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Modelli locali di sviluppo e Distretti Industriali

Corso di Politica Economica (A.A. 2010-2011) Corso di Politica Economica (A.A. 2010-2011)

Prof. Roberto Fanfani Prof. Roberto Fanfani

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Ho fatto un sogno di Giacomo Becattini

Nel 1790, Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena lascia la Toscana, che ha governato per un quarto di secolo, per Vienna, lasciandosi dietro un immenso patrimonio di coraggiose riforme (es. abolizione della pena di morte) e un documento veramente straordinario: le Relazioni sul governo di Toscana, in cui descrive minuziosamente “ con la maggior sincerità, verità e ingenuità – così dice – tutte le parti del governo, sue aziende e amministrazioni e tutte le province di Toscana”.

Sistemi locali, trans-locali e transnazionaliLectiones Magistrales per il conferimento della Laurea Honoris Causa Facoltà di

Economia, Università di Urbino “Carlo Bo” Lezione di Giacomo Becattini

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Ho fatto un sogno di Giacomo Becattini

Ebbene, io sogno una relazione annuale sulla situazione del Paese di tipo leopaldesco, in cui, oltre ai valori del PIL , che consentono – ma più in apparenza che in realtà – confronti nel tempo e nello spazio, ci si fornisca, con tutta una batteria di indicatori, un’idea di come si vive nei luoghi, nonché sul “morale” delle popolazioni ed in cui si descriva minuziosamente, magari modellizzandola, per ogni luogo del Paese, la struttura del processo produttivo del benessere.

Il progresso vero non sta, per me, ripeto, nell’incremento medio (una media trilussiana) di un punto percentuale del PIL, ma nella bonifica dei luoghi inquinati, nel salvataggio di Venezia dalle maree, nella costruzione dei cittadini della fiducia nell’azione pubblica, nella possibilità di passeggiare nelle città senza avvelenarsi con lo smog o il timore di scippi, e via continuando. Il progresso di un Paese io lo vedo insomma, nel miglioramento dei luoghi e nella progressiva trasformazione dei non luoghi in luoghi… Citazione tratta dalle lezioni della Prof.ssa Cristina Brasili……..

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•Dualistic traditional approaches in the 50’s and 60’s • (North-South, Big-Small firms, traditional-modern sectors)

•Decentralisation of large firms in the 70’s• From North West to North East

•New geography of development in the 70’s and 80’s • The "three Italy’ model (North-West, North East - Centre, South

•Industrial district approach in the 80’s and 90’s • Geographical agglomeration • Specialization of independent SMEs • External economies.

The IDs are considered as one of the main factors of the successful and rapid development of Italy after the second World War.

Different approaches to analyse

the rapid economic development of Italy (1950-2000)

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I Distretti Industriali

Nel 1919 nei Principles of Economics, Marshall afferma che un’area ad alta concentrazione di piccole imprese si può definire distretto quando sussistono le caratteristiche:

1.La produzione è flessibile e cerca di venire incontro alle diverse necessità dei clienti e, se il cliente è un grossista, è in grado di realizzare l’intera gamma della serie produttiva richiesta dal grossista;

2.Ci sono molte imprese piccole e molto piccole in un dato territorio, tutte con lo stesso tipo di produzione flessibile;

3.Fra queste imprese piccole, molto piccole o medie, alcune vendono i loro prodotti direttamente sul mercato, mentre altre eseguono processi particolari o producono componenti di un prodotto;

4.la separazione delle imprese che vendono i loro prodotti e quelle che operano come sub fornitrici d’altre imprese non è rigida; una piccola impresa può, in un dato momento, essere sub fornitrice e, in un altro un venditore;

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I Distretti Industriali

(Continua … Principles of Economics, Marshall)

5. le relazioni tra imprese che vendono sul mercato assumono la forma di un intreccio fra competizione e cooperazione; ciò significa che le imprese non combattono tra loro, ma cercano di trovare spazi nel mercato per nuove produzioni senza creare effetti distruttivi all’interno del distretto industriale;

6. il luogo è così definito perché si riferisce ad un’area geografica molto limitata che è specificatamente caratterizzata da una data produzione dominante;

7. c’è una forte interconnessione fra il distretto come realtà produttiva e come ambiente di vita familiare, politica e sociale.

