Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

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Modulo 1 PEDAGOGIA INTERCULTURALE Carolina M. Scaglioso Università per Stranieri di Siena

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Indice 1.0. Guida al modulo 1.1. Pedagogia interculturale o dimensione interculturale della pedagogia?

1.1.1. La pedagogia interculturale

1.1.1.1. Motivazioni e finalità1.1.1.2. Le origini1.1.1.3. Fasi dell’evoluzione1.1.1.4. Lo sviluppo teorico1.1.1.5. Il dibattito1.1.1.6. Su che basi e in che senso1.1.1.7. Possibili criteri di base

1.1.2. Dimensione interculturale della pedagogia1.1.2.1. L’educazione interculturale1.1.2.2. Costruire la realtà tramite l’azione educativa1.1.2.3. Strategie educative globali1.1.2.4 Problema identità1.1.2.5. La relazione interculturale1.1.2.6 La cultura dell’essere1.1.2.7 La cultura del dialogo1.1.2.8 L’immigrazione nella coscienza educativa di oggi

1.2. Realtà di vita che attendono risposte

1.2.1. Pedagogia per stranieri1.2.2. Pedagogia per l’integrazione1.2.3. Pedagogia interculturale1.2.4. Pedagogia contro il razzismo1.2.5. Pedagogia etnologica1.2.6. Per un fondamento scientifico dell’intercultura1.2.7. Problemi aperti

1.3. Pedagogia interculturale e scienze dell’educazione1.3.1. La sinergia dei contributi1.3.2. I contributi delle scienze socio-etno-antropologiche

1.3.2.1. I concetti di integrazione e differenza1.3.3. I contributi della psicologia1.3.4. I contributi della filosofia

1.4. Educazione e pluralismo culturale1.4.1. Il relativismo culturale1.4.2. I modi diversi di trasmettere il sapere1.4.3. Per un incontro fra culture che sia portatore di senso: l’educazione al plurale1.4.4. Lo stereotipo come categoria cognitiva1.4.5. La relazione inesistente: razzismo e xenofobia

1.5. Ipotesi per un apprendimento interculturale

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1.5.1. Integrazione come processo1.5.2. Gestione delle conflittualità1.5.3. Interculturalità da apprendere1.5.4. L’approccio biografico

1.6. Il fattore lingua.1.6.1. Un modello di apprendimento linguistico per la centralità dell’uomo 1.6.2. Comunicazione interculturale1.6.3. Bambini migranti: problemi di apprendimento linguistico

1.6.3.1. Politiche di accoglienza1.6.4. Quale lingua per l’immigrato adulto

1.6.4.1.Quale lingua apprende naturalmente l’immigrato adulto1.6.4.2. Immigrati come studenti di lingua1.6.4.3. Cosa proporre: strategie e strumenti

1.7. Luoghi e attori della pedagogia interculturale

1.7.1. Pedagogia interculturale nel sistema educativo formale1.7.2. Nuovi spazi per l’educazione1.7.3. Professione insegnante: quali prospettive

1.8. Guida bibliografica

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1.0.Guida al modulo Il presente modulo è diviso in sette capitoli. Nel primo capitolo si è inteso offrire suggerimenti capaci di dare risposta alla questione se si possa parlare di pedagogia interculturale o piuttosto di dimensione interculturale della pedagogia. Il secondo capitolo presenta le pagine che si sono succedute nella sfera sociale e civile, che hanno permesso alla pedagogia di costruire un itinerario di impegno interculturale, rispondendo così da un’angolatura formativa ai problemi presenti nella realtà . Nel terzo capitolo si vedrà come la pedagogia interculturale si sia trovata a utilizzare contributi specifici non solo delle tradizionali “discipline ausiliarie”, ma soprattutto delle scienze socio-etno-antropologiche. Nel quarto e nel quinto capitolo si presentano le tematiche più significative concernenti da un lato fare educazione in un contesto di pluralismo culturale (4), dall’altro guardare all’apprendimento come un processo che coinvolge soggetti in formazione appartenenti a culture diverse (5). Nei due capitoli conclusivi (6 e 7) il discorso tocca aspetti più operativi e di natura strategica, nel campo dell’apprendimento linguistico (6) e riguardo ai luoghi e agli attori della pedagogia interculturale (7).

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1.1. Pedagogia interculturale o dimensione interculturale della pedagogia L’oggetto della pedagogia interculturale non è diverso dall’oggetto della pedagogia generale: è il soggetto, a cui viene riconosciuto il diritto ad esplicare le proprie capacità e ad affermare la propria umanità in se stesso e nei rapporti con gli altri. Educare ed educarsi all’interculturalità è una esigenza irrinunciabile non soltanto per alcuni (gli immigrati, le minoranze etniche), anzi, costituisce l’unica possibile e più efficace risposta alla complessità e alla pluralità delle esperienze con cui ogni persona è chiamata a confrontarsi.

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1.1.1. La pedagogia interculturale L’intero sistema formativo europeo formale e non formale sta vivendo un momento di grande fervore pedagogico e si è posto come meta l’organizzazione di una rete formativa integrata, capace di una diffusa conoscenza-coscienza internazionale e transculturale, che persegue il traguardo della solidarietà e del rispetto. Il quadro di riferimento è piuttosto complesso. Vi si distinguono tre fondamentali linee di tendenza, tra loro susseguenti mano a mano che i rapporti tra culture, razze, economie venivano a delineare un profilo sempre più drammatico nella sua disomogeneità e nelle sue contraddizioni: - pedagogia compensativa - pedagogia relativista- pedagogia dell’accoglienza Si va inoltre affermando una quarta tendenza, caratterizzata da un pluralismo radicale, che intende spendersi in direzione di un impegno segnato dalla transculturalità e dal meticciamento.

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1.1.1.1. Motivazioni e finalità La riflessione pedagogica guarda alla dimensione personale dell’educazione e agli aspetti relazionali del processo educativo, ma anche ai significati dei processi e delle forme del vivere e convivere nella comunità degli uomini. Di conseguenza la pedagogia interculturale ha il compito di sostenere la crescita di ogni persona nella sua unicità, originalità e autenticità, ma ha anche il compito di promuovere nuovi soggetti sociali che orientino in modo progettuale il divenire complesso della convivenza umana. Per poter procedere in termini di collaborazione costruttiva e di solidarietà, occorre una gestione socio-educativa oltre che politico-amministrativa del convivere, per la quale sono necessari criteri e valori interculturali. Questi valori sono: a. il rispetto della persona inteso come sfida permanente alla cultura dalla violenza, e quindi come orizzonte aperto sui valori della pace; b. l’etica della solidarietà e dell’impegno sociale, contro l’etica del disimpegno e dell’irresponsabilità che massimizzano il valore del bene privato e minimizzano quello del bene comune; c. il progetto di una personalità integrale e creativa, ricca di vita interiore, consapevole del proprio potenziale immaginifico, autonoma nelle scelte e presente e attiva nel sociale, contro l’oggettivazione e l’omologazione consumistica. Crescita culturale diffusa e integrazione sociale costituiscono i fini della pedagogia interculturale. Una corretta analisi dei bisogni risulta essere lo strumento indispensabile per far leva non su motivazioni di tipo efficientistico, ma su motivazioni profonde e personali, verso l’acquisizione di saperi che realizzino il saper essere e risultino capaci di innescare processi di cambiamento autonomi e capaci di indurre consapevolezza e senso di responsabilità comune, oltre che apprendimenti.

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1.1.1.2.Le origini. Non possiamo qui tracciare la storia della pedagogia interculturale, ma indichiamo due problemi fondamentali le cui urgenze hanno connotato diversamente nel tempo la natura stessa della pedagogia interculturale. La pedagogia interculturale è nata come pedagogia per stranieri, per rispondere ai problemi educativi e di emancipazione di migranti e profughi. Il concetto primigenio di pedagogia per stranieri era legato all’idea di normative speciali per i gruppi socialmente, economicamente, linguisticamente svantaggiati; questo tipo di pedagogia, “speciale” e “compensativa”, non solo non è riuscita ad eliminare le disuguaglianze strutturali delle minoranze deboli e svantaggiate, ma le ha occultate e ha contribuito al loro mantenimento. Attualmente il problema dell’immigrazione si colloca all’interno di un quadro sempre più complesso e disomogeneo di rapporti tra culture, razza, economie. Il costituirsi dell’Unione europea e, su scala mondiale, la globalizzazione dei rapporti economici e delle influenze culturali sono fattori significativi di un processo di internazionalizzazione generale. Le realtà di riferimento spaziali, temporali, personali hanno acquistato instabilità grazie anche ai cambiamenti degli scenari politici ed economici globali, mentre si sono intensificati gli scambi internazionali di informazioni, di tendenze, di lavoro. In questo nuovo panorama la pedagogia interculturale (capp 1.2.3. e 1.2.6.) si propone di incentivare la capacità di ogni persona (immigrato o autoctono, abitante di una delle periferie del mondo o di un grande centro, di qualunque strato sociale) di muoversi attivamente e pacificamente attraverso e grazie a diversi contesti culturali, ampliando le proprie capacità di realizzazione e ristrutturando i propri confini.

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1.1.1.3. Fasi dell’evoluzione E’ possibile individuare tre fasi nell’evoluzione della riflessione pedagogica legata all’intercultura, per quanto l’individuazione risulti semplificatoria delle varie problematiche e delle modalità in cui si presentano spesso interconnesse. Si tratta infatti di proposte ed esperienze molto variegate, che sono partite dal bisogno di far fronte ai problemi della integrazione scolastica di minoranze migranti per giungere ai più attuali tentativi di rispondere alle nuove domande educative della società complessa. La prima fase è la fase monoculturale, assimilabile alla linea su cui si sono mossi gli Stati nazionali che intendevano unificare diverse culture all’interno dei loro confini. I problemi più sentiti erano quelli dell’apprendimento della lingua del paese di accoglienza come strumento di accesso alla cultura egemone e più “avanzata”. Le difficoltà di apprendimento erano imputate a carenze strutturali di sviluppo, non interessando le problematiche legate alla discriminazione e alla marginalizzazione come pesanti discriminanti sul piano socio-emotivo. L’ottica monoculturale, prevalente almeno fino a tutti gli anni ’60, rispecchia la logica dell’omologazione. Gli interventi mirano a colmare il divario tra la cultura dominante e le culture minoritarie (subculture) attraverso percorsi di apprendimento accelerato e intensivo che da una parte intendono compensare, dall’altra vogliono cancellare tutto quello che è stato il “prima”. La seconda fase è la fase multiculturale, sollecitata anche dalle riflessioni emerse all’interno dell’indirizzo relativista; la fase multiculturale avvia un discorso di educazione aperto ai diritti delle cultura altre. Si riconosce il peso dei fattori sociali, etnici ed economici sugli apprendimenti. L’educazione è sempre orientata alla promozione della cultura egemone, ma si riconosce il diritto alla diversità, per quanto non ancora il valore della differenza. La terza fase è la fase interculturale. E’ stata necessaria una ulteriore riflessione sulle esperienze, sospinta soprattutto dalle profonde trasformazioni del tessuto sociale ed economico che hanno fatto emergere la dimensione problematicamente multiculturale e plurietnica della società contemporanea. In Europa, in particolare, sono stati privilegiati i concetti di cambiamento e formazione, nella ricerca dei fattori (di apprendimento e non) che possano contribuire a riordinare i vissuti in modo personale.

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1.1.1.4. Lo sviluppo teorico. L’immigrazione dagli stati extraeuropei, l’intensificarsi della mobilità sia per motivi di lavoro sia per motivi turistici, l’espansione a livello popolare delle nuove tecnologie, sono fattori che avvicinano persone di diverse culture e ne possono favorire la convivenza e la collaborazione. Non a caso si parla di dimensione planetaria delle culture: stanno emergendo valori nuovi dai bisogni di una società sempre più aperta agli orizzonti della mondialità. Sollecitata da queste istanze la pedagogia speciale per gli stranieri visti come soggetti carenti ha subito una trasformazione, rivolgendosi a tutte le componenti della società. Le radici di questo aggiustamento di rotta sono rintracciabili negli anni ’70, quando la cultura del dialogo ha aperto il mondo della ricerca e il mondo della scuola al valore della differenza, sottolineando sempre tuttavia che sul piano pedagogico l’incontro con l’altro è possibile se si trovano basi comuni, pena il fallimento della proposta educativa. La dimensione multiculturale della società, infatti, non è data esclusivamente dalla presenza di immigrati che fuggono dal disagio socio/economico/politico dei loro paesi di origine, ma è fondata sempre più sulla internazionalizzazione dell’economia e della cultura, mentre sono sempre più frequenti presenze di extracomunitari nei settori di rilevanza economica e di alta specializzazione. Di conseguenza, la pedagogia interculturale si è impegnata in una vera e propria riconversione, rileggendo i propri paradigmi in una nuova prospettiva, capace di offrire adeguate risposte ai bisogni educativi che emergono da una società complessa e plurietnica. Nella nuova direzione di ricerca lo scambio culturale non è più o non soltanto un fenomeno legato allo sradicamento e alla privazione, ma rappresenta piuttosto l’istanza caratteristica della nostra società multiforme e complessa.

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1.1.1.5. Il dibattito Il concetto sotteso alla denominazione “pedagogia interculturale” è la convivenza tra soggetti di pari dignità in una società vitale di scambi e di interazioni e dalla visione del soggetto in apprendimento come soggetto educativo conseguono alcuni principi: -non è possibile delegare ad altri la responsabilità delle proprie azioni e dei propri apprendimenti; -le esperienze e i saperi, per quanto tra loro diversi, hanno pari dignità e concorrono allo scambio dei punti di vista e alla ricerca di soluzioni comuni. Appare evidente dunque come la pedagogia interculturale sia una scienza con vocazione trasversale e interdisciplinare. Tra i vari campi operativi ne ricordiamo tre, che hanno caratterizzato il dibattito degli ultimi anni:

1. messa a punto e realizzazione di programmi di aiuto e di campagne di alfabetizzazione e sviluppo per il sostegno dei paesi svantaggiati, contro il divario tra nord e sud del mondo;

2. iniziative concentrate sui problemi legati all’apprendimento linguistico, all’offerta scolastica, all’educazione degli adulti;

3. interrogativi aperti dal nuovo assetto europeo, riguardanti tra le altre le seguenti questioni: - necessità di un sistema scolastico comune quale elemento portante e formativo dell’Unione Europea; -trasformazioni dell’identità culturale dei singoli cittadini e degli stati; -definizione delle lingue ufficiali.

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1.1.1.6. Su che basi e in che senso Definire l’ambito della pedagogia interculturale significa fare riferimento a definizioni come pluralismo, multiculturalità, pluriculturalità, transculturalità, oltre che a interculturalità. Il pluralismo rimanda a una differenziazione interna alle culture e caratterizza la nostra convivenza sociale. Il concetto di multiculturalità rimanda alla effettiva e legittima esistenza, sullo stesso territorio, di culture diverse che operano nelle relazioni e nell’azione sociale e che appartengono a culture localmente ben individuate. Le risposte a una società di fatto multiculturale possono essere di natura pluriculturale o transculturale. Ambedue le risposte portano con sé dei rischi:

• La prospettiva pluriculturale può alimentare un folklorismo pedagogico che nella sua superficialità aggrava le difficoltà dell’integrazione e ostacola la formazione e la rielaborazione delle identità personali, fissando sempre più le persone nelle loro culture d’origine.

• La prospettiva transculturale può favorire il costituirsi di una pedagogia “a-culturale”. Inoltre, visto che riconosce come valori comuni e perenni tutti i valori purché appartenenti alla categoria dell’umano, potrebbe al limite in questa scatola dell’umano far rientrare qualsiasi cosa, indifferentemente.

Il compito della strategia interculturale è riportare la questione multiculturalità alla vita delle persone e alle interrelazioni proprie del loro tessuto esistenziale, in quanto soggetti attivi e partecipi di una convivenza sociale variamente caratterizzata culturalmente.

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1.1.1.7.Possibili criteri di base I punti essenziali sono:

1. il riconoscimento della differenza; 2. l’ascolto.

Il primo punto è il rapporto con la differenza. Non è possibile far finta di non vedere quello che abbiamo intorno, né affermare che non ci sono problemi perché siamo tutti uguali. Riconoscere il diritto alla differenza è un atto dovuto e costituisce la base di un atteggiamento scientifico corretto. Se si riconosce e si accetta la differenza è possibile:

• risolvere i problemi legati alla formazione partendo dal confronto diretto invece che da una visione etnocentrica e personale;

• interrogarsi sulla natura dei processi mentali utilizzati dall’altro, descriverli, interpretarli; • ridiscutere un apparato formativo inattuale per chi si serve di altri codici cognitivi, affettivi,

psicomotori per pensare, agire, comunicare. Conseguentemente al riconoscimento della differenza si sviluppa il concetto di ascolto. È importante sottolineare che non si tratta di un ascolto passivo, ma di una modalità progressivamente interattiva attuabile lungo le tre direttive suggerite da D. Demetrio:

1. esplorazione: si tratta di osservare e registrare episodi di vita relazionale, in tutti i momenti della realtà scolastica ed extrascolastica.

