influenza napo-leonica i dati non sono tanto dissimili. In Ger-mania, pur nella varietà degli assetti regionali,l’ampiezza media dei Comuni equivale a meno didue terzi di quella italiana.

In Gran Bretagna le 62 Contee hanno un’ar-ticolazione interna che distingue la municipalità(in numero di 318) dai distretti urbani (566) edai distretti rurali (470): questi ultimi sono a lorovolta suddivisi in parishes che presentano unasuperficie media di 12 Kmq ciascuna. Ma an-che i due livelli distrettuali superiori, pur riguar-dando aree urbane differenti per densità inse-diativa e demografica e con valori estremi di su-perficie molto distanti (da 0,85 Kmq a 207 Kmq),nella loro maggioranza tuttavia oscillano in su-perficie fra i 5 Kmq e i 26 Kmq.

L’Italia si tiene mediamente al di sopra deivalori europei: i suoi 8.060 comuni hanno unasuperficie media di 37,4 Kmq, oltre 2,5 volte ilvalore della Francia. Ma occorre tener conto,nel confronto, di due diversi fattori: l’uno di ca-rattere geografico e l’altro di carattere storico.

La distribuzione regionale dei confini italia-ni, per numero e superficie, è assai difforme. Lamaggior concentrazione per numero, cui corri-sponde la minore superficie media, si verificanelle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Liguria,Lombardia) con punte minime, per quanto ri-guarda la superficie media, inferiori ai 15 Kmqper Comune nelle quattro provincie lombardedi Milano, Como, Varese, Bergamo e in quellapiemontese di Asti41. In tutte le altre provinciedel Nord-Ovest la superficie comunale media è fra15 e 30 Kmq, con le sole eccezioni delle pro-vincie alpine di Val d’Aosta e Valtellina nelle qua-li il valore medio sale al di sopra dei 30 Kmqper Comune.

Nel resto d’Italia, solo nella provincia napo-letana, e in quelle ad essa finitime, si raggiun-

XVIII

Kmq. N. kmq % dell’area (kmq)(appross.) nazionale Area media

Fino a 5 (piccolissimi) 581 2.034 0,6 3,55 -20 (piccoli) 3.207 38.830 12,8 12,120 - 60 (medi) 2.945 101.810 33,8 34,560 - 100 (medio-grandi) 734 56.110 18,7 76,4100 - 200 (grandi) 433 58.681 19,5 135,5Oltre 200 (grandissimi) 1532 43.809 14,6 286,3

Totale 8.053 301.250 100,0 37,4

CLASSI TERRITORIALI DEI COMUNI ITALIANI (al 30 giugno 1968)

Provincia Area (kmq) N. di comuni Area media(kmq)

1 - Ragusa 1.614,02 12 134,502 - Enna 2.562,13 20 128,103 - Siracusa 2.108,72 19 110,984 - Trapani 2.461,69 23 107,035 - Caltanisetta 2.104,63 22 95,666 - Agrigento 3.041,89 43 70,747 - Catania 3.552,20 55 64,588 - Palermo 5.015,75 81 61,929 - Messina 3.247,22 107 30,34

Sicilia 25.708,25 382 67,29

1 - Sassari 7.519,77 80 939,902 - Nuoro 7.572,17 102 71,303 - Cagliari 9.297,43 354 68,05

Sardegna 24.089,68 354 68,05

Totale 49.797,68 736 67,65

AREA COMUNALE MEDIA NELLE PROVINCE INSULARI

Kmq. N. kmq % dell’area (kmq)(appross.) nazionale Area media

1 - Ragusa 7 1.393,67 (86%) 2 733,22 (45%)2 - Enna 10 1.989,58 (77%) 4 1.087,95 (42%)3 - Catania 12 2.477,96 (69%) 5 1.643,23 (46%)4 - Caltanisetta 5 1.448,14 (69%) 4 1.084,24 (51%)5 - Siracusa 6 1.431,98 (68%) 3 1.003,16 (47%)6 - Trapani 8 1.648,27 (66%) 4 1.053,54 (43%)7 - Palermo 15 2.589,83 (51%) 2 788,32 (15%)8 - Agrigento 8 1.369,48 (45%) 2 452,07 (14%)9 - Messina 4 780,79 (24%) 3 654,03 (20%)

Sicilia 75 15.129,70 (58%) 29 8.499,76 (33%)

1 - Sassari 24 4.977,64 (66%) 11 3.232,54 (42%)2 - Nuoro 28 4.119,57 (56%) 5 1.091,60 (15%)3 - Cagliari 23 3.712,28 (39%) 5 1.183,12 (12%)

Sardegna 75 12.809,49 (53%) 21 5.507,26 (23%)

Totale 150 27.939,19 (56%) 50 14.007,26 (23%)

GRANDI E GRANDISSIMI COMUNI NELLE PROVINCE INSULARI

Anni N. Variazioni Superficie media Variazioni

1861 7.721 — kmq 33,6 —1871 8.382 + 561 34,3 + 0,7 kmq1881 8.259 – 123 34,7 + 0,41901 8.262 + 3 34,7 —1911 8.323 + 61 34,4 + 0,31921 9.194 + 871 33,7 — 0,71931 7.310 – 1884 42,4 + 8,41941 7.339 + 29 42,3 — 0,11951 7.804 + 465 38,5 — 3,81960 (30/6) 8.026 + 222 37,5 — 1,0

VARIAZIONE DEL NUMERO E DELLA SUPERFICIE MEDIA DEI COMUNI

(Fonte: C. Caldo, Il comune italiano: studio di geografie amministrative, Milano 1972, tab. 1-4).

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XIX

gono valori analoghi a quelli del Nord-Ovest.Si è cercato un rapporto, da parte dei geo-

grafi, fra la dimensione territoriale del comune ei caratteri del popolamento, sparso o accentrato,e si sono formulate valutazioni contrastanti.

Secondo il Gambi, con riferimento all’arearomagnola, vi è uno stretto rapporto fra smi-nuzzamento territoriale e popolamento sparso42;secondo il Desplanques, invece, la diffusione in-sediativa e il popolamento sparso sono da por-re in relazione alla dimensione ampia dei co-muni, come nel caso dell’area umbra43.

È una questione dibattuta, fra i geografi, chegià il Biasutti aveva contribuito a chiarire con lasua carta degli insediamenti44 e che il Sereni haricondotto alle sue origini storiche, facendo ri-salire la difformità insediativa alle diverse moda-lità con cui si è manifestato il popolamento nel-le aree settentrionali celto-liguri rispetto a quellemeridionali magnogreche45.

In genere, i geografi concordano nel ritenereche in Italia il Comune vasto si incontri dove il ter-ritorio della circoscrizione sia privo di altri centridi gravitazione, oltre il capoluogo, tali da con-sentire la formazione di comuni separati. Si con-valida pertanto la tesi che mette in rapporto ilpopolamento sparso con la dimensione minoredel Comune, e l’insediamento accentrato conquella maggiore nella quale grossi centri demicisono contornati da terre vuote di abitanti stabili.

Come si è accennato più sopra, in Italia ilparticolare rapporto che si è venuto a stabiliretra forme del popolamento e dimensione dei ter-ritori comunali è stato condizionato anche dafattori di carattere storico. L’attuale valore mediodella dimensione comunale (più elevato, comesi è visto, rispetto al resto dell’Europa Occiden-tale) è andato aumentando nel tempo a seguitodi interventi da parte dei governi centrali che,sia in periodo preunitario che post-unitario – daNapoleone a Mussolini – sono stati attuati alloscopo di sopprimere le minori autonomie localiper fare spazio a unità amministrative più vastee popolose. Il grafico che rappresenta la di-mensione media dei Comuni italiani a partiredall’Unità del Paese presenta un’impennata ver-ticale nel terzo decennio del ’900 con un incre-mento del valore medio della superficie comu-nale da 33,7 Kmq del 1911 a 42,4 Kmq del1931, corrispondente alla caduta altrettanto ver-ticale del numero dei Comuni a seguito dellacancellazione di oltre 2.000 circoscrizioni, unquinto del totale46.

Di queste soppressioni, un terzo circa ri-guardano la Lombardia (erano oltre 2.200 i co-muni lombardi agli inizi del secolo, e ora sono1545), dove la piccola dimensione comunale ri-sale a una tradizione che persino gli ordinamentiassolutistici asburgici di Antico Regime avevanosalvaguardato. Anche l’Alto Adige di lingua te-desca presentava la medesima polverizzazioneterritoriale, che il dominio asburgico fece salva;ma, a causa della aggravante alloglotta, fu an-cor più della Lombardia duramente colpito dal-le soppressioni comunali del Ventennio.

Nel secondo Dopoguerra, solo 700 delle ol-tre 2.000 circoscrizioni soppresse nel territorionazionale si sono ricostituite; il valore medio del-la superficie comunale è così sceso a 37,4 Kmq.Ma più di 1.000 Comuni non hanno più ritro-vato, con i loro confini, la propria esistenza, so-prattutto nelle aree metropolitane e nella Re-gione Trentino – Alto Adige.

Il dato medio della superficie non riflette inogni caso l’estrema difformità delle dimensioniareali dei nostri comuni, che vanno dai pochi et-tari dei comunelli lombardi o campani alla smi-

SUPERFICIE MEDIA DEI COMUNI ITALIANI: DATO AGGREGATO PER REGIONI E PROVINCE

n. kmq

Piemonte 1209 21,00Alessandria 190 18,73Asti 120 12,59Cuneo 250 28,41Novara 165 21,73Torino 315 21,68Vercelli 169 17,32

Val d’Aosta 74 40,55

Liguria 235 23,03Genova 67 27,32Imperia 67 16,94La Spezia 32 27,56Savona 69 22,39

Lombardia 1545 15,41Bergamo 249 11,08Brescia 206 23,05Como 247 8,36Cremona 115 15,39Mantova 70 33,41Milano 249 11,09Pavia 190 15,60Sondrio 78 41,17Varese 141 8,50

Veneto 583 31,52Belluno 69 53,30Padova 105 20,40Rovigo 51 35,35Treviso 95 26,07Venezia 43 57,18Verona 98 31,60Vicenza 122 22,31

Trentino-Alto Adige 340 40,03Bolzano 117 63,24Trento 223 25,61

Friuli-Venezia Giulia 218 36,02Gorizia 25 18,92Pordenone 51 45,13Trieste 6 35,66Udine 136 35,77

Emilia-Romagna 341 64,87Bologna 60 61,70Ferrara 26 101,26Forlì 50 58,10Modena 47 57,23Parma 47 73,40Piacenza 48 53,93Ravenna 18 103,33Reggio nell’Emilia 45 50,91

Toscana 287 80,10Arezzo 39 82,87Firenze 51 76,07Grosseto 28 160,57Livorno 20 60,00Lucca 35 50,65Massa-Carrara 17 68,00Pisa 39 62,76Pistoia 22 43,86Siena 36 106,13

n. kmq

Lazio 372 46,24Frosinone 91 35,59Latina 33 68,21Rieti 73 37,65Roma 115 46,53Viterbo 60 60,20

MarcheAncona 49 39,95Ascoli Piceno 73 28,58Macerata 57 48,31Pesaro e Urbino 67 43,17

Umbria 91 92,92Perugia 59 107,35Terni 32 66,31

Abruzzi 305 35,39Chieti 104 24,87L’Aquila 108 46,51Pescara 46 26,63Teramo 47 41,87

Molise 136 32,70Campobasso 84 34,63Isernia 52 29,40

Campania 544 24,99Avellino 120 23,34Benevento 77 26,76Caserta 101 26,12Napoli 89 13,15Salerno 157 31,35

Puglia 252 76,73Bari 48 106,87Brindisi 20 61,60Foggia 62 115,86Lecce 94 29,36Taranto 28 87,00

Basilicata 129 77,29Matera 30 114,50Potenza 99 66,12

Calabria 408 36,96Catanzaro 157 33,40Cosenza 155 43,50Reggio di Calabria 96 33,14

Sicilia 381 67,47Agrigento 43 70,74Caltanisetta 22 95,63Catania 55 64,58Enna 20 128,10Messina 106 30,63Palermo 81 61,92Ragusa 12 134,50Siracusa 19 111,00Trapani 23 107,04

Sardegna 354 68,05Cagliari 172 54,05Nuoro 102 71,29Sassari 80 94,00

n. comuni area media

1861 71 81 91 1901 11 21 31 41 51 61 69

30

35

40

7000

8000

9000

com

uniKm

q

Variazioni dell’area media e del numero totale dei comuni italiani (fra 1861e 1971) (fonte: C. Caldo, cit., fig. 1).

Classi di ampiezza territoriale dei comuni nelle province italiane (area mediaper provincia). (Fonte: nostra rielaborazione da C. Caldo, cit., fig. 2.)

scala 1:15 000 000

(Fonte: C. Caldo, cit., Appendice 1)

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sto. Il plesso comunale della Sicilia sarebbe dun-que 18 volte più robusto ed efficace che il Co-mune Lombardo? No, signori, la mole non è lavita. È vero che i comuni toscani sono ancorapiù grandi che in Sicilia, ma questa certamentenon è l’ultima delle cause per le quali la popo-lazione toscana, che dà solamente 90 abitantiper Kmq è tanto minore di quella di Lombardiache ne dà 160»50.

È solo il caso di ricordare che gli ordinamentiterritoriali toscani, riformati da Pietro Leopoldosuccessivamente alla riforma degli ordinamentiLombardi attuata dalla sua augusta madre, Ma-ria Teresa d’Austria, hanno sortito l’effetto op-posto forse a motivo dell’opposto modello di ri-ferimento adottato: modello decentrato e defi-scalizzato quello dell’Imperatrice, modello ac-centrato a fiscalità priva di base catastale quellodel Duca51.

Occorre dunque che si imponga il modello“a maglie piccole” come unico modello di ordi-namento amministrativo?

Non è questo che intende il Cattaneo, cheha ben presente la ricchezza che sta nella diver-sità.

«Non direi doversi correre all’estremo oppo-sto e “rimaneggiare” in piccoli comuni la Siciliae la Toscana e tutta l’Italia. Cotale uniformitàtra le regioni non è affatto necessaria, come nonfu necessaria tra i comuni aperti della Lombardia,dacchè taluno di essi non tocca 200 abitanti,mentre il maggiore di essi oltrepassa i 50.000.Ma quando fossimo costretti a scegliere tra vio-lenza e violenza, sarebbe a preferirsi quella chemoltiplicasse i consorzi e li spargesse più larga-mente sulla superficie delle provincie. L’aumentocontinuo della prosperità, dopo il 1755, in quelperpetuo campo di guerra che si chiama Lom-bardia, fra le tante irruzioni straniere da cui fu-rono immuni la Sardegna e la Sicilia, si deveprincipalmente a questo. Si deve alla moltepli-cità dei comuni, alla mutua loro indipendenza, auna larga padronanza delle cose proprie, a un piùlibero uso della ragione e della volontà nei pro-pri affari. Questo è il segreto; e questo vuolsi di-vulgare per tutta l’Italia»52.

Dunque Cattaneo fondava le sue obbiezioni alnuovo ordinamento amministrativo del Regno,ma anche ad ogni speculazione geografica e sta-tistica che ne legittimasse culturalmente gli ob-biettivi, sull’evidenza che la piccola dimensioneterritoriale costituisca in realtà una dimensione digrande significato storico, per il ruolo che essa hasvolto nello sviluppo di un “più libero uso della ra-gione e della volontà” nella gestione dei fatti co-munitari.

