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356 LETTURE DEL RISORGIMENTO. Kapoleooe Don pure accettò le massime libera li dello statuto fonda. mentale: ma dicono che nell' ottobre 1814 con due ital iani andati per ciò aU' Elba tenesse presso a poco qUl'sto disco r so : Sono stato grande sul trono di Fra ncia, principalmente per la forza delle armi e per l'estensione della mia influen za sQ.l - 1'in t iera Europa. lo ho dato ai Francesi Un codice e leggi ch e mi sopravvivaannoj ma il punto caratteristico del mio primo regno era la gloria delle conquiste . In Roma io darò a questa stessa gloria un' altra direzione. Essa s ad alh' ettanto ri s plendente qua nto la prima, ma non avr.\ lo stesso principio. Sal' iL meno strepitosa, ma forse piu durevolè, poiché Don assomiglie ad alcun' altra. lo far ò dei differenti popoli delI" Italia una so la nazi one : imprimerò loro l' un itA dei costumi che ad essi manca i e que- sta sarù l'impresa la più difficile che mai abbia. tentata , Aprirò delle str ade , dei canali, delle comunicazioni molti - plicate, L'industri"a prenderù il suo s lanci o, in egual tempo che 1' agricol t um concorrerà ad aiutare la prod igiosa fecondità. del suolo e ad acquistare g l' immensi S\'illlppi di cui ella è Sll - scetti bi le. Da alI" Italia l egg i proprie per gl' Italiani. lo non potei far per loro fin' O ra che delle Case provvisorie: darò loro del definitivo: esso durerà. quanto P impero. Napoli, Venezia, la Spezia saranno trasformati in immensi cantieri di costruzione: avrò dei vas ce lli ed una marina fOl'lni _ dabile : farò di Roma Un porto di mar e. Fra veuti anni r Italia avrà trenta mili o ni d'abitanti: in all ora essa sarù la piu potente nazi one dell ' Europa, alt \e ttanto i nacce s sibile all e invasioni quanto la Russia . No i ci aste, rremo dalle guerre di conquistai ma avrò Un eser- ci to bravo e forte. lo scri verò su le sue bandiere la mia divisa della corona di ferro 1 guai a chi la t6cca ; e ninno di farlo . Dopo essere stato Scipio ne e CesarE'! in Fnncia, sarò Cam_ millo 3. R oma : lo stran iel'o cesserà di ca lpest:u'e il Campi - doglio e DOn vi ricomparirà mai pili. LE'l'TURE DEL RISORGIMEN'1' O. 357 Sot to iI mio reO'n o r antica ma està del popolo re si colle - be ;l alla 'c ivi lizzazione del mio primo El g l' d' ," ane re a hv e llo Roma uO'uaglierà Parigi, senza cessa re l 11m ::> " " ch' es"3. associerù . alla forza delle delle sue lmmense memolle, Y ins tituziooi di Sparta e all' atticismo di Atene , Sono stato 1U Fr ancia il colosso della gnerra, sa In It ali.a il colosso della pace. (Vedi Delle cause italiane !leU' evusi Ol1e l'Elba: Bru l<e lles, T adie r J 1829). LV. dell' imp. Napoleone dal- Zellide Fattiboni. L'impresa tlei re Gioacch ino. . le 188;)J delle Memorie slorico-biografiche, Dalla parte pl'1ma esena, ùa codl'sta gentildonna romagnola vita, del, l'a:: . " "lie l" e tanti ri cordi di rivo UZiOnl e c contarlll; fatti e patlmen tl e I ' 'taliane E per ciò a presentare ' , , d' ventul'e e " IOl e e g Ql' le I , s plraZ10 nl e I S '" I l memor ie della sign, Fau i- ' o libro la mossa del Mu ra t sce go e , , tra I qua l " l t'tolo e funzioni di commissarIO CIVile; pro. logna pei' segu ire ,I re I Ua che oggi può par er enfasi retorica l mi e documenti che pU I con que d l c a " o lo spirito d'allora, Il Manzoni, al magnifico suono e reud ono VIVO VIV " , le stanze della l d' Rimini lasciò le slrofette degli 1001 sacl'l per 0"00. e in tre versi espresse l'aspettazione e commo- vece la ca , " zione dei tanti che volevano ulla patria, O alla vili degna aec,imo, Signor, r.;he la parOla hlli proferita tanti etadi indarllO ltaU:s attese, , , o d Ila rea educazione signorile gesui- n povero Leopardi, \"lUlma p')st1'-ma e b- -d scrivendo per ciò Il . 'netto le vece le I ee: t ica, rappresentava a ora, giOVi, "o del 1815 una oraz ione, h' ei chiama va liberazione del Piceno nel ma ggl , 'd b'li" c disco l"l'e va dei « nostri SOVl'am affettnoSI e I . ' do ve , fra , l' (>' r Italia ofl'l'e lo spettacolo vano e l unn- e dicera « diVIsa 10 piCCO I reoul,

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356 LETTURE DEL RISORGIMENTO.

Kapoleooe Don pure accettò le massime liberali dello statuto fonda. mentale : ma dicono che nell' ottobre 1814 con due ital ian i andati per ciò aU' Elba tenesse presso a poco qUl'sto discorso :

Sono stato grande sul trono di Francia, principalmente per la forza delle armi e per l'estensione della mia influen za sQ.l-1'in tiera Europa. lo ho dato ai Francesi Un codice e leggi che mi sopravvivaannoj ma il punto caratteristico del mio primo regno era la gloria delle conquiste.

