anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza,...

23
In allegato il mensile «donne chiesa mondo» L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 2 novembre 2017 anno LXX, numero 44 (3.916) I mattoni dell’edificio Europa

Transcript of anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza,...

Page 1: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

In allegato il mensile «donne chiesa mondo»

L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 2 novembre 2017anno LXX, numero 44 (3.916)

I mattonidell’edificio Europa

Page 2: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

2

L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

don Sergio Pellini S.D.B.direttore generale

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

di LU C E T TA SCARAFFIA

PPerché i figlinon ciascoltano più

erché i nostri figli, ma più in generale i giova-ni, non ci ascoltano più? Da molte parti sistanno alzando voci che denunciano l’i n t e r ru -zione di quella trasmissione di saperi, valori,insegnamenti e principi morali fra le genera-zioni che aveva sempre assicurato una tenutamorale e culturale del tessuto sociale. E natu-ralmente anche della tradizione cristiana: tantoè vero che il tema sarà al centro del prossimosino do.

Nel libro Riprendiamoci i nostri figli (Marsi-lio) Antonio Polito ha avuto il coraggio diuno sguardo attento e impietoso sul mondodei giovani, che conosce attraverso tre figli dietà molto diverse. Con l’idea giusta che primadi decidere che fare bisogna capire bene cosasta succedendo, e soprattutto bisogna indivi-duare le forze che stanno lavorando per porta-re via i figli da quel progetto di trasmissioneche sta al cuore di ogni percorso educativo.

Certo, un problema è quello della piramidedemografica rovesciata, che vede al centro del-le attenzioni di varie generazioni di adulti po-chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì derivala diffusione rapida del male del secolo, il nar-cisismo, e questo fa sì che siamo di fronte auna generazione che rivela una estrema sensi-bilità verso i rimproveri, perché non è abituataa essere criticata.

E oggi spesso a rimproverare è rimasta solola famiglia, mentre un tempo le regole di di-sciplina erano le stesse a scuola, in famiglia, inparrocchia, in pubblico, ovunque ci fosseroadulti che vigilavano. Oggi la famiglia cherimprovera è sola, perché per essere considera-ti buoni genitori, buoni insegnanti, buoni pre-ti, è necessario ricevere l’approvazione dei ra-gazzi. La scuola non sa più richiedere e otte-

nere impegno e preparazione proprio quandoè richiesto un certo grado di preparazione cul-turale per non rimanere intrappolati nella rid-da dei lavori precari e sottopagati. Ma ognipercorso di studi che impone sforzo e dedizio-ne è svalutato, e «basta contrapporre la ricercadella felicità e dell’autorealizzazione alle regolee agli obblighi del rendimento di studi, e ilgioco è fatto» commenta l’a u t o re .

Questo si traduce in un tragico impoveri-mento del linguaggio, che l’uso della rete tra-sforma in parole mozze, segnali, disegni: l’ef-fetto di tutto ciò è profondo perché, scrivel’autore, significa «il rifiuto del linguaggio insé, considerato e vissuto come una prigione,che viene sostituito con forme di comunicazio-ne più stringate, più brutali, più povere». Etali diventano i rapporti, anche quelli amorosi.

I giovani vivono e comunicano solo emozio-ni, e rivendicano il diritto a una straordinariafragilità emotiva. In tutto questo il grande as-sente, oltre alla ragione è il libero arbitrio, cioèla capacità di discernimento: nel loro universomorale sembra non esserci spazio per la re-sponsabilità individuale, perché non c’è liber-tà, ma solo biologia. Il dominio dell’istintosembra prevalere su tutto, per una sopravvalu-tazione di una malintesa idea di autenticità.Fin da bambini, in questa assenza di discerni-mento, cedono immediatamente a tutte le lu-singhe di una pubblicità on line che li rag-giunge ormai per vie indirette, nei social e neigiochi, cercando di modellare i loro gusti findall’infanzia.

Fra i prodotti desiderati che Polito indivi-dua come più difficili da gestire vi è infatti losmartphone, che «rende i nostri figli incontrol-labili», non solo perché del tutto svincolati daogni possibile sorveglianza, ma anche semprepiù lontani: sono infatti «dappertutto e con-temporaneamente sempre tra di loro».

Per non parlare dei numerosi e loquaci catti-vi maestri che da tutti i media li tranquillizza-no dicendo che esistono droghe leggere nondannose che si possono prendere senza timore.In questo difficile mondo nuovo, dove la tra-dizione è percepita solo come un ingombro dacui liberarsi, i genitori secondo Polito sonostati abbandonati anche dalla Chiesa. Che, co-me tutti i rappresentanti degli adulti, in parteè scesa troppo sul loro terreno, in parte è trop-po lontana e impreparata nei confronti del lo-ro mondo.

E così i giovani non trovano più risposta aquell’anelito al grande, all’ideale, al misteroche sentono vivo al loro interno. Ma al qualenon basta rispondere con il volontariato, conla morale, con frasi generiche che vanno beneper tutti. Per farsi ascoltare bisogna sapere be-ne a chi si parla, e ritrovare autorevolezza eforza, ritrovare lo spirito per farli emergere dauna realtà che li umilia.

Dalla copertina del librodi Antonio Polito

#editoriale

Page 3: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

3

di LUCIANOVIOLANTE

La moltiplicazione delle denunce per violenzasessuale significa che qualcosa si è rotto nellagenerale omertà che ha costantemente accom-pagnato queste vicende. Alla donna che de-nuncia si è chiesto abitualmente come fossevestita, perché girava per la città a quell’oradella notte, da dove veniva e dove andava,perché non ha gridato in continuazione. Ma algioielliere che denuncia il furto di un orologiodi marca non si chiede perché lo tenevaesp osto.

Siamo ancora dentro un costume culturalefondato sulla messa a disposizione del corpodelle donne, per cui la domanda dell’i n q u i re n -te è diretta a capire se il corpo violentato nonfosse per caso a disposizione e quindi non diviolenza si sarebbe trattato, ma di correspon-sione a un’offerta.

La slavina di denunce comincia a creare unnuovo contesto di civiltà. Sinora la violenza, oanche solo l’abuso nei confronti della donna,era classificato tra le bravate, non tra i delitti.«Nel cuore di ogni uomo c’è un maiale chesonnecchia» scrisse a metà dell’O ttocentoCharles Monselet, uno spiritoso giornalista escrittore. Ma non era una condanna, bensì unagiustificazione: il responsabile, nella peggioredelle ipotesi, era appunto un maiale, non uncriminale.

Nelle campagne dell’Italia meridionale dadove provengo, c’era un modo di dire terribilenel suo negazionismo ma che si presentava co-me una scherzosa rappresentazione della real-tà: «Mamma, Ciccio mi tocca; toccami Ciccio,che mamma non c’è!».

Tutto si muoveva all’interno di una bolla.Ora la bolla si è rotta e ciò che era tollerato,consentito o addirittura giustificato comincia a

non esserlo più. Ma non illudiamoci. La col-pevolizzazione della donna per il desiderioche suscita, la demonizzazione del sesso fem-minile, la legittimazione dell’esclusione femmi-nile per via dell’inferiorità della donna, lo ste-reotipo secondo il quale essere uomini è piùche essere donna non avrebbero mai avuto laforza che hanno avuto nei secoli, e che hannotuttora, senza un’ideologia che ne costituisse ilcontenitore, la motivazione sociale, la spintaculturale.

È l’ideologia del virilismo, del maschio po-tente e sopraffattore. La donna è sempre piùspesso incoraggiata a essere soggetto secondo ivalori della democrazia; ma con la stessa fre-quenza è presentata come oggetto secondol’ideologia del virilismo. Del virilismo sono avolte vittima gli stessi uomini, quando non sipresentano come maschi aggressivi. Una per-centuale altissima della pubblicità televisiva diauto invita gli uomini a creare un nuovo co-stume, che è prodromico alla violenza sulledonne: non frenare la passione, superare i li-miti, le regole non valgono.

È stato osservato che la civilizzazionedell’occidente è stata costruita sul principiodella disponibilità del corpo delle donne e sul-la paura che il rifiuto della donna possa vanifi-care il desiderio sessuale dell’uomo.

Bisogna reinventare l’essere uomo e l’e s s e redonna sui luoghi di lavoro, nella so-cietà, nel reciproco rapporto in baseal principio della pari dignità. Oc-corre sconfessare il principio per ilquale essere uomo è più che esseredonna. Non solo nelle idee generali,ma anche nelle concrete pratichedella vita, nella quotidianità dellerelazioni sociali, della famiglia.

È un lungo cammino. Eschilonelle Eumenidi racconta della difesadi Oreste che fece Apollo. Oreste èaccusato di matricidio per aver ucci-

so Clitemnestra, che a sua volta aveva uccisoAgamennone. Apollo spiega che l’omicidiodella madre non è importante perché la madresi limita a nutrire il seme che viene depostodall’uomo, vero costruttore della creatura: «Lamadre genitrice non è, bensì nutrice del nuovogerme; genitore è quegli che il germe espres-se». Un lungo cammino è alle nostre spalle.Ed è lungo quello che ci sta davanti. Ma quel-le denunce dicono che i primi chilometri sonostati già percorsi. Ora bisogna andare avanti.

Pari dignitàtra uomo e donna

La vignetta di PrincessHsu «La Croix» del 2 novembre.Davanti alla macchinettadel caffè il protagonistasi lamenta: «Un tipo miha minacciato e mi ha rubatol’automobile». Ma le rispostedei suoi quattro interlocutorilo atterriscono: «Non staiesagerando un po’? Gli hai dettoabbastanza chiaramente chenon eri d’accordo?» chiedeil primo. «No — intervieneil secondo — ma quando unoha un’auto i guaise li va anche a cercare!».«E oltre a questo la porti pureper strada! Il tipo bisognacapirlo, non ha potutotrattenersi» incalza il terzo.Finché l’ultimo conclude: «Beh,sì, francamente è colpa tua!».

#ilpunto

La moltiplicazionedelle denunceper violenzasessuale significache qualcosasi è rottonella generaleomertà cheha costantementeaccompagnatoqueste vicende

Page 4: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

4

In un ideale paese con una forte identità di fe-de cristiana forse davvero il calendario ufficialepotrebbe anticipare a novembre l’ultimo mesedell’anno, come venne fatto di pensare a Mar-gherita Guidacci per la sua raccolta di poesieGiorno dei Santi. «Spesso ho pensato: è questa/ La vera fine e Apocalisse dell’anno, / Colbruno e il grigio, due castoni vuoti, / Spentetutte le gemme dei colori / Che prima ci fissa-vano. Dissolto / È il mondo in questi fradicifermenti / Di morte (...) È questa / La fine,non Dicembre coi suoi cieli / Di cristallo, lastella dell’Oriente / E gli uomini in ginocchioad adorare / Il Fanciullo. In silenzio rivivrà /Anche se occulta al mondo la speranza / Colseme sotto la neve». Ma nasceva legata allastagionalità questa considerazione, che con imutamenti climatici degli ultimi anni sarebbeforse da rivedere.

Uscita nell’ottobre 1957 (All’Insegna del Pe-sce d’O ro), la raccolta si divide in due sezioni,Pensieri in riva al mare e Giorno dei Santi, chein chiusura portano ciascuna l’indicazione didata e luogo di composizione: rispettivamenteMarina di Pisa, giugno 1956 e Firenze, novem-bre 1956 - maggio 1957. Rispettivamente quat-tordici testi di invocazione al mare — «Echeg-gia nel mio orecchio la tua voce / Ignota, ep-pure familiare /Più d’ogni voce da me udita»;«L’eternità delle tue acque / Contiene il no-stro tempo e l’oltrepassa / Come l’eternità diDio. / Ma a Dio siamo presenti / In ogniistante, mentre tu ci ignori»; «Tu la grandematrice, tu il memento / Delle cose che intes-sono la nostra / Esistenza, sebbene a te stra-niere» — e otto per Giorno dei Santi, con inten-sissime corrispondenze tra le due parti, sottoli-neate in tutta evidenza dalle alluse similitudi-ni, come da versi o immagini che ritornano. Afronte di versi rivolti al mare («la tua voce [...]mi pervade fino all’anima / Che avidamente labeve in silenzio / Come la sabbia si beve lascia / Della tua onda») si rinnovano le imma-gini in analoghi versi rivolti ai Santi: «Eppureogni anno voi tornate, / Santi, pel cuore chevi sa distinguere / Contro lo sfondo delle viteche cadono / Come questa pioggia dirotta, ro-vesciandosi / Sulla terra che avida le beve, /Diluvio dall’inizio del mondo alla sua fine, /Attraversando oblique il cielo, linea / Incoloredi lacrime / Fino all’erba del loro riposo».

Negli otto tempi di Giorno dei Santi alcuneprofondissime riflessioni campeggiano sul re-sto, che fanno ancora attualissima questa poe-sia ai nostri giorni perché con verità fissa losguardo sui Santi senza chiudere gli occhi da-vanti al loro opposto: la prima, che la realtàdella comunione dei santi sia il Paradiso, perquanto difficile da credere tra le pieghe dellapeggiore prosa della storia («È arduo / Oggipensare al Paradiso: tutto / Ci riconduce eprostra sulla terra»); che la santità possa rima-nere nascosta e richieda uno spirito di discer-nimento («voi tornate, / Santi, pel cuore chevi sa distinguere / Contro lo sfondo delle viteche cadono») e consapevolezza («Voi tornatecol vostro passo certo / E luminoso di pianeti/A rischiarar la pioggia delle nostre / Esisten-ze che cadono / Dentro la pietà ma fuori dellagloria»); che i Santi costituiscano «la terra /Fatta radiosa», «la terra sposata» di cui parla-rono i profeti, come Isaia, «l’umana risposta»all’offerta della misericordia divina e «grano diCristo», parafrasando sant’Ignazio di Antio-chia, determinato al martirio per essere il semebuono della parabola, frumento di Dio. Unagrande forza vitale sostiene questa parola entrola grande elegia della scena che passa di que-sto mondo, tra le cicatrici mai più richiuse del-la guerra — «Molti ricordi ho di Novembre:troppe / Volte ha ormai teso l'arco / sulla miavita il freddo / Sagittario del cielo» — e di tut-to ciò che la guerra ha lasciato in eredità:«Venne poi un Novembre in guerra, / I tor-renti scendevano dai monti / Ricoprendo lestrade dove i carri / Armati di tre eserciti stra-nieri / Nell’inseguirsi avevano scavato / Solchimortali che spesso sfociavano / In crateri dibombe. Nella terra / Invasa, tra la gente /Curva e dispersa sotto la bufera / Scoprival’imminente inverno il fondo / D’ogni male».