2. facilitazione: si tratta di creare le condizioni cognitive e affettive perché vengano riconosciute e accettate le specificità di ognuno.

3. valorizzazione dei saperi interculturali: si tratta di considerare ogni soggetto come portatore di saperi e trasformare ogni scambio educativo in una occasione di riflessione sul mondo e sugli altri.

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1.1.2. Dimensione interculturale della pedagogia La pedagogia interculturale non va necessariamente circoscritta a una forma di pedagogia speciale o a un capitolo all’interno di essa (capp. 1.1.1. e 1.3.3.). La società contemporanea vive e si muove nel segno della complessità, della differenziazione, dell’innovazione, del cambiamento, imponendo interdipendenza a tutti i livelli dell’esistente: in una tale realtà, caratterizzata da scambi lontani, da presenze sempre più veloci, dall’illusione dell’ubiquità, e connotata nello stesso tempo da scontri con povertà umane, deprivazioni ambientali, rivendicazioni che in un mondo ormai reso piccolo dalle tecnologie ci chiamano comunque a scelte da protagonisti, in questa realtà, appunto, la pedagogia interculturale può essere il “modo” dell’educazione di tutti, impostazione qualificante e scheletro regolatore della pedagogia generale. L’interculturalità è dunque una necessità fondativa della pedagogia, una seconda vocazione dopo il cambiamento. La tensione utopica della pedagogia è per sua natura interculturale: interculturalità significa disponibilità e volontà di uscire dai confini della propria cultura per entrare nei territori mentali di altre culture, così come la relazionalità pedagogicamente corretta significa disponibilità e volontà di uscire dai confini del proprio io per entrare nei territori mentali dell’altro. L’efficienza della pedagogia oggi, in definitiva, si gioca sulla sua capacità di promuovere un pensiero aperto e flessibile, critico e problematico, capace di riconoscere la propria specificità nei suoi aspetti positivi e negativi così come è capace di accogliere la diversità nei suoi aspetti positivi e negativi, un pensiero costruito attraverso la pratica della molteplicità (di lingua e linguaggi, di saperi e punti di vista, di angolazioni e prospettive, di percorsi e soluzioni) e oppositivo al pensiero gerarchico: interculturale, appunto.

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1.1.2.1. L’educazione interculturale La riflessione pedagogica ha recuperato il soggetto come elemento fondante la relazione educativa. La relazione educativa è un tutto all’interno del quale gli elementi entrano in rapporto tra loro e dunque la pedagogia si struttura come scienza della relazione, mentre l’educazione si definisce come rapporto. Il fuoco dell’educazione interculturale è costituito da questo stesso rapporto educativo, dai diversi contesti in cui esso ha luogo e dall’incontro-scambio di significati che si verifica tra individui e gruppi. L’educazione interculturale non si configura quindi come una forma di pedagogia speciale, ma come un allargamento di campo, come l’integrazione di tutti gli elementi legati ai processi culturali; inoltre, in quanto centrata sulla relazione tra persone di diverse culture, si trova nella necessità di superare il dilemma tra universalismo e relativismo. L’educazione interculturale compie una sua rielaborazione delle indicazioni universaliste e relativiste da una parte mantenendo i fondamenti morali, culturali ed epistemologici del sapere, dall’altra compiendo un’operazione di filtro delle varietà in cui sono espresse. La tensione pedagogica consiste nel perseguire il superamento di un mondo assestato e definito, verso la costruzione di una unità critica e dinamica secondo una visione non statica delle culture e dei loro scambi. Uno dei principali obiettivi dell’educazione interculturale consiste nel riconoscere la dimensione culturale di ogni educazione e nell’introdurre nell’apprendimento il rapporto con l’altro, la relazione; la relazione educativa è un rapporto dinamico tra persone che favorisce l’acquisizione di identità. Proprio la relazione è uno dei nodi dell’educazione interculturale; la relazione si struttura in un percorso che parte dalla conoscenza dell’altro, attraversa momenti di riconoscimento e conferma e giunge, se possibile, alla condivisione, svelando lungo il cammino rigidità e insufficienze del proprio modo di pensare e di essere.

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1.1.2.2. Costruzione della realtà attraverso l’azione educativa Uno dei problemi più sentiti riguardo alla relazione interculturale è la necessità di controllare costantemente il punto di vista dal quale partiamo per designare gli altri. Un educatore attento fa un uso il più possibile “puro” del linguaggio e dei termini che servono per riferirsi alle persone: è noto infatti che attraverso le definizioni è possibile etnicizzare gli individui, assumendo tratti geografici o culturali reali o ipotetici come fattori rilevanti e distintivi. E’ così che si definisce un primo livello di costruzione sociale di una realtà etnica. Nel secondo livello vengono istituite precise distinzioni sociali tramite definizioni fortemente connotate dal loro uso in contesti quotidiani. Il punto non è tanto stabilire una tassonomia all’interno delle dominazioni, più o meno correte. In linea di principio nessun nome è corretto o scorretto ed è comune l’idea che la nominazione-categorizzazione sia in sé neutrale finché non le si aggiungono stereotipi e pregiudizi. Possono anche non essere aggiunti stereotipi e pregiudizi, visto che già sul piano della nominazione si rendono note le premesse e le conseguenze che derivano dal chiamare le persone in un modo piuttosto che in un altro. Scegliere di chiamare alcune persone come neri presuppone una decisione, l’assunzione del fatto che un tratto somatico sia significativo. Questo non vuol dire negare l’esistenza di differenze somatiche o di tratti culturali distintivi, ma intende sottolineare il significato dei nostri orientamenti, determinante per la costituzione del mondo sociale e educativo nel quale operiamo. In altre parole, pratiche e discorsi hanno una funzione costruttiva della realtà. L’educazione interculturale intende costituire un percorso che sente come ipotesi forte la costruzione di una identità dialogica e mutante, in un contesto in cui marocchino torna ad essere una denominazione neutra, espressione di un modo di riconoscersi e di essere riconosciuto, dominazione variabile e non definitiva, in alcuni contesti adatta e pertinente, in altri no.

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1.1.2.3.Strategie educative globali Nell’ambito della pedagogia interculturale si sottolinea la necessità di un processo di cambiamento globale e multidimensionale teso a modificare le influenze negative e a valorizzare la qualità dei rapporti nelle diverse realtà formative e di vita. Anche la pedagogia generale fornisce numerose indicazioni per una azione educativa costruttrice di senso, tramite le quali è possibile concretizzare anche un’azione educativa interculturale e globale. Hanno infatti requisiti di globalità le seguenti strategie educative:

1. prendere in considerazione tutti gli aspetti dell’identità dei soggetti; 2. operare valorizzando al massimo la dimensione globale della persona, evitando di attribuire

un ruolo privilegiato ai fattori cognitivi e di mettere in ombra altri tipi di apprendimento; 3. giocare molto sui fattori affettivi, monitorando costantemente il tasso di emotività esplicito o

latente; 4. avere consapevolezza che la comunicazione (anche quella non programmaticamente

educativa) avviene attraverso uno scambio che non è mai neutrale. Riguardo alla scuola, in particolare, le caratteristiche relazionali di chi educa sono così decisive per il successo dell’azione educativa che si rende necessario potenziare un tipo di ricerca in questo campo che coinvolga gli insegnanti in ruoli da protagonisti.

5. lavorare e far lavorare insieme per uno scopo comune: il lavoro comunitario favorisce la scomparsa degli elementi e dei pregiudizi. Se è vero che quello che ci accomuna sono i bisogni e quello che ci differenzia sono le risposte, gli obiettivi comuni uniscono le diversità. Più in generale, la cooperazione in vista di un ostacolo da superare costituisce un fattore potente di avvicinamento e può diventare elemento facilitatore di apprendimenti di natura più strettamente cognitiva.

Strategie educative globali di successo sono dunque tutte quelle che contribuiscono a rafforzare la comprensione e a costruire connessioni consapevoli con altre espressioni e altri modi di vita, sia dentro la scuola che fuori.

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1.1.2.4.Il problema identità Il concetto di identità corrisponde oggi sempre meno a qualcosa di definito una volta per tutte. Le scienze sociali e umane concentrano l’attenzione sul processo di formazione dell’identità, che ha la funzione di garantire l’integrità della persona e al tempo stesso di riflettere norme, valori e modelli di comportamento dominanti nella società di cui questa persona fa parte. L’identità si costituisce nel rapporto dialettico tra ciò che è unico e individuale e ciò che è sociale ed esprime la ricerca di quello che ci fa sentire uguali e contemporaneamente di quello che ci fa sentire diversi dagli altri. La consapevolezza della propria identità viene acquisita insomma tramite un continuo e simultaneo processo di riconoscimento e differenziazione dai contesti di appartenenza. Incertezza, processualità, relazionalità e reciprocità sono gli elementi che attraversano l’identità, che viene a comporsi come negoziazione continua tra interiorizzazione e proiezione e concetto euristico tutto moderno dal momento che i vincoli dei contesti sociali, un tempo fortissimi, oggi o non esistono più o non offrono più sicurezza. Il senso dell’individuo non è più iscritto nel sistema, non affonda più le radici in una rassicurante definizione della realtà. L’identità non è più un destino, ma una scelta del soggetto, una costruzione mai conclusa. In ultima analisi, si mettono oggi in evidenza tre caratteri dell’identità:

• il carattere dinamico • il carattere interattivo (cioè l’importanza del ruolo dell’altro) • il carattere attivo (l’immagine che ci si fa della realtà sollecita l’azione, tramite la quale si

cerca di rendere la stessa realtà più conforme all’immagine che ne abbiamo). La dimensione dinamica, interattiva e attiva dell’identità porta con sé la definizione di un soggetto non soltanto partecipe, ma anche creatore di culture nuove, produttore di conoscenza e capace di operare sintesi complesse della realtà.

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1.1.2.5. La relazione interculturale La costruzione dell’identità (nonché dell’alterità come concetto opposto) è stata definita come movimento di estensione crescente in cui l’individuo arriva alla coscienza di sé per differenziazione dal diverso e assimilazione al simile; si sviluppano sentimenti di solidarietà con dei “noi” che si oppongono a “loro”. Questo fenomeno è dinamico e conflittuale, in continua tensione tra modello ideale e modelli da respingere, e fa sì che l’identità socioculturale venga a configurarsi come sintesi dinamica tra sé e l’esterno, come coagulo di tutti gli incontri, di tutte le acquisizioni e di tutte le negazioni, i riconoscimenti e le relazioni intercorse durante tutta la vita tra un soggetto e gli altri. Le stesse culture si caratterizzano come totalità complesse inserite in un processo di comunicazione e cambiamento. Sono state studiate le forme delle differenti culture e ne sono state osservate le modalità riorganizzative dopo e durante l’incontro con altre culture; queste ricerche hanno individuato alcuni elementi utili a definire le variabili della relazione interculturale:

• interdipendenza • asimmetria relazionale • trasferibilità • reinterpretazione • resistenza • individualità dei contatti

In definitiva, pertanto, l’educazione interculturale si trova a strutturare conoscenza e affettività nel cambiamento di ambienti, attitudini, valori operando con strategie incrociate sul piano dell’identità e sul piano della relazione.

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1.1.2.6. La cultura dell’essere L’affermare che ognuno di noi è portatore di un frammento di cultura implica una concezione di pedagogia interculturale che ha come obiettivo l’educazione-formazione della persona attraverso la valorizzazione delle sue potenzialità. Tanto più un soggetto è in grado di crescere e realizzare un suo progetto di vita, quanto più scopre, costruisce e rafforza la sua identità, senza avere legami incondizionati alla cultura che è stata il riferimento base della sua formazione. L’educazione interculturale serve a preservare la persona dalla sua identificazione con qualsiasi modello culturale fisso e definitivo. Perdere o acquistare identità personale non deve corrispondere a perdere o acquistare “quella” particolare identità culturale. Il valore della persona viene prima della sua cultura, per quanto vada sottolineato il ruolo che una determinata cultura può assumere nella strutturazione della personalità dell’individuo. L’inter-cultura è una operazione compiuta dal soggetto, che ne fa e ne rappresenta l’unità in divenire. Obiettivo dell’educazione interculturale è infatti il rafforzamento del sé individuale come punto di sicurezza in un processo di formazione che esprime insieme identità sociali e individuali, in continua ridefinizione. E’ evidente che il convivere e il dover collaborare con gruppi diversi provenienti da culture diverse è un fattore accelerativo importante di questa ridefinizione, delle cui modalità. soprattutto il mondo dell’educazione e della formazione è chiamato a rispondere.

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1.1.2.7. La cultura del dialogo L’intercultura in sé non esiste: esistono le relazioni tra persone che appartengono a culture differenti; esistono rapporti di apertura verso l’altro improntati a volontà di scambio autentico. Le relazioni e i rapporti di questo tipo sono di natura dialogica, cioè non sono né impositivi né dogmatici e presuppongono soggetti autentici e consapevoli che sanno riconoscersi limitati e imperfetti. E’ stato individuata come costitutiva di questo tipo di interrelazione la pratica del decentramento. Il decentramento dialogico nasce da una raggiunta autocoscienza dei limiti e della convenzionalità dei nostri valori e dei nostri modelli: non si tratta di negare le proprie cifre culturali di appartenenza, ma di accettare lo scambio in territorio neutro, sforzandosi in tutta onestà di capire le rispondenze tra le culture e i rispettivi popoli, nella consapevolezza che attraverso questo tipo di dialogo potremmo incontrare valori nella nostra cultura trascurati ma recuperabili. Sembra oggi questa la strada da percorrere, a conclusione del dibattito che per lungo tempo ha opposto le concezioni universalistiche alle concezioni relativiste. Da questo dibattito è infatti emerso che

• l’idea di una cultura completamente chiusa in se stessa e autosufficiente è storicamente e concettualmente non difendibile;

• è necessario trovare una condivisione su valori fondamentali per tutti, ma al tempo stesso salvaguardare la varietà e la diversità delle culture.

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1.1.2.8.L’immigrazione nella coscienza educativa di oggi Negli anni ’70 e ’80 l’elaborazione pedagogica ha consentito la formalizzazione di orientamenti per scuola, territorio, autonomia e l’offerta di servizi che esprimono la risposta politico-istituzionale-educativa a una realtà di immigrazione che negli anni si è fatta quantitativamente sempre più pesante e qualitativamente sempre più varia. La nostra realtà si è tuttavia mantenuta ancora troppo scuola-centrica per promuovere un sistema di interazioni sufficientemente vario e armonico, tale da permettere l’esperienza graduale di rapporti e di vissuti significativi. Gli interventi formativi devono infatti tenere conto di alcune costanti della realtà conflittuale dell’immigrato:

• ambivalenza psicologica, affettiva, cognitiva, sociale, nei rapporti con la società educante; l’immigrato è come sospeso fra il desiderio di far parte di un sogno, la paura di essere ricacciato indietro e il bisogno di non dimenticare nulla del passato suo proprio;

• pervasività dell’educazione informale nel processo di formazione. E’ essenzialmente il mondo del “quotidiano” che detta le leggi e struttura le modalità degli apprendimenti dell’immigrato;

• necessità di valorizzare nei nuovi processi e nelle nuove interazioni il mondo di origine e l’identità personale e culturale di provenienza.

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1.2.Realtà di vita che attendono risposte Le proposte che la pedagogia odierna offre alla realtà multiculturale sono caratterizzate ancora oggi da eredità più o meno evidenti provenienti dai diversi modelli interpretativi che ne hanno preceduta la formalizzazione, anche in tempi recentissimi (capp.link 1.1.1.2. e 1.1.1.3.). Ognuno di questi modelli è stato elaborato per offrire risposte a realtà specifiche, per quanto talvolta i punti di vista, le finalità e le premesse stesse si intersechino e possano operare in maniera sincretica. Ognuno di questi modelli viene a costituire una parte delle premesse per lo sviluppo ulteriore della pedagogia in senso interculturale.

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1.2.1. Pedagogia per stranieri Quando si parla di pedagogia per stranieri ci si rifà a un tipo di approccio storicamente superato nato per rispondere (nel campo della scuola e della formazione per adulti) ai problemi sociali posti dall’immigrazione di lavoratori, spesso con famiglia al seguito; la pedagogia per stranieri riduce l’alterità dello straniero all’etnia e alla lingua e sottovaluta i fattori sociali, psicologici, ecc. che rendono così complesso il rapporto con la società di accoglienza. Ispirata a un’ottica compensativa, la pedagogia per stranieri considera gli stranieri come un problema, per risolvere il quale il canale privilegiato resta l’apprendimento della lingua di accoglienza; attraverso l’apprendimento linguistico si intende rimuovere lingua e cultura materna, viste come ostacoli per la normalizzazione. Solo in un secondo momento la complessità dell’evento migratorio ha favorito l’evoluzione dalla pedagogia per stranieri in direzione della pedagogia interculturale, con la quale si sono cominciati a prendere in esame altri elementi, come la formazione dei pregiudizi e l’emarginazione, la radicalizzazione delle esperienze, i problemi dell’identità in crisi e del rapporto con l’alterità.