In Roma io darò a questa stessa gloria un' altra direzione. Essa sad alh'ettanto risplendente quanto la prima, ma non avr.\ lo stesso principio. Sal'iL meno strepitosa, ma forse piu durevolè, poiché Don assomiglie rù ad a lcun ' altra.

lo farò dei di fferenti popoli delI" Italia una so la nazi one :

imprimerò loro l ' un itA de i costumi che ad essi manca i e que­

sta sarù l'impresa la più difficile che mai abbia. tentata ,

Aprirò delle strade, dei canali, delle comunicazioni molti­plicate, L'industri"a prenderù il suo s lanci o, in egual tempo

che 1' agricol tum concorrerà ad aiutare la prodigiosa fecondità.

de l suolo e ad acquistare g l' immensi S\'illlppi di cui ella è Sll­scetti bi le.

Darò alI" Italia leggi proprie per gl' Italiani. lo n on potei

far per loro fin' Ora che delle Case provvisorie: darò loro del definitivo: esso durerà. quanto P impero.

Napoli, Venez ia, la Spezia saranno trasformati in immensi cantieri di costruzione: avrò dei vasce lli ed una marina fOl'lni _ dabile : farò di Roma Un porto di mare.

Fra veuti anni r Italia avrà trenta milioni d'abitanti: in

all ora essa sarù la piu potente naz ione dell ' Europa, alt\e ttanto i naccessibile all e invasioni quanto la Russia .

No i ci aste,rremo dalle guerre di conquistai ma avrò Un ese r­

cito bravo e forte. lo sc ri verò su le sue bandiere la mia divisa

della corona di ferro 1 guai a chi la t6cca ; e ninno o ser;'~ di farlo .

Dopo essere stato Scipione e CesarE'! in Fnncia, sarò Cam_ millo 3. R oma : lo straniel'o cesserà di ca lpest:u'e il Campi­doglio e DOn vi ricomparirà mai pili.

LE'l'TURE DEL RISORGIMEN'1'O. 357

Sotto iI mio reO'no r antica maestà del popolo re si colle­

be ;l alla moder~a 'c ivi lizzazione del mio primo imp~roj El

g l' d' ," anere a hvello Roma uO'uaglierà Parigi, senza cessare l 11m

::> " " ch' es"3. associerù. alla forza delle delle sue lmmense memolle, Y •

ins tituziooi di Sparta e all' atticismo di Atene, Sono stato 1U

Francia il colosso della gnerra, sar ò In Itali.a il colosso de lla pace.

(Vedi Delle cause italiane !leU' evusiOl1e l'Elba: Bru l<elles, Tadier J 1829).

LV.

dell' imp. Napoleone dal-

Zellide Fattiboni.

L'impresa tlei re Gioacchino.

. le 188;)J delle Memorie slorico-biografiche, Dalla parte pl'1ma esena,

d~dicale ùa codl'sta gentildonna romagnola ~ll~ vita, del, pa~relsu~ p~r l'a:: . " "lie l"e tanti ri cordi di rivo UZiOnl e c

contarlll; fatti e patlmen tl e , r~ccoo I ' 'taliane E per ciò a presentare ' , , d' ventul'e e " IOle e g Ql'le I ,

splraZ10nl e I S '" I l mem or ie della sign, Faui­' o libro la mossa del Mu rat sce go e ,

~Oooi_~';:'t:I:~~i ~i ';:;I:~t,~n~O~::::'~~:t:;:;~t~a;:i~'II:m:a~,~~:U~'~~~ , tra I qua l " l t'tolo e funzioni di commissarIO CIVile; pro. logna pei' segu ire ,I re co~ I Ua che oggi può parer enfasi retorica l mi e documenti che pU I con que d l

c a " o lo spirito d'allora, Il Manzoni, al magnifico suono e reudono VIVO VIV " , le stanze della

l d' Rimini lasciò le slrofette degli 1001 sacl'l per proch~rna 0"00. l'tal~ca' e in tre versi espresse l'aspettazione e commo-vece la ca , " zione dei tanti che volevano ulla patria,

O d~llc impl'~se alla vili degna aec,imo, Signor, r.;he la parOla hlli proferita Ch~ tanti etadi indarllO ltaU:s attese,

, , o d Ila rea educazione signorile gesui-n povero Leopardi, \"lUlma p')st1'-ma e b- -d scrivendo per ciò Il . 'netto le vece le I ee:

t ica, rappresentava a ora, giOVi, "o del 1815 una oraz ione, h' ei chiamava li berazione de l Piceno nel maggl , 'd b'li"

c disco l"l'e va dei « nostri SOVl'am affettnoSI e ~ma I . '

dove, fra alt~e , cos~, , l' (>' r Italia ofl'l'e lo spettacolo vano e lunn­e dicera « diVIsa 10 piCCO I reoul,

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358 LETTURE DEL RISORGIMENTO.

ghiera di numerose capitali, animate da corti floridi e brillanti, che ren~

dono il nostro suolo si bello agli occhi dello straniero ».

A pena. avuta notizia del ritorno di Napoleone in Francia, Murat, l'intrepido Gioacchino, colle sue schiel'e di Napoli, cone a marce forzate a questa volta, ansioso di battere P austriaco e proclamare l'indipendenza. italiana.