Una grande forza, tuttavia, anche perché almare con i suoi bambini a Marina di Pisa nelgiugno 1956 Margherita era in attesa della ter-za figlia e del novembre 1956 può ormai affer-mare, in coscienza, che questo «non è il peg-

È novembrel’ultimo mesedell’anno

Mentre provaa far lucesulla propriaesperienzaMa rg h e r i t aGuidacciavvertecome la vitan a t u ra l esi sostenga su quelmistero d’a m o reche trovacompimentonella comunionedei santi

#cultura

di ANNA MARIATAMBURINI

Vassily Kandinski«Composizione 6» (1913

p a r t i c o l a re )

Page 5: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

5

giore: quieto / Benché non privo di apprensio-ne. China / mi trova su una culla, dove l’ulti-ma / mia nata dorme il misterioso / Profondosonno dell’infanzia, ancora / Ospite più checittadina in questo / Nostro mondo per leistraniero. Sento / La dolce ondata del latte sa-lirmi / Al seno: tenerezza / Che di sé gonfiatutte le mie fibre, / Dilata i miei confini. Quilo stanco / sangue si rifà puro a una segreta /Sorgente, si rifà vergine e può / Calmar la setedi vergini labbra. / Il mio corpo è strumentodi miracolo / Come già fu nel dare vita. Il se-no / È la collina favolosa, scorrono / I fiumidell’abbondanza in un’età / D’oro che segnerà/ Per la creatura ignara / Il più profondo / Al-veo della memoria».

Nell’empito della poesia che l’investe, men-tre prova a far luce sulla propria personaleesperienza del vivere, Margherita avverte comela vita naturale stessa si sostenga su quel mi-stero d’amore che trova il suo compimentonella comunione dei santi; su questa, il prodi-gio della vita che ogni momento si rinnova at-tingendo a una purezza inesauribile...

Appartengono, questi testi, ancora alla pri-ma fase della sua poesia, una stagione tuttosommato felice per il raro sapienziale equili-brio tra gli opposti di vita e morte, dolore egioia. A questa, seguirà il tempo della tenebra,quando l’esperienza di dolore e morte richia-ma la figura di Giobbe e sarebbe un sollievopensare alla fine come fine, mentre ciò che sivive somiglia invece a una sorta di allucinazio-ne, una morte senza morte. Solo molto dopo,solo dagli anni Ottanta la parabola esistenzialemuta di segno e nell’ultima raccolta pubblicatain vita, Il buio e lo splendore, per esprimere lagioia Margherita evoca la festività e l’esultanzadi Ognissanti, pensando al Paradiso, per ilcomponimento dall’omologo titolo Ognistelle.

Ora, nella poesia italiana del Novecento untesto che interpreti questo mistero, d’amore, dicui l’amore umano è figura, e l’intenda inchiave non più umana ma divina perché litur-gica, è Missa Romana di Cristina Campo. InMissa Romana, uscita nel 1969 sul primo fasci-colo di «Conoscenza Religiosa», Campo raffi-gura per immagini come la comunione deisanti sia un immenso mistero d’amore stretta-mente congiunto al mistero eucaristico, raffi-gura anzi quanto vivo, efficace e operante siail mistero eucaristico in eterno nella comunio-

ne dei santi. Ma le riesce di farlo, così a noisembra, perché ricorre per le immagini alle vi-sioni della grandiosa liturgia celeste dell’Ap o c a -lisse 7, 9-15, il brano che si proclama nella li-turgia della Parola per la festività dei santi.

Strutturata in tre tempi, schematicamentecorrispondenti sia alla storia della salvezzadalle origini al compimento, sia ai momentiprincipali della celebrazione liturgica, MissaRomana nella terza parte considera insieme —dopo il momento centrale della consacrazione— le realtà celeste e terrena, e in sintonia conla riflessione di Guidacci considera l’umanitànella gloria e quella «dentro la pietà ma fuoridella gloria»: «Dove va /questo Agnello / cheai vergini è dato / seguire ovunque vada doveva / questo Agnello/ stante diritto e ucciso/sul libro dei segnati / ab origine / mundi? //Non si può nascere ma / si può restare inno-centi. // Dove va / questo Agnello / che a noigli ucciditori non è dato / seguire coi segnati /né fuggire / ma singhiozzando soavementeconcepire / nel buio grembo della mente /usque ad consummationem mundi? // Non sipuò nascere ma / si può morire / innocenti».

In forma di domanda Missa Romana tentauna risposta: con il corpo e il sangue nellespecie del pane e del vino l’Agnello, che si fanutrimento, per la forza dello Spirito d’A m o resi comunica a quanti ne prendono parte, e ri-genera, restituendo l’innocenza dell’origine. Ese tutti sono nati nella colpa, da una parte,«coloro che furon segnati con il sigillo» (Ap o -calisse 7, 4 ) «hanno lavato le loro vesti ren-dendole candide col sangue dell’Agnello. Perquesto stanno davanti al trono di Dio e gliprestano servizio giorno e notte nel suo san-tuario» (Ap o c a l i s s e 7, 14-15 ); dall’altra, «dentrola pietà», questo inesauribile mistero d’a m o retrinitario lava pure noi gli ucciditori, noi chesiamo coloro per i quali si rende necessarioquel sacrificio, sino alla fine dei tempi, per al-meno morire innocenti. Così in quella offertadi sé una circolarità d’amore unisce alla Chiesanella gloria quella terrena, in cammino.

Per il calendario liturgico è novembre l’ulti-mo dei mesi che si chiude con la celebrazionedella regalità di Cristo, alfa e omega, giudice ere dell’universo.

Ma se nella meccanica celeste i volumi sonosferici e le rotazioni circolari, forse non saràpura fantasia immaginare che tutto si irradiada un punto e che nella circolarità, fuori dalladimensione del tempo, il principio e la finecoincidono, ovvero anche pensare che «con laspinta di questo Amore e la voce di questo ri-chiamo / Non cesseremo di esplorare / E allafine di una nostra esplorazione / Arriveremo làdonde partimmo / E per la prima volta cono-sceremo il luogo. / Oltre il cancello ignoto ericordato / Quando l’ultimo lembo di terra dascoprire / S’identifica ormai con l’inizio», co-me “la poesia” dettò a Eliot — nella traduzionedi Margherita Guidacci —.

Di questa perennità, là dove oltre il tempoprincipio e fine si saldano, Margherita Gui-dacci ha colto la corporeità del mistero, la suanatura sarchica, che informa tutto il mondocreato, e per questo, infine, la poesia si fa sup-plica: «La Parola fatta carne / È la realtà dicui viveste: chiave / Non della vostra salvezzasoltanto / Ma d’ogni evento (...) Misure dipresenza / E non di estraniamento, ad ognitempo / Dette la santità. Quale nel nostro /Debba esser la sua immagine, voi Santi / Ascoprire aiutateci / E ad attuare. Tremano lefibre / Della terra, un’attesa / Ignota o consa-pevole ormai turba / Tutti i cuori. Aiutatecinel tempo/ Ed oltre il tempo. Questa è la pre-ghiera / Da me rivolta a voi nel vostro giorno/ Trionfale ed immutabile / Mentre contemploavvicinarsi il mio / Sulla corrente delle grandiacque / Che sospingono tutte le creature /Verso il mare dei morti e la sua riva / Eterna».

#cultura

Leonid Afremov«Novembre a Parigi»( p a r t i c o l a re )

Page 6: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

6

di GI O VA N N I CERRO

INegazionismodi sinistra

l negazionismo di sinistra non ha mai destatoun’attenzione sistematica da parte della storio-grafia in quanto è stato in genere consideratoun fenomeno minoritario, di fatto circoscrivibi-le all’Italia e alla Francia nel periodo compre-so tra gli anni Sessanta e Ottanta e legato adalcune frange radicali dotate di scarsa influen-za sul dibattito politico. Il denso saggio Nega-zionismo a sinistra. Paradigmi dell’uso e dell’abu-so dell’ideologia (Trieste, Asterios, 2017, pagine174, euro 18) che ora Francesco Germinario,noto per le sue ricerche sulle fonti dell’antise-mitismo europeo e sulla cultura politicadell’estrema destra, dedica al tema costituisceuna preziosa eccezione in questo panorama,segnalandosi per acutezza interpretativa e luci-dità di analisi.

L’intento di Germinario consiste nell’inda-gare il fenomeno nella sua specificità, senzatentare di ricondurlo all’ampia galassia del ne-gazionismo di destra. In comune i due nega-zionismi hanno senza dubbio l’obiettivo pole-mico, costituito dalla politica antifascista, a cuisi imputava la responsabilità di aver creato adarte il “mito di Auschwitz” e il “mito delle ca-

mere a gas”. Tuttavia, i negazionisti di sinistranon miravano tanto a riabilitare il nazismo e adarne un’immagine positiva, ma tendevano aleggere l’accanimento contro gli ebrei utiliz-zando in modo superficiale categorie tradizio-nali del pensiero marxista. Lo sterminio, note-volmente ridimensionato nella sua portataquando non rifiutato tout court, era così inter-pretato come il frutto delle circostanze dellaguerra, delle condizioni oggettive di vita nei

campi o come il riflesso della lotta politica trastalinisti e trozkisti.

In tal senso, un punto di riferimento erarappresentato dalle opere di Paul Rassinier, unex comunista di tendenze anarchiche che ave-va partecipato alla resistenza francese ed erastato deportato per motivi politici a Buchen-wald e Dora, secondo il quale le responsabilitànaziste andavano attenuate (non si avevanoprove certe dell’esistenza di un piano di ster-minio) e le testimonianze dei sopravvissutinon erano sempre attendibili, dal momentoche non si era mai dimostrato un utilizzo dellecamere a gas come strumento di morte.

I campi, per Rassinier, erano luoghi di in-ternamento nei quali si erano riproposte lestesse dinamiche sociali e politiche del mondoesterno: l’elevata mortalità sarebbe stata il ri-sultato delle violenze e delle torture perpetratedai deportati comunisti sui loro avversari. Aparte Rassinier, più in generale il vero nemicodei negazionisti di sinistra era rappresentatodal capitalismo e dai suoi “alleati”, rei di voleraffossare il proletariato servendosi di tutti glistrumenti teorici e pratici a disposizione.

Come mostra bene Germinario, alcune diqueste “spiegazioni” si basavano su un altrofalso storico (come del resto era accaduto coni Protocolli dei savi Anziani di Sion), un arti-colo pubblicato nel 1960 sulla rivista «Pro-gramme communiste» dal titolo Auschwitz oule grand alibi.

Lo scritto era stato erroneamente attribuito(o più probabilmente attribuito in modo volu-to, per dare legittimità alle affermazioni in es-so espresse) a uno dei padri del comunismoitaliano, Amadeo Bordiga, ma in realtà il suoautore era Jean-Pierre Axelrad, un fisico au-striaco, emigrato nel 1938 a causa delle sue ori-gini ebraiche e vicino alle posizioni bordighi-ste. Nello scritto Axelrad proponeva una fan-tasiosa ricostruzione dell’origine e dello svilup-po dell’antisemitismo europeo nel corso delNovecento. La sua argomentazione — se cosìla si vuole definire, anche se si tratta della giu-stapposizione di dichiarazioni apodittiche — sibasava su due presupposti.

Da una parte, in età contemporanea gliebrei erano arrivati a costituire una parte signi-ficativa delle classi medie, collocandosi preva-

#cultura

In un libro diFra n c e s c o

Germinario

Page 7: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

7

lentemente nella piccola e nella media borghe-sia; dall’altra, l’antisemitismo era l’ideologia diquei settori della piccola borghesia che inten-devano difendersi dagli effetti della crisi eco-nomica e sociale che aveva colpito la Germa-nia tra gli anni Venti e Trenta e sfuggire cosìall’imminente «proletarizzazione».

La piccola borghesia, sosteneva Axelrad,aveva «gettato gli ebrei ai lupi per alleggerirela propria slitta e così salvarsi», facendo indi-rettamente gli interessi del capitalismo. Secon-do questa lettura, l’antisemitismo corrisponde-va a un’illusione ideologica del ceto medio,che aveva creduto di poter sopravvivereall’estinzione, ma in realtà era destinato a esse-re sconfitto definitivamente dalla Storia, permano di quel processo irreversibile rappresen-tato dalla concentrazione della proprietà e delcapitale. Con lo scoppio della Seconda guerramondiale la piccola borghesia era così progres-sivamente uscita di scena nella lotta contro gliebrei a favore del capitalismo, che aveva as-sunto un ruolo sempre più dominante: gliebrei «furono ritirati dalla circolazione, rag-gruppati e concentrati» al fine di sfruttarne laforza-lavoro fino allo sfinimento fisico e psi-chico. Axelrad comunque non nascondeva chein alcuni casi vi fosse stato un «assassinio puroe semplice».

Dal momento, però, che i deportati «nonmorivano abbastanza in fretta», si decise dimassacrare quanti non erano più in grado dilavorare e quindi risultavano “inutili” per il si-stema produttivo. Nel dopoguerra, il capitali-smo aveva saputo sfruttare nuovamente lo ster-minio a proprio vantaggio, strumentalizzandola violenza nazista per far apprezzare al prole-tariato «la vera democrazia, il vero progresso,il benessere» di cui finalmente poteva goderee al tempo stesso per distoglierlo dai veri «or-rori», quelli cioè della «vita capitalistica».

