MOBBING: OLTRE IL SIPARIO. LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO di Paola Caiozzo

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33 N O 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management Q UESTO ARTICOLO È IL TERZO APPUNTAMENTO DI UN PERCORSO DI APPROFONDIMENTO SUL MOBBING. AVENDO FORNITO IN PRECEDENZA UN INQUADRAMENTO SOCIO-ORGA- NIZZATIVO E AVENDO DELINEATO QUALI SONO I CONFINI, LE DIMENSIONI E LE MOTI- VAZIONI CHE SOTTENDONO AL FENOMENO, NELLE PROSSIME PAGINE SI CERCHERÀ DI FAR CHIA- REZZA SUI MECCANISMI, SUI COPIONI DI COMPORTAMENTO E SULLE DINAMICHE INVOLUTIVE DEL MOBBING, AL FINE DI OFFRIRE DELLE GRIGLIE DI LETTURA E CLASSIFICAZIONE DEI SUOI ELE- MENTI DISTINTIVI E CATEGORIE DI ASCOLTO DEI “SEGNALI DEBOLI”. IN TUTTE LE SITUAZIONI COMPLESSE, INFATTI, UNA CONSAPEVOLE DIAGNOSI PRECOCE PUÒ CON- TRIBUIRE A SALVARE IL SISTEMA. MOBBING: OLTRE IL SIPARIO. LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO di Paola Caiozzo MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS

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33NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

QUESTO ARTICOLO È IL TERZO APPUNTAMENTO DI UN PERCORSO DI APPROFONDIMENTOSUL MOBBING. AVENDO FORNITO IN PRECEDENZA UN INQUADRAMENTO SOCIO-ORGA-NIZZATIVO E AVENDO DELINEATO QUALI SONO I CONFINI, LE DIMENSIONI E LE MOTI-

VAZIONI CHE SOTTENDONO AL FENOMENO, NELLE PROSSIME PAGINE SI CERCHERÀ DI FAR CHIA-REZZA SUI MECCANISMI, SUI COPIONI DI COMPORTAMENTO E SULLE DINAMICHE INVOLUTIVEDEL MOBBING, AL FINE DI OFFRIRE DELLE GRIGLIE DI LETTURA E CLASSIFICAZIONE DEI SUOI ELE-MENTI DISTINTIVI E CATEGORIE DI ASCOLTO DEI “SEGNALI DEBOLI”. IN TUTTE LE SITUAZIONI COMPLESSE, INFATTI, UNA CONSAPEVOLE DIAGNOSI PRECOCE PUÒ CON-TRIBUIRE A SALVARE IL SISTEMA.

MOBBING:OLTRE IL SIPARIO.

LA VIOLENZA MORALE SUL LAVOROdi Paola Caiozzo

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34 NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

Introduzione

Una storia vera: Tommaso R.,

dirigente di un’assicurazione

“È un pomeriggio d’estate, sono seduto

nel mio ufficio. Sto scrivendo una lette-

ra al computer. Ho addosso il completo

grigio chiaro, quello di lino e cotone. È

un abito nuovo, firmato, ma mi sta già

stretto in vita perché continuo a ingras-

sare. Mi alzo per andare alla riunione,

quella delle tre. Camminando in corri-

doio mi sento pesante e stanco. Gli altri

sono già arrivati, siedono attorno al

tavolo ovale. Appena entro nella stanza,

vedo che tutti mi guardano i pantaloni,

all’altezza del sedere. Nessuno dice nien-

te, qualcuno soffoca un risolino, altri si

scambiano un’occhiata o mi indicano

con lo sguardo. Capisco di essermela

fatta addosso.

Non so quando è successo, non so nep-

pure come ho fatto a non accorgermene.

Io, un uomo di 56 anni, me la sono fatta

addosso in ufficio. Mi metto subito sedu-

to, facendo finta di niente; i colleghi con-

tinuano a guardarmi e a ridacchiare, io

vorrei sprofondare in una voragine e non

farmi vedere mai più. Per ultimo, come

sempre, arriva il Dottore. Ma invece di

sedersi, comincia ad annusare per aria

e chiede: “Che cos’è questa puzza?”.

Allora gli altri ridono, ridono rumoro-

samente, si spanciano dalle risate, e

puntano il dito verso di me. Anche il

Dottore ride, anzi sghignazza. Final-

mente mi sveglio, sudato e vergognoso,

come se tutto fosse accaduto davvero”

(Gilioli, Gilioli 2000).

Questo è uno dei sogni ricorrenti e osses-

sivi raccontato al medico curante in sede

di anamnesi da una persona che ha subi-

to il mobbing.

Recuperare una risorsa vessata dal mob-

bing o il clima di un gruppo, ricostruire

la fiducia tra le persone e l’organizzazio-

ne è un’impresa lunga e complessa.

Ω tutti perdono;

Ω non si cercano più soluzioni o com-

promessi, ma il conflitto va avanti in

quanto tale;

Ω si perpetua il conflitto per interessi

non visibili e irrazionali;

Ω tutti giudicano scorretto il comporta-

mento vessatorio, ma nessuno se ne

assume la responsabilità;

Ω ognuno ritiene l’altro responsabile

dell’escalation del conflitto;

Ω non c’è mai stata o non è più ricono-

scibile una motivazione sostanziale al

conflitto;

Ω tutti rifiutano di porre il conflitto su

un piano razionale e rimangono sulle

proprie posizioni emotive percepite

come giuste;

Ω tutti dimostrano impotenza;

Ω con il tempo alcune persone mostra-

no una forte inferiorità, sia rispetto alla

situazione, sia nella loro personalità.

In generale, rifacendosi a quanto sopra

descritto, il sintomo più evidente di una

possibile presenza di mobbing in un’a-

zienda o comunque dell’esistenza delle

condizioni organizzative all’interno delle

quali il mobbing può mettere radici, è la

degenerazione del clima.