Gioacchino giunse in Rimini sul cadere di marzo, e a vie­maggiormente accendere gli animi dei cittadini, che lo fltten­devano qua1e 61'Oe liberatore, pubblicava il seguente proclama:

Italiani

L' Ol"a è venuta che debbono compiersi gli ahi destini d'Italia. La Provvidenza vi chiama in fine ad essere una nazione

indi ptmdente.

Dall' Alpi allo stretto di Scilla odasi un grido solo: L'IN­

DIPENDENZA D'ITALIA.

Ed a qual titolo popoli stranieri pretendono togliel'vi questa indipendenza, primo diritto, primo bene d'ogni popolo? a qual titolo signoreggiano ~ssi le vostre piu belle contrade? a qual titolo si appropriano le vostre ricchezze per trasportal'le in l'egioni ove non nacquero? a qual titolo fina1mente vi strappano i figli, destinati a servire a languire ed a morire Iuugi dalle tombe degli avi?

In vano dunque levò per voi natura le barriere delle alpi? vi cinse invano di barriere piu insormontabili ancora" la dif­ferenza dei linguaggi e dei costumi, P invincibile antipatia dei caratteri ~ No, no, Sgombri dal suolo italico ogni dominio stra­niero, Padroni una volta del mondo, espiaste questa gloria pe­l igliosa con venti secoli d'oppressione e di stl'agi. Sia oggi vo"tra gloria di non aver pili padroni.

Ogni nazione deve contenersi ne' limiti che le diede natura. 1\1ari e monti inaccessibili, ecco i limiti vostri. Non aspirate mai ad oltrepasS'9.rli j ma respingete lo straniero che li ha vio­lati, se non si affretta di tornare ne' suoi.

Ottantamila italiani degli stati di Napoli marciano coman­dati dal loro re, e giurano di Don dimandare riposo se non

L.El'ITURE DEL RISORGIMENTO. 359

dopo la liberazione d'Italia, È già provato che sanDO essi mantenere quanto giul'ano, Italiani delle altre conh'ade1 secon­date il magnanimo disegno. Torni all' armi deposte chi le usò tra voi e si addestri ad usarle la gioventu inesperta.

Sorga in si nobile sforzo chiunque ha cuòre ed ingegno, e snodando una libera ,"oce, parli in nome della patria ad ogni petto veramente italiano, 1\ntta in somma si spieghi ed in tutte le forme l'energia nazionale. Trattasi di decidere se P Italia dovrà essert:: libera o piegare ancora per secoli la fronte umi­liata al servaggio.

La lotta ila decisiva, e vedremo assicuratn. lungamente la prosperitn. di UDa -patria. si bella, che lacera aucora. ed insan­guinata ectita tante gare straniere, Gli uomini illuminati di ogni contrada,. le nazioni intere degne di un governo liberale, i sovrani che si distinguono per grandezza. di carattere, go­dranno della vostra intrapresa. ed applaudiranno al vostro tl'ionfo, PotI'ebbe ella non applaudini 1'Inghilterra, quel mo­dello di reggimento costituzionale, quel popolo libero che si reca a. gloria di combattore e di profondere i suoi tesori per r indipendenza delle altre nazioni?

Italiani, voi foste lunga stagione sorpresi di chiamarci in vano i voi ci tacciaste forse ancora d'inazione, allorché i vostri voti ci suonarono d'ogni intorno, Ma il tempo opportuno non era per anco venuto j non per anco aveva io fatto prova della perfidia de' vostri nemici; e fu d'uopo che (' esperienza smen­tisse le bugiarde promesse, di cui vi era.nO si prodighi i vostri antichi dominatori nel riapparire tra voi. Sperienza pronta e fatale: ne appello a voi, bravi ed infelici italiani di Milano, di Bologna, di Torino} di Venezia, di Brescia, di Modena} di Reg­gio e d'altrettante illustri ed oppresse regioni.

Quanti prodi guerrieri e patriotti virtuosi svelti dal paese natio! quanti gementi tra i ferri! quante vittime d'estorsioni ed ambizioni inaudite! Italiani, riparo a tanti mali! Stringetevi in salda. unione i ed un governo di vostra. scelta, una ra.ppre­sentanza veramente nazionale, una costituzione degna del se­colo e di voi, garantisca la vostra libertà e prosperità interna

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3CO LETTURE DEI, mSORGDIENTO.

tosto che il vostro coraggio avrà garantita la vostra indipen­<lenza,

lo chiamo intorno a me tutti i bravi per combattere. lo chiamo del pari q uanti hanno profondamente meditato sugli

interess i de ll a. loro patria, affine di preparare e disporre la co­stituzione e le leggi che reggono oggi mai la felice Italia1

l 'indipendente Italia.

Rimini, 30 marzo 1815. GWACClIINO NAPOLEONE.

Il giorno susseguente ' alla pubblicazione del riportato pro­clama i napolitani erano in marcia alla vo lta di Cesena.

Tutte le pOl-te della città erano state chiuse dagli a ustriaci 1

che sotto gli ordini del colonnello Gavonda si disponevano a

ritirarsi. I napolitani divisi in due colonne si avanznvano: r unn. era

cond'otta dal generaI Carascosa e teneva la via. postale: l'nltra guidata (Inl generaI Guglielmo Pepe se ne distaccava per con­<lursi snlle alture della Madonna di Santa Maria del Monte, d'onde cominciarono a fa r fuoco . Gli austriaci, vedendo il ne­mico tanto vicino 1 si davano a. precipitosa fuga. Il momento era supremo : tutto era confusione 1 disordine.