L’articolo, ristampato e discusso negli am-bienti del negazionismo fino ad anni recenti,costituisce un esempio di come sia possibilecombinare propaganda politica e spirito rivo-luzionario e apre il campo a una riflessioneapprofondita sul ruolo assunto dalle ideologienel corso del Novecento. L’obiettivo di Axel-rad era infatti piegare la realtà storica ai mo-

delli semplificati delle proprie posizioni ideo-logiche, proiettando sul passato la propria sca-la gerarchica di (dis)valori. Ciò che non siadeguava a modelli predeterminati e idealizza-ti e a una visione complessiva della storia eraforzatamente costretto a rientrarvi o, peggio,intenzionalmente escluso dalla ricostruzione.

Vi era quindi un’assenza completa di pro-blematizzazione, dal momento che le risposte

precedevano sempre le domande, anzi le indi-rizzavano e le guidavano. Contro questo mododi procedere, torna allora alla mente la notaaffermazione di Norberto Bobbio, richiamatadallo stesso Germinario nel suo libro: «La sto-ria dà lezioni solo a chi riesce a interrogarla,spregiudicatamente, a scandagliarla, con la pa-ziente analisi dei fatti».

«Le Parisien libéré» dà notiziadella condanna del librorevisionista di Paul Rassinier(3 novembre 1951)In basso: l’immagine di copertinadel volume di Germinario

#cultura

Page 8: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

8

di DARIOFERTILIO

Non si pensa ad Andy Warhol come artista delsacro. Eppure, a trent’anni dalla morte, sco-priamo che il trasgressivo Pope of the Pop eradavvero in attesa di una qualche redenzione.Trasformatosi con il tempo nel logo di se stes-so, eternamente sormontato da una parruccaalbina, negli ultimi mesi di vita si era rivelato,senza più maschere. L’esposizione milaneseche gli è stata dedicata al Palazzo delle Stelli-ne, a due passi dal Cenacolo leonardesco inSanta Maria delle Grazie, lo ha documentatoin modo suggestivo. Era la sua Last Supper,l’Ultima cena, l’opera centrale della mostra.L’originale di Leonardo è sdoppiato e viratoin color magenta, un omaggio alla via milane-se dove venne esposto anche la prima volta,t re n t ’anni fa.

Ma in questo Cenacolo di Warhol l’intentoiniziale di denuncia — lo sfruttamento com-merciale, consumistico e seriale delle icone fa-mose — sbiadisce e si dissolve di fronte alladrammaticità del soggetto. Qui l’inquietudinedegli apostoli ai lati della tavola, con al centroun Gesù presago della sua morte imminente,sembrano assumere addirittura un significatoautobiografico, il testamento di un’anima tor-mentata in cerca di salvezza, e il presentimen-to della fine non lontana.

Quando la religiosità nascosta di Andy Wa-rhol sarà resa pubblica, in seguito alla messain suo suffragio celebrata nella cattedrale diSaint Patrick a Manhattan, i critici più attenticominceranno a indagarne l’estetica cattolica.Proprio lui, il dissacratore, l’inventore di unareligione beffarda e iconica i cui santi erano ibarattoli di zuppa Campbell, le labbra di Ma-rylin Monroe, la sagoma della Coca Cola, siera mantenuto segretamente fedele alle origini:figlio di immigrati slovacchi, educato nel ritocattolico bizantino, tormentato da inibizioni eblocchi sia sessuali che metafisici.

Ancora lui, inventore della Factory che riu-niva a New York, nel segno della condivisionee del business, una compagnia di geni emer-genti, fotomodelle, rock star, mascalzoni, pro-stitute, artisti e importanti galleristi, mostrava

la sua cattolicità nel tessuto stesso dell’op era,nella pulizia assoluta dello sguardo, nella sem-plicità con cui faceva risplendere la bellezzaanche da ciò che era brutto, banale e senza va-lore. Questo, secondo Jean Baudrillard, era le-gato alla sua drammatica evocazione del Nul-la, accompagnata però da una forza positiva —la grazia — con cui ogni volta se ne sottraeva.

Qualcosa di ciò traspare anche dalle ventifotografie che Aurelio Amendola scattò nelsuo atelier, e che sono state esposte a fiancodell’opera principale. Nei ritratti, contempora-nei alla elaborazione finale dell’Ultima Cena,compare un Andy Warhol amletico, distante epensoso, mentre giochi di luce e ombre ne sot-tolineano le imperfezioni del volto.

È lo stesso Warhol che, come oggi sappia-mo, trascorse quegli ultimi mesi di vita osses-sionato dal capolavoro leonardesco, febbril-mente alla ricerca di infinite varianti, attinte aqualsiasi materiale disponibile: dipinti xerigra-

fati, stampe, lavori su carta, souvenir, cartoli-ne. Era la premessa di un miracolo. La ripeti-zione dissacrante, che aveva funzionato a me-raviglia con Che Guevara, Marylin o Topoli-no, assumeva all’improvviso un diverso signifi-cato, convertendosi in una sorta di adorazionelaica dell’eucarestia. Così, smessi i paramentida Pope of the Pop, Warhol si offre oggi alpubblico come un qualsiasi peccatore, un’ani-ma pellegrina.

Wa r h o lil cattolico

Una mostraa Milano

ha ricordatol’artista

a trent’annidalla morte

«Ultima cena» (1986)

#scaffale

Page 9: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

9

Saluto cordialmente tutti voi che partecipate al-la 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani,convocata a Cagliari. Rivolgo il mio salutofraterno al Cardinale Gualtiero Bassetti, Presi-dente della Conferenza Episcopale Italiana, aiVescovi presenti, all’Arcivescovo Filippo San-toro, ai membri del Comitato Scientifico e Or-ganizzatore, ai delegati delle diocesi italiane,ai rappresentanti dei movimenti e delle asso-ciazioni legate al lavoro e a tutti gli invitati.

Vi riunite sotto la protezione e con l’esem-pio del Beato Giuseppe Toniolo, che nel 1907promosse le Settimane Sociali in Italia. La suatestimonianza di laico è stata vissuta in tutte ledimensioni della vita: spirituale, familiare, pro-fessionale, sociale e politica. Per ispirare i vo-stri lavori, vi propongo un suo insegnamento.«Noi credenti — scriveva — sentiamo, nel fon-do dell’anima, [...] che chi definitivamente re-cherà a salvamento la società presente non sa-rà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì unsanto, anzi una società di santi» (Dal saggioIndirizzi e concetti sociali). Fate vostra questa“memoria fondativa”: ci si santifica lavorandoper gli altri, prolungando così nella storia l’at-to creatore di Dio.

Nelle Scritture troviamo molti personaggidefiniti dal loro lavoro: il seminatore, il mieti-tore, i vignaioli, gli amministratori, i pescatori,i pastori, i carpentieri, come San Giuseppe.Dalla Parola di Dio emerge un mondo in cuisi lavora. Il Verbo stesso di Dio, Gesù, non siè incarnato in un imperatore o in un re ma«spogliò sé stesso assumendo la condizione diservo» (Fil 2, 7) per condividere la nostra vi-cenda umana, inclusi i sacrifici che il lavoro ri-chiede, al punto da essere noto come falegna-me o figlio del falegname (cfr. Mc 6, 3; Mt 13,55). Ma c’è di più. Il Signore chiama mentre silavora, come è avvenuto per i pescatori cheEgli invita per farli diventare pescatori di uo-mini (cfr. Mc 1, 16-18; Mt 4, 18-20). Anche i ta-lenti ricevuti, possiamo leggerli come doni ecompetenze da spendere nel mondo del lavoroper costruire comunità, comunità solidali e peraiutare chi non ce la fa.

lavori che umiliano la dignità delle persone,quelli che nutrono le guerre con la costruzionedi armi, che svendono il valore del corpo conil traffico della prostituzione e che sfruttano iminori. Offendono la dignità del lavoratoreanche il lavoro in nero, quello gestito dal ca-poralato, i lavori che discriminano la donna enon includono chi porta una disabilità. Ancheil lavoro precario è una ferita aperta per moltilavoratori, che vivono nel timore di perdere lapropria occupazione. Io ho sentito tante voltequesta angoscia: l’angoscia di poter perdere lapropria occupazione; l’angoscia di quella per-sona che ha un lavoro da settembre a giugno enon sa se lo avrà nel prossimo settembre. Pre-carietà totale. Questo è immorale. Questo uc-cide: uccide la dignità, uccide la salute, uccidela famiglia, uccide la società. Il lavoro in neroe il lavoro precario uccidono. Rimane poi lapreoccupazione per i lavori pericolosi e malsa-ni, che ogni anno causano in Italia centinaiadi morti e di invalidi.

La dignità del lavoro è la condizione percreare lavoro buono: bisogna perciò difenderlae promuoverla. Con l’Enciclica Rerum nova-rum (1891) di Papa Leone XIII, la Dottrina so-ciale della Chiesa nasce per difendere i lavora-tori dipendenti dallo sfruttamento, per com-battere il lavoro minorile, le giornate lavorativedi 12 ore, le insufficienti condizioni igienichedelle fabbriche.

Lavoro nero e precariatouccidono la dignità

Il Papaalla

q u a ra n t o t t e s i m asettimana sociale

dei cattoliciitaliani svoltasi a

Cagliaridal 26

al 29 ottobre

#francesco

Diego Rivera« L a v o ra t o r i »

Il tema di questa Settimana Sociale è «Il la-voro che vogliamo: libero, creativo, partecipa-tivo e solidale». Così nell’Esortazione apostoli-ca Evangelii gaudium ho voluto definire il lavo-ro umano (n. 192). Grazie per avere scelto iltema del lavoro. «Senza lavoro non c’è digni-tà»: lo ripeto spesso, ricordo proprio a Caglia-ri nel 2013, e lo scorso maggio a Genova. Manon tutti i lavori sono «lavori degni». Ci sono

Page 10: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

10

Il mio pensiero va anche ai disoccupati checercano lavoro e non lo trovano, agli scorag-giati che non hanno più la forza di cercarlo, eai sottoccupati, che lavorano solo qualche oraal mese senza riuscire a superare la soglia dipovertà. A loro dico: non perdete la fiducia.Lo dico anche a chi vive nelle aree del Sudd’Italia più in difficoltà. La Chiesa opera perun’economia al servizio della persona, che ri-duce le disuguaglianze e ha come fine il lavo-ro per tutti.

La crisi economica mondiale è iniziata comecrisi della finanza, poi si è trasformata in crisi

versità tra i primi e gli ultimi lavoratori nonintacca il compenso a tutti necessario per vive-re. È, questo, il “principio di bontà” in gradoanche oggi di non far mancare nulla a nessunoe di fecondare i processi lavorativi, la vita delleaziende, le comunità dei lavoratori. Compitodell’imprenditore è affidare i talenti ai suoicollaboratori, a loro volta chiamati non a sot-terrare quanto ricevuto, ma a farlo fruttare alservizio degli altri. Nel mondo del lavoro, lacomunione deve vincere sulla competizione!

Voglio augurarvi di essere un “lievito socia-le” per la società italiana e di vivere una forteesperienza sinodale. Vedo con interesse chetoccherete problemi molto rilevanti, come ilsuperamento della distanza tra sistema scola-stico e mondo del lavoro, la questione del la-voro femminile, il cosiddetto lavoro di cura, illavoro dei portatori di disabilità e il lavoro deimigranti, che saranno veramente accolti quan-do potranno integrarsi in attività lavorative. Levostre riflessioni e il confronto possano tradur-si in fatti e in un rinnovato impegno al servi-zio della società italiana.

Alla grande assemblea della Settimana So-ciale di Cagliari assicuro il mio ricordo nellapreghiera e, mentre chiedo di pregare ancheper me e per il mio servizio alla Chiesa, inviodi cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica.

#francesco

Nulla si anteponga al bene della persona ealla cura della casa comune, spesso deturpatada un modello di sviluppo che ha prodotto ungrave debito ecologico. L’innovazione tecnolo-gica va guidata dalla coscienza e dai principidi sussidiarietà e di solidarietà. Il robot deverimanere un mezzo e non diventare l’idolo diuna economia nelle mani dei potenti; dovràservire la persona e i suoi bisogni umani.

Il Vangelo ci insegna che il Signore è giustoanche con i lavoratori dell’ultima ora, senzaessere lesivo di ciò che è «il giusto» per i lavo-ratori della prima ora (cfr. Mt 20, 1-16). La di-

economica e occupazionale. La crisi del lavoroè una crisi ambientale e sociale insieme (cfr.Enc. Laudato si’, 13). Il sistema economico mi-ra ai consumi, senza preoccuparsi della dignitàdel lavoro e della tutela dell’ambiente. Ma cosìè un po’ come andare su una bicicletta con laruota sgonfia: è pericoloso! La dignità e le tu-tele sono mortificate quando il lavoratore èconsiderato una riga di costo del bilancio,quando il grido degli scartati resta ignorato. Aquesta logica non sfuggono le pubbliche am-ministrazioni, quando indicono appalti con ilcriterio del massimo ribasso senza tenere inconto la dignità del lavoro come pure la re-sponsabilità ambientale e fiscale delle imprese.Credendo di ottenere risparmi ed efficienza, fi-niscono per tradire la loro stessa missione so-ciale al servizio della comunità.

Tra tante difficoltà non mancano tuttavia se-gni di speranza. Le tante buone pratiche cheavete raccolto sono come la foresta che crescesenza fare rumore, e ci insegnano due virtù:servire le persone che hanno bisogno; e forma-re comunità in cui la comunione prevale sullacompetizione. Competizione: qui c’è la malat-tia della meritocrazia... È bello vedere che l’in-novazione sociale nasce anche dall’incontro edalle relazioni e che non tutti i beni sono mer-ci: ad esempio la fiducia, la stima, l’amicizia,l’a m o re .

Page 11: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

11

Soono lieto di prendere parte a questo momen-to conclusivo del Dialogo (Re)Thinking Euro-pe. Un contributo cristiano al futuro del progettoe u ro p e o , promosso dalla Commissione degliEpiscopati della Comunità Europea (COMECE).Saluto particolarmente il Presidente, Sua Emi-nenza il Cardinale Reinhard Marx, come purel’On. Antonio Tajani, Presidente del Parla-mento Europeo, e li ringrazio per le deferentiparole che poc’anzi mi hanno rivolto. A cia-scuno di voi desidero esprimere vivo apprezza-mento per essere intervenuti numerosi a que-sto importante ambito di discussione. Grazie!