La ricerca storica sulla territorialità: il pro-blema delle origini dei Comuni rurali.

Le linee di confine odierne sono spesso quel-le definite già da molti secoli. Ma mentre que-sta circostanza dà luogo, agli occhi di un geo-grafo, a “stranezze” nella forma di tali linee, al-l’esame di uno storico apre un problema sullaorigine e il significato di tali eventuali stranezze.

Per la geografia il tracciato delle linee di con-fine ubbidisce a criteri razionali quando segueevidenti e riconoscibili limiti naturali, come crinalidi montagne o alvei di fiume, sponde di laghi olidi marini; per la ricerca storica i confini posso-no determinarsi in maniera più o meno definitasu fasce di terreno dove più confinanti esercita-vano diritti promiscui: i confini medioevali di Tel-gate, nella nostra provincia, erano semplice-mente stabiliti dalla zona dove gli abitanti anda-

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surata estensione dei 1.507 Kmq del Comunedi Roma, superiore in ampiezza a ben sette pro-vincie italiane, prese singolarmente, e persinoa due di esse messe insieme (Gorizia e La Spe-zia o Gorizia e Pistoia).

In difesa della piccola dimensione comu-nale: Carlo Cattaneo.

L’irregolarità territoriale del tessuto ammini-strativo fondamentale dello Stato ha trovato inCarlo Cattaneo un interprete fuori dal coro, stre-nuo difensore come era della dimensione pic-cola.

Com’è noto, il Cattaneo intervenne a più ri-prese nel dibattito sull’ordinamento amministra-tivo del nuovo Stato, all’indomani dell’Unifica-zione del Paese, in occasione del varo della pri-ma Legge Comunale e Provinciale (1865)47.

Una prima obbiezione la formulò contro lafacoltà, introdotta dalla nuova Legge, di accor-pare i comuni più piccoli ai più grandi: «dellecittà e dei paesi ve ne ha di grandi e di piccoli; ciòavviene per molte ragioni, che sono ovvie a tut-ti, e anche per alcune altre. Intanto ministri e le-gislatori, preoccupati dalla dottrina francese, han-no pensato che fosse un disordine; hanno pen-sato che i comuni minori o si dovessero dareper aggiunta alle città vicine, o si dovessero af-fastellare l’uno sull’altro fino ad una certa misu-ra di popolazione che fosse la più maneggevolea chi ha pro-tempore i piaceri dell’onnipotenza;poco importando poi se fosse la più giovevolea chi ha i pesi della sudditanza passiva... Nei co-muni minori si fece conto che la più opportunadose di popolazione fosse dai 2.500 abitanti ai3.000. I più preferiscono la seconda misura, ocome amano dire, la seconda stregua. Intanto,questo appare un punto fermo, ormai, di dot-trina amministrativa, che i comuni piccoli sono unprincipio d’impotenza, un disordine, un male...»48.

Ed è contro tale principio – quello del quo-ziente demografico, adottato dal governo “pie-montese” sul modello napoleonico49 – che Cat-taneo pronuncia la sua appassionata arringa a fa-vore della piccola dimensione comunale, ricor-rendo a motivazioni di ordine storico-geograficoed economico-sociale, non risparmiando l’iro-nia su chi gioca esclusivamente con i numeri...

«I piccoli comuni un male? Come? La Lom-bardia, che fra tutte le regioni d’Italia si trovòprimamente e più largamente delle altre dotatadi strade, di scuole, di medici condotti e di ognialtra comunale provvidenza, è appunto quellache fra tutte quante ha il massimo numero dicomuni piccoli e piccolissimi. Più di un quartodi essi (607) non giungono a 500 anime; per unaltro quarto e più (746) non giungono a 1.000anime. E sopra 2.242 comuni questa è già lamaggioranza. Quelli poi che oltrepassano la ma-gica cifra delle 3.000 anime sono in tutto 151.Sopra 15 comuni si tratta dunque di rimodellar-ne 14. Comprese le forzose agglutinazioni deigrandi comuni suburbani alle città, sarebbe per laLombardia una sovversione dello stato di fattoe di diritto letteralmente generale…».

«Beata la Sicilia, che non ha ancora le strade,né le condotte mediche, né le scuole! Ma essaraggiunge la stregua e largamente la oltrepas-sa. Mentre i comuni lombardi ragguagliano, l’u-no per l’altro, solamente 358 abitanti, quelli di Si-cilia ne ragguagliano un numero diciotto voltemaggiore (6.681). E mentre in Lombardia la su-perficie, divisa per comuni, dà solamente 8 Kmqper ciascuno, in Sicilia ne dà 73…».

«Questo è ciò che si chiama un plesso robu-

Circoscrizioni comunali in area lombarda e piemontese, scala 1:1 500 000.

Circoscrizioni comunali in area toscana, scala 1:1 500 000.

Circoscrizioni comunali in area siciliana, scala 1: 1500 000.

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vano a tagliare legna, a raccogliere castagne, afar pascolare il bestiame.

In questi casi il disegno dei confini è un pro-blema di ricostruzione storica non solo di un li-mite topografico, ma anche del ruolo svolto dal-l’esistenza di diritti consuetudinari e di pratiche so-ciali un tempo diffuse e oggi desuete. Si è difronte, in molti casi, a forme di territorialità chela storia, più che la geografia, si incarica di ri-conoscere.

Il problema del riconoscimento, in sede sto-riografica, degli ambiti territoriali comunali si po-ne all’inizio come problema della origine delleautonomie comunali: origine conflittuale, comesi sa, tra forze di carattere universalistico (l’Im-pero, il Papato) e forze di carattere particolari-stico: le città, le corporazioni, le signorie locali.

Ora a noi non interessa tanto ripercorrerequi le diverse tesi che la storiografia classica haformulato per l’interpretazione di un fenomenocomplesso come quello dell’origine del Comu-ne nell’Italia medioevale53. Innanzi tutto perchétali tesi si applicano quasi esclusivamente all’o-rigine del comune cittadino, trascurando del tut-to la formazione del comune rurale che in que-sta sede è per noi di maggiore interesse. In se-condo luogo perché esse hanno in comune untratto di fondo che non fa al caso nostro: «la pre-sunzione cioè di una linea di continuità più omeno ininterrotta, negli istituti e nelle forme as-sunte dai comuni cittadini, con quelli delle epo-che precedenti; di qui l’ipotesi della loro deriva-zione dal municipio romano o dagli ordinamen-ti cittadini del Basso Impero; dall’ordinamentocurtense o dalla ghilde; di qui le diatribe tra ro-manisti e germanisti. Tra fautori della derivazio-ne da elementi prettamente romani o da istitutilongobardi e germanici…»54.

Diatribe, che se hanno consentito di ap-profondire lo studio degli organismi cittadini dalpunto di vista politico, giuridico e istituzionale,non hanno certo portato a soluzione, né almenofatto chiarezza sui contorni che riguardano ilproblema della formazione delle circoscrizioniterritoriali comunali minori. Delle quali il pre-sente Atlante, per la provincia bergamasca, vuo-le illustrare l’evoluzione a partire appunto daiprimi accertamenti confinari. Questi vanno dun-que ricercati, storicamente, dove l’Atlante pro-priamente li trova: nei primi documenti Statu-tari che per la prima volta accertano esistenzae ambiti territoriali delle neonate circoscrizionirurali.

Quanto alla genesi vera e propria di questeautonomie minori, essa va colta nel non im-provviso manifestarsi di una forma di territoria-lità nuova che prende lentamente corpo a se-guito della dissoluzione degli ordinamenti terri-toriali che stavano alla base del grande edificio im-periale del Medioevo europeo.

Questo processo è stato in gran parte messoa fuoco in una serie di studi che possono consi-derarsi come espressione di un approccio con-venzionalmente attribuito ai rappresentanti del-la cosiddetta “scuola giuridica”, ma che in realtàcostituisce il filone più ricco della ricerca sullaterritorialità storica. È a questo filone che ap-partengono studiosi come il Vaccari, il Mengoz-zi, il Bognetti e il nostro Mazzi.

Il Vaccari ci chiarisce un elemento essenzialeper la comprensione dell’origine dei nostri comu-ni rurali: quello del progressivo incorporarsi dei di-ritti sovrani (impersonati dal re, dal conte, dal ve-scovo) esercitati sul territorio, al territorio stesso55.

A differenza che in Francia e in Germania,dove l’articolazione del potere territoriale rima-se fondata, per tutto il Medioevo, su base “per-

sonale” (la persona del re o la persona dei suoirappresentanti) in Italia diritti e poteri attribuiti asingole persone che li esercitavano su ambiti ter-ritoriali mal definiti, si trasferirono progressiva-mente ai territori stessi, che in tal modo hannodovuto darsi una definizione sempre più precisa.

Come ben chiarisce il Vaccari, «in Francia ein Germania fu l’elemento personale che trionfò,nel senso che, da un lato, la base dell’ordina-mento giuridico si fondò essenzialmente sul vin-colo personale che legava gruppi di persone al si-gnore e non sulla pertinenza di questi gruppi adun determinato territorio; dall’altro, disgregata-si l’antica organizzazione comitale, si costituiro-no nuove circoscrizioni che derivavano la lorofisionomia giuridica dal carattere o dal contenu-to dei poteri di cui il signore era personalmenteinvestito»56.

Era dunque il potere personale del signoreche determinava la fisionomia giuridica della cir-coscrizione territoriale la quale, in sé e per sé, erasfornita di vero contenuto giuridico.

Non è il caso qui di distinguere ulteriormen-te come tra Francia e Germania diversamentesi manifesti tale criterio della “personalità” delpotere territoriale; è bene cogliere, piuttosto, lasostanziale specificità del caso italiano, perché inessa va ricercata la fase embrionale della nuovaarticolazione territoriale del contado, quella ap-punto di cui il presente Atlante illustra gli svi-luppi nelle fasi successive.

Dunque in Italia, fra X e XII sec., l’organiz-zazione giuridica del contado appare definirsi subase essenzialmente territoriale. «In questo tipodi organizzazione, i diritti regalistici – di giuri-sdizione, di esazione ecc., di solito spettanti al so-vrano o a un suo rappresentante: conte, visconte,vescovo, gastaldo – fanno capo a un determi-nato territorio, e il signore ne è investito in quan-to è “proprietario” del territorio stesso, non per-ché derivi tale investitura da una particolare con-cessione…; ogni persona, indipendentementedalla sua qualità e dalla sua condizione, entranel possesso dei diritti quando entra nel pos-sesso del territorio al quale i diritti sono con-nessi. E infine, quando in un determinato terri-torio si costituiscono e vivono aggregati gruppidi persone, organismi, per il solo fatto di sor-gere in quel determinato territorio che ha comepertinenza determinati diritti, detti organismi so-no investiti di tali diritti e possono svolgere laloro attività come organismi giuridici…»57.

Non si può non intravedere in questa muta-zione di gruppi di persone in organismi giuridi-ci la metamorfosi di un “possesso” territoriale– da parte di un signore – in una circoscrizioneterritoriale cui fa capo una comunità autonoma.È questo il processo di formazione del comunerurale che si realizzerà in forma compiuta solo nelXIII-XIV sec., più tardi, cioè, e più lentamente chenon quello della formazione dei comuni cittadi-ni, ma ugualmente avviato nei secoli preceden-ti a partire dal processo di dissoluzione della ter-ritorialità feudale, in particolare dei comitati fran-co-carolingi.

Tale “movimento di dissoluzione”, come lodefinisce Mengozzi58, incrina l’antica coesionefra le varie parti dello Stato che l’antico ordina-mento romano era riuscito a realizzare ponendola città alla base dell’articolazione politico-am-ministrativa del territorio, e ciò avviene a parti-re dall’istituzione di unità intermedie – ducati,comitati, marche – all’interno dei quali si spezzaulteriormente l’unità fra città e campagna conl’attribuzione della sovranità urbana ai Vescovi(privi di eredi) dopo averla sottratta all’autorità deiconti laici (allorché i feudi divennero ereditari).

Comuni Ettari

1) Roma 150.7602) Ravenna 66.0733) Sassari 60.4604) Cerignola (Foggia) 58.9655) Noto (Siracusa) 55.1146) Monreale (Palermo) 52.9207) Gubbio (Perugia) 52.5088) Foggia 50.5909) Grosseto 47.427

10) L’Aquila 46.69611) Venezia 45.67912) Perugia 44.99213) Ragusa 44.24614) Altamura (Bari) 42.78315) Caltanisetta 41.59416) Olbia (Sassari) 41.37317) Viterbo 40.63118) Ferrara 40.43519) Caltagirone (Catania) 40.26120) Andria (Bari) 39.98121) Manfredonia (Foggia) 39.19322) Matera 38.79823) Città di Castello (Perugia) 38.75324) Arezzo 38.45325) Gravina in Puglia (Bari) 38.11726) Enna 35.71827) Spoleto (Perugia) 34.96328) Buddusò (Sassari) 34.79729) Cortona (Arezzo) 34.23430) Lucera (Foggia) 33.871

Comuni Ettari

1) Atrani (Salerno) 102) Fierfa di Primiero (Trento) 153) Miagliano (Vercelli) 664) Crosa (Vercelli) 965) Conca dei Marini (Salerno) 1086) Fiorano al Serio (Bergamo) 1087) Roccafiorita (Messina) 1148) Daré (Trento) 1159) Marzio (Varese) 130

10) Maslianico (Como) 13311) S. Lorenzo al Mare (Imperia) 13912) Ferrera di Varese (Varese) 14813) Piario (Bergamo) 14814) Crosio della Valle (Varese) 14915) Longone al Segrino (Como) 15316) Ventotene (Latina) 15417) Camparada (Milano) 16118) Viganò (Como) 16119) Casavatore (Salerno) 16220) Arizzano (Novara) 16321) Brunello (Varese) 16422) Castel Rozzone (Bergamo) 16523) Caines (Bolzano) 16624) Lozza (Varese) 16725) Cornale (Pavia) 16926) Aci Bonaccorsi (Catania) 17027) Bastida de’ Dossi (Pavia) 17028) Carzano (Trento) 17129) Curti (Caserta) 17330) Lirio (Pavia) 173

COMUNI CON LA MAGGIORE SUPERFICIE TERRITORIALE

COMUNI CON LA MINORE SUPERFICIE TERRITORIALE

(Fonte: C. Caldo, cit.)

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Sappiamo che la città, a sua volta, non tardòa liberarsi dell’autorità vescovile e «venne a reg-gersi con forme di governo autonomo munici-pale, eleggendosi i propri consoli e fissando dasé stessa le norme della propria costituzione»59.

La campagna, rimasta sotto un governo co-mitale indebolito, priva della energia economicadella città non fu mai in grado di raggiungerela forma di un governo autonomo se non piùtardi, con più difficoltà e senza mai raggiungeredi fatto il grado di autonomia cui pervenne lacittà. E il processo di autonomizzazione dellacampagna nei confronti della città coincide conil processo di formazione delle circoscrizioni deicomuni rurali.

«Il sorgere del comune segna una conquista»,afferma Mengozzi60, e si potrebbe aggiungereche quella del comune rurale è conquista mag-giore di quella del comune cittadino.

