Modelli e logiche organizzative dell’Ente Locale · 2.1 Regioni e autonomie locali nella ......

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Modelli e logiche organizzative dell’Ente Locale Aggiornamento al 6 novembre 2002

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INDICE

L’ATTUAZIONE DEL DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO ......................................................... 4

INTRODUZIONE ....................................................................................................................... 4

I PARTE - GLI ENTI LOCALI E LE REGIONI NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE ........................ 5

1 "L'ART. 5 DELLA COSTITUZIONE: LA NORMA MADRE DELLE AUTONOMIE LOCALI" ................. 5

1.1 Unità e indivisibilità della Repubblica ................................................................................. 5

1.2 Riconoscimento e promozione delle autonomie locali ........................................................ 5

1.3 Decentramento amministrativo .......................................................................................... 5

1.4 Adeguamento della legislazione ........................................................................................ 6

1.5 L’art. 5, norma baluardo contro il “vetero” centralismo delle Regioni ................................. 6

2 "IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE E LA SUA RIFORMA" ..................................................... 6

2.1 Regioni e autonomie locali nella Costituzione ..................................................................... 6

2.2 Le Regioni nel sistema costituzionale ................................................................................ 6

2.3 I Comuni e le Province nell’ordinamento costituzionale ...................................................... 9

2.4 Il federalismo fiscale ........................................................................................................ 10

2.5 Le prospettive .................................................................................................................. 11

3 "LE NUOVE FORME DI GOVERNO DELLE REGIONI, DEI COMUNI E DELLE PROVINCE" ........... 13

3.1 Brevi cenni sulle forme di governo ................................................................................... 13

3.2 La forma di governo delle Regioni: la legge costituzionale n. 1 del 1999 ........................... 14

3.3 La forma di governo nei Comuni: la legge n. 81 del 1993 .................................................. 15 3.3.1 Elezione del sindaco e del consiglio nei comuni sino a 15.000 abitanti ....................... 15 3.3.2 Elezione del consiglio nei comuni con oltre 15.000 abitanti ........................................ 16

3.4 L’evoluzione del modello di funzionamento dei Comuni .................................................... 17 3.4.1 Un quadro organico di riforma ................................................................................... 17 3.4.2 Le principali tappe ..................................................................................................... 19 3.4.3 L'evoluzione del sistema organizzativo ...................................................................... 21 3.4.4 L'autonomia organizzativa ......................................................................................... 22

4 “REGIONI ED ENTI LOCALI: VERSO UN SISTEMA DI AUTOGOVERNO A ‘RETE’” ..................... 23

4.1 Le Regioni ........................................................................................................................ 23

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4.2 Regioni ed enti locali: la funzione di coordinamento e di promozione. ............................... 24

4.3 Gli organi di raccordo tra Regioni ed Enti Locali ................................................................ 24

4.4 Conclusioni ...................................................................................................................... 25

II PARTE - SISTEMI DI REGOLAZIONE E ATTIVITA’ FRA INNOVAZIONE E SEMPLIFICAZIONE . 27

5. "LA DELEGIFICAZIONE E SEMPLIFICAZIONE" ..................................................................... 27

5.1 La semplificazione dell'azione amministrativa .................................................................. 28

5.2 La semplificazione nelle regioni e negli enti locali ............................................................ 32

5.3 Dalla semplificazione alla riforma della regolazione ......................................................... 33

6. L’ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAZIONE .................................................................... 36

6.1 L'AIR come strumento di miglioramento .......................................................................... 36

6.2. I riferimenti normativi .................................................................................................... 37

6.3 La Guida alla sperimentazione dell'AIR ............................................................................. 38

7. LE NUOVE NORME IN MATERIA DI CONFERENZA DI SERVIZI .............................................. 40

7.1 La conferenza di servizi ................................................................................................... 40

7.2 La conferenza di servizi nella legge 24 novembre 2000, n. 340 ........................................ 41

APPENDICE - “L’ATTUAZIONE DEL DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO” .............................. 44

SEZIONE 1 - L'avvio della riforma: la legge n.59/97 ............................................................... 44

SEZIONE 2 - "Il decreto legislativo n.112/98" ........................................................................ 45

SEZIONE 3 - Le leggi regionali di attuazione ........................................................................... 46

SEZIONE 4 – Il ruolo svolto dal Governo nell'attuazione della riforma .................................... 47

SEZIONE 5 - Tavole e Tabelle ................................................................................................. 49

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L’ATTUAZIONE DEL DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO

INTRODUZIONE

Gli anni novanta si sono caratterizzati, nell’ambito del mondo delle autonomie, per l’entrata in vigore di nuove leggi ordinamentali che hanno prodotto mutamenti profondi del quadro politico e istituzionale degli Enti Locali (leggi 142/1990 e 81/1993), del quadro organizzativo amministrativo (legge 241/1990; D.Lgs.. 29/1993, legge 59 del 1997, legge 127 del 1997); nonché del quadro finanziario e tributario che, a partire dalla legge 158/90 per le Regioni e dalla legge delega 421/92 (art. 4) per gli Enti Locali, hanno avviato il federalismo fiscale (legge 549/1995; legge 662/1996; D.Lgs. 446/1997; legge 133/1999; D.Lgs. 56/2000).

Oltre alla fondamentale legge costituzionale 1/99 (Elezione diretta dei Presidenti di Regione), vanno segnalate: la legge 3 agosto 1999, n. 265 con la quale sono state apportate profonde modifiche alla legge 142/1990 ed il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, contenente il “ Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali”, che riassume le norme di carattere ordinamentale anche per ciò che riguarda la contabilità.

Si è sostanzialmente concluso l’iter dei decreti attuativi della legge 59/1997 e del D.Lgs.. 112/1998, che individuano le risorse finanziarie ed umane che dovranno accompagnare i conferimenti di funzioni statali (e regionali) alle autonomie territoriali. In questo contesto non può essere, per altro, taciuto il completamento del processo di riordino dell’amministrazione statale attuato con i decreti legislativi 300 e 303 del 1999 concernenti, rispettivamente, la riforma dei ministeri e riordino della Presidenza del Consiglio, perseguito contestualmente al decentramento amministrativo e al processo di semplificazione e di riordino dell’attività amministrativa. Grande rilievo assumono , altresì, le disposizioni introdotte dalla legge n. 205/2000 di riforma della giustizia amministrativa e dalle leggi di semplificazione annuale.

Una rilevante importanza sul terreno del processo di razionalizzazione del quadro organizzativo amministrativo è data dal D.Lgs.. n. 165/2001, che contiene la versione aggiornata delle norme sul lavoro pubblico, e dalle novità ad esso apportate dalla recente legge n. 145/2002 sulla dirigenza pubblica.

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I PARTE - GLI ENTI LOCALI E LE REGIONI NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE1 "L'art. 5 della Costituzione: la norma madre delle autonomie locali"

L'art. 5 Cost., unitamente al titolo V, costituisce la norma fondamentale che determina il sistema delle autonomie locali quale elemento essenziale e qualificante dell'ordinamento repubblicano. Allo stesso tempo, esso definisce anche un modello di amministrazione locale articolato su due "binari”:

a) quello degli enti locali;b) quello del decentramento dei servizi che dipendono dallo Stato.

L'art. 5 esprime un significato fondamentale in tre direzioni:

1.La forma di Stato (combinato disposto con gli artt. 1 e 139 Cost.); 2. Il decentramento dei servizi statali;3. L'autonomia ed il decentramento come valori-obiettivi del legislatore nazionale (e regionale).

1.1 Unità e indivisibilità della Repubblica

Unità e indivisibilità della Repubblica, quale limite invalicabile della spinta propulsiva territoriale conseguente al riconoscimento ed alla promozione delle autonomie locali. Si ricollegano a questo indirizzo costituzionale contenuto nell'art.5 anche altre norme, in particolare quelle contenute nel titolo V. Tale principio si pone anche come limite allo stesso potere di revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost. Tutto ciò non esclude, però, modificazioni costituzionali anche profonde (si veda più avanti sul nuovo titolo V della Costituzione), volte a sviluppare il ruolo delle Regioni e degli Enti locali in una prospettiva che consente differenziazioni rilevanti fra le diverse comunità.

1.2 Riconoscimento e promozione delle autonomie locali

Il significato di questo indirizzo sta nel fatto che le autonomie locali, come i diritti inviolabili dell'uomo e il diritto al lavoro, sono una realtà preesistente alla stessa strutturazione in ordinamento della Repubblica. Le aa.ll. sono considerate quale espressione di comunità locali preesistenti allo Stato e comunque indipendentemente da questo e dalle sue leggi. Lo Stato, quindi, non è più l'unica istituzione attraverso la quale il cittadino esercita il proprio ruolo di appartenenza ad una comunità territoriale. L'amministrazione locale non è più soltanto articolata in strutture amministrative decentrate a composizione attiva ed a carattere autarchico, ma diventa un'amministrazione che, in quanto riconosciuta espressione di autonomia, è titolare di una propria rappresentatività democratica, e concorre assieme allo Stato a fondare un ordinamento costituzionale complesso. Oltre a riconoscerle, l'art. 5 Cost. impegna l'ordinamento ed il legislatore a "promuovere" le aa.ll. e ciò significa:

- interpretazione della normativa costituzionale più favorevole all'espansione dell'autonomia locale;- ruolo delle aa.ll. quali istituti che "costituiscono per i cittadini esercizio, espressione, modo di essere, garanzia di democrazia e di libertà";- criterio-guida per lo sviluppo dell'ordinamento

1.3 Decentramento amministrativo

("la Repubblica…..attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo"). Questa norma, da un lato individua un modello di amministrazione

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statale, da un altro indica che il decentramento non ha solo fini amministrativi. Si compie, cioè, il passaggio dal decentramento burocratico a quello funzionale e per servizi.

1.4 Adeguamento della legislazione

"La Repubblica "adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento". Tale indirizzo riguarda specificamente il contenuto delle leggi statali nelle materie che attengono al sistema delle aa.ll. o che siano stati oggetto di decentramento ed evidenzia la necessità che le leggi statali rispettino l'esigenza propria delle aa.ll. di poter liberamente interpretare le aspettative ed i bisogni della propria popolazione nelle materie ad esse assegnate. In questo modo si delinea un disegno articolato e complesso di democratizzazione dell'ordinamento attraverso una doppia strategia: la trasformazione dell'amministrazione locale da amministrazione fondata su un decentramento autarchico a sistema delle comunità locali ad esse sottostanti; la trasformazione dell'amministrazione statale centralizzata in amministrazione decentrata e quindi in potere amministrativo "diffuso".

1.5 L’art. 5, norma baluardo contro il “vetero” centralismo delle Regioni

L'art. 5 fa sempre riferimento alle aa.ll. e mai alle Regioni come tali. Anche se l'art. 114 evidenzia una sostanziale omologazione tra i tre livelli di governo territoriale (Regione-Comune-Provincia, a cui si aggiungeranno le città metropolitane ed il possibile assetto di Roma quale capitale), l'art. 5 non va sottovalutato nella sua forza originale. In essa si può desumere la matrice profonda del nostro ordinamento, cioè autonomista, e quindi la norma rappresenta il anticipazione del principio di sussidiarietà che va letto come "antidoto" alla vocazione centralista dei rami alti dell'ordinamento (Stato-Regioni).

2 "Il titolo V della Costituzione e la sua riforma"

Nell'ambito della parte seconda della Costituzione ("Ordinamento della Repubblica") è inserito il titolo V, che è stato oggetto di un radicale processo di riforma con la recente legge costituzionale n. 3/2001.

2.1 Regioni e autonomie locali nella Costituzione

Il nuovo titolo V della Costituzione parifica il ruolo di tutti i livelli istituzionali, comune, provincia, città metropolitana e stato, ed anzi in tale parificazione parte dal livello più prossimo al cittadino, e cioè il comune. Circostanza che non è priva di rilievo e valore, in particolare in linea di principio. Si supera così la tradizionale raffigurazione del modello della Repubblica come una piramide al cui vertice si collocava lo Stato. Oggi si deve immaginare, piuttosto, una raffigurazione sulla base della figura geometrica del cerchio e della rete ed una ripartizione delle competenze tra i vari livelli istituzionali sulla base del principio della specializzazione delle competenze.

Lo stesso titolo V della Costituzione limita esplicitamente gli ambiti entro i quali lo Stato è legittimato a surrogarsi alle regioni ed agli enti locali.

2.2 Le Regioni nel sistema costituzionale

Preliminarmente, rispetto al titolo V Cost., vanno segnalati il ruolo e la posizione delle Regioni nel sistema costituzionale italiano, così come è disegnato negli artt. 57, 71, 75, 83, e riassumibile nei seguenti tre gruppi:

a) Partecipazione delle Regioni alla formazione degli organi centrali dello stato (art. 57). Partecipazione delle Regioni all'elezione del Presidente della Repubblica (art. 83, 3° co.);

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b) Partecipazione delle Regioni all'attività normativa dello Stato centrale. Iniziativa legislativa regionale (artt. 71, 1° co e 121, 2° co);

c) Potestà regionale di partecipare al procedimento di revisione costituzionale e iniziativa referendaria (art. 138). Regioni e Corte costituzionale (artt. 127 e 134).

Vediamo le principali disposizioni.

L’art. 1161: dispone forme di autonomia "speciale" che le Regioni a Statuto ordinario potranno attivare su singole materie e per singoli obiettivi economico-sociali strategici. In particolare, tali forme, prima di essere approvate dal Parlamento, dovranno essere concordate con gli Enti Locali delle rispettive Regioni. La realizzazione di tale processo, che può portare ad una differenza nelle concrete attribuzioni delle singole regioni, richiede la approvazione di una legge statale, per la quale è richiesto il quorum della maggioranza assoluta, quindi una norma sottoposta ad uno specifico aggravamento procedurale. L’ art. 1172 contiene una vera e propria svolta nei rapporti tra Stato e Regioni, ovvero il

1 Art. 116. – “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata".2 Art. 117. – “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;b) immigrazione;c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;n) norme generali sull'istruzione;o) previdenza sociale;p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentalidi Comuni, Province e Città metropolitane;q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci

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ribaltamento dell'ordine delle competenze legislative tra i due livelli istituzionali. Alle Regioni vengono affidate la generalità delle competenze legislative salvo quelle attribuite espressamente allo Stato (che sono diciassette). Tra le materie attribuite alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni, meritano di essere segnalate: la tutela e la sicurezza del lavoro, l'istruzione, la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio, le grandi reti di trasporto, la distribuzione dell'energia, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Viene, inoltre, costituzionalizzata, vedi oltre, la potestà regolamentare degli Enti locali.

L’entrata in vigore della nuova legge determina quindi il ribaltamento del tradizionale rapporto tra la competenza legislativa dello Stato e quella delle regioni, sancendo a radicale differenza del passato il principio che in tutte le materie in cui non è prevista una esplicita competenza, legislativa o concorrente dello Stato, la potestà legislativa passa alle Regioni.

Si deve sottolineare la ristrettezza delle materie soggette a competenza legislativa esclusiva dello Stato negli enti locali, il che determina la assoluta necessità di una radicale riforma del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

Ed ancora, la presenza di una materia trasversale attribuita alla competenza esclusiva statale, a fronte di un metodo generalmente utilizzato di attribuzione di competenze in modo verticale. Competenza, ci si riferisce alla determinazione di standard minimi, che può tagliare buona parte della ripartizione delle competenze stesse.

La Corte Costituzionale ha, intanto, escluso che i consigli regionali ed i consiglieri regionali possano, rispettivamente, fregiarsi del titolo di Parlamento e di parlamentari; appellativi che sono da considerare riservati al Parlamento ed ai parlamentari nazionali.

Analoghe conseguenze derivano dalla redistribuzione del potere regolamentare, che spetta allo Stato, che può sempre delegarlo, solo nelle materie in cui esso ha competenza legislativa esclusiva.

pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato".

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In concreto ciò pone le basi per una redistribuzione della potestà legislativa. Basti pensare alle materie in cui la legislazione statale, anche se ancora non entrata in vigore, può essere oggetto di interventi regionali: appalti, fatta salva la tutela della concorrenza, espropriazioni, edilizia etc.

Risulta inoltre evidente che la nozione tradizionale di legge, ed il suo intenderla con riferimento esclusivo allo Stato, viene ad essere radicalmente mutata dal dettato della Costituzione, che pone quindi le basi per un ripensamento dello stesso ruolo del Parlamento.

L’articolo 118, oltre alla valorizzazione del ruolo dei comuni nella gestione delle funzioni amministrative, introduce, inoltre, il principio del coordinamento tra Stato e Regioni sulle materie relative all'immigrazione e all'ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale. E' stata approvata la norma sulla sussidiarietà integrata (verticale/orizzontale) così formulata: "Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà". Norma di grande rilievo, introdotta dal trattato di Maastricht e che nella nostra legislazione ordinaria è entrata a partire dalla legge n. 59/1997. L’art. 1233 prevede l'introduzione in ogni Regione del Consiglio delle Autonomie locali disciplinato dallo Statuto regionale. Tale organo, seppure qualificato come organo di consultazione, dovrà essere istituito in ogni Regione subito dopo l'approvazione della legge costituzionale. I Consigli regionali quindi ne determinano poteri e composizione per rendere questo organo la sede in cui dovranno essere discusse tutte le materie concernenti la vita e il funzionamento degli Enti locali.L’art 1274 prevede il ricorso alla Corte Costituzionale per promuovere questioni di legittimità costituzionale da parte del governo e della Regione. In tal modo il controllo sulle leggi regionali è pienamente parificato a quello che le regioni possono svolgere sulle leggi statali: non si inibisce l’entrata in vigore, ma si offre la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale.

3 Art. 123 – Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario di Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti del Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.In ogni regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali.4 Art. 127. – “Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge".

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Sono abrogati, tra gli altri, gli artt. 124, 115, I comma del 125, 128, 129 e 130. Con essi, in particolare, viene abrogata ogni forma di controllo statale sulle leggi e sugli atti amministrativi delle regioni tale da precluderne l’entrata in vigore.

2.3 I Comuni e le Province nell’ordinamento costituzionale

L’articolo 117 della Costituzione è assai importante anche per il riconoscimento della potestà normativa in capo agli enti locali. L’articolo 114 costituzionalizza i loro statuti e regolamenti; l’articolo 117 prevede che essi abbiano una potestà regolamentate per l’esercizio delle attribuzioni di loro competenza. Una norma, quindi, che si pone come una importante indicazione di principio a tutela della autonomia decisionale ed organizzativa dei singoli enti.

L’art. 1185 è da considerare centrale e ciò, soprattutto, a seguito dell'accoglimento della proposta presentata dalle Autonomie di attribuire la generalità delle funzioni amministrative ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Siamo dinanzi ad una norma di grandissimo rilievo. Essa pone il principio per cui vi è una scissione tra competenza legislativa e competenza amministrativa e, nel contempo, le basi per una ulteriore crescita del processo di decentramento amministrativo. Un processo che, per la Costituzione, deve adesso investire direttamente anche le regioni, che in linea di principio devono procedere ad una radicale attribuzione di compiti agli enti locali. Una scelta che costituisce un argine al fenomeno del cd neo-centralismo regionale, il fenomeno per cui gli apparati regionali si sono enormemente allargati negli anni scorsi. E che, in virtù dei principi della differenziazione e della adeguatezza, non consente di rinviare la concreta attuazione del processo al superamento della dimensione spesso troppo ridotta dei comuni, incentivando l’associazionismo, cosiccome per gli enti di dimensione maggiore si spinge in direzione della creazione delle città metropolitane.