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Gli studiosi dello sviluppo endogeno privilegiano lo studio dei sistemi locali di piccola e media impresa e cioè dei Distretti industriali

Le ragioni risiedono nelle caratteristiche strutturali dell’industria manifatturiera italiana:

•Piccole e piccolissime imprese nei settori tradizionali•Pronunciato dualismo Nord-Sud• Produzioni a bassa intensità di capitale e a basso

contenuto tecnologico

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LE PECULIARIETA’ DEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO

Prima peculiarità del sistema economico italiano

Il modello di specializzazione industriale italiano NON è dominato da settori industriali tecnologicamente impegnativi e/o intensivi di capitale ma predominano settori ad alta intensità di know-how, di design, di “fantasia” e poco qualificati tecnologicamente.Ad esempio: mobili, calzature, pelli, cuoio, gioielli, articoli da regalo.

L’Italia si trova in questo modo a competere negli stessi mercati dei paesi in via di sviluppo piuttosto che con i principali paesi industrializzati.

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Seconda peculiarità del sistema economico italiano

Come si è re-dislocata l’industria manifatturiera nel secondo dopoguerra:il “miracolo economico”: il motore dello sviluppo industriale trainato dai settori classici (metalmeccanico e chimico) sembra il Nord-Ovest del paese e conferma il ruolo dominante del “triangolo industriale” ;la svolta si avverte tra il 1961 e il 1971, ma si afferma solo tra il 1971 e il 1981:

1961-1971 Occupazione +18%, da 4.5 milioni a 5.3 milioni Nord Ovest +10% Nord Est e Centro +20% Sud +20% addetti,Le imprese tra 11-50 addetti +31%1971-1981Occupazione +15%, Nord Ovest rimane stabile, Nord Est e Centro +35% (+470.000 mila) Sud +300.000 addetti;La grande industria perde 160.000 addettiLe imprese piccolissime + 140.000 addetti Le imprese tra 10-49 + 430.000 addetti

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Terza peculiarità del sistema economico italiano

1981-1991Nel decennio 1981-1991 questi sistemi non solo non hanno

perduto occupazione nell’industria manifatturiera ma l’hanno acquistata.

Nel quarantennio 1951-1991 ha avuto luogo un mutamento radicale della nostra economia industriale.

L’Italia ha scelto un metodo che valorizza la personalità del produttore contro un metodo che la comprime.

La presenza alla fine del 1991 di circa 200 sistemi locali manifatturieri di piccola e/o medio-piccola imprese, che copre quasi metà dell’occupazione manifatturiera totale

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Il declino della grande impresa in Italia (1961-2001)(quota % occupati nelle grandi imprese)

0

5

10

15

20

25

30

35

40

1961 1971 1981 1997 2001

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Local Production Systems in Europe: Rise or Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia - Oxford University Press ,2001

Ristrutturazione economica e distretti negli anni Ottanta

•Crisi del fordismo negli anni ’70:•Saturazione del mercato finale, crescente instabilita’ e segmentazione•Fine del sistema di Bretton Woods (liberalizzazione degli scambi dal 1944) •Crisi petrolifera 1973-74

Si creano rigidità, limitata flessibilità e alti volumi produttivi grazie a tecnologie e basso costo, labor saving

•Si afferma un modello con sistemi di piccola e media impresa con forti legami con le istituzioni locali e specializzazione flessibile NEC (Nord Est – Centro)

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Organizzazione territoriale e cambiamenti negli anni Novanta• Ci si chiede come reti locali si rapportano alla globalizzazione, come

reagiscono• La globalizzazione porta ad una de-regionalizzazione delle attività

produttive?

Ci sono tre possibili risposte:1. De-localizzazione in Paesi a più bassi costi2. De-localizzazione di solo alcuni fasi produttive 3. Alcuni distretti maturi diventano “distretti terziari” e la fase produttiva

viene de-localizzataNon necessariamente la globalizzazione aumenta l’indeterminatezza dei

sistemi locali La concentrazione territoriale della produzione continua ad essere importante

anche negli anni ’90 con la globalizzazione

Local Production Systems in Europe: Rise or Demise? Luigi Burroni Carlo Trigilia - Oxford University Press ,2001

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“Made in Italy” e distretti industriali (Becattini, 1998 )

E’ una risposta a bisogni specializzati

Il Made in Italy distrettuale è composto da un Made in Italy diretto di beni di consumo e da un made in Italy indiretto dei beni strumentali complementari ai primi

Dal distretto marshalliano come categoria di analisi alla sintetica definizione di distretto di Becattini (1979), “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla presenza attiva di una comunità di persone e da una popolazione di imprese in uno spazio geografico e storico determinato”

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Sistemi Locali del Lavoro. Censimento 2001.