Per clima intendiamo lo spazio emotivo

delle relazioni organizzative. In un’a-

zienda in cui è presente un clima dege-

nerato serpeggia un avvelenamento dei

rapporti, esiste un sostanziale disinte-

1. P. Saolini, Mobbing. I costi umanidell’impresa, Ed. Lavoro 2001. Luigi Canali,segretario della FPS CISL Regione Lazio, ha provato a definire in termini monetari il costo che il mobbing fa ricadere sulla società e sulle imprese. Fa notare l’autore che secondo una valutazionedell’Organizzazione Internazionale del Lavoro,il costo totale annuo della violenza psicologicain un’azienda di mille dipendenti si aggira intorno ai 155.000 euro.Secondo uno studio della Health & Safetyexecutive Britannica (1998) “il cattivo rapporto tra lavoratore e ambiente” incidenegativamente sul regno Unito per 80 milioni di giorni lavorativi e 2 miliardi di sterlineall’anno. Secondo altre fonti, in Germania il danno annuo causato è valutato in 220 milioni di marchi.

Il mobbing spegne ogni forma di colla-

borazione, riduce lo scambio di infor-

mazioni, annienta lo spirito del gruppo.

Il mobbing lede i presupposti logici di

valorizzazione del capitale umano e di

capitalizzazione degli apprendimenti

organizzativi (Del Mare 1998), ucciden-

do la diffusione di creatività, la comuni-

cazione e i processi di condivisione.

Partendo da queste considerazioni, il

bisogno di approfondire il tema è anco-

rato a tre elementi fondamentali:

Ω l’aspetto etico e di responsabilità

sociale dell’azienda;

Ω la necessità di avere strumenti per

riconoscere e diagnosticare una patolo-

gia organizzativa che si ripercuote sul

funzionamento e sui risultati aziendali;1

Ω l’esigenza di sgomberare il campo da

alcune banalizzazioni che inducono ad

allontanare e sottostimare il fenomeno.

L’obiettivo di questo articolo è guidare la

comprensione del mobbing, indicando

quali sono le vie e le trappole nell’affron-

tare un tema i cui contorni, meccanismi,

dinamiche involutive e copioni di com-

portamento non sono facilmente codifi-

cabili, non seguono sempre le stesse vie

di manifestazione e a volte sono insiti in

comportamenti organizzativi apparente-

mente “normali”.

Si partirà quindi dall’identificare quali

sono i sintomi che si manifestano in

azienda e rappresentano i “segnali debo-

li” del mobbing, per poi esaminare gli ele-

menti distintivi e peculiari che consen-

tono di diagnosticare il fenomeno.

Come riconoscere il mobbing

Per iniziare a comprendere meglio il

fenomeno, quindi, cerchiamo di capire

cos’è. Un aiuto ci è fornito dal pragmati-

smo di H. Walter (1993), il quale, descri-

vendo il mobbing in modo diretto, spie-

ga che si tratta di una situazione conflit-

tuale in cui:

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considerata la causa di problemi lavora-

tivi invece di essere letta come sintomo

di un disagio.

Indebolimento dei legami amicali o sociali

con i colleghi. Si crea una progressiva ma

inesorabile diminuzione di interesse, di

cooperazione, di aiuto reciproco e di soli-

darietà con i colleghi in ambito lavorati-

vo e non.

Autoisolamento. Una persona tende a evi-

tare sempre e sistematicamente qualsia-

si momento sociale e di vita organizzati-

va, preferendo, per esempio, mangiare

sempre solo; non partecipare mai a feste

aziendali o gite; a evitare alcuni momen-

ti “rituali” come l’aperitivo, la partita di

calcetto ecc. Tale comportamento assume

maggiore significato soprattutto se il sog-

getto non è persona scontrosa e tacitur-

na, oppure se l’isolamento non è indotto

dal ruolo o dalla professionalità.

Paura o rifiuto di affrontare cambiamenti

di ruolo o di mansione. Un soggetto oppo-

ne un rifiuto al cambiamento sistemati-

co della sua posizione non motivato da

dati oggettivi o da ragioni valide. Con-

temporaneamente, è visibilmente accom-

pagnato da stati emotivi sempre più evi-

denti. La persona si sente “in trappola” e

ha difficoltà e paura a parlare concreta-

mente della situazione che sta vivendo.

Rassegnazione, perdita di ambizione, de-

motivazione. Una persona continua a

svolgere il proprio lavoro diligentemen-

te, ma senza alcuna passione o coinvol-

gimento emotivo. Non ha interesse che

le sue idee o proposte si affermino, non

lotta per la carriera, non chiede aumen-

ti, non reagisce alle provocazioni ecc. La

persona vive un perpetuo ma inesorabi-

le allontanamento dal lavoro in termini

di motivazione, interesse e slancio.

I segnali organizzativi

Isolamento informativo. Vengono blocca-

te tutte quelle informazioni utili per lavo-

rare o progredire nel lavoro. L’assenza di

informazioni di cui una persona neces-

sita per lavorare diventa prolungata e il

vuoto informativo è la condizione abi-

tuale di lavoro. Nonostante ciò, i rappor-

ti interni appaiono formalmente cordia-

li, ma le comunicazioni sono sempre

ripetitive e su contenuti banali e generi-

ci. La persona, pur sembrando apparen-

temente ben integrata, inizia a manife-

stare difficoltà soprattutto rispetto alla

qualità del suo lavoro.

Silenzio attorno al soggetto. Appare visibi-

le, in luoghi organizzativi diversi e in

momenti organizzativi diversi, che una

persona è accompagnata da un “vuoto”

persistente e generalizzato: ogni volta che

entra in un ufficio o in una stanza tutti

smettono di parlare per ricominciare

quando se ne va. Il soggetto viene tenu-

to in “isolamento” soprattutto nei luoghi

sociali dell’organizzazione.

Pettegolezzi. Nascono dicerie varie, ricor-

renti, in forme diverse e su spunti diver-

si, ma sempre sulla stessa persona.

Nascono attributi, episodi di vita lavora-

tiva e non, convinzioni diffuse sulla per-

sona senza che niente sia mai provato.

La persona oggetto delle dicerie inizia a

trovarsi in uno stato di inferiorità o

segregazione sociale dal quale è difficile

uscire.

La “trappola del fuori gioco”. Si rilevano cri-

tiche permanenti sul comportamento

lavorativo di una persona, utilizzando

strumentalmente qualsiasi svista o erro-

re anche banale per amplificare il man-

cato raggiungimento di un obiettivo o per

imputare danni irreparabili all’azienda o

al gruppo di appartenenza.