5 Art. 118. – “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarieta".

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2.4 Il federalismo fiscale

L’art. 1196 disciplina la materia dell'autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali. Si fissa il principio della autonomia finanziaria sia per la parte entrate che per quella uscite. Ricordiamo che la stessa Costituzione riserva alle norme statali il coordinamento,

Si prevede che il finanziamento delle regioni e degli enti locali sia realizzato attraverso le seguenti voci, che finanziano integralmente le funzioni ad essi attribuite:

- tributi ed entrate proprie. Si deve ricordare che, in base alle regole poste dalla stessa Costituzione, i tributi possono essere istituiti solo con legge, che a questo punto non è da intendere unicamente come legge nazionale;

- compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio;

- trasferimenti dello Stato come fondo perequativo per i “territori con minore capacità fiscale per abitante”.

Si prevede inoltre la possibilità per lo Stato di erogare risorse aggiuntive per determinate regioni o enti locali con finalità di promozione dello sviluppo economico, della coesione e solidarietà sociale, per rimuovere squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dalle loro funzioni.

La normativa prevede inoltre che regioni ed enti locali abbiano un proprio patrimonio e che possano indebitarsi solo per la effettuazione di investimenti, quindi con la esclusione della possibilità di contrarre mutui per spese correnti.

2.5 Le prospettive

La riforma del titolo V della Costituzione apre prospettive di radicale cambiamento del ruolo delle Pubbliche Amministrazioni e di tutti i livelli istituzionali. Il Parlamento si trova dinanzi a nuovi compiti, vista la crisi delle tradizionali funzioni assegnate alla legge nazionale. Sono enormemente sviluppati i poteri legislativi attribuiti alle regioni, che invece dovranno limitare l’esercizio dei compiti amministrativi: cioè si dovrà radicalmente mutare la loro costituzione materiale. I comuni si vedono attribuito il ruolo da protagonisti esclusivi nell’esercizio delle funzioni amministrative, che eserciteranno con una ampia autonomia normativa.

6 Art. 119. – “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E' esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti".

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La riforma si completa con due norme transitorie. E' stata accolta la proposta delle Autonomie (di ispirazione regionale) relativa all'estensione alle Regioni a statuto speciale "sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti (alle) disposizioni della presente legge costituzionale" in quanto più favorevole.Con la seconda norma transitoria viene attribuita ai regolamenti della Camera e del Senato la potestà di "prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione Parlamentare per le questioni regionali". Si prevede, conseguentemente, per i progetti di legge riguardanti materie di cui al 3° comma dell'art. 117 e art. 119 Cost. una procedura rinforzata di approvazione parlamentare.

Si ritiene utile segnalare i cinque principali assi "federalistici" che, sul piano istituzionale e ordinamentale, emergono da questa riforma. Essi sono:

1. Elementi di interconnessione strutturale tra gli enti costituenti la Repubblica, come, ad esempio il Consiglio delle Autonomie, di cui all'art. 123 del testo di riforma;2. abolizione dei controlli;3. costituzionalizzazione del potere statutario delle regioni e degli enti locali, ex art. 114;4. forme e condizioni di autonomie attivate dalla Regione su singole materie e per singoli obiettivi strategici in campo economico e sociale, concordate con gli enti locali e approvate con legge dello Stato art. 116;5. l'attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni salvo quelle conferite per assicurarne l'esercizio unitario alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. (art. 118).

La attuazione della riforma pone numerosi problemi operativi e rischia di scatenare un rilevante contenzioso tra lo Stato, le regioni e gli enti locali; contenzioso di cui i primi segni si colgono nell’aumento dei ricorsi alla Corte Costituzionale su leggi regionali e statali.

In prima battuta si è realizzata una “cabina di regia” tra i vari livelli istituzionali, ma le rappresentanze istituzionali degli enti locali si sono ritirati per protesta contro la sua inattività. Stato, regioni ed enti locali hanno quindi siglato una intesa interistituzionale caratterizzata dalla adesione allo spirito del federalismo cooperativo tra i vari livelli istituzionali.

In tale ambito il Governo ha presentato al Parlamento, con il sostanziale assenso delle regioni e degli enti locali, una proposta di legge ordinaria, cd La Loggia, per dare risposta ai problemi aperti dalla attuazione della riforma costituzionale.

Il Governo ha inoltre anticipato la volontà di chiedere al Parlamento la delega per la revisione del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, D.Lgs. n. 267/2000, per adeguarlo ai nuovi principi posti dalla Costituzione.

L’esecutivo inoltre ipotizza la presentazione di due disegni di legge costituzionale. Con il primo le regioni dovrebbero eleggere una parte dei componenti della Corte Costituzionale. Un organo a cui il processo di decentramento, in analogia a quanto avviene negli ordinamenti federali, assegna un ruolo ancora più accresciuto di punto di equilibrio tra i vari livelli istituzionali e sede per dirimere i loro contrasti.

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Con il secondo si ipotizza la revisione della stessa legge costituzionale n. 3/2001, in particolare per la drastica limitazione delle materie a legislazione concorrente e per la introduzione di una Camera delle regioni, quale sede di garanzia e di partecipazione al processo legislativo nazionale dei poteri decentrati.

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3 "Le nuove forme di governo delle Regioni, dei Comuni e delle Province"3.1 Brevi cenni sulle forme di governo

La forma di governo descrive le modalità secondo le quali l'attività di direzione politica è distribuita fra gli organi che compongono il governo in senso lato e cioè gli organi legislativi ed esecutivi e sintetizza i rapporti che si instaurano tra quegli organi. Nel sistema occidentale si possono individuare quattro forme di governo:

a) parlamentareb) presidenzialec) semipresidenzialed) direttoriale

A) Quella parlamentare è la forma di governo più diffusa nei paesi europei. Si è affermata una forma di governo monista, tutta incentrata sul rapporto tra maggioranza parlamentare e Governo. Nella sua versione attuale, la forma di governo parlamentare è così caratterizzata:- titolare dl potere di indirizzo politico è il blocco maggioritario formato dal Governo e dalla maggioranza parlamentare che la sostiene;- i due componenti del continuum maggioritario sono legati tra di loro da uno speciale rapporto politico, il rapporto di fiducia, in forza del quale l'Esecutivo per poter governare deve godere della fiducia del Parlamento;- quando viene meno tale rapporto di fiducia il Parlamento può, attraverso una mozione di sfiducia, far cadere il Governo- crisi parlamentare;- al Governo è riconosciuto il potere di chiedere al Capo dello Stato di sciogliere anticipatamente il Parlamento (elezioni anticipate) qualora si constati che le Assemblee non sono più in grado di esprimere una maggioranza.- Il Capo dello Stato è estraneo alla funzione di indirizzo politico, atteggiandosi come quarto potere o potere neutro al di sopra delle parti, dell'unità nazionale e del corretto svolgimento della vita politico-istituzionale del paese.

B) La forma di governo presidenziale. Essa di presenta come radicalmente contrapposta a quella parlamentare. Mancano in essa sia il rapporto di fiducia, sia la mozione di sfiducia, sia il potere di scioglimento ed il potere di indirizzo politico si concentra nelle mani del Capo dello Stato. Gli elementi caratterizzanti sono:- la titolarità del potere di indirizzo politico spetta al Presidente, che cumula nella sua persona la carica di Capo dello Stato e quella di Capo del Governo;- il Presidente è eletto dal corpo elettorale; - il principio della divisione dei poteri tra esecutivo e legislativo è rigidamente applicato

C) La forma di governo semi presidenziale. E' la forma vigente in Francia, caratterizzata dalla continuazione tra elementi propri del modello presidenziale e quella propria del modello parlamentare. L'Assemblea nazionale può votare la fiducia al Governo, il Presidente della Repubblica nomina il governo e può sciogliere anticipatamente l'Assemblea nazionale; il Capo del Governo è distinto dal Capo dello Stato.

D) La forma di governo direttoriale. Attualmente questa forma di governo vige solo nella Confederazione Svizzera ed è così caratterizzata:- titolare dell'indirizzo politico è il Consiglio federale (direttorio) composto da sette

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membri , uno dei quali è eletto a turno, per la durata di un anno, Presidente della Confederazione ;- il Consiglio federale è eletto dall'Assemblea federale per la durata dell'intera legislatura (quattro anni), durante la quale non può essere rimosso e non può provocare lo scioglimento dell'Assemblea.

3.2 La forma di governo delle Regioni: la legge costituzionale n. 1 del 1999 Nell'ordine, le innovazioni introdotte dalla legge 1 riguardano:

- la composizione e funzioni degli organi della Regione (Art. 121);- l'elezione del Presidente e la nomina dei componenti della Giunta regionale (art. 122);- l'autonomia statutaria, le modalità di approvazione dello statuto e i suoi contenuti fondamentali (art. 123);- lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale e il voto di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta (art. 126).

Con la modifica del secondo comma dell'art. 121 Cost., non è più prevista la potestà regolamentare in capo al Consiglio al quale rimane la precipua potestà legislativa. Il quarto comma dell'art. 121 Cost. prevede che il Presidente della Regione dirige la politica della Giunta e ne è responsabile. Il primo comma del nuovo art. 122 Cost. prevede che il sistema di elezione, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e dei componenti della Giunta, nonché dei consiglieri regionali siano disciplinati con legge della Regione; alla legge dello Stato rimane la definizione dei principi fondamentali e la fissazione della durata degli organi elettivi. Al secondo comma dell'art. 122 Cost. vengono aggiunte quali cause di incompatibilità con la carica di consigliere ed Assessore regionale l'appartenenza ad altra Giunta regionale ed al Parlamento europeo. Il quinto comma dell'art. 122 Cost. prevede infine l'innovazione più rilevante: l'elezione diretta del Presidente della Giunta, salvo che i nuovi statuti regionali non dispongano diversamente. Il Presidente eletto nomina e revoca gli assessori. Molto importanti sono anche le modifiche introdotte all'art. 123 Cost. che rafforzano l'autonomia delle Regioni, in direzione del federalismo. Lo statuto non viene più approvato con legge della Repubblica, ma la sua approvazione è prerogativa esclusiva del Consiglio regionale, e ad esso no deve essere apposto il visto del governo che permane per le leggi ordinarie regionali. Lo statuto diviene così veramente una sorta di "costituzione regionale", tant'è che per la sua approvazione è prevista una procedura aggravata, con doppia deliberazione legislativa del Consiglio (che l'approva a maggioranza assoluta dei suoi componenti) ed eventuale referendum. La procedura è molto simile a quella prevista per l'approvazione delle leggi costituzionali. Viene riformulato l'art. 126 Cost., per adeguarlo al principio dell'elezione diretta del Presidente della Giunta. La norma prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e di rimozione del Presidente della Giunta, disposti con decreto motivato del Presidente della Repubblica, in caso di compimento di atti contrari alla Costituzione o di gravi violazioni di legge e ragioni di sicurezza nazionale. Il secondo e terzo comma dell'art. 126 disciplinano il nuovo strumento della mozione di sfiducia del Consiglio nei confronti del Presidente della Giunta, la cui approvazione comporta le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. Gli stessi effetti vengono prodotti dall'impedimento permanente, dalla morte o dalle dimissioni volontarie del Presidente della Giunta, nonché dalle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio. Il Consiglio, ovviamente, non potrà più sostituire la Giunta ed il suo Presidente, come era previsto nel testo previgente dell'art. 126 Cost. Il testo costituzionale, infine, contiene le disposizioni transitorie (art. 5) che disciplinano l'elezione diretta del Presidente della Regione nelle more dell'emanazione dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali: essa sarà contestuale al rinnovo dei

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rispettivi consigli regionali e si effettuerà con le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei consigli regionali. Sono candidati alla presidenza della Giunta regionale i capilista delle liste regionali e sarà proclamato eletto Presidente della Giunta regionale il candidato che otterrà il maggior numero dei voti in ambito regionale. La scelta operata dal legislatore costituzionale respinge, quindi, le proposte di mantenere nella competenza esclusiva dello Stato la forma di governo regionale e la legislazione elettorale. Le disposizioni accolte dalla legge incidono non solo sull'ultimo comma dell'art. 122 della Costituzione, rimuovendo l'ostacolo all'elezione popolare del Presidente della Regione, ma investono radicalmente l'intera disciplina costituzionale del sistema elettorale regionale, la relazione corpo elettorale - Assemblea - governo (art. 126) ed introducono profonde innovazioni in merito alla natura, alla formazione e al contenuto degli statuti regionali (art. 123) Saranno, dunque, le leggi delle singole Regioni a dettare il modello elettorale che sarà ritenuto più adeguato nell'ambito dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.La Corte Costituzionale ha, intanto, già chiarito che le modifiche al modello di governo previsto dalla legge costituzionale n. 1/1999 sono possibili unicamente in sede di Statuto regionale.

La legge costituzionale n. 2/2001 ha esteso alle regioni a statuto speciale le norme sulla elezione diretta del Presidente.

3.3 La forma di governo nei Comuni: la legge n. 81 del 1993

Le votazioni. L'elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale si svolge contestualmente nel primo turno di votazione. L'eventuale turno di ballottaggio è previsto per l'elezione del sindaco:a) nei comuni sino a 15.000 abitanti nel caso di parità di voti per i candidati maggiormente

votati (T.U., art. 71. c. 6);b) nei comuni con oltre 15.000 abitanti nel caso che nessun candidato ottenga la

maggioranza assoluta dei voti validi (T.U., art. 72. c. 5);

L'eventuale turno di ballottaggio si tiene la seconda domenica successiva a quella del primo turno (T.U., artt. 71. c. 6 e 72. c. 5). Il turno di ballottaggio. Nelle elezioni amministrative, il turno di ballottaggio è stato previsto non solo come modalità per l'elezione diretta del sindaco o del presidente della provincia, ma anche come metodo per la composizione dei consigli, atteso che il gruppo di liste collegate al candidato vincente beneficia del premio di maggioranza, mentre il gruppo perdente beneficia di quella relativa compattezza che gli torna utile per esercitare il proprio ruolo di opposizione e di controllo sulla maggioranza: i collegamenti del ballottaggio servono appunto in vista dell'eventuale vittoria e della più favorevole attribuzione di seggi.

3.3.1 Elezione del sindaco e del consiglio nei comuni sino a 15.000 abitanti

• Sistema elettorale e modalità di votazione. L'elezione del consiglio nei comuni sino a 15.000 abitanti si effettua con il sistema maggioritario, contestualmente all'elezione del sindaco. Con la lista dei candidati al consiglio comunale deve essere presentato il nome e cognome del candidato alla carica di sindaco ed il programma amministrativo da affiggere all'albo pretorio. Ciascuna candidatura a sindaco è collegata ad una lista di candidati alla carica di consigliere comunale, comprendente un numero di candidati

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non inferiore ai tre quarti e non superiore al totale dei consiglieri da eleggere. Nella scheda, a fianco del contrassegno, è indicato il candidato alla carica di sindaco.

• Elezione del sindaco. E' proclamato eletto sindaco il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti. Nel caso di parità di voti si procede ad un turno di ballottaggio fra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero - pari - di voti. La votazione di ballottaggio viene effettuata la seconda domenica successiva a quella del primo turno.

• Elezione del consiglio. Voti attribuiti alle liste per il consiglio: a ciascuna lista di candidati alla carica di consigliere comunale sono attribuiti tanti voti quanto sono i voti conseguiti dal candidato alla carica di sindaco ad essa collegato (T.U., art. 71, c. 7).

• Assegnazione dei seggi. La ripartizione dei seggi fra le liste di candidati è effettuata dopo la proclamazione dell'elezione del sindaco, avvenuta nel primo o nel secondo turno di votazioni (art. 8 D.P.R. n. 132/1993). Alla lista collegata al candidato a sindaco, che ha riportato il maggior numero di voti, sono attribuiti due terzi dei seggi assegnati al consiglio, con arrotondamento all'unità superiore quando il numero dei consiglieri da assegnare alla lista contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi. I restanti seggi sono ripartiti proporzionalmente fra le altre liste.

3.3.2 Elezione del consiglio nei comuni con oltre 15.000 abitanti

• Le liste dei candidati. Le liste per l'elezione del consiglio comunale devono comprendere un numero di candidati non superiore a quello dei consiglieri da eleggere e non inferiore ai due terzi, con arrotondamento all'unità superiore qualora il numero dei consiglieri da comprendere nella lista contenga una cifra decimale superiore a 50 centesimi (T.U., art. 73, c. 1).

• Il voto di lista. Il voto alla lista viene espresso tracciando un segno sul contrassegno della lista prescelta. Ciascun elettore può esprimere inoltre un voto di preferenza per un candidato della lista da lui votata, scrivendone il cognome sull'apposita riga a fianco del contrassegno (T.U., art. 73, c.3). Qualora l'elettore abbia tracciato un segno sia su un contrassegno di lista, sia sul nominativo del candidato alla carica di sindaco collegato alla lista votata, il voto s'intende validamente espresso (art. 6, c. 1, D.P.R. n. 132/1993). L'indicazione del voto apposta soltanto sul nominativo del candidato a sindaco o sul rettangolo che contiene il nominativo stesso, vale solo come voto per il candidato a sindaco ed è esclusa l'attribuzione del voto alla lista o liste collegate (art. 6, c. 3, D.P.R. n. 132/1993).

• Liste non ammesse all'assegnazione dei seggi. Non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3% dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia (T.U., art. 73, c. 7).

• Premio di maggioranza per l'elezione del sindaco. Quando un candidato alla carica di sindaco è proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8 dell'art. 73 del T.U., almeno il 60%

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dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40% dei voti validi, viene assegnato il 60% dei seggi, semprechè nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50% dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8 sopra richiamato, almeno il 60% dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60% dei seggi, semprechè nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50% dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi dello stesso comma 8, (T.U., art. 73, c. 10).

• Assegnazione dei seggi e proclamazione dei consiglieri eletti: l'assegnazione dei seggi alle liste o gruppi di liste collegate, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, è disciplinata dalle seguenti norme dell'art. 73 del testo unico:

a. attribuzione dei seggi alle liste - effettuazione. L'attribuzione dei seggi alle liste è effettuata successivamente alla proclamazione dell'elezione del sindaco al termine del primo o del secondo turno (c.4.)b. cifra elettorale di lista. La cifra elettorale di una lista è costituita dalla somma dei voti validi riportati dalla lista stessa in tutte le sezioni del comune (c.5);c. cifra individuale dei candidati. La cifra individuale di ciascun candidato a consigliere comunale è costituita dalla cifra di lista aumentata dei voti di preferenza (c. 6);d. assegnazione dei seggi a ciascuna lista o gruppo di liste - modalità. Salvo quanto disposto dal comma 10 dell'art. 73. relativo all'attribuzione del 60% dei seggi alla lista o gruppo di liste collegate con il candidato eletto sindaco, per l'assegnazione del numero dei consiglieri a ciascuna lista o a ciascun gruppo di liste collegate, nel turno di elezione del sindaco, con i rispettivi candidati alla carica di sindaco si divide la cifra elettorale di ciascuna lista o gruppo di liste collegate successivamente per 1,2,3,4,…….sino a concorrenza del numero dei consiglieri da eleggere e quindi si scelgono, fra i quozienti così ottenuto, i più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente.