Quando si parla di comune rurale, si intende«quello stadio della organizzazione medioevaledella campagna, nel quale le comunità hannocessato di essere interamente rette da autoritàrappresentanti il potere centrale dello Stato oderivate dalla forza di questo: e, invece, sono lecomunità stesse venute a partecipare in modo di-retto e attivo al proprio reggimento».

Questo mutamento avvenne, secondo il Men-gozzi, e le comunità non urbane assunsero unatale nuova condizione «in virtù di patti concordaticaso per caso in varie circostanze, con le auto-rità che prima avevano un’assoluta giurisdizionesopra di loro».

Sembra, in un certo senso, che tali muta-menti abbiano carattere occasionale e che di-pendano in sostanza dalle circostanze o dalladisponibilità dei contraenti. Come avverrebbein un contesto caratterizzato dalla “personalità”del dominio territoriale, come ad esempio inFrancia o in Germania. Ma in un contesto comequello dell’Italia settentrionale, dove i diritti si-gnorili di carattere “pubblico” sono ben presto in-corporati ai territori stessi, l’autonomizzazione diquesti stessi territori è in certo senso sottrattaalla occasionalità, e alla soggettività, dei pat-teggiamenti.

Non di patti, forse, si dovrebbe parlare, madi atti giuridici che definendo i contenuti e i limitidella sfera di autonomia di una comunità di liberi,entrano a formare parte del sistema del dirittopubblico dello Stato e vi assumono un ruoloconsiderevole.

È in base a tali atti, invero, che si definisce lacittadinanza in quanto la qualità giuridica di ha-bitator è riconosciuta solo a chi vive entro unadeterminata circoscrizione. E tale circoscrizio-ne, in quanto viene topograficamente determi-nata – cioè definita da confini riconoscibili e ri-conosciuti – può considerarsi un organismo giu-ridico che ha vita ed efficacia che trascende la vi-ta e l’azione dei singoli abitanti; e questi abitatori,in quanto tali, costituiscono una personalità di di-ritto pubblico.

Non tutte le comunità rurali pervennero atale stadio di sviluppo politico o giuridico – rap-presentato, nella sua pienezza, dal libero co-mune – o non vi pervennero nello stesso tempoe negli stessi modi.

Mengozzi distingue tre gruppi61:a) le comunità che al momento in cui “si

vestono delle forme comunali” contano già pa-recchi secoli di vita, in quanto insediamenti diantica fondazione;

b) comunità che devono la loro origine almovimento sociale stesso che le fa pervenire al-lo status di libero comune;

c) centri che nascono già nello stato di li-

bero comune in quanto filiazioni di comuni cit-tadini già esistenti.

Non seguiremo l’Autore nella sua ricerca de-gli elementi di continuità rispetto alle istituzioni an-tiche che si possono ritrovare nella formazionedel comune rurale, e non solo di quello appar-tenente al primo dei tre gruppi sopraindicati.

Cercando invece di cogliere gli elementi dinovità nel processo di formazione delle nuoverealtà territoriali, è forse il caso di riconoscereun momento di discontinuità proprio a partiredal progressivo disgregarsi degli organismi ter-ritoriali – di governo e circoscrizionali – propridella feudalità imperiale, cui prima si è fatto cen-no e che ora si richiamano in breve conside-randone la manifestazione sul territorio berga-masco.

All’origine della territorialità comunale nelcontado bergamasco.

Nell’ambito del Regno Italico, fra IX e X se-colo il comitato e la corte hanno costituito i duelivelli principali – politico l’uno, economico l’al-tro – di governo del territorio. A partire dal sec.XI, con l’indebolimento del Regno e la perdita delsuo funzionario locale, il Conte, il Comitato sifraziona e la corte si disgrega.

Nel comitato bergamasco, la città e il cir-condario sono sottratti all’autorità civile e con-segnati al Vescovo già dal 904; delle 53 curtesnominate dai documenti, le 9 rimaste a tutto ilsec. IX, di proprietà reale, vengono via via alie-nate: la corte di Almenno già nel 892 e subitodopo Brignano, Vailate, Ternate, Sarnico, BonateSopra; Murgala e Cortenuova nel 915 passanoalla Chiesa; Offanengo infine è ceduto al mo-nastero pavese di San Salvatore.

Esercizio delle regalie passa in misura sem-pre più consistente agli organismi ecclesiasticio alle singole famiglie signorili attraverso dona-zioni e concessioni imperiali. È un processo diatomizzazione del potere e delle strutture terri-toriali in un’età che è stata significativamentedefinita “del particolarismo”, in relazione so-prattutto al passaggio dei diritti regali ai privati.E in questo passaggio, come nei successivi dovutia ulteriori frazionamenti per successioni, vendi-te o permute, tali diritti a poco a poco si fissaronoal suolo e furono concepiti come pertinenze deisingoli fondi, dei loci, dei castra. Una nuova ter-ritorialità venne ad affermarsi, col sorgere dinuovi insediamenti, con l’autonomizzazione dipiccoli territori, col manifestarsi di nuove formedi dominio.

«Il nuovo elemento d’ordine – afferma Jar-nut – fu il castrum che divenne il nucleo di cri-stallizzaione di strutture modificate»62. E al ca-strum ci si deve riferire quando si parla di inca-stellamento come fenomeno che caratterizza lanuova forma di territorialità.

Lo Jarnut descrive con efficacia il passaggiodalla curtis al castrum che si compie nel comi-tato bergamasco fra X e XI secolo. La privatiz-zazione delle curtes va di pari passo con il sor-gere dei castra («dietro l’incastellamento, in mol-ti casi, c’è una famiglia»); alcuni castra, però, sicostituiscono per iniziativa allargata a gruppi dihabitatores: nell’XI secolo «su quattro castelli disignori c’è un castello su base comunitaria»63.

La spia che l’incastellamento sia da porre inrelazione a un affievolirsi del potere pubblico lodimostrano le cifre: a Bergamo, dei 77 Castellidocumentati al 1100, 9 sono situati in località do-ve è testimoniata anche una proprietà reale; al-tri 24 si trovano in villaggi nei quali avevano

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possedimenti i conti Gisalbertini. Su 53 castellidi cui si conosce il proprietario (il numero è lostesso delle curtes accertate in epoca prece-dente…) originariamente 21 appartenevano afamiglie comitali. «Tutto questo rimanda al fatto,conclude lo Jarnut, che i castelli sorsero di pre-ferenza nella sfera di influenza della pubblicapotestas»64.

Un certo numero di castra, tuttavia, non si in-stalla su precedenti possedimenti “pubblici” –comitali o ecclesiastici – ma deve la propria ori-gine all’iniziativa di un singolo signore o di unasingola comunità.

Per gli uni come per gli altri, si vedano i ca-si documentati da Jarnut di Telgate, di Calusco,di Carvico, di Calcinate65.

Il potere centrale (del re) e periferico (del Con-te e del Vescovo) viene progressivamente me-no nel territorio extraurbano, a favore di domi-ni particolari e privati il cui titolo, in qualche ca-so, spetta non a singole persone ma a comu-nità intere.

Di questi nuovi “domini su base comunita-ria” da cui prende avvio la formazione di quelleche saranno poi le circoscrizioni dei comuni ru-rali, abbiamo qualche esempio significativo66.Dalla contesa degli abitanti della Val di Scalvecon quelli di Borno per il possesso dei pascolie dei boschi del Monte Negrino ne esce il rico-noscimento, da parte dell’imperatore Enrico III(1047) alla comunità degli scalvini di un governoindipendente dal dominio episcopale o comita-le, riconoscimento che è alla base del costituirsidi quel singolare comune di valle nel quale leconsuetudini comunitarie si protrarranno fino aitempi più recenti.

Anche a Treviglio ci fu un riconoscimentoimperiale (Enrico IV, 1081) dei diritti degli abitantidel castrum, che si videro sgravati da ogni pub-blicam functionem vel angariam … seu ullumservitium aut ullam districtionem … praeternostrum regale fodrum. Qui i diritti regalistici siriducevano a un solo tributo (il fodro) e la co-munità dei trevigliesi, in quanto appartenente aquel territorio, veniva svincolata da ogni altrasoggezione e vedeva attribuirsi quasi per interola facoltà di autogoverno.

Infine, un riconoscimento di dominio terri-toriale vero e proprio, da parte del signore Teu-daldo da Mozzo e dei rappresentanti del castrumdi Sovere, si afferma nei confronti dei vicini econsortes della comunità di Cerete (ut habeantet teneant in suorum usum et potestatem),una terra compresa tra Cerete e Gandino.

Di fronte a tutti questi casi, nei quali è in at-to un trasferimento di diritti e di poteri agli or-ganismi territoriali minori, ma anche la riaffer-mazione di diritti consuetudinari appartenentida sempre alle singole comunità e ai singoli luo-ghi, in sede storiografica si è posta la questionedella continuità o meno degli istituti giuridici eterritoriali che stanno all’origine della formazio-ne del comune rurale.

Non è possibile riprendere qui l’intera que-stione nelle sue linee generali e particolari; sualcuni punti tuttavia, che al caso bergamascohanno attinenza, vale la pena di ritornare conqualche cenno.

Un primo punto riguarda la continuità stori-co-territoriale del fundus romano con la curtislongobardo-franca, col castrum post-carolingioe con quello che sarà poi il comune rurale veroe proprio. Qui il carattere di continuità si appli-ca al rapporto stretto che si stabilisce fin dagliinizi, all’interno di un insediamento rurale, franucleo abitativo e la terra coltivata dagli abitan-ti. Forse, da prima che tale rapporto si fissasse

nella maglia della centuriazione romana, che die-de la sanzione del diritto pubblico alla tradizionalesacralità dei confini attraverso la limitatio delsuolo e l’accertamento catastale, e sicuramentefino a che i catasti moderni non hanno conferi-to identità anche topografica agli antichi fun-dus centuriati, diventati nel frattempo circoscri-zioni comunali, il legame fra nucleo insediato earea coltivata è rimasto così stretto – indissolubile,si potrebbe dire – da essere a fondamento del-l’unica e tuttora insostituibile definizione del ter-mine territorio formulata nel Digesto: Territo-rium est universitas agrorum intra fines cuiu-sque civitatis. Nella quale sono fissati con chia-rezza i tre termini che definiscono un territorio:il suolo (universitas agrorum); i confini (fines); ilsingolo nucleo insediato (cuiusque civitatis)67.

Dunque il comune rurale, in termini di con-tinuità storica, rappresenta la realizzazione fisicadel concetto giuridico di territorium il cui avvioabbiamo visto verificarsi, nei minuscoli territoribergamaschi, al momento in cui la più evane-scente territorialità imperiale si dissolve.

Un secondo aspetto della continuità rispettoal passato, nella formazione del comune rurale,riguarda l’esistenza delle cosiddette “terre co-muni”, cioè le parti incolte del fundus, quelleche ne costituivano l’ager compascuus, le terrenon divise nella limitatio centuriata e che nelMedioevo vanno sotto il nome di comunia, co-munalia, vicanalia68. Che la presenza di tali ter-re nei territori rurali del Medioevo rappresentiuna continuità con il passato, non sembra es-servi dubbio; è discussa invece la sua possibileorigine romana piuttosto che germanica (“al-menda” da Allemande)69, ma le due possibilitànon dovrebbero porsi in alternativa dal momentoche la diffusione di tale istituzione può conside-rarsi quasi illimitata nel mondo antico.

Nella vicenda della formazione dei comunibergamaschi, la presenza delle terre comuni hagiocato un ruolo rilevante, dal momento che laconflittualità che spesso ha accompagnato la de-finizione dei confini di circoscrizione, soprattut-to nei comuni di valle, ha avuto come causa la di-sputa sopra il possesso dei pascoli, dei boschi, de-gli incolti, che in genere si estendevano propriolungo le linee limitanee. Dispute che non ave-vano ragione di essere quando le terre compa-scuali di uso comune erano comprese in ambitipiù vasti che non quelli del singolo vicus, cioèin quelli del pagus che comprendendo più vicirendeva possibile una più ampia accessibilità al-le terre intervicane70. Di questi pagi, e delle loroistituzioni, si conserva pure traccia nella provin-cia bergamasca, traccia che il Mazzi non ha man-cato di seguire71 e che rimanda ad ordinamenti si-curamente preromani, tali da poterli considera-re autoctoni, nell’area orobica, seppur ricorren-ti in un più ampio contesto italico72.

Genesi e forme della territorialità sovra-comunale.

Come è noto, sull’esistenza e persistenza de-gli ambiti pagensi dall’età preromana in poi sibasa la teoria della continuità fra istituzioni ter-ritoriali antiche e medioevali con riferimento, inparticolare, alla continuità fra pagus e plebs,cioè fra due circoscrizioni di dimensione imme-diatamente superiore a quella comunale.

Non è il caso di ripercorrere qui le tracce chehanno portato gli studiosi della scuola storico-giuridica a risalire dalla pieve al pago e a for-mulare in termini di continuità la tesi della deri-vazione della territorialità sovracomunale me-

Nuclei rurali incastellati del territorio bergamasco , sec. X - XI (fonte: J. Jarnut,cit., p. 109).

Corti rurali del territorio bergamasco, sec. VIII - IX (fonte: J. Jarnut, Bergamo568-1098. Storia istituzionale, sociale ed economica di una città lombardanell’alto medioevo, Centro Studi e Ricerche “Archivio Bergamasco”,Bergamo 1980, p. 77).

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dioevale da quella antica73. Per il territorio ber-gamasco, tale continuità è indiziata oltre chedalle “anomalie” confinarie lungo il corso del-l’Adda e dell’Oglio, dall’esistenza di comunità diValle e di conciliabula, cioè di forme di territo-rialità più estese che non quelle dei singoli co-muni rurali, che hanno indubbiamente un rife-rimento diretto ai più antichi distretti pagensi74.

Questa dimensione allargata dell’insediamentocomunitario era propria di uno stadio di svilup-po preurbano durante il quale il rapporto frapopolamento e risorse naturali consentiva an-cora una soluzione di carattere “estensivo”, nel-la quale tuttavia il problema della identità deigruppi umani insediati era consentito dal rico-noscimento di confini naturali ai quali si so-vrapponeva una legittimazione di carattere ri-tuale (lustratio pagi)75.

In un contesto completamente mutato comequello dell’urbanesimo romano, appare signifi-cativo che il pagus fosse mantenuto quale arti-colazione amministrativa della civitas, sia per lasua funzione economico-sociale che per quella re-ligiosa e culturale.

Sicché non è sorprendente ritrovare la di-mensione territoriale del pago arcaico in quelladelle pievi cristiane e quindi l’origine dei comu-ni di pieve negli antichi centri del culto “pagano”.

E se l’insieme delle pievi ha dato luogo allediocesi, il cui territorio risultò pertanto definitodai confini degli originari pagi, il territorio del-la civitas ebbe per confini quelli comunque as-segnati alla giurisdizione dei magistrati in essaresidenti76.