Sindrome del controllo ossessivo. La dimen-

sione del controllo è un aspetto caratte-

ristico delle organizzazioni, ma, quando

il controllo diventa formale e ossessivo su

elementi ininfluenti nei confronti del

lavoro, può essere un evidente sintomo

di mobbing. Soprattutto lo è la non equità

del controllo, cioè se a essere particolar-

mente controllato è soltanto un individuo

e il controllo diventa vessatorio.

Utilizzo improprio e discrezionale delle leve

organizzative. Una persona viene fre-

resse a investire energie nella soluzione

di problemi contingenti, nascono spon-

taneamente “bande armate” o “tribù or-

ganizzative” che utilizzano qualsiasi pre-

testo per alimentare le tensioni. Un pes-

simo clima, inoltre, innesca la propen-

sione alla ricerca diffusa di colpevoli

quando qualcosa non va, sostiene la sfi-

ducia reciproca e alimenta la tendenza,

in ogni discussione, ad allontanarsi dalla

descrizione oggettiva degli eventi per sci-

volare sul piano della sfuggevole sogget-

tività; fa “vivere” tutti gli abitanti dell’or-

ganizzazione in un ambiente di difesa e

allerta continua, distogliendo energie dal

lavoro per indirizzarle verso la protezio-

ne e la sopravvivenza.

I sintomi aziendali

Nello scenario sopra descritto sono già

individuabili comportamenti o situazio-

ni che rappresentano i sintomi del feno-

meno mobbing, ovvero le precondizioni

all’interno delle quali il mobbing può

metter radici, l’humus che consente l’at-

tecchimento e lo sviluppo del fenomeno.

Vediamo i sintomi più comuni che pos-

sono rappresentare dei campanelli d’al-

larme. Alcuni sono rilevabili attraverso

l’osservazione dei comportamenti sog-

gettivi e altri attraverso la lettura di alcu-

ni segnali organizzativi.

I comportamenti soggettivi

Lamentele o richieste di aiuto ai superiori.

Un soggetto ritiene di essere vittima di

azioni ostili e costanti da parte dei colle-

ghi. Ha difficoltà a concentrarsi sul lavo-

ro o ad accedere a elementi essenziali per

poter svolgere i propri compiti. Qualora

la richiesta di aiuto rimanga inascoltata,

difficilmente la persona dirà ancora qual-

cosa.

Assenze protratte o frequenti. Si manifesta

un crescente assenteismo da parte di chi

non aveva mai mostrato prima problemi

di salute. La salute finisce con l’essere

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(almeno sei mesi)2

delle azioni utilizzate

per metterlo in atto;

Ω la crescente intensità emotiva;

Ω la funzione di rinforzo, consapevole

o inconsapevole, dell’organizzazione.

L’uso combinato e diverso dei quattro fat-

tori sopra evidenziati dà luogo a strategie

di persecuzione molto diverse tra loro che

attivano meccanismi ogni volta differen-

ti e possono avere dinamiche involutive

ogni volta peculiari. Ma se di mobbing si

tratta, i quattro elementi saranno sempre

tutti presenti (figura 1).

Gli schemi di ruolo

Il primo elemento peculiare di una situa-

zione di mobbing è l’esistenza di schemi

di ruolo che si ripropongono sempre a

prescindere dal tipo di mobbing o dalla

sua origine.

In tali schemi la sceneggiatura ha tre pro-

tagonisti principali e nessuna comparsa:

Ω la vittima o mobbizzato;

Ω il/i persecutore/i o mobber/s;

Ω gli spettatori.

Nessuno dei tre ha un ruolo di primo

piano o una maggiore importanza nel

processo poiché non esisterebbe il feno-

meno del mobbing senza l’azione con-

giunta di tutti e tre i protagonisti: la vit-

tima, il mobber e gli spettatori.

La vittima

Chiunque può ritrovarsi nel ruolo di vit-

tima, indipendentemente dalla posizione

organizzativa, dal carattere o dalla perso-

nalità. Questo dato è di estrema impor-

tanza. Oltre a essere confermato dall’in-

dagine quantitativa su 2236 casi effettua-

ta dalla Clinica del Lavoro di Milano e cita-

ta nel precedente articolo3

sullo stesso

tema, risulta di primaria importanza per

SCHEMI DI RUOLO

INTENSITÀ EMOTIVA

CRESCENTE

FREQUENZAE RIPETITIVITÀ DELLE AZIONI

FUNZIONI DI RINFORZO DELL’ORGANIZZAZIONE

MOBBING

Figura 1 Mobbing: elementi costituivi

2. H. Leymann, Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man Sich dagegenweheren Kann, Reinbek Rowollt, 1993.

3. P. Caiozzo, “Il mobbing: realtà vicina olontana?”, Economia & Management n. 3, 2002.

quentemente spostata di mansione,

ruolo o unità organizzativa senza una

precisa logica organizzativa e inizia a

essere considerata un “licenziato inter-

no”. La mansione o il ruolo vengono svuo-

tati di contenuti professionali; vengono

attribuiti compiti che esulano dalle sue

competenze per indurla in errore ecc.

È importante rilevare che la semplice

elencazione dei sintomi testé descritti

perde di significato se letta in modo ana-

litico e semplicistico. Può costituire,

invece, una valida griglia di lettura se

approcciata in modo sistemico, mante-

nendo la visione d’insieme. In tal senso

può diventare un efficace strumento per

attivare diagnosi precoci che consentano

di intervenire prima di un deteriora-

mento definitivo.

Elementi costitutivi del mobbing

Il monitoraggio dei sintomi sopra

descritti e l’ascolto d’insieme dei diversi

segnali più o meno deboli che risultano

costanti nel tempo dovrebbero indurre

ad approfondire un’analisi su quanto sta

succedendo e quali sono le cause o con-

cause dei sintomi rilevati. Una caratteri-

stica generalizzabile nelle analisi dei pro-

blemi complessi è che le variabili da

tenere sott’occhio sono molteplici e solo

una visione integrata e contemporanea

di tutti gli elementi in gioco, con una

disamina delle relazioni e delle associa-

zioni tra i fattori, può dare una spiega-

zione del problema e indicare la via della

soluzione. Descriveremo quindi gli ele-

menti in gioco per poi ricostruire la visio-

ne d’insieme.