3.4 L’evoluzione del modello di funzionamento dei Comuni

A partire dalla entrata in vigore della legge n. 142/1990 la “costituzione materiale” dei comuni è radicalmente mutata.

Il legislatore ha nell'ultimo decennio radicalmente mutato il comune spingendo in particolare l'acceleratore in direzione della introduzione di logiche e culture di tipo aziendale. Tale processo ha investito direttamente una assai ampia gamma di settori, dalla struttura dell'attività, alle regole di diritto amministrativo, ai modelli organizzativi. Ma si è in modo molto netto che il legislatore nazionale ha agito sul terreno del ruolo dei dirigenti, del loro rapporto con gli organi politici e ne ha definito un nuovo profilo. Da sottolineare che tali scelte costituiscono un punto di grande rilievo all'interno della scelta di privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Tali cambiamenti, è utile evidenziarlo, possono essere ritenuti irreversibili. Varie ne sono le ragioni, a partire dal lungo arco di tempo in cui i relativi provvedimenti sono stati emanati e dall'essere parte integrante di un più vasto processo di riforma della intera pubblica amministrazione italiana. Processo di riforma sempre più obbligato a seguito della

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pesantezza dei costi sostenuti dal "sistema paese", costi non sopportabili in una processo di integrazione europea.

3.4.1 Un quadro organico di riforma

I cambiamenti organizzativi sono direttamente collegati, inoltre, alle nuove regole sulla rappresentanza politica (tra tutte si ricorda l'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia) ed al radicale mutamento di compiti (un processo aperto dal DPR n. 616/77 e che è in piena fase di concretizzazione sulla base delle regole poste dalla legge n. 59/1997, dal D.Lgs. n. 112/1998 e dalle nuove regole poste dalla riforma del titolo V della Costituzione). La elezione diretta del sindaco ha determinato il formarsi di un legame più diretto e stretto con i vertici dell'apparato burocratico. I nuovi compiti già attribuiti agli enti locali o in corso di attribuzione, hanno fatto dei comuni i più grandi soggetti erogatori di servizi alla persona, determinando quindi la necessità di una sua trasformazione in senso aziendale.

Le tendenze in corso di ulteriore maturazione spingono sempre più per la "trasformazione genetica" dei comuni sulla base di scelte e di culture aziendali. Basta pensare alla introduzione dei principi della sussidiarietà, sia in senso orizzontale che verticale, ed alla crescente spinta alla privatizzazione ed esternalizzazione della gestione dei servizi. Ed alla conseguente necessità, accanto all'alleggerimento del peso delle strutture burocratiche, al rafforzamento delle strutture di più alto livello, cioè in grado di ideare, programmare e controllare. Siamo dinanzi ad una scelta di rilevanza storica, visto che viene ad essere mutato un modello che si ispirava sostanzialmente alle scelte contenute nella legge cd Zanardelli, cioè alla Italia immediatamente post unitaria. Un modello che, con modificazioni di stampo centralistico introdotte dal Testo Unico nell'epoca fascista, è sostanzialmente proseguito fino al 1990.Con la legge n. 265/1999 ed il conseguente testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, D.Lgs. n. 267/2000, si è segnato un momento di grande rilevanza, ma non ancora conclusivo, visto il nuovo impulso dato al processo di valorizzazione del ruolo delle regioni e degli enti locali dalla riforma del titolo V della Costituzione.Il processo di riforma è stato avviato dalla legge n. 142/90 e si è articolato nel corso degli anni successivi in modo sostanzialmente coerente, elemento che si può considerare inedito nel panorama della nostra legislazione, visto che essa è molto spesso segnata da elementi di discontinuità e confusione. La importanza di tale elemento è sottolineata dalla considerazione che nello stesso arco di tempo è stato modificato in termini radicali il quadro di riferimento politico e, per molti versi, anche il quadro di riferimento istituzionale.E' così mutato in profondità lo stesso modello di comune e, conseguentemente, risultano radicalmente cambiati i compiti attribuiti a sindaci, giunte e consigli nonché a segretari, dirigenti e responsabili, con l'ulteriore considerazione che per queste figure è mutato lo stesso profilo professionale: di ciò devono essere pienamente consapevoli le amministrazioni comunali. Vediamo quanto radicale è tale mutamento, elemento che troppo spesso sembra non essere colto appieno dagli operatori e che invece dobbiamo assumere come tratto distintivo di fondo a cui ispirarci nella definizione dei nuovi ruoli e nella stessa interpretazione delle novità legislative.Ad un modello tendenzialmente uniforme per tutti i comuni italiani si è oggi sostituita una ampia valorizzazione dell'autonomia statutaria, organizzativa, finanziaria e tributaria. Una scelta molto netta che supera il tradizionale concetto di "autarchia" e che pone in capo alla

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legge nazionale un compito di individuazione di principi e di regolazione solo per gli elementi di fondo.Ad un modello che assumeva come elemento centrale il singolo atto e che considerava come essenziale il requisito della verifica della sua legittimità formale si è oggi sostituito il giudizio di centralità del procedimento e del risultato che esso si propone di raggiungere. Da qui la drastica riduzione prima, e la scomparsa dopo, dei controlli preventivi obbligatori.Il comune svolgeva compiti soprattutto di regolazione e di autorità, quelli oggi svolti dal sindaco quale ufficiale di governo, per il cui esercizio l'ente aveva una sorta di primato nei confronti dei cittadini ed il rispetto delle forme ne costituiva la garanzia. Oggi, ed ancora di più con l'attuazione del decentramento di funzioni e compiti amministrativi, il comune è essenzialmente un erogatore di servizi. Per una loro efficace gestione si richiede l'introduzione di una cultura e di metodi di tipo aziendale. Metodi la cui introduzione si impone ancora di più nel momento in cui si creano le premesse perché la gestione dei servizi da parte dei comuni non avvenga attraverso la gestione diretta, ma prevalentemente attraverso l'esercizio di compiti di indirizzo, programmazione e controllo.Ed ancora, per tutta la PA abbiamo il principio della distinzione dei compiti tra la sfera politica e quella burocratica; distinzione che acquista una particolare pregnanza negli enti locali. Possiamo perciò assumere che l'autonomia, il procedimento, i metodi aziendali, la articolazione tra compiti politici e compiti burocratici e la cultura del risultato costituiscono i nuovi cardini del modello gestionale dei comuni di oggi.Si deve in particolare sottolineare come il buon funzionamento del nuovo modello richieda un ampio ricorso da parte dei singoli enti al metodo della programmazione come elemento di fondo che caratterizza il nuovo sistema. L'attribuzione di un ruolo centrale agli organi elettivi nel momento della scelta dei programmi, con un intervento di supporto come dovere/potere di proposta dei dirigenti e/o responsabili costituisce la premessa indispensabile indicata dal legislatore. Ricordiamo che il legislatore ha posto al riguardo una serie molto marcata di obblighi (dai bilanci alla nuova relazione previsionale e programmatica, dai programmi delle assunzioni e delle opere pubbliche al PEG ed al PDO, ad esempio); per cui esiste tutta la adeguata strumentazione normativa ed operativa. Ed ancora il successivo momento della attribuzione, tendenzialmente esclusiva a dirigenti e responsabili della competenza gestionale, con l'intervento "residuale" degli organi di governo attraverso l'esercizio della direttiva, si rende di facile attuazione se l'ente si è dotato di una buona programmazione. Ed il tutto si può, solo una volta che siano state poste tali premesse, con l'esercizio effettivo dei poteri di controllo e di valutazione attribuiti agli organi politici. Per evidenziare la radicalità dei cambiamenti basta analizzare le conseguenze determinate da ogni elemento di novità. Ad esempio, riflettiamo un attimo sulle conseguenze determinate dalle nuove regole che attenuano in modo assai marcato i controlli preventivi obbligatori di legittimità. Essi inibivano l’efficacia dei singoli atti. Quindi la autonomia gestionale degli enti viene ulteriormente valorizzata anche su questo terreno.

Il percorso del cambiamento di modello del comune ha proceduto con una ed omogeneità di fondo del disegno che merita di essere sottolineata e che amministratori, dirigenti e responsabili devono assumere come un dato unificante. E che costituisce la base di riferimento per la soluzione di tutti i problemi applicativi.

3.4.2 Le principali tappe

Tutti i principi di fondo del disegno di riforma legislativa sono parte della contenuti, almeno in nuce, nella legge n. 142/1990 di riforma dell'ordinamento locale; solo per citarne alcuni

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ricordiamo: l'introduzione della autonomia statutaria e normativa, la spinta all'associazionismo gestionale, la introduzione delle aree metropolitane, l'avvio della attribuzione dei poteri gestionali ai dirigenti, la riduzione dei controlli di legittimità.

Quasi contestualmente la legge n. 241/1990 ha radicalmente modificato le regole di funzionamento delle PA: da un lato si è sancito il principio dell'accesso dei cittadini e degli interessati; dall'altro si è posta la centralità del procedimento rispetto al singolo atto. Sul versante dell'ampliamento degli spazi di autonomia tributaria i DLGS n. 504/92 e n. 507/93 hanno consentito il forte aumento del peso delle entrate proprie sul totale delle entrate dei comuni.La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e la distinzione delle competenze tra organi politici e dirigenti sono i tratti caratterizzanti il DLGS n. 29/93.Nello stesso anno viene approvata la legge n. 81/93 che ha introdotto l'elezione diretta di sindaci e presidenti delle province, mutando radicalmente la forma di governo dei comuni e delle province, e prevedendo contestualmente una serie di adeguamenti organizzativi.Non bisogna sottovalutare i riflessi istituzionali del DLGS n. 77/95, in particolare laddove si prevede la introduzione della contabilità economica, laddove si pongono le basi per la strutturazione del metodo della programmazione e laddove si attribuisce ai responsabili di uffici e servizi una ampia autonomia gestionale nella utilizzazione delle risorse finanziarie. E' questa una norma che ricordiamo esistere in termini così chiari e complessivi solo per gli enti locali.Arriviamo così alla stagione delle leggi cd Bassanini. Con la legge n. 59/1997 si sono poste le basi di tre grandi cambiamenti. Si sono innanzitutto determinate premesse e criteri per un ampio decentramento di competenze amministrative dal centro alla periferia. La più consistente attuazione di tali principi è contenuta nel D.Lgs. n. 112/1998. Ed ancora si sono posti i principi per il completamento del processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e per la introduzione di una cultura ed una pratica di tipo aziendale nelle PA. Tra i numerosi provvedimenti attuativi ricordiamo i seguenti D.Lgs. n. 396/1997(nuove regole per la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e per la contrattazione collettiva); n. 80/1998(cd seconda privatizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni) e n. 286/1999 (articolazione del controllo interno in controllo di legittimità, di gestione, strategico e valutazione). Tutte norme oggi contenute nel D.Lgs. n. 165/2001 che è stato oggetto di modifiche, coerenti con l'impianto complessivo, nella legge n. 145/2002, cd legge Frattini. E si sono posti infine gli elementi portanti della riforma della PA centrale e periferica e degli enti nazionali ad essa collegati. Tra i provvedimenti attuativi ricordiamo il D.Lgs. n. 300/1999 di riforma dei ministeri e il D lgs n. 303/1999 di riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri.Con la legge n. 127/1997 si sono introdotte decise riforme sui versanti della semplificazione e delle regole di funzionamento delle pubbliche amministrazioni locali. Ricordiamo: il forte impulso dato alla autocertificazione (vedi il DPR n. 403/98 sulla certificazione amministrativa); la delegificazione di numerosi procedimenti (tra gli altri il DPR n. 447/98 istitutivo dello sportello unico per le autorizzazioni agli insediamenti produttivi); la più incisiva separazione di compiti tra amministratori e dirigenti; la drastica attenuazione dei controlli di legittimità; la radicale riforma dello status e delle competenze dei segretari (vedi il DPR n. 465/1997).Con la legge n. 191/1998 si è riaffermato il principio della separazione dei compiti tra politici e dirigenti nei piccoli comuni e si sono poste le basi per l'aumento del ricorso al telelavoro.

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Si deve sottolineare che tali norme, oltre a porre il centro di riferimento nazionale nel Dipartimento della Funzione Pubblica, hanno un tratto di marcata diversità costituita dal rappresentare una normativa che interviene in dosi massicce in via diretta e non attraverso una mediazione dei singoli enti, elemento che è presente in modo marcato solo negli aspetti organizzativi.Un deciso impulso alla autonomia tributaria costituisce il risultato di numerosi decreti legislativi, tra cui ricordiamo in particolare il DLGS n. 446/97, in particolare esso rileva per la valorizzazione dell'autonomia regolamentare.Non di minore rilevanza sono state le disposizioni contenute nelle varie leggi finanziarie di questi anni, soprattutto sul profilo delle regole di assunzione e di vincoli di riferimento per la spesa; nei contratti collettivi, tanto in quelli a valenza quadriennale siglati nel 1995 e nel 1998 che nel nuovo ordinamento professionale e nella numerosa legislazione di settore.Un contributo di rilievo è stato dato anche dai contratti dei dirigenti.

Non minori sono le conseguenze in termini ordinamentali, e stavolta non sempre coerenti con il disegno di fondo, della numerosa legislazione di settore che è intervenuta nell'arco di questo decennio, dagli appalti, all'edilizia, all'assistenza, alla sanità, al commercio etc.

3.4.3 L'evoluzione del sistema organizzativo

Il modello organizzativo dei comuni è radicalmente mutato negli ultimi anni o, meglio, sono state poste le premesse legislative per il cambiamento ed esso è stato concretamente avviato. Ovviamente le novità si diffondono "a macchia di leopardo"; dal che se ne ricava la considerazione che siamo dinanzi a velocità diverse nella applicazione delle nuove regole. Ma dobbiamo subito rilevare quanti passi in avanti siano stati compiuti negli ultimissimi anni e quanto la realtà degli enti locali sia in radicale evoluzione.

Occorre subito rilevare che il cambiamento "epocale" che i comuni stanno vivendo si rileva dalla sostituzione dei principi di fondo che ispiravano il modello legislativo ed organizzativo. Dallo schema che segue si evince con chiarezza quanto radicalmente nuovi siano i principi che presiedono alla organizzazione degli enti locali oggi e quanta strada si sia fatta rispetto a pochi anni orsono.Se gli operatori non assumono come nuova premessa logica la adozione delle nuove regole essi rischiano di trovarsi in crescente difficoltà nella interpretazione ed applicazione delle nuove regole. Fino al 1990 il modello di governo e di organizzazione degli enti locali era ispirato alle seguenti regole di fondo:uniformità,centralità dell'atto,rappresentanza esterna attribuita agli organi politici.

Oggi il legislatore ha adottato i seguenti principi ispiratori:

autonomia,centralità del procedimento,orientamento al risultato,separazione delle competenze tra organi politici e burocratici,privatizzazione del rapporto di lavoro.

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Dalla legge n. 142/90 in poi i comuni e le province hanno visto enormemente valorizzata la loro autonomia. Il legislatore sempre più si limita ad indicare alcune regole e/o vincoli di fondo e per il resto si rimette alla libertà di scelta.L'autonomia attribuita agli enti locali ha una notevole ampiezza. Essa è infatti:

autonomia normativa (cioè statutaria e regolamentare);autonomia organizzativa;autonomia finanziaria;autonomia tributaria

La attribuzione ai comuni ed alle province di autonomia normativa segna la più netta e radicale rottura rispetto al modello precedente la legge n. 142/90. Siamo dinanzi ad una autonomia che si svolge su due livelli. Lo statuto diventa per l'ente locale una fonte essenziale di riferimento normativo. I regolamenti, nell'ambito dei principi fissati dalla legge e dello statuto, dettano le regole operative. Da sottolineare subito che l'autonomia regolamentare ha carattere generale, quindi non è subordinata ad una norma di legge che la ammetta. Essa è dopo la entrata in vigore delle legge n. 265/99, principi ribaditi nel DLGS n. 267/2000 e rafforzati ulteriormente dalla riforma del titolo V della Costituzione, vincolata unicamente ai principi della legislazione. Gli operatori sono quindi chiamati a distinguere nell'ambito delle leggi le norme di principio da quelle di dettaglio. Assai rilevanti, soprattutto sul terreno teorico, sono le forme di valorizzazione introdotte in tema di autonomia statutaria. Essa è subordinata ai soli principi delle leggi, come già indicato dalla legge n. 142/90. Ma oggi essa è vincolata unicamente ai principi ricavabili dalla legislazione di principio in tema di ordinamento delle autonomie locali. Quindi, il legislatore rafforza lo statuto, facendone una fonte in grado di resistere alla legislazione di dettaglio.Non meno rilevante è l'ampio spazio riconosciuto alla autonomia finanziaria, cosicchè ogni ente può costruire un modello di gestione delle risorse che, rispettando alcuni vincoli di fondo tesi a garantire essenzialmente una omogeneità nella lettura dei bilanci, consente il dispiegarsi di un ampio grado di autoorganizzazione.Con la attribuzione ai comuni ed alle province di un consistente grado di autonomia finanziaria si stanno dando gambe concrete alle nuove regole. Oggi, sul terreno nazionale, oltre la metà delle entrate dei comuni non derivano più da trasferimenti nazionali o regionali, ma da entrate proprie, sia di carattere tributario che extratributario. Negli anni 80 il dato medio nazionale di entrate proprie oscillava intorno al 20%. Da sottolineare che, con la normativa tributaria intervenuta a partire dal DLGS n. 446/97, la autonomia tributaria è stata ulteriormente ampliata sul terreno dello spazio di autoorganizzazione attribuito agli enti locali, vedi in particolare per le sanzioni e la riscossione.

3.4.4 L'autonomia organizzativa

E' questa un'altra delle scelte di fondo compiute dalla legislazione negli ultimi anni. Scelta che per gli enti locali è stata rafforzata in modo consistente a partire dalla legge n. 127/97 e dal DLGS n. 80/98 e, ovviamente, dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e, da ultimo, dalla riforma del titolo V della Costituzione. Si sancisce la piena autonomia organizzativa degli enti locali. Essa è vincolata unicamente alla capacità di dare risposta adeguata alle esigenze gestionali ed ai vincoli di bilancio.

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Richiamiamo la formulazione legislativa che prevede l'adeguamento dei regolamenti degli enti locali ai soli "principi" della separazione delle funzioni tra politica e burocrazia e della dirigenza. Il principio è doppiamente importante, sia per le conseguenze concrete che per le valutazioni sistematiche. Esso consente ad ogni ente di darsi un modello gestionale specifico e le regole concrete di funzionamento giudicate più adatte alla propria realtà. Il che appare una scelta pressoché obbligata nel caso dei comuni, stante la estrema differenza tra gli 8.104 comuni. La scelta appare assai rispettosa dell'autonomia costituzionalmente garantita per i comuni e le province. Siamo quindi dinanzi ad un elemento da cogliere appieno in tutte le implicazioni. A partire dal fatto che esso impone un salto culturale in termini di autonomia concreta di elaborazione. In altri termini dobbiamo metterci in condizione di volere, sapere e potere bene esercitare il potere attribuito.