Intanto una mano di ardimentosi cittadini trovarono il de­stro di aprire la porta di Santa Maria1 dalla. quale i napolitani di Pepe, con esso lui alla testa, entrarono improvvisamente in cittù" e vi erano accolt i con entusiastici applausi. Gli austriaci non n .... evano ancora finito di sgombrare e fuggivano sempre pili a precipizi01 pe'l timore di restar prigionieri: alcuni 1 Il

farl a pili breve, si gittavano giu dalle mura.. Tra questi un ussero si pl'ecipitava col cavallo: il povero animale ebbe pe 'l terribile salto le gambe tronche: allora il suo padrone nni di ucciderlo con un colpo di pistola, e via piu che di corsa per l'aggiungere i suoi, che si allontanavano al galoppo sentendosi inseguiti dai napoIitani di Pepe.

Sul tardi di quel memorabile giorno giunse il re: una folla immensa di cittadini gli andava incontr01 gl i evviva salivano

I.E'ITURE DEI, nrSonGI'MENTQ. 361

al cielo. Due poesie, antecedentemente preparate, in onore del prode guerriero che si costituiva campione dell' i taliana indi­

pendenza, circolavano, si vedevano affisse in ogni canto. n marchese Costantino Guidi si fece un pregio di offrire

alloggio nel suo palagio al re invitto, a lP eroe di tante batta­

glie, cui si affidavano t~tte le pah'ie speranze. Gioacchino, come è noto, non era strategico 4i vaglia, ma si faceva ammi­rare dagli intelligenti per la rapiditiL e vigoria di esecuzione che lo segnalava, non che per lo smisurato coraggio di cui negli incontri pin perigIiosi faceva prova. In casa Guidi dun­que il l'e prese stanza.

In Cesena veniva tostamente ristampa.to il proclama di Ri­mini , da tutti l'icel'cato ed av idamente letto,

Lo zio Giacomo, che in séguito ai disastri dell' anno prece­dente avea dovuto far ritorno alla vita privata, ansioso di es­sere al presente incorporato nelle italiane milizie, avanzava al re l'onorevole istanza che qui mi è grato il poter ri­

portare:

Maestà.

Il sottoscritto fa presente a lla Maestà Vostra di a,V61' fa,tta l 'ultima campagna d' Italia nel reggimento Veliti Reali 1 e di aver chiesto ed ottenuto il congedo allorquando gli fu proposta la. piazza di alfiere sotto stendardi stranieri.

Ora che si tratta di combattere sotto gli auspicii di V. M. per una causa tanto gloriosa al nome italiano1 egli Vi supplica 1

o Sire 1 per essere ammesso sotto le Vostre Bandiere e per ot­tenere la Vostra considerazione.

Vostro suddito fedele G[ACO~IO FATTIBONI.

Il l'escritto che vi fu apposto fu questo :

Rimandata al signor Ispett. Generale D'Ambrosio per farlo incorporare in una compagnia di granatie ri della ~ua divi­

sione. - MILLET.

Millet era il ca.po dello stato maggiore generale.

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362 LE'rTURE DEL RlS0RG])rE~'.ro.

Il desiderio dello zio fu senza indugio appagato, e gli fu dato il grado di sergente: invece poi di essere messo nci gra­natieri fu incorporato nel reggimento Veliti Dragoni Napoleone, cosa che a lui tornò piu gradita.

Il Re era partito fino dall' alba del primo aprile coll' armata. Comandante della. Piazza di Cesena era il capitano Biscioni,

che aveva degnamento militato nelle passate guerre, ed era fra­tello di quel dottor Biscioni che Dfll 1799 fu tradotto prigioniero

in Venezia dagli austriaci che pc ' ) lasso di 13 mesi occupa­rono l'Italia. Ciò noto per fa.r vedere che si trattava di un pa­ti'iotta sdliettissimo, e infatti pubblicò un proclama che ben

lo provava. Eccolo: 11 comandante della piazza di Cesena.

Le bandiere italiane sventol<lllo libere finalmente una voltn.!

II piu generoso dei re, l'eroe Gioacchino Napoleone, conduce ottautamila dei u03td guerrieri alla liberti~ della. patria. Quanti secoli sono scorsi da che un esercito italiano non si c veduto raccolto sotto gli italiani vessilli! Noi sempre venduti e compri abbia.mo il1affiato del nostro sangue tutte le terre del mondo. Per tutto sono vestigi della br:l.vura inarrivabile della nostra. nazione. A che pro? Gli stranieri l'accoglievano il frutto della

nostra v irtu, gli stranieri lottavano sempre fra loro per posse­dere la nostra bella patria: noi sempre, orrore!, 1'un l' altro combattevano per aggravare di miserie i nostri figli, i nostri

amici, le mogH, i padri nostri. Noi conoscevamo però i nostri danni; noi ne mormoravamo

ad ogni istante, noi ad ogni istante andavamo sospirando, perché sorgesse un liberatore del la patria, un eroe, un dio, che rac­cogliesse le membra sparse di questa nostra mara vi gli osa n:l.­

zione. Ah! questo giorno è venuto . L'indipendenza dell' Italia è proclamata dal re Gioacchino

Napoleone. Un grido suona dalP a lpi alle Calabrie, indipen­denza o morte! Un grido suona. dal Friuli e da Trento al mare di Toscana, all' armi! all' armi! per la libertà nazionale!