Diocesi vescovile e municipium urbano po-tevano non coincidere: lo scarto si determina-va in alcuni casi (come in quello bergamasco)per l’impossibilità o la difficoltà di smembrareorganismi da molto tempo consolidati comequelli pagensi77. Dunque la dimensione sovra-comunale, all’interno della circoscrizione dioce-sana si è mantenuta nella pieve; all’interno delterritorio che fa capo a una civitas si è mante-nuto come distretto intermedio sotto varie de-nominazioni: quella stessa di pieve, o di distret-to, oppure di cantone, quadra, mandamento,circondario, comprensorio…

La dimensione territoriale intermedia fra ilcontado cittadino e il comune rurale (o fra la dio-cesi e la parrocchia rurale) ha sempre costituito unlivello di governo intermedio fra le autonomiecittadine e quelle rurali; ma sarebbe meglio direche ha costituito un momento di coalizione del-le autonomie rurali contro lo strapotere cittadino.Fosse quello feudale del vescovo-conte o quello lai-co e mercantile del comune urbano, tale poteresi espresse essenzialmente a livello fiscale; la fi-scalità urbana, per applicarsi agevolmente, ri-corse a espedienti di carattere amministrativo,come quello delle factae che subordinavano to-talmente la campagna alla città, con la suddivi-sione dei comuni rurali in quattro comprensoridiversi che facevano capo rispettivamente a cia-scuna delle quattro porte urbane78.

E se il predominio della città si esercitavagià nella fase del comune consolare nella primametà del sec. XIII, durante la fase del comunepodestarile dopo la metà del secolo, con la com-parsa di capitanei (a Castione, in Val Seriana,in Val Brembana, nell’Isola) a presidio militaredi estesi distretti, sembrano accentuarsi l’inva-denza e il dominio del comune cittadino79. Con-tro il quale il territorio rurale cercò di opporreuna resistenza per così dire istituzionale, cer-cando di eleggere autonomamente i propri po-destà non solo per singoli comuni (come ad Al-menno, ad Ardesio, a Calcinate) ma anche perpiù estesi distretti (Valle Seriana inferiore, adesempio). Ma l’avvento della signoria (con Gio-vanni di Boemia, nel 1331) è bastato a tron-care questo movimento di autonomizzazionedei territori rurali, con la soppressione di tuttele podestarie istituite fuori dal controllo direttoda parte della città.

Con la signoria dei Visconti, tuttavia, si spez-za il legame di subordinazione del territorio allacittà: l’istituzione dei vicariati consente ora aiterritori rurali di intrattenere rapporti diretti conil signore senza vincolo di soggezione nei con-fronti della città.

Se ne avvantaggiano le valli, di più salda tra-dizione autonomistica: la Valle Brembana e laValle Seriana per prime si dichiarano “esenti”dai tributi alla città ed eleggono propri vicari.Completa autonomia dalla città ottenne pure laValle di Scalve, e con essa le terre di Lizzola,Bondione, e Fiumenero. Tra le Valli minori so-lo quella di S. Martino e la Val Imagna si reseroindipendenti, mentre continuarono a dipende-re direttamente dalla città la Val Calepio, la ValCavallina e quella di Trescore, insieme a tutti i co-muni della pianura.

Anche per essi, tuttavia, venne il momentoverso la fine del ’300 e certamente prima delladominazione veneta, di costituirsi in unità mag-giori – le cosiddette “quadre” – cioè circoscrizio-ni sovracomunali con rappresentanze proprie al-l’infuori di quelle dei singoli comuni in esse situa-ti. Di esse abbiamo ampia e dettagliata descrizio-ne nel Catastico del Da Lezze e anche graficarappresentazione nell’Atlante dello Zolta.

XXIV

A. Mazzi, I confini dei comuni del contado, «Bollettino della Biblioteca Civicadi Bergamo», XVI, 1, gen.-mar. 1922.

P. Corbellini, Carta della provincia di Bergamo, 1900 (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo. In basso a destra si legge la nota di A. Mazzi: «I comuni sottosegnati conun tratto verde oliva sono quelli dei comuni di cui conservansi gli atti originali di descrizione dei confini nei due volumi pervenuti alla Civica Biblioteca dall’ArchivioMunicipale e che sono intitolati: Confini di varie terre del Bergamasco. Si aggiungono quelli conservati in altro faldone in un foglio segnato D».

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La divisione in quadre del territorio berga-masco rappresenta l’ultima espressione dell’or-dinamento territoriale di Antico Regime, e forseanche il più alto livello di rappresentanza delle au-tonomie territoriali intermedie. Il loro disegno èrestituito nel presente Atlante secondo la de-scrizione che ne ha lasciato il Da Lezze: se nefarà un commento più avanti80, insieme alle altrecarte che illustrano la evoluzione della territo-rialità sovracomunale bergamasca fino ai tempipiù recenti, cioè fino alla sua scomparsa.

Oggi infatti non esiste più un ambito inter-medio di governo del territorio, fra provincia ecomune: quell’ambito in cui per molti secoli siè giocato il contrasto fra città e campagna (finchéè durato lo Stato cittadino) e che in seguito i go-verni centrali (preunitari e post-unitari) hannofatto salvo e usato come ambito più esterno delloro controllo periferico.

I contributi di Angelo Mazzi alla forma-zione di una carta del territorio storicobergamasco.

Da quanto precede dovrebbero cogliersi i te-mi e i problemi che fanno da sfondo all’allesti-mento di un Atlante Storico che ha per scopo larappresentazione delle forme assunte nel tem-po dalla territorialità bergamasca e che hannoradici lontane.

A queste radici ha saputo risalire, più di ognialtro per il territorio in questione, Angelo Mazzi,che è doveroso richiamare al momento del varodi un’opera nella quale sicuramente avrebbe ri-conosciuto quella da lui sempre lamentata comemancante. Persino al Lupi, suo riferimento co-stante, osò rimproverare di non aver assolto atale compito81. Il grande diplomatista bergamascoaveva stabilito di fornire il primo volume del suoCodice Diplomatico «di una carta topograficadel nostro contado nei secoli di mezzo, carta che,giunto quasi alla fine del primo, destinò a corre-do del secondo volume e la quale non dovetteessere, nonché compita, ma neppure incomin-ciata, poiché se così frequentemente lasciava al-l’altrui studio il porre in rilievo le corrispondenzedei nomi locali, e se per conto suo coi primi do-cumenti del secolo decimo cessava da una tale in-vestigazione, è difficile comprendere come quel-la carta topografica avrebbe potuto riuscire inogni sua parte completa. E invero, per quantericerche io abbia fatto di questo documento, chead ogni buon contro sarebbe per noi assai pre-zioso, non venni mai a capo d’averne notizia,onde non potei a meno di preoccuparmi del fat-to di aver egli lasciata inadempiuta la sua pro-messa e di indagarne le ragioni…»82.

Le ragioni supposte dal Mazzi potevano es-sere di due ordini. Da un lato il mancato ap-profondimento toponomastico da parte del Lu-pi, che ha impedito la completa identificazionedelle località nominate nei documenti con gli in-sediamenti presenti; motivo questo, addotto dalMazzi, che sta ad indicare la sua grande atten-zione allo studio della toponomastica e all’ac-certamento topografico dei luoghi, aspetti nonsempre considerati nella dovuta misura dalla sto-riografia locale, come da quella generale.

Un secondo motivo della mancata promes-sa da parte del Lupi poteva essere ricercato nel-la difficoltà di affrontare il problema dell’accer-tamento, sul territorio, dei confini tra l’agro ber-gamasco e quello cremonese venutisi a deter-minare anteriormente al sec. X, problema che –ben si rende conto il Mazzi – non poteva chedirsi risolto se non alla verifica cartografica. Al-

la quale, insomma, il Lupi non seppe pervenireperché, secondo il Mazzi, «quando egli era venutonel pensiero di compilare la sua carta topogra-fica, e già n’aveva fatto parte ai suoi lettori, nons’era ancora formato un esatto concetto dellegravi difficoltà che doveansi superare per rag-giungere il men male quello scopo»83.

Il Mazzi stesso, ben consapevole di tale diffi-coltà, non riuscì mai, a sua volta, a delinearequella carta che la sua grande sensibilità gli facevaritenere necessaria, ma che il suo grande scru-polo gli impediva di realizzare. E così continuerà,di suo, a raccogliere materiali sempre più fina-lizzati ad una utilizzazione cartografica, e a rim-proverare chi questo compito non si propones-se o non riuscisse a raggiungere.

Così non manca di criticare il Rosa per l’in-completezza del suo catalogo dei nomi localidel contado bergamasco84, anteriori alla elen-cazione che ne fa lo Statuto del 1331, conte-standogli anche qualche inesattezza topono-mastica (ad es. l’identificazione di Limania conVal Imagna), contestazione che a sua volta ilMazzi, con molta modestia, si aspetta di rice-vere per le sue indicazioni.

In qualche caso, la mancata stesura di unacarta topografica è ritenuta dal Mazzi non unaoccasione perduta ma addirittura una circostanzafortunata. Come nel caso delle carte provincia-li che dovevano essere compilate a corredo delCodice Diplomatico Lombardo, opera intra-presa per iniziativa della Reale Deputazione diStoria Patria (Sezione Lombarda, 1860)85.

Avvenne che «il divisamento fu eseguito ri-spetto alla pubblicazione dei documenti ed alletroppo brevi o troppo scarse note poste ai pie-di degli stessi, ma quanto alle carte topografi-che di ogni provincia lombarda prima del Mil-le, ne fu dimesso fortunatamente il pensiero, evi si sostituì in quella vece, un Indice Corograficoin testa al quale, assai poco cautamente, si espo-se l’avviso di aver reso il più possibilmente com-pleta la corografia antica della Lombardia… Mafino a qual punto con esso siasi soddisfatto agliintendimenti della Deputazione di Storia Patria,non ispetta a me il giudicarlo; questo solo parmidi poter affermare, che sotto l’aspetto corogra-fico non poteasi rendere alla scienza servizio piùinfelice, poiché se per avventura le carte topo-grafiche avessero dovuto essere fondate sui ri-sultati ai quali pervenne, sotto questo aspetto,il chiarissimo editore, non so vedere a che sa-rebbero riusciti sia il malavventurato a cui fos-se toccato il difficile compito di delineare quellecarte, sia lo studioso che troppo sconsiderata-mente le avesse pigliate per base delle sue in-dagini…»86. E ancora una volta non manca didenunciare le inesattezze «nello stabilire la ge-nuina lezione dei nomi locali» inesattezze gravi dalmomento che «recano difficoltà nelle indaginicartografiche…» alle quali egli stesso pone unprimo rimedio con un elenco di correzioni checomprende 72 lemmi, e oltre 22 pagine di ri-collocazione di luoghi erroneamente attribuiti alcontado bergamasco87. Ma occorreva ben altro,nel desiderio del Mazzi, «perché sulla nostra co-rografia si gettasse un poco più di luce di quel-lo che era dato attendersi dall’Indice» compila-to dalla Deputazione di Storia Patria.

L’Autore pensò di compilare un Supple-mento, nel quale fossero registrate le denomi-nazioni date dai documenti, semplicemente con-trapponendovi, ove fosse possibile, la denomi-nazione odierna; oppure «di allargare il campoalla discussione e di dare allo scritto almeno l’ap-parenza di un piccolo Dizionario Corograficodel nostro contado».Frontespizio della Corografia Bergomense di A. Mazzi.

Frontespizio del Codex diplomaticus di M. Lupo (Biblioteca Civica A. Mai,Bergamo).

Particolare della carta di P. Corbellini “tematizzata” dal Mazzi.

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Ne è uscita, da tanta modestia, quell’operamagistrale che è ancora la Corografia bergo-mense nei secc. VIII, IX e X (1880): non tantoun Dizionario, non ancora un Atlante; ma unmodello compiuto di storiografia del territorio.Che a giudizio dell’Autore, presentava tuttavia lastessa lacuna rimproverata alle altre opere e nonrisparmiata alla propria: «Sento che la mancanzadi una carta topografica, la quale accompagniquesto lavoro, lo rende anche materialmente as-sai incompleto, ma nell’assoluta impossibilità diattuare almeno questo desiderio, spero (o mi in-ganno?) di avere in parte supplito a una tale de-ficienza procurando di indicare con quella mag-giore precisione che per me potevasi la situa-zione delle diverse denominazioni locali, o l’an-damento dei confini del nostro contado e dellanostra diocesi: che se in ciò non fossi riuscito, ildiscreto lettore non voglia cagionarne il miobuon volere, ma sebbene in gran parte la insuf-ficienza mia e nel resto le condizioni create achi ha il buon vezzo di perdere il suo tempo instudi di questa fatta»88.

Alla delineazione di questa tanto auspicata“carta”, il Mazzi dedicò gli ultimi suoi due con-tributi, sotto il comune titolo di I confini dei Co-muni del Contado89. Quasi un testamento. Ilsottotitolo infatti, Materiali per un Atlante Sto-rico del Bergamasco, stava a significare sia ilcontenuto del suo lascito di ricerca, sia l’indica-zione di quale avrebbe dovuto essere il suo uti-lizzo: la redazione, finalmente, di un mai com-piuto Atlante Storico della Provincia.

Quanto al lascito, esso è costituito da un elen-co di 157 Comuni denominativi (corrisponden-ti a 140 Comuni attuali) per ciascuno dei qualisono forniti i riferimenti alle fonti statutarie – odi altro genere – nelle quali si ha la descrizionetopografica dei confini90.

«Questo punto della nostra storia non fu pre-so in considerazione da alcuno dei nostri scrittori»osserva sconsolato il Mazzi91, e perciò egli si in-carica di tracciare la storia istituzionale che haportato la città, cioè il comune di Bergamo, ne-gli anni appena successivi alla Costituzione del-la Società del Popolo (1230), e sull’esempio dialtri grandi comuni cittadini come Milano e Bo-logna (1223), ad estendere la sua autorità in-contrastata su tutto il contado, dando luogo aun regolare ordinamento di tutti i Comuni rura-li a cominciare dall’imposizione fatta loro di de-scrivere i propri confini e di fissarli stabilmenteal suolo mediante l’apposizione di termini, at-tuata talvolta con procedure singolari92.

Quanto alla destinazione del lascito, «la rico-struzione con questi documenti del territorio del-la nostra città all’epoca comunale, proseguitaanche per le successive, servirebbe a togliereuna grave deficienza nella vecchia cartografiapropria del nostro contado, poiché se i tentati-vi fatti in tempi da noi relativamente assai di-scosti per rappresentare in tutto o in parte un ter-ritorio, potrebbero segnare a grado a grado iprogressi conseguiti dalla scienza cartografica,non sarebbero però tali da rispondere a quantovorremmo ricavare invece da una storica carto-grafia, che alla esatta rappresentazione del ter-ritorio sovrapponesse tutte quelle indicazioni o to-ponomastiche o d’altro genere che sarebberofornite da documenti pienamente attendibili eche porterebbero un sussidio incalcolabile perla migliore intelligenza di quegli avvenimenti chetoccarono da vicino l’ambiente nostro»93.