Il Dialogo di questi giorni ha fornito l’op-portunità di riflettere in modo ampio sul futu-ro dell’Europa da una molteplicità di angola-ture, grazie alla presenza tra voi di diversepersonalità ecclesiali, politiche, accademiche osemplicemente provenienti dalla società civile.I giovani hanno potuto proporre le loro attesee speranze, confrontandosi con i più anziani, iquali, a loro volta, hanno avuto l’occasione dioffrire il loro bagaglio carico di riflessioni edesperienze. È significativo che questo incontroabbia voluto essere anzitutto un dialogo nellospirito di un confronto libero e aperto, attra-verso il quale arricchirsi vicendevolmente e il-luminare la via del futuro dell’Europa, ovvero ilcammino che tutti insieme siamo chiamati apercorrere per superare le crisi che attraversia-mo e affrontare le sfide che ci attendono.

Parlare di un contributo cristiano al futuro delcontinente significa anzitutto interrogarsi sulnostro compito come cristiani oggi, in questeterre così riccamente plasmate nel corso dei se-coli dalla fede. Qual è la nostra responsabilitàin un tempo in cui il volto dell’Europa è sem-pre più connotato da una pluralità di culture edi religioni, mentre per molti il cristianesimo èpercepito come un elemento del passato, lon-tano ed estraneo?

Persona e comunitàNel tramonto della civiltà antica, mentre le

glorie di Roma divenivano quelle rovine cheancora oggi possiamo ammirare in città; men-tre nuovi popoli premevano sui confinidell’antico Impero, un giovane fece riecheggia-re la voce del Salmista: «Chi è l’uomo chevuole la vita e desidera vedere giorni felici?».1

Nel proporre questo interrogativo nel Prologodella Regola, san Benedetto pose all’attenzionedei suoi contemporanei, e anche nostra, unaconcezione dell’uomo radicalmente diversa daquella che aveva contraddistinto la classicitàgreco-romana, e ancor più di quella violenta

I mattonidell’edificio Europa

Dialogoinclusionesolidarietàsviluppo, pacenel discorsoalla conferenza( R e ) Th i n k i n gE u ro p e

#copertina

Page 12: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017

12/13

Note

1 Benedetto, Regola, Prologo,14. Cfr. Sal 33, 13.2 La dittatura del pensiero unico.Meditazione mattutina nellaCappella della Domus SanctæMarthæ, 10 aprile 2014.3 Conferenza stampadurante il volo di ritornodalla Colombia, 10settembre 2017.4 Concilio EcumenicoVa t i c a n o II, Dich.Gravissimum educationis, 28ottobre 1965, 3.5 PAOLO VI, Lett. enc.Populorum progressio, 26 marzo1967, 14.6 Cfr. Discorso agli studentie al mondo accademico,Bologna, 1° ottobre 2017, n.3.7 Cfr. ibid.8 Lettera a Diogneto, VI.9 Cfr. Esort. ap. Evangeliigaudium, 223.10 PAOLO VI, Lett. ap. PacisNuntius, 24 ottobre 1964.

I mattonidell’edificio Europa

#copertina

che aveva caratterizzato le invasioni barbariche.L’uomo non è più semplicemente un civis, un citta-dino dotato di privilegi da consumarsi nell’ozio; nonè più un miles, combattivo servitore del potere diturno; soprattutto non è più un servus, merce discambio priva di libertà destinata unicamente al la-voro e alla fatica.

San Benedetto non bada alla condizione sociale,né alla ricchezza, né al potere detenuto. Egli fa ap-pello alla natura comune di ogni essere umano, che,qualunque sia la sua condizione, brama certamentela vita e desidera giorni felici. Per Benedetto non cisono ruoli, ci sono persone: non ci sono aggettivi, cisono sostantivi. È proprio questo uno dei valori fon-damentali che il cristianesimo ha portato: il sensodella persona, costituita a immagine di Dio. A parti-re da tale principio si costruiranno i monasteri, chediverranno nel tempo culla della rinascita umana,culturale, religiosa ed anche economica del conti-nente.

Il primo, e forse più grande, contributo che i cri-stiani possono portare all’Europa di oggi è ricordar-le che essa non è una raccolta di numeri o di istitu-zioni, ma è fatta di persone. Purtroppo, si nota co-me spesso qualunque dibattito si riduca facilmentead una discussione di cifre. Non ci sono i cittadini,ci sono i voti. Non ci sono i migranti, ci sono lequote. Non ci sono lavoratori, ci sono gli indicatorieconomici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie dipovertà. Il concreto della persona umana è così ri-dotto ad un principio astratto, più comodo e tran-quillizzante. Se ne comprende la ragione: le personehanno volti, ci obbligano ad una responsabilità rea-le, fattiva, “p ersonale”; le cifre ci occupano con ra-gionamenti, anche utili ed importanti, ma rimarran-no sempre senz’anima. Ci offrono l’alibi di un di-simpegno, perché non ci toccano mai nella carne.

Riconoscere che l’altro è anzitutto una persona,significa valorizzare ciò che mi unisce a lui. L’e s s e repersone ci lega agli altri, ci fa essere comunità. Dun-que il secondo contributo che i cristiani possono ap-portare al futuro dell’Europa è la riscoperta del sen-so di appartenenza ad una comunità. Non a caso iPadri fondatori del progetto europeo scelsero pro-prio tale parola per identificare il nuovo soggettopolitico che andava costituendosi. La comunità è ilpiù grande antidoto agli individualismi che caratte-rizzano il nostro tempo, a quella tendenza diffusaoggi in Occidente a concepirsi e a vivere in solitudi-ne. Si fraintende il concetto di libertà, interpretan-dolo quasi fosse il dovere di essere soli, sciolti da qua-lunque legame, e di conseguenza si è costruita unasocietà sradicata priva di senso di appartenenza e dieredità. E per me questo è grave.

I cristiani riconoscono che la loro identità è in-nanzitutto relazionale. Essi sono inseriti come mem-bra di un corpo, la Chiesa (cfr. 1 Cor 12, 12), nellaquale ciascuno con la propria identità e peculiaritàpartecipa liberamente all’edificazione comune. Ana-logamente tale relazione si dà anche nell’ambito deirapporti interpersonali e della società civile. Dinanziall’altro, ciascuno scopre i suoi pregi e i difetti; isuoi punti di forza e le sue debolezze: in altre paro-le scopre il suo volto, comprende la sua identità.

La famiglia, come prima comunità, rimane il più

fondamentale luogo di tale scoperta. In essa, la di-versità è esaltata e nello stesso tempo è ricompresanell’unità. La famiglia è l’unione armonica delle diffe-re n z e tra l’uomo e la donna, che è tanto più vera eprofonda quanto più è generativa, capace di aprirsialla vita e agli altri. Parimenti, una comunità civile èviva se sa essere aperta, se sa accogliere la diversità ele doti di ciascuno e nello stesso tempo se sa gene-rare nuove vite, come pure sviluppo, lavoro, innova-zione e cultura.

Persona e comunità sono dunque le fondamentadell’Europa che come cristiani vogliamo e possiamocontribuire a costruire. I mattoni di tale edificiosi chiamano: dialogo, inclusione, solidarietà,sviluppo e pace.

Un luogo di dialogoOggi tutta l’Europa, dall’Atlantico

agli Urali, dal Polo Nord al MareMediterraneo, non può permettersidi mancare l’opportunità di essereanzitutto un luogo di dialogo, sin-cero e costruttivo allo stesso tem-po, in cui tutti i protagonisti han-no pari dignità. Siamo chiamati aedificare un’Europa nella quale cisi possa incontrare e confrontare atutti i livelli, in un certo senso co-me lo era l’agorà antica. Tale erainfatti la piazza della polis. Nonsolo spazio di scambio economi-co, ma anche cuore nevralgicodella politica, sede in cui si elabo-ravano le leggi per il benessere ditutti; luogo in cui si affacciava iltempio così che alla dimensioneorizzontale della vita quotidiananon mancasse mai il respiro tra-scendente che fa guardare oltrel’effimero, il passeggero e il prov-visorio.

Ciò ci spinge a considerare ilruolo positivo e costruttivo che ingenerale la religione possiedenell’edificazione della società.Penso ad esempio al contributodel dialogo interreligioso nel fa-vorire la conoscenza reciproca tracristiani e musulmani in Europa.Purtroppo, un certo pregiudiziolaicista, ancora in auge, non è ingrado di percepire il valore positi-vo per la società del ruolo pubbli-co e oggettivo della religione, pre-ferendo relegarla ad una sfera me-ramente privata e sentimentale. Siinstaura così pure il predominiodi un certo pensiero unico,2 assaidiffuso nei consessi internazionali,che vede nell’affermazione diun’identità religiosa un pericoloper sé e per la propria egemonia,finendo così per favorire un’arte-fatta contrapposizione fra il dirit-

to alla libertà religiosa e altri diritti fondamentali.C’è un divorzio fra loro.

Favorire il dialogo — qualunque dialogo — è unaresponsabilità basilare della politica, e, purtroppo, sinota troppo spesso come essa si trasformi piuttostoin sede di scontro fra forze contrastanti. Alla vocedel dialogo si sostituiscono le urla delle rivendica-zioni. Da più parti si ha la sensazione che il benecomune non sia più l’obiettivo primario perseguito etale disinteresse è percepito da molti cittadini. Tro-vano così terreno fertile in molti Paesi le formazioniestremiste e populiste che fanno della protesta ilcuore del loro messaggio politico, senza tuttavia of-frire l’alternativa di un costruttivo progetto politico.Al dialogo si sostituisce, o una contrapposizione ste-rile, che può anche mettere in pericolo la conviven-za civile, o un’egemonia del potere politico che in-gabbia e impedisce una vera vita democratica. In uncaso si distruggono i ponti e nell’altro si costruisco-no muri. E oggi l’Europa conosce ambedue.

I cristiani sono chiamati a favorire il dialogo poli-tico, specialmente laddove esso è minacciato e sem-bra prevalere lo scontro. I cristiani sono chiamati aridare dignità alla politica, intesa come massimo ser-vizio al bene comune e non come un’occupazione dipotere. Ciò richiede anche un’adeguata formazione,perché la politica non è “l’arte dell’i m p ro v v i s a z i o -ne”, bensì un’espressione alta di abnegazione e dedi-zione personale a vantaggio della comunità. Essereleader esige studio, preparazione ed esperienza.

Un ambito inclusivoResponsabilità comune dei leader è favorire

un’Europa che sia una comunità inclusiva, libera daun fraintendimento di fondo: inclusione non è si-

nonimo di appiattimento indifferenziato. Al con-trario, si è autenticamente inclusivi allorché si

sanno valorizzare le differenze, assumendolecome patrimonio comune e arricchente. In

questa prospettiva, i migranti sono una ri-sorsa più che un peso. I cristiani sonochiamati a meditare seriamente l’afferma-zione di Gesù: «Ero straniero e mi aveteaccolto» (Mt 25, 35). Soprattutto davantial dramma dei profughi e dei rifugiati, nonci si può dimenticare il fatto di essere difronte a delle persone, le quali non posso-no essere scelte o scartate a proprio piaci-mento, secondo logiche politiche, econo-miche o perfino religiose.

Tuttavia, ciò non è in contrasto con ildovere di ogni autorità di governo di ge-stire la questione migratoria «con la virtùpropria del governante, cioè la prudenza»,3che deve tener conto tanto della necessitàdi avere un cuore aperto, quanto dellapossibilità di integrare pienamente coloroche giungono nel paese a livello sociale,economico e politico. Non si può pensareche il fenomeno migratorio sia un processoindiscriminato e senza regole, ma non sipossono nemmeno ergere muri di indiffe-renza o di paura. Da parte loro, gli stessi

migranti non devono tralasciare l’onere grave di co-noscere, rispettare e anche assimilare la cultura e letradizioni della nazione che li accoglie.

Uno spazio di solidarietàAdoperarsi per una comunità inclusiva significa

edificare uno spazio di solidarietà. Essere comunitàimplica infatti che ci si sostenga a vicenda e dunqueche non possono essere solo alcuni a portare pesi ecompiere sacrifici straordinari, mentre altri rimango-no arroccati a difesa di posizioni privilegiate.Un’Unione Europea che, nell’affrontare le sue crisi,non riscoprisse il senso di essere un’unica comunitàche si sostiene e si aiuta — e non un insieme di pic-coli gruppi d’interesse — perderebbe non solo unadelle sfide più importanti della sua storia, ma ancheuna delle più grandi opportunità per il suo avveni-re .

La solidarietà, quella parola che tante volte sem-bra che si voglia cacciare via dal dizionario. La soli-darietà, che nella prospettiva cristiana trova la suaragion d’essere nel precetto dell’amore (cfr. Mt 22,37-40), non può che essere la linfa vitale di una co-munità viva e matura. Insieme all’altro principiocardine della sussidiarietà, essa riguarda non solo irapporti fra gli Stati e le Regioni d’Europa. Essereuna comunità solidale significa avere premura per ipiù deboli della società, per i poveri, per quanti so-no scartati dai sistemi economici e sociali, a partiredagli anziani e dai disoccupati. Ma la solidarietàesige anche che si recuperi la collaborazione e il so-stegno reciproco fra le generazioni.

A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso èin atto un conflitto generazionale senza precedenti.Nel consegnare alle nuove generazioni gli ideali chehanno fatto grande l’Europa, si può dire iperbolica-mente che alla tradizione si è preferito il tradimento.Al rigetto di ciò che giungeva dai padri, è seguitocosì il tempo di una drammatica sterilità. Non soloperché in Europa si fanno pochi figli — il nostro in-verno demografico —, e troppi sono quelli che sonostati privati del diritto di nascere, ma anche perchéci si è scoperti incapaci di consegnare ai giovani glistrumenti materiali e culturali per affrontare il futu-ro. L’Europa vive una sorta di deficit di memoria.Tornare ad essere comunità solidale significa risco-prire il valore del proprio passato, per arricchire ilproprio presente e consegnare ai posteri un futurodi speranza.