Gli elementi in gioco

Quattro sono gli elementi, costantemen-

te presenti nel mobbing, che consentono

di distinguerlo dalla “normale e sana”

conflittualità organizzativa:

Ω gli schemi di ruolo;

Ω la frequenza e ripetitività nel tempo

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evitare banalizzazioni del fenomeno

come quella di imputare a caratteristiche

individuali il sentirsi o il diventare vittima

negando così l’esistenza del fenomeno.

La ricerca svolta sui dati della Clinica del

Lavoro sul mobbing evidenzia in modo

inequivocabile che l’influenza del fattore

personalità è basso rispetto all’influenza

degli stressors organizzativi. In altre paro-

le, le cause del malessere che il mobbiz-

zato presenta sono imputabili all’am-

biente organizzativo e lavorativo della

persona per almeno il 65% dei casi.

Si possono tuttavia identificare classi di

persone che sono più a rischio di mob-

bing. Si tratta di classi legate non tanto,

come detto prima, alla personalità degli

individui, ma ad altri fattori quali la diver-

sità rispetto alla composizione della

popolazione organizzativa e la devianza

rispetto alla cultura organizzativa domi-

nante in un’azienda.

La prima classe comprende i diversi per

età, sesso, nazionalità, etnia, apparte-

nenza sociale, religione, livello di scola-

rizzazione superiore alla media, tenden-

za sessuale ecc. Si tratta di persone che

sono più facilmente isolabili, special-

mente quando numericamente inferiori

o addirittura singoli individui. Rientrano

in questa categoria anche i disabili che,

essendo soggetti già deboli, sono più

facilmente colpibili.

La seconda classe è quella dei “devianti”

rispetto alla cultura organizzativa domi-

nante in un’azienda. Vari possono essere

i motivi per i quali a una persona viene

attribuito un comportamento deviante.

Cultura o capacità superiori alla media,

una scala di valori contrastanti con quel-

li aziendali, un approccio ai problemi e ai

rapporti sociali diverso rispetto alle moda-

lità consolidate e di routine dell’organiz-

zazione, un protagonismo evidente in

una cultura votata all’obbedienza, il mani-

festo rifiuto di comportamenti richiesti

dall’organizzazione perché non conside-

rati etici dal soggetto ecc. sono tutti fat-

tori che possono portare alla devianza.

Naturalmente, il fattore della devianza non

esiste in assoluto, ma solo nella relazione

di conformità o non conformità indivi-

duo/ambiente organizzativo. Chiunque si

trovi nel ruolo di vittima manifesta modi-

fiche nel comportamento organizzativo. Il

mobbizzato presenta infatti una caratteri-

stica: non è sempre stato così come lo si

vede quando il processo è avviato. Se un

soggetto è mobbizzato le modifiche nel suo

comportamento sono sempre presenti. Se

attentamente ascoltato, è possibile rintrac-

ciare precocemente il mobbing.

Il mobber

Il mobber, ossia il persecutore, è la figu-

ra che perpetra in modo più o meno deli-

berato il mobbing. Rappresenta il centro

di propulsione e di spinta che innesca la

concatenazione degli eventi. Va tenuto

presente che sto adoperando il singolare

per comodità di eloquio, ma il ruolo del

persecutore può essere giocato al plura-

le. Mentre sulla figura della vittima,

essendo stata già oggetto di numerose

analisi cliniche, la ricerca tende a esclu-

dere con ragionevole certezza una forte

influenza della personalità, sul profilo del

vessatore non vi è la stessa convinzione,

mancando i dati a supporto. Numerosi

autori ritengono che i mobber apparten-

gano spesso a determinate categorie psi-

cologiche. È stata, per esempio, indicata

una possibile lista delle caratteristiche del

mobber:4

i mobber sono persone che:

Ω tra due alternative di comportamen-

to scelgono quella più aggressiva;

Ω quando si trovano in una situazione di

mobbing si impegnano attivamente affin-

ché la situazione prosegua e si rigeneri;

Ω non mostrano alcun senso di colpa;

danno ad altri la colpa e sono convinti di

avere solo reagito a provocazioni;

Ω sono consapevoli delle conseguenze

che il mobbing ha per la vittima e le accet-

tano in modo attivo (“è colpa sua se lo

trattiamo così”) o in modo passivo (“non

lo faccio per cattiveria, qualcuno deve pur

perdere”);

Ω oppure non sono consapevoli delle

conseguenze per la vittima.

Ad oggi, come detto, non ci sono rileva-

zioni attendibili che confermino l’in-

fluenza della personalità quale fattore

consistente nell’assunzione e nell’inter-

pretazione del ruolo di mobber. Sono

state tuttavia evidenziate alcune diffe-

renze che influenzano le diverse inter-

pretazioni del ruolo di persecutore: la

maggiore o minore consapevolezza con

cui conosce e promuove il fenomeno; il

livello gerarchico ricoperto dal mobber

rispetto a quello della vittima, il genere.5

Per quanto riguarda il livello gerarchico,

i copioni di comportamento e le leve

disponibili per promuovere il mobbing

possono essere diversi in funzione del

ruolo ricoperto (per esempio, un capo ha

maggiore possibilità di utilizzare la

discrezionalità decisoria legata al suo

ruolo accanto a una maggiore capacità di

influenza sulle persone coordinate, men-

tre un pari grado no).

Per quanto riguarda il genere, è stato rile-

vato che esistono strategie vessatorie

diverse e collegate al fatto che il mobber

sia un uomo o una donna. Il primo pri-

vilegia azioni più nascoste, come ignora-

re e isolare la vittima, mentre la donna

tende a privilegiare azioni più aperte

come sparlare alle spalle, prendere in giro

di fronte a una platea, far girare voci ecc.

Gli spettatori

Questo ruolo, se a prima vista può appa-

rire marginale perché non direttamente

correlato nella relazione vittima/perse-

cutore, ha una rilevanza enorme sul feno-

meno, tanto da esserne considerato “la

chiave di volta”.6

4. H. Walter, Mobbing: KleinKrieg amArbeitsplatz, Campus, Francoforte e New York,1993.

5. H. Leymann, Mobbing and PsychologicalTerror at Workplace. Violence and Victims,1993.

6. H. Walter, Mobbing: Kleinkrieg am Arbeitsplatz, cit.

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39NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

Se obiettivo del mobbing è distruggere e

annullare lo status sociale di un indivi-

duo facendogli perdere la sua influenza,

il rispetto degli altri, il suo potere deci-

sionale, la fiducia in se stesso, gli amici,

l’entusiasmo nel lavoro, la dignità (Ege

1996), questo non sarebbe ottenibile se

non ci fosse una platea che assiste, per-

cepisce e vive di riflesso testimoniando

quanto sta avvenendo.