Italiani abitanti la città e distretto di Cesena, all'armi! lo 50 che per voi questo grido (., quello della gioia. lo vi ho

LE1'1' L"lUj DEL RlS0RG11LB)i'i.'Q. ilGo

veduto il giorno 30 marzo, con audatia e sangue freddo ita.­liano, mescolati cei vostri fratelli napoletani, beffarvi della l'abbia tedesca e non curar di pericoli per cara.ttere e pel" ardor nazionale. Per tutto corrono volontari sot to le Ebere insegne. Questo capoluogo ha gi':~ spedito al deposito "di Forli setta.nta

giovani coraggiosi e pieni di patriottismo ed altri ad ogni ora si coscrivono. Montanari intrepidi usati alle fatiche, usati a vendicarvi degl' insulti de' barbari, bravi savignanesi, longia.­nesi, montianesi, e voi tutti che componete il distretto di Ce­sena, alla voce della patria sareste voi lenti?

E non si tratta piu di combattere per interessi non nostri, non di portare le armi in climi stra nieri, in luoghi deserti, fra popoli feroci. Non si tratta di andar a morire lontano dalle tombe dei nostri padri. Si combatterà. per l'Italia; si vincerà. per 1'Italia, e non si camminerà trionfando che per l'Italia.

Ora noi non coneremo piu rischio di trovare nelle schiere nemiche degl'italiani a combattere. Noi non saremo piu) no,

mai piu fntricidi. I nostri nemici saranno quelli che pretenderanno perpetuare

la nostra schiavitu. Ma costoro, quando, a forza pari, hanno osato combattere con noi ? Che diritto hanno costoro sulle no­stre proprietà, sulla. nostra religione, sulle nostre vite? costoro, di cui non intendiamo nemmeno gli stra.ni linguaggi, costoro che non ci portarono mai altro che miseria 1 rapina, il'l'eligione, mal costume, servaggio?

Bella e ardita gio'rentu di questo bel territorio! E voi so­pra tutto, valorosi, che avendo gia combattuto per la gloria sdegnaste fin ora di servÌl' gli oppressori della nazione, secon­date la vostra vivacita naturale: accorrete ad arruolarvi. Voi conoscerete questa volta, nell' accoglimento che vi sarà. fatto, che non siete piu i consacrati al capriccio degli stranieri, ma si i magnanimi cittadini che vogliono libera la patria. Uno sforzo solo e la buona causa avrà trionfato per sempre.

Viva, viva il l'e: viva, viva la. nazione italiana.

Dal Comando militare della piazza di Cesena li 3 aprilI:! 1815. C. BISCIONI

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364 LE'l'TOnE DEL mSQROIMBN'l'O.

Gli austriaci continuavano a ritirarsi. L'avanzarsi dei na­

politani pareva un continuo trionfo, tanto era l'entusiasmo con cui venivano accolti dalle popolazioni.

Il cavalier Pellegrino Rossi seguiva P armata in ql1aliUl di commissario civile del l'e, ed ovunque facevano sosta pubbli ~

cava prodami pieni di fuoco e spiranti il piu vivo patriottismo. Ecco quello che diresse ai bolognesi a pena giunto fra le mure della grande città.

Il Commissario civile di S. M. il He Gioacchino Napoleone nei dipartimenti del Reno, Rubicone, Basso Po e Pineta.

Italiani.

Il tempo dell' inazione e del sommesso lamentarsi e quasi disperarsi è cessato. L'eroe a cui tutti erano vòlti gli sguardi degli italiani ne esaudi i caldi voti i circondato di prodì volò fra noi; levò altissimo il grido della nazionale indipendenza; egli di schiavi vuòl farne italiani.

Potremo noi non accorrere alla voce del grande, che ne vuoI salvi ~ di lui che coll' invitta sua destra vuoI togliernc qu.ella macchia che da tanti secoli ne disonora 1 Chi non fre­meva di noi, se scintilla pur gli restava di sacro fuoco italiano, al veder 1'orgoglio straniero passeggiare minaccioso' e sprez­zante per le nostre belle contrade, e noi calpestare e noi d'ogni maniera opprimere e vilipendere, e a noi insultare come a schiavi nati per esserlo e incapaci di non esserI01 Invasi i no­stl'Ì palagi, devastate le nostre delizie, divorati i nostri tesori, rapiti i nostri 'parenti ed amici, e noi battuti, oppressi, spo­gliati, eravamo pe1' colmo di miserie scherniti anche e vilipesi. E al recarne talvolta in estere contrade, noi italiani, noi nati e çresciuti nella tena degli antichi dominatori del mondo, noi d'arti e di scienza e d'ogni bella cosa maestri, dovevamo ar­rossire di pronunziare il nome della patria nostra, che Don di onore ma d'insultante commiserazione era causa.

Voi, ne dicea sogghignando lo straniero, di valore, di patria nulla sapete: divisi e nimici fra voi, siete la preda del primo

. ,

LETTURE DEL ltISORGli\t:EJNTO. 365

cui piaccia. l'insignorirsi di voi e lo strazia.rv~ : è il vost:o paese un giardino, che voi servi della gleba coltIvate, o~de J~ esso si dstorÌno dalle fatiche i forti che scendono a. dOJnmal'Vl.