Tanti giovani si trovano invece smarriti davantiall’assenza di radici e di prospettive, sono sradicati,«in balia delle onde e trasportati qua e là da qual-siasi vento di dottrina» (Ef 4, 14); talvolta anche“prigionieri” di adulti possessivi, che faticano a so-stenere il compito che spetta loro. Grave è l’onere dieducare, non solo offrendo un insieme di conoscen-ze tecniche e scientifiche, ma soprattutto adoperan-dosi «per promuovere la perfezione integrale dellapersona umana, come anche per il bene della socie-tà terrena e per la edificazione di un mondo piùumano».4 Ciò esige il coinvolgimento di tutta la so-cietà. L’educazione è un compito comune, che ri-chiede l’attiva partecipazione allo stesso tempo dei

Page 13: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

14

genitori, della scuola e delle università, delleistituzioni religiose e della società civile. Senzaeducazione, non si genera cultura e s’inaridisceil tessuto vitale delle comunità.

Una sorgente di sviluppoL’Europa che si riscopre comunità sarà sicu-

ramente una sorgente di sviluppo per sé e pertutto il mondo. Sviluppo è da intendersinell’accezione che il Beato Paolo VI diede a ta-le parola. «Per essere autentico sviluppo deveessere integrale, il che vuol dire volto alla pro-mozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.Com’è stato giustamente sottolineato da uneminente esperto: “noi non accettiamo di sepa-rare l’economico dall’umano, lo sviluppo dallaciviltà dove si inserisce. Ciò che conta per noiè l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini,fino a comprendere l’umanità intera”».5

Certamente allo sviluppo dell’uomo contri-buisce il lavoro, che è un fattore essenziale perla dignità e la maturazione della persona. Ser-ve lavoro e servono condizioni adeguate di la-voro. Nel secolo scorso non sono mancatiesempi eloquenti di imprenditori cristiani chehanno compreso come il successo delle loroiniziative dipendeva anzitutto dalla possibilitàdi offrire opportunità di impiego e condizionidegne di occupazione. Occorre ripartire dallospirito di quelle iniziative, che sono anche ilmiglior antidoto agli scompensi provocati dauna globalizzazione senz’anima, una globalizza-zione “sferica”, che, più attenta al profitto chealle persone, ha creato diffuse sacche di pover-tà, disoccupazione, sfruttamento e di malessereso ciale.

Sarebbe opportuno anche riscoprire la ne-cessità di una concretezza del lavoro, soprat-tutto per i giovani. Oggi molti tendono a ri-fuggire lavori in settori un tempo cruciali, per-ché ritenuti faticosi e poco remunerativi, di-menticando quanto essi siano indispensabiliper lo sviluppo umano. Che ne sarebbe di noi,senza l’impegno delle persone che con il lavo-ro contribuiscono al nostro nutrimento quoti-diano? Che ne sarebbe di noi senza il lavoropaziente e ingegnoso di chi tesse i vestiti cheindossiamo o costruisce le case che abitiamo?Molte professioni oggi ritenute di second’o rd i -ne sono fondamentali. Lo sono dal punto divista sociale, ma soprattutto lo sono per lasoddisfazione che i lavoratori ricevono dal po-ter essere utili per sé e per gli altri attraverso illoro impegno quotidiano.

Spetta parimenti ai governi creare le condi-zioni economiche che favoriscano una sanaimprenditoria e livelli adeguati di impiego. Al-la politica compete specialmente riattivare uncircolo virtuoso che, a partire da investimenti afavore della famiglia e dell’educazione, con-senta lo sviluppo armonioso e pacifico dell’in-tera comunità civile.

Una promessa di paceInfine, l’impegno dei cristiani in Europa de-

ve costituire una promessa di pace. Fu questo ilpensiero principale che animò i firmatari dei

Trattati di Roma. Dopo due guerre mondiali eviolenze atroci di popoli contro popoli, eragiunto il tempo di affermare il diritto alla pa-ce.6 È un diritto. Ancora oggi però vediamocome la pace sia un bene fragile e le logicheparticolari e nazionali rischiano di vanificare isogni coraggiosi dei fondatori dell’E u ro p a . 7

Tuttavia, essere operatori di pace (cfr. Mt 5,9) non significa solamente adoperarsi per evi-tare le tensioni interne, lavorare per porre finea numerosi conflitti che insanguinano il mon-do o recare sollievo a chi soffre. Essere opera-tori di pace significa farsi promotori di unacultura della pace. Ciò esige amore alla verità,senza la quale non possono esistere rapportiumani autentici, e ricerca della giustizia, senzala quale la sopraffazione è la norma imperantedi qualunque comunità.

La pace esige pure creatività. L’Unione Eu-ropea manterrà fede al suo impegno di pacenella misura in cui non perderà la speranza esaprà rinnovarsi per rispondere alle necessità ealle attese dei propri cittadini. Cent’anni fa,proprio in questi giorni iniziava la battaglia diCaporetto, una delle più drammatiche dellaGrande Guerra. Essa fu l’apice di una guerradi logoramento, quale fu il primo conflittomondiale, che ebbe il triste primato di mietereinnumerevoli vittime a fronte di risibili conqui-ste. Da quell’evento impariamo che se ci sitrincera dietro le proprie posizioni, si finisceper soccombere. Non è dunque questo il tem-po di costruire trincee, bensì quello di avere ilcoraggio di lavorare per perseguire appieno ilsogno dei Padri fondatori di un’Europa unitae concorde, comunità di popoli desiderosi dicondividere un destino di sviluppo e di pace.

Essere anima dell’E u ro p aEminenze, Eccellenze,Illustri Ospiti,L’autore della Lettera a Diogneto afferma

che «come è l’anima nel corpo, così nel mon-do sono i cristiani».8 In questo tempo, essi so-no chiamati a ridare anima all’Europa a ride-starne la coscienza, non per occupare deglispazi — questo sarebbe proselitismo —, ma peranimare processi9 che generino nuovi dinami-smi nella società. È proprio quanto fece sanBenedetto, non a caso da Paolo VI pro clamatopatrono d’Europa: egli non si curò di occupa-re gli spazi di un mondo smarrito e confuso.Sorretto dalla fede, egli guardò oltre e da unapiccola spelonca di Subiaco diede vita ad unmovimento contagioso e inarrestabile che ridi-segnò il volto dell’Europa. Egli, che fu «mes-saggero di pace, realizzatore di unione, mae-stro di civiltà»,10 mostri anche a noi cristiani dioggi come dalla fede sgorga sempre una spe-ranza lieta, capace di cambiare il mondo. Gra-zie.

Che il Signore benedica tutti noi, benedicail nostro lavoro, benedica i nostri popoli, lenostre famiglie, i nostri giovani, i nostri anzia-ni, benedica l’E u ro p a .

Vi benedica Dio Onnipotente, Padre e Fi-glio e Spirito Santo.

Grazie tante. Grazie.

Jeanne Bessette, «Niente confini»

#copertina

Quandose non ora?

«Il primo contributo che icristiani possono portareall’Europa di oggi èricordarle che essa non èuna raccolta di numeri o diistituzioni, ma è fatta dipersone». Lo ha sottolineatoil Papa intervenendo nelpomeriggio di sabato 28ottobre, nell’Aula nuova delSinodo, alla conferenza“(Re)Thinking Europe”organizzata dallaCommissione delleConferenze episcopali dellaComunità europea(Comece) in collaborazionecon la Segreteria di Stato.«Quando se non ora?»: ilcrocevia storico dell’E u ro p a ,giunta a un punto in cui o«rischia di sfaldarsi» otroverà la forza di «unanuova ripartenza», è per ilcardinale Reinhard Marx ilpungolo per un impegnoconcreto, in particolare deicredenti, di fronte alle«grandi sfide globali» che lasocietà umana è chiamata afronteggiare. In apertura diudienza, nel ringraziarePapa Francesco per avere apiù riprese appoggiato ilprogetto europeo, ilpresidente della Comece hasottolineato l’importanza ditrovare «spazi di dialogoper l’intero continente».

Page 14: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

15

GIOVEDÌ 26La verità «significa più del sapere» perché «hacome finalità la conoscenza del bene». Lo haricordato Francesco nel discorso rivolto in spa-gnolo alla comunità accademica dell’universitàcattolica portoghese, ricevuta in udienza nellasala Clementina. Nello stesso giorno il Ponte-fice ha accolto in Vaticano il moderatore dellaChiesa di Scozia, Derek Browning. «L’annun-cio e la missione non sono pienamente credibi-li se non vengono accompagnati dall’unità»,ha detto il Papa. Nella Biblioteca privata delPalazzo apostolico dopo il colloquio privato, ilmoderatore ha presentato la delegazione chelo accompagnava, quindi ha avuto luogo loscambio dei discorsi e dei doni.

Infine nel pomeriggio Francesco si è recatoin visita alla sede romana di Scholas Occur-rentes, in piazza San Calisto. Durante l’incon-tro, si è collegato via internet con alcuni gio-vani in difficoltà del Messico, Argentina, Por-to Rico, Texas e Paraguay. I ragazzi hannoraccontato esperienze che li hanno toccati davicino e gli hanno posto domande riguardo atemi di attualità, confidando le attese e le dif-ficoltà incontrate nel quotidiano vivere. Hannoparlato anche del lavoro di sostegno che Scho-las Occurrentes sta portando avanti per ri-spondere alle loro esigenze. Si tratta di quel“patto educativo” che a poco a poco si diffon-de a livello mondiale. Per l’occasione, il Papaha inaugurato anche le nuove sezioni di Scho-las in Paraguay, Messico e Argentina.

Dopo il collegamento, il Pontefice ha sim-bolicamente piantato un ulivo. Tra gli studentiche hanno incontrato il Papa, alcuni proveni-vano da Italia, Spagna, Palestina e Israele.Francesco ha anche salutato un gruppo di in-tellettuali, imprenditori, giornalisti e volontariimpegnati a favore dei giovani e dell’inclusio-ne sociale. All’incontro erano presenti, tra gli

La Vergine Maria ci aiutia fare il primo passo ogni giorno,

per costruire la pace nell’amore nella giustizia e nella verità

@Pontifex 31 ottobre

Nella mattina di venerdì 27ottobre Papa Francescoha ricevuto in udienzal’arcivescovo di Canterbury,Justin Welby, accompagnatodalla consorte e dal suo seguito.Al termine del colloquio privatodopo la presentazionedella delegazionee lo scambio dei doni,il Pontefice ha invitato a pranzoa Santa Marta il primatedella Comunione anglicana.

”Alla Chiesa di Scozia

Vi d e o m e s s a g g i oagli istituti secolari

Angelus domenicalein piazza San Pietro

altri, il presidente di Scholas, José María DelCorral, e il segretario, Enrique Palmeyro.

SA B AT O 28«Pregare, discernere, condividere, dare co-

raggio e avere simpatia»: sono i cinque atteg-giamenti spirituali che il Pontefice ha racco-mandato attraverso un messaggio ai parteci-panti al convegno degli istituti secolari. Svol-tosi a Roma dal 28 al 29 ottobre, è stato orga-nizzato nel 70° anniversario della Costituzioneapostolica Provida Mater Ecclesiae, dalla Con-ferenza italiana degli istituti secolari, con il pa-trocino della Congregazione degli Istituti divita consacrata e le Società di vita apostolica,sul tema «Oltre e in mezzo. Storie di passionee profezia per Dio e per il mondo».

DOMENICA 29L’amore di Dio e del prossimo è «il grande

comandamento» che Gesù affida a ogni uomo.Lo ha ricordato il Pontefice all’Angelus inpiazza San Pietro, commentando il branoevangelico di Matteo (22, 34-40) proposto dal-la liturgia. Al termine della preghiera marianaha quindi salutato i diversi gruppi di pellegri-ni, ricordando in particolare la beatificazionein Brasile di Giovanni Schiavo, sacerdote deigiuseppini del Murialdo, e sottolineando lapresenza di fedeli togolesi e venezuelani, que-sti ultimi giunti in piazza dopo aver portato inprocessione lungo il Tevere l’immagine dellaVergine di Chiquinquirá.

LUNEDÌ 30Il Santo Padre si è recato in mattinata al Pa-

lazzo San Calisto in visita al Dicastero per ilaici, la famiglia e la vita e al Dicastero per ilservizio dello sviluppo umano integrale.

#7giorniconilpapa

Page 15: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

16

GIOVEDÌ 26Esame di coscienza

C’è chi pensa che l’abitudine di «fare un esa-me di coscienza» ogni giorno sia una praticasuperata, non per «cristiani aggiornati». Ma«la lotta che ha portato Gesù contro il malenon è cosa antica, è molto moderna» perché sitrova ogni giorno nel «nostro cuore». E l’esa-me di coscienza accompagna il cristiano inquesta lotta aiutandolo «a fare spazio allo Spi-rito». È il consiglio dato dal Papa commen-tando le letture sul tema della conversione: un«cammino» che richiede impegno continuo.

Francesco ha preso in esame il Vangelo diLuca (12, 49-53), nel quale «Gesù dice che èvenuto a gettare fuoco sulla terra». Ma, haprecisato, si tratta di un fuoco che provoca«non le guerre che vediamo nei campi di bat-taglia, ma le guerre culturali, le guerre familia-ri, le guerre sociali, anche la guerra nel cuore,la lotta interiore». Gesù, infatti, «chiama acambiare vita, a cambiare strada, chiama allaconversione».

Anche Paolo, scrivendo ai Romani (6, 19-23)e scusandosi «perché usa un linguaggio uma-no», spiega «che devono cambiare in tutto,cambiare il modo di pensare: “Tu prima pen-savi come un pagano, come un mondano,adesso devi pensare come un cristiano”». Ilcuore, «che era mondano, pagano — ha dettoil Pontefice — diventa adesso cristiano con laforza di Cristo: cambiare, questa è la conver-sione». Un cambiamento che coinvolge «ilmodo di agire: le tue opere devono cambiare».Per spiegarsi meglio, l’apostolo scrive: «Comeavete messo le vostre membra al servizio delpeccato, adesso mettete le vostre membra alservizio del Signore».