Si tratta di un numero molto grande di

persone che, rappresentando tutto l’am-

biente al di fuori dei protagonisti diretti,

possono permettere o meno lo sviluppo

del mobbing.

Vi sono due reazioni possibili degli spet-

tatori: una reazione passiva di “non com-

portamento” o una reazione attiva di soste-

gno al mobber o di sostegno alla vittima.

La prima, anche se appare una strategia

passiva, è di fatto un comportamento

molto significativo che non fa altro che

mantenere le condizioni affinché il mob-

bing si perpetui e si amplifichi. Non esi-

ste un non comportamento.7

Il silenzio,

il far finta di niente, l’apparente indiffe-

renza rappresentano comunque messag-

gi che possono essere interpretati in modo

diverso a seconda dei ruoli coinvolti nella

dinamica perversa (la vittima avrà la con-

ferma del suo isolamento, o di una sua

responsabilità o colpa; il persecutore lo

vedrà come potenziale sostegno).

La reazione attiva, se indirizzata a soste-

gno del mobber, tenderà ad amplificare e

supportare le sue azioni. Se indirizzata a

sostegno della vittima, invece, è l’unico

comportamento che può interrompere

l’involuzione. Tuttavia, per sostenere un

comportamento attivo a favore della vit-

tima, gli spettatori devono avere la moti-

vazione a farlo ed essere nelle condizio-

ni di esercitare un’influenza significati-

va. Per esempio, nell’ipotesi che il mob-

ber sia un capo e gli spettatori dei pari

livello della vittima, questi possono riu-

scire a esercitare un’influenza se si muo-

vono in gruppo, anche piccolo, ma non

come individui. In quest’ultimo caso,

Ci sono poi gli attacchi alle relazioni

sociali con l’isolamento del soggetto, l’in-

terruzione delle comunicazioni con lui;

ci si comporta come se non esistesse, non

gli si parla, c’è il divieto di passargli infor-

mazioni, lo si isola fisicamente ecc. Infi-

ne ci sono gli attacchi allo status sociale

della vittima sparlando alle sue spalle,

ridicolizzandola, sospettandola di essere

malata di mente, prendendola in giro per

l’età, il sesso, la nazionalità, il credo reli-

gioso, la provenienza sociale; si mettono

in dubbio le sue decisioni, gli si rivolgo-

no sempre espressioni umilianti ecc.

Tra le azioni realizzate nella sfera pro-

fessionale troviamo i comportamenti

mirati a ledere la qualità dell’ambito pro-

fessionale della vittima. Per esempio, non

gli si affidano più compiti da svolgere o

gli si affidano compiti senza senso; man-

sioni molto al di sotto della sua qualifica

o molto al di sopra, per indurla in erro-

re; lavori umilianti; gli si controlla il lavo-

ro in modo ossessivo formale e non equo;

la si sposta continuamente di ruolo o

mansione; la si trasferisce continuamen-

te; la si paga di meno ecc.

Sempre legate alla sfera professionale, si

possono identificare azioni mirate a dan-

neggiare la salute della vittima come, per

esempio, l’assegnazione di compiti ina-

datti o dannosi non tenendo conto del

giudizio e delle indicazioni del medico

competente; le si creano danni per svan-

taggiarla, la si minaccia di violenza fisi-

ca, la si sottopone a ritorsioni ecc. La pre-

senza e l’utilizzo di tutte le azioni sopra

elencate non è scontata. Si possono veri-

ficare situazioni in cui si privilegia l’uti-

lizzo di alcune piuttosto che di altre in

relazione al ruolo aziendale del mobber.

Intensità emotiva crescente

Il terzo elemento costante in ogni dina-

mica vessatoria, la crescente intensità

emotiva, rappresenta un termometro del

7. P. Watzlavick, J. Helmick Beavin, Don D. Jackson, La pragmatica della comunicazione, Astrolabio 1971.

infatti, la paura di subire lo stesso tratta-

mento della vittima può orientare a una

reazione passiva.

Riassumendo, sono state delineate tre

posizioni assunte dagli spettatori rispet-

to al mobbing:

Ω sembrano non avere nulla a che fare

con il mobbing, però sono in contatto con

i persecutori;

Ω si rifiutano di accettare qualsiasi

responsabilità nel processo, però si vedo-

no mediatori tra i protagonisti;

Ω dimostrano una grande fiducia in se

stessi, si schierano per una parte o per

l’altra oppure non vogliono assolutamen-

te avere a che fare con nessuna delle due.

C’è da dire che, generalmente, quando il

fenomeno si è incancrenito e cristalliz-

zato nei giochi relazionali tra le persone

e nelle modalità di lavoro, anche le situa-

zioni più perverse appaiono “normali”.

Sebbene i costi più elevati siano solo a

carico della vittima, anche per gli spetta-

tori risulta difficile percepire alternative

o vie di uscita.

Frequenza e ripetitività delle azioni persecutorie

Il secondo elemento che contraddistin-

gue il mobbing è l’uso di azioni persecu-

torie che, pur presentando natura diver-

sa, da un certo punto in poi sono ripeti-

tive, frequenti e stabili.

Tali azioni e comportamenti hanno diver-

sa natura. Si possono concretizzare nella

sfera relazionale emotiva oppure posso-

no realizzarsi nella sfera professionale.

Tra le azioni legate alla sfera relazionale

troviamo gli attacchi alla possibilità di

comunicare della vittima in cui il capo

e/o i colleghi limitano le sue possibilità

di esprimersi, per esempio interrom-

pendola mentre parla, muovendole criti-

che continue sul suo lavoro o sulla sua

vita privata, urlando e rimproverandola

violentemente, negandole l’ascolto ecc.

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40 NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

fenomeno. Più si progredisce, più la tem-

peratura e l’intensità delle tensioni au-

mentano, diventando percepibili da

chiunque si trovi anche transitoriamen-

te in quella situazione lavorativa.