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1.2.2. Pedagogia per l’integrazione La pedagogia dell’integrazione è una tappa fondamentale e costitutiva del concetto di interculturalità ed esprime senza dubbio una maturità maggiore rispetto alla pedagogia per stranieri. E’ opportuno ricordare che il contesto dell’”integrazione” porta con sé implicazioni a prima vista non razionalizzabili che rimandano a tutto il settore del sostegno per soggetti portatori di disabilità fisiche o psichiche. Ora, è vero che handicap e immigrazione sono due universi strettamente collegati nella maturazione delle realtà politico istituzionali dei vari paesi, che hanno discusso e promosso progetti più o meno innovativi volti al superamento di ogni pratica emarginante. Tuttavia l’integrazione rimanda sempre a un rapporto tra maggiore e minore, tra teorema e corollario, in definitiva tra più importante e meno importante. Non è sufficiente parlare di integrazione in una realtà sempre più variegata, dove multiculturalità non è più soltanto rapporto tra cultura indigena potente di fronte a cultura d’immigrazione debole, dove sempre più numerose sono le esigenze di una educazione multilingue, multiforme, capace di trasformazioni e di scelte, pronta a distinguere e metabolizzare sollecitazioni sempre più veloci. Quando si parla di integrazione si ha a che fare spesso con un concetto di identità che non dà abbastanza peso al concetto di alterità, suo limite e definizione. La stessa ricorrente affermazione secondo la quale l’esperienza dell’integrazione dell’handicap fornisce impulsi preziosi per l’integrazione degli immigrati ricorda pericolosamente le tesi pseudoscientifiche che sostenevano il modo di agire e pensare dell’uomo occidentale come unico autentico pensiero e il modo di agire e pensare di tutti gli altri come istintivo e al massimo pre-logico.

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1.2.3.Pedagogia etnologica La pedagogia interculturale fa tesoro di studi etnologici che rappresentano il primo superamento del consenso monolitico intorno a una cultura centralizzatrice nazionale. A decretare indirettamente il peso degli studi etnologici, la Dichiarazione Unesco del 1966 già dichiarava che:

• ogni cultura ha una dignità e un valore che devono essere rispettati e salvaguardati; • ogni popolo ha il diritto e il dovere di sviluppare la sua cultura; • la diversità, e l’influenza reciproca che esercitano tutte le culture le une sulle altre, fanno

parte del patrimonio comune dell’umanità. Le ricerche della pedagogia etnologica hanno evidenziato la necessità di abbandonare una educazione etnocentrica, progressiva e lineare, sommativa, tipica della cultura occidentale che l’ha prodotta, e di renderla multidimensionale e reticolare, rispondente alle caratteristiche della realtà vitale in cui opera. La pedagogia etnologica non si esaurisce dunque soltanto nel promuovere la conoscenza e il rispetto delle altre culture e degli altri paesi, ma autorizza ad aprire in modo autentico e critico le prospettive alla relazione e alla rielaborazione interculturale, nella parità dei diritti e nel pieno riconoscimento delle rispettive aspirazioni.

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1.2.4.Pedagogia interculturale La pedagogia interculturale è una pedagogia che presenta le seguenti caratteristiche:

1. apertura degli apprendimenti; 2. consapevolezza socio-politica (cosa sostanzialmente differente dall’apprezzamento degli

aspetti folkloristici); 3. trasversalità

(-nei diversi campi della pedagogia -nelle diverse discipline scolastiche - nelle diverse realtà di formazione e apprendimento -nelle diverse realtà di vita);

4. volontà di partecipazione alla costruzione di una società educante cui ogni cultura partecipa sincreticamente secondo modalità condiviseSono inoltre sempre più numerosi i contributi che sostengono come sia necessario per una società realmente interculturale il riconoscimento di due diritti fondamentali:

• la partecipazione con gli stessi diritti; • l’autodeterminazione culturale sia in ambito privato sia come parte integrante della cultura

pubblica. La ricerca scientifica, infine, ribadisce la natura fortemente interdisciplinare della pedagogia interculturale, che ha collegamenti con la sociologia, l’antropologia, la linguistica, la glottodidattica, la psicologia, la filosofia. (Capp. 1.3., 1.3.1., 1.6.)

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1.2.5. Pedagogia antirazzista La pedagogia interculturale è antirazzista, dal momento che propone:

-una lettura politica e conflittuale dell’incontro tra culture; -un cambiamento radicale della società.

Per quanto la lotta contro il razzismo non sia compito unicamente della pedagogia, la pedagogia interculturale si confronta sempre, vista la sua natura, con forme latenti o manifeste di razzismo (cap. 1.4.5. ), che si propone di riconoscere e di far superare. E’ importante, per esempio, saper riconoscere le strategie politico-sociali (armonizzate a una visione nazionalistica di Stato) che fanno dipendere il diritto alla solidarietà dall’appartenenza a determinati gruppi, e con questo contribuiscono a negare il principio stesso di solidarietà. L’ antirazzismo in pedagogia si propone di promuovere il superamento delle difficoltà di natura psicologica e sociale che in alcuni momenti della storia dell’uomo hanno permesso processi di separazione e disumanizzazione del diverso. Risultano essere vincenti contro la separazione e la disumanizzazione e contro il razzismo le seguenti strategie:

1. la personalizzazione dell’altro 2. la rivalutazione della memoria 3. l’avvicinamento visivo

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1.2.6. Per un fondamento scientifico dell’intercultura L’idea regolatrice, il principio utopico della pedagogia interculturale è il cambiamento. Il cambiamento è realizzabile attraverso un processo di interazione binaria e di integrazione biunivoca. Il processo di integrazione. riguarda sia gli stranieri, sia gli autoctoni. L’interazione è ben diversa da un rapporto in cui la differenza è tollerata e in cui in ultima analisi è necessario uniformarsi a modelli superiori e vincenti, in un percorso di espropriazione esistenziale che soffoca spazi fisici, culturali e di pensiero. E’ avvicinamento e comprensione di forme di vita e di conoscenza altre, secondo codici che trovano analfabeta l’uomo tecnologico.

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1.2.7.Problemi aperti La pedagogia interculturale ha due volti:

1. facilitazione dell’integrazione reciproca tra immigrati e autoctoni; 2. sostegno (per tutti) agli scambi e alle relazioni in un mondo sempre più multiculturale.

Sempre due sono le domande ad alta frequenza presso gli addetti ai lavori: 1. L’educazione interculturale ha motivo di esistere anche senza la presenza di immigrati nella

realtà di formazione? 2. La pedagogia interculturale può materializzarsi a livello curriculare?

La risposta è affermativa ad ambedue le domande: la pedagogia interculturale è pedagogia, e quindi progetto di educazione, e non pensiero sull’educazione. Inoltre, lo scopo della pedagogia è il cambiamento, per cui si è dotata di assetto metodologico e didattico proprio, tramite il quale traduce nella quotidianità educativa le indicazioni di lavoro per favorire l’interazione e sostenere l’integrazione. La prospettiva interculturale, per concludere, si sforza di sollecitare le corrispondenze, oltre che valorizzare le differenze, e di sostenere e facilitare la presa di coscienza di ciò che è comune e ciò che è dissimile.

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1.3. Pedagogia interculturale e scienze dell’educazione La pedagogia è stata definita scienza orizzontale perché approfondisce la sua ricerca non solo in senso verticale, ma anche nel confronto orizzontale con altre discipline, con le quali verifica in modo dialettico la sua progettualità e i suoi risultati. Le scienze privilegiate in questo confronto dalla pedagogia interculturale sono le scienze socio-etno-antropologiche, la psicologia, la filosofia; l’insieme dei loro contributi ha permesso di superare modalità di pensiero monoculturali e antropocentriche, gerarchiche, logocentriche.

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1.3.1. La sinergia dei contributi Il discorso sull’autonomia epistemologica della pedagogia interculturale e al tempo stesso sulla sua non autosufficienza è lo stesso che ha caratterizzato il dibattito pedagogico generale negli ultimi trenta anni. La pedagogia è scienza autonoma, ma proprio il fatto di aver acquisito una propria identità la conduce a intrecciare scambi con altri settori del sapere per confrontare strategie e percorsi. Le scienze di contatto sono quelle che toccano l’oggetto della pedagogia, cioè la persona nella sua dimensione individuale e sociale, nelle sue relazioni e acquisizioni, negli apprendimenti e nei rapporti produttivi. Le linee del progetto pedagogico investono dunque una pluralità di dimensioni e una pluralità di scienze, delle quali la pedagogia interculturale assimila logiche e problemi, che riformula e rielabora in altri insiemi di regole. E’ un gioco di lanci e rimandi, di dialogo continuo, che ha reso la vocazione pedagogica al cambiamento trasversale anche alle altre scienze contigue, che in maniera più o meno esplicita cominciano a riconoscere i loro debiti e a reclamare la necessità di scambi conoscitivi con una scienza come la pedagogia che esige non tanto la comprensione, né tanto meno la descrizione, ma piuttosto la trasformazione del mondo.

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1.3.2. I contributi delle scienze socio-etno-antropologiche Le ricerche socio-etno-antropologiche hanno sottolineato:

• l’incidenza di determinati modelli di socializzazione sui processi di interiorizzazione delle norme e dei comportamenti;

• le potenzialità e i rischi di ognuna delle differenti sedi della socializzazione. Queste scienze hanno inoltre lavorato su alcuni concetti conoscitivi e operativi utili all’elaborazione della pedagogia interculturale. Questi concetti sono:

1. il concetto di cittadinanza 2. il concetto di status 3. il concetto di integrazione 4. il concetto di differenza.

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1.3.2.1. I concetti di integrazione e di differenza Integrazione (capp. 1.2.2., 1.2.6., 1.2.7., 1.5.1.) significa unione di parti differenti per arrivare a un insieme, cooperazione delle parti coinvolte che si propongono una unità di intenti. Sul piano pragmatico, il concetto di integrazione è fortemente ambivalente e può assumere significati anche contraddittori. I modelli di integrazione più diffusi sono sostanzialmente tre:

1. integrazione monoculturale 2. integrazione patchwork 3. melting pot

Anche il concetto di differenza è contraddittorio. Questa contraddittorietà si esprime in due affermazioni, ambedue valide e accreditate dagli studi psicologici e neurobiologici:

• esistono modi basilari di pensiero comuni a tutti i popoli • il pensiero viene usato in modi particolari nell’ambito di culture diverse

In altre parole, al di là delle peculiarità culturali, gli strumenti concettuali di cui un uomo si serve per padroneggiare il mondo sono gli stessi, in qualsiasi angolo della terra. Esistono universali della mente che sostengono il parametro dell’uguaglianza tra le facoltà cognitive di tutti gli uomini; questi universali della mente si storicizzano all’interno di pratiche sociali ed educative, diversificandosi in infinite variazioni su un unico tema in rapporto alla ripetitività con la quale si consolidano culturalmente. L’educazione interculturale valorizza forme di apprendimento transcognitivo capace cioè di scorrere da una variazione cognitiva all’altra (capp. 1.1.1. e 1.1.1.6.).

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1.3.3. I contributi della psicologia. La prospettiva pedagogica interculturale si avvale delle ricerche nell’ambito della psicologia sui processi dello sviluppo e dell’apprendimento e sulle influenze reciproche tra vincoli genetici e ambientali; tali ricerche sostengono interventi educativi in grado di sostenere e orientare le potenzialità che ogni persona possiede, attraverso l’organizzazione di contesti adatti e l’utilizzazione degli strumenti necessari. Vengono ribaditi due principi:

• il diritto della persona a costruire le proprie strutture mentali e i propri principi etici; • la variabilità della strutturazione cognitiva a seconda dei campi di esperienza in cui viene

esercitata. Un ruolo propulsivo per lo sviluppo dell’individuo può averlo una istituzione formativa che operi in quella che è stata chiamata zona di sviluppo potenziale. Perché ogni soggetto sia padrone dei propri apprendimenti, è necessario rispondere ad alcune esigenze psicologico-cognitive, tra cui le più importanti sono:

1. approfondire le conoscenze pregresse 2. valorizzare i nessi di continuità esistenti tra le conoscenze pregresse e la successiva

elaborazione delle conoscenze 3. organizzare i processi di apprendimento in contesti di interazione sociale e con

pratiche concrete di lavoro comune 4. strutturare modi e forme dell’intervento formativo sulla base delle differenze

individuali dei soggetti rispetto alla molteplicità dei modi di acquisire e rappresentare le conoscenze.

Come diceva Don Milani, insomma, non un intervento educativo uguale per tutti, ma diverso per ognuno, per permettere a ognuno lo sviluppo pieno delle sue risorse.

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1.3.4. I contributi della filosofia Il nostro mondo post-industriale ha assistito alla dispersione dei modelli scientifici ed esistenziali certi e coesi. I linguaggi si affollano, le analisi e le interpretazioni si moltiplicano, gli schemi di indagine tradizionale si frantumano, punti di vista e significati vengono sottoposti a revisione continua. Anche la filosofia, nel dibattito che ha animato le riflessioni nell’ambito della filosofia della scienza, ha stabilito una nuova ragione filosofica, in raccordo con molteplici scienze (dalle scienze fisiche a quelle socio-etno-antropologiche.) E’ evidente che una pedagogia interculturale che educa all’apprendimento transcognitivo e alla problematizzazione dei molteplici piani esistenziali e culturali orienta la sua tensione progettuale al totale superamento dei modelli che storicamente hanno rappresentato la ragione nella sua forma più statica e chiusa. In particolare, contro l’urgenza di una ragione filosofica che sia in grado di sentire e leggere la molteplicità delle quotidiane tensioni, risultano ormai desueti e privi di ogni capacità di interpretare la realtà complessa dei nostri giorni tutti i modelli “centrici”, come ad esempio i modelli antropocentrici, i modelli etnocentrici, i modelli logocentrici, i modelli glottocentrici.

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1.4. Educazione e pluralismo culturale La pedagogia interculturale si propone di riformulare il rapporto irrisolto tra universalismo e relativismo culturale. E’ infatti realizzabile un pluralismo culturale autentico soltanto se e quando si riconoscono a ogni cultura fondamenta strutturali universali e insieme espressioni differenziare proprie. Le culture sono come risposte diverse a bisogni universali, all’interno delle quali il valore assoluto è rappresentato dai soggetti.

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1.4.1. Il relativismo culturale In antropologia il relativismo sostiene che ogni credenza e uso devono essere interpretati all’interno della concezione indivisibile cui appartengono. Non è possibile produrre una definizione universale della condizione umana; è possibile soltanto descrivere le differenze. Il relativismo culturale attribuisce alle culture tre caratteristiche:

1. organicità (ogni cultura è un tutto unico e indivisibile); 2. incomparabilità (ogni cultura è valida per sé e non è comparabile con le altre); 3. determinismo (ogni cultura determina le variabili degli individui che vi appartengono).

Su questi principi gli oppositori del relativismo argomentano ponendo le seguenti critiche: 1. la cultura non è mai un insieme perfettamente coerente; 2. anche se le culture non sono giudicabili globalmente, è tuttavia legittimo e indispensabile

confrontare gli strumenti e le diverse risorse elaborate per rispondere alle domande comuni; 3. ogni individuo dispone in ogni momento della possibilità di scostarsi dalle norme che la

cultura di appartenenza ha proprie. Il relativismo ha ampliato gli orizzonti ristretti e uniformi dei vari etnocentrismi e ha liberato la diversità, ma ha sollevato questioni etiche, tra le quali la più complessa è la seguente: qualsiasi evento, credenza, pratica, potrebbe ricevere sistematica giustificazione, purché legittimato dai parametri propri della cultura in cui tali eventi, credenze, pratiche si verificano. Vengono poste due domande:

• è sufficiente proclamare la specificità culturale di una pratica per certificare la sua legittimità e la sua umanità?

• Come pensare o ripensare le differenze in un modo che renda possibile la convivenza? La risposta avanzata a queste domande si trova nella valorizzazione della persona, del soggetto, il rispetto e la conoscenza del quale sono una condizione per realizzare un dialogo interculturale basato su valori riconosciuti come esigenze universali.

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1.4.2. I modi diversi di trasmettere il sapere Uno dei territori di ricerca ancora non abbastanza esplorato risulta essere quello relativo alle influenze che ognuno dei sistemi formativi mostra di avere sulle prestazioni e sui comportamenti cognitivi degli individui nelle diverse culture. Fatte salve le differenze tra educazione formale e educazione informale, alcuni studiosi hanno individuato tre differenti modelli di trasmissione delle conoscenze, adottati dalle diverse società a seconda che lo scopo educativo da perseguire sia la riperpetuazione delle conoscenze di sempre o l’apertura al cambiamento. I tre modelli prendono il nome dall’apprendimento che privilegiano e sono:

1. apprendimento per prove ed errori 2. apprendimento per modellamento 3. apprendimento per apprendistato

Questi tre modelli sono rintracciabili indifferentemente nella realtà dei contesti educativi formali e informali, dove non sono così nettamente distinguibili l’uno dall’altro, perché si alternano, si intrecciano, si sovrappongono. Riflettendo tuttavia sulla discreta presenza nelle nostre società occidentali dell’apprendimento per modellamento (il quale intende perpetuare un modo di pensare acquiescente a modelli costituiti anziché favorire la produzione di pensiero creativo), sembra necessario rivedere i nostri stereotipi sul confronto tra sistemi educativi occidentali cosiddetti avanzati e sistemi cosiddetti primitivi.