Quindi «la conversione coinvolge tutto, cor-po e anima». Ed è un cambiamento che non sifa «col trucco»: lo fa «lo Spirito Santo». Cer-to, «io devo fare del mio perché lo SpiritoSanto possa agire», ed è proprio questa la lot-ta di cui parla Gesù. Perciò il Papa ha sottoli-neato che «non esistono cristiani tranquilli,che non lottano: quelli non sono cristiani sonodei “tiepidi”, e Gesù ha detto cosa farà con itiepidi, nel libro dell’Apocalisse. A tale riguar-do Francesco ha spiegato che «dobbiamo im-parare a distinguere»: la tranquillità, infatti,«tu puoi trovarla anche con una pastiglia», co-me quella che si prende per vincere l’insonnia.Invece «non ci sono pastiglie per la pace. Sol-tanto lo Spirito Santo può darla».

Di questa lotta interiore hanno dato testi-monianza «tanti martiri nella storia dellaChiesa», tanti uomini e donne arrivati perfino«a dare la vita», tanti «cristiani silenziosi, tantiuomini, padri di famiglia, tante donne, madridi famiglia, che portano avanti la vita con si-lenzio, educando i figli, e vanno avanti col la-voro, e cercano di fare la volontà di Dio». Ec-co allora il consiglio pratico di Francesco:

sentimenti riguardo ai prossimi, alla famiglia,agli amici, ai nemici?». E ancora: «Di qualecosa ho parlato, come è andata la mia linguaoggi? Ha parlato bene o ha sparlato degli al-tri?». Da ciò si capisce, ha spiegato il Papa,che la conversione non è una decisione presauna tantum, ma è «domandarsi ogni giorno:come sono passato dalla mondanità, dal pec-cato alla grazia, ho fatto spazio allo SpiritoSanto perché lui potesse agire?». Consapevoliche «le difficoltà nella vita non si risolvonoannacquando la verità».

Infine Francesco ha dato un altro consiglioattingendolo dall’orazione colletta nella qualesi chiede «la grazia di un cuore generoso e fe-dele». E ha spiegato: «Per la conversione civogliono ambedue le cose: generosità, che vie-ne sempre dall’amore, e fedeltà alla parola diDio». La preghiera poi continua: «Così pos-siamo servirti con lealtà». Bisogna, cioè, «esse-re leali davanti a Dio, trasparenti, dire la veri-tà, E il cuore del Signore — ha concluso ilPontefice — è tanto buono, che davanti a unapersona leale, io direi si “indeb olisce”, si avvi-cina e fa il miracolo della conversione».

LUNEDÌ 30Sulla strada del buon pastore

Ci sono cinque verbi «di vicinanza» cheGesù vive in prima persona indicando i criteridel «protocollo finale»: vedere, chiamare, par-lare, toccare e guarire. Su questo saranno giu-dicati non solo i pastori, i primi a correre il ri-schio di essere «ipocriti», ma tutti gli uomini.Con l’avvertenza che non bastano belle parolee buone maniere, perché Cristo ci chiede ditoccare con mano la carne dell’altro, soprattut-to se sofferente. È questa «la strada del buonpastore» indicata dal Papa commentando ilVangelo di Luca (13, 10–17).

«In questo passo — ha fatto notare France-sco — troviamo Gesù non sulla strada com’erasua abitudine ma in sinagoga» dove «c’erauna donna completamente curva» per «unamalattia della colonna» vertebrale. E «cosa faGesù? A me colpiscono — ha confidato il Papa— i verbi che usa l’evangelista: “vide”, la vide;“chiamò”, la chiamò; “le disse”; “Impose lemani su di lei e la guarì”». Sono «verbi di vi-cinanza». è «l’atteggiamento del buon pasto-re». Perché «un buon pastore è vicino, sem-pre». Del resto, ha affermato Francesco, egli«non può essere lontano dal suo popolo. In-vece gli altri, in questo caso il capo della sina-goga, quel gruppetto di chierici, dottori dellalegge, alcuni farisei, sadducei, gli illustri, vive-vano separati dal popolo, rimproverandolocontinuamente». Ma, ha rilanciato il Papa,«non erano buoni pastori, erano chiusi: nonerano vicini alla gente».

Invece «Gesù sempre si presenta vicino», ha

Le omeliedel Pontefice

Sopra: Rumen Sazdov, «Spaziointeriore» (particolare)

In basso: Viera Hlonikova, «Ilbuon pastore»

l’«esame di coscienza». Alla finedi ogni giorno bisogna chiedersi:«Cosa è successo nel mio cuoreoggi? Cosa ho sentito? Cosa hofatto? Cosa ho pensato? I miei

#santamarta

fatto presente il Pontefice. E «tan-te volte appare nel Vangelo che lavicinanza viene da quello che sen-te nel cuore». Per questa ragione«era con la gente scartata: i pove-

Page 16: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

17

ri, gli ammalati, i peccatori, i lebbrosi: eranotutti lì perché Gesù aveva questa capacità dicommuoversi davanti alla malattia».

«E io dirò — ha affermato Francesco — cheil terzo tratto di un buon pastore è non vergo-gnarsi della carne, toccare la carne ferita, comeha fatto Gesù con questa donna: “to ccò”, “im-pose le mani”, toccò i lebbrosi, toccò i pecca-tori». Perché «un buon pastore non dice: “Ma,sì, io sono vicino a te nello spirito”». In realtà«questa è una distanza». Al contrario, «faquello che ha fatto Dio Padre: avvicinarsi, percompassione, per misericordia, nella carne». E«il grande pastore, il Padre, ci ha insegnatocome si fa: si abbassò, si svuotò, svuotò sestesso, si annientò, prese condizione di servo».Quindi ci si può chiedere: «“Ma questi altri?quelli che seguono la strada del clericalismo, achi si avvicinano?». Costoro, ha risposto Fran-cesco, «si avvicinano sempre o al potere diturno o ai soldi e sono i cattivi pastori». Di si-curo «non importa del popolo a questa gente.E quando Gesù dice loro quel bell’aggettivoche utilizza tante volte — “ip o criti” — loro sisono offesi».

Da qui il suggerimento conclusivo del Pon-tefice: «Pensiamo al buon pastore, Gesù chevede, chiama, parla, tocca e guarisce; pensia-mo al Padre che si fa nel suo Figlio carne, percompassione». Perché «questa è la strada delbuon pastore: è una grazia per il popolo diDio avere dei buoni pastori, pastori come Ge-sù, che non si vergognano di toccare la carneferita, che sanno che su questo — non solo lo-ro, anche tutti noi — saremo giudicati: ero af-famato, ero in carcere, ero ammalato...».

«I criteri del protocollo finale — ha chiaritoil Papa — sono i criteri della vicinanza, i criteridi questa vicinanza totale» per «toccare, con-dividere la situazione del popolo di Dio».

MARTEDÌ 31Se la pastorale non ha coraggio

I cristiani «credono davvero» nella «forzadello Spirito Santo» che è in loro? E hanno ilcoraggio di «gettare il seme», di mettersi ingioco, o si rifugiano in una «pastorale di con-servazione» che non lascia che «il Regno diDio cresca»? Sono le domande poste da PapaFrancesco all’omelia, nella quale ha tracciatoun orizzonte di «speranza», per ogni singolouomo e per la Chiesa come comunità: quellodella piena realizzazione del Regno di Dio,che ha due pilastri: la «forza» dirompente del-lo Spirito e il «coraggio» di lasciar scatenarequesta forza.

Lo spunto è giunto al Pontefice dalla letturadel brano evangelico (Luca, 13, 18-21) in cuiGesù per spiegare il Regno di Dio utilizza«due esempi semplici della vita quotidiana»:quelli del granello di senape e del lievito. So-no, ha spiegato Francesco, entrambi piccoli,sembrano innocui, «ma quando entrano in

La realtà, infatti, è che «il grano ha la po-tenza dentro, il lievito ha la potenza dentro»,e anche «la potenza del Regno di Dio vieneda dentro». Non è, ha aggiunto il Papa conun paragone che rimanda all’attualità, «un cre-scere come per esempio si verifica nel caso diuna squadra di calcio quando aumenta il nu-mero dei tifosi e fa più grande la squadra»,ma «viene da dentro». Un concetto che, haaggiunto, viene ripreso da Paolo nella Letteraai Romani (8, 18-25). L’apostolo parte dallaconstatazione che «le sofferenze di questa vitanon sono paragonabili alla gloria che ci aspet-ta». Ma anche lo stesso «aspettare», ha dettoil Pontefice rileggendo l’epistola, non è un at-tendere «tranquillo»: Paolo parla «di ardenteaspettativa». Inoltre quest’ultima non è solodell’uomo, ma «anche della creazione» che è«protesa verso la rivelazione dei figli di Dio».Infatti «anche la creazione, come noi, è statasottoposta alla caducità» e procede nella «spe-ranza che sarà liberata dalla schiavitù dellacorruzione». La conclusione di questo ragio-namento ha portato il Papa a rilanciare il con-cetto di «speranza»: l’uomo e la creazione in-tera posseggono «le primizie dello Spirito»,ovvero «la forza interna che porta avanti e dàla speranza» della «pienezza del Regno diD io».

Ecco allora la realtà prefigurata dalla para-bola: «Dentro di noi e nella creazione c’è unaforza che scatena: c’è lo Spirito Santo. Che cidà la speranza». E, ha aggiunto Francesco,«vivere in speranza è lasciare che queste forzedello Spirito vadano avanti e ci aiutino a cre-scere verso questa pienezza».

Successivamente, la riflessione del Ponteficeha preso in esame un altro aspetto, perché nel-la parabola si aggiunge che «il granello di se-nape viene preso e gettato» e che anche il lie-vito non è lasciato inerme: «una donna prendee mescola». Si capisce cioè che «se il granonon è preso e gettato, se il lievito non è presodalla donna e mescolato, rimangono lì e quellaforza interiore che hanno rimane lì». Allo stes-so modo, ha spiegato Francesco, «se vogliamoconservare per noi il grano, sarà un grano so-lo. Se noi non mescoliamo con la vita, con lafarina della vita, il lievito, rimarrà solo il lievi-to». Occorre perciò «gettare, mescolare, quelcoraggio della speranza». Che «cresce, perchéil Regno di Dio cresce da dentro, non per pro-selitismo». Cresce «con la forza dello SpiritoSanto».

A tale riguardo il Papa ha ricordato che«sempre la Chiesa ha avuto sia il coraggio diprendere e gettare, di prendere e mescolare»,sia, anche, «la paura di farlo». E ha notato:«Tante volte noi vediamo che si preferisce unapastorale di conservazione» piuttosto che «la-sciare che il Regno cresca». Qualcuno potreb-be obbiettare: «Se io getto il granello, lo per-do». Ma questa, ha spiegato il Papa, è la real-tà: «Sempre c’è qualche perdita, nel seminareil Regno di Dio. Se io mescolo il lievito misporco le mani! Guai a quelli che predicano ilRegno con l’illusione di non sporcarsi le mani.Questi sono custodi di musei: preferiscono lecose belle» — ha concluso — al «gesto di get-tare perché la forza si scateni, di mescolareperché la forza faccia crescere».

«Da un granello di senape»(chiesa luterana di San Giovannia Glendale, California)

#santamarta

quel movimento, hanno dentrouna potenza che cresce» e «vaoltre quello che si possa immagi-nare». E «questo è il mistero delRegno».

Page 17: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

18

Sono lieto di darvi il benvenuto e ringrazio gliOnorevoli Ministri del Governo italiano per leparole con cui hanno introdotto questo incon-tro. Saluto cordialmente le Autorità presenti etutti i partecipanti alla 3a Conferenza sul dirit-to internazionale umanitario, che ha per tema“La protezione delle popolazioni civili neiconflitti — Il ruolo delle organizzazioni umani-tarie e della società civile”.

Questo tema è particolarmente significativoin occasione del 40° anniversario dell’adozionedei due Protocolli Addizionali alle Convenzio-ni di Ginevra relativi alla protezione delle vit-time dei conflitti armati. Convinta del caratte-re essenzialmente negativo della guerra e chel’aspirazione più degna dell’uomo è l’ab olizio-ne della stessa, la Santa Sede ha ratificato que-sti due accordi al fine di incoraggiare una“umanizzazione degli effetti dei conflitti arma-ti”.1 Essa non ha mancato di apprezzare, inparticolare, le disposizioni relative alla prote-zione della popolazione civile e dei beni indi-spensabili alla sua sopravvivenza, al rispettodel personale sanitario e religioso, e alla tuteladei beni culturali e religiosi, nonché dell’am-biente naturale, nostra casa comune. La SantaSede, tuttavia, cosciente delle omissioni ed esi-tazioni che caratterizzano soprattutto il Secon-do Protocollo Addizionale, quello cioè relativoalla protezione delle vittime dei conflitti arma-ti non internazionali, continua a considerare

questi strumenti come una porta aperta versoulteriori sviluppi del diritto internazionaleumanitario,2 che sappiano adeguatamente te-nere conto delle caratteristiche dei conflittiarmati contemporanei e delle sofferenze fisi-che, morali e spirituali che ad essi si accompa-gnano.