Ah! c~ssi una volta, o italiani, cotanta. ingiuria. Sviluppate

quell' energia. e quel vigore che pure albèrga ne" vostri petti.

Accorrete, ma pronti, ma. volonterosi , ma caldi 0.11'. a~p~llo del gran capitltno; uso a condurre i suoi pro di alla , vlt:ona .. V~­lete voi che all' infamia. di venti secoli di sel'VagglO Sl agglUnga la nuova. e piu grave e indelebile dell'esservi rimasti tardi alla voce del nostro LIBERATORE~ vo lete forse che siamo indegni

veramente di essere indipendenti1 No', no 'l volete. Il grido dell' indipendenza sorse già altis­

simo e tremendo in viciui paesi: si diffonda e tosto, per tutto. Abbiam comune la. patria.: sia pur comune il valore, l'energia,

la prontezza. . E voi

l giovani italiani

l speranzA. della patrIa, accon:ete .

È questa, pir'l che d'ogni altro, l o. causa vostra. Qual carner~ vi si apre d' inna.nzi l Lo straniero non verd piu ad usurparvl u!i onori e le ricompense dovute all' ingegno e al valore. Ri­

:pettati e forti voi stessi , voi lascerete a quelli che verranno da voi il retaggio migliore, una patri a. Volate dunque alle armi. ROlccoglietevi sotto gli stendardi dell' augusto ~~nn.rc:t, che incominciò la. grande opera; di questo eroe, che e Il vero

padre de' popoli e il vero amico de' suoi soldati. .' ~Iil'llte quei valorosi italiani che ne rimasero canc?ll d~ fe­

rite e di onori, che accesi del sacro amore della patn~ V~l so­spirano che giù. combatteste con essi e che 01' neglettI gla~e~e nelle nostre campagne. Vecchi soldati, volate: formateVI 10

folti battaglioni: raggiungete i vostri capitani: e da voi col­l'esempio e colle parole istruiti. ed animati i giovinetti, che

anCOI' non trattarono le armi, aumentino numerosi le ~ostr~ file . Voi s[\l'ete in mezzo ai campi di battaglia i loro padl'1. Val

sarete cosi doppiamente benemeriti della patria, Essa vi pre-. . dovuti ai suoi liberatori. Ritornati l\i vostri foco-para l premI ," .

lari, voi condu1'1'ete una vecchiezza felIce, on?re,-olc, dehzlosa,

la trarreste altrimenti misera, oscw'a1 avvilitcJ..

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366 LETrURE DEL RISORGUlE)lTO.

E voi madri, spose, giovinette, voi rispettabile, belI3, e cara parte della nazione, siate voi pure sollecite del pubblico bene; chè anche a voi mira. 1& patria, e molto ne aspetta. Le vostre insinuazioni sieno di coraggio, di energia, di valore. E che v' ha

che piu del valore sia bello e sia earo 1 A voi finalmente io mi volgo, magistrati, parrochi, ministri

tutti del culto, autorevoli cittadini. Da voi tutto si aspetta la nazione: in voi è per gran pal'te riposta la somma delle cose. Vorrete ri manervi neghittosi nella grand' opera ~ Si ascolti l' auto­revole vostra voce; sia pronunziato, pria che da ogni a ltro, da voi quel grido onnipossente : PATRIA : INDIPENDENZA ITALIANA.

L'iudifferenza, il tepore, la neutraliti~ in questa gran lotta, son colpe. Ove ogni altra pena mancasse, la maggiore di tutti non mancherebbe, l ' infamia.

Ma vadan lungi da noi tali pensamenti. Se tutti nascemmo italiani, può esservi diversità di desiderii di inclinazioni di opinioni oggi che null' altro piu vuolsi che essere tutti italiani ~

01' su dunque, si faccia una sola massa. Si segua il grande e glorioso esempio che i popoli di Napoli ne hanno dato. Va­lorosi! formavano pur essi già un regno j avevano pur essi una propria nazionalità. E pure dall'ultimo fondo dell' Italia, ove tranquilli e di sè padroni si stavano, volenterosi sono corsi nno a. noi, e giurarono di non ristarsi finché il vessillo dell' indi­

lJendenza italia.na non sia piantato sull' alpi. E noi, che tanto sangue versammo e tanti tesori per gare straniere e per riba­dire, le nostre catene, noi ci resteremo freddi alI' invito di que­sti generosi, all' invito de' nostri fratelli, degli italiani nostri, che tutto abb!\odonarono e che corrono sui campi della batta­glia per la nostra indipendenza ~ No, cbe non saremo no i stupidi e sconoscenti ad un tempo. I nuovi battaglioni de' loro confra­telli si formino, e corrano inyerso r prodi che ne danno si i 1-lustre esempio. Gti amplessi di fratellanza e di riconoscenza ci stringano. Uniamoci, combattiamo, vinciamo .

E chi oserebbe dubitare della vittoria, mentre ne conduce alla pugna quel monarca, quel capitano delle cui gesta eroiche è gii~ ripiena l'Europa, e per il quale è abitudine il vincere ~

LETTURE DEL RISORGDIENTO. 367

Sia. dunque gloda di tutti il secondarlo. E per ogni dove gli dsuoni d'intorno, ma durevole, ma altissimo, ma efficace quel grido: Viva P Italia! Viva P indipendenza italiana! Viva

il re Gioacchino l' italico!