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4 “Regioni ed enti locali: verso un sistema di autogoverno a ‘rete’”

4.1 Le Regioni

Gli anni novanta si sono caratterizzati, nell'ambito del mondo delle autonomie, per l'entrata in vigore di nuove leggi ordinamentali che hanno prodotto mutamenti profondi del quadro politico e istituzionale degli enti locali (leggi 142/1990 e 81/1993), del quadro organizzativo amministrativo (legge 241/1990; D.Lgs.. 29/1993, legge 59 del 1997, legge 127 del 1997); nonché del quadro finanziario e tributario che, a partire dalla legge 158/90 per le Regioni e dalla legge delega 421/92 (art. 4) per gli enti locali, hanno avviato il federalismo fiscale (legge 549/1995; legge 662/1996; D.Lgs. 446/1997; legge 133/1999; D.Lgs.. 56/2000). Oltre alla fondamentale legge costituzionale n. 1/99, vanno segnalate: la legge 3 agosto 1999, n. 265 con la quale sono state apportate profonde modifiche alla legge 142/1990 ed il D.Lgs.. 18 agosto 2000, n. 267, contenente il "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali". Si è sostanzialmente concluso l'iter dei decreti attuativi della legge 59/1997 e del D.Lgs.. 112/1998, che individuano le risorse finanziarie ed umane che dovranno accompagnare i conferimenti di funzioni statali (e regionali) alle autonomie territoriali. In questo contesto non può essere, peraltro, taciuto il completamento del processo di riordino dell'amministrazione statale attuato con i decreti legislativi 300 e 303 del 1999 concernenti, rispettivamente, la riforma dei ministeri e il riordino della Presidenza del Consiglio, perseguito contestualmente al decentramento amministrativo e al processo di semplificazione e di riordino dell'attività amministrativa. Grande rilievo assumono, altresì, le disposizioni introdotte dalla legge n. 205/2000 di riforma della giustizia amministrativa, e dalle leggi annuali di semplificazione.

L'art. 131 Cost., con le modificazioni apportate dalla legge costituzionale del 27 dicembre 1963, n. 3, ha istituito le seguenti Regioni:

Piemonte Marche

Valle d'Aosta Lazio

Lombardia Abruzzo

Trentino Alto Adige Molise

Veneto Campania

Friuli Venezia Giulia Puglia

Liguria Basilicata

Emilia Romagna Calabria

Toscana Sicilia

Umbria Sardegna

per un totale di venti Regioni (di cui cinque a "Statuto Speciale")

Gli organi regionali previsti dall'art. 121 della Costituzione sono:

1. Il Consiglio regionale;

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2. La Giunta regionale;

3. Il Presidente della Giunta.

In particolare la norma costituzionale stabilisce che:

a. Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative (quelle regolamentari sono state trasferite dalla legge Cost. 1/1999 alla Giunta) attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi e può fare proposte di leggi alle Camere;

b. La Giunta regionale è l'organo esecutivo delle Regioni;

c. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione, dirige la politica della giunta e ne è responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali (dopo la legge Cost. 1/99), dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.

4.2 Regioni ed enti locali: la funzione di coordinamento e di promozione.

• La funzione della Regione è anche quella di coordinare le attività degli enti minori indirizzandola nei settori in cui la Regione ritenga di svolgere l'attività propria e quella degli enti minori. Questa interpretazione può essere confermata dalla lettura dell'art. 3 della legge 142/1990 ora art. 4 del T.U. degli enti locali che mira ad assegnare alla Regione il ruolo di identificazione di taluni interessi e di organizzazione dell'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale, sempre nel rispetto della prerogativa dell'ente locale di identificare a sua volta le funzioni proprie. Novità importanti riguardano anche la previsione per cui le Regioni sono chiamate a disciplinare con proprie leggi, nell'ambito del programma territoriale da esse adottato, le forme d'incentivazione dell'esercizio associato di funzioni comunali, nel rispetto di principi fondamentali. La scarsa attuazione dell'art. 3 legge 142/1990 ha costretto il legislatore statale a riproporre il modello della cooperazione tra Regione ed enti locali attraverso l'art. 4, c. 3, lett. A), della legge 59/1997, rafforzandolo con l'espresso richiamo al principio di sussidiarietà. In questa prospettiva il legislatore regionale è tenuto (art. 3, c. 1, D.Lgs.. 112/1998):1. ad individuare i livelli ottimali di esercizio delle funzioni amministrative trasferite ai Comuni al fine di favorirne l'esercizio in forme associate;2. ad attribuire agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni dei compiti trasferiti; 3. a definire strumenti e procedure di raccordo e di concertazione anche permanenti con gli enti infraregionali in grado di dare luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali anche al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata.Qualora la Regione non si attivi entro il termine di sei mesi, il governo è abilitato ad emanare, sentite le Regioni inadempienti, uno o più D.Lgs.; di ripartizione e di conferimento di funzioni tra Regioni ed enti locali.

Una particolare attenzione è dedicata dal legislatore del Testo Unico alla esigenza di sostenere ed incentivare il processo di associazionismo gestionale tra i comuni, in particolare quelli di più piccola dimensione.

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4.3 Gli organi di raccordo tra Regioni ed Enti Locali

Gli organi di raccordo tra Regioni ed enti locali. L'art. 3, c. 5 del D.Lgs.. 112/1998 sollecita le Regioni ordinarie a prevedere "strumenti e procedure di raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme di cooperazione strutturali e funzionali, al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata tra Regioni e enti locali nell'ambito delle rispettive competenze". L'istituzione di organismi di questo tipo rientra nell'ottica di una equilibrata distribuzione dei poteri fra i diversi livelli di governo, nonché di una ripartizione razionale delle competenze, ispirate quanto più possibile al principio del conferimento a un solo livello di governo delle funzioni relative ad una certa materia. Da una prima ricognizione delle discipline regionali, emerge innanzitutto la funzione consultiva attribuita alle strutture di raccordo Regione-enti locali, come quella più ricorrente. In generale i legislatori regionali tendono a circoscrivere l'esercizio della funzione consultiva alle materie di interesse degli enti locali. L'organo di raccordo viene chiamato ad esprimere un parere in merito agli atti di conferimento delle funzioni alle autonomie locali e più in particolare sugli atti regionali di indirizzo e coordinamento, sull'individuazione dei livelli ottimali di esercizio delle funzioni, sul piano di ripartizione delle risorse necessarie all'esercizio delle funzioni conferite, sui criteri di determinazione delle risorse per il finanziamento delle funzioni conferite, sull'individuazione dei beni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali, sui criteri per l'esercizio del potere sostitutivo, sulla legge regionale di revoca della delega o sub delega, sull'individuazione dei soggetti cui affidare la gestione delle funzioni di competenza della Regione, degli enti locali, delle autonomie funzionali; sulle relazioni al Consiglio regionale in merito all'attuazione della riforma amministrativa, sul sistema informativo di rilevazione statistica della rete informatica; sugli indicatori relativi alla verifica dell'efficacia dell'esercizio delle funzioni conferite; sulla semplificazione e armonizzazione delle procedure amministrative, nonché sui provvedimenti relativi alla programmazione, al bilancio regionale, all'ordinamento degli enti locali. Gli organi di raccordo possono essere riferiti a due modelli: uno, cosiddetto dualista, che ricalca l'impostazione della Conferenza Stato-Regione; l'altro, definito monista, riprende l'impostazione della Camera delle Regioni. Non a caso gli organi di raccordo riferibili al modello dualista sono generalmente qualificati come Conferenze, mentre quelli riferibili al modello monista sono denominati Consiglio delle autonomie locali. Nel modello dualista la presidenza dell'organo è affidata alla Regione e le funzioni della conferenza sono prevalentemente consultive. Nel modello monista la presidenza dell'organo è affidata agli enti locali e le funzioni sono di tipo sia consultive che attive con alta formalizzazione delle regole di funzionamento e di quelle decisionali e con la elezione dei membri espressione degli enti locali. Il modello dualista favorisce la direzione regionale sulle decisioni che riguardano gli enti locai, basando il suo funzionamento su un concetto di collaborazione intesa come coordinamento e consultazione. Viceversa, il modello monista sembra valorizzare più l'autonomia che l'unità e quindi ha il pregio di esprimere meglio le aspirazioni degli enti locali chiamati a partecipare al processo decisionale regionale. Ricordiamo che la Costituzione impegna la revisione degli statuti regionali a contenere la istituzione del Consiglio regionale delle autonomie locali, quale momento di coordinamento.

4.4 ConclusioniQuella attuale è una fase dove la modernità, con tutte le sue contraddizioni ed anche grandi ingiustizie, vive ormai una fase di maturità. Il mondo, la società, l'economia si fanno

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sempre più complessi e articolati. I confini e le antiche barriere sono ormai in crisi. I centralismi crollano. Ma non si può rispondere a tutto ciò con un localismo esasperato, chiudendosi nei propri confini, neanche in quelli regionali o macro regionali. L'Europa, nel rispetto delle identità e delle storie nazionali, sta costruendo un nuovo assetto ordinamentale fondato sulla integrazione e sulla crescita qualitativa degli standard di vita. Il mondo è divenuto globale. In questa dimensione, quindi, assume un significato preciso la prospettiva, a partire dal ruolo delle istituzioni territoriali costituenti la Repubblica, dalle esperienze sociali ed economiche di ogni comunità, aprendosi sempre più alla collaborazione interistituzionale. Autonomia e federalismo si reggono assieme se esse vengono pensate e vissute come forme di autogoverno dentro un sistema, un sistema a rete. Sussidiarietà istituzionale vuol dire, innanzi tutto, riconoscere il ruolo dei Comuni quale primo livello istituzionale ed impegnarsi ad aiutarli per esercitarlo nel miglior modo possibile. Cooperazione è l'elemento di raccordo tra autonomia e federalismo, se le forme di autogoverno vengono intese dentro un sistema, un sistema a rete. In questi anni, a partire dai Comuni, grandi, medi o di minore dimensione demografica, si è messo in atto un grande sforzo di cambiamento del sistema di governo e della pubblica amministrazione locale, sia nell'ottica di ottimizzare e di migliorare i servizi offerti ai cittadini sia per supportare il più ampio processo di rinnovamento del nostro Paese. Una osservazione, a questo punto può far capire qualcosa delle aspirazioni federalistiche delle riforme in atto. L'art. 5 postula - in quanto principio fondamentale della Costituzione - una sostanziale omogeneità di strutture che attraversa il grande capitolo dei poteri locali. Da ciò una conseguenza ulteriore, che consiste nel superamento dell'antica struttura fondata sugli ordinamenti separati e reciprocamente chiusi in linea di principio; l'autonomia si basa su ordinamenti aperti e non separati. Un modello, quello in atto nel nostro Paese, di federalismo in fieri , per autonomie integrate, nel quale gli ordinamenti di Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e comuni non si trovano separati e comunicano attraverso forme istituzionali fluide di rapporti, con la possibilità di sostituzione non soltanto di una fonte all'altra, ma secondo una possibilità di interscambio, a livello circolare (a rete) delle diverse forme di intervento. I temi di confronto tra Regioni e autonomie locali: Spunti per un decalogo autonomista dei nuovi statuti. Da segnalare il notevole ritardo con cui i consigli regionali stanno procedendo alla adozione dei nuovi statuti.Le principali questioni che saranno oggetto di confronto tra le autonomie territoriali riguardano:

- Associazionismo degli enti locali: Comunità montane;- Attuazione del federalismo amministrativo;- Attuazione delle leggi 142/90, 265/99 e gestione del Testo Unico degli enti locali;- Attuazione legge Cost. 1/99 · Consiglio delle autonomie;- Costituzione delle Aree e delle città metropolitane;- Delegificazione e semplificazione amministrativa;- Federalismo finanziario e fiscale. Metodo della programmazione finanziaria e della

costruzione dei bilanci regionali;- Gestione fondi comunitari e iniziative di partenariato;- Incentivazione delle forme associative di gestione dei servizi pubblici locali e

valorizzazione dei Comuni di piccola dimensione;- Potere regolamentare e delegificazione;- Presenza unitaria a Bruxelles, nell'ambito degli uffici regionali di collegamento con

le istituzioni comunitarie e del Comitato delle Regioni, progettazione comunitaria;- Principio di sussidiarietà e ambiti di governo;

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- Rapporti interistituzionali, con particolare riferimento alle Camere regionali delle autonomie e alla Conferenza unificata;

- Semplificazione amministrativa e autoregolazione/auto organizzazione;- Statuti regionali;- Sviluppo e occupazione: partecipazione degli enti locali alla Programmazione

regionale, sulla base del patto di stabilità, di nuovi patti territoriali e dello sviluppo degli sportelli unici.

Statuti regionali: per un nuovo autogoverno dei sistemi territoriali . Il tema dei nuovi Statuti Regionali, sulla base di quanto previsto dalla legge Costituzionale n. 1/99, va collegato concretamente alle due problematiche del federalismo e della sussidiarietà. L'elaborazione statutaria dovrà incentrarsi sui seguenti momenti di regolazione:

• rapporto Consiglio-Presidente

• rapporto Presidente-Giunta

• rapporto maggioranza-opposizione

• forme di democrazia diretta

• rivisitazione del procedimento normativo

• sussidiarietà orizzontale

• decentramento infraregionale e rapporti con le altre autonomie locali.

Si tratta di argomenti riguardanti la forma di governo regionale che, unitamente a quelli prima richiamati, di tipo economico sociali, dovranno vedere gli Enti locali coprotagonisti della creazione di un nuovo sistema regionale delle Autonomie. La riscrittura degli Statuti dovrà adeguarsi ai principi posti dalla riforma del titolo V della Costituzione e tenere conto del modello di decentramento amministrativo anticipato dalle leggi "Bassanini", con particolare riferimento ai principi di sussidiarietà, differenziazione, unicità ed adeguatezza. La Regione deve essere concepita come ente di governo politico di un sistema a rete incentrato sui governi locali istituzionalizzando il metodo e gli organi della concertazione. I consigli regionali dovranno recepire negli statuti il principio di sussidiarietà, quale canone regolativo generale dell'assetto amministrativo, dando ad esso piena attuazione e devolvendo l'esercizio delle funzioni amministrative alle altre autonomie locali. L'esperienza regionale sin qui realizzata presenta segnali e tendenze ambivalenti; in alcune Regioni, vi è il prevalere di una interpretazione restrittiva della sussidiarietà e di un orientamento teso alla conservazione di una visione centralistica della Regione, quale soggetto gerarchicamente sovraordinato rispetto agli altri enti territoriali. Nel dettare le regole per l'organizzazione e il funzionamento della Regione, lo statuto dovrà promuovere un rinnovamento dell'apparato regionale per favorire una struttura snella e funzionale della Regione, che deve proporsi quale ente di governo e coordinamento politico degli altri soggetti territoriali, secondo le regole della concertazione e collaborazione

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II PARTE - SISTEMI DI REGOLAZIONE E ATTIVITA’ FRA INNOVAZIONE E SEMPLIFICAZIONE5. "La delegificazione e semplificazione"

Il legislatore nazionale ha, negli ultimi anni, spinto con forza l’acceleratore in direzione della delegificazione, intendendo come tale il tentativo di ridurre il numero delle leggi e di prevedere che, in modo crescente, la regolamentazione di un numero crescente di materie sfugga alla necessità di norme di legge.

Per la riduzione del numero di leggi la legislazione nazionale degli ultimi anni è stata caratterizzata dalla introduzione di numerosi testi unici. Basta ricordare quelli sull’ordinamento degli enti locali, sui beni culturali, sulla tutela delle acque, sulla documentazione amministrativa e quelli, adottati ma non ancora entrati in vigore, sulle espropriazioni per pubblica utilità e per l’edilizia. La redazione di testi unici vuole offrire agli operatori certezza sulle norme in vigore e coordinare tra loro norme di legge spesso scoordinate e differenti.

Cresce il numero dei procedimenti che sono stati sottratti alla legislazione, scelta che è stata inaugurata dalla legge n. 59/1997.

Crescono le materie sottratte al vincolo della disciplina legislativa e rimesse alla autonomia regolamentate e normativa dei singoli enti e, nel caso del rapporto di lavoro, alla disciplina contrattuale.

5.1 La semplificazione dell'azione amministrativa

La complessità e la inefficacia dei processi decisionali pubblici costituiscono il riflesso di alcune caratteristiche tradizionali del nostro sistema amministrativo:

- la frammentazione e sovrapposizione delle funzioni tra un numero elevato di uffici;- la rigidità della disciplina e l'inflazione normativa che pervade, spesso con leggi antiquate e superate, ogni aspetto dell'azione e dell'organizzazione amministrativa;- la conformazione dei rapporti tra il centro e la periferia secondo un modello nel quale si combinano accentramento e indifferenziazione dei compiti; la pervasività del regime dei controlli;- la separazione tra la finanza e l'amministrazione; il modello di protezionismo liberale che comporta un eccesso di regolazione delle attività private.

Le conseguenze sono esaminate da tempo. Di recente, però, alcune indagini hanno arricchito il quadro delle conoscenze e fornito una quantificazione dei costi diretti e indiretti che discendono dall'azione amministrativa.7

7 I Costi AmministrativiI costi amministrativi Con particolare riguardo ai costi che gravano sul sistema produttivo, l'indagine Istat-Unioncamere del 1997 ha rilevato che l'incidenza dei costi amministrativi sul totale dei costi aziendali è pari in media a circa l'1% per un valore complessivo di 22.500 miliardi di lire. Tale importo rappresenta l'1,24% del PIL, calcolato ai prezzi di mercato. All'interno di questo quadro, la situazione delle piccole e medie imprese è decisamente più sfavorevole delle grandi imprese, in quanto si stima che i costi amministrativi rappresentino l'1,29% del totale dei costi aziendali del lavoro per le imprese con 3-5 addetti e dell'1,7% per quelle con 6-19 addetti, contro lo 0,2% per le imprese con più di 200 dipendenti. Inoltre, una indagine della Confindustria del 1998 ha evidenziato che ogni anno un'impresa ha mediamente 190 contatti con la pubblica amministrazione (per lo più enti previdenziali, enti locali e Asl) e subisce 15 controlli dei vari uffici su aspetti attinenti l'ambiente, la sicurezza sul lavoro, la previdenza sociale, ecc., per un totale di 250 milioni di contatti annui in media delle imprese con le amministrazioni e oltre 6 milioni di controlli. Inoltre, il 51% delle imprese ha almeno una controversia giudiziaria in corso con l'amministrazione. Nel complesso, si calcolano in media 194 giornate di lavoro "perse" dall'impresa

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Gli adempimenti burocratici si traducono in veri e propri costi diretti per i soggetti regolati (compliance cost). Inoltre, i sistemi di regolazione sia economica che sociale possono comportare costi indiretti sul sistema economico che si traducono in vincoli allo sviluppo e all'occupazione.

Tutto questo incide poi in misura rilevante sulla competitività del sistema paese all'interno dell'Unione Europea. La pubblica amministrazione finisce infatti per diventare un fattore rilevante di incentivo o disincentivo per gli investimenti delle imprese nazionali ed estere e, quindi, un fattore in positivo o in negativo di competitività di ogni Stato8.