Infatti, malgrado il lodevole tentativo di ri-durre, attraverso la codificazione del dirittoumanitario, le conseguenze negative delle osti-lità sulla popolazione civile, troppo spessogiungono, da diversi teatri di guerra, testimo-nianze di crimini atroci, di veri e propri oltrag-gi alle persone e alla loro dignità, commessi inspregio di ogni considerazione elementare diumanità. Immagini di persone senza vita, dicorpi mutilati o decapitati, di nostri fratelli esorelle torturati, crocifissi, bruciati vivi, offesifinanche nelle loro spoglie, interpellano la co-scienza dell’umanità. D’altra parte, si susse-guono notizie di antiche città, con i loro mille-nari tesori culturali, ridotte a cumuli di mace-rie, di ospedali e scuole fatti oggetti di attac-chi deliberati e distrutti, privando così interegenerazioni del loro diritto alla vita, alla salutee all’educazione. Quante chiese e altri luoghidi culto sono oggetto di aggressioni mirate,spesso proprio durante le celebrazioni liturgi-che, con numerose vittime tra i fedeli e i mini-stri riuniti in preghiera, in violazione del dirit-to fondamentale alla libertà di religione! Avolte, purtroppo, la diffusione di queste infor-mazioni può comportare una certa saturazioneche anestetizza e, in qualche misura, relativiz-za la gravità dei problemi, così che risulta piùdifficile muoversi a compassione e aprire lapropria coscienza in senso solidale.3 Perché ciòavvenga, è necessaria una conversione dei cuo-ri, un’apertura a Dio e al prossimo, che spingale persone a superare l’indifferenza e a viverela solidarietà, come virtù morale e atteggia-mento sociale, dalla quale può scaturire un im-pegno in favore dell’umanità sofferente.4

Allo stesso tempo, però, è incoraggiante ve-dere le numerose dimostrazioni di solidarietà edi carità che non mancano in tempo di guerra.Ci sono tante persone, tanti gruppi caritativi eorganizzazioni non governative, all’internodella Chiesa e fuori di essa, i cui membri af-frontano fatiche e pericoli per curare i feriti egli ammalati, per seppellire i defunti,5 per por-tare da mangiare agli affamati e da bere agliassetati, per visitare i detenuti. Davvero il soc-

In soccorsoalle popolazionivittimedei conflitti

#francesco

Il Papa indicai principi chedevono ispirarele organizzazioniumanitarie

Page 18: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

19

corso alle popolazioni vittime dei conflitti as-somma diverse opere di misericordia, sullequali saremo giudicati al termine della vita.Possano le organizzazioni umanitarie agiresempre in conformità con i principi fondamen-tali di umanità, imparzialità, neutralità e indi-pendenza. Mi auguro, pertanto, che tali prin-cipi, che costituiscono il cuore del diritto uma-nitario, possano essere accolti nelle coscienze deicombattenti e degli operatori umanitari per es-sere tradotti nella pratica.6 Là dove poi il dirittoumanitario conosce esitazioni e omissioni, sap-pia la coscienza individuale riconoscere il do-vere morale di rispettare e proteggere la digni-tà della persona umana in ogni circostanza,specialmente nelle situazioni in cui essa è piùfortemente minacciata. Perché ciò sia possibile,vorrei ricordare l’importanza della preghiera equella di assicurare, accanto alla formazionetecnica e giuridica, l’accompagnamento spiri-tuale dei combattenti e degli operatori umani-tari.

Cari fratelli e sorelle, a tutti coloro — e traquesti siete non pochi di voi — che hannomesso in pericolo la propria vita per salvarneun’altra o per lenire le sofferenze delle popola-zioni colpite da conflitti armati, sono rivolte leparole di Gesù nel Vangelo di Matteo: «Tuttoquello che avete fatto a uno solo di questi miei

fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Vi affido all’intercessione di Maria Santis-sima, Regina della Pace, e, mentre vi chiedoper favore di pregare anche per me, di cuoreimparto la benedizione apostolica a voi e allevostre famiglie. Grazie.

1 Déclaration du Saint-Siège formulée lors de laratification du «Protocole additionnel aux Con-ventions de Genève du 12 août 1949 relatif à laprotection des victimes des conflits armés non in-ternationaux», 8 juin 1977.2 Cfr. ibid.3 Cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale dellaPace 2016, “Vinci l’indifferenza e conquista lapace”, 3.4 Cfr. ibid., 6.5 Cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale dellaPace 2016, “Vinci l’indifferenza e conquista lapace”, 7.6 Cfr. Déclaration du Saint-Siège formulée lors dela ratification du «Protocole additionnel auxConventions de Genève du 12 août 1949 relatif àla protection des victimes des conflits armés noninternationaux», 8 juin 1977.

Sfollati fra le macerie a Damasco( Ap )

#francesco

Quando una frase di Papa Francesco ispira escandisce i passi per una cooperazione interna-zionale attenta alle persone più deboli: a rive-lare un significativo retroscena è stato il mini-stro degli affari esteri italiano Angelino Alfa-no, all’inizio dell’udienza — svoltasi sabato 28ottobre nella Sala Clementina — concessa dalPontefice ai partecipanti all’incontro sul dirittoumanitario, svoltosi a Roma presso la scuolaufficiali dei Carabinieri, con il patrocinio delcomando generale dell’Arma e del ministeroitaliano degli affari esteri e della cooperazioneinternazionale.

«Durante il giubileo dei giovani — ha confi-dato il ministro — lei disse che “una vita senzaGesù è come se non ci fosse campo al telefoni-no”. Ci ho riflettuto a lungo e sono arrivatoalla conclusione che in un mondo interconnes-

so il nostro “p ortale” politico e morale debbaessere la tutela di quei valori umanitari senza iquali resteremo off line, disconnessi da quelfondamentale senso di umanità che invece di-stingue il buon governo dal regime disumano,il buon diplomatico dal funzionario cinico eservile».

Alfano ha poi reso noto che l’Italia «negliultimi cinque anni ha più che raddoppiato lerisorse dedicate a interventi umanitari» e puòcontare sul «grande capitale umano costituitoda ragazze e ragazzi, professionisti o volonta-ri». Mentre la sinergia con le ong «per la tute-la della vita umana ispira anche la nostra vo-lontà di rendere più dignitose le condizioni dimigranti e rifugiati in Libia», ha assicurato ilministro, rilevando «sintonia di vedute» tra di-plomazia italiana e vaticana.

Valori universali

Page 19: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

20

di CHARLESDE PECHPEYROU

Finalmente! Dopo aver girato quasi tutta Euro-pa — dalla Spagna alla Grecia passando perGran Bretagna, Belgio, Svizzera e Germania —ecco che i due più famosi Galli della storia, ilguerriero Asterix e il tagliapietre Obelix, par-tono alla scoperta dell’intera penisola italianae non solo Roma, che hanno già visitato unpaio di volte. Un’epopea raccontata nell’al-bum intitolato Asterix e la corsa d’Italia, il ter-zo della nuova squadra di fumettisti in caricadella serie, Didier Conrad ai pennarelli, Jean-Yves Ferri per la sceneggiatura.

Per fare tacere le critiche sulla leggendariaqualità delle vie dell’impero, ultimamente inmano a un senatore fannullone, Giulio Cesareorganizza una corsa dei carri aperta a tutti ipopoli dell’impero romano, compresi i barbari.Ecco allora che i due compari decidono di“s t u z z i c a re ” i romani sulle loro terre. Lungo ilpercorso, da Modicia a Neapolis, i nostri eroiscopriranno che l’Italia non è fatta solo di ro-

mani o di latini, ma di tanti popoli — liguri,umbri, veneti, etruschi, oschi, messapi, iapigi ealtri — con le loro peculiarità e un punto co-mune, l’insofferenza alla presenza dell’aquilaro m a n a .

L’album richiama quindi molto Asterix e ilgiro di Gallia, il quinto fumetto realizzato daipadri di Asterix, René Goscinny, scomparsonel 1977, per i testi, e Albert Uderzo, per il di-segno. Con tanto di simboli, stereotipi e regio-nalismi: veneti che fanno feste sull’acqua, na-poletani amanti di pinsa. I due Galli scopronoanche il prosciutto crudo in un’osteria a Parmatenuta dal sosia di Pavarotti, la terra rossa di

Siena in un paese etrusco, dove incontrano tral’altro Leonardo da Vinci e la Gioconda, datoche gli anacronismi sono uno degli elementi ti-pici della saga As t e r i x .

Una vera e propria lezione di storia delle ci-vilizzazioni, quindi, indirizzata non soltanto aifrancesi, visto che il nuovo album esce in di-ciassette lingue per un totale di cinque milionidi esemplari. Come nei primissimi album, unalettura attenta di ogni singola casella permettedi assaporare una cascata di giochi di parole ebattute, a cominciare dai nomi dei vari perso-naggi. Si ritrova anche l’ingenua e assurda fi-losofia di Obelix, che si rivela sempre centrata,ultimo ingrediente che segna la qualità di que-sto album.

Ma torniamo alla corsa: ovviamente Cesarenon intende correre il rischio che il vincitorenon sia altri che il suo campione Coronavirus,auriga dalla maschera d’oro, e usa vari strata-gemmi per eliminare i suoi avversari, venuti datutte le parti d’Europa e anche dall’Egitto.Sforzi che non basteranno di fronte alla tena-cia e al pizzico di fortuna dei due amici e, unavolta ancora, Cesare dovrà riconoscere le qua-lità sportive e umane dei popoli che abitanol’impero romano.

Come spesso avviene, Asterix e la corsad’Italia fa anche riferimento alla nostra epoca:questa volta si tratta di una critica all’i n t re c c i otra sponsoring di aziende private e competizio-ni organizzate dallo Stato. Così, questo girod’Italia viene finanziato da Cresus Lupus,principale produttore del garum, condimentomolto apprezzato nell’antichità, il cui marchioappare ovunque sul percorso dei carri. Lupusè un uomo d’affari impegnato nella pubblicità,e l’immagine alla quale hanno pensato gli au-tori richiama quella di Silvio Berlusconi, unadelle personalità raffigurate nell’album per il-lustrare l’Italia di oggi, insieme a Roberto Be-nigni e Sofia Loren. Finora, l’ex presidentefrancese Jacques Chirac era stato l’unico altropolitico a cui gli autori si erano ispirati percreare un personaggio.

È bastata solo una settimana dalla sua usci-ta il 19 ottobre perché il nuovo Asterix si ritro-vi in testa alla classifica dei libri più venduti inFrancia. Finora, i trentasette album sono statitradotti in centoundici lingue e dialetti. Unvero e proprio record, per Belenos!

Il giro d’Italiadi Asterix

Asterix e Obelix scopronoil prosciutto di Parma

in un’osteria tenuta dal sosiadi Pavarotti

Uscitoil trentasettesimoalbum

#cultura

Page 20: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

21

di MARCELOFIGUEROA

In una discussione circa l’origine della sua

autorità a compiere miracoli, Gesù offre un’ar-gomentazione irrefutabile su come mantenere iregni. Cita un principio applicabile a ogni di-visione interna: «Ogni regno diviso in se stes-so va in rovina e una casa cade sull’altra» (Lu-ca, 11, 17). L’origine delle distruzioni e cadutedi case, popoli, paesi o regni è la stessa: la di-visione, l’esistenza di fazioni opposte o il fra-zionamento in settori contrapposti.

Sono nato in una famiglia di classe medio-bassa alla periferia del Gran Buenos Aires.Mio padre era un impiegato pubblico daiprincipi etici inamovibili, parte di una tradi-zionale fede cattolica. Mia madre, figlia di im-migrati svizzeri, rimasta orfana ha continuatoa seguire la fede protestante dei suoi antenatiin un orfanotrofio dell’Esercito della Salvezza.La fede cristiana ecumenica non è mai stataun problema a casa nostra, al contrario è statauna ricchezza naturale.

Mio padre ci portava sempre a messa e allecelebrazioni nelle ricorrenze religiose più im-portanti. Mia madre ci recitava, con una certaallegra nostalgia, cantici protestanti e citazionidella Bibbia. Mia sorella e io siamo stati bat-tezzati nella Chiesa cattolica, abbiamo impara-to il catechismo e insieme abbiamo fatto laprima comunione nella parrocchia del paese.

Da adulti abbiamo aderito entrambi allachiesa evangelica, a cui tuttora apparteniamo.Mio padre è morto con la sua fede cattolicapoche ore dopo essere stato consolato sul suoletto di morte dalla lettura dei Salmi che io gliavevo fatto. Al funerale di mia madre, esau-dendo un suo desiderio, tutti insieme abbiamointonato il suo inno evangelico preferito Cuan-do allá se pase lista, dopo che un pastore avevaletto il vangelo.

Sono comunque consapevole che questoquadro di convivenza cristiana personale cheho descritto è purtroppo un’eccezione a unaregola di conflitti che sono aumentati nel cor-so degli anni, per lo meno in America latina.Molto spesso la presenza di un membro dellafamiglia, figlio o anche coniuge, con una fedediversa, in generale evangelica, è fonte discontri e divisioni. Invece di aggiungere ric-chezza alla diversità di fede, si creano fazioni

che si scontrano e il proselitismo in casa di so-lito supera il rispetto per la convivenza. In ca-si estremi questa incapacità di vivere un ecu-menismo genuino e rispettoso culmina nell’al-lontanamento tra figli e genitori e addiritturain un divorzio tra i coniugi. Il principio citatoda Gesù risulta allora particolarmente attuale:«Un regno diviso in se stesso va in rovina».

Questo fenomeno si può osservare anche ingruppi sociali che vivono nella stessa zona, so-prattutto nei quartieri più umili. Una com-prensione intollerante e fondamentalista dellafede, che bolla chi segue un’altra confessionecristiana offendendolo e condannandolo, mol-to spesso prevale su una fratellanza armoniosache onorerebbe il vangelo. I muri che provo-cano gli sguardi altezzosi di chi si crede pa-drone della verità evangelica distruggono ibuoni rapporti sociali. Qui il principio di Ge-sù si estende ai popoli che si dividono permotivi religiosi: «Una casa cade sull’altra».

Se etimologicamente ecumenismo richiamala terra abitata, in questi casi di divisioni escontri lontani dalla preghiera di unità di Ge-sù, potremmo parlare giustamente di terra di-sabitata: non abitata dalla bellezza dell’unitànella diversità, dal rispetto per la libertà di re-ligione, per molti madre di tutte le libertà, e indefinitiva della stessa preghiera sacerdotale diGesù «perché tutti siano una sola cosa» e“perché il mondo creda” (Giovanni, 17, 21).Preghiamo, lavoriamo, proclamiamo con lanostra vita personale, familiare e comunitariaquesta unità che è nel cuore di Cristo, lontanadalle divisioni e dai conflitti che ferisconol’anima della sua chiesa, cioè la sua propria ca-sa tra noi.

Quando la casaè divisa

Gordon Matta-Clark«Splitting» (1974)

#dialoghi

I conflittitra cristianiferisconol’animadella Chiesa

Page 21: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

22

di ENZOBIANCHI

AVegliate, vigilate!