Bologna 25 aprile 1815. Il cavaliere R OSS I.

Dopo lo. battaglia del Panaro vinta dai napoletani, Pelle­grino Rossi pubblicava in Bologna il seguente manifesto :

Italiani.

La vittoria ba condotto S. M. in Modena. In vano l ' inimico osò tentare di arrestar i passi del nostro el·oe., Egli appare, ed ogni ostacolo è vinto i e la fronte de' prodì che lo circondano è coronata di allori al rimbombo di quel grido onnipossente: indipendenza italiana. lo mi affretto di renderne pubblica la

notizia officiale. Il nemico fOl·te di lO a 12 mila. uomini è stato completa­

mente battuto sul Pana.ro) dopo essere stato scacciato da tutte le sue posizioni dalla Samoggia in poi. Questo fiume fu passato a guado a Spilimberto, e a tre quarti di lega. al di sopra del ponte di Sant' Ambrogio. La testa del ponte ~ stata. sforzata e

presa a baionetta. dal generale Carn.scosa. e dall' ai~tante di campo di S. M. il generale Filaogeri. Quest' ultimo è stato gravemente ferito . Giammai truppe si batterono con mnggiore coraggio. Infanteria" cavallerial artiglieria hanno fatto a gara per superarsi. Il nemico ha avuto molti morti e molti feriti. Gli sono state fatte molte centinaia di prigionieri e se ne rac­

. colgono ancora. Il nemico cacciato a viva. forza dal ponte è stato respinto a tamburo battente fin sotto Modena, ove S. M. è entrat.o a sette o)'e allo splendore delle fiaccole e in mezzo alle acclamazioni di un' immensa popolazione. La cittil. è stata illuminata in un batter d'occhio, e l'entusiasmo de' modenesi per l'indipendenza italiana non è meno ardente di quello di

tutti gli altri abitanti d'Italia.

;':dodeoa 4 aprile 1815.

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368 LETTURE DEL RISORGIME~TO.

Proseguono le parole di Rossi:

Italiani! Chi avvi fra voi che non arda di irresistibile fuoco 1 Chi è il vile che resti indifferente· nella gran lotta ? chi non

corre alle armi? chi non aneca quelle che giacciono presiòO lui inoperose ~ chi ricusa adoperare mente, braccia., sostanze per la grande causa ?

Accorrete, italiani. E voi ottimi bolognesi, primi, numerosi, risoluti, asconcte. Noi vi attendiamo, e in folla, alla. residenza

del commissariato civile. Persone, armi, offerte, tutto cedete alla patria. Nessun servigio sarà. dimenticato: nissnna illustre azione rimarrà. senza onore e ricompensa. Accorrete: Doi vi accoglieremo e tratteremo come fratelli. Accorrete: il re Gioac­chino r italico è il padre dei popoli , è l'amico de' suoi soldati.

Il cavaliere ROSSI. , Dopo il glorioso combattimento del Panaro cambiarono le

sorti : tutto cominciò a volgere di male in peggio. I napoletani non erano pin quei soldati provati in tante battaglie, sui quali Gioacchino avrebbe potuto fermamente contare. Erano in gran parte un' accozzaglia di gente nuova, indisciplinata, inesperta

al maneggio delle armi, che si trovava a fronte di un esercito assai maggiore e bene ordinato quale era l'austriaco. I napo­letani ad' Occhiobello, a Carpi, in altri scontri rimasero sopraf­fatti, e si trovarono costretti a l'i tirarsi.

La dolorosa notizia correva ovunque : mio padre l'imparò a Forli ; doveva per affari recarsi a Bologna; non vi andò altri­menti i se ne tornò invece a casa, dove trovò una lettera a lui diretta dal vice prefetto [ e fu nominato capo battaglione della · Guardia nazionale J.

Il giorno 17 poi fu dal vice prefetto spedito a H.imini per comunicare un importante dispaccio al commissario civile ivi residente. Disimpegna.to il ricevuto incarico, se ne tOrn ò di volo a Cesena.

Erano momenti nei quali un o cIle s' interessasse della cosa pubblica avrebbe voluto essere da per tutto nel medesimo tempo: trovò che era.no giunti molti suoi :1.ooici , bolognesi c faentinit

LETI'URE DEL RISORGIMENTO. 369

emigrati dalle loro città già occupate dagli austriaci. L'indo­mani 18 a prile giunse il re, con buona parte delle truppe. Fu tosto posto mano a fortificare Cesena dalla pal'te del Savio i giudicandosi quella posizione la meglio acconcia per trince­

rarvisi e far resistenza alle forze austriache •. Recatosi il babbo a vedere gli appa.recchi che si facevano,

t,rovò che presiedeva all' innal zamento di una trincera un suo intimo amico, l'ingegner Poletti, che lo invi~ava di unirsi a

lui per sollecitare i lavori. Lo zio Giacomo colla sua compagnia era giunto al séguito

del re. Erano pure arrivati a Cesena i dragoni Napoleone, il battaglione degli ufficiali, non che quello dell' artiglieria, di cui era colonnello il cugino di mia madre, Pier Damiano Al'mandi; il quale si trovava da noi d'alloggio, come i tenenti Cremo­

nini e Lanciai, vèliti, amicissimi del babbo e dello zio, ap­

partenendo alla stessa compagnia. Mi raccontava mia madre, parla.ndo di quei giorni, che la.

nostra casa pareva quasi un quartiere, tanti erano i soldati che andavano e venivano per ambasciate, Si avevano altresì fre­quenti visite di amici emigrati, che incessantemente arrivavano

da ogni parte. La mattina dei 19, triste spettacolo! Si vide improvvisamente

arrivare un' intera divisione oapolitana con armi e bagagli. Non rompeva fila il passaggio di quei codardi, che in massa ave­vano disertato dal campo ed a marcia forzata se ne andavano.