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1.4.3. Per un incontro fra culture che sia portatore di senso: l’educazione al plurale Indipendentemente dalla presenza fisica dello straniero, la pedagogia interculturale è necessaria per tutta la scuola e per tutta la società. E’ necessario che la scuola sostenga l’importanza di imparare a conoscersi, tramite interventi sul piano cognitivo, interventi sul piano dell’educazione sociale, interventi sul piano della vita relazionale. L’altro, in qualunque condizione sia, insegna sempre qualcosa, e la sua cultura deve essere riconosciuta fonte di identificazione e di sviluppo come la nostra. I problemi specifici, che pure esistono, non possono essere risolti con situazioni formative speciali; il primo passo dell’interculturalità è riconoscere la diversità come identità altra e risorsa con la quale interloquire in termini di parità. La pedagogia interculturale non è una disciplina speciale: è piuttosto un modo per rivedere curricoli formativi, stili comunicativi, strategie, dal momento che il ruolo della formazione è insostituibile, nella sua specificità di creatrice di abiti mentali, sostenuta da una pedagogia dei problemi e dei bisogni anziché degli interessi.

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1.4.4. Lo stereotipo come categoria cognitiva La formazione dello stereotipo è stata definita un processo in cui l’individuo categorizza altri individui, attribuisce alla categoria così formata un insieme di caratteristiche, attribuisce queste caratteristiche a ogni individuo di quella categoria. Questo processo si basa fondamentalmente sulla generalizzazione e potrebbe apparire neutro, in quanto fatto di puro ordine cognitivo e libero da giudizi di valore. Quando infatti l’ attribuzione di valore si sovrappone ai processi cognitivi si hanno i pregiudizi. Da un altro lato, invece, ripensamenti recenti hanno valorizzato, accanto al processo di categorizzazione e generalizzazione e nell’insieme dei processi cognitivi preposti alla comprensione e all’interpretazione del mondo, i processi di particolarizzazione. Tutti i processi cognitivi naturali vengono strutturati dai valori, dagli scopi, dal consenso sociale; le rappresentazioni del mondo non sono tratti mentali di individui isolati, ma vengono articolate tramite le situazioni e le interazioni sociali. Scegliere quali processi cognitivi applicare (privilegiare la generalizzazione? Oppure la particolarizzazione? Oppure sfumare dialogicamente?) non significa semplicemente applicare processi cognitivi naturali e neutri, ma è una modalità culturale di elaborare le informazioni. E se è una modalità culturale, può essere educata.

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1.4.5. La relazione inesistente: razzismo e xenofobia Il razzismo è una ideologia che giustifica il disprezzo per un individuo (o un gruppo) riferendosi alle caratteristiche naturali della popolazione cui quell’individuo appartiene. Oggi pochi si dichiarano apertamente razzisti nel senso di affermare l’inferiorità di una razza sull’altra (è il cosiddetto razzismo biologico), ma sempre più spesso è possibile scontrarsi con dichiarazioni che sostengono l’incompatibilità di generi di vita e culture diverse (razzismo culturale). Nell’ambito delle manifestazioni di razzismo culturale e in ambienti etnocentrici matura la xenofobia. Uno dei settori più densi di studi e prospettive per l’educazione interculturale è appunto l’educazione contro la xenofobia e il razzismo. L’educazione contro la xenofobia e il razzismo si muove sulla prospettiva di due fattori che hanno influenza sui rapporti tra le culture:

1. i fattori psicologici individuali 2. i fattori socio-economici

I progetti educativi per modificare gli atteggiamenti razzisti e xenofobi hanno bisogno di approcci multidimensionali. Gli obiettivi di questi progetti potranno essere:

nella dimensione psicologica • la maturazione della personalità, attraverso un’attenzione specifica ai problemi

dell’identità e della relazione. • la crescita di personalità autonome e responsabili, collaborative, per una convivenza

pacifica su base interculturale nella dimensione sociale

• la trasformazione della realtà, attraverso interventi complessi che interessino tutte le agenzie educative.

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1.5. Ipotesi per un apprendimento interculturale Difendere i principi dell’educazione interculturale significa sostenere ipotesi pedagogiche e politiche consapevoli e definite, per facilitare l’affermazione di comportamenti e realtà di vita nuove e a loro volta dinamicamente improntate al cambiamento, in un’ottica che vede nel confronto diretto e continuo un fermento e uno stimolo costante, una provocazione vitale anziché un elemento di conflittualità.

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1.5.1. Integrazione come processo Il concetto di integrazione cui fare riferimento è biunivoco, cioè riguarda sia gli autoctoni sia gli immigrati. In questo paragrafo ci occupiamo dei presupposti degli interventi per l’integrazione nell’ottica degli immigrati, nel paragrafo 1.5.2. dei presupposti degli interventi per l’integrazione nell’ottica degli autoctoni. L’immigrato cerca nei contenuti della formazione un sostegno alla sua situazione di insicurezza individuale e collettiva. Il ruolo della formazione nel processo di integrazione è tanto importante e deve fare i conti con tante dinamiche e tensioni, che non è possibile esimersi da alcune valutazioni prima di passare al livello propositivo:

• valutare l’efficacia delle azioni di alfabetizzazione presso le varie sedi; • valutare gli strumenti e gli esiti dei percorsi di formazione di vario tipo; • valutare le modalità degli inserimenti scolastici.

Nella progettazione e nella gestione degli interventi educativi, infatti, sono stati messi in evidenza dei punti critici che è bene affrontare sia in fase di rilevazione sia nella fase di attuazione delle iniziative. Qualsiasi progetto educativo che voglia essere

• punto di incontro tra diversità multiformi • lente d’ingrandimento su una condizione esistenziale (del migrante ma al tempo stesso

comune a noi tutti) regolata da ansie e da profondi cambiamenti della realtà di riferimento dovrebbe elaborare le proprie proposte soltanto dopo aver predisposto dispositivi di informazione e orientamento, senza i quali ogni intervento rischia di rendere nulla la propria tensione e i propri sforzi.

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1.5.2. Gestione delle conflittualità Quando ci si viene a trovare di fronte a differenze culturali considerate significative sul piano dei valori dai membri delle culture di riferimento, si creano conflitti di relazione oltre che giuridici e politici. Sul piano dei valori, l’interculturalità non nasce spontanea. Il rispetto, che costituisce l’obiettivo primario per disinnescare le conflittualità, si apprende lavorando su due piani di azione:

• sul piano delle discipline attraverso la riflessione sulla diversità intesa come potenziale energetico della realtà, reso visibile nei vari campi del sapere

• sul piano del metodo attraverso una metodologia di ricerca e di autonomia anziché di informazioni e di contenuti predisposti.

Anche senza la presenza fisica dello straniero, è importante privilegiare forme di apprendimento che rendano i soggetti capaci di relativizzare il proprio sistema culturale. Si attivano strategie di cambiamento intervenendo sulla totalità dei processi di apprendimento (cognitivi, psico-relazionali, sociali). Non sono sufficienti infatti gli appelli morali per gestire in modo interculturale le conflittualità; è necessario entrare nelle ragioni degli altri, e salvaguardarne il diritto al dialogo con le proprie.

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1.5.3. Interculturalità da apprendere. Gli studi delle scienze dell’educazione sostengono che gli apprendimenti, nei loro ritmi e nelle loro strutture, non possono essere determinati dall’esterno. Tanto meno, però, è possibile abbandonare gli apprendimenti alla estemporaneità degli interessi soggettivi. Trasformare qualunque apprendimento da pura assunzione di informazioni a ricognizione delle molteplici forme della società complessa vuol dire facilitare nel soggetto l’acquisizione di parametri di orientamento nella complessità del reale sui piani integrati della soggettività e della oggettività. Per tale scopo è pertanto fondamentale:

• richiamarsi all’interiorità dei soggetti, integrando insieme dinamiche affettive, cognitive, sociali

• avvalersi delle esperienze relazionali più varie. In questo modo le capacità cognitive del soggetto sono ricondotte da una parte a processi di significazione interiore, dall’altra a processi di significazione esterni. Lavorare sul versante della significazione interiore vuol dire far leva sul progressivo integrarsi di percezioni, concetti, giudizi, cui viene conferito senso dalle emozioni, dai sentimenti, dai motivi. L’intersecarsi continuo di questi fattori delinea un percorso educativo e non soltanto apprenditivo che facilita l’orientamento, l’elaborazione dei giudizi, la valutazione delle esperienze. Lavorare sul versante della significazione esterna vuol dire far leva sulla reciprocità relazionale e sulla condivisione degli orientamenti, sulle regole dell’accordo della sintonia sociale, sulla condivisione dei significati.

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1.5.4. L’approccio biografico Quando si parla di approccio biografico in pedagogia, si possono intendere due prospettive differenti: la prima, sviluppatasi da studi di natura psicoanalitica, collega analisi psicoanalitiche con l’osservazione sociologica. La seconda prospettiva è legata al nome di D. Demetrio e lavora molto sui concetti di identità, relazione, complessità, cambiamento. Demetrio individua tre strutture psicologiche cui fa corrispondere tre possibili comportamenti del soggetto migrante: il soggetto migrante può essere integrato, giustapposto, assimilato. La formazione influisce in modo significativo nel determinare questi comportamenti: le occasioni formative attivano processi intenzionali di modificazione e generano variazioni cognitive a livello di modelli di comprensione, a livello di competenze e di mappe mentali (capp.1.2.7., 1.3.2.1, 1.4.3.). La formazione (in particolar modo quando si svolge secondo modalità interculturali includendo anche gli autoctoni) assume le caratteristiche del laboratorio di apprendimento alla conoscenza reciproca, al confronto, alla convivenza. In questo laboratorio, Demetrio individua nell’identità narrativa l’elemento costitutivo di ogni scambio autentico e partecipativo, finalizzato al cambiamento e alla valorizzazione di un sé ritrovato, reso dinamico, condiviso.

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1.6. Il fattore linguistico Il fattore linguistico è un potente discriminante nel campo degli apprendimenti e della formazione. Emilio Gadda ha definito la lingua “specchio del totale essere, cospirazione di forze, intellettive o spontanee, razionali o istintive, che promanano da tutta l’universa vita della società”. In una società sempre più multilingue e multirazziale i bisogni di apprendimento linguistico si muovono nelle due direzioni complementari dell’espansione e dell’approfondimento, nella consapevolezza che l’espansione della propria cultura e di della propria identità attraverso la costante mediazione con le altre culture e con gli altri soggetti è preclusa, se si sottovaluta l’importanza che ha l’approfondimento dei mondi vitali su cui poggia la costruzione delle proprie e delle altrui esperienze di base. L’intervento glottodidattico misura la sua validità sulla armoniosa ripresa delle differenze e sulla sua capacità di valorizzare

-la pluralità dei cambiamenti all’interno dei soggetti, -il potenziale esplorativo dei soggetti stessi, -la disponibilità dei soggetti di mettere alla prova i propri investimenti e le proprie aspirazioni,

facendo i conti con tutta una serie di bisogni che chiamano in causa competenze scientifiche, sociali, educative.

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1.6.1. Un modello di apprendimento per la centralità dell’uomo I processi di crescita linguistica e la funzione formativa di ogni apprendimento costituiscono un tutto organico nella unitarietà del soggetto. E’ dunque utile privilegiare un approccio che (capp. 9.4.2. e 9.4.3).

• rispetti le storie del soggetto e le sue capacità cognitive, emozionali, motivazionali, • miri all’interiorizzazione di regole generative e non all’apprendimento di norme (cap. 9.3.3.)

o alla produzione di abiti mentali (cap. 9.4.1.), • colga la centralità dell’uomo, dalle sue esperienze fino alle sue aspirazioni, • valorizzi la specificità individuale nella gestione dei relativi patrimoni culturali.

Di conseguenza, la competenza (modulo 7) viene a definirsi come una padronanza cognitiva sia linguistica sia pragmatica, in cui il ruolo dei fattori affettivi, profondi, personali, è tutt’uno con gli altri fattori, per un insegnamento-apprendimento fortemente connotato dalla relazione, che incide sulla strutturazione profonda (capp.1.1.2.4. e 1.1.2.7.) della personalità del soggetto.

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1.6.2. Comunicazione interculturale La comunicazione interculturale è costituita dall’interazione delle competenze comunicative differenti dell’autoctono e dello straniero, che entrano in relazione provenendo da sfondi culturali differenti. La comunicazione interculturale ha due fondamentali caratteristiche:

• la mancanza di condivisione dei codici • la reciprocità (capp. 1.1.2.4., 1.1.2.5.e 1.5.3.) della relazione

Lo scenario comunicativo viene regolato nei tempi, nei modi, nei contenuti sia dall’autoctono sia dallo straniero; il rapporto comporta infatti l’impossibilità di ricorrere ai percorsi comunicativi abituali (in cui l’autoctono sarebbe dominante), in questo caso inefficaci perché non condivisi. Apprendere secondo modalità interculturali significa riflettere criticamente sulle proprie modalità comunicative, anche attraverso gli occhi dell’altro, per valutare le consonanze ma anche le dissonanze che possono facilitare oppure ostacolare la relazione, per la costruzione di un teatro d’azione e di condivisione.

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1.6.3.Bambini migranti: problemi di apprendimento linguistico L’apprendimento della lingua è condizione indispensabile per l’inserimento positivo dei bambini nella società e come tale è al centro delle preoccupazioni della scuola. Le attenzioni sono state in un primo tempo rivolte alla lingua seconda (la lingua di accoglienza), mentre la lingua materna veniva raramente considerata una risorsa, più spesso un ostacolo all’apprendimento. Oggi si sostiene che il bambino immigrato è un bambino bilingue e ha il diritto di essere sostenuto nel suo bilinguismo. Un bambino che è bilingue in senso sottrattivo, o che è diventato monolingue per vergogna della sua lingua-cultura di origine, paga costi elevati in campo psicologico e in campo cognitivo: l’immagine che gli ritorna di sé è monca, il suo personale sistema di interpretazione del mondo risulta depauperato e sono forti i sensi di colpa per aver tradito il dovere di continuità e di fedeltà alle proprie origini. Secondo ricerche condotte in diversi Paesi, per un bambino che cresce nella condizione di migrante la cosa più difficile non è tanto riuscire a conciliare dentro di sé due sistemi linguistici e quindi due identità diverse, quanto riuscire ad occupare uno spazio proprio, non marginale e non emarginato, nei due sistemi linguistici e nei due mondi di appartenenza.

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1.6.3.1.Bambini migranti: politiche di accoglienza Studi recenti hanno dimostrato che i bambini migranti non si adattano più facilmente e non hanno maggiori possibilità di inserimento degli adulti. Il disadattamento sarebbe manifestazione e conseguenza della frequente situazione di sradicamento e di marginalità socio-culturale vissuta dalla famiglia nel Paese di accoglienza. Le politiche educative e scolastiche in favore dei minori immigrati rispondono a questa domanda di inserimento educativo sostenendo che l’apprendimento della seconda lingua non deve essere penalizzante e disgiunto dal mantenimento e dallo sviluppo della lingua-cultura di origine. Nei differenti Paesi europei sono variamente presenti tre modelli di accoglienza per l’apprendimento della seconda lingua:

• classi preparatorie • sostegno • classi bilingue

Le politiche educative presentano dunque interventi differenziati; vengono comunque via via articolati interventi che rispondono ai seguenti requisiti:

-valorizzazione delle differenze; -recupero intensivo della lingua materna in direzione del recupero delle identità perdute; -riconoscimento dell’uguaglianza delle lingue, anche quelle delle minoranze, riconoscimento che può portare anche ad utilizzarle nella quotidianità dei servizi.

In conseguenza di ciò, nei programmi educativi si mette l’accento sui seguenti aspetti, che tuttavia non risultano tutti privilegiati allo stesso modo in ogni Paese:

• insegnamento intensivo della lingua seconda parallelo al recupero altrettanto intensivo della lingua madre;

• eliminazione di elementi di pregiudizio nei manuali e nei materiali per l’apprendimento; • modificazioni delle discipline; • formazione degli insegnanti; • riconoscimento e insegnamento della lingua di minoranza.