A partire dagli anni novanta, la semplificazione normativa e amministrativa si afferma in Italia come uno degli obiettivi principali dei programmi complessivi di riforma della pubblica amministrazione. Tra le ragioni fondamentali, oltre al contenimento della spesa pubblica e alla riduzione dei costi a carico del sistema produttivo in stretta connessione con i vincoli derivanti dal processo di integrazione europea, si evidenzia la stretta connessione tra la semplificazione e lo sviluppo di un insieme di diritti e di interessi, individuali e collettivi che delineano i tratti costitutivi di una "cittadinanza amministrativa". In questo senso, rileva il riconoscimento in capo al cittadino stesso di un diritto alla semplicità dell'azione amministrativa ovvero un interesse preliminare a che una decisione, qualunque essa sia, venga presa in tempi ragionevolmente e tendenzialmente certi, e senza l'imposizione di adempimenti eccessivamente onerosi.Il passaggio dell'enfasi dal "processo" al "risultato" comporta, quindi, che l'azione amministrativa debba passare il vaglio non solo del sindacato di legittimità, ma anche di un giudizio di efficacia e di efficienza sulla base di una specifica analisi del rapporto costi/rendimenti delle attività delle pubbliche amministrazioni. In particolare, con la L. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo, la semplificazione assurge a principio generale dell'ordinamento giuridico, applicabile a qualsiasi settore dell'azione amministrativa.La legge, com'è noto, dedica un intero capo alla semplificazione (il capo IV), concepita come strumento indispensabile per la piena realizzazione del principio di economicità ed efficacia sancito nell'art. 1 della legge, e individua un insieme di modelli e tecniche di applicazione generalizzata nelle amministrazioni9.

per adempimenti burocratici pari ad un costo annuo di oltre 200 milioni.8 Lo Stato competitivoLo Stato competitivo In un mercato, come quello europeo, in prospettiva completamente libero e unificato i fattori della produzione tendono sempre più a spostarsi dove i sistemi normativi e amministrativi risultano più favorevoli ed efficienti (regime shopping). Si viene così a stabilire una concorrenza non più solo tra i fattori della produzione, ma anche tra i regimi di regolazione e tra le stesse amministrazioni. Di qui, la spinta verso interventi di riforma nei singoli Stati idonei ad accrescere l'efficienza e l'efficacia delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, a semplificare, limitare o eliminare i vincoli e le restrizioni alle attività private imposte dalle regolazioni, allo scopo di ripristinare le condizione di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, in coerenza con il vincolo di un corretto ed ordinato funzionamento del mercato richiesto dallo stesso processo di integrazione economica e monetaria.9 La legge 241/1990Il capo IV della l. 241 individua tre diversi modelli di semplificazione. Il primo investe la struttura stessa del procedimento, del quale si consente la modificazione attraverso la soppressione o sostituzione di alcune fasi (disciplina giuridica dei pareri e valutazioni tecniche, artt. 16 e 17) o mediante strumenti di

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Su questa base, si innestano le discipline successive che ampliano l'applicabilità degli strumenti di semplificazione, arricchiscono e rafforzano le relative tecniche e stabiliscono una stretta connessione tra la semplificazione e la delegificazione. Il riferimento è in particolare a due leggi:

- L. 23 dicembre 1993, n. 53710

- L. 15 marzo 1997, n. 5911

Con le leggi sopra citate si è così avviato anche in Italia un processo di delegificazione e semplificazione di centinaia di procedimenti amministrativi, sia strumentali che finali, relativi ad una gamma vastissima di attività delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e dei cittadini singoli o associati.Proprio in considerazione dei costi degli adempimenti burocratici e, quindi, della stretta connessione che esiste tra semplificazione e sviluppo economico, nel Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione siglato il 22 dicembre 1998, le misure di semplificazione e di gestione della qualità della regolamentazione, già in gran parte avviate, hanno trovato ampio rilievo e si sono tradotti in precisi e formali impegni assunti dal Governo nei confronti delle parti sociali.Con le leggi annuali di semplificazione si perfeziona il sistema delineato dal legislatore e si rafforza il processo di semplificazione amministrativa.

Si possono individuare almeno tre diverse tecniche di semplificazione "diretta":

- tecniche di sottrazione- tecniche di alleggerimento - tecniche di razionalizzazione

Le tecniche di sottrazione comportano la eliminazione di elementi funzionali o strutturali: la soppressione in via diretta di organi, funzioni, fasi e pareri riduce l'estensione dell'azione amministrativa e dell'apparato ad essa sottostante, eliminando momenti inutili, duplicazioni e sovrapposizioni. In questo ambito, rilevano, tra gli altri, i seguenti criteri:

- la riduzione del numero dei procedimenti e l'accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività;

decisioni contestuali o concordate che permettono la composizione degli interessi senza aggravare la sequenza del procedimento (conferenza di servizi e accordi tra amministrazioni pubbliche, art. 14 e 15). Il secondo modello ha per oggetto specificamente i procedimenti di autorizzazione di attività private. Alcuni di essi sono semplificati, tramite la sottoposizione al principio del silenzio assenso del relativo provvedimento conclusivo (art. 20); altri, invece, sono sostituiti dalla denuncia di inizio di attività da parte del privato, conseguendo in via diretta l'obiettivo di liberalizzare le attività medesime (art. 19). Il terzo modello riduce gli adempimenti a carico del privato, integrando le norme, fino allora rimaste sostanzialmente inattuate, della legge 15 del 1968 sull'autocertificazione.10 La legge n. 537/1993L'art. 2, della legge 23 dicembre 1993, n. 537 avvia il processo di revisione delle discipline specifiche che regolano le singole procedure, attribuendo al governo il potere di adottare regolamenti con efficacia delegificante, ai sensi dell'art. 17, c. 2, della l. 400/1998, in modo da procedere alla semplificazione diretta di oltre cento procedimenti amministrativi sulla base di una serie di criteri previamente individuati. Si viene così a stabilire una chiara connessione tra la semplificazione e la delegificazione, attraverso l'abbassamento del livello delle norme nella gerarchia delle fonti del diritto, come rimedi che insieme contribuiscono alla riduzione dell'inflazione legislativa.

11 legge 15 marzo 1997, n.59

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- la soppressione dei procedimenti in contrasto con la normativa comunitaria;- la riduzione del numero delle fasi procedimentali e del numero delle amministrazioni intervenienti.

Le tecniche di alleggerimento comportano la riduzione del peso dell'azione amministrativa, attraverso la sostituzione di decisioni altamente discrezionali con decisioni a basso grado di discrezionalità e il rafforzamento dei poteri di iniziativa e di decisione dei soggetti privati. Così, le concessioni si trasformano in autorizzazioni, le autorizzazioni consistono sempre più spesso nel solo accertamento dei requisiti richiesti e si estendono le previsioni di silenzio-assenso e di denuncia di inizio di attività, stabilendo una connessione sempre più stretta tra la semplificazione e la liberalizzazione delle attività economiche. Si prevede anche la sostituzione dell'attività procedimentalizzata con forme di autoregolamentazione da parte dei soggetti privati.Le tecniche di razionalizzazione mirano ad accorciare il circuito decisionale anche rispetto ai destinatari della decisione stessa, in diverso modo: incidono sulla distribuzione delle competenze e, quindi, della titolarità ad agire e provvedere tra i diversi soggetti pubblici; concentrano le attività istruttorie e le responsabilità; sostituiscono i moduli strutturali con moduli di coordinamento funzionale; abbreviano, uniformano e rendono certi i tempi procedimentali; accelerano le procedure di spesa; prevedono l'adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.A queste, si aggiungono le misure di semplificazione "indiretta", riferite non a singoli procedimenti, ma utilizzabili, quando sussistano le condizioni, in via generalizzata, che rispondono sempre al principio di alleggerimento del procedimento: si tratta delle disposizioni di semplificazione della documentazione amministrativa, della certificazione e della produzione di certezze pubbliche, dello stato civile, nonché dell'attività consultiva e dei controlli di legittimità, che hanno trovato un notevole rafforzamento con la l. 127/1997 e successivi provvedimenti.Infine, rilevano gli strumenti di effettività, che costituiscono un gruppo eterogeneo, volti ad assicurare una reazione dell'ordinamento nel caso in cui le misure di semplificazione non vengano attuate.Si tratta, così, di strumenti diretti alla segnalazione dei problemi e alla loro valutazione (es. la possibilità di reclamo al dirigente, gli accertamenti e le proposte dei servizi di controllo interno; l'obbligo di verifica periodica); di strumenti compensativi per inadempienze amministrative (es. l'indennizzo automatico e forfettario previsto dall'art. 17 della l. 59/1997); di strumenti sanzionatori in senso stretto (es. la configurazione della mancata accettazione di dichiarazioni sostitutive come violazione dei doveri di ufficio). Un tentativo assai marcato di semplificazione e snellimento della attività amministrativa caratterizza la istituzione dello sportello unico comunale per le attività produttive. Siamo dinanzi alla unificazione in capo ad un unico soggetto della competenza al rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie per gli insediamenti produttivi. Nozione quanto mai ampia, che spazia dai nuovi insediamenti alla ristrutturazione e che si estende dall’artigianato al commercio alla industria ai servizi.Lo snellimento e la semplificazione si raggiungono attraverso la unificazione dei procedimenti amministrativi e la individuazione dello sportello comunale quale unico referente del privato. E’ lo sportello unico a ricevere la unica istanza, a trasmetterla a tutte le amministrazioni competenti, che sono impegnate a dare una risposta entro tempi brevi e certo, ed infine a rilasciare o denegare la unica autorizzazione. E’ lo stesso sportello che è chiamato a presiedere alla effettuazione dei collaudi.Lo sportello unico può attivare convenzioni o intese con le altre pubbliche amministrazioni, basti pensare alla omogeneizzazione della modulistica. Esso può inoltre convocare

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conferenze dei servizi per acquisire i pareri, comunque denominati, delle altre pubbliche amministrazioni.La norma prevede un ampio ricorso alla utilizzazione delle opportunità offerte dalla informatica e dalla telematica, a partire dalla realizzazione di un archivio informatizzato delle domande, archivio a cui deve essere garantito la possibilità di accesso a distanza.E’ evidente che la applicazione della norma impone un radicale cambiamento di metodo da parte dell’ente locale: lo sportello unico per le attività produttive è chiamato a svolgere una funzione di consulenza nei confronti del privato, a stimolare la realizzazione di occasioni di sviluppo, a garantire la puntuale risposta alle istanze ed a coordinare la attività delle pubbliche amministrazioni.La realizzazione dello sportello unico, nonché tutte le attività ad esso correlate, come ad esempio la attivazione di iniziative di marketing territoriale, possono essere realizzate anche attraverso esperienze di tipo associativo.5.2 La semplificazione nelle regioni e negli enti locali

Il trasferimento di funzioni a regioni ed enti locali operato in base ai principi contenuti nella l. 15 marzo 1997, n. 59 pone numerosi problemi circa la possibilità da parte di questi ultimi di provvedere attraverso norme di semplificazione e razionalizzazione dell'azione amministrativa di propria competenza.Ci si domanda cioè se le regioni attraverso la legge regionale o gli enti locali attraverso i propri regolamenti comunali possono incidere modulando diversamente l'esercizio delle funzioni ad essi conferiti sotto il profilo dello snellimento procedimentale e di quello organizzatorio.La problematica incide sui rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie regionali e locali. Al riguardo, si evidenzia un consolidato orientamento della Corte Costituzionale secondo il quale la regione dispone in via generale del potere di regolare autonomamente i procedimenti di propria competenza12.

In questo contesto, importante è la tecnica della cosiddetta "normativa cedevole", consistente nel disporre una nuova disciplina dell'esercizio di funzioni conferite agli enti locali, abrogando o sostituendo norme di legge precedenti, ma al contempo individuando quelle parti della disciplina, non coperte da riserva di legge, che rimangono in vigore fintanto che i rispettivi enti locali non abbiano emanato norme proprie.

L'ambito di manovra regionale - stante il principio di decentrare ulteriormente le funzioni agli enti locali, mantenendo solo quelle di carattere unitario ai sensi dell'art. 4 della l. n. 59/1997, deve svolgersi prima che le attività conferite agli enti locali siano effettive (ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs.. n. 112/1998) poiché altrimenti diviene più difficile giustificare la ridefinizione dei contenuti dei procedimenti ai fini semplificativi dal momento che ciò osterebbe con quanto disposto dal c. 2, della legge 59. Ancora esemplificativamente, qualora la regione con la legge regionale avesse delegato il rilascio delle concessioni di derivazione di acqua pubblica alle province, tale procedimento potrebbe essere autoritativamente rivisto con provvedimento regionale fintanto che la

12 Le sentenze della Corte Costituzionale In tal senso, si ricordano, tra le altre, la sentenza 13 dicembre 1991, n. 465, per la quale "la disciplina dei vari procedimenti dovrà essere affidata a fonti statali o a fonti regionali, a seconda che gli stessi attengano all'esercizio di competenze materiali proprie dello Stato o delle regioni", e la sentenza 19 novembre 1992, n. 461, per la quale "la regolamentazione da parte della regione dei procedimenti amministrativi di propria spettanza costituisce un corollario della competenza in materia di ordinamento degli uffici espressione della sua potestà autorganizzatoria".

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delega non diviene effettiva. Successivamente tale potere dovrebbe rientrare nella piena disponibilità del soggetto delegato. A titolo esemplificativo, si possono citare alcuni casi di leggi regionali che incidono sui procedimenti amministrativi in materia di pianificazione urbanistica ed edilizia13.

Anche a livello degli enti locali si aprono spazi considerevoli circa le possibilità di semplificazione e di migliore razionalizzazione delle strutture amministrative.

Riprendendo quanto disposto dall'art. 2, c. 2, della l. n. 59/1997 esiste comunque da parte degli enti locali un potere normativo espresso attraverso gli statuti ed i regolamenti di disciplinare in modo autonomo non solo gli aspetti organizzatori ma anche quelli più direttamente connessi con l'esercizio delle funzioni amministrative attribuite.

Anzi, con la l. 3 agosto 1999, n. n. 265 in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, modificativa della l. n. 142/1990, oggi testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, D.Lgs.. n. 267/2000, si é ulteriormente accresciuta la sfera dell'autonomia degli enti locali, rimettendo agli statuti non solo l'enucleazione dei principi di buon andamento, imparzialità, efficienza e partecipazione all'azione amministrativa, (peraltro già previsti e disciplinati con scarsi risultati nei precedenti atti fondamentali) ma anche - coerentemente del resto con la necessità di dare sostanza organizzatoria al principio di sussidiarietà - le modalità di costituzione degli organi di governo delle strutture di decentramento e partecipazione o di governo (municipi, circondari, aree metropolitane).Ricordiamo che oggi il rilievo degli Statuti è tutelato direttamente dalle nuove norme della Costituzione.Sono, inoltre, rimessi agli statuti comunali anche le modalità di gestione associata di servizi e funzioni, al fine del superamento della polverizzazione comunale, mediante forme temporanee (accordi, convenzioni) o stabili (società miste, consorzi), in modo da accrescere anche in questo campo la differenziazione tra territori e tra amministrazioni, determinati dalla più o meno forte consapevolezza della necessità di assumere le relative determinazioni amministrative.

Questo ovviamente nell'ambito dei limiti previsti dalla legge statale e regionale, cosicché è implicito che ai fini organizzatori le amministrazioni locali sono tenute a conformarsi ai

13 Le leggi regionali:In materia di pianificazione urbanisticaAlcune ll.rr. (Toscana n. 5/1995, Umbria n. 31/1997; Abruzzo n. 11/1999) hanno modificato il sistema di controllo regionale degli strumenti urbanistici generali:- disciplinando la funzione oggi di competenza provinciale;- introducendo il meccanismo di autoapprovazione del PRG e degli strumenti attuativi in presenza dello strumento piano territoriale di cooordinamento vigente;- prevedendo forme di coordinamento-consultazione tra le amministrazioni comunali e la provincia (es. conferenze interistituzionali) sulla pianificazione urbanistica;- introducendo il controllo successivo sui piani comunali verificando la conformità delle scelte al piano provinciale o comunque alle intese verificatesi nell'ambito delle conferenze;- prevedendo l'annullamento del piano in contrasto previa diffida ad adeguare lo strumento urbanistico.In materia di ediliziaLa l.r. Friuli Venezia Giulia n. 34/1997 e la l.r. Toscana (in corso di approvazione) hanno introdotto modifiche ai procedimenti abilitativi edificatori, la prima reintroducendo il silenzio assenso nelle concessioni edilizie di nuova costruzione (ritenuto abrogato dalle disposizioni dell'art. 2, c. 60, della l. n. 662/1996), la seconda ampliando il ventaglio delle tipologie edilizie ammissibili nell'ambito della denuncia di inizio dell'attività, prevedendo che anche la nuova costruzione possa rientrare in tale istituto a condizione che il piano regolatore generale preveda espressamente tale facoltà in determinate aree sulla cui perimetrazione si sia espresso il consiglio comunale.

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principi contenuti nel D.Lgs.. n. 165/2001, mentre riguardo all'esercizio dei compiti spettanti, la potestà locale (provinciale e comunale) di semplificazione dei procedimenti amministrativi deve dinamicamente attestarsi nell'ambito dei principi contenuti nella legislazione statale e regionale. 5.3 Dalla semplificazione alla riforma della regolazione

Si possono individuare tre principali strategie di riforma della regolamentazione, che corrispondono a stadi diversi di evoluzione: la deregolamentazione, la riforma regolativa, il governo del processo regolativo14.

Il livello di attuazione del processo di riforma della regolamentazione differisce in misura rilevante con riguardo ai singoli paesi15. Iniziative di promozione e di indirizzo per la riforma della regolamentazione negli Stati membri sono state poi intraprese, a livello sovranazionale, sia dall'Ocse che dall'Unione Europea16.

In Italia, il processo di riforma della regolamentazione si è incentrato essenzialmente su singoli interventi di semplificazione e di razionalizzazione normativa e amministrativa. Di recente, tuttavia, sono state intraprese iniziative mirate più in generale alla valutazione e al

14 Le strategie di riformaLa prima strategia, la deregolamentazione, incide sulla quantità (stock) di regole esistenti (output), attraverso strumenti in via successiva (semplificazione, delegificazione, codificazione); quindi, la riforma regolativa (regulatory reform), si incentra sulla qualità delle regole di nuova emanazione (input), attraverso strumenti in via preventiva (autoregolazione, valutazione e controllo dei costi delle regole), volti a ridurre i costi della regolamentazione, con particolare riguardo alle imprese; infine, il governo del processo regolativo (regulatory management), mira ad incidere sul processo complessivo di governo della regolamentazione, ovvero sull'intero ciclo di vita delle regole, attraverso strumenti (valutazione e controllo dell'impatto preventivo e successivo delle regole sull'economia, regulatory review, regulatory budget) volti a raggiungere la coerenza dell'azione complessiva di governo e delle interrelazioni tra la politica regolativa e le altre politiche pubbliche.15 Le esperienze internazionaliIn particolare, negli Stati Uniti, già a partire dagli inizi degli anni '80 si è passati dalla strategia della deregulation a quella della riforma della qualità della regolamentazione (Paperwork reduction act (Pra) e Regulatory flexibility act (Rfa) del 1980), fino ad avviare in questo decennio la terza fase di governo della regolamentazione (Regulatory planning and review del 1993). Questa si basa su un sistema articolato (preventivo e successivo) di valutazione economica, di controllo e di revisione della regolamentazione, nonché su apposite strutture centrali con compiti di promozione, coordinamento e monitoraggio degli interventi (Office of Information and Regulatory Affairs - Oira). Analogamente, nel Regno Unito si riscontrano metodologie già sperimentate di valutazione economica della regolamentazione (Compliance Cost Assessment - Cca e Risk Assessment - Ra) e strutture centrali deputate al governo della regolamentazione (Better Regulation Unit - Bru). Recenti interventi sulla qualità della regolamentazione in stretta connessione con la riforma della costituzione economica si segnalano, inoltre, in Australia e Nuova Zelanda.16 Le iniziative OCSE e UE Le iniziative dell'Ocse muovono da una raccomandazione del 1995 (Recommendation on Improving the Quality of Government Regulation, Oecd Council, 9 march 1995), seguita da una checklist basata su un decalogo di raccomandazioni per la riforma della regolamentazione (The Oecd Report on Regulatory Reform, Oecd Ministers, may 1997), fino all'avvio del programma di verifica dei sistemi di regolazione nei diversi paesi (Puma regulatory quality review, Indicators of Regulatory capacities in Oecd countries: preliminary analysis, Regulatory Management and Reform Group, june 1998). Le iniziative dell'Unione europea riguardano soprattutto la semplificazione e la razionalizzazione della regolamentazione comunitaria. Sono state, peraltro, intraprese azioni anche in tema di valutazione dell'impatto della legislazione comunitaria (Business Impact Assessment System, 1986) e, più in generale, di riforma della qualità della regolamentazione (adozione da parte dei Ministri Ue della funzione pubblica dei principi di Better regulation, Better Government, 1997).