L’Istat diffonde oggi le informazioni sui Sistemi Locali del Lavoro individuati in base ai dati relativi agli spostamenti quotidiani per motivi di lavoro, rilevati in occasione del 14° Censimento generale della popolazione.

I Sistemi Locali del Lavoro (SLL) rappresentano i luoghi della vita quotidiana della popolazione che vi risiede e lavora.

I Distretti Industriali

http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20050721_00/

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Rediscovered by Becattini (1979, 1987)

From Marshall's idea on aggregation of many SMEs and the advantages of the division of labour and economies of scale.

Becattini describes Industrial Districts as:–"a complex and inextricable network of external economies and diseconomies".

–“A socio-economic entity with a community of people and enterprises within a limited area”.

–“A systems of enterprises and institutions which interface in a specific geographic area to produce specialised and specific type of products”

The "Industrial District“ approach

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The IDs introduce in the economic analysis:– Space dimension – Time dimension

•Survival of many SMEs •Successful performance on international markets

The identification of ID’s is a crucial problem

•The ID’s has been classified by the prevalent specialization of the manufacturing sectors

•ISTAT (Sforzi 2006) identify in Italy 159 ID’s

The "Industrial District“ approach

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The "Industrial District“ 2001

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New general definitions:• Local system of production• Local system of development

According to the changing role of SMEs –Casual clustering of firms –Industrial District –Enterprises network

According to regional and local development –"innovative milieux" (Aydolat 1986, Maillat 1995)

–"new industrial spaces“ (Scott 1988, Scott and Storper 1992)

–"learning regions“ (Morgan 1997, Maskell et al.1998)

–"intelligent regions“ (Cooke and Morgan 1990)

–“industrial cluster” (Swann 1997, 1998)

Similar approaches to analyse geographical agglomeration

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The AFD’s studies started only in the 90’s

The delay was related to: – Few researches on structural changes of agriculture

in the economic development

– Difficulties of agricultural economist to analysis to the growing integration in the food chain

The AFDs analysis are related to:– Growing importance of the food industries

(3° sector of manufacture industry in Italy, 1° in EU)

– Concentration in the richest agricultural areas– SMEs prevalence in the Italian food industry

The Agri-Food Districts in the Italian experience

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All’importanza delle analisi territoriali in Italia non ha fatto riscontro per più di venti anni una politica volta ad un più esatto riconoscimento delle peculiarità positive dei sistemi locali di piccole e medie imprese ed in particolare dei distretti industriali.

•Solo nel 1991 si è avuto il riconoscimento nominalistico con l’articolo 36 della legge n. 317. E’ del 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo della legge 317, che detta i parametri per l’identificazione dei distretti. Entrambi i provvedimenti legislativi sono stati indirizzati verso una definizione schematicamente marshalliana del distretto. L’individuazione del distretto non è però un processo meccanico e coinvolge specifici interessi locali come è stato sottolineato nel 3° Rapporto CNEL/Ceris-Cnr, 1997.

•L’applicazione dei criteri per l’individuazione dei distretti implica una approfondita analisi del territorio e non tutte le Regioni hanno messo in atto analisi in grado di sviluppare tali competenze. Inoltre, i criteri per la definizione dei distretti, individuati nel decreto del 1993, sono cinque e devono essere rispettati tutti congiuntamente.