Della vecchia cartografica, inadeguata a rap-presentare la territorialità storica della provin-cia bergamasca il Mazzi non manca di fare unabreve ma interessante rassegna94. Sono richia-

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mate la carta della Lombardia di Giovanni Pisa-to (1440), quale prima rappresentazione di unaparte consistente del territorio di Bergamo; glischizzi di Leonardo Da Vinci (fine del ’400) iquali «segnano una vera riforma nel disegno car-tografico di zone di limitata estensione», che nelnostro caso comprende la Valle dell’Oglio fino al-l’estrema Valle Camonica, parte della Val Se-riana fino a Gandino e tutta la Val Brembanada Ponte S. Pietro fino ai confini della Valtellina;e poi la carta della Lombardia di Vincenzo Luc-chini (1553), «un vero regresso nei rispetti dellaesattezza topografica», della quale sono posti inevidenza gli svarioni; e la carta di Giulio Sorte(1575) che rappresenta invece «un vero pro-gresso della cartografia per l’ambiente nostro»,trasferita però subito a Venezia e quindi non di-sponibile al Da Lezze, nel 1596, per corredaredi una tavola grafica il suo Catastico della qua-le dovette incaricare pertanto l’architetto PietroRagnolo, autore probabilmente anche di queldesignum territorii Bergomensis documenta-to come esistente presso l’archivio municipalenel 1592 e nel 1601 e ora perduto.

Il rammarico per questa perdita si accompa-gna, nel Mazzi, alla speranza che una nuova car-ta si compili sulla scorta del materiale da lui stes-so portato alla luce, quasi che tutta la produzio-ne cartografica relativa al territorio di Bergamo,tra la fine del ’500 e la fine dell’800, non siaall’altezza delle sue aspettative. Certo, questacartografia non ha in sé quelle informazioni di ca-rattere storico alle quali il Mazzi vorrebbe dareuna rappresentazione topografica appropriata,se non fosse per lui troppo tardi.

«Credo però che ormai noi possediamo unmateriale sufficiente per poterci attendere chein momenti men turbinosi dei nostri qualche stu-dioso di buona volontà si accinga a compilareun Atlante Storico della nostra città e del nostrocontado. Certo egli si incontrerà in punti anco-ra oscuri ed in intuizioni che andrebbero intera-mente rivedute; ma, malgrado questo, tengo perfermo che resterà ancora tanto di incontestato dapoter presentare un’opera che farà onore e al-la città nostra e a chi la compirà»95.

L’Atlante Storico della territorialità co-munale della Provincia di Bergamo.

L’auspicio del Mazzi prende ora corpo in que-sto Atlante che muove certo dalle fonti da lui ri-velate ma le integra e le estende – a livello sia let-terario che cartografico – con un’ampiezza chesolo gli attuali mezzi informatici consentono direalizzare. Ma l’obbiettivo rimane fermo: è larappresentazione della territorialità storica inun’area che per il Mazzi costituiva il contado diBergamo e che ora ne è la provincia.

In che modo l’Atlante riesce a dare profon-dità storica alla geografia del territorio berga-masco? Attraverso una serie di elaborati gra-fici e informativi che “ricostruiscono”, in so-stanza, l’evoluzione nel tempo della trama del-le confinazioni comunali all’interno dei confiniprovinciali anteriori al 1992, comprensivi quin-di di parte della Val S. Martino (ora in provin-cia di Lecco). Entro tale ambito provincialerientrano oltre ai comuni appartenenti ab an-tiquo al territorio storico bergamasco, anchequelli situati a Sud del Fosso bergamasco edentrati a far parte del Dipartimento del Serioper decreto napoleonico del settembre 1798e poi della provincia post-unitaria in base alcompartimento territoriale del 1859.

Cippo confinale rinvenuto sul territorio comunale di Albino, sulla costa delmonte Misma, sotto il prato Pelsino. Il cippo segnava il confine tra il ComuneMaggiore di Albino (C.M.A.) e i possedimenti dell’abbazia benedettina diVall’Alta.

Atto di descrizione dei confini di Serina del 22 ottobre 1392, Codice Patettan. 1387 (Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma).

Atto di descrizione dei confini di Marne (Filago) del 21 marzo 1395, CodicePatetta n. 1387 (Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma).

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XXVII

Carta Generale della Provincia.

Suddivisa in otto fogli, la Carta Generale del-la Provincia vuole semplicemente rendere pos-sibile una lettura simultanea di quanto sia defini-bile come storico – la maglia dei confini – e diquanto invece sia osservabile come geografico –l’orografia e l’idrografia del territorio bergama-sco. Lettura simultanea che costituiva lo scopofondamentale di quella che un tempo – e ancoraper il Mazzi – era la descrizione “corografica”.Sulla carta sono riportate anche le frazioni (excomuni), le località e, oltre ai limiti amministrati-vi attuali, quelli dei comuni censuari (1853) e quel-li ipotetici di circoscrizioni non più identificabili.

L’Indice dei nomi che segue elenca in ordinealfabetico tutte le località, gli oronimi e gli idro-nimi riportati sulla carta con l’indicazione del n°di foglio e delle coordinate (lettera e numero) delriquadro entro il quale il toponimo può essereindividuato.

Le schede di repertorio.

Di ciascuno dei 250 comuni compresi nellaprovincia come sopra definita e ordinati in suc-cessione alfabetica, l’Atlante fornisce una sche-da nella quale sono ordinati i dati storico-terri-toriali essenziali, con una modalità che integralo schema del Dizionario Corografico con quel-lo di un Atlante vero e proprio. La scheda ri-porta infatti: a) una breve nota descrittiva delle vi-cende confinarie e denominative del comune; b)i riferimenti geostorici relativi alle variazioni disuperficie (1853-1999) e demografiche (1596-1991); agli eventuali ex-comunelli storici in essocompresi; alla eventuale articolazione interna incomuni censuari; alla situazione territoriale e al-le coerenze confinarie accertate a fine XIV se-colo; c) una tabella delle variazioni denomina-tive e circoscrizionali fra 1353 e 1999; d) unatabella di raffronto delle località abitate1983/91-1596; e) una piccola rappresentazio-ne del territorio provinciale con l’ubicazione delcomune descritto; f) un estratto cartografico conla rappresentazione delle delimitazioni del terri-torio comunale in oggetto; g) i riferimenti legi-slativi relativi a decreti di soppressione, aggre-gazione, variazione denominativa.

Queste schede diventano corpose e presen-tano particolare interesse quando riguardano ter-ritori comunali compositi, che comprendono og-gi nuclei abitati un tempo autonomi, con una lo-ro vicenda confinaria. È il caso di Albino, il cui ter-ritorio comprende gli ex territori di Albino, Bon-do Petello, Bruseto, Comenduno, Desenzano alSerio, Fiobbio, Vall’Alta, dei quali tutti si rico-struisce la storia e, quando è possibile, la super-ficie, la demografia, il confine. È il caso anchedi Alzano Lombardo: la storia del suo territoriocomporta la ricostruzione storica degli ex territoridistinti di Alzano Maggiore, Alzano di Sopra,Monte di Nese, Nese, Olera.

In tutti questi casi, si riesce a cogliere lo scar-to tra la forma della territorialità più recente, cor-rispondente a criteri di “razionalità” ammini-strativa, e le forme e le dimensioni di quella piùantica e originaria corrispondenti a criteri “or-ganici” di rapporto tra ambiente fisico e nucleodemico.

Carte di inquadramento.

La prima serie di rappresentazioni cartogra-fiche comprende le tre Carte di inquadramen-

to di particolare significato metodologico. Laprima è un Quadro Sinottico che illustra grafi-camente le relazioni tra fonti documentarie, pe-riodizzazione storica, numero delle circoscrizio-ni ed estensione del territorio “provinciale”. Dinotevole chiarezza (e importanza) è il grafico cheaffianca l’elencazione e la cronologia delle fon-ti con la periodizzazione storico politica, alla qua-le si sovrappone il diagramma lineare delle va-riazioni quantitative dei comuni, compresi neidifferenti confini storici dell’ambito provincialebergamasco. Si osserva come le fonti siano tut-te di carattere istituzionale, da quelle statutarie ri-velate dal Mazzi ai catastici veneti, ai comparti-menti territoriali preunitari ai censimenti postu-nitari, e si vede come al di là delle oscillazioni diperiodo la territorialità storica abbia una sua sta-bilità di fondo: 259 erano gli ambiti comunalinel 1392, 250 sono gli ambiti comunali odierni,all’interno del medesimo ambito geografico pro-vinciale.

La seconda carta di questa serie mostra l’e-stensione del territorio documentato negli atti didescrizione dei confini che risalgono al 1392,al 1456 e al 1481. Alla carta si accompagnal’Elenco degli atti di descrizione di confineche riporta in ordine alfabetico tutti i comuni deiquali si è conservata la terminazione, con la spe-cificazione della data della ricognizione e l’indi-cazione della raccolta in cui è contenuta.

La terza carta riguarda un’altra importantefonte documentaria per la storia del territorio,quella catastale: la carta registra infatti i comunicensuari esistenti al momento della catastazio-ne asburgica del Lombardo-Veneto (1853). Laconoscenza dei limiti topografici di questi co-muni è molto utile per il riconoscimento dei con-fini storici di circoscrizione oggi non più esistentio solo in parte coincidenti con le circoscrizioni at-tuali. Di questi comuni censuari si dà anche l’E-lenco denominativo in ordine alfabetico, pernumero progressivo (da 1 a 344), con l’indica-zione del comune amministrativo di apparte-nenza attuale; del numero di fogli di mappa suiquali è raffigurato nel catasto del 1853; del n° diparticelle catastali da cui il suo territorio era com-posto. Dati essenziali tutti per la determinazionetopografica – anche per comparazione coi ca-tasti successivi – del territorio storico dei singo-li comuni.

Le tavole sinottiche.

Direttamente correlate alle schede di reper-torio, radiografie di ogni singola cellula di un tes-suto vivente che nel tempo si mantiene o si mo-difica o decade come avviene in ogni altro or-ganismo che possiede una storia, sono le Tavo-le Sinottiche delle variazioni circoscrizionali do-ve tali cellule sono rappresentate, una per una,da Adrara S. Martino a Zogno, e per ciascuna diesse si danno modificazioni di forma e di esten-sione alle dodici soglie storiche documentabilicomprese fra il 1392 e il 1999. L’elaborato co-stituisce un vero e proprio abaco tassonomicodelle morfologie microterritoriali che compon-gono, o hanno composto, il quadro più ampiodella Provincia di Bergamo. Un abaco che perestensione (è composto da 3.000 caselle), mi-nuziosità ed esattezza avrebbe soddisfatto le at-tese del Mazzi.

Vi si leggono con chiarezza i caratteri salien-ti della geografia comunale bergamasca: la piùampia dimensione dei comuni montani rispettoa quelli di pianura; la maggior stabilità territo-riale dei secondi rispetto ai primi; la maggiore

Atto di descrizione dei confini di Poscante (Zogno) del 8 aprile 1494,Confini di varie terre del Bergamasco (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

Atto di descrizione dei confini di Entratico del 1 febbraio 1481, Confini divarie terre del Bergamasco (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

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frammentazione dei comuni più antichi; la for-mazione a mosaico di alcuni comuni di Valle (Al-bino, Endine Gaiano, Gromo, Gandino, Val-bondione, Vilminore di Scalve, Zogno), comedel capoluogo cittadino. Ma le singole tesserenon sono monadi. Le modifiche di una sola si ri-flettono necessariamente su quelle contigue ecosì è nel quadro complessivo che vanno regi-strate le reciproche alterazioni. Alle variazioniconfinarie interne all’intera Provincia sono per-tanto dedicate due serie di rappresentazioni car-tografiche: quelle di carattere sincronico (carte disoglia) e quelle di carattere diacronico (carte disintesi).

Le carte di soglia.

Le prime riportano i confini delle circoscri-zioni comunali alle soglie storiche di riferimento;vi sono leggibili in modo distinto i limiti ammi-nistrativi attuali, quelli dei comuni censuari al1853, quelli più antichi ricostruiti in via ipote-tica, nonché i capoluoghi storici e le loro fra-zioni e le ex frazioni ora capoluogo.

A ciascuna carta si accompagna il rispettivoElenco dei comuni esistenti alla data considera-ta, ordinati per numero progressivo e per suc-cessione alfabetica, con la indicazione delle even-tuali varianti denominative storiche e il n° dellaScheda di riferimento. È questa la serie fonda-mentale delle carte contenute nell’Atlante: insie-me ai rispettivi elenchi, costituiscono infatti la ri-costruzione storico-geografica degli ordinamentiterritoriali alle soglie temporali che segnano si-gnificativi mutamenti di carattere istituzionale.

La serie è preceduta da un Diagramma chemostra le variazioni quantitative dei comuni ber-gamaschi nella successione dei domini politici, dal-la Signoria Viscontea alla Repubblica Italiana.

Le oscillazioni sul numero dei Comuni riflet-tono sia la diversa estensione del territorio “pro-vinciale” di riferimento, sia il minore o maggio-re accentramento amministrativo praticato daidifferenti governi. Al primo caso devono ricon-dursi i valori massimi di oltre 300 comuni siadel periodo veneto che di quello preunitario; alsecondo caso vanno invece riferiti i minimi di115 comuni del 1809 (soppressioni napoleoni-che) e di 218 del 1936 (soppressioni fasciste).Oggi il numero è di 244, sei in meno rispetto alcensimento del 1991, per i comuni passati afar parte della nuova provincia di Lecco.

Le carte di sintesi.

Una seconda serie è costituita dalle Carte disintesi, nelle quali sono rappresentate le varia-zioni circoscrizionali intercorse fra coppie di so-glie storiche diverse. Sono, queste carte, l’indi-spensabile complemento a quelle della primaserie, delle quali registrano gli “scarti” fra unadata e l’altra. Molto evidente appare il processodi formazione di nuove circoscrizioni – cioè diprogressiva autonomizzazione dei territori rura-li – nelle prime soglie storiche (saldo + 17), e lamassiccia soppressione delle autonomie localioperata nel periodo napoleonico (saldo – 187) enel Ventennio fascista (saldo – 87).

Gli istogrammi che accompagnano ogni ta-vola registrano opportunamente le variazioniquantitative fra una soglia e l’altra e il Diagram-ma consuntivo reca i saldi totali, periodo perperiodo, fra soppressioni e nuove istituzioni di co-muni. Di questo movimento si ha pure il detta-glio nominativo riportato nell’Elenco dei co-

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muni di nuova istituzione e dei comuni sop-pressi che accompagna ogni tavola diacronica.

Le tavole della territorialità sovracomunale.

Le factae medioevali.

Un ulteriore gruppo di tavole riguarda la di-strettuazione sovracomunale.

Nella prima tavola sono delimitati i quattrosettori territoriali che nei secc. XIII-XIV costitui-vano le quattro factae del territorio extraurba-no del Comune di Bergamo. Secondo lo Statu-to del 1331 ciascuna di esse faceva capo a unaporta: così la facta di S. Alessandro compren-deva il settore Nord-Ovest con 97 comuni; lafacta di S. Andrea comprendeva i 57 comunidel settore Est; alla facta di S. Stefano appar-tenevano i 70 comuni del settore di Sud; allafacta di S. Lorenzo i 47 comuni del settore diNord-Est. Non è chiaro fino a quando questoordinamento sia durato; il riferimento alle factaeè presente anche nelle redazioni più tarde de-gli Statuti cittadini, fino alla fine della Repubbli-ca Veneta, ma la loro efficacia dovette venir me-no molto prima, col venir meno della egemo-nia cittadina sul territorio e l’avvento della Si-gnoria Viscontea.

Le quadre del periodo veneto.

La tavola delle quadre territoriali del periodoveneto ricostruisce l’ordinamento adottato dallaSerenissima e in essere al 1596, data di com-pilazione del Catastico di Zuan Da Lezze. In pra-tica, tale ordinamento è durato fino alla finedel ’700.