L’intensità emotiva è prioritariamente

visibile e misurabile dall’impatto che la

situazione produce sulla vittima. Dap-

prima, ciò che viene percepito è solo un

fastidio, una non comprensione di ciò

che accade, e un certo smarrimento. Con

l’aumento della frequenza delle azioni

subite e la cronicizzazione dei compor-

tamenti, la persona oggetto di mobbing

inizia a manifestare i primi segnali di

disagio psicosomatico, a manifestare in-

sicurezza e a credere di essere responsa-

bile di ciò che le accade intorno. L’auto-

stima, a questo punto, inizia a essere

annientata. Se a questa situazione l’a-

zienda risponde utilizzando le leve di sua

competenza in merito all’organizzazione

del lavoro, la vittima ha un doppio rinfor-

zo sul suo stato: al vuoto o alla violenza

relazionale si affianca la certificazione

ufficiale e formale dell’organizzazione,

sottolineando così che il problema è del-

l’individuo e non aziendale. È chiaro che

in tale scenario si manifesta un serio

aggravamento della salute psico-fisica

della vittima.

La funzione di rinforzo, consapevole

o inconsapevole, dell’organizzazione

Il quarto e ultimo elemento focalizza l’at-

tenzione sul ruolo e sulla responsabilità

dell’organizzazione.

Per comprendere la natura di tale ele-

mento e il peso che assume all’interno del

mobbing vale la pena di spostare transi-

toriamente e strumentalmente l’attenzio-

ne sulla natura che il mobbing può assu-

mere in funzione di dove si trova il suo

epicentro o “punto di origine” (tabella 1).

In tale logica si può distinguere:8

Ω il mobbing strategico, che corrisponde

a un preciso disegno di esclusione di un

lavoratore da parte dell’azienda, la quale,

con tale azione premeditata e program-

mata, intende realizzare un ridimensio-

namento delle attività di un determinato

lavoratore o il suo allontanamento;

Ω il mobbing emozionale, o relazionale,

strictu sensu, che deriva invece da un’al-

terazione delle relazioni interpersonali

sia di tipo gerarchico sia tra colleghi.

Nel primo caso – il mobbing strategico –

l’innescarsi del fenomeno è direttamen-

te correlato a una decisione dell’azienda

che, per difficoltà nel licenziare, si indi-

rizza deliberatamente verso il mobbing

come possibile soluzione (box 1).

In questo caso il mobber è il soggetto deci-

sore e tutti gli altri diventano strumento

di attuazione del gioco strategico. Nel

mobbing strategico è più facile utilizzare

le azioni legate alla sfera professionale in

quanto di diretta competenza e discre-

zionalità della Gestione del personale e

del top management, per poi utilizzare in

un secondo tempo quelle relazionali.

Appare ridondante sottolineare la fun-

zione di rinforzo dell’organizzazione in

questo tipo di mobbing, in quanto è pro-

prio l’organizzazione stessa lo sponsor

del mobbing. La sponsorship si traduce

in un’attivazione strategica dell’esclusio-

ne, con la richiesta ai manager diretti di

innescare e promuovere il mobbing, e

con l’uso improprio o abuso delle leve di

gestione del personale.

Il mobbing relazionale, forse quello più

conosciuto e più diffuso, nasce da un’al-

terazione delle relazioni interpersonali o

dalla degenerazione dei conflitti. Può svi-

lupparsi in una dimensione verticale

(capo/collaboratore) o in una dimensio-

ne orizzontale (tra colleghi). Pur appar-

tenendo alla stessa classe, le dinamiche

innescate presentano caratteristiche

diverse, riconducibili prevalentemente

alla dimensione del potere o alle leve

disponibili.

Nel mobbing verticale, il mobber, supe-

riore in gerarchia alla vittima, ha la pos-

sibilità di utilizzare, oltre alle leve che agi-

scono sulla sfera relazionale, anche quel-

le “più oggettive” che intervengono nel-

l’ambito professionale, avvalendosi della

discrezionalità legata al suo ruolo. La

dimensione gerarchica, poi, impatta sul-

l’intensità emotiva delle azioni utilizzate

perché sottolinea una situazione oggetti-

va di asimmetria di potere. Il “peso” dei

comportamenti di chi si trova a ricoprire

ruoli di influenza gerarchica è un fattore

che amplifica l’impatto di qualsiasi con-

dotta adottata.

Nel mobbing orizzontale i mobber, col-

leghi e pari grado della vittima, hanno a

disposizione solo le leve legate alla sfera

relazionale. Inoltre, non essendoci diffe-

renza gerarchica e partendo da una situa-

PUNTI DI ORIGINE

NATURA DEL MOBBING

DEL MOBBINGMobbing Mobbing Mobbing

strategico relazionale relazionaleverticale orizzontale

Decisione aziendale Attivazione strategia di esclusione

Alterazioni Abuso di potererelazioni interpersonali e discrezionalità/degenerazione conflitti collegata al ruolo

Alterazioni Isolamento,relazioni interpersonali emarginazione, /degenerazione conflitti coalizione

contro la vittima

Tabella 1 Griglia di interpretazioneorigine/natura del mobbbing

8. Documento di consenso, volume 92, n. 1,La Medicina del Lavoro, Rivista Bimestraledi Medicina del Lavoro e Igiene Industriale,2001.

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42 NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

zione oggettiva di simmetria di potere,

riescono nel gioco persecutorio solo attra-

verso l’utilizzo di comportamenti corali e

diffusi orientati all’esclusione della vitti-

ma dal “branco”.

Nel mobbing relazionale il rischio mag-

giore per l’organizzazione è quello di non

riconoscere il fenomeno, scambiandolo

per una normale conflittualità o una ten-

sione transitoria. Se questo si verifica,

può svilupparsi un paradosso: la vittima

non viene riconosciuta come tale, ma

considerata la causa dei problemi orga-

nizzativi messi in evidenza. I sintomi

manifestati dal soggetto – assenteismo,

malattie frequenti, calo di produttività/

efficienza, demotivazione, errori ecc. –

vengono interpretati come le radici dei

problemi. Tale errore diagnostico porta le

Gestioni del personale a giustificare i

comportamenti di accanimento e a uti-

lizzare leve di per sé non sbagliate, ma

incoerenti in tale scenario.