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1.6.4. Quale lingua per l’immigrato adulto Con l’immigrato adulto più che mai si lavora sulla formazione linguistica prendendo in carico dimensioni varie dell’esperienza. I contenuti vanno definiti direttamente dai vissuti dei corsisti e l’obiettivo principale non è l’acquisizione di un ipotetico modello di lingua standard, dal momento che sapere una lingua significa essere in grado di comunicare, di relazionarsi, di interagire con altri soggetti secondo determinati modelli socio-culturali. Anche per quello che riguarda più specificamente la lingua, sono indicative le ipotesi formulate da molti studiosi a proposito di un concetto come l’interlingua. Oggi la lingua dell’immigrato non è considerata come un insieme di errori e devianze più o meno pesanti rispetto a un modello astratto di lingua, ma piuttosto un vero e proprio sistema operante di comunicazione, da cui il soggetto può giungere a gradi sempre maggiori di competenza. Non più un debito, insomma, ma una risorsa. Le ricerche sperimentali dicono che è possibile mettere a frutto questa risorsa se si rispettano le seguenti esigenze:

• corsi diversificati; • attenzione a tutto l’insieme dei linguaggi; • rispetto del silenzio (capp.9.4.3.3. e 9.4.3.5.); • costituzione di moduli di alfabetizzazione per i corsisti analfabeti; • centralità delle esperienze quotidiane;

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1.6.4.1. Quale lingua apprende naturalmente l’immigrato adulto La lingua appresa dall’immigrato è una lingua derivata e in un certo senso deviante, ma non abbastanza da costituire un codice autonomo. La lingua appresa naturalmente dall’immigrato ha le seguenti caratteristiche:

1. la fossilizzazione 2. la semplificazione e la riduzione 3. l’ipergeneralizzazione 4. l’appello continuo al testo

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1.6.4.2. Immigrati come studenti di lingua La situazione dell’immigrato come studente di lingua pone alcuni problemi specifici sia sul piano degli obiettivi sia sul piano delle tecniche da privilegiare. E’ stata proposta una formazione linguistica pragmatica che non si disgiunga dall’orientamento sociale e dalla conseguente riaggregazione degli immigrati come minoranza attiva. Il primo obiettivo è ricomporre (in tutte le competenze e attraverso la creazione di un transfer fra i momenti dell’aula e della vita) la frattura fra l’esclusività dell’esperienza individuale e l’azione nel mondo. A questo proposito, ricordiamo che la lingua è stata considerata una delle maggiori caratteristiche di identificazione sociale dell’individuo. Imparare una lingua non è apprendere su e intorno a qualcosa, ma è piuttosto acquisire gli elementi simbolici di una comunità etno-linguistico-culturale diversa dalla propria (capp. 1.2.7., 1.4.2., 1.5.4.).

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1.6.4.3. Cosa proporre: strategie e strumenti. Strategie. I saperi alla cui acquisizione deve mirare l’azione didattica sono molteplici. L’intervento didattico deve sollecitare il desiderio di sfruttare le potenzialità espressive della nuova lingua per capire, far capire, far sentire e sentirsi, collegando alle parole pensieri e sentimenti. Pertanto il marchio che caratterizza le attività utili da proporre è l’intenzionalità degli atti linguistici, sia nelle attività interattive, sia nelle attività monodirezionali. Quello che conta prima e più di tutto è coinvolgere la sfera intenzionale ed esistenziale e cercare di far maturare nel soggetto la consapevolezza che è anche con la parola che è possibile modificare il mondo. Strumenti. Riguardo ai testi, è fondamentale che abbiano una buona leggibilità (capp. 6.5. e 6.6.) Riguardo ai modelli culturali, è bene che il docente abbia ben chiaro che avere visioni culturali comuni non vuol dire senz’altro pensarla allo stesso modo. Riguardo alla difesa dei ruoli, il docente deve poter mantenere il suo ruolo e non può rivestire a seconda dei bisogni la figura dell’assistente sociale o altro. La risposta alle urgenze di vita passa attraverso la formazione; il docente non può essere che un catalizzatore culturale e un orientatore sociale.

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1.7. Luoghi e attori della pedagogia interculturale Il nuovo indirizzo ha rivisitato l’intero apparato pedagogico, aprendo una strada che vede oggi privilegiati i concetti di cambiamento e formazione, nella ricerca dei fattori di apprendimento e non, che possano contribuire a riordinare i vissuti in modo personale, in direzione di un apprendimento continuo quale è oggi quello che non si gioca più soltanto all’interno della scuola, non più luogo privilegiato preposto all’educazione. Nell’occidente post-industriale il sistema formativo (pur riconoscendo il ruolo della famiglia nell’educazione e l’importanza della scuola) guarda con attenzione alle valenze formative del mondo del lavoro, della quotidianità e dell’esperienza, del turismo, del gruppo dei pari. Visto che i luoghi dell’apprendimento sono i più diversi, si è sentita la necessità di distinguere i processi formativi facenti parte del cosiddetto sistema educativo policentrico integrato a seconda dei percorsi formativi nei quali si realizzano: formale, non formale, informale. Sono questi gli spazi che costituiscono lo scenario attivo e interagente in cui l’idea di intercultura può riuscire o meno a favorire processi di partecipazione, di apprendimento, di solidarietà, di realizzazione e di espansione delle proprie umane risorse.

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1.7.1. Pedagogia interculturale nel sistema educativo formale Paragonare le due idee guida espresse nelle circolari del Ministero della Pubblica Istruzione del 1989 e del 1990 sulle tematiche interculturali risulta esemplificativo del percorso compiuto dalle normative scolastiche. Nel 1989 le tematiche dell’interculturalità sono essenzialmente compensative, finalizzate al tema specifico dell’inserimento dell’alunno straniero. Nella circolare del 1990 le tematiche interculturali sono intese in senso più ampio e sono estese anche agli autoctoni, indifferentemente dalla presenza di alunni stranieri in classe. Dopo 15 anni, se facciamo un bilancio, non possiamo non rilevare incertezze e lentezze della scuola nello sfruttare la proposta dell’interculturalità. La scuola attraversa un momento di travaglio particolare, in questi primi anni del 2000, un travaglio che arriva a metterne in crisi la funzione e le fondamenta. La trasversalità richiesta dall’approccio interculturale si scontra con la pressione dei criteri di economicità, concorrenza, efficienza imprenditoriale; di più, una scuola degli immigrati rischia di essere vista come non sufficientemente competitiva, dato che lavorare secondo paradigmi interculturali non paga nelle brevi distanze, non consegna certezze e norme, ma significa offrire strumenti di conoscenza e insieme possibilità sempre nuove di entrare in rapporto con gli altri, nella consapevolezza che perimetrare il proprio essere nel mondo non deve essere sinonimo di chiusura, ma piuttosto di ridiscussione continua nel rispetto delle proprie più autentiche aspirazioni.

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1.7.2. Nuovi spazi per l’educazione Le nuove discipline e i nuovi statuti per costruire un nuovo modello di cultura e di società civile rischiano di restare lettera morta, senza l’impegno di tutti (scuola, famiglia, associazioni, chiesa e politica, sindacato e lavoro) a tutti i livelli. I profondi cambiamenti della società offrono alla pedagogia un ruolo primario nella definizione di un sistema formativo che si dipana nelle tre aree educative (formale, non formale, informale capp. 1.1.2.8. e 1.7.) ognuna fornita di pari dignità e con specificità propria. La formazione dei soggetti, infatti, avviene sempre nell’ambito di un contesto variamente segnato da presenze e risorse educative, in modo esplicito o implicito. D’altra parte, la scuola non può da sola intervenire su una realtà multiculturale per la costruzione di una società interculturale; è necessario che la cultura tutta della società (e tra i primi quella prodotta e consumata attraverso gli strumenti di comunicazione) offra riscontri positivi e impegni in sinergia per lo sviluppo di nuove forme di convivenza. L’educazione interculturale è una finalità educativa generale capace di dare significato a un progetto pedagogico che ha trovato il suo principio regolatore nell’educazione permanente. L’accento posto sull’educazione permanente proietta definitivamente il concetto di intercultura nel campo dei cambiamenti e delle disposizioni alla ridefinizione degli orizzonti esistenziali di ognuno, in riferimento a conoscenze nuove e competenze sempre più evolute, ma soprattutto in riferimento a nuove dimensioni di senso. Capp. 1.1.2.6., 1.4.3. e 1.5.3.

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1.7.3. Professione insegnante: nuove prospettive E’ stato tracciato un profilo del docente competente di intercultura. Risultano in primo piano caratteristiche strettamente interagenti tra loro:

1. capacità, abilità e conoscenze 2. caratteristiche della personalità

Più in particolare, queste caratteristiche corrispondono alle competenze personali e specifiche, alle capacità e al metodo, nonché all’esperienza e alla pratica all’estero o con stranieri, alle conoscenze linguistiche. E’ pur vero che le forme tradizionali dell’istituzione scuola reagiscono molto lentamente alle trasformazioni, con relative difficoltà (anche per gli insegnanti che rispondono ai requisiti di cui sopra) nell’esercizio della loro professione. L’insegnante pertanto si trova nel ruolo di agente di cambiamento; per ricoprire questo ruolo in maniera costruttiva e soddisfacente, sono necessarie alcune abilità-chiave, al di là delle conoscenze disciplinari: sono capacità di

• comunicazione e di cooperazione, • flessibilità e creatività, • pensiero dialogico, (capp. 1.1.2.5. e 1.1.2.7.) • autonomia, • risoluzione dei problemi, • transfer.

Ultima ma non meno importante la disponibilità ad imparare. Il confronto dunque con le proprie capacità di natura socio-affettiva costituisce per l’insegnante il capitale umano che gli permette di usufruire di competenze e conoscenze in senso autenticamente pedagogico.

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1.8.Bibliografia La nota bibliografica non è esaustiva, e si propone soltanto di offrire delle indicazioni per un primo approfondimento delle tematiche affrontate nel presente modulo. AA.VV., Pedagogia interculturale. Problemi e concetti, La Scuola, Brescia 1992 Balboni P.E., Parole comuni, culture diverse, Marsilio, Venezia 1999. Bettini M. (a cura di), Lo straniero, ovvero l’identità culturale a confronto, Laterza, Bari 1992 Damiano E., Homo migrans. Discipline e concetti per un curricolo di educazione interculturale a prova di scuola, Franco Angeli, Milano 1998 Demetrio D.(a cura di), Per una didattica dell’intelligenza. Il metodo autobiografico nello sviluppo cognitivo, Franco Angeli, Milano 1996 Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina, Milano 1996 Demetrio D., Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione a scuola. Idee per chi inizia, Meltemi, Roma 1997 Demetrio D. (a cura di), Nel tempo della pluralità. Educazione interculturale in discussione e ricerca, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997 Demetrio D.-Favaro G., Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1993 Favaro G., Il mondo in classe, Nicola Milano, Bologna 1992 Favaro G.-Colombo T., I bambini della nostalgia, Arnoldo Mondatori, Milano 1993 Massimeo F.-Portoghese A-Selvaggi P. (a cura di), Mediterraneo-Europa. Dalla multiculturalità all’interculturalità, Pensa, Lecce 1997 Nigris E. (a cura di), Educazione interculturale, Bruno Mondadori, Milano 1996 Pinto Minerva F., L’alfabeto dell’esclusione. Educazione, diversità culturale, emarginazione, Dedalo, Bari 1980 Pinto Minerva F. (a cura di), Le parole dell’intercultura, Mario Adda Editore, Bari 1996 Rizzi F.,Educazione e società interculturale, La Scuola, Brescia 1992. Susi F., I bisogni formativi e culturali degli immigrati stranieri. La ricerca-azione come metodologia educativa, Franco Angeli, Milano 1988 Susi F., Come si è stretto il mondo. L’educazione interculturale in Italia e in Europa. Teorie, esperienze, strumenti, Armando, Roma 1999 Titone R., Educazione multilingue ed interculturale, “Dimensione Europea”, 5, 1990, pp.169-182

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Titone R., La personalità bilingue. Caratteristiche psicodinamiche, Bompiani, Milano 1996 Ulivieri S. (a cura di), L’educazione e i marginali. Storia, teorie, luoghi e tipologie dell’emarginazione, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997-1998 Vedovelli M., Gli immigrati stranieri in Italia. Note sociolinguistiche, “Studi Emigrazione” XXVI, 93, 1989, pp. 68-94

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Si tratta di un tipo di pedagogia che intendeva dare risposta ai problemi sociali posti dagli immigrati lavoratori; di tendenza integrazionista e orientata all’assimilazione dei diversi, non si interroga sui bisogni identitari degli immigrati, la cui alterità è vista appunto esclusivamente come problema..

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Page 64: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Si tratta di un approccio che considera le differenze tra le varie culture come legittime; per quanto fondamentale per la costruzione di un atteggiamento autenticamente pluralistico, l’approccio relativista in campo formativo nei rapporti tra immigrati e autoctoni può arrivare al segregazionismo proponendo percorsi educativi autonomi e differenziati.

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Page 65: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ la dimensione interculturale della pedagogia, pedagogia per suo statuto volta a superare la paura della diversità e a ripristinare il valore delle persone e delle esperienze segnate da mutilazioni ed esclusioni, impegnata a sollecitare lo sviluppo multidimensionale dell’uomo, proiettata verso il cambiamento dell’esistente e verso il superamento degli immobilismi culturali. Si tratta della dimensione di cui ci occupiamo appunto nel presente modulo.

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Page 66: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’approccio transculturale valorizza il momento compositivo e i collegamenti trasversali; i collegamenti servono come punto di partenza per riorganizzare gli elementi di distanza e di differenza. L’approccio transculturale prende atto del fatto che le identità che si formano nelle attuali culture sono molto più fluide e complesse, impastate di elementi trasversali e intessute di caratteristiche transculturali accomunanti. Educare alla transculturalità significa far maturare forme di comprensione empatica verso l’intera identità dell’altro e al tempo stesso forme di autodistaccamento e autoironia verso se stessi e il proprio mondo.

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Page 67: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Nell’integrazione sociale è sempre presente il rischio che interferiscano finalità latenti e si perseguano forme strumentali di integrazione e di controllo sociale (cosa che non riguarda soltanto le minoranze etniche). In questo caso non si punta più ad ottenere nuovi orizzonti culturali per la crescita delle persone; si vuole ottenere invece il loro adattamento. Di conseguenza l’obiettivo reale risulta essere l’omologazione sociale e culturale e viene gestito un potere più che un servizio. E’ invece necessario individuare in ogni azione formativa obiettivi e valori condivisibili se non si vogliono suscitare disposizioni di passività o di ostilità. Nel caso della passività avremo una risposta adattiva con motivazioni intrinseche ridotte e conseguente conformismo, oppure una risposta opportunistica e utilitarista. Nel caso dell’ostilità ci saranno forme di rifiuto, di autosegregazione e deresponsabilizzazione, tanto da rendere impossibile persino il confronto.

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Page 68: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

A proposito di trasformazione, è interessante lo sviluppo della discussione negli Stati Uniti, all’interno del cui sistema scolastico non si parte più dal presupposto di bambini stranieri o bambini immigrati. Si parla invece di studenti che a causa di diversi fattori sono minacciati più di altri da insuccessi scolastici e si ricorre all’espressione “at risk student”, evidenziando con questo che non si parte dal presupposto del deficit dello studente, ma dal rischio di un fallimento a cui è esposto, per il quale si richiede l’impegno e l’aiuto del sistema formativo.

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Page 69: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Si parla di pedagogia interculturale come scienza a vocazione trasversale e interdisciplinare (come del resto avviene anche per la pedagogia generale) perché la pedagogia interculturale:

• Ha collegamenti e sovrapposizioni con scienze confinanti, come ad esempio la pedagogia comparata e la pedagogia del 3° mondo;

• Deve tenere conto di approcci e risultati delle ricerche sociologiche, psicologiche, linguistiche, antropologiche;

• Si trova ad operare al centro degli sviluppi politici e sociali di livello locale e mondiale allo stesso tempo.

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Page 70: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La pedagogia che dopo la seconda guerra mondiale ha seguito una linea di sviluppo e di ricerca a sostegno dei paesi svantaggiati è stata denominata “pedagogia del 3° mondo”.

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Page 71: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ sopravvissuta giusto in questi interessi, seppure con metodologie e finalità oggi totalmente diverse, la pedagogia per stranieri (capp. 1.1.1.2. e 1.2.1.) che negli anni ’60 si batteva sul piano politico per il raggiungimento dei diritti di cittadinanza e per la partecipazione degli immigrati, minoranza subordinata, alla vita politica, nell’intenzione di regolarizzarne il rapporto con gli autoctoni dominanti.

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Page 72: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’unificazione europea ha assunto un aspetto decisamente economico, trascurando spesso il versante educativo. In questo settore di ricerca si inseriscono tutti i programmi e i progetti che dovrebbero segnare l’avvento dell’Unione Europea nel campo della formazione e degli incontri in ambito scolastico ed extrascolastico.

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Page 73: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La risposta pluriculturale afferma l’irripetibilità e l’autonomia di ogni cultura; il compito di una educazione pluriculturale si prospetta come sensibilizzazione alle molteplici culture presenti in una determinata società e nazione e al loro insegnamento.