Indignata la nostra guardia nazionale si pose in marcia. per inseguirli, senza poterli l'aggiungere; arrivò a Rimini alla sera: tutto era ivi disordine e confusione. La mattina seguente il babbo ricevette ordine dal commissario civile di tornare colla guardia naz ionale a Cesena1 perchè era. impossibile fer­mare quei diser tori, i quali, in momenti simili, non avrebbero

che accresciuti gli imbarazzi. A dissipare la dispiacevole impressione destata nella citta­

dinanza dalla vista dei codardi disertori, venne la mattina del

giorno 21 la notizia del brillante fatto d'armi del Ronco : già.

si era udito il rimbombo delle cannonate fino da.ll' ...alba: i na.-24

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370 LETI'URE DEL RISORGI1HENTO.

poI etani avevano respinto il nemico e fatti parecchi prigionieri. Questo non era un trionfo, ma poteva. essere un principio di

buon suceesso. II re lo aveva fatto sperare, poiché al suo rien­trare in città, vò1to alla popolazione plandente, aveva escla­mato - A domani ... a. doma,ni ...

Il re si trovava pure questa volta alloggiato in casa del marchese Guidi.

Non era piu notte ma non 6ra ancor giorno, quando tutta la popolazione era già in moto, per l'ansietà di vedere quale fosse il risultato della giornata dei 22 aprile. Le parole profe­rite il di innanzi dal re avevano ravvivata la speranza e posto gli animi in aspettazione.

Il re, seguito dal suo brillante sta.to maggiore, andava fuori di buon mattino: il popolo lo seguiva salutandolo con entu­siastici applausi : egli si rivolse dicendo - lo non voglio degli evviva, ma degli armati - . Un tal Basilio Dugheria trasse dal fodero la sciabola della guardia nazionale che aveva al fianco e prontamente rispose - Maestà, I!CCO le armi -.

Il bravo comandante Delfini tornava da Rimini coi suoi cannonieri, ed esso pure ripeteva essere Cesena una buona po­sizione e che non era da abbandonarsi: dunque tutti si per­suadevano che dovesse qui aver luogo qualche importante fatto d'armi : ma fu tutt' altro: il re stette fuori tutta la giornata senza che ni un attacco si verificasse.

Gli austriaci, pigliata la strada della montagna, si erano condotti a Polenta. Di tal guisa, due eserciti nemici si guar­

davano, si spiavano attentamente, restando in sospeso. Quali consigli avessero presi i condottieri delle due armate

s'ignorava, e si stava in somma ansietà. Ma sul fare della mezzanotte ogni dubbiezza era dissipata:

r armata napolitana tutta in corpo cominciava a ritirarsi verso Rimini. Alle due ant. continuava a udirsi ancora il via vai dei carriaggi, i l marciare di quella truppa che al suo giungere aveva suscitate tante speranze1 e che ora àndandosene lasciava.

dietro di sé squallore, deserto. Tutti i patriotti risolvevano di seguire P armata. Mio padre

LETTURE DEL RISORGIMENTO. 371

esso Dure se ne andava1 dopo aver detto addio alla giovine e tener~ sposa

1 per la quale da quel momento cominciavano le

prove dolorose1

di mezzo alle quali dovea poi passare con

grandezza. d'animo invincibile.

LVI.

Giuseppe Pecchio.

Sl)irito pubblico del regno (l'Italia.

Dal Saggio storico sulla amministrazione finanziera dell' etc-regno

d' lcalia dal f 802 al f 8 f -1 [par. Il, cap. 3] pubblicato nel 1820.

Una massa d'imposte di cento cinquanta milioni, ogni anno

gettato in circolazione, se tendeva a distrib uire le ricchezze. e gli agi fra le classi inferiori dello stato, tendeva anche a d1f­fondere i lumi, sempre compagni delJ1 ozio e dei comodi. L'istru­

zione adunque era divenuta piu faci le e generale. I numerosi impieghi civili e militari1 la creazione del corpo

d'ingegneri d' acque e strade, un migliaio e piu di geometri impiegati nelle operazioni del nuovo censo, finalmente la legge delle successioni piu equa distributrice dei beni, avevano ac­cresciuto il numero r istruzione e l'influenza del terzo stato, o sia del medio ceto, la sola base d'una libertà costituzionale. Ogni rimprovero di prodigalità. che si dirige contro l' ammini­strazione del regno deve tacere in confronto d'un vantaggio cosi eminente. Le due cariatidi del dispotismo sono la miseria e l'ignoranza. Ogni volta che il terzo stato sar:\ potente di numero e di lumi, il trionfo del regime costi tuzionale sarà. as­

sicurato. Il cambiamento di tante fortune 1 le metamorfosi di tante

persone, avevano generato una inquietudine e una. voglia. in ciascuno di lanciarsi fuori della sua classe. Ciascuno voleva migliorar sOl·te. 1\on v' era padre quindi che nella speranza