Intervenire, per esempio, con i controlli,

con il trasferimento continuo di una per-

sona da un ufficio all’altro, con il cambio

Box 1 Il caso della Palazzina Lafda un articolo de “La Repubblica” dell’8 dicembre 2001

UUnnddiiccii iimmppuuttaattii ccoonnddaannnnaattii ((ttrraa ccuuii iill pprreessiiddeennttee ddeellll’’IIllvvaa,, EEmmiilliioo RRiivvaa)) per tentativo di violenza privata;non c’è stata invece frode processuale: questa la sentenza, dopo otto ore di camera di consiglio, emes-sa stasera dal giudice unico del tribunale di Taranto Genantonio Chiarelli. Oggetto del processo iltrasferimento forzato nel ‘97, un chiaro caso di mobbing, di dodici dipendenti del centro siderurgico(più tardi diverranno settanta) in una palazzina inutilizzata e priva di impianti di lavorazione. Un caso,questo della palazzina Laf, è diventato uno dei più citati fra gli studiosi di mobbing. Emilio Riva, pre-sidente del consiglio d’amministrazione dell’Ilva, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento diTaranto, e un caporeparto, Antonio Bon, sono stati condannati a due anni e tre mesi di reclusione. Unaltro caporeparto, Angelo Greco, è stato condannato a due anni. Claudio Riva, figlio di Emilio e ammi-nistratore delegato dell’Ilva, è stato assolto sia dall’accusa di tentativo di violenza privata sia da quel-la di frode processuale; da quest’ultima accusa sono stati assolti anche Emilio Riva, Capogrosso e Greco.Altri sette imputati, tutti capireparto, sono stati condannati a pene minori, a partire da nove mesi direclusione.

LLaa vviicceennddaa ddeellllaa ppaallaazzzziinnaa LLaaff hhaa oorriiggiinnee aallllaa ffiinnee ddeell ‘‘9977 quando l’Ilva decide di “confinare” in quella strut-tura fatiscente dello stabilimento alcune decine di dipendenti. Si tratta in gran parte di lavoratorifra i più sindacalizzati e che soprattutto non avevano voluto accettare la proposta aziendale di lavo-rare con mansioni e qualifiche inferiori a quelle precedenti. Sul piano giudiziario invece l’inchiestaprende avvio il 19 febbraio del ‘98 quando all’allora procura della Repubblica presso la pretura cir-condariale di Taranto giunge una nota del locale ispettorato del lavoro. In quella nota, originata dauna richiesta pervenuta dal ministero del lavoro che doveva predisporre una risposta a un’interroga-zione parlamentare, si parlava di una situazione di estrema conflittualità all’interno dell’Ilva; si face-va riferimento, in particolare, al caso della palazzina Laf da cui poi è scaturita l’ipotesi di reato di ten-tativo di violenza privata ai danni dei lavoratori. L’accusa di frode processuale era nata invece da unaispezione fatta dai magistrati inquirenti, il procuratore aggiunto Franco Sebastio e il sostituto pro-curatore Alessio Coccioli, il 7 novembre del ‘98. A parere dei magistrati, nel periodo compreso fra lanotifica del decreto di ispezione e la sua esecuzione vennero svolti “lavori di aggiustamento” dellapalazzina Laf per renderla più “vivibile” agli occhi dei visitatori. Nel corso della lunga vicenda giudi-ziaria, la stessa struttura è stata anche sottoposta a due sequestri, uno probatorio disposto dai pubbli-ci ministeri e l’altro, preventivo, da parte del GIP del tribunale di Taranto. Dal ‘97, per oltre due anni,i lavoratori “confinati” non hanno svolto alcuna attività lavorativa e per un certo periodo sono statitenuti a casa col pagamento dello stipendio. Poi sono finiti in cassa integrazione, scaduta proprio il30 novembre scorso: in questi giorni una minima parte di loro è rientrata nel ciclo produttivo insie-me ad altre unità che erano in CIGS. Secondo quanto denunciato anche nel corso del processo, unaparte dei 70 lavoratori, a causa di queste vessazioni, ha subito danni psicologici e persino fisici.

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di ruolo o mansioni, con le visite fiscali a

casa durante le malattie ecc. non fa altro

che supportare il gioco del mobber, con-

fermando alla vittima la sua responsabilità

nel processo e la sua solitudine (tabella 2).

La visione d’insieme

L’analisi fin qui svolta ci ha portati a entra-

re nel dettaglio analitico degli elementi

costitutivi del mobbing per comprende-

re le diverse sfaccettature che lo contrad-

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distinguono. Al fine di coglierne com-

plessità e dinamicità occorre recuperare

la visione d’insieme.

Un aiuto ci è fornito dalla diversa e ricca

letteratura che fino ad oggi ha studiato il

fenomeno, cercando di “ordinarlo” indi-

viduandone gli andamenti. Prendendo

spunto dal modello di sviluppo identifi-

cato da Leymann,9

fondatore degli studi

sul mobbing, si individuano quattro fasi

fondamentali (figura 2):

Ω il conflitto mirato con l’individuazio-

ne della vittima;

Ω l’inizio del mobbing e del terrorismo

psicologico con l’utilizzo sistematico e

ripetitivo di azioni volte a distruggere la

vittima, la stigmatizzazione rigida dei

ruoli e l’aumento dell’intensità emotiva;

Ω gli errori e abusi dell’Amministrazio-

ne del personale con l’utilizzo delle leve

legate alla gestione del personale;

Ω l’esclusione dal mondo del lavoro

perpetrata dall’organizzazione (licenzia-

mento, spostamenti continui, prepensio-

namenti, trasferimenti ecc.) o “decisa”

dalla vittima (dimissioni, aspettativa,

lunga malattia, prepensionamento, sui-

cidi ecc.).

In realtà, la caratteristica degli andamenti

che il mobbing può assumere nelle orga-

nizzazioni è determinata dalla non sem-

pre presente linearità nello sviluppo del

fenomeno. In tal senso le diverse fasi non

sono sempre cronologicamente legate,

ma talvolta il processo può saltare da una

fase all’altra o interrompersi prima di

avere chiuso il ciclo.