Nell’elenco che ne fa il Da Lezze, le quadrevere e proprie sono gli ambiti di raggruppamentodei comuni del “piano”: e cioè la quadra di Cal-cinate (13 comuni) con capoluogo Calcinate; laquadra di Mezzo, la più grande (45 comuni96),con capoluogo Almè; la quadra dell’Isola (25 co-muni, con l’esclusione di Prezzate) con capo-luogo Brembate.

Nel territorio del piano i comuni maggiori ecioè Lovere, Martinengo, Romano e quelli “pri-vilegiati” di Pedrengo, Scanzo, Villa di Serio, S.Giovanni Laxolo e Brembilla Vecchia facevanoquadra a sé. Inoltre, costituivano quadre distintela Val Calepio (12 comuni, capoluogo Adrara); laVal Cavallina (18 comuni, capoluogo Costa Vol-pino); la Valle di Trescore (12 comuni, capoluo-go Trescore97).

Complessivamente quindi il piano compren-deva 6 quadre territoriali (per un totale di 120 co-muni, escludendo i 5 comuni privilegiati) e 8 co-muni-quadra. Godevano di particolari privilegianche Sorisole e Ponteranica, mentre Malpagaera sottoposto a giurisdizione feudale.

«Questo piano si governa con sindici parti-culari, uno per quadra eletto dal comune e que-sti sindici redotti insieme hanno un sindico ge-nerale il quale rappresenta tutto il piano e di-fende le loro cause; non maneggia denaro per-ché ogni sindico scote et paga per la sua qua-dra et per questo ha di sallario d.ri 30 et è elet-to da loro in vitta come sono i sindici particula-ri mentre si diportono bene».

Oltre il piano, il territorio bergamasco com-prende le Valli, che danno luogo a otto circo-scrizioni amministrative distinte. E sono, nel-l’ordine elencato dal Da Lezze: Val Seriana Su-periore, capoluogo Clusone, con 16 comuni;Val Gandino, capoluogo Gandino, con 11 co-muni; Val Seriana Inferiore, capoluogo Nembro,

Frontespizio del Novo catalogo delle comunità di G. Maironi Da Ponte(Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

Frontespizio della Descrizione topografica e storica del Bergamasco diV. Formaleoni (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

Anagrafi Venete, quinquennio 1780-1784 (Biblioteca Civ. A. Mai, Bergamo).

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12 comuni; Val Brembana Superiore, capoluo-go Serina, 11 comuni; Val Brembana oltre laGoggia (con Valle Fondra), capoluogo PiazzaBrembana, 13 comuni; Val Brembana Inferio-re, capoluogo Zogno, 13 comuni; Val S. Marti-no, capoluogo Caprino, 26 comuni; Valle Ima-gna e Vicariato di Almenno, capoluogo Almen-no, 16 comuni.

Nel 1428, 17 giugno, le otto valli furono ri-conosciute “esenti” dal Governo Veneto e “se-parate” dalla città: quod sint exempti a comu-ne seu civitate nostre Pergami et quod nonhabeant agere aliquid cum dicto comune seucivitate…

Ugualmente, se non in misura maggiore, se-parate dalla città risultano le quattro valli mino-ri: di Scalve, di Averara, Valtorta e Val Taleggio,ciascuna costituendo comune a sé, composto dadiverse contrade.

Tutti i 26 corpi territoriali sopraindicati for-mano dunque il variegato mosaico della Provin-cia bergamasca a fine ’500; se si tolgono gli 8 co-muni del piano che fanno a sé, le rimanenti 18quadre costituiscono gli aggregati di ordine su-periore dei 242 comuni disseminati tra le Valli eil piano, con una media di 10-12 comuni perquadra, se si eccettuano le maggiori aggrega-zioni delle quadre di Mezzo, dell’Isola e della ValS. Martino.

Un’identica suddivisione amministrativa si ri-scontra ancora nella seconda metà del Sette-cento, come appare dal Novo catalogo dellecontrade di Giovanni Maironi Da Ponte del 1776e dala Descrizione topografica e storica delBergamasco di Vincenzo Formaleoni del 1777.

Distretti e cantoni napoleonici.

Le tavole dedicate alla distrettuazione napo-leonica del Dipartimento del Serio mostrano intutta evidenza lo sconvolgimento dell’antico or-dinamento veneto.

Già durante il breve preludio della Repubbli-ca bergamasca (1797) fu varata una riforma del-le circoscrizioni periferiche di netta impronta ur-banocentrica: si proponeva la divisione del ter-ritorio in 17 cantoni tutti dipendenti dalla mu-nicipalità di Bergamo. Provvedimento cui si op-posero sia le valli che i comuni maggiori del pia-

no: Martinengo e Romano si dichiararono mu-nicipalità autonome.

Con la Prima Repubblica Cisalpina si cercòdi rimediare in parte il contrasto con le autono-mie locali istituendo, col nuovo compartimentoterritoriale del settembre 1798, 18 distretti (nelmarzo 1798 erano 23) al posto delle 18 quadredell’ordinamento veneto. Ma a ben vedere, solo13 di tali distretti si sovrappongono alle prece-denti 18 circoscrizioni: 5 infatti sono del tuttoesterni ai tradizionali confini dell’Adda e del Fos-so bergamasco.

A Ovest dell’Adda, e fino al nuovo limite deltorrente Molgora (che lambisce la Brianza) si al-lineano i tre distretti del Naviglio (territorio diCassano, con 31 comuni); dell’Adda (territoriodi Brivio e Merate, con 48 comuni); del Lago(territorio di Lecco, con 50 comuni).

A Sud del Fosso bergamasco sono annessi idue ex-territori “separati” dello Stato di Milano,cioè la Gera d’Adda e la Calciana, che diventanorispettivamente il distretto della Roggia Nuova(territorio di Treviglio, con 21 comuni) e il di-stretto delle Ghiaie (territorio di Calcio, con 21 co-muni). I nuovi limiti meridionali del territorio ber-gamasco rimarranno in seguito per sempre sta-bili.

La tendenza accentratrice del nuovo ordina-mento amministrativo si rivela non solo nella di-latata dimensione delle circoscrizioni intermediefra dipartimento e municipalità, ma nella stessastruttura di governo: le amministrazioni perife-riche, infatti, come quelle centrali, sono sempli-ci articolazioni del potere esecutivo, e ragionevuole che queste articolazioni si concentrino fraloro.

«Le municipalità erano strettamente dipen-denti dalle amministrazioni dipartimentali e que-ste ultime dai ministri e tutti i corpi dipartimentalie municipali lo erano strettamente dal Diretto-rio Esecutivo.

Tale struttura gerarchica rappresentava la pie-na applicazione del principio della centralizza-zione amministrativa, cui si ispirò tutto il siste-ma cisalpino»98.

Il compartimento territoriale del 1801 (Se-conda Repubblica Cisalpina) in effetti radicalizzail modello gerarchico e accentrato con la ridu-zione degli ambiti territoriali intermedi a soli 4distretti: quello centrale di Bergamo (con 153comuni); quello settentrionale di Clusone (50 co-muni); quello meridionale di Treviglio (68 co-muni) e quello orientale di Breno (55 comuni).

Al ristabilimento del confine occidentale del-l’Adda corrisponde la annessione, ad oriente,della Val Camonica che rimarrà “bergamasca”fino all’Unità; al centro, il distretto che fa capo al-la città “pesa”, per numero di comuni, quantogli altri tre messi insieme.

Nel 1805, con la costituzione del Regno d’I-talia, il correttivo all’ordinamento precedente av-viene con l’istituzione di una nuova unità terri-toriale di livello sub-distrettuale: il cantone. Il di-partimento del Serio rimane diviso in 4 distretti,col potenziamento di quello centrale, che com-prende ora 189 comuni (55 al distretto di Clu-sone; 60 al distretto di Treviglio; 49 al distrettodi Breno) su un totale di 35399, ma all’internodei quattro distretti vengono ritagliati 18 canto-ni, lo stesso numero delle quadre di un tempo,delle quali in genere riprendono i capoluoghi madi esse mediamente più grandi, dal momentoche più esteso è ora, con la Valcamonica, il ter-ritorio del dipartimento.

Ma la vera “novità” nell’ordinamento del 1805è l’introduzione del criterio della quantità demo-grafica per la determinazione del rango di ogni

G. Manzini, La Valle Camonica, scala 1:80 000, 1816 (Archivio Pelandi,Bergamo).

Prospetto di divisione del territorio di Bergamo in Valli e Quadre in perio-do veneto, sec. XVIII (Biblioteca Civica A. Mai, Bergamo).

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comune: sono di “terza classe” i comuni con me-no di 3.000 abitanti; di “seconda classe” quelli fi-no a 10.000; sono di “prima classe” i comunicon oltre 10.000 abitanti. Solo Bergamo supe-ra quest’ultimo limite, e solo Romano e Marti-nengo superano il primo limite. Tutti gli altri 351comuni sono classificati di terza classe, vale a di-re il livello amministrativo minimo, col minorgrado di rappresentanza elettiva e di autonomiadi governo.

Tutti i cantoni, invece, sono stati portati alla so-glia dei 10.000 abitanti, o oltre, in modo chefossero essi gli ambiti di amministrazione perife-rica effettivamente funzionante e direttamentecontrollati dal centro. Rispetto ai quali, la di-spersione nel territorio dei comunelli di terza clas-se rappresentava solo un fastidioso intralcio al“normale” funzionamento della macchina buro-cratica; e pertanto si cercò in ogni modo di ri-durre il fastidio elevando il quoziente demografi-co dei comuni accorpandoli quanto possibile, colridurne il numero a 142 (fra 1807-1809).

I distretti del periodo Lombardo-Veneto.

Le tavole che riportano i compartimenti ter-ritoriali del periodo del Regno Lombardo-Vene-to (1816-1859) vedono stabilizzarsi le circoscri-zioni intermedie in numero di 18 distretti, (conuna media di 20 comuni per distretto).

Il numero dei comuni di quello che ora, per laprima volta, prende il nome di Provincia di Ber-gamo, tocca il suo massimo: 370, nel 1816.Questo a significare che tutti gli accorpamentidell’ultima fase di dominio napoleonico sono sta-ti sciolti.

Qualche oscillazione, in parte dovuta a va-riazioni nei confini periferici, in parte a qualcherinnovato ma sporadico accorpamento, si ha nelnumero complessivo di comuni alla data dei com-partimenti successivi: 359 sono i comuni nel1844; 362 nel 1852, 359 nel 1853. A que-st’ultima data, anche i distretti si riducono a 16:quello di Alzano e in parte il distretto di Verdel-lo (l’altra parte va con Treviglio) sono assorbitinel distretto di Bergamo, che però si sdoppia inI e II; il distretto di Martinengo si fonde con quel-lo di Romano.

Quanto al governo, durante la Restaurazio-ne la provincia era retta da una Regia Delega-zione; al distretto era preposto un Cancellieredel Censo, secondo il modello austriaco già vi-gente nella Lombardia teresiana; i comuni con-servavano “provvisoriamente” la distribuzione intre classi, ma con soglie demografiche mutate eorgani di amministrazione rinnovati. Si ebbe co-sì che i 234 comuni di terza classe avevano unConvocato Generale (ancora sul modello tere-siano); i 117 di seconda classe avevano un Con-siglio Comunale “senza ufficio proprio”; i 7 co-muni di prima classe – Gandino, Martinengo,Romano, Caravaggio, Treviglio, Breno, Clusone– avevano Consiglio con ufficio proprio; infineBergamo, in quanto città regia, aveva una pro-pria Congregazione municipale.

Circondari e mandamenti nell’ordinamento Sar-do-piemontese.

Con l’annessione della Lombardia al Pie-monte, nel 1859, si ha un nuovo – e ultimo, perquanto riguarda questo particolare tipo di docu-mento ufficiale – compartimento territoriale del-le provincie che entrano a far parte del primonucleo del Regno unitario.

La provincia di Bergamo, il cui confine orien-tale ritorna ad essere quello storico, per l’an-

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nessione della Val Camonica alla provincia diBrescia, è ora diviso in 3 circondari e 18 man-damenti; vengono quindi reintrodotti due livelli cir-coscrizionali intermedi, fra provincia e comune,secondo il modello francese (ripreso anche nel-la denominazione delle nuove unità territoriali).

Il circondario di Bergamo comprendeva 11mandamenti e 194 comuni (tra cui Berzo, nonperò citato) con circa 200.000 abitanti; il cir-condario di Treviglio era diviso in 4 mandamentie 55 comuni (per 95.000 abitanti); il circondariodi Clusone aveva al suo interno 3 mandamenti e58 comuni (con 51.000 abitanti).

Se i 3 circondari ricordano i 4 distretti cisalpini,i 18 mandamenti sembrano ricalcare sia i 18 di-stretti austriaci che i 18 cantoni napoleonici chele 18 quadre venete. E in effetti anche i sop-pressi ex distretti di Martinengo, Verdello e Alzanosono stati ricostituiti in unità mandamentali.

Ma la eguaglianza numerica, in questo caso,non significa una equivalenza politico-ammini-strativa: i mandamenti, infatti, come gli ex-di-stretti e gli ex-cantoni, sono di fatto articolazio-ni territoriali periferiche del governo centrale; leex-quadre, al contrario, erano momenti di ag-gregazione dei comuni rurali che cercavano conmaggior sforzo di contrastare il potere centrale.

Indici, fonti, bibliografia.

Infine, l’Atlante fornisce in apparato gli stru-menti indispensabili al suo corretto utilizzo.

Un primo Indice riguarda i comuni attuali (ingrassetto) e gli eventuali ex-comuni storici in es-si compresi (in corsivo).

Un secondo Indice, generale elenca tutti icomuni storici, con rinvio al n° della rispettivascheda.

Un terzo Indice è di carattere cronologico eriguarda la successione dei provvedimenti legi-slativi dal 1861 ad oggi che abbiano per ogget-to variazioni nella denominazione o nella super-ficie dei territori comunali della provincia di Ber-gamo.

Gli stessi provvedimenti legislativi sono poiriorganizzati alfabeticamente per comune in unquarto Indice.

La Bibliografia tematica e l’elenco delle Fon-ti documentarie, legislative e cartografichechiudono infine l’apparato a supporto della con-sultazione, dalla quale lo studioso potrà ricavareuna nozione non superficiale di quella che è sta-ta ed è la territorialità storica bergamasca.

Gian Piero Calza

Frontespizio del Compartimento territoriale del 23 giugno 1853.

Frontespizio del Compartimento territoriale del 23 ottobre 1859.

Frontespizio del Prospetto per la concentrazione de’ comuni (BibliotecaCivica A. Mai, Bergamo).

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XXXI

NOTE

1. Basti qui ricordare il contributo di uno fra i primi stu-diosi italiani di storia comunale, Pagnoncelli, sostenitore della “te-si romanista” sulla scia del Savigny. Nella sua indagine Sul-l’antichissima origine e successione di governi municipalinelle città italiane (Bergamo 1823), vuole dimostrare la con-tinuità, nel comune cittadino medioevale, sia dell’ordinamentoche del diritto che delle magistrature di origine romana, ac-canto ai funzionari longobardi. Fa inoltre una netta distinzionefra habitatores e cives, i primi di origine germanica (longo-barda), i secondi romani, i quali nel XII secolo si sarebbero fu-si nel Comune.