12 novembreXXXII domenica

del tempoo rd i n a r i o

Matteo 25, 1-13

Jorge Cocco Santangelo«Le dieci vergini» (particolare)

conclusione dell’anno liturgico, in questa enelle prossime due domeniche la chiesa ci pro-pone la lettura di Ma t t e o 25, la seconda partedel grande discorso escatologico, cioè sulla fi-ne dei tempi. Nel vangelo di Marco leggiamoqueste parole di Gesù: «Fate attenzione, ve-gliate (agrypnèite, in latino vigilate), perché nonsapete quando è il momento (...) Vegliate (g re -gorèite, in latino vigilate) dunque: voi non sape-te quando il padrone di casa ritornerà, se allasera o a mezzanotte o al canto del gallo o almattino (...) Quello che dico a voi, lo dico atutti: vegliate (g re g o r è i t e , in latino vigilate)» (13,33.35.37).

A partire da tale monito, Matteo ha ricorda-to e collocato a questo punto tre parabole delSignore su cosa significa vigilare (cfr. Ma t t e o24, 45 - 25, 30) seguite dal grande affresco sulgiudizio finale (cfr. Ma t t e o 25, 31-46). Visto ilritardo della parusia, della venuta gloriosa diCristo — almeno ai nostri occhi, se è vero che«davanti al Signore un solo giorno è comemille anni e mille anni come un solo giorno»(2 Pietro 3, 8) — come vivere il nostro qui eora?

Il nostro testo va inoltre collocato almenoall’interno di ciò che Gesù, seduto sul montedegli Ulivi, di fronte al tempio (cfr. Ma t t e o 24,3), ha appena detto ai discepoli: «Vegliate(g re g o r è i t e , in latino vigilate), perché non sapetein quale giorno il Signore vostro verrà. Cercatedi capire questo: se il padrone di casa sapessea quale ora della notte viene il ladro, veglie-rebbe (e g re g ò re s e n , in latino v i g i l a re t ) e non silascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voitenetevi pronti perché, nell’ora che non imma-ginate, viene il Figlio dell’uomo» (Ma t t e o 24,42-44). Un’affermazione analoga si ripete an-che alla fine del nostro brano, creando un’in-clusione: «Vegliate (g re g o r è i t e , in latino vigilate)dunque, perché non sapete né il giorno nél’ora» (Ma t t e o 25, 13). Più in generale, tale mo-nito avvolge le tre parabole seguenti, che di-pingono uno scenario in bianco e nero, condue vie opposte tra le quali scegliere: il servoche può essere fedele e prudente/saggio oppu-re malvagio (cfr. Ma t t e o 24, 45-51); cinque ver-gini stolte e cinque prudenti/sagge (cos’è laprudenza/saggezza, cfr. Ma t t e o 25, 1-13); dueservi fedeli che fanno fruttare i talenti ricevuti,uno malvagio che lo seppellisce (cos’è la fedel-tà, cfr. Ma t t e o 25, 14-30).

La nostra parabola ritrae le usanze matrimo-niali palestinesi: il giorno precedente le nozze,al tramonto, il fidanzato si recava con gli ami-ci a casa della fidanzata, che lo attendeva in-sieme ad alcune amiche. Ma se facciamo atten-zione, il nostro racconto presenta molti trattistrani: la sposa non c’è; lo sposo arriva a mez-zanotte; si chiede di comprare olio in pienanotte; la conclusione è fuori luogo, quasi tragi-ca. In breve, il punto è un altro. Questa para-

bola è costruita ad arte da Matteo, a partiredal ricordo di parole di Gesù, per descrivere laprolungata attesa della venuta gloriosa del Si-gnore Gesù: è lui, il Messia, «lo Sposo chetarda», e il vero problema è come comportarsiin questa attesa: come vigilare?

«Il regno dei cieli sarà simile»: con questafrase tipica di Gesù siamo subito condotti nelvivo del racconto. Ci sono dieci vergini che simuniscono delle loro lampade per «uscire in-contro allo sposo». Quest’ultimo particolare èespresso in greco con una formula tecnica perindicare l’accoglienza del re nella sua parusia,nella visita ufficiale a una città. Ecco la veraposta in gioco: l’accoglienza di quel re del tut-to singolare che è Gesù Cristo, lui che vienead aprirci il regno dei cieli. L’evangelista pre-cisa subito l’essenziale: cinque di queste vergi-ni sono stolte, cinque prudenti/sagge. In cosaconsiste la differenza? Nel prepararsi o menoall’incontro con il Signore, prendendo con sél’olio. Questa netta contrapposizione può esse-re illuminata attraverso ciò che Gesù dice altermine del discorso della montagna: «Chiascolta queste mie parole e le mette in pratica,sarà simile a un uomo saggio, che ha costruitola sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, stra-riparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbat-terono su quella casa, ma essa non cadde, per-ché era fondata sulla roccia. Chi ascolta questemie parole e non le mette in pratica, sarà simi-le a un uomo stolto, che ha costruito la suacasa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparo-no i fiumi, soffiarono i venti e si abbatteronosu quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fugrande» (Ma t t e o 7, 24-27). È saggio chi ascoltala Parola e la mette in pratica; è stolto chiascolta e non fa. L’ascolto è comune allo stol-to e al saggio: ciò che li differenzia è la prati-ca, punto e basta.

«Poiché lo Sposo tardava»: ecco il partico-lare decisivo della parabola. Il problema è ilritardo della venuta finale di Gesù, un vero eproprio trauma per le prime generazioni cri-stiane. E noi attendiamo ancora il Venienteoppure — come affermava Ignazio Silone —abbiamo per la sua venuta lo stesso entusia-smo di quelli che aspettano l’autobus alla fer-mata? «Si assopirono tutte e si addormentaro-no». Paradosso: si sta parlando di vegliare, etutte dormono! Dunque, che tipo di vigilanzaè quella a cui Gesù vuole esortarci? Dove stala differenza tra le stolte e le sagge, se tutte siaddormentano?

Prima di tentare una risposta, lasciamocicolpire dalla voce che squarcia la notte: «Eccolo Sposo! Andategli incontro!». Grido chegiunge improvviso a mezzanotte, l’ora piùinattesa, in cui il Signore viene e ci sorprendecome un ladro nella notte, afferma a più ripre-se il Nuovo Testamento (cfr. Ma t t e o 24, 43; 1Te s s a l o n i c e s i 5, 2-4; 2 Pietro 3, 10; Ap o c a l i s s e 3, 3;16, 15). All’udire questa voce potente, tutte levergini, come si erano addormentate, così sidestano (eghèrthesan), risorgono. Ma ecco chefinalmente si manifesta la differenza. Le cin-que stolte non hanno olio, dunque sono co-strette a chiederne un po’ alle altre cinque. Sisentono però rispondere: «No, perché non

#meditazione

Page 22: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

L’Osservatore Romanogiovedì 2 novembre 2017il Settimanale

23

venga a mancare a noi e a voi; andate piutto-sto a comprarvene».

Risposta dettata dall’egoismo? No, è unmodo, seppur brusco, per dire che nel giudi-zio finale ognuno deve rispondere per sé: nonsi può avere in extremis l’olio necessario, l’in-contro con il Signore va preparato prima.Quest’olio o lo si ha in sé oppure nessuno puòpretenderlo dagli altri: è l’olio del desideriodell’incontro con il Signore. Certo, i padri del-la chiesa testimoniano molti altri modi di in-tendere quest’olio: la carità, la compassione, leazioni giuste che danno carne alla fede. Macredo non si debba insistere troppo su un sin-golo elemento, finendo per perdere di vistal’insieme, cioè l’essenziale: è nella capacità ditenere vivo oggi il desiderio dell’incontro conil Signore che si gioca il giudizio finale, ossial’essere o meno riconosciuti dal Signore quan-do verrà alla fine dei tempi. Questo desideriolo manifestiamo nella nostra vita quotidiana,come Gesù dice nell’affresco di Ma t t e o 25, 31-46; lo manifestiamo in questo tempo di attesa,nella consapevolezza che la vita è lunga e nonbasta essere uomini e donne incostanti, «di unmomento» (Ma rc o 4, 17; cfr. Ma t t e o 13, 21), perdarle senso!

Ma finalmente giunge lo Sposo, ed entranocon lui nella sala di nozze solo le cinque vergi-ni sagge, definite con un altro aggettivo: il co-me, lo stile della loro saggezza consiste nell’es-sere pronte, preparate, senza bisogno di alcunadilazione. Allora «la porta fu chiusa», un par-ticolare icastico, che dice in pochissime paroleuna verità nettissima, anche se scomoda: den-tro o fuori, non vi è una terza possibilità!

«Alla fine» — espressione cara a Matteo (cfr.4, 2; 21, 29.32.37; 22, 27; 26, 60) — giungono lealtre cinque vergini, di ritorno dall’acquistodell’olio, e cominciano a invocare: «Signore,Signore, aprici!». Egli però risponde risoluta-mente: «Amen, io vi dico: non vi conosco»,formula tecnica con cui all’interno di unascuola rabbinica il maestro ripudia il suo di-scepolo. Non è forse una risposta troppo du-ra? Per le nozze sì, nell’ambito del giudiziono: essa ci ricorda che l’incontro con il Signo-re è al tempo stesso festa e giudizio. Nell’ulti-mo giorno, al momento di dare inizio al ban-chetto del Regno, il Signore Gesù non potrànon mettere in luce la verità della nostra vita,mediante quel giudizio che noi confessiamonel Credo («di nuovo verrà nella gloria pergiudicare i vivi e i morti»), giudizio assoluta-mente necessario affinché la storia abbia unsenso.

Tale verità è mirabilmente espressa da Gesùin un altro brano del discorso della montagna,che precede quello citato sopra: «Non chiun-que mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nelregno dei cieli, ma colui che fa la volontà delPadre mio che è nei cieli. In quel giorno moltimi diranno: “Signore, Signore, non abbiamoforse profetato nel tuo nome? E nel tuo nomenon abbiamo forse scacciato demoni? E neltuo nome non abbiamo forse compiuto moltipro digi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Nonvi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voiche operate l’ingiustizia!”» (Ma t t e o 7, 21-23).

Qui il discernimento di Gesù è sottile esmaschera una forma di ipocrisia tipicamente«religiosa»: si può presumere di compiere pro-digi nel nome di Cristo e invece ingannarsimiseramente; ossia, non fare la volontà del Pa-dre, che è anche la sua volontà. Non è suffi-ciente neppure compiere gesti carismatici oeclatanti, perché queste opere possono trasfor-marsi in idoli seducenti in quanto creati dallenostre mani, in azioni che danno gloria a chile fa. No, ciò che il Padre vuole è la misericor-dia, come Gesù ha affermato citando il profetaOsea: «Misericordia io voglio, non sacrificio»(6, 6; Ma t t e o 9, 13; 12, 7). È un annuncio della

misericordia di Dio che deve trasparire dallanostra prassi in mezzo agli altri uomini e don-ne, ed è solo su questo che saremo giudicatinell’ultimo giorno. Allora sarà rivelato chi haveramente aderito al Signore e chi, pur fingen-do di agire in suo nome, è stato un operatored’ingiustizia. Insomma, non c’è solo la discre-panza tra dire e fare; c’è anche quella tra unfare egoistico, autoreferenziale, e un fare ispi-rato dalla volontà di Dio, da quella misericor-dia che è la «giustizia superiore» (cfr. Ma t t e o

5, 20) rivelata da Gesù. In questo fare diffe-rente consiste l’essere pronti per andare incon-tro allo Sposo veniente.

Infine, Gesù conclude: «Vegliate dunque,perché non sapete né il giorno né l’ora». Lavigilanza è la matrice di ogni virtù umana ecristiana, è il sale di tutto l’agire, è la luce delpensare, ascoltare e parlare di ogni umano.Non si può non ricordare, al riguardo, l’acutacomprensione del grande Basilio, a conclusio-ne delle sue Regole morali: «Che cosa è specifi-co del cristiano? Vigilare ogni giorno e ogniora ed essere pronti nel compiere pienamentela volontà di Dio, sapendo che nell’ora chenon pensiamo il Signore viene [cfr. Ma t t e o 24,44; Luca 12, 40]» (80, 22).

E l’apostolo Paolo, in quello che è ritenutoil più antico scritto del Nuovo Testamento,così ammonisce i cristiani di Tessalonica: «Voi,fratelli, non siete nella tenebra, sicché quelgiorno possa sorprendervi come un ladro. In-fatti siete tutti figli della luce e figli delgiorno; noi non apparteniamo alla notte, néalla tenebra. Non dormiamo dunque come glialtri, ma vigiliamo e siamo sobri» (1 Tessaloni-cesi 5, 4-6).

Vegliare, vigilare, è andare incontro al Si-gnore con le lampade del desiderio accese; èessere saggi, cioè pronti a vivere il tempo lun-go dell’attesa con l’aiuto dell’olio dell’intelli-genza. E ciò tenendo presente — come Gesùrivela con realismo — la possibilità di addor-mentarci, ovvero di dimenticare, di rimuoverel’orizzonte della venuta del Signore. Come fa-re fronte a questa che è più di una possibilità?Lottando ogni giorno per non lasciare appe-santire le nostre vite dalla routine, dalla ripeti-tività del quotidiano, che è pur sempre l’oggidi Dio, l’unica porta d’accesso nel mondo allavenuta finale del Signore: «Beati quei serviche il Signore alla sua venuta troverà vigilan-ti!» (Luca 12, 37).

#meditazione

«Le cinque vergini sagge»Saint Fin Barre’s cathedralCork (Irlanda)

Page 23: anno LXX I mattoni dell’edificio Europa...chi giovani, giovani che non conoscono l’egua-glianza, non hanno mai sperimentato la fratel-lanza, perché non hanno fratelli. Da lì

Dal Vaticano il Papa si è collegatocon gli astronauti della missione 53 a bordo

della Stazione spaziale internazionale,in orbita intorno alla terra. Francesco

ha dialogato con l’equipaggio per circa 25minuti, rivolgendo cinque domande

(26 ottobre)

#controcopertina