Per esempio, un andamento sicuramen-

te non lineare è quello legato al mobbing

strategico. In questo caso notiamo come

la struttura logica/cronologica non sia

rappresentativa della dinamica poiché il

punto di origine ha sede nella quarta fase

con la decisione aziendale di “far fuori”

un individuo o un gruppo di lavoratori.

Viceversa, nel mobbing relazionale l’in-

voluzione può facilmente diventare linea-

re, nel senso che da un conflitto mirato

viene identificata la vittima, per poi stig-

matizzare gli schemi di ruolo (mob-

ber/vittima/spettatori), cronicizzare le

azioni persecutorie aumentandone la fre-

quenza, la ripetitività e l’intensità emoti-

va. A questo punto del processo intervie-

ne il rinforzo dell’organizzazione, la

quale, a fronte di una diagnosi errata, ali-

menta il processo portandolo alla sua fase

conclusiva, l’esclusione dal lavoro.

Analizzando l’evoluzione del fenomeno

sopra descritto ci si rende conto che, a

seconda delle interazioni mobber/vit-

tima/organizzazione, la dinamica del

mobbing potrebbe trasformarsi comple-

tamente invertendo o eliminando alcune

ERRORI E ABUSIDELL’AMMINISTRAZIONE

DEL PERSONALE

ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO

CONFLITTO MIRATO

TERRORISMO PSICOLOGICO

Figura 2 Modelli e andamenti tipici del mobbing

9. H. Leymann, “The content and developmentof mobbing at work”, European Journal ofWork and Organizational Psychology, 1995,vol. 5, n. 2.

AZIONI

NATURA DEL MOBBING

DEL MOBBINGMobbing Mobbing Mobbing

strategico relazionale relazionaleverticale orizzontale

Sfera Relazionale

Isolamento, Isolamento,Attacchi alla possibilità limitazioni limitazioni

di comunicare alla possibilità di alla possibilità diesprimersi, rifiuto di esprimersi, rifiuto diogni tipo di contatto ogni tipo di contatto

Attacchi contro Attacchi controla reputazione, la reputazione,

Attacchi alle relazioni critiche continue critiche continuesociali sulle prestazioni, sulle prestazioni,

ridicolizzazioni, ridicolizzazioni,pettegolezzi pettegolezzi

Attacchi alle relazioni Attacchi continuisociali alle opinioni

Sfera lavorativa/organizzativa

Continui cambiamenti Continui cambiamentidi mansioni di mansioni

Attacchi alla qualità Assegnazione di Assegnazione didella situazione compiti dequalificanti compiti dequalificantiprofessionale o umilianti o umilianti

Tentativi di sabotaggio Tentativi di sabotaggioTrappola del fuorigioco Trappola del fuorigioco

Incarico di lavoro nocivo per la salute

MinacceAttacchi alla salute di violenza fisica

Danni fisicisul lavoro

Violenza fisica

Tabella 2 Natura del mobbing e azioni mobbizzanti

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44 NO 5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management

fasi. Potrebbe arrestarsi sul nascere, già in

seconda fase, in seguito a una reazione

immediata e decisa della vittima (abban-

dono del posto di lavoro). O in terza fase,

per merito dell’organizzazione, la quale,

riconoscendo il problema in tempo, riesce

a intervenire in modo adeguato.

La circolarità dello schema presentato in

figura 3, quindi, vuole sottolineare come

l’ascolto di un fenomeno articolato e

camaleontico come quello del mobbing

sia difficilmente “ordinabile” in schemi

rigidi e forzatamente sequenziali. Il

modello di sviluppo può inoltre fornire

una chiave di lettura per aggregarne i vari

elementi costituivi accentuando il diver-

so peso che assumono in ogni fase e for-

nendo un indirizzo sui diversi orienta-

menti che l’evoluzione del fenomeno può

assumere.

Se il modello di sviluppo consente di

inquadrare il processo del mobbing, la

visione d’insieme integrata dei suoi

diversi elementi permette di recuperarne

la dimensione statica che fotografa le

diverse anime del mobbing ed evidenzia

quali possono essere le relazioni più

significative (tabella 3).

Incrociando allora le diverse nature del

mobbing con gli elementi che lo con-

traddistinguono vediamo che:

Ω nel mobbing strategico i mobber

sono i manager, le azioni prioritaria-

mente utilizzate sono quelle che incido-

no sulla sfera professionale, l’azienda for-

nisce un rinforzo consapevole e l’inten-

sità emotiva è come sempre crescente;

Ω nel mobbing relazionale verticale il

mobber è un superiore diretto, le azioni

utilizzate per promuovere il mobbing

appartengono alla sfera sia professiona-

le sia relazionale e l’azienda può assu-

mere un ruolo di rinforzo inconsapevole

non riconoscendo la dinamica in atto;

Ω nel mobbing relazionale orizzontale

i mobber sono i colleghi, le azioni uti-

lizzate sono quelle che incidono sulla

sfera relazionale e l’azienda può fornire

un rinforzo inconsapevole per errori di

diagnosi.

Nel concludere queste pagine, con le

quali si è cercato di fornire le chiavi di let-

tura di un fenomeno poliedrico e intan-

gibile, si vuole ricordare il prossimo

appuntamento di questo percorso di

approfondimento. Sposteremo l’atten-

zione sulla dimensione organizzativa

cercando di proporre griglie di analisi dei

fattori che concorrono a creare le condi-

zioni favorenti il mobbing e, non meno

importante, si cercherà di identificare

quali possono essere gli antidoti di cui

dotarsi.

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CONFLITTOMIRATO

TERRORISMOPSICOLOGICO

ESCLUSIONE DAL LAVORO

ERRORI / ABUSIGESTIONE

DEL PERSONALE

MOBBING

Figura 3 Il modello circolare del mobbing

ELEMENTI COSTITUTIVI

NATURA DEL MOBBING

IL MOBBINGMobbing Mobbing Mobbing

strategico relazionale relazionaleverticale orizzontale

Schemi di ruolo Mobber: Mobber: Mobber: manager superiore diretto colleghi

Frequenza e Azioni legate alla Azioni legate alla Azioni legate allaripetitività azioni sfera professionale professionale e relazionale sfera relazionale

Funzione di rinforzo Consapevole Inconsapevole/consapevole Inconsapevoledell’organizzazione

Intensità emotiva Crescente Crescente Crescente

Tabella 3 Natura del mobbing ed elementi costitutivi

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