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Page 74: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La risposta transculturale valorizza strategie educative che puntano sugli elementi culturali comuni, sui cosiddetti universali della cultura, che definiscono l’essere umanità. Questo sforzo di fondazione dell’umano ha favorito il concretizzarsi di un sistema di valori (sia formali come ad esempio il rispetto, sia contenutistici come ad esempio la pace) che risultino condivisibili e condivisi (come il valore della persona, la libertà di pensiero, ecc.), allo scopo di realizzare una comunicazione autentica, improntata alla dialogicità, e fondata sul riconoscimento di alcune costanti nella visione ontologica della vita umana (come la spiritualità, la storicità, la trascendenza, ecc.).

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Page 75: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Caratteristica fondante dell’universalismo è la presenza di assoluti epistemologici e morali.

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Page 76: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il relativismo si fonda su idee di valore delle culture e delle persone in senso di sviluppo e aiuta a uscire da un mondo falsamente naturale ed omogeneo.

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Page 77: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La reificazione delle culture favorisce la fissazione delle differenze, riducendo le culture stesse a semplici stereotipi. La cultura è invece evento complesso e in perpetuo movimento e l’educazione interculturale intende valorizzarne la complessità e la contestualizzazione.

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Page 78: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Obiettivi dell’educazione interculturale rispetto al concetto di identità sono: • valorizzare la cultura di origine e condurre alla coscienza dell’appartenenza; • valorizzare le persone nella loro singolarità e globalità evitando di imporre un’immagine

differente da quella che hanno di sé; • valorizzare le risorse di ognuno perché possa sviluppare capacità di adattamento, relazione,

innovazione.

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Page 79: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il senso di identità si sviluppa nella fiducia e nella coscienza storica della propria appartenenza a un gruppo; a sua volta questa coscienza e questo senso di sé si modificano e si sviluppano in relazione agli altri e ai rapporti istaurati.

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Page 80: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Nominare alcuni individui come marocchini o albanesi è una strategia che ha la pretesa di riflettere caratteristiche reali e oggettive, ma in realtà colloca tali caratteristiche come fatti socialmente significativi.

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Page 81: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I nomi non sono designatori neutrali e ne siamo tutti chi più chi meno consapevoli. In parole come neri si sono sedimentate connotazioni che ce ne suggeriscono una certa cautela d’uso.

Torna al paragrafo 1.1.2.2

Page 82: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’individuo ha esperienza di sé in quanto tale attraverso le opinioni degli individui dello stesso gruppo sociale: il processo di identità mette in opera la capacità di riconoscersi simile agli altri e di affermare insieme la propria differenza come individuo. Il riconoscimento e la definizione di sé, dunque, non sono separabili dal riconoscimento messo in atto dagli altri nei nostri confronti. Questo porta tre conseguenze:

1. non è possibile costruire la propria identità indipendentemente dall’identificazione che ne fanno dagli altri.

2. l’identificazione poggia su un sistema di relazioni reciproche che costituiscono la solidarietà di un gruppo.

3. si crea una tensione costante tra la percezione che abbiamo di noi stessi e il riconoscimento degli altri. L’identità è l’equilibrio mai raggiunto di questa tensione, è azione e trasformazione in cui individualità, pluralità di appartenenze e molteplicità di linguaggi convivono e si esprimono.

Torna al paragrafo 1.1.2.4

Page 83: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le forme di una cultura sono i processi mediante i quali all’interno di quella cultura si organizzano gli aspetti del pensiero e i modi dell’affettività.

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Page 84: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’interdipendenza significa che l’insieme degli elementi di una cultura, e quindi il suo equilibrio globale, sono mutabili attraverso la modificazione di uno o più elementi. Anche una sola modificazione “costringe” l’intero insieme a evolversi, perché non è più lo stesso.

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Page 85: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le culture (o le persone) che costituiscono i poli della relazione hanno un rapporto variamente asimmetrico, a seconda che si valorizzino contesti storici, sociali, politici, economici, ecc. Si avranno asimmetrie tra cultura di accoglienza e cultura di immigrazione, tra società dominante e società dominata, tra cultura con una storia giovane e cultura con una storia millenaria, tra cultura tecnologicamente all’avanguardia e cultura tecnologicamente arretrata. E non è detto che l’asimmetria giochi a vantaggio di una stessa cultura in tutti i contesti: tecnologicamente vincente, potrebbe risultare per esempio svantaggiata nel contesto del patrimonio storico, o etico, ecc.

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Page 86: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Gli aspetti simbolici di una cultura sono più difficili da trasferire di quelli tecnici e materiali, perché risultano meno visibili e comunicabili.

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Page 87: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ possibile attribuire significati antichi a elementi culturali nuovi ed è anche possibile che valori nuovi trasformino il significato culturale di elementi antichi. Basti pensare al riconoscimento della famiglia gay.

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Page 88: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La cultura è opera dell’uomo e oggetto di cambiamento da parte degli uomini a seconda del loro sviluppo; tuttavia esistono limiti alla possibilità dell’uomo di manipolare e trasformare la cultura. Sono ragioni nascoste di natura biologica, sociale, psichica, influenzate e definite dall’eredità delle generazioni precedenti, che guidano l’inconscio sociale e sono state definite leggi della memoria.

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Page 89: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Ognuno è portatore di un frammento di cultura, al quale imprime caratteristiche sue proprie. La cultura non è che un’astrazione: i contati avvengono tra individui.

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Page 90: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Possono costituire ostacolo all’operazione inter-culturale compiuta dal soggetto: • sia la gelosia e il convincimento della superiorità della propria cultura, che si intende

difendere e conservare integra e pura a tutti i costi, • sia il sentimento di nostalgia per la propria cultura che è debole nell’ufficialità dei rapporti

ma forte perché legata ai vissuti personali, alle origini, agli affetti.

Torna al paragrafo 1.1.2.6

Page 91: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le concezioni relativiste sono l’espressione di una società al cui interno la difendibilità dei valori è sempre più incerta, visto che sempre più numerosi e diversificati sono i valori stessi. Le concezioni relativiste esaltano di ogni cultura

• il suo valore in sé • la sua irriducibilità • la definizione dei suoi modelli culturali come prodotto proprio ed esclusivo.

E’ evidente che il dialogo non è praticabile in una concezione universalistica chiusa; meno evidente ma possibile il rischio che l’atteggiamento relativista possa chiudere il discorso in universi paralleli, dove si relativizzano tutte le posizioni e dove dunque il dialogo è ugualmente impossibile.

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Page 92: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Si tratta di immigrati adulti soli o con famiglia, non sempre provenienti da realtà economicamente e formativamente povere, oppure di minori di prima o di seconda generazione, o ancora di pendolari dell’immigrazione. All’interno della scuola e delle istituzioni formative la fascia di età più rappresentata è quella tra 1 e 12 anni.

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Page 93: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Ricordiamo, tra le altre patologie che interessano gli apprendimenti, la sindrome della conoscenza proibita. Si tratta del rifiuto più o meno netto della cultura di accoglienza, negata in nome del ricordo imperativo della cultura di origine. L’interesse e lo studio della cultura nuova vengono sentiti più o meno inconsciamente come un tradimento della propria cultura e della propria identità.

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Page 94: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

All’interno di una concezione pedagogica che si pone come referente di una società educante nella sua totalità, si è soliti dividere il sistema educativo in tre settori, tutti e tre ugualmente importanti per la formazione della persona: sistema formale, sistema non formale, sistema informale:

1. il sistema formale è statalmente certificato, istituzionalizzato, organizzato in un contesto ad hoc e quindi determinato nella durata e definito negli spazi in cui ha luogo; privilegia principi astratti, utilizza modelli pedagogici e curricolari espliciti, ha motivazioni sociali deboli;

2. il sistema non formale si svolge al di fuori delle strutture di istruzione o di formazione e non porta a qualifiche riconosciute;

3. il sistema informale è caratteristico del quotidiano e non è necessariamente intenzionale: è la vita stessa nel suo dipanarsi e nei suoi contatti e relazioni con la famiglia, il lavoro, il gruppo dei pari, ecc. Privilegia inoltre l’esempio pratico, utilizza modelli impliciti; ha motivazioni sociali intrinseche fortissime, cioè imparare a “fare” ed entrare a far parte della società.

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Page 95: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Per quel che riguarda l’handicap, ricordiamo che l’Italia, in anticipo rispetto ad altri paesi europei, già dagli anni ’70 ha promosso l’integrazione dei diversamente abili nel sistema formativo, indirizzando successivamente gli interventi a una radicale ristrutturazione del complesso scolastico e all’istituzione di corsi di formazione del corpo docente.

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Page 96: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Gli stessi diritti vanno dal diritto di apprendere/approfondire/coltivare la lingua-cultura di provenienza, fino al diritto di praticare la religione nelle strutture proprie di ciascuna religione e secondo le modalità più idonee.

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Page 97: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

A questo proposito risulta utile ricordare la differenziazione che è stata fatta tra due tipologie di nazioni, a seconda della loro origine e formazione:

- tipologia democratico-rivoluzionaria: sottolinea l’importanza del contratto sociale tra i cittadini, come base dei loro diritti, della loro libertà e dei loro doveri, indipendentemente dalle loro diversità (come la Francia, nata dalla Rivoluzione Francese)

- tipologia nazionalistica: deduce la solidarietà da una eredità culturale comune e omogenea.

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Page 98: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Basti pensare all’esperienza dei campi di sterminio, dove la coscienza dei persecutori è del tutto dissociata dalla sorte delle vittime, totalmente straniere e addirittura non-umane.

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Page 99: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Ogni razzismo si basa su concetti e astrazioni che non sono fatti di volti e di persone, ma di masse anonime. Quando il singolo emerge dalla folla, la percezione della sua umanità fa scattare un senso di ri-conoscimento, di com-passione e di solidarietà. La massa può essere facilmente identificata con il nemico: infatti ogni educazione politica che voglia ottenere il disprezzo dello straniero cerca di accentuare le distanze, di impedire che nella folla si scorga il volto delle persone.

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Page 100: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La rivalutazione della memoria è fondamentale per salvaguardare la persona che è in ogni uomo. Senza storia non c’è umanità, non ci sono prospettive né futuro; senza memoria (di sé, del proprio vissuto, della propria terra, della propria cultura di origine, ecc) l’uomo è ridotto a pura sopravvivenza, in continua lotta per la sopraffazione, e non potendo guardare oltre all’oggi perde la capacità di sognare e ogni senso di progettualità. E’ più facile considerare non-uomo un essere senza memoria.

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Page 101: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il razzismo si alimenta di fattori visivi che danno forza al pensiero traducendo in immagini i paradigmi:

● chi è lontano è un estraneo ● l’estraneo è brutto ● il nemico è brutto ● l’estraneo è brutto e nemico

Il primo paradigma esprime il meccanismo della “produzione sociale della distanza” e spiega come la distanza visiva crea estraneità. L’educazione antirazzista si propone di intervenire sul fattore visivo come sostegno alla costruzione di atteggiamenti solidali con il diverso. Basta pensare alle possibilità offerte dall’utilizzazione intelligente del video come medium che annulla le distanze, o all’utilizzo del computer come medium partecipativo attraverso la rete informatica.

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Page 102: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’interazione interculturale è binaria perché sia gli autoctoni sia gli altri procedono di pari passo verso lo scopo comune, che è il successo del progetto educativo e formativo.

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Page 103: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’integrazione è biunivoca perché sia gli autoctoni sia gli altri rinunciano naturalmente a qualche elemento proprio e acquistano qualche elemento dell’altro.

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Page 104: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La pedagogia interculturale si prefigge di individuare le azioni educative e i mezzi più idonei perché il soggetto in apprendimento, nel momento in cui viene a rinunciare a qualcosa della sua appartenenza “altra”, sia messo in grado di acquisire meglio e più velocemente e stabilmente possibile gli elementi indispensabili per essere accettato e riconosciuto come parte integrante appunto della nuova realtà, in grado di comunicare, di organizzarsi, di muoversi con autonomia e di trasformare a sua volta quella stessa nuova realtà.

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Page 105: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Quello che fa perdere in dogmaticità l’educazione interculturale lo restituisce in ricchezza di capacità connettive e di giudizio, oltre che in complessità e in evoluzione positiva sia della mentalità sia dei sistemi di relazione. La pedagogia interculturale difende insomma i diritti comuni e l’uguaglianza, contemporaneamente al diritto alla differenza e all’alterità.

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Page 106: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ possibile lavorare per l’interazione: -evidenziando la positività delle differenze, in contrasto alla standardizzazione e alla massificazione; -svelando pregiudizi e stereotipi, anche latenti; -promuovendo scambi culturali, epistolari, informatici; -presentando temi rintracciabili come costanti nelle culture diverse.

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Page 107: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ possibile lavorare per l’integrazione: Con i soggetti stranieri:

-allestendo condizioni di accoglienza e climi favorevoli; -accentuando l’attenzione ai mezzi e alle strategie di facilitazione per l’apprendimento; -promovendo attività di apprendimento disciplinare centrati su contenuti di cui gli stranieri sono evocatori ed esperti.

Con i soggetti autoctoni: -scardinando l’immagine dello straniero esclusivamente povero e bisognoso e richiamando elementi di prestigio delle culture altre; -evocando sistematicamente il maggior numero di esempi che richiamano alla mondializzazione che stiamo vivendo; -valorizzando lingua e senso estetico della cultura dei diversi Paesi attraverso i prodotti letterari, poetici, musicali che essa ha realizzato.

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Page 108: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Tramite queste scienze, è stato problematizzato il ruolo che cultura e linguaggio hanno nella identità personale e del gruppo di appartenenza, sono stati confrontati i concetti di uguaglianza e differenza, si sono poste le basi per la valorizzazione della pratica del decentramento. E’ stato approfondito il ruolo dei luoghi e dei processi della socializzazione, con l’impegno di valorizzarne la loro valenza più razionale ed emancipativa, in vista dell’elaborazione di un modello educativo capace di integrare ed esaltare le potenzialità dei differenti luoghi della formazione (nei momenti sia formali, sia non-formali, sia informali ).

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Page 109: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Gli studi psicologici offrono stimoli per una visione plurale dell’intelligenza dell’uomo, che viene attivata in molteplici forme e in molteplici stili cognitivi e apprenditivi, ed è costituita di pensiero e affettività, di logica e di fantasia. La psicologia sociale, in particolare, con i suoi studi sul pregiudizio e sullo stereotipo, è risultata molto fertile di suggerimenti sia sul piano dell’analisi, sia sul piano delle pratiche pedagogiche.

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Page 110: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il confronto con la filosofia costituisce lo sfondo al rinnovamento dei saperi in direzione di una ragione aperta e plurale nell’esercizio di una matura razionalità critica.

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Page 111: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le sedi della socializzazione sono la famiglia (sede primaria), la scuola, la città, tutte coinvolte e condizionate dal processo di socializzazione diffusa esercitato dal sistema mass-mediale. Le analisi della sociologia sui fattori di rischio impliciti nelle forme di socializzazione sono state utilizzate in chiave problematica dalla pedagogia per elaborare progetti di intervento che

• valorizzino al massimo le potenzialità positive delle sedi della socializzazione • ne esaltino la specificità formativa • individuino le strategie di raccordo più utili per la predisposizione di un sistema formativo

integrato e permanente.

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Page 112: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’appartenenza a una cultura non dovrebbe dipendere dalle razza, dalla religione, dall’origine culturale, dalla visione del mondo, ma dalla cittadinanza. La nuova cultura mista prevede una società pluralistica e democratica che si fonda su un sistema di diritti e doveri civili, che deve essere accettato da tutti e che tutti sono chiamati a tutelare, maggioranze e minoranze.

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Page 113: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Lo status è l’attribuzione di una determinata posizione all’interno di un sistema sociale. Il sistema, per funzionare, ha bisogno di un consenso minimo nell’attribuzione degli status a individui o gruppi, pena inevitabili conflitti per l’acquisizione degli status stessi. L’attribuzione dello status sociale è uno degli elementi fondanti l’identità dell’individuo, e nelle società moderne post-industriali è un processo costante e continuo che avviene soprattutto sulla base di criteri (livello di istruzione, professione, ecc.) determinabili almeno in parte dall’individuo, perché dipendono dalle sue decisioni e dalle sue prestazioni; nelle società tradizionali, invece, l’attribuzione dello status è influenzata in modo preponderante da fattori (età, sesso, ecc.) non determinabili individualmente. I criteri che nella nuova cultura definiscono lo status del migrante sono differenti da quelli della cultura di provenienza, quindi lo status ricoperto nel paese di origine non vale più; tra gli effetti della migrazione, infatti, bisogna mettere in conto anche l’attribuzione di uno status diverso rispetto a quello che contribuiva alla sicurezza della propria identità.

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Page 114: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

In questo modello, integrazione corrisponde in realtà ad assimilazione: per diventare simili è necessario rinunciare ai propri usi e costumi e adeguarsi passivamente alla cultura, ai valori, alle norme della maggioranza. Nel modello monoculturale la nota forte è la conformità tra popolo, nazione, Stato, e l’unitarietà e la purezza del popolo e della cultura.