I distretti nella legislazione italiana

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•Nel 1991 si è avuto il riconoscimento nominalistico dell’esistenza dei distretti industriali con l’articolo 36 della legge n. 317. •Il 21 Aprile 1993 il Decreto attuativo della legge 317, che detta i parametri per l’identificazione dei distretti. “Determinazione degli indirizzi e dei parametri di riferimento per l’individuazione, da parte delle regioni, dei distretti industriali: Le zone da prendere a riferimento per la definizione sono una o più aree territoriali contigue caratterizzate come sistemi locali del lavoro così come individuati dall’ISTAT. In tali zone devono essere verificate contestualmente le seguenti condizioni: (Vedi prossima slide)

I distretti nella legislazione italiana

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Parametri per l’identificazione dei distretti, Condizioni da verificare contestualmente:1.Un indice d’industrializzazione manifatturiera calcolato in termini di addetti, come quota percentuale di occupazione nell’industria manifatturiera locale, che sia superiore del 30% dell’analogo dato nazionale. Le regioni nelle quali l’indice di industrializzazione manifatturiera risulta inferiore a quello nazionale possono assumere come valore di riferimento il dato regionale;

2.Un indice di densità imprenditoriale dell’industria manifatturiera, calcolato in termini di unità locali in rapporto alla popolazione residente superiore alla media nazionale;

3.Un indice di specializzazione produttiva calcolato in termini di addetti come quota percentuale di occupazione in una determinata attività manifatturiera rispetto al totale degli addetti al settore manifatturiero, superiore del 30% dell’analogo dato nazionale. L’attività manifatturiera posta a riferimento deve essere riferita alla classificazione delle attività economiche dell’ISTAT e corrispondere alla realtà produttiva della zona considerata nelle sue interdipendenze settoriali;

4.Un livello di occupazione nell’attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 30% degli occupati manifatturieri dell’area;

5.Una quota di occupazione nelle piccole imprese operanti nell’attività manifatturiera di specializzazione che sia superiore al 50% degli occupati in tutte le imprese operanti nell’attività di specializzazione dell’area.

I distretti nella legislazione italiana

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E’ possibile mettere in atto politiche per estendere un simile modello ad altre aree?

La performance superiore nei distretti non significa che siano miracolosi.Non sembra che si sia finora trovato un meccanismo, singolo, ben definito e riproducibile capace di generare distretti. La legge 317/91 prevedeva varie forme di sostegno, per i distretti, prevalentemente affidate alle regioni.In Italia esiste un’ampia gamma di strumenti e sovvenzioni che privilegiano le piccole imprese in quanto tali. Tale sistema di sovvenzioni ha contribuito a rendere la struttura produttiva italiana polverizzata.Fondamentale il ruolo degli enti localiUn quadro normativo correttamente orientato non basta

L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000

Una politica per i distretti?

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I Patti Territoriali

•Introdotti in Italia nel 1995, legge n. 341 8 agosta 1995, su proposta del CNEL (1991) diventano effettivi con una normativa del CIPE del 1997.•Con un atto del ministero del tesoro del 2001 si trasferisce la competenza dei Patti Territoriali alle Regioni.•Ne sono stati approvati 180

Una politica per i distretti?

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ialDefinizione di Patto Territoriale:- Espressione del partenariato sociale….. Deve essere caratterizzato da obiettivi di promozione dello sviluppo locale in ambito subregionale compatibili con uno sviluppo ecosostenibile-Un Patto Territoriale può essere attivato in tutto il territorio nazionale ma sono finanziabili solo i patti che rientrano nelle aree obiettivo 1,2 e 5b dei Fondi strutturali- la strategia di sviluppo locale definito dal partenariato sociale trova espressione in un protocollo d’intesa, sottoscritto da tutti gli attori che danno vita al Patto - il Patto può avere un finanziamento del CIPE fino a 100 miliardi di lire e max il 30% destinato ad infrastrutture -il Patto viene approvato dal CIPE-La partecipazione finanziaria dei proponenti deve essere almeno del 30% - Si può dar luogo ad una società mista a prevalente capitale pubblico

Una politica per i distretti?

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Le sfide del futuro

•La globalizzazione

Piccolo rimarrà “bello”?

•L’evoluzione tecnologica ha effetti ambigui sulla funzione di scala può accrescere o diminuire la scala minima efficiente

L.F. Signorini in Lo sviluppo locale, 2000

Una politica per i distretti?