2. Si vedano i due articoli del Mazzi su I confini dei co-muni del Contado. Materiali per un Atlante storico del Ber-gamasco, rispettivamente in «Boll. Civ. Bibl. di Bergamo», XVI,1, aprile/mar. 1922, pp. 1-50; e in «Bergomum», XXIII, 1,1929 (VII), pp. 1-32 (postumo).

3. L. Ricci, Per un Atlante Storico d’Italia, relazionetenuta all’VIII Congresso Geografico Italiano, Firenze 1921.Cfr. p.138 degli Atti. L’iniziativa dell’Atlante Storico Naziona-le fu presa unitamente da geografi e storici, e varata dal C.N.R.solo nel 1942. Interrotta a causa della guerra, l’impresa fu ri-lanciata nel 1963 dalla Società degli Storici e assunta, l’anno do-po, di nuovo dal C.N.R.

4. A cura del C.N.R. si erano anche definiti i criteri diredazione delle carte provinciali, raccolti in Atlante Storico Ita-liano: norme particolari per i collaboratori per le carte del Me-dioevo, Roma 1942, p. 24.

5. Quando G.P. Bognetti, discutendo su i Documentiper la Storia del Comune rurale nel milanese (in «Arch. Stor.Lomb.» VI, 55, 1928, fasc.1-2) si trova a dover valutare l’efficaciadi “più larghe sintesi ed elaborazioni dogmatiche” da parte de-gli storici “generali”, rispetto ai più circostanziati e “concreti”contributi degli storici locali, non manca di ricordare chi, fraquesti ultimi, gli appare all’altezza dei primi: “vuol dire che gli stu-diosi locali ( e intendo parlare non dei dilettanti, ma degli storiciveri, quali ad esempio il Mazzi), per la loro approfondita co-noscenza delle fonti e dei luoghi, sapranno essi stessi, alla ri-prova, rifiutare quanto vi fosse di arbitrario e talvolta di assurdoin simili costruzioni troppo generali ed astratte” (ora in: Studi sul-le origini del Comune rurale, Milano 1978, pp. 265-266).

6. Cfr. nota seguente.

7. L. Gambi, Per un atlante storico d’Italia, relazione alI Congresso Nazionale di Scienze Storiche, Perugia, 1967, orain Una geografia per la Storia, Torino 1973, pp. 182-183.

8. Ibidem, p. 195, paragrafo g).

9. Giovanni Mairone Da Ponte, Dizionario odeporico, osia storico-politico-naturale della provincia bergamasca, Maz-zoleni, Bergamo 1819-1820, 3 voll.

10. M.L. Scalvini, G.P. Calza, Bergamo 1516. Città eterritorio nella Descriptio di Marcantonio Michiel, Padova1983.

11. Giovanni Da Lezze, Descrizione di Bergamo e suoterritorio, 1596, a cura di V. Marchetti e L. Pagani, Bergamo1988 (Fonti per lo studio del Territorio Bergamasco, 7). Al me-desimo Da Lezze si deve l’analogo Catastico per la città e ilterritorio di Brescia (1608).

12. Per il governo della serenissima si veda la raccolta del-le Relazioni dei Rettori veneti di Terraferma, a cura di A. Ta-gliaferri, Milano 1975-79, 13 voll.; vol. XII: Podestaria e Ca-pitanato di Bergamo. Per il governo napoleonico, si vedano lemonografie statistiche dei vari Dipartimenti, compilate da Mel-chiorre Gioia, al cui genere appartiene anche lo studio di G.Maironi Da Ponte, Osservazioni sul Dipartimento del Serio,Bergamo 1803.

13. Nella tradizione classica la descriptio geografica hapreso forma con le opere maggiori di Strabone (“Italia de-scriptio”, libro IV della Geografia); di Pausania Periegeta (De-scriptio Graeciae); di Plinio il Vecchio (“Italiae descriptio”, libroIII Naturalis Historia). Nella tarda antichità le descriptiones dicarattere geografico sono ancora frequenti: Descriptio orbis(Dionisio Periegeta); Descriptio orbis terrarum (Rufo FestoAvieno); Descriptio orbis romani (Giorgio di Cirpo); Descrip-tio urbis Romae (Publius Victor); Descriptio Graeciae (Dicearcodi Messina); nonché le Descriptiones di Callistrato.

14. Fra il 1810 e il 1811 si effettua il rilevamento catastaledell’area urbana di Bergamo, da cui è tratta la prima mappatopograficamente certa della città; l’intera catastazione del Di-partimento del Serio, avviata nel 1808, si conclude nel 1813 sot-to la guida dell’ingegnere e architetto Giuseppe Manzini, ispet-tore del censo. All’indomani della Restaurazione il Manzini saràl’estensore della carta dell’intera provincia di Bergamo (1816),oltre che di una nuova Pianta della città e borghi esterni. En-trambe costituiscono i primi esempi di moderna cartografia inambito bergamasco rimanendo, per la nitidezza della rappre-sentazione, in auge per la maggior parte del secolo scorso.

15. A. Zuccagni Orlandini, Corografia fisica, storica estatistica della Italia e delle sue isole, corredata di un Atlan-te, Firenze 1835-45, 17 voll.

16. Dizionario Corografico della Lombardia, compilatoda parecchi dotti italiani. II Ediz. riveduta per cura dell’I.R.Capitano Felice Griffini, Stabilim. Civelli Giuseppe e Compi,Milano 1854.

17. Dizionario Geografico Universale dell’Italia, siste-maticamente suddiviso secondo l’attuale partizione politi-ca d’ogni singolo Stato italiano, compilato da parecchi dot-ti italiani, Stabilim. Civelli Giuseppe e Compi, Milano 1854.

18. L’Italia sotto l’aspetto Fisico, Militare, Storico, Lette-rario, Artistico e Statistico (in speciale riguardo all’industriae al commercio) opera divisa in tre parti. Iª Dizionario Co-rografico compilato dal prof. Amato Amati col concorso diparecchi dotti. Articoli corografici e termini riveduti o col-laborati dalle Rappresentanze Comunali, col concorso deiSindaci, delle Rappresentanze Provinciali e di insigni geo-grafi e storici. Premiato con Medaglia all’Esposizione Uni-versale di Parigi, 1867; Genova 1868; Milano 1871; Vienna1873. Dedicato a Sua Maestà Vittorio Emanuele II Re d’Italia.

19. O. Marinelli, Area delle vecchie circoscrizioni geo-grafico-amministrative del Veneto, in «Riv. Geogr. It.», 1917,pp. 346-352; id. Il Friuli e la Venezia Giulia. Problemi diGeografia amministrativa e di toponomastica, Udine 1923.

20. O. Marinelli, Atlante dei tipi geografici, I.G.M., Fi-renze 1922.

21. Si deve allo stesso Marinelli l’introduzione del terminedi “Geografia amministrativa”. Quanto alla definizione riporta-ta, sta in: C. Caldo, Il Comune italiano: studio di geografie am-ministrative, Milano 1972, p. 5.

22. Ibidem.

23. Sul significato dell’approccio “geoumanistico” dellacultura geografica francese, avviato agli inizi del nostro secoloda Paul Vidal de la Blache, si veda A. Meynier, Histoire de lapensée géographique en France, Paris 1969.

24. F.S. Giardina, L’area del Regno e le sue divisioni.Valutazioni dell’Istituto Geografico Militare, in «Riv. di Storiae Geografia», 1901, fasc. 2° pp. 3-15; G.L. Bertolini, Sull’u-bicazione delle sedi comunali, in «Boll. Soc. Geogr. It.», 1903,pp. 11-27; id. e U. Rinaldi, sul significato di particolari con-figurazioni territoriali dei comuni, in «Riv. Geogr. It.», 1934,pp. 73-86.

25. F.S. Giardina, I limiti dei territori comunali secon-do i rilievi militari e catastali e il territorio di Misterbian-co, Catania 1927; id., Su la riforma della circoscrizione deiterritori comunali del Regno con speciale riguardo alla Si-cilia, in Atti del IX Congr. Geogr. It., Genova 1924, vol. II°,pp. 320-324.

26. G.L. Bertolini, Sul movimento dei Comuni; comuninuovi istituiti, comuni soppressi, variazioni territoriali, in«Boll. Soc. Geogr. It.», 1918, pp. 59-86, 241-270.

27. Quanto ai contenuti della tavola, sono considerati dalGambi “magistralmente scelti e connessi” e “di elevato valore di-dascalico”. In Uno schizzo di storia della geografia in Italia(1970), poi in Una geografia per la Storia, Milano 1973, p. 21.

28. C. Bertacchi, Sul concetto di “regione”. A proposi-to delle “Venezie” e della regione veneta. Appunti di geo-grafia politico-amministrativa, in «L’Universo», 1928, pp.393-417.

29. L. Gambi, Un progetto di revisione territoriale del-la ripartizione comunale romagnola (Forlì 1947), Faenza1950, p. 27.

30. Id., La riconfigurazione topografica dei comuni co-me parte della pianificazione regionale, in Atti XVI Congr.Geogr. It., Padova-Venezia 20-25 Aprile 1954, Faenza 1955,p. 230.

31. F. Bonasera, Le Marche e la revisione territorialedella loro ripartizione amministrativa, Ancona 1953; id, Lebasi geografiche della programmazione in Sicilia, Bologna1967.

32. Cfr. C. Caldo, Il Comune italiano, cit., p. 11. Il rife-rimento è all’opera di A. Demangeon, La France, vol. VI del-la Géographie Universelle, Paris 1948, in cui l’autore indagasull’origine e la natura dei comuni francesi. Dello stesso si vedaanche Problèmes de Géographie Humaine, Paris 1947.

33. A. Meynier, La commune rurale francaise, in «An-nales de Géographie», 1945, pp. 161-179.

34. Cfr. anche sull’argomento: J. Bancal, Les circon-scriptions administratives de la France. Leur origine et leuravenir. Contribution à l’étude de la géographie administrative.Paris 1945.

35. A. Meynier, A. Perpillou, E. Juillard, H. Enjalbert, P.Barrere, G. Duby, A. Piatier, La carte instrument de recherche:

les communes de France, in «Annales: Economie – Société –Civilisations», 1958, pp. 447-487.

36. H. Desplanques, Comuni italiani e comuni francesi,in «L’Universo», pp. 875-900.

37. R. Biasutti, Il paesaggio terrestre, Torino 1962.

38. J.T. Coppock, The relationship of farm and parishboundary. A study in the use of agricoltural statistics, in«Geographical Studies», London, 1955, pp. 12-26; id., Theparish as a geographical-statistical unit, in «Tijdschrift yooreconomische en social geograpfie», Rotterdam, 1960, pp. 317-326.A. Welte, Die Bedentung der Ortsgemarkungen für Sied-lungsgeographie, in «Geographischer Anzeiger», 1935, pp.145-153. W. Koch, Die dentschen Gemeindegrenzen undihr historischer wert.

39. È ancora il Gambi, nel 1976, a lamentare l’irrazio-nalità delle divisioni comunali e della loro persistenza: «Si ècontinuato a concepire territorialmente i comuni come qualco-sa di stabile e non mutabile, al pari dei monti e dei fiumi (anzi,quando il corso di questi ultimi si modifica, i limiti dei comuni so-no rimasti per lo più inalterati) e a inserirli, così come appaio-no ritagliati nello spazio da molti secoli, nella trama di una vitaregionale oggi totalmente diversa dal tempo in cui – in modoconfacente alla società coeva – furono disegnati: una trama chela pianificazione pensa di riplasmare con un volto ulteriormen-te diverso». (in Storia d’Italia, Einaudi, 1976, vol. VI, Atlante,p. 671.)

40. Se ne veda l’analisi in C. Caldo, op. cit., pp. 15 sgg.Da cui si traggono le indicazioni di massima, anche se basate sudati del 1966, validi tuttora in prospettiva storica.

41. I rispettivi valori medi, per le cinque provincie, sono:Milano kmq. 11,09 per comune; Como 8,36 kmq.; Varese 8,5kmq.; Bergamo 11,08 kmq.; Asti 12,59 kmq. Nella tabella dei30 comuni italiani con la minore superficie territoriale figurano1 comune milanese (Camparada, kmq. 1,61); 3 comuni co-maschi (Maslianico kmq. 1,33; Longone al Segrino kmq. 1,53;Viganò kmq. 1,61) 5 comuni varesini (Marzio kmq. 1,3; Ferrerodi Varese kmq. 1,48; Crosio della Valle kmq. 1,49; Brumellokmq. 1,64; Lozza Kmq. 1,67) e infine 3 comuni bergamaschi,rispettivamente al 6°, 13° e 22° posto della graduatoria delle 30superfici comunali minime, comperse fra 10 ettari e 173 etta-ri: Fiorano al Serio, 108 ettari (1,08 kmq.); Piario, 148 ettari(1,48 kmq.); Castel Rozzone, 165 ettari (1,65 kmq.).Nella tabella dei 30 comuni italiani aventi la superficie mag-giore, fra i 1507 kmq. di Roma e i 338 di Lucera, non figuranessun comune lombardo. Cfr. C. Caldo, op. cit., AppendiceII, p. 101.

42. L. Gambi, Un progetto di revisione territoriale del-la ripartizione comunale romagnola, cit., p. 6.

43. H. Desplanques, Campagnes ombriennes, Paris 1969,pp. 100-101.

44. R. Biasutti, Ricerche sui tipi degli insediamenti ruraliin Italia: la carta dei tipi di insediamento, in «Memorie dellaSocietà Geogr. Ital.», V-XVII, Roma 1923, pp. 5 sgg. Nellacarta, che distingue le diverse morfologie insediative nel territorionazionale, l’area lombarda è caratterizzata da “corti rurali isolateo aggruppate” (compresa la pianura bergamasca); la fasciaprealpina (compresa quella orobica) è per “villaggi, casali e ca-se sparse”. Nell’Italia centro-meridionale, sotto la linea ideale cheva da Viterbo a l’Aquila a Chieti, gli insediamenti sono per“grossi centri compatti”. Curiosamente, la provincia napoleta-na, unica nel Mezzogiorno, presenta gli stessi caratteri inse-diativi della provincia bergamasca (villaggi, corti rurali, casesparse), come già si è visto presentare analoghi valori di su-perficie media comunale.

45. E. Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, Roma1955. Vi è riportata, a tav. XVI, la carta del Biasutti (v. nota pre-cedente), così commentata: «Se l’Italia meridionale e le isolesono il luogo geografico dei grossi insediamenti accentrati ecompatti, se l’Italia centrale è caratterizzata dalla polverizza-zione dell’insediamento in case sparse sui fondi, quella partedell’Italia settentrionale che rientra nei limiti dell’area ligure è og-gi, all’ingrosso, un territorio dove dominano gli insediamentiin villaggi e in casali» (p. 388). Il Sereni fa risalire questa modalitàinsediativa, per villaggi e casali, all’antico ordinamento pre-ro-mano (celto-ligure) per vici, a loro volta da considerare come ar-ticolazioni interne di una circoscrizione più ampia e ben definita,come quella del pagus. «La strutturazione del pagus in vici ri-sponde a criteri storici (e in Età più tarda, amministrativi) indi-pendenti dalla distribuzione degli stanziamenti in minori ag-gruppamenti umani, sicché essa si può ritrovare sia là dove lapopolazione è effettivamente accentrata in vici, in villaggi (Dorf-siedlung) sia là dove il vicus risulta solo (in quanto circoscri-zione subordinata a quella del pagus) dalla considerazione com-plessiva di singole case o masserie sparse (Hofsiedlung)» (p.387). Distinzione che spiega storicamente la differenza tra co-mune rurale “di vilmlaggio” con unico centro e comune rurale“di valle”, composto da più frazioni, senza un centro ben defi-nito.