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Page 115: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

In questo modello, integrazione corrisponde a compresenza, coabitazione. Le diversità culturali vengono tollerate, ma non c’è scambio tra culture, ogni gruppo conserva le proprie caratteristiche. Questo modello è frutto di una concezione statica di società e di cultura. Tutto funziona bene finché i gruppi rispettano i loro ruoli e non sconfinano dai limiti della macchia che è stata loro assegnata nel patchwork.

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Page 116: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ il modello più rispondente alle caratteristiche dell’educazione interculturale. Diversi elementi provenienti da diverse culture con-corrono a formare una nuova cultura mista.

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Page 117: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’affermazione che tutti gli uomini possiedono gli stessi strumenti concettuali (affermazione dimostrata ampiamente tramite ricerche empiriche e sperimentali) può sembrare scontata. Tuttavia non troppi anni fa tesi pseudo-scientifiche attribuivano modalità di pensiero e azione “pre-logiche” (qualitativamente inferiori) a chi non faceva parte dell’occidente. Questa inquietante posizione sulla diversità qualitativa delle intelligenze umane potrebbe favorire quello che è stato chiamato etnocentrismo formativo, volto a riservare agli altri soltanto alcuni apprendimenti e agli indigeni i percorsi migliori e più completi.

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Page 118: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Fare pedagogia interculturale non è soltanto educare alla differenza, ma alla transitività cognitiva, per costruire un pensiero autenticamente migrante, capace di scambiare progetti e ipotesi, di difendere identità proprie e identità altre, opponendosi a quelle visioni monoculturali che continuano a caratterizzare i più ampi e vari contesti della nostra cultura.

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Page 119: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Operare nella zona di sviluppo potenziale significa promuovere il passaggio a una mentalità in cui è importante non ciò che il soggetto sa fare, ma ciò che può fare.

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Page 120: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Studi sistematici provano che ogni conoscenza si struttura in forma tanto più stabile quanto più si radica alle conoscenze preesistenti.

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Page 121: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’apprendimento è stato definito attività comunitaria, processo attraverso il quale si perviene a condividere la cultura; è quindi fondamentale (accanto all’attività intrapsichica costituita dall’apprendimento per scoperta, individuale) un apprendimento per confronto e compartecipazione, comunitario, che produce la condivisione del senso di appartenenza a un mondo di conoscenze e di valori.

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Page 122: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Si tratta di rispettare, valorizzare e potenziare i modi cognitivi specifici di ogni soggetto, diverso da tutti gli altri nello stile cognitivo, nei tempi e nei ritmi dell’apprendimento, nella forma mentis che lo contraddistingue.

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Page 123: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Fuori da ogni dogma costituito, conoscere significa armonizzare riflessione empirica e riflessione razionale, esperienza spontanea ed esperienza organizzata, azione riflessiva e azione immaginativa. Le scienze assolute e dogmaticamente esatte risultano delegittimate da una ragione che, per dirla con Habermas, unifica ma non annulla le distanze, che opera collegamenti ma senza dare lo stesso nome a cose diverse, che riconosce quello che c’è in comune ma preserva le diversità.

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Page 124: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’antropocentrismo ha messo l’uomo come signore unico e assoluto al centro dell’universo; in nome dell’uomo motore dell’universo sono stati perpetrati saccheggi, violenze e distruzioni di ambienti, animali, risorse vegetali.

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Page 125: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’etnocentrismo individua alcuni popoli come soggetti in grado di assumere un ruolo egemone su altri popoli. L’etnocentrismo ha prodotto annessioni e standardizzazioni di culture e consumi, quando non ha legittimato interventi militari.

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Page 126: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il logocentrismo esclusivizza l’importanza del pensiero logico e marginalizza le altre dimensione dell’eros, dell’affettività, delle pulsioni inconsce.

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Page 127: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il glottocentrismo privilegia come strumento fondamentale della comunicazione umana in linguaggio orale e la sua tradizione grafica (la scrittura). Questi modelli hanno favorito un progressivo affinamento linguistico ma anche la perdita di dignità comunicativa degli altri linguaggi utili a raccontarsi e a comunicare. Negli ultimi anni il glottocentrismo è stato messo in crisi dalle forme di comunicazione informatiche. La pedagogia interculturale intende recuperare ogni linguaggio umano, da quello orale e scritto a quello dei computer a quello del corpo, in nome di una complessità comunicativa al servizio della libertà e della consapevolezza dell’uomo.

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Page 128: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Al contrario del relativismo, l’universalismo in antropologia sostiene che è possibile produrre definizioni sulla natura universale della condizione dell’uomo. Una delle critiche più note rivolte all’universalismo antropologico dai suoi detrattori è stata la pretesa di cogliere l’universale attraverso l’occhio del particolare: infatti qualsiasi definizione prodotta dalla ricerca antropologica è sempre prodotta da un sapere storicamente e culturalmente determinato.

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Page 129: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Ogni cultura insomma, contrariamente a quanto sostenuto dal relativismo, sarebbe una entità aperta, una costellazione di elementi tra loro relazionati in rapporti reciproci variabili.

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Page 130: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il problema è, ad esempio: l’infibulazione e l’acidificazione delle donne o le strategie di sterminio ricevono forse legittimità dal fatto che sono state e sono giudicate legittime all’interno delle culture in cui sono state e sono praticate?

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Page 131: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il dialogo interculturale si può svolgere soltanto se le persone in causa sono capaci di non confondere le acquisizioni culturali, grazie alle quali ognuno si sente rassicurato nella sua appartenenza, con la verità che non esiste in nessun modello di cultura perché nessun modello di cultura può essere assunto come sistema di valori unico. Se invece leggiamo le nostre certezze come risposte possibili alle esigenze esistenziali, comuni a tutta l’umanità, allora è possibile non solo confrontarsi, ma anche ritrovarsi al di là delle differenze, con un atteggiamento disposto alla comprensione dell’altro e al decentramento cognitivo.

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Page 132: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ noto che i processi cognitivi possono essere sollecitati sia tramite un’educazione informale, sia tramite un’educazione formale scolastica. Il confronto tra le diverse modalità cognitive sollecitate dall’educazione formale e dall’educazione informale ci aiuta da una parte a indirizzare le attività nei contesti didattici, dall’altra a superare molti luoghi comuni sui nostri saperi civilizzati. Gli studi sui diversi sistemi pedagogici cercano proprio di far superare questi stereotipi, in particolare quello che correlava una educazione formale eletta con la tradizione occidentale, e una educazione informale minore con la tradizione terzo e quartomondista.

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Page 133: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’apprendimento per prove ed errori è promosso in società che incoraggiano il cambiamento; richiama motivazioni intrinseche all’apprendimento, non generate da spinte estranee al soggetto.

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Page 134: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’apprendimento per modellamento (shaping) è un processo controllato interamente dall’esperto; il soggetto in apprendimento segue le istruzioni e i comandi senza poter sperimentare. I soggetti vengono introdotti più o meno esplicitamente all’assunzione acritica di modelli di comportamento e di pensiero immutati rispetto alle generazioni precedenti.

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Page 135: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’apprendimento per apprendistato (scaffholding) permette di affrontare in prima persona prove mano a mano più difficili e prevede la presenza continua di un esperto che ha il compito di fornire indicazioni precise.

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Page 136: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il primo e il secondo modello richiamano ognuno per caratteristiche diverse una tipologia di educazione informale, che è stata chiamata della conoscenza incorporata: le conoscenze vengono acquisite tramite l’osservazione e/o l’imitazione di un maestro e tramite l’esercizio graduale dell’attività stessa, che viene compresa e appresa nel suo complesso, globalmente, perché il sapere non è scisso dal saper fare.

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Page 137: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Intervenire sul piano cognitivo significa far scoprire che esistono altre forme di pensiero e spiegare le ragioni e il mondo di chi vive o è vissuto altrove.

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Page 138: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Intervenire sul piano dell’educazione sociale significa far conoscere i fenomeni sociali nella loro dimensione planetaria e nelle loro interconnessioni con l’economia, la politica, ecc.

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Page 139: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Intervenire sul piano della vita relazionale significa valorizzare le culture di ognuno in tutti i loro aspetti e operare in modo che gli svantaggi oggettivi della condizione migratoria non vengano mostrati come l’unico aspetto.

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Page 140: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Gli stereotipi sono semplificazioni. Attribuendo a un individuo l’appartenenza a una determinata categoria, si presume di conoscere le caratteristiche e il modo di muoversi nel mondo di quell’individuo. Gli stereotipi amplificano le differenze tra le categorie per una immediata e maggiore riconoscibilità ed economia di pensiero, mentre minimizzano le differenze all’interno delle categorie.

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Page 141: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ necessario invece dare rilievo al fatto che la generalizzazione può favorire distorsioni cognitive: il caso individuale è trattato secondo un quadro generale cui viene accomodato il più possibile, minimizzando appunto le peculiarità e le differenze.

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Page 142: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Insistere sulla naturalità e neutralità dell’aspetto cognitivo della categorizzazione e della generalizzazione sociale vuol dire favorire il convincimento che le categorie sociali e gli stereotipi si formano al di fuori della cultura, come categorie cognitive su cui soltanto in un secondo momento si istalla il giudizio.

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Page 143: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I pregiudizi si distinguono in positivi, negativi, neutri. Le scienze sociali si occupano soprattutto del pregiudizio negativo, definito atteggiamento di rifiuto o ostilità verso una persona appartenente a un gruppo, semplicemente perché quella persona appartiene a quel gruppo.

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Page 144: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La particolarizzazione è il processo per cui uno stimolo particolare viene distinto dalla categoria generale e dagli altri membri della categoria. La particolarizzazione è un processo cognitivo altrettanto naturale della generalizzazione. Valorizzare la particolarizzazione significa mettere in evidenza una serie di elementi che rendono più sfumati e complessi i contorni del processo di classificazione e interpretazione della realtà; ne consegue la riformulazione di alcune affermazioni:

• il pensiero è capace sia di elaborare la generalizzazione sia di cogliere la specificità; • la formazione dello stereotipo non è forma necessaria e naturale, ma è una produzione socio-

culturale.

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Page 145: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ molto diffusa la convinzione che innalzare barriere tra i differenti mondi culturali sia utile per evitare conflitti e anche chi inorridirebbe a sentirsi definire razzista considera inevitabili i sentimenti di ostilità quando si oltrepassa una certa soglia-limite nella coabitazione tra culture.

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Page 146: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il confine tra razzismo culturale e etnocentrismo è veramente labile. La definizione di etnocentrismo indica la specifica prospettiva culturale dalla quale guardiamo e interpretiamo il mondo; spesso l’etnocentrismo si accompagna a un atteggiamento di difesa di ciò che è proprio e di rifiuto nei confronti del diverso, creando determinismi, favorendo stereotipi e pregiudizi, manifestando espressioni di intolleranza non meno gravi di quelle del razzismo biologico.

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Page 147: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Gli studi di psicologia sociale hanno descritto diffusamente il legame tra equilibrio psichico e capacità di buone relazioni con gli altri. I fattori portanti di una personalità proiettata verso gli altri senza paura del diverso sono stati elencati più volte; tra i fattori più importanti, ci sono:

• una situazione di generale benessere psicologico; • la capacità di controllare e rielaborare le tensioni e di dominare gli impulsi; • la sicurezza degli affetti fin dalla prima infanzia; • un rapporto sereno con i genitori e con l’autorità; • un sano inserimento nel gruppo dei pari.

Il grado di sicurezza e di sociabilità raggiunto dal soggetto e le modalità con le quali il soggetto stesso vive la propria appartenenza concorrono, in modo diverso per ogni individuo, a costruire il senso di sé a partire dal quale ci si rapporta agli altri.

Torna al paragrafo 1.4.5

Page 148: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I fattori sociali agiscono come costruttori e rafforzatori degli stereotipi. Ogni progetto che intenda modificare gli atteggiamenti ed educare le persone al dialogo deve tenere conto di questi fattori socio-economici.

Torna al paragrafo 1.4.5

Page 149: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ noto che rifiutano il sostegno dei percorsi formativi variamente organizzati -gli immigrati che vivono processi di auto o etero-segregazione -i migranti stagionali.

I primi vivono la loro cultura come un bene-rifugio autoreferenziale, i secondi trovano sicurezza sufficiente a muoversi in una realtà difficile proprio in virtù dei ritorni ciclici al Paese di origine, con il quale ad ogni ritorno rinsaldano i legami.

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Page 150: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

In questa ricerca di sicurezza, sono fattori importanti il riconoscimento e la stima dei connazionali, che mostrano di stimare e tenere in considerazione chi possiede una competenza biculturale, cioè coloro che mantengono i loro legami con il passato ma sono anche capaci di interagire con la nuova realtà. Il possesso della competenza biculturale è fondamentale nel rapporto con i figli: l’immigrato rischia di perdere la stima delle giovani generazioni, se non è capace di sorreggerle nei processi di alfabetizzazione linguistica e culturale da una parte, e difenderne le profonde appartenenze di origine dall’altra.

Torna al paragrafo 1.5.1

Page 151: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I punti critici sono: per gli adulti

• uso e conoscenza della lingua nuova di accoglienza; • livelli di scolarità e bisogni relativi; • qualifiche ed esperienze professionali pregresse; • interesse reale e disponibilità di tempo.

per i minori • caratteristiche socio-demografiche (scolarità precedente, composizione nucleo

familiare, ecc.); • eventuale tasso di ritardo scolastico; • abitudine della famiglia ad usufruire delle risorse sociali (ad esempio i servizi per

l’infanzia); • evasione dell’obbligo scolastico presso la comunità immigrata di riferimento; • strategie familiari e progetti educativi messi in atto dalla comunità immigrata di

riferimento.

Torna al paragrafo 1.5.1

Page 152: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Non è sempre facile definire i confini oltre i quali il rispetto di determinate pratiche culturali sconfina in forme di prevaricazione e violazione dei diritti della persona.

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Page 153: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’apprendimento interculturale, ovunque esso avvenga, è sempre un apprendimento sociale; non si concretizza soltanto nel settore scolastico, ma anche in ambito extrascolastico e nel campo professionale. In ambito extrascolastico, per esempio, se riflettiamo sulla logica e sui valori che stanno dietro ai comportamenti delle famiglie emigrate nei confronti delle loro donne, possiamo scoprire che le cose non sono umilianti e restrittive come a un primo impatto i nostri pregiudizi ci portavano a credere. Un comportamento autoritario può essere in realtà ispirato ai valori della difesa dei minori e al senso di appartenenza a un gruppo, ai valori del rispetto e dell’ospitalità.

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Page 154: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Per attivare strategie di cambiamento può essere utile: • tenere sempre sotto controllo l’intero insieme dei fattori che influenzano i comportamenti; • non illudersi che sia sufficiente un intervento didattico settoriale e limitato nel tempo per

ottenere risultati significativi, e quindi • puntare molto sui raccordi e sulle possibilità offerte da un sistema educativo integrato,

costituito dalla cooperazione di molteplici agenzie; • utilizzare i saperi pregressi di tutti i soggetti; • costruire le competenze adeguando gli interventi alle strutture psicologiche, affettive e

culturali dei soggetti.

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Page 155: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ compito della pedagogia favorire la sintonia e la rispondenza tra i modelli progettuali di educazione e l’esperienza soggettiva; l’apprendimento, per essere educativo, deve promuovere l’integrazione fra le istanze interiori e le regole esterne della elaborazione dei significati, cioè l’evoluzione personale in tutte le sue complete e complesse dinamiche.

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Page 156: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le percezioni e le immagini mentali che ne derivano sono legate al pensiero intuitivo.

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Page 157: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Attraverso i concetti vengono elaborati i significati delle informazioni che provengono dalla realtà, in modo di dare risposte soggettive alle provocazioni dell’ambiente.

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Page 158: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La capacità di giudizio implica l’interazione di processi di tipo cognitivo e affettivo, facendo riferimento alle valutazioni oggettive e alle valutazioni soggettive.

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Page 159: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’emozione implica la percezione di uno stimolo e non la cognizione della situazione. Coinvolge i meccanismi psicosomatici più che la consapevolezza e la coscienza. E’ a-valutativa e implica una significazione totale e immediata.

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Page 160: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il sentimento è una struttura stabile in risposta a determinate provocazioni dell’ambiente e consente di sostituire a modalità reattive delle risposte intenzionali, articolate e definite su schemi logici di tipo causale o temporale e connesse a una valutazione cognitiva.

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Page 161: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il motivo è l’espressione della sintesi che il soggetto opera sull’esperienza, ed esterna la dimensione affettiva insieme a quella relazionale, la dimensione sociale insieme a quella personale. Il motivo comporta un orientamento di valore duraturo e consapevole, che ispira progettualità.

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Page 162: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Per favorire la condivisione dei significati, si postula un intervento che si misuri sul piano dei processi interiori

• con l’aspetto affettivo • con l’aspetto cognitivo

sul piano delle relazioni sociali • con i significati elaborati all’interno delle relazioni informali • con i significati propri delle relazioni formali all’interno dei contesti istituzionali.