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Sistemi produttivi locali e commercio estero: un’analisi territoriale delle esportazioni italiane (R. Bronzini, 2000 in Signorini Lo sviluppo locale)

Modello econometrico: variabile dipendente esportazioni per addetto della provincia in rapporto alle esportazioni per addetto nazionali

Tra le variabili indipendenti: grado di distrettualità di una provincia, rapporto tra addetti dei comuni distrettuali e il totale degli addetti della provincia

Emerge:• Esistenza di un effetto distretto sulla propensione alle esportazioni• Sono statisticamente significative sia le economie di agglomerazione

che le economie di scala• Importante anche la dotazione infrastrutturale nel favorire le capacità

esportative

I Distretti Industriali

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Proponiamo una metodologia di analisi che consenta una localizzazione sufficientemente precisa e convincente dei principali sistemi locali di produzione alimentare. A tal fine sono stati definiti ed utilizzati sei indici specifici per l’industria di trasformazione alimentare, calcolati a livello comunale. Gli indici si riferiscono sostanzialmente alle caratteristiche delle unità locali e degli addetti delle industrie alimentari nel complesso, e agli otto comparti di cui è costituita.

Una prima analisi a livello disaggregato molto dettagliato può essere fatta utilizzando gli indici di localizzazione, specializzazione e concentrazione riportati di seguito. Si tratta di indici strutturale di carattere generale che dovrebbero essere integrati con informazione di carattere socio-economico sulle relazioni distrettuali.

Una metodologia per l’individuazione dei sistemi locali di produzione alimentare di Cristina Brasili

I Distretti Industriali

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I sei indicatori proposti sono i seguenti:

Una metodologia per l’individuazione dei sistemi locali di produzione alimentare di Cristina Brasili

I

U LP

U LP

hi

i

h

o

10

. .

. .

indice di localizzazione

imprenditoriale

I

AddU LP

AddU LP

hi

i

h

o

20

. . .

. . .

indice di localizzazione

occupazionale

IU L

U L

hi

h3

0

. .

. .

indice di concentrazione

imprenditoriale

IAdd U L

Add U L

hi

h4

0

. . .

. . .

indice di concentrazione

occupazionale

I Distretti Industriali

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Una metodologia per l’individuazione dei sistemi locali di produzione alimentare di Cristina Brasili

I

U LU LU LU L

hi

aa i

h

aa

50

0

. .. .. .. .

.

.

indice di specializzazione

imprenditoriale

I

Add U LAdd U LAdd U LAdd U L

hi

aa i

h

aa

60

0

. . .. . .. . .. . .

.

.

indice di specializzazione

occupazionale

Dove: U.L. = numero di Unità Locali di produzione Add.U.L. = numero di addetti alle Unità Locali di produzione P = popolazione residente nel comune h = comparto del settore alimentare i = comune aa = settore alimentare 0 = totali nazionali

imprenditoriale

I Distretti Industriali

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Il criterio operativo adottato per caratterizzare i singoli comuni è basato sulla regola:

iis = 1 se Iis >= is is ; 0 altrimenti per s = 1, 2, ..., 6.

 La scelta di is is come soglia di decisione è scaturita dalla necessità di

utilizzare un metodo omogeneo e uniforme, si è inoltre scelto di attribuire la medesima importanza, mediante lo stesso peso s, a tutti

gli indicatori, infatti s = 1 s

Ogni indicatore è stato quindi trasformato in una variabile dicotomica e per ogni comune si dispone ora di sei variabili dummy (ii1 ,..., ii6 )

provenienti dalla trasformazione dei sei indicatori utilizzati (Ii1 ,...,Ii6 ).

I Distretti Industriali

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1) IL DISTRETTO INDUSTRIALE MARSHALLIANO COME CONCETTO SOCIO-ECONOMICO, Giacomo Becattini, in Stati & Informazioni, Rivista Trimestrale sul Governo dell’Economia, 1991. 

2) L’“EFFETTO DISTRETTO”: MOTIVAZIONI E RISULTATI DI UN PROGETTO DI RICERCA, Introduzione di L. Federico Signorini, in Lo Sviluppo Locale a cura di L. Federico Signorini, Meridiana Libri, 2000. 

3) POLITICHE ECONOMICHE E SVILUPPO LOCALE: ALCUNE RIFLESSIONI, Gianfranco Viesti, Sviluppo Locale, VII, 14, 2000 pp. 55-81.

4) I distretti industriali del terzo millennio a cura di Fabrizio Guelpa e Stefano Micelli, il Mulino, 2007, Cap. 1 pp. 29-78 e Cap. 7 pp. 321-356.

Bibliografia sullo Sviluppo Locale e i Distretti Industriali