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controllo della qualità delle regolamentazioni e alla analisi dell'impatto delle stesse sui cittadini e le imprese, nonché alla loro fattibilità.

Il riferimento è, innanzitutto, al nuovo regolamento della Camera (deliberazione 24 settembre 1997), che ha introdotto in materia di istruttoria legislativa principi e regole di valutazione della congruità e della adeguatezza dell'intervento normativo anche in relazione agli oneri che ne derivano per la pubblica amministrazione, i cittadini e le imprese (artt. 16 bis, 79).

In attuazione di tali principi, è stata poi emanata la circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri del 15 aprile 1998, che ha individuato, tra gli adempimenti del Governo in ordine all'analisi e all'istruttoria tecnica dei disegni di legge di propria iniziativa, la stesura di una relazione tecnico-normativa contenente la valutazione dell'impatto normativo e amministrativo della proposta.

In secondo luogo, la legge annuale di semplificazione per il 1998 (l. 8 marzo 1999, n. 50), ha introdotto tre importanti innovazioni nel quadro istituzionale e normativo:1. la costituzione di un'apposita struttura presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - il Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure17 - dedicata a supportare i

17 Il Nucleo per la semplificazioneLa legge 50 ha istituito una apposita struttura - il Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure - finalizzata a fornire "il supporto occorrente a dare attuazione ai processi di delegificazione, semplificazione e riordino" agli uffici legislativi del Dipartimento della funzione pubblica e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Nucleo è composto di 25 esperti ed è assistito da una segreteria tecnica costituita da 40 unità di personale e diretta da un dirigente generale. E' prevista la partecipazione della "amministrazione direttamente interessata dal provvedimento in esame" ai lavori del Nucleo, attraverso un rappresentante designato dal ministro competente. L'istituzione del Nucleo rappresenta una delle innovazioni più significative recate dalla prima legge annuale di semplificazione. Ciò almeno per quattro ragioni:

1. Per la prima volta da quando la semplificazione è divenuta una politica governativa, è stata prevista una struttura dedicata al conseguimento degli obiettivi di semplificazione amministrativa e normativa, alla stregua di quanto avviene in molti paesi industrializzati ed in particolare in quelli nei quali esiste un "governo" della qualità del sistema normativo.

2. E' stata prevista una specifica dotazione di risorse. Troppo spesso il conseguimento di importanti obiettivi di riforma è stato frustrato dalla assenza delle necessarie risorse, che tuttavia non necessariamente devono essere aggiuntive.

3. E' stato pensato il coinvolgimento di professionalità, il cui apporto è tradizionalmente trascurato, in quello che si ritiene essere il dominio assoluto delle discipline giuridiche. Le nuove professionalità previste sembrano non solo far riferimento alle discipline necessarie per la valutazione dell'impatto della normativa, ma anche alla necessità di cogliere la dimensione organizzativa della semplificazione dei procedimenti amministrativi.

4. Sono sottoposti a valutazione i risultati conseguiti dal Nucleo e, in relazione ad essi, sono previsti la soppressione o la sostituzione con altro strumento. Si tratta di un principio molto importante, e poco conosciuto nel nostro ordinamento, che tende a legare la permanenza di una struttura alla possibilità di conseguire i risultati per i quali essa è stata istituita. Un tentativo, ancora un po' timido, di avvicinarsi alle organizzazioni sunset presenti negli ordinamenti di alcuni paesi anglosassoni.

La collocazione presso la Presidenza del Consiglio potrebbe in prospettiva consentire alla nuova struttura di giocare un ruolo non dissimile da quello della Commission Supérieure de codification, presieduta dal Primo ministro francese, della Better Regulation Unit presso il Cabinet Office britannico, o dell'OIRA, presso il President Office of Mangement and Budget statunitense. Nessuna di queste svolge compiti operativi nel rispettivo ambito di competenza. Tutte stabiliscono strategie, indicano metodologie e best practices, definiscono con le strutture interessate (ministeri, dipartimenti, agenzie) programmi di lavoro,

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processi di delegificazione, semplificazione e riordino;2. la previsione di metodologie e tecniche di analisi dell'impatto della regolamentazione (AIR), già da tempo utilizzate negli altri Paesi;3. un vasto programma di codificazione18, attraverso l'emanazione di testi unici. L'insieme di queste misure rappresenta un primo tentativo di spostare la politica di semplificazione dai singoli interventi di razionalizzazione normativa e amministrativa ad una strategia di gestione complessiva della qualità della regolazione regulatory management), in linea con le tendenze più recenti, allo scopo di incidere sul governo complessivo della regolazione (regulatory management), vale a dire sull'intero ciclo di vita delle regole, attraverso strumenti, preventivi e successivi, di valutazione, di controllo e di revisione delle regole stesse in modo da accrescerne la qualità e l'efficacia.

6. L’analisi di impatto della regolazione

6.1 L'AIR come strumento di miglioramento

Migliorare la qualità della regolazione significa essere in grado di distinguere gli interventi veramente indispensabili da quelli che si possono evitare, così come essere in grado di scegliere le forme di regolazione che, a parità di risultato, siano il meno possibile invadenti e costrittive per i soggetti tenuti a conformarsi ad esse.

Uno sguardo ai paesi industrializzati, ove da più tempo è stata avvertita l'esigenza di migliorare e alleggerire la regolazione (Australia, Nuova Zelanda, Usa, Giappone, Regno Unito), ci mostra che percorrendo questa strada si possono ottenere enormi benefici. Ci

dei quali assistono la realizzazione e verificano i risultati.18 La codificazioneLa legge 50 prevede, all'art. 7, un vasto programma di codificazione, quale misura di razionalizzazione normativa che consente, attraverso l'emanazione di testi unici, di riunire e sistemare in un quadro unitario, ordinato e coerente tutte le norme che disciplinano una determinata materia. In questo senso, essa costituisce uno dei possibili rimedi ai problemi di inflazione normativa e rafforza la certezza, l'accesso e la conoscibilità da parte degli utenti (cittadini e imprese) della normativa. Per quanto attiene alla questione preliminare relativa alla definizione della potestà normativa del governo, la previsione normativa evidenzia la scelta corretta di accompagnare l'attività di codificazione con un ampio processo di delegificazione, secondo gli indirizzi espressi nel 1984 dalla apposita sottocommissione e in linea con quanto già previsto nell'esperienza francese e in quella italiana con riguardo ad alcune recenti deleghe al governo relative alla compilazione di testi unici. L'art. 7, c. 2, attribuisce, infatti, al governo una potestà delegificante, attraverso l'emanazione di testi unici che contengano norme sia primarie che secondarie. Il testo unico si viene così comporre in prospettiva di un duplice livello di fonti normative, ferma restando la distinzione all'interno tra una parte legislativa e una parte regolamentare. Per quanto riguarda i principi e i criteri direttivi di codificazione adottati (art. 7, c. 2), si possono sottolineare i seguenti punti. Sono introdotti alcuni criteri di razionalizzazione normativa (coordinamento formale delle disposizioni vigenti per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo) in linea con una concezione dinamica dell'attività di codificazione volta ad una risistemazione complessiva del diritto (lett. d)). È adottato il criterio della puntuale individuazione delle disposizioni vigenti da inserire nel testo unico e di quelle non inserite, senza peraltro specificare a quale data di vigenza fare riferimento (lett. b), e)). È affermato il principio dell'effetto abrogativo del testo unico, con la esplicita abrogazione di tutte le norme previgenti in materia non richiamate ed espressamente indicate in un apposito allegato al testo unico (lett. f)). È prevista, quale modalità di aggiornamento, la revisione periodica del testo unico, almeno ogni sette anni dalla data di entrata in vigore dello stesso (lett. g)), mentre non è stato seguito il meccanismo di tipo preventivo adottato in Francia dell'inserimento immediato delle novelle nei codici, attraverso la modifica dei codici esistenti da parte delle leggi che sono successivamente approvate. Infine, quanto alla procedura di approvazione dei testi unici, viene riprodotto in sostanza l'iter di formazione dei regolamenti di semplificazione, ai sensi dell'art. 17, c. 2, l. 23 agosto 1988, n. 400, con la previsione ulteriore che la predisposizione dei testi unici possa essere demandata dal governo al Consiglio di Stato (art. 7, cc. 4 e 5).

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riferiamo ad incrementi della produttività del lavoro e del capitale, diminuzione dei prezzi dei beni e dei servizi pagati dai consumatori e dalle imprese, incentivazione dell'innovazione, degli investimenti e dell'occupazione in settori in precedenza visti come poco attraenti, aumento del Pil19.

Le metodologie20 e le tecniche di AIR, già da tempo utilizzate in molti Paesi, presentano vari gradi di complessità e ampiezza in relazione alla scelta dei soggetti e delle variabili su cui concentrare l'analisi.

- PER QUANTO RIGUARDA I COSTI, SI INDIVIDUANO TRE CATEGORIE PRINCIPALI: COSTI AMMINISTRATIVI (ON-BUDGET COST) CHE GRAVANO SUI BILANCI PUBBLICI; COSTI DI ADEGUAMENTO (COMPLIANCE COST), CHE GRAVANO SUI BILANCI PRIVATI; COSTI INDIRETTI, CHE INCIDONO SULL’INTERO CONTESTO ECONOMICO.

6.2. I riferimenti normativi

L'art. 5 della L. 8 marzo 1999, n. 50, ha previsto l'introduzione, anche da noi, dell'analisi di impatto della regolamentazione (AIR), intesa a verificare i prevedibili effetti degli schemi degli atti normativi adottati dal governo e dei regolamenti ministeriali od interministeriali sull'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull'attività dei cittadini e delle imprese. La disposizione mira, quindi, ad introdurre nel nostro ordinamento metodologie e tecniche di valutazione dell'impatto economico, normativo e amministrativo delle nuove normative sui soggetti regolamentati e sulle stesse amministrazioni, come elemento centrale di un sistema di controllo della qualità della regolamentazione, in linea con le

19 Le esperienze internazionali

Ciò è avvenuto nei paesi prima ricordati, così come in altri paesi europei, grazie alla liberalizzazione o comunque alla razionalizzazione degli assetti regolativi in settori come le telecomunicazioni, i trasporti, i servizi di pubblica utilità, la tutela ambientale, le condizioni di lavoro nell'industria manifatturiera, l'agricoltura, i servizi finanziari. In Australia, ad esempio, i guadagni derivanti dal miglioramento della regolazione sono stati stimati, già nel 1997, come pari al 5,5% del Pil. In Giappone, invece, è stato valutato come pari allo 0,3% annuo l'incremento del reddito dei consumatori riconducibile alla diminuzione dei prezzi, a sua volta prodotta da una regolazione più mirata. Anche in Svezia o in Danimarca, paesi tradizionalmente inclini a forme di regolazione stringenti e severe in campi come quello ambientale, si è ritenuto di passare a soluzioni più in sintonia con una logica di mercato, come le tasse ambientali, garantendo così, a costi assai minori per le imprese, risultati addirittura superiori al passato in termini di riduzione delle emissioni inquinanti.20 Le metodologie

Da questo punto di vista, tali metodologie, a seconda dei casi, possono riguardare l'intero ciclo del processo regolativo, dall'analisi ex ante dell'impatto delle nuove regole proposte, alla analisi ex post delle regole già esistenti ai fini della loro eventuale revisione, aggiornamento ed abrogazione, in modo da recuperare l'efficienza complessiva dello stock regolativo. Il contenuto principale dell'AIR può, inoltre, comprendere le seguenti valutazioni: la necessità di adottare e/o di mantenere una regolamentazione in relazione alle finalità e agli interessi pubblici perseguiti; la compatibilità dell'intervento regolatore con l'ordinamento comunitario; l'idoneità della fonte normativa utilizzata, anche in riferimento ai principi di sussidiarietà e di flessibilità; l'appropriatezza dei soggetti regolatori; l'individuazione di eventuali strumenti alternativi di intervento (autoregolazione, negoziazione, incentivi fiscali, ecc.); gli effetti economici (costi e benefici) della regolamentazione sui destinatari (pubblici e privati), in rapporto al principio di proporzionalità ; l'utilità della normativa in rapporto alla percezione dei soggetti destinatari; l'impatto della nuova normativa in relazione all'insieme delle regole vigenti e la verifica della coerenza complessiva del sistema normativo.

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recenti iniziative assunte in ambito parlamentare. Il riferimento è, in particolare, al nuovo regolamento della Camera21.

Con la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 marzo 2000 è stata avviata una fase sperimentale per affinare le metodologie, rendendole adatte al nostro contesto istituzionale, e per consentire alle amministrazioni di attrezzarsi per rispondere a questa nuova esigenza. Essa prevede che le amministrazioni centrali effettuino l'AIR sugli schemi di atti normativi (dai disegni di legge alle norme tecniche) dandone conto in una scheda preliminare che indichi gli elementi necessari posti alla base della scelta tra le opzioni possibili di un intervento e, successivamente, in una scheda finale che illustri gli effetti che lo schema di atto avrà sulle amministrazioni pubbliche, sulle imprese e sui cittadini. La stessa direttiva definisce, inoltre, le modalità con cui effettuare l'analisi tecnico-normativa (ATN) sugli schemi dei provvedimenti, per potere verificare l'impatto che essi hanno sull'ordinamento giuridico e per assicurare la correttezza e la comprensibilità dei testi normativi.Si distinguono, quindi, due tipi di analisi, contenute in due distinte relazioni che accompagnano gli schemi di atti normativi adottati dal governo ed i regolamenti, ministeriali o interministeriali: l'analisi tecnico-normativa (ATN22) e l'analisi di impatto della regolamentazione (AIR23).

21 La norma

Al riguardo, il legislatore italiano, a seguito di un complesso iter parlamentare, ha optato per una soluzione aperta quanto ai contenuti, ai tempi e alle concrete modalità di realizzazione dell'AIR, demandando al governo la relativa definizione con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 5). Innanzitutto, l'ambito della analisi risulta particolarmente vasto, in quanto comprende sia l'impatto amministrativo delle norme sulla struttura organizzativa delle pubbliche amministrazioni, sia l'impatto sull'attività dei cittadini e delle imprese, soprattutto in termini di costi diretti sostenuti per adeguarsi alle nuove norme (costi di adeguamento o compliance cost). L'AIR è, inoltre, estesa anche alla normativa secondaria (regolamenti ministeriali o interministeriali) oltre che a quella primaria (atti normativi adottati dal governo). L'analisi prevista è, tuttavia, limitata a quella di tipo preventivo, cioè dell'impatto delle nuove regole proposte, dato il riferimento esclusivo agli schemi degli atti normativi primari e secondari adottati dal governo, con esclusione della previsione di un'analisi di tipo successivo sulle normative già esistenti ai fini di una loro revisione. Molto utile, infine, è il raccordo che viene stabilito tra il potere esecutivo e il potere legislativo sulla valutazione degli effetti delle politiche legislative e, più in generale, sulla qualità della legislazione, in linea con i recenti orientamenti.

Prima di adottare misure volte a modificare le condotte dei cittadini e delle imprese, le autorità regolative (e in particolare, per il momento, le amministrazioni centrali dello Stato) devono, quindi, in forza dell'art. 5 di tale legge, sottoporle ad una preventiva analisi volta a prevedere l'impatto che queste avrebbero sui loro destinatari diretti e indiretti, compararle con le opzioni regolative alternative (compresa l'opzione zero, vale a dire quella di lasciare inalterata la situazione), individuare tanto i costi quanto i benefici di ciascuna opzione, mostrare come l'opzione prescelta si giustifichi come la più vantaggiosa tra quelle considerate. Va sottolineata la necessità di consultare preventivamente i potenziali destinatari dei provvedimenti: il buon governo si basa anche su un dialogo tra amministrazioni, imprese, società civile, garantito da meccanismi di consultazione trasparenti e professionali.22 ATN

L'analisi tecnico-normativa (ATN) verifica l'impatto della normativa proposta sull'ordinamento giuridico vigente, la conformità alla Costituzione, alla disciplina comunitaria e al rispetto delle competenze regionali e delle autonomie locali, nonché la coerenza complessiva del sistema normativo; inoltre, valuta gli elementi di tecnica della normazione e regolazione giuridica e della redazione degli atti.23 AIR

L'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) comprende i seguenti elementi:

- ambito dell'intervento, con particolare riguardo all'individuazione delle amministrazioni, dei soggetti destinatari e dei soggetti coinvolti;

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6.3 La Guida alla sperimentazione dell'AIR

Anziché pretendere l'impossibile - cioè applicare l'AIR a tutti gli schemi di provvedimento - e condannare così la riforma ad un sicuro insuccesso, già la citata legge 50, e poi la direttiva d.P.C.M. 27 marzo 2000 che le dà attuazione, prevedono un processo di apprendimento graduale, caratterizzato da un primo anno di sperimentazione.In tale chiave è stata redatta - con il contributo del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi, del Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure e del Dipartimento Affari Economici della Presidenza del Consiglio, nonché del Dipartimento della funzione pubblica- una "Guida alla sperimentazione dell'AIR"24, con l'obiettivo di creare le condizioni migliori affinché questa importante innovazione entri nella prassi delle amministrazioni, dando ad esse un'adeguata assistenza nel periodo di sperimentazione.

Il primo passaggio dell'AIR consiste nella delimitazione dell'ambito di intervento e nell'indicazione, in forma chiara, quantificabile e temporalmente circoscritta, degli obiettivi dell'intervento medesimo.La scelta di adottare un provvedimento regolativo presuppone che sussistano rilevanti esigenze socio-economiche, da soddisfare tramite la regolazione. Tali esigenze sono talvolta note e dotate di grande visibilità. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è necessario indagare su di esse attraverso una apposita consultazione25.

- descrizione dei principali obiettivi generali e specifici e degli effetti che si intende perseguire con l'intervento normativo;

- individuazione dei presupposti attinenti alla sfera organizzativa, finanziaria, economia e sociale e delle aree di criticità;

- determinazione delle opzioni alternative, comprensive della "opzione nulla" (rinuncia all'intervento normativo);

- valutazione dell'impatto economico della proposta normativa sui soggetti destinatari, cioè dei costi e benefici derivanti dall'intervento.