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Page 163: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Questo approccio riconosceva l’importanza di determinati disturbi della socializzazione nelle biografie individuali, e metteva l’accento sull’importanza del meccanismo di proiezione narcisistica e del meccanismo di transfer per lo sviluppo individuale e familiare. Questi due meccanismi, come è facile capire, diventano ancora più complessi in contesto migratorio. La proiezione narcisistica consiste nella proiezione dei propri desideri/rimpianti/conflitti su un’altra persona. Il processo di transfer consiste nell’assegnare a qualcuno caratteristiche positive o negative di altre persone. I meccanismi di proiezione e transfer risultano utili nell’analisi psico-pedagogica delle situazioni familiari.

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Page 164: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Demetrio sostiene che non sempre una identità è disponibile a subire variazioni profonde al contatto con realtà diverse. L’identità, infatti, si costruisce e si ricostruisce non soltanto in rapporto alla sua storia, ma anche in rapporto alla sua disponibilità al cambiamento, cioè alla sua capacità di assorbire e metabolizzare i cambiamenti.

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Page 165: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Un soggetto è integrato quando è capace di rielaborare al suo interno i cambiamenti vissuti, sempre preservando come irrinunciabili i nuclei profondi della sua biografia.

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Page 166: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Un soggetto è giustapposto quando soffre della necessità di adattarsi a cose che non comprende né condivide e che sente separate dalla sua memoria e non rapportabili alle sue origini.

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Page 167: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Un soggetto è assimilato quando la cultura di accoglienza esercita su di lui una pressione tale da rimuoverlo completamente dalle sue radici.

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Page 168: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il concetto di identità condiviso da Demetrio è quello che la ricerca contemporanea ha definito come imprescindibile dall’immagine che un soggetto assegna a sé stesso. La facoltà narrativa e autobiografica genera processi autoriflessivi che favoriscono la presa di distanza da se stessi, la capacità di vedersi come doppi allo specchio. Il colloquio e il racconto hanno l’importante funzione di ricomporre i nuclei compositivi di una identità dinamica, e svelano la natura in perpetuo divenire della costruzione del sé, perché ogni racconto è una storia di evoluzione, tra passati, presenti e possibili. La formazione valorizza il gioco dell’identità narrativa tramite modalità di intervento che costituiscono opera di mediazione culturale, secondo le seguenti prassi:

• creazione di uno spazio pedagogico che non sradichi dal vecchio e non chiuda al nuovo; • sollecitazione a sviluppare un progetto esistenziale che sia allo stesso tempo cambiamento e

mantenimento dei propri legami; • proposta di apprendimenti che favoriscano l’accettazione delle convinzioni altrui senza

rinunciare alle proprie.

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Page 169: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Sarà utile ricordare uno dei modelli che in Italia più ha sostenuto questo approccio: il modello olodinamico di R. Titone. Il modello olodinamico applicato sul piano dell’apprendimento linguistico è apparso per la prima volta nel 1973. Nel 1974 è stato esteso all’apprendimento in generale e ha avuto ulteriori sviluppi nel 1980, nel 1985 e nel 1994. Ha preso il nome dal principio regolatore che costituisce la guida del metodo stesso: tutte le componenti dell’attività della persona sono sempre presenti in ogni comportamento umano. Il modello olodinamico è fondato su una concezione integrale e dinamica del comportamento: gli apprendimenti si dispongono organicamente e gerarchicamente attorno alla struttura relazionale della personalità. La personalità è una struttura cognitiva e insieme motivazionale, multiplanare (perché ogni operazione ha luogo su diversi piani e a diversi livelli). Le operazioni umane si svolgono su tre livelli:

1. il livello tattico è esteriore ed esplicito, evidente, osservabile e misurabile; 2. il livello strategico è interiore, mentale e tipico dei processi cognitivi; 3. il livello egodinamico è il livello più intimo e individualizzato, è il vertice dinamico di ogni

operazione. In definitiva, ogni azione si manifesta in sequenze tattiche; le sequenze tattiche sono dirette da una strategia e unificate dal controllo della persona.

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Page 170: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Competenze comunicative (modulo 7) diverse sono espressione di differenti modalità di relazione dell’individuo con il contesto. Soggetti appartenenti a culture diverse fanno riferimento a competenze comunicative diverse, agibili ed efficaci soltanto nel contesto di appartenenza.

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Page 171: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il modello di relazione improntato alla reciprocità promuove l’assunzione di prospettive di corresponsabilità, partecipazione, interdipendenza. I processi di cambiamento messi in moto dalle relazioni tra competenze diverse hanno la caratteristica della reciprocità perché ridefiniscono e rimodellano su nuovi assetti le competenze in gioco di tutti i partecipanti.

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Page 172: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il compito del mediatore interculturale, per esempio, è costruire un ponte tra le culture, attraverso la conoscenza delle specificità individuali e dei contesti socioculturali diversi; prospettive culturali differenti infatti producono atteggiamenti che possono generare e alimentare incomprensioni, se vengono interpretati con la lente di un’altra cultura. (Basti pensare all’annuire reiterato presso le culture asiatiche,che non sempre è segno di assenso; o al prolungamento della pausa tra la domanda dell’interlocutore e la propria risposta, che non significa “non so cosa rispondere” ma “la tua domanda è così intelligente che è necessario del tempo per riflettervi sopra”, ecc.)

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Page 173: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Negli anni ’70 studi sul bilinguismo hanno messo in evidenza le differenze che ci sarebbero tra un bilinguismo di tipo aggiuntivo o coordinato, tipico di contesti egemoni, e un bilinguismo sottrattivo o subordinato (cap 2.2.1). La realtà del bambino immigrato può soffrire di difficoltà di natura socioeconomica e di riconoscimento culturale (cap. 2.3.3.) e il suo bilinguismo può dunque presentare caratteristiche di natura sottrattiva.

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Page 174: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le classi preparatorie sono la struttura più diffusa in tutti i paesi europei. Prevedono (almeno in teoria) una durata limitata e sono attive dalla materna alla scuola secondaria: offrono la possibilità di una doppia iscrizione scolastica, cioè si può essere iscritti nella classe corrispondente all’età e al livello di scolarizzazione in cui si mira ad inserirsi e allo stesso tempo nella classe provvisoria preparatoria.

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Page 175: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il sostegno linguistico è integrato nel normale tempo scolastico secondo differenti modalità, che variano dalla co-presenza e co-docenza (secondo modalità di rapporto interculturale all’interno del gruppo classe) all’apprendimento organizzato nel tempo scolastico ma al posto di altre discipline.

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Page 176: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Nelle classi bilingue, destinate a studenti che hanno la stessa appartenenza nazionale e culturale, si insegna insieme in lingua madre e in lingua seconda. La lingua seconda dovrebbe progressivamente prendere più campo come lingua veicolare degli insegnamenti e permettere l’inserimento nelle classi comuni.

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Page 177: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I manuali, per esempio, vengono rivisti per eliminare le presentazioni esplicite o implicite dei gruppi etnici secondo immagini stereotipate o viziate dal pregiudizio.

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Page 178: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Le discipline toccate con più evidenza dai principi dell’educazione interculturale sono le scienze sociali, la musica e l’arte, la storia e la letteratura.

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Page 179: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il fatto che venga istituito (anche come facoltativo) l’apprendimento di una lingua di minoranza nei programmi scolastici per tutti è un elemento di assoluta forza e una scelta politica importante, visto che la lingua è la cultura.

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Page 180: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’interlingua è stata a lungo ritenuta il punto di incontro tra sistemi linguistici perfettamente omogenei e strutturati in sé: sotto il condizionamento del primo sistema il soggetto devierebbe dalle norme del secondo sistema (durante il processo di apprendimento di quest’ultimo). Il primo sistema provocherebbe meccanicamente delle interferenze e l’interlingua sarebbe caratterizzata da una serie di errori o devianze. I vari tipi di interlingua che si succedono lungo il percorso di apprendimento linguistico sarebbero non-lingue, sistemi depauperati e imperfetti. Una prospettiva che considera soltanto l’aspetto deprivato della lingua degli immigrati non tiene conto del fatto che l’immigrato si trova, anche se è in condizioni di provvisorietà esistenziale, al centro di un processo di formazione spontanea durante il quale il suo bagaglio di culture e lingue verrà a costituire un patrimonio da spendere quando matureranno le condizioni.

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Page 181: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

I corsi organizzati secondo differenti livelli di complessità ma anche secondo diversi gradi di istruzione permettono di aspirare a situazioni lavorative migliori e offrono possibilità più misurate. E’ utile il coinvolgimento dei soggetti nell’organizzazione pratica, nelle tematiche generali, nella scansione temporale dei corsi, proponendo corsi flessibili.

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Page 182: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Sentirsi soggetto attivo della vita del paese di accoglienza è una condizione che richiede la conoscenza della cultura di quel Paese in tutti i suoi aspetti e del suo sistema di valori nella sua complessità e nelle sue rispondenze. E’ utile impostare azioni didattiche che meno che mai discriminino i diversi linguaggi secondo scale di importanza che rivelano tutta la loro arbitrarietà in un universo di decifrazione che è fisico prima che simbolico.

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Page 183: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La riflessione sul silenzio come “periodo di immagazzinamento dei dati” ha nel caso del rapporto educativo con l’immigrato uno spessore maggiore; acquista il senso di un profondo rispetto dinanzi all’esperienza iniziatica di coloro che hanno scelto o sono stati costretti a scegliere di nascere una seconda volta. E’ utile sollecitare i soggetti ad elaborare le proprie difficoltà, in modo che, attraverso una riflessione di tipo metalinguistica, la lingua abbia la possibilità di diventare strumento di comprensione di se stessi e essa stessa esperienza di formazione e orientamento.

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Page 184: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La scommessa sui propri codici morali e personali l’immigrato la gioca sul piano delle esperienze quotidiane prima che su quello dell’apprendimento linguistico: se le sue attese vengono respinte, la lingua e i valori di origine si vanno a frapporre non solo allo scambio con i nuovi modelli sociali e culturali, ma anche all’apprendimento della lingua nuova, assimilata alla realtà ostile che in quella lingua si muove. E’ fondamentale organizzare momenti non sporadici di accoglienza, sostegno, scambio paritario (la diversità delle esperienze non è sostanziale), con membri della comunità autoctona.

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Page 185: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La fossilizzazione è un fenomeno diverso dall’errore. Consiste nella semplificazione di un tratto linguistico caratterizzante. Non è occasionale: è un tratto sistematico dell’interlingua.E’ parte integrante del sistema-lingua appreso e si può scardinarla soltanto intervenendo sul sistema stesso nella sua globalità e non in un solo punto o su essa fossilizzazione. L’ipotesi più notevole per l’intervento didattico è che la fossilizzazione riguarda aree organizzate sistematicamente e in modo gerarchizzato, non singole devianze isolate. Sembra che l’influsso dei fattori extralinguistici sia molto pesante. Infatti, ricerche sperimentali hanno dimostrato che tratti linguistici fossilizzati che sembrano insensibili a qualsiasi intervento didattico vengono condizionati favorevolmente dal mutare delle varianti sociali che caratterizzano le esperienze di vita dei soggetti.

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Page 186: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

La semplificazione consiste nell’eliminazione di alcuni tratti: per esempio la caduta di alcune forme verbali, la riduzione della flessione, lo strapotere del presente e dell’infinito; o ancora l’eliminazione di elementi funzionali come articoli e preposizioni; o ancora il raddoppiamento del predicato al posto della forma plurale, ecc.

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Page 187: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’ipergeneralizzazione consiste nell’ampliamento dello spazio in cui un elemento della lingua può essere applicato: per esempio, il significato di una parola viene a includerne anche molti altri, così che un solo elemento lessicale è spendibile in un vario insieme di contesti.

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Page 188: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’appello continuo al contesto è riscontrabile anche nella lingua dei soggetti con basso tasso di culturizzazione e capacità di astrazione scarsamente sollecitate. Questo fatto è leggibile come indice ulteriore di quanto nell’insegnamento di una lingua agli immigrati sia importante giocare gli interventi sul piano del riscatto sociale e del riconoscimento etico e morale.

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Page 189: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Sul piano degli obiettivi, è bene valutare che richiedono molto sforzo i percorsi di apprendimento finalizzati alla riflessione e all’utilizzo metalinguistico, in direzione di una lingua legata non soltanto alle necessità della comunicazione, ma mezzo per comprendere ed esprimere concetti e astrazioni, come ad esempio nello studio decontestualizzato su testi scolastici e universitari. D’altra parte, una competenza di questo tipo significa mezzo e occasione di riscatto per tutti coloro che aspirano a vedere il proprio Paese di origine come fonte di intelligenze e non più soltanto riserva di braccia.

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Page 190: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Sul piano delle tecniche, è necessario valutare con attenzione e sensibilità per ogni singola esperienza il senso di imprevisto, implicito per esempio in ogni tecnica di finzione (modulo 4).

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Page 191: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Questo approccio punta a favorire piuttosto la padronanza contestuale e la varietà lessicale rispetto alla correttezza a livello morfologico e fonetico. La correttezza è un aspetto necessariamente secondario nella fase di accoglienza, tuttavia non è da sottovalutare troppo in seguito, in quanto è partecipe alla globalità dell’esperienza linguistica e, soprattutto, è indice primo di discriminazione e non appartenenza.

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Page 192: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Questo obiettivo è comune, sia che si usi il metodo globale dei significati-parole e il metodo fonologico. (per gli analfabeti in lingua madre); sia che si usi il metodo naturale o il metodo suggestopedico o del Total Physical Response (capp. 3.3. e 9.4.3.) (per un secondo livello); sia che si punti a consolidare e ampliare le strutture, al tempo stesso riorganizzando la lingua nelle devianze dovute a fossilizzazione.

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Page 193: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Il modo di parlare, per esempio, implica una scelta personale all’interno delle possibilità di intonazione, di stile, di vocabolario, e non svolge soltanto una funzione di natura referenziale (moduli 7 e 9), ma serve anche, più o meno consciamente, a propagandare presso gli altri la propria storia culturale e l’immagine che si ha di se stessi. L’apprendimento di una lingua comporta necessariamente una ristrutturazione profonda di questa immagine.

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Page 194: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Sapersi comportare, saper parlare, rispondere, saper gestire un evento comunicativo vuol dire anche saper finalizzare le proprie parole usando atti comunicativi intenzionali (capp. 7.1.,.7.2., 7.3.) che vadano diretti al fine che ci eravamo preposti; che insomma abbiano successo e al tempo stesso ci facciano sentire quelli che siamo per i sentimenti che proviamo.

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Page 195: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Possibili attività interattive sono: -attività tipo simulazioni a finale aperta, -macroattività tipo la gestione di attività (una piccola biblioteca o altro) o l’organizzazione di una festa, un incontro, ecc., -attività comunicative autentiche come interviste su temi sollecitati dai soggetti, telefonate per chiarire aspetti di vita reale, ecc., -scambio di istruzioni e regole d’uso, per esempio riguardo ai costumi religiosi, alle ricette di cucina, ecc.

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Page 196: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Possibili attività monodirezionali sono: -drammatizzare esperienze reali, -raccontare un’esperienza per sollecitare nel pubblico determinati effetti e sentimenti (comprensione, paura, simpatia, ribrezzo) con tutte le varianti possibili.

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Page 197: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

E’ utile sostenere l’introiezione dei nuovi modelli culturali di cui la lingua è portatrice e questo significa sollecitare nello studente il riconoscimento e il rispetto dell’esistenza di tali modelli e del significato di tali valori; ma non significa affatto l’obbligo di riconoscersi e aderire a quei modelli e a quei valori.

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Page 198: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Dal punto di vista legislativo, le normative scolastiche autorizzano l’attuazione delle seguenti iniziative:

• attività di sostegno • attività di promozione della lingua e cultura di origine in collaborazione con gli enti locali • quota di ore per il recupero personalizzato degli alunni della scuola elementare • insegnamento individualizzato • classi aperte • utilizzo di personale in organico aggiuntivo • attività sperimentali, anche rivolte all’extrascuola

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Page 199: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Si fa tesoro dell’esperienza precedente dell’inserimento degli alunni con handicap e si sottolinea la diversità individuale piuttosto che quella sociale e culturale, in un’ottica di sostegno allo svantaggio.

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Page 200: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

Resta debole il settore della lingua e cultura di origine, il cui insegnamento è riconosciuto sì come un diritto ed è previsto per tutti gli alunni, ma non è attivato direttamente dal Ministero. Per motivi economici o mancanza di competenze viene affidato alle rappresentanze diplomatiche e agli enti locali.

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Page 201: Modulo 1 : PEDAGOGIA INTERCULTURALE

L’educazione permanente è una educazione che riguarda tutti gli uomini al di là di qualsiasi limite, tutto l’uomo nella totalità delle sue molteplici dimensioni, e che si muove seguendo metodi dialogici sostenuti dalla comprensione dell’altro e dalla partecipazione al suo mondo, per progettare insieme una società solidale.

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