46. Il grafico è in C. Caldo, op. cit., fig. 1: “Variazionidell’area media e del numero totale dei comuni italiani (fra 1861e 1971)”.

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XXXII

47. C. Cattaneo, Storia universale e ideologia delle gen-ti. Scritti 1852 – 1860, a cura di D. Castelnuovo Frigessi, To-rino 1972. Alle pp. 388 e sgg., sono riportate le quattro lette-re sulla Legge comunale e provinciale inviate dal Cattaneo al gior-nale torinese “Il Diritto” e ivi pubblicate il 7, 22, 29 giugno e8 luglio 1864. Fra il 1861 e il 1864 erano stati presentati ediscussi alla Camera ben quattro diversi progetti di Legge sul-l’ordinamento amministrativo del nuovo Stato. Nella sua for-mulazione definitiva, relatore Francesco Restelli, la legge fu ap-provata il 20 marzo 1865.

48. Ibidem, Lettera seconda, pp. 406-407.

49. Non manca, il Cattaneo, di far riferimento alla deri-vazione del nuovo ordinamento italiano dal modello francese:«E poiché quelle leggi, che trattano con così poco rispetto il di-ritto comunale, ci arrivano di Francia, ricordiamo ciò che gli am-ministratori di esse confessano; ed è tale che i piccoli comunifrancesi, per naturale buon senso di popolo, si opposero alleincorporazioni, benché desiderate e agevolate dai governi.Che se colà i Comuni sono quasi trentasette mila, e la popo-lazione fa poco più di trentasette milioni, è facile calcolare chela media della loro popolazione sarà di mille anime circa (1015).È adunque assai minore di quella media della Lombardia (1348);non giunge alla metà della cifra media di tutti i comuni d’Italia(2821); non giunge al sesto di quella dei comuni di Sicilia(6681); e nemmeno al settimo di quella dei comuni di Roma-gna (7651); e Toscana (7824). Qui dunque possiamo citare laFrancia contro la Francia; possiamo citare i suoi comuni veri evivi contro il comune dottrinario e contemplativo» (Lettera se-conda, p. 410).

50. Ibidem, Lettera seconda, pp. 407-408.

51. G.P. Calza, Modelli di sviluppo e modelli di territorialitàa confronto: piccola o grande dimensione delle autonomielocali nelle riforme dei governi illuminati di Toscana e Lom-bardia nel sec. XVIII, in Approccio multidisciplinare per lapianificazione e lo sviluppo del territorio, Atti del Conve-gno Internazionale di Studio, Arezzo, 9-10-11 ottobre 1986,pp. 241-256. «Nel 1774, il “Regolamento” dello Stato fio-rentino riduceva a 132 nuove comunità quelli che un tempo era-no 1871 “comunelli”; nel 1776 la “Riforma” del territorio pi-sano sostituisce 28 comuni ai 179 preesistenti; nel ’77 la Pro-vincia Superiore senese vede ridursi a 28 le sue 345 comu-nità e nell’83 la Provincia Inferire passa da 145 a 18 comunità.Complessivamente, le riforme leopoldine hanno soppresso,in Toscana, 2334 piccole comunità, riducendo a 206 grandi co-muni i 2540 “popoli” del Granducato mediceo» (p. 254). Neimedesimi anni, lo Stato di Milano (senza le attuali provinciedi Bergamo, Brescia, Mantova e Sondrio) riformato da MariaTeresa contava 1402 comuni. Oggi l’intera Lombardia conta1546 comuni su una superficie equivalente a quella toscana,suddivisa in 287 comuni: per ogni comune toscano se ne con-tano più di 5 lombardi.

52. Lettera seconda, p. 408.

53. Cfr. in G. Martini, La formazione dei Comuni citta-dini, Milano 1967, una rassegna dei diversi approcci praticatinella storiografia sui Comuni: dalla scuola “romanistica” a quel-la “cattolico-liberale” a quella “germanistica” a quella “econo-mico-giuridica” e ad altre. (pp. 167 sgg).

54. Ibidem, p. 172.

55. V. Vaccari, La territorialità come base dell’ordina-mento giuridico del contado nell’Italia medievale, 2° ediz.Riveduta e accresciuta, Milano 1963 (Archivio della Fondazio-ne italiana per la storia amministrativa, Seconda Collana, I). Visono raccolti scritti già pubblicati separatamente fra 1919–1924.

56. Ibidem, p. 3.

57. Ibidem, p. 6.

58. G. Mengozzi, Il comune rurale del territorio lom-bardo-tosco, in «Studi senesi», XXXI, 1915, poi in appendice a:id., La città italiana nell’alto Medioevo, Firenze 1973, p.326.

59. Ibidem, p. 327.

60. Ibidem, p. 328.

61. Ibidem, p. 330.

62. J. Jarnut, Bergamo 568-1098. Storia istituzionale, so-ciale ed economica di una città lombarda nell’alto medioevo,(Wiesbaden 1979) Ediz. Ital. Bergamo 1980, p. 108. Ma si ve-da tutto il cap. VII su le Nuove forme di dominio nel periodopost-carolingio, pp. 107-128, e in particolare i paragrafi 1,sull’“Incastellamento” e 2, “Domini su base comunitaria”.

63. Ibidem, p.113 «Castelli di proprietà comune eranoverosimilmente: Alive, Azzano, Castel Gabbiano, Endine, Levate,Mariano, Medolago, Palosco, Stezzano, Treviglio, Grasso, Za-nica» (n. 202).

64. Ibidem, p. 114.

65. Ibidem, pp. 117 sgg.

66. Ibidem, pp. 123 sgg.

67. Cfr. Dig. L, 16, 31. La definizione è ripresa sia dalBognetti, Studi sulla origine del Comune rurale, cit., p.9,n.12; sia dal Mengozzi, Il Comune rurale nel territorio lom-bardo-tosco, cit., p.335. In questo secondo caso la definizionedi territorium è fatta seguire da quella di regio, formulata da Si-culo Flacco: Regiones dicimus intra quarum fines singula-rum coloniarum aut municipiorum magistratibus jus dicen-di et coercendi est libera potestas (in De Condicionibus agro-rum, ediz. Lachmann, p. 135). La regio è dunque l’ambito incui si esercita l’autorità di una magistratura; il territorium èun’estensione di terreni, che fa capo a un centro di potere. Di-stinzione che rimanda all’altra fra “personalità” e territorialità”del potere, di cui più sopra, e che si riconferma nella distinzio-ne fra territorialità rurale (universitas agrorum) e territorialità cit-tadina (potestas ius dicendi magistratibus).

68. Sull’argomento si veda G.P. Bognetti: “Le terre co-munali: dalle origini al Medioevo”, (1926), ora in id., Studi sul-le origini del comune rurale, cit., pp. 3 sgg.

69. Il termine italiano “almènda”, come è noto, significa“terreno fuori del villaggio, dove tutti i membri della comunitàpotevano recarsi a far legna o mandare al pascolo il bestiame”(Diz. Devoto-Oli). La sua derivazione dal tedesco Allmende (laterra comune di pertinenza del complesso dei feudi compresi nelterritorio di un determinato villaggio) appare immediata. Quan-to alle ipotesi sulla “germanicità” dell’istituto, ne discute am-piamente il Bognetti, op. cit. pp. 5 sgg.

70. Sulla possibilità che anche il vicus avesse una propriacircoscrizione, come il pagus aveva un suo distretto, discute il Bo-gnetti, Le terre comunali: dalle origini al medioevo, cit. p.21sgg. La tesi, confermata dal Bognetti, è quella dello Schulten: «Ilvicus compreso nel territorio della civitas non è dotato di unacircoscrizione, e questa è la sua grande differenza dal pagus». Cfr.A. Schulten, Die Landgemeinden in römischen Altertums,in Philologus, Zeitschirift für das classische Altertlum, n°53,(1894) pp. 629-686.

71. Si veda G.N. Tamassia, Chiesa e popolo. Note per lastoria dell’Italia precomunale, in «Arch. Giurid. F.Serafino», II,v. VII, 1901; Id., Le origini del Comune di Padova, in «Atti R.Ist. Ven.», vol. 58 (1898-99); E. Besta, Sull’origine dei co-muni rurali, in «Rivista Italiana di sociologia», III, 1899; C.G.Mor, Fundus e Curtis nel territorio di Orzinuovi, in «Com-mentari dell’Ateneo di Brescia», CLVII (1958); A. Solmi, voce“comune rurale” in Encicl. Ital. (Fondaz. Treccani), Vol. XI,1931; G. Mengozzi, La città italiana nell’Alto Medioevo, cit.;G.P. Bognetti, Studi sull’origine del comune rurale, cit. Da ul-timo anche G. Coradazzi, La Pieve, Brescia 1980.

72. Cfr. A. Mazzi, I confini dei comuni del Contado, cit.pp. 41-42.

73. G. Mengozzi, La città italiana, cit., pp. 344-45.

74. Ibidem, pp. 337-38.

75. Cfr. supra nota 71.

76. A. Mazzi, I confini dei comuni, cit., p. 42.

77. Ibibem, pp. 43 sgg., dove è illustrata in breve la vi-cenda dei capitanati, delle podestarie, dei vicariati, delle quadre.

78. Cfr. ultra.

79. All’identificazione dei distretti pagensi nel territoriobergamasco il Mazzi ha dedicato le pp. 415 sgg. della Coro-grafia Bergomense, cit. Anche nell’ultimo suo saggio su I con-fini dei comuni del Contado, cit., non manca di far riferi-mento a due di tali distretti da lui dati per certi: il Pagus For-tunensis, corrispondente al territorio attuale dell’Isola, e il Con-cilium de Honio, cioè l’attuale media Val Seriana («Boll. Civ. Bi-bl. Bg.» , 1, 1922, p. 42). Le tracce di un ordinamento pa-gense celtico sono testimoniate anche da alcune anomalie con-finarie ai margini del territorio bergamasco, già rilevate dal Maz-zi (Studi Bergomensi, pp. 150 sgg.) e poi riprese dal Men-gozzi (Il comune rurale, cit., pp. 336-337). Si tratta degli am-biti territoriali delle pievi di Brivio e di Garlate, ambedue situa-te sulla sponda occidentale del fiume Adda, e quindi in territo-rio milanese, ma estese pure su parte della sponda opposta, ecioè in territorio bergamasco. «Ora – osserva il Mengozzi – sic-come le circoscrizioni ecclesiastiche hanno calcato quelle civilie questo è avvenuto qualche secolo dopo la definitiva delimi-tazione della Gallia per opera dei Romani (che fissò all’Adda ilconfine tra Bergomum e Mediolanum), ne consegue che du-rante il tempo intercorso fra la delimitazione romana e l’inse-diamento della Chiesa cristiana, ha continuato ad esistere unorganismo che s’incuneava fra i territori giurisdizionalmente di-visi fra Bergamo e Milano; e questa circoscrizione fu l’anticopago celtico». Analoga situazione si verifica per la pieve di Ca-lepio, a cavallo dell’Oglio, quindi situata in parte su territoriobergamasco e parte su territorio bresciano, dove sta Paratico chele appartiene; tale è il caso anche di Palosco, sulla sponda de-stra dell’Oglio ma appartenente alla diocesi di Brescia. “Ano-malie” apparenti, dunque, che il Mengozzi ritrova lungo i con-fini fra Siena e Arezzo, a conferma di una diffusa distrettuazio-ne pagense preromana.

80. Sull’origine preromana del pagus si veda lo Schulten,Die Landgemeinden…, cit.; sulla sua diffusione in ambito ita-lico e in particolare “ligure” si veda il Sereni, Comunità rura-li nell’Italia antica, cit., passim. Sulla presenza dell’ordina-

mento pagense in area orobica, in specie comasca, cfr. G. Lu-raschi, Comum oppidum, premessa allo studio delle strut-ture amministrative romane, estr. dal fasc. n° 152/155, 1970-1973 della «Rivista Archeologica dell’Antica Provincia e Dio-cesi di Como», Como 1974. Il Luraschi è anche il sostenitore del-la romanità del pagus, negando l’esistenza di tale distretto aldi fuori dell’ordinamento amministrativo romano.

81. A. Mazzi, Corografia bergomense, cit., cfr. l’Intro-duzione, a pp. IX sgg.

82. Ibidem, p. IX.

83. Ibidem, pp. X-XI.

84. Il Mazzi fa qui riferimento allo scritto del “chiarissimo”Gabriele Rosa dal titolo: Leggi di Bergamo nel Medio Evo,(1856) poi compreso in altro scritto sotto il titolo: Statuti ine-diti della Provincia di Bergamo anteriori al sec. XIV (1863).

85. Si veda anche l’Introduzione alla Corografia bergo-mense, cit., pp. XV sgg.

86. Ibidem.

87. La “correzione dei nomi locali del Contado di Berga-mo stampati nel volume XIII dei Monumenta Historiae Pa-triae” è alle pp. XLVI-XLVIII dell’Introduzione cit., sub B. Larevisione dei “Nomi locali nell’Indice Corografico erronea-mente attribuiti al Contado di Bergamo” è alle pp. XXIII-XLV,sub A, della medesima Introduzione.

88. Cfr. Introduzione, cit., p. XXII.

89. Cfr. nota 3.

90. L’elenco, in ordine alfabetico da Adrara a Zanica, se-condo la denominazione odierna dei Comuni, è alle pp. 15sgg. del «Boll. Civ. Bibl. Bg», 1, 1922.

91. Ibidem, p. 1.

92. Ibidem, p. 6. In occasione di verifica di confini con-testati, «sul luogo in contestazione si saranno recati coi capi delvillaggio anche i Vicini, vecchi pei ricordi, e giovani perché conceffate loro somministrate, o col tirar loro gli orecchi o con al-tro fatto straordinario o solenne suggerito dalla circostanza aves-se a rendersi incancellabile in loro la memoria dell’avvenuto ac-cordo».

93. Ibidem, p. 11.

94. Ibidem, pp. 11 sgg.

95. Ibidem, p. 14.

96. I 45 comuni della Quadra di Mezzo comprendono iComuni di San Gio. Laxolo e Brembilla Vecchia.

97. I 15 comuni della Valle di Trescore includono anche Pe-drengo, Scanzo e Villa di Serio.

98. I. Pederzani, Dall’amministrazione patrizia all’am-ministrazione moderna: il caso di Bergamo, Milano 1984,p. 105.

99. La somma, già modificata sulla base delle indicazionicontenute nel foglio di rettifica del riparto territoriale del 1805,trasmesso al Ministero dell’Interno dal Prefetto del Dipartimentodel Serio in data 17 marzo 1806 (ASBg, Amministrazione Cen-trale poi Prefettura del Dipartimento del Serio, Censo, b. 115),è così distribuita: Bergamo 189; Clusone 55; Treviglio 60; Bre-no 49. Cui dovrebbero aggiungersi Cornalba e Monte Maren-zo, non citati nella distrettuazione. Il Comune di Brumano è in-vece esterno al Dipartimento del Serio.