La valutazione comprende quindi innanzitutto una stima dell'impatto economico, in termini di costi diretti sostenuti dai cittadini e dalle imprese per adeguarsi alla nuova normativa (costi di adeguamento o compliance costs) e cioè per adempiere agli obblighi previsti (es. standards, limitazioni, innovazioni tecnologiche, strumenti fiscali). Essa prevede poi anche una valutazione degli oneri organizzativi per il settore pubblico, e cioè l'impatto amministrativo delle nuove norme sulla organizzazione delle pubbliche amministrazioni, anche in termini di capacità attuativa da parte di quelle esistenti o della necessità di creare nuove strutture e del coordinamento con quelle esistenti.24 La sperimentazioneLa sperimentazione Il momento immediatamente successivo consiste in una formazione intensiva rivolta ai funzionari dei vari ministeri. A ciascun ministero, poi, in questa fase è richiesto di effettuare l'AIR soltanto su di un numero molto ridotto di schemi di provvedimento. In vista di ciò, sono previsti sia ulteriori e ricorrenti interventi formativi, sia l'immediata costituzione di un help desk, vale a dire un nucleo di esperti incaricati di seguire le singole amministrazioni, collaborando con esse nella preparazione di queste prime schede di analisi di impatto. La fase sperimentale servirà anche ad adattare la metodologia dell'AIR alla specificità delle istituzioni italiane. La Guida illustra i passaggi logici in cui si articola l'AIR, fornendo schemi concettuali e indicazioni metodologiche da seguire. Dopo un'introduzione esplicativa, la Guida affronta in dettaglio le attività da porre in essere nella fase iniziale della progettazione normativa, che sfociano nella scelta dell'opzione preferita e nella redazione della scheda preliminare. Successivamente, esamina le modalità di realizzazione dell'AIR nella fase conclusiva della progettazione normativa, di cui sarà dato conto nella scheda finale.25 Consultazione

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Una volta individuati gli obiettivi, l'amministrazione deve considerare le diverse opzioni di intervento, e cioè le diverse modalità possibili per il raggiungimento degli obiettivi stessi, formulando ed esaminando soltanto le opzioni ritenute plausibili, pertinenti ed attuabili. e alle opzioni è dedicata una apposita appendice.Tra le possibili ipotesi di intervento, l'opzione nulla (c.d. opzione zero) consiste nel non avanzare alcuna nuova proposta di regolazione, mantenendo così la situazione normativa esistente. Essa riveste un ruolo di particolare importanza in considerazione del fatto che non sempre un nuovo intervento pubblico è realmente conveniente. Se una disciplina regolativa è già vigente l'opzione zero consiste nel mantenimento di tale disciplina, eventualmente migliorandone l'applicazione. Le altre opzioni prevedono un grado di coinvolgimento differenziato sia per le amministrazioni interessate che per i destinatari26.

L'amministrazione deve esaminare le opzioni possibili ed effettuare una prima scelta tra esse (poiché non tutte possono essere idonee al caso specifico), selezionando quelle rilevanti rispetto alla situazione ed agli obiettivi che si desidera perseguire.Selezionate le opzioni rilevanti, l'amministrazione prende in esame le condizioni necessarie per la realizzazione di ciascuna di esse, vale a dire i suoi presupposti organizzativi e finanziari, che riguardano le amministrazioni, nonché quelli economici e sociali, che riguardano i cittadini e le imprese. Per quanto riguarda l'individuazione dei presupposti organizzativi e finanziari di ciascuna opzione, l'amministrazione effettua innanzitutto una rilevazione della struttura organizzativa attuale (propria e delle altre amministrazioni interessate) e delle risorse finanziarie disponibili, contrassegnando come criticità gli aspetti che riterrà difficilmente superabili con costi accettabili. Scartate le opzioni che richiedano adeguamenti non realizzabili, vanno valutate con attenzione quelle

Occorre precisare che la consultazione non va confusa con una sorta di concertazione con le parti sociali, tesa a pervenire a soluzioni regolative "contrattate". Piuttosto, la consultazione è uno strumento per rilevare le percezioni e le valutazioni sia dei diretti destinatari (e non delle loro rappresentanze), sia di testimoni privilegiati, circa la natura, l'entità e la distribuzione sociale, temporale e spaziale dei costi e dei benefici. Si tratta quindi di un compito che va svolto in modo eminentemente tecnico e professionale. Nella Guida le tecniche di consultazione sono illustrate sinteticamente in un'apposita appendice.26 Le opzioni

Ordinandole a partire da quelle che interferiscono di meno sulle condotte dei destinatari, e indicando poi quelle via via più costrittive, le opzioni sono le seguenti:

- opzione di deregolamentazione e semplificazione, quando si eliminano o si modificano (rendendole meno costose da applicare per i destinatari) norme già esistenti;

- opzioni volontarie, nelle quali non è previsto alcun tipo di sanzione;

- opzioni di autoregolazione, quando il controllo sul rispetto delle regole (e talora anche la produzione delle regole stesse) spettano alle organizzazioni dei soggetti le cui condotte vanno modificate;

- opzioni di incentivo ovvero che simulano il meccanismo del mercato (cd. opzioni di quasi-mercato), quando alla condotta da modificare corrisponde un prezzo, che viene pagato almeno in parte da una autorità pubblica, nel caso del sussidio o di altre forme di agevolazione economica, ovvero dal privato, in casi come le tasse ambientali o l'acquisto di diritti di inquinare;

- opzioni di regolazione tramite informazione, quando la condotta dei destinatari diretti viene modificata soltanto tramite l'obbligo di rendere palesi certe informazioni sull'attività medesima;

- opzioni di regolazione diretta, quando la modificazione della condotta avviene in modo coercitivo.

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che comporterebbero adeguamenti difficoltosi e rimarranno così selezionate le sole opzioni attuabili.

L'amministrazione procede poi a valutare tali opzioni, elencando le varie categorie di costi e benefici attesi per ciascuna opzione attuabile (seguendo le indicazione dell'apposita appendice); e stimando ovvero, ove possibile, quantificando i costi e i benefici più significativi per i soggetti destinatari. Viene così individuata l'opzione preferibile, rispetto alla quale vengono evidenziati vantaggi e svantaggi attesi. In tal modo, l'AIR dà un contributo essenziale consistente nell'individuazione degli interventi non necessari, nell'indicazione di quelli effettivamente giustificati, e nella scelta degli strumenti regolativi più efficaci, e al contempo meno onerosi per i cittadini e per le imprese.

7. Le nuove norme in materia di conferenza di servizi

7.1 La conferenza di servizi

Con l'emanazione della legge 7 agosto 1990, n.241, che introdusse per la prima volta nell'ordinamento italiano principi generali in materia di procedimento amministrativo, la conferenza di servizi, strumento già previsto sporadicamente nella disciplina di alcuni specifici procedimenti, diviene uno strumento "normale" dell'agire amministrativo.

Nel Capo IV della legge, dedicato alla semplificazione dell'azione amministrativa, la conferenza di servizi è anzi il primo strumento menzionato ed è disciplinata dall'articolo 14.

D'altra parte la conferenza di servizi, volta nella sostanza a ridurre i tempi procedimentali legati alla molteplicità di soggetti intervenienti a vario titolo nel procedimento, normalmente in via sequenziale, non poteva non avere un ruolo decisivo in un sistema amministrativo caratterizzato da una iperregolazione dell'attività amministrativa e dalla frammentazione delle responsabilità, nonché dal principio di legalità formale.

L'originaria disciplina dell'articolo 14 prevedeva la possibilità di ricorrere alla conferenza di servizi nel caso in cui l'amministrazione procedente valutasse opportuno l'esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, oppure quando essa dovesse procedere ad acquisire intese, concerti, nulla osta, o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche. "In questo caso - recitava il comma 2 - le determinazioni concordate nella conferenza tra tutte le amministrazioni intervenute, tengono luogo degli atti predetti".

Si disciplinava poi un meccanismo che permettesse alla Conferenza di assumere valide determinazioni anche in caso di assenza di una delle amministrazioni convocate, prevedendo una sorta di silenzio assenso dell'amministrazione che, non essendo intervenuta, non avesse fatto conoscere il proprio motivato dissenso entro venti giorni dalla conferenza stessa o dalla notifica delle determinazioni adottate (qualora difformi sostanzialmente da quelle originariamente previste).

Nei regolamenti di semplificazione di procedimenti amministrativi adottati sulla base della legge 23 dicembre 1993, n.537, si cominciava a fare ampiamente ricorso a questo strumento, che permise di ridurre significativamente i tempi necessari per la conclusione di numerosi procedimenti. L'applicazione delle scarna disciplina contenuta nell'articolo 14 ha

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dato luogo tuttavia ad una serie di problemi applicativi che hanno richiesto successivi adeguamenti, introdotti dalla legislazione successiva in tema di semplificazione27.

Il Capo II della legge annuale di semplificazione per il 2000, legge 24 novembre 2000, n. 340, interviene di nuovo sulla disciplina della conferenza di servizi.

Le numerose modifiche apportate alla originaria disciplina, se da un lato denunciano l'insufficienza dello strumento introdotto dalla legge 241/90 a conseguire i voluti effetti di semplificazione, testimoniano dall'altro l'interesse delle amministrazioni e dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi a rendere maggiormente efficace tale strumento, ormai peraltro ampiamente entrato nella prassi amministrativa.

Gran parte delle difficoltà segnalate, alle quali i successivi interventi normativi hanno cercato di porre rimedio, ruotano intorno al problema della capacità della conferenza di pervenire ad una determinazione conclusiva, anche nel caso di mancata partecipazione o di dissenso manifestato da una o più amministrazioni coinvolte, in termini certi.

7.2 La conferenza di servizi nella legge 24 novembre 2000, n. 340

La legge n. 340/2000 provvede alla riscrittura organica della disciplina contenuta negli articoli 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge n. 241 del 1990. In particolare, vengono recepite e generalizzate alcune disposizioni28 speciali, maggiormente semplificatorie, della conferenza di servizi in materia di opere pubbliche di cui alla legge n. 109 del 1994.

27 Modifiche

Alcune modifiche ed integrazioni erano state previste già dalla stessa legge 24 dicembre 1993, n.537, numerosi sono stati gli interventi di modifica operati dalla legge 15 maggio 1997, n.127 ed alcune modifiche sono state introdotte dalla legge 16 giugno 1998, n.191. A seguito di tali interventi l'originaria formulazione dell'articolo 14 era stata disarticolata in quattro articoli (14, 14-bis, 14-ter e 14-quater).28 Le disposizioni

In particolare, le disposizioni contenute nell'articolo 9 sostituiscono le norme dell'articolo 14 della legge n. 241 del 1990. Le disposizioni procedimentali che vi erano inserite, dal comma 2-bis al comma 4, sono state organicamente disciplinate e raccolte all'interno dell'articolo 14-ter, come sostituito dall'articolo 11.

Il comma 1 non è stato modificato e ripete integralmente la precedente formulazione del testo. L'articolo prevede: l'indizione obbligatoria della conferenza quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nullaosta e altri atti di assenso comunque denominati; la facoltà di convocare la conferenza nelle ipotesi in cui sia opportuno effettuare un esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi; l'individuazione dell'amministrazione competente a convocare la conferenza, anche su richiesta dell'interessato, quando l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso di competenza di una pluralità di amministrazioni e nell'ipotesi di affidamento di concessione di lavori pubblici. Infine si disciplina la conferenza per le procedure di approvazione di progetti di opere concernenti opere ferroviarie.

L'articolo 10 sostituisce l'articolo 14-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dall'articolo 17 della legge n. 127 del 1997, e disciplina l'ipotesi in cui, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, per progetti di particolare complessità l'interessato chieda la convocazione di una conferenza di servizi, al fine di conoscere e verificare le condizioni necessarie per ottenere i relativi atti di assenso.

Il comma 2 del nuovo articolo 14-bis disciplina l'ipotesi della conferenza preliminare relativa alla realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, indicando un termine finale certo entro il quale le amministrazioni sono tenute a pronunciarsi, qualora non emergano elementi preclusivi alla realizzazione del progetto. Il comma 3 interviene a regolare l'ipotesi nella quale sia richiesta, per la pronuncia sul progetto, la valutazione di impatto ambientale (VIA) recependo sul punto quanto previsto dalla disciplina della VIA.

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Tutta la disciplina persegue la finalità di dare certezza sui tempi di conclusione del procedimento al destinatario dell'attività amministrativa, nonché celerità e capacità decisoria all'amministrazione, facendo ricorso ai seguenti criteri:

• previsione di una conferenza di servizi obbligatoria ogni qualvolta l'amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi, comunque denominati, di altre amministrazioni, secondo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 241 del 1990, ossia nei casi di conferenza di servizi decisoria;

• disciplina organica della conferenza di servizi prevista dal comma 1 dell'articolo 14 della citata legge (conferenza facoltativa o istruttoria), per le ipotesi in cui l'amministrazione procedente ritenga necessario effettuare un'analisi di interessi pubblici per i quali sono competenti amministrazioni diverse;

• previsione di una conferenza di servizi "preliminare" convocata, anche su richiesta dell'interessato, prima della presentazione di un'istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare le condizioni alle quali potrebbe essere dato l'assenso sull'istanza o

Si dispone poi che le indicazioni fornite in sede di esame del progetto preliminare possano essere modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi che emergano nelle fasi successive del provvedimento. L'ultimo comma prevede le modalità e i termini per la convocazione della conferenza sul progetto definitivo.

Le norme che attengono allo svolgimento dei lavori della conferenza di servizi e alle modalità organizzative sono organicamente raccolte nel nuovo articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 - sostituito dall'articolo 11 della legge n.340/2000 -, che disciplina: termini della convocazione, durata complessiva del procedimento in conferenza, ipotesi di sospensione qualora sia richiesta la VIA, rappresentanza istituzionale dell'organo legittimato ad esprimere in modo vincolante la volontà dell'ente, termini per l'acquisizione dell'assenso dell'amministrazione che non si sia pronunciata definitivamente in conferenza, termini per la richiesta di ulteriori chiarimenti e documentazione, pubblicazione dei provvedimenti finali concernenti opere sottoposte a VIA nella Gazzetta Ufficiale. La disposizione chiarisce infine che il provvedimento finale conforme alle determinazioni della conferenza sostituisce a tutti gli effetti tutte le autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di consenso di competenza delle amministrazioni coinvolte nel procedimento.

L'articolo 12 sostituisce l'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni (che aveva un oggetto diverso), e regola i casi di dissenso espresso da uno o più rappresentanti delle amministrazioni convocate, rispetto alla proposta dell'amministrazione procedente. Si chiariscono in primo luogo le modalità con le quali può essere espresso il dissenso e si stabilisce che l'amministrazione procedente debba comunque assumere le determinazioni conclusive del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in conferenza. Si disciplinano poi le ipotesi di dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, prevedendo che la determinazione di conclusione del procedimento venga demandata al Consiglio dei ministri, se l'amministrazione procedente o dissenziente sia un'amministrazione statale, ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali negli altri casi.

Si prevede inoltre che quando il dissenso sia espresso da una regione, le determinazioni di competenza del Consiglio dei ministri di cui sopra siano adottate con l'intervento del presidente della giunta regionale.

L'articolo 13 si riferisce alle ipotesi di trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni e agli enti locali ai sensi del Capo I della legge 15 marzo 1997, n.59, prevedendo che agli enti destinatari delle funzioni conferite, come amministrazioni procedenti, siano conferiti anche tutti i compiti di natura consultiva, istruttoria e preparatoria connessi all'esercizio della funzione conferita. La disposizione non si applica ( e l'amministrazione procedente è invece tenuta a convocare una conferenza di servizi) ove si tratti di funzioni attribuite ad autorità preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico e artistico o alla tutela della salute.

L'articolo 14 provvede infine all'abrogazione delle norme sulla conferenza di servizi contenute nella legge 11 febbraio 1994, n. 109 e prevede il raccordo con il regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 109 del 1994, per la pubblicità dei lavori della conferenza.

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sul progetto definitivo e di limitare l'emersione di ostacoli amministrativi in una fase già avanzata della procedura;

• previsione di un obbligo di puntuale motivazione da parte dell'amministrazione dissenziente;

• decisione a maggioranza sull'andamento dei lavori in conferenza;

• disciplina compiuta per le ipotesi di dissenso, per definire le modalità con le quali l'amministrazione procedente assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento, tenendo conto della maggioranza delle posizioni espresse in conferenza;

• previsione che, qualora il motivato dissenso sia espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute possa chiedersi, come meccanismo idoneo a superare il dissenso, la decisione del Presidente del Consiglio dei ministri, nel caso in cui l'amministrazione procedente o dissenziente sia un'amministrazione statale, dei competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, negli altri casi.

• certezza sulla rappresentatività dei partecipanti alla conferenza;

• fissazione di un termine finale certo per la conclusione del procedimento in conferenza.

APPENDICE - “L’ATTUAZIONE DEL DECENTRAMENTO AMMINISTRATIVO”

SEZIONE 1 - L'avvio della riforma: la legge n.59/97

POP UP "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa".

1.L’avvio della riforma:la legge n.59/97 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”

1.1 Gli obiettivi principali della legge n.59: - realizzazione del decentramento amministrativo; - riorganizzazione della pubblica amministrazione; - snellimento e semplificazione procedure.

1.2 La legge n.59 (cfr.art.1) innova profondamente il tradizionale principio di attribuzione delle competenze fondato sull'Amministrazione statale che sino ad ora aveva retto il nostro sistema amministrativo, capovolgendo le procedure dei conferimenti (e in questo senso anticipando la riforma costituzionale): vengono infatti tassativamente elencate solo le competenze amministrative che restano allo Stato centrale, intendendosi attribuite a Regioni ed Enti locali tutte le altre.

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1.3 Gli strumenti legislativi previsti dalla legge n.59/97 per la progressiva attuazione della riforma:

a. decreti legislativi di conferimento;

b. regolamenti emanati tramite D.P.R. per il riordino delle strutture centrali e periferiche dell'amministrazione centrale;

c. leggi regionali di attuazione

d. decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri -dPCM- per il trasferimento delle risorse umane, finanziarie, strumentali e organizzative dallo Stato alle regioni e agli enti locali.

1.4 I decreti legislativi di conferimento di compiti e funzioni dallo Stato alle Regioni e agli enti locali (tutti emanati tra il 1997 e il 1998, aprendo così la strada all'attuazione regionale):- D.Lgs..n.143/97 in materia di agricoltura;- D.Lgs..n.422/97 in materia di Trasporto Pubblico Locale;- D.Lgs..n.469/97 in materia di Mercato del Lavoro;- D.Lgs..n.112/98 che attua il capo I della legge n.59 realizzando il "federalismo" amministrativo (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali);- D.Lgs..n.114/98 in materia di commercio (riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art.4, comma 4, della legge della legge n.59/97).

1.5 I principi fondamentali ai quali i decreti legislativi si sono ispirati per il conferimento delle funzioni sono sanciti nell'art. 4 (della legge delega). Particolare rilievo assumono quelli di:

- adeguatezza, nel senso dell'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a garantire l'esercizio delle funzioni;- responsabilità e unicità della pubblica amministrazione, nel senso dell'identificabilità in capo a un unico soggetto delle responsabilità di ciascun servizio;- efficienza ed economicità, nel senso della soppressione dei compiti superflui;- sussidiarietà, nel senso dell'attribuzione della generalità delle funzioni ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane (tende a superare l'accentramento dei poteri avvicinando, per quanto possibile, la pubblica amministrazione al cittadino); - differenziazione, nel senso che ogni ente ricevente ha l'autonomia di organizzarsi a seconda delle sue caratteristiche (tende a superare l'uniformità territoriale).

1.6 Il raccordo con il Parlamento si realizza attraverso la Commissione parlamentare bicamerale (- esprime i pareri previsti dalla legge; verifica periodicamente lo stato di attuazione e riferisce alle Camere); la Commissione ha svolto un ruolo fondamentale attraverso un un'efficace attività di monitoraggio della progressiva attuazione della riforma, sia a livello centrale che in periferia.

1.7 Gli altri aspetti disciplinati dalla legge n.59 (oltre al capo I relativo al decentramento amministrativo) sono:- capo II: riforma dell'amministrazione centrale;

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- capo III: delegificazione e semplificazione;- capo IV: autonomia scolastica

N.B.: anche se la nostra trattazione si riferisce specificamente al capo I (attuazione del federalismo amministrativo), gli altri capi disegnano una struttura d'insieme organica della riforma che richiede un'azione rivolta alla semplificazione delle procedure, alla delegificazione e alla correlata riorganizzazione dell'amministrazione centrale. La novità di questo processo risiede proprio nel fatto che si tratta di una riforma "organica" (il cui risultato dipenderà da "come" effettivamente verrà calata nella realtà delle singole amministrazioni e da quanto sarà in grado di incidere sui comportamenti complessivi di tutti gli attori istituzionali interessati).

SEZIONE 2 - "Il decreto legislativo n.112/98"

2. Il decreto legislativo n.112/98 è suddiviso in cinque titoli corrispondenti a dei blocchi di materie sui quali operano i conferimenti: - titolo I: disposizioni generali - titolo II: sviluppo economico e attività produttive - titolo III: territorio, ambiente e infrastrutture - titolo IV: servizi alla persona e alla comunità - titolo V: polizia amministrativa regionale e locale e regime autorizzatorio

2.1 I conferimenti sono di due tipi (ai sensi dell'art.4 della legge n.59): conferimenti diretti (corrispondenti a funzioni esercitate a livello centrale) e indiretti (afferenti alle materie elencate nell'art.117 Cost e che quindi presuppongono l'adozione delle leggi regionali attuative per procedere all'ulteriore conferimento a Province e Comuni di tutte quelle funzioni che "non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale" -art.3, comma 1, D.Lgs..n.112)

2.2 La definizione degli Ambiti ottimali per l'esercizio associato delle funzioni è demandato alle Regioni (in questo senso il comma 2 dell'art.3 del D.Lgs..n.112 anticipa la legge n. 265/99 che perfeziona la materia delle forme associative): tale norma, nella maggioranza delle regioni, non ha ancora trovato attuazione

2.3 Organismi di concertazione permanenti Regioni-Autonomie locali previste dall'art.3, comma 5 quali sedi atte a consentire il raccordo e la concertazione, danno luogo a forme di cooperazione strutturale e funzionale al fine di consentire la collaborazione e l'azione coordinata tra Regioni ed enti locali nell'ambito delle rispettive competenze. A differenza infatti della precedente fase di regionalizzazione degli anni '70, l'attuale decentramento amministrativo ha visto e vede coinvolto l'intero sistema delle autonomie locali grazie proprio a queste sedi di collaborazione e concertazione permanente che hanno svolto un ruolo importante sia nella fase di predisposizione delle leggi regionali, sia in quella successiva di attuazione delle leggi regionali stesse. Tali sedi rappresentano dunque uno snodo strategico per l'intero sistema delle autonomie, anche in vista dell'approvazione dei nuovi statuti regionali. Si pongono però dei problemi per quanto attiene in particolare alla disciplina di tali organismi (composizione e attività) che dovrebbe essere rivista proprio in occasione della fase di riscrittura degli statuti degli Statuti, privilegiando un modello di concertazione forte.

2.4 Principio di effettività dei trasferimenti (art.7 della legge n.59 e art.7 del D.Lgs..n.112): presupposto fondamentale per l'effettiva operatività del decentramento sono i DPCM di trasferimento delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per

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garantire l'esercizio delle nuove funzioni conferite (principio della contestualità: l'effettiva decorrenza delle nuove funzioni scatta il girono successivo alla pubblicazione dei DPCM) - N.B.: si introduce pertanto un meccanismo nuovo anche rispetto ai "precedenti" decentramenti che mette gli enti territoriali in condizioni di poter effettivamente esercitare le nuove funzioni conferite garantendo loro un'idonea copertura finanziaria

SEZIONE 3 - Le leggi regionali di attuazione

3. Le leggi regionali di attuazione (definiscono "chi fa che cosa", e cioè l'effettiva ripartizione tra Regione ed enti locali delle funzioni loro conferite indistintamente dal D.Lgs..n.112 - ex art.117 Cost); in realtà, secondo l'art.4, co.5 della legge n.59, le regioni avrebbero dovuto procedere ad una riorganizzazione complessiva - ex art.3 legge n.142/90- di tutte le loro funzioni (pertanto anche di quelle già regionalizzate) sulla base del principio di sussidiarietà; solo poche regioni hanno proceduto in tal senso: in realtà la maggior parte si è limitata a trasferire le nuove funzioni attribuite con il D.Lgs..n.112.

3.1 Le leggi regionali adottate

- "struttura" della legge (tecniche diverse di redazione: legge unica -come quella del Lazio; leggi di settore -come quella della Toscana; leggi organiche (che ripercorrono la stessa "impalcatura" del D.Lgs..n.112/98) o "leggere" (che rinviano a future leggi di settore, come ad es. la Basilicata).

3.2 Si valorizza la piena autonomia delle Regioni nell'attuazione del D.Lgs..n.112 (e di tutti gli altri decreti di conferimento) superando così sia il tradizionale "accentramento dei poteri" (secondo il principio di sussidiarietà) sia l'uniformità territoriale (secondo il principio della differenziazione degli ordinamenti)

3.3 Poteri sostitutivi dello Stato: si tratta di una grande innovazione introdotta dalla legge delega (fortemente voluta dagli enti locali); l'art.4, comma 5 della legge n.59 riconosce allo Stato il potere di sostituirsi alla regione in caso di ritardi e/o inadempienza attraverso l'emanazione di un decreto legislativo sostitutivo le cui disposizioni si applicano sino all'entrata in vigore della legge regionale

3.4 Ruolo della Provincia fortemente valorizzato (sia dal D.Lgs.. n.112/98 -attraverso una serie di conferimenti diretti che toccano varie materie -, sia dalle stesse leggi regionali di attuazione. Alcune leggi, come ad es. quella della Toscana, attribuiscono alla Provincia le funzioni residuali non espressamente riservate alla regione, intendendo valorizzarla maggiormente rispetto ai Comuni (il Lazio è tra queste). Il decreto legislativo 112, in attuazione della delega contenuta nella legge 59 del 1997, radica definitivamente una tendenza già in atto volta alla definizione e valorizzazione della Provincia come realtà di "area vasta": dalla sua natura di "ente intermedio" derivano alla Provincia una vasta serie di funzioni proprie, le quali richiedono una gestione territorialmente organica e sovra-comunale, senza per questo essere riferibili alla complessiva dimensione regionale. E' proprio in virtu' del principio di adeguatezza (che stabilisce l'esigenza che il destinatario finale della funzione possa essere effettivamente titolare del potere conferito, e cioè, in altre parole, che la struttura locale sia idonea a garantirne l'esercizio) che il ruolo della Provincia risulta essere quello più adatto a rappresentare le istanze territoriali dell'area vasta laddove il Comune (si pensi in particolare a quelle zone del territorio dove sono vi sono tanti piccoli comuni dotati di scarse strutture organizzative), per le sue ridotte

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dimensioni, non può farsene portavoce. Dall'analisi delle leggi regionali emerge che, tra i vari settori sui quali hanno operato i conferimenti, la Provincia quale ente intermedio, risulta essere il soggetto più idoneo a governare gli interventi in materia ambientale. Sempre relativamente all'attuazione del titolo I del D.Lgs..n.112/98, altri settori importanti per la Provincia sono: la viabilità, i trasporti (motorizzazione civile), la protezione civile, l'urbanistica (ma in questi ultimi due casi non v'è stata una vera e propria ricomposizione delle funzioni in capo all'ente); quanto agli altri settori (servizi alla persona e sviluppo economico), particolarmente rilevanti sono le funzioni attribuite in materia di istruzione e formazione e di energia.N.B: In definitiva (anche al di là dei consistenti conferimenti di funzioni e compiti amministrativi) cambia il modo di essere della Provincia, la quale:

- si configura sempre di più come punto di riferimento per la gestione delle funzioni di area vasta (anche a seguito dell'allargamento dell'ambito delle funzioni amministrative);

- si rafforza sul versante programmatorio non più esclusivamente sul piano territoriale, ma più in generale su quello dello sviluppo complessivo del territorio: la vocazione programmatoria della Provincia tocca oggi diverse materie, che vanno dall'energia alla protezione civile sino ai settori della formazione e dell'istruzione;

- viene ad assumere una logica di sussidiarietà (qualora il comune non riesca ad assolvere le sue funzioni, "scatta" la competenza della Provincia).

SEZIONE 4 – Il ruolo svolto dal Governo nell'attuazione della riforma

4. Il ruolo svolto dal GOVERNO nell'attuazione della riforma è stato fondamentale. Al fine di coordinare l'attività di tutte le amministrazioni centrali e territoriali, è stato istituito -con DPR- il Commissario straordinario preposto all'attuazione del decentramento amministrativo (nella persona del Consigliere di Stato Alessandro Pajno), con il compito di accompagnare e monitorare il lungo percorso della riforma. Il Commissario, nell'esercizio delle sue funzioni, è stato supportato da un organismo tecnico, la Segreteria per l'attuazione della legge n.59/97. L'istituzione di questi organismi straordinari (che con l'operatività del decentramento esauriscono il loro ruolo) ha tuttavia lasciato una traccia importante nel sistema del nostro Paese: si è infatti profilato un nuovo modo di governare improntato a una collaborazione leale e fattiva di tutte le amministrazioni che ha permesso di superare anche le originarie riluttanze di alcune di esse.

4.1 La fase dell'attuazione: i DPCM di trasferimento delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative dallo Stato alle Regioni e agli enti locali. La data di avvio del processo di predisposizione dei DPCM è stata quella del 22 aprile 1999, con la sottoscrizione, in sede di Conferenza Unificata, del cosiddetto "Accordo Pajno" (dal nome del Commissario straordinario preposto all'attuazione del decentramento amministrativo) che indica i criteri e i parametri per la predisposizione dei DPCM nonché una precisa tempistica da rispettare.

4.2 Il processo di individuazione delle risorse si è articolato in tre fasi:

1. predisposizione dei DPCM generali di individuazione del quantum da trasferire a Regioni ed enti locali;

2. definizione dei DPCM di ripartizione di tali risorse (attraverso accordi di riparto) tra regioni ed enti locali e tra gli stessi enti locali per le funzioni loro direttamente conferite

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3. predisposizione dei 15 DPCM (uno per ciascuna regione a Statuto ordinario) per l'attribuzione effettiva delle risorse a ogni singolo ente -sulla base delle leggi regionali

N.B. mentre le prime due fasi si sono svolte al "centro" attraverso serrati confronti tra le singole amministrazioni, l'Anci, l'Upi e la Conferenza delle regioni, la terza fase si è spostata in "periferia", attraverso la predisposizione di piani di riparto avvenuta in sede di Conferenza regione-autonomie locali sulla base di una proposta elaborata dalla Giunta regionale. L'atto finale è comunque stato, come per le altre fasi, un DPCM approvato dalla Conferenza Unificata (i maggiori problemi sono emersi proprio nella terza fase; non a caso la C.U. ha dovuto "sostituirsi" alle Conferenze regionali laddove queste non erano pervenute all'approvazione dei riparti).

4.3 Con la pubblicazione degli ultimi 15 DPCM (avvenuta il 21 febbraio, s.o. G.U. n.31) si conclude il processo di attuazione.Dal 22 febbraio 2002 è effettivamente scattata l'operatività del decentramento amministrativo. Regioni ed ee.ll. devono garantire l'esercizio delle nuove funzioni conferite.

L'avvalimento: si tratta di un "meccanismo" previsto dall'art.52 della legge finanziaria 2002 e sancito in sede di C.U. attraverso un Accordo che consente a Regioni ed enti locali, nelle more del completamento delle procedure di mobilità del personale, di avvalersi, senza oneri aggiuntivi, del personale dell'amministrazione centrale o degli enti titolari delle funzioni e dei compiti prima del loro conferimento fino al 30 giugno 2002.N.B.: il presupposto dell'avvalimento è il trasferimento del personale; pertanto gli enti vi hanno potuto fare ricorso solo in quei settori per i quali si prevedeva il trasferimento di personale.

1.5Per quanto riguarda le procedure di mobilità del personale da trasferire, sono stati approvati due protocolli d'intesa e conseguenti dPCM che disciplinano le procedure di trasferimento dei contingenti di personale dallo Stato a Regioni ed Enti locali. Il primo dPCM disciplina le procedure generali per il personale statale, mentre il secondo riguarda esclusivamente il personale ANAS, dal momento che si tratta di personale privatizzato che dovrà rientrare nuovamente in un contratto di lavoro di diritto pubblico. I due dPCM sono sostanzialmente analoghi nei contenuti e si caratterizzano da un lato per la volontarietà del trasferimento e, dall'altro, dalla previsione di una mobilità provinciale. Da ultimo si rileva come in sede politica, quando si è espresso il parere favorevole, le Regioni e gli Enti locali hanno richiesto la formalizzazione, da parte del Governo, dell'impegno ad assicurare le corrispondenti risorse finanziarie, qualora il personale da trasferire -una volta esperite le procedure di mobilità- risulti insufficiente a coprire i contingenti individuati dagli specifici dPCM di conferimento.

1.6La concertazione interistituzionale e il ruolo svolto dalla Conferenza Unificata. Il luogo di confluenza delle scelte tra tutti i diversi livelli di Governo è stata la Conferenza Unificata Regioni autonomie locali, che ha ricoperto un ruolo fondamentale in tutte le varie fasi dell'attuazione. Isituita dal D.Lgs..n.281/97 (ai sensi della legge n.59), essa "unifica" in un'unica sede la Conferenza Stato-Regioni e la Stato-Città. Ai sensi dell'art.9 del D.Lgs.. n.281/97, la Conferenza Unificata: esprime pareri, promuove e sancisce intese ed accordi, assume deliberazioni, designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province e ai comuni e alle comunità montane; esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati, sul dpef ed ha espresso parere su tutti gli schemi di D.Lgs.. adottati in

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base all'art.1 della legge n.59. La Conferenza promuove e sancisce intese tra Governo, regioni e sistema delle autonomie locali e accordi al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune. Viene inoltre consultata sulle linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali.

SEZIONE 5 - Tavole e Tabelle

Tavola sintetica sulle Conferenze

CONFERENZA STATO-REGIONI FUNZIONI E COMPITI

- istituita dall'art.12 della legge n.400/88;- il D.Lgs.. n.418/89 individua le funzioni della Conferenza , riordina gli organismi a composizione mista (a livello politico) tra lo Stato e le regioni, individua i Comitati generali con compiti istruttori o anche decisori, su delega della Conferenza stessa, ma che non hanno mai funzionato;- il DPCM 16.2.89 costituisce una segreteria tecnica a supporto della Conferenza con personale proveniente in parte dallo Stato e in parte dalle regioni ;- il D.Lgs.. n.281/97, in attuazione della delega prevista dall'art.9 della legge n.59, ne amplia le competenze

- inizialmente svolgeva principalmente compiti di informazione, consultazione e raccordo in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale, esclusi gli indirizzi relativi alla politica estera, alla difesa, alla sicurezza nazionale, alla giustizia (finendo per diventare, in molti casi, un mero luogo di confronto tecnico); ma con il D.Lgs.. n.281/97 si procede a razionalizzare e precisare le sue competenze, ampliandone le attribuzioni e potenziandone i lavori (cfr. artt.2-7, D.Lgs.. n.281)

CONFERENZA STATO-CITTA' ED AUTONOMIE LOCALI FUNZIONI E COMPITI

- istituita con DPCM 2.7.96 sulla falsariga della Conferenza Stato-regioni;- essa è composta: per lo Stato: dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro dell'interno e dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno inoltre parte i Ministri delle Finanze, del Tesoro dei Lavori Pubblici e della Sanità nonché altri membri del Governo che possono essere invitati a partecipare ai lavori, come pure i Presidenti delle Regioni; la componente delle autonomie locali è composta da: i Presidenti di Anci, Upi ed Uncem, da 14 Sindaci di cui 5 rappresentanti le città metropolitane e 6 Presidenti di Provincia che vengono designati rispettivamente da Anci ed Upi - viene convocata almeno ogni tre mesi, o in

deve in particolare discutere ed esaminare:- i problemi relativi all'ordinamento ed al funzionamento degli enti locali, comprese le politiche finanziarie di bilancio e quelle relative al personale,- i problemi relativi all'attività di gestione e di erogazione dei servizi pubblici;essa favorisce inoltre:-l'informazione e le iniziative per il miglioramento del livello di efficienza dei servizi pubblici locali;-la promozione di accordi o contratti di programma;- le attività relative alla organizzazione di manifestazioni che coinvolgono più comuni o province

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ogni caso in cui il Presidente ne ravvisi la necessità o ne facciano richiesta i presidenti di Anci, Upi, Uncem

CONFERENZA UNIFICATA FUNZIONI E COMPITI- istituita con D.Lgs.. n.281/97 (su delega della legge n.59) che unifica la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-città per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane;- ai sensi dell'art.8, co.4 del D.Lgs.. n.281, la Conferenza Unificata è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri; le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o dal Ministro dell'interno

- assume deliberazioni, - promuove e sancisce intese di interesse comune tra Governo, Regioni ed Autonomie locali, ed accordi al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune,- esprime pareri, -designa rappresentanti in relazione alle materie e ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni, e alle comunità montane;- esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni collegati, sul dpef, sugli schemi di D.Lgs.. adottati in base all'art.1 della legge n.59,- viene consultata sulle linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali;n.b. ai sensi dell'art.9, co.4 del D.Lgs.. n.281, l'assenso delle regioni e delle autonomie locali è assunto con il consenso distinto dei componenti dei due gruppi che formano rispettivamente la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-città.

Tavola sulle materie per le quali hanno operato i conferimenti di compiti e funzioni alle regioni e agli EE.LL.

MATERIE SULLE QUALI HANNO OPERATO I CONFERIMENTI DI COMPITI E FUNZIONI ALLE REGIONI E AGLI EE.LL. ex legge n. 59/1997- mercato del lavoro- agricoltura- artigianato

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- industria- commercio- pesca- energia- turismo- programmazione negoziata- sportello unico- urbanistica- edilizia residenziale pubblica- tutela dell'ambiente- parchi- inquinamento delle acque- inquinamento acustico ed atmosferico- rifiuti- risorse idriche e difesa del suolo- opere pubbliche- viabilità- trasporto pubblico regionale e locale- trasporti- protezione civile- sanità- servizi sociali- istruzione e formazione professionale- beni e attività culturali- spettacolo- polizia amministrativa e sicurezza

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