Miti d'origine libro - TOMMASO DI DIO · Venne, poi, la chiara successione. L’estate,...

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CENNI BIOGRAFICI

Tommaso Di Dio, nato nel 1982, vive e lavora a Milano.Favole è la sua prima raccolta poetica.

FAVOLE

T R A N S E U R O P A

Tommaso Di Dio

© 2009 PIER VITTORIO E ASSOCIATI, TRANSEUROPA, MASSAWWW.TRANSEUROPAEDIZIONI.IT

Collana di poesia“FUORI COMMERCIO”

Comitato di lettura compostoda Mario Benedetti, Fabio Pusterla,

Francesco Scarabicchi, e coordinato daMassimo Gezzi

Uscite precedenti:1. Meridiano ovest di Gabriel Del Sarto

2. Gli ultimi di Fabrizio Bajec

PREFAZIONE

Un senso di fragilità e di muta, silente attesa percorrele poesie di Tommaso Di Dio raccolte in questa brevesilloge.

Nei 14 testi che formano la raccolta si intravede il di-panarsi della vita vissuta dal giovane poeta ed essa è ini-zialmente introdotta da riferimenti a luoghi e persone chene hanno formato l’ambiente quotidiano per poi megliodefinirsi nel “noi” di un rapporto amoroso privilegiato.

Questo è in sintesi il racconto del libro. Ciò che colpi-sce è come il poeta si ponga rispetto a questo suo conte-nuto e pare evidente che si tratta di un affacciarsi sbigot-tito, perturbato sul mondo: un mondo tremante neltremolio di atti che si compiono “referenzialmente” suuna pagina dove il verso trema altrettanto spaesato.

Oserei dire che l’esperienza non è qui depositata nelverso centripeto di un testo che spicchi sul bianco dellapagina, come accade per un testo compatto, conchiuso,integro; ovvero si ha la sensazione, anche visiva, che ilnero della parte scritta si confonda con il bianco vuotodella pagina stessa. Le parole diventano così ombre enon segni marcatamente incisi, e il tutto risulta ammantatodi dolorosa fragilità e perturbante incertezza, e attesa diun qualche compimento. È sorprendente trovare in unverso una frase come questa: «Natura come carta intera/(…) bugiarda» (quinta poesia, v. 12). Di Dio dimostra estre-ma consapevolezza del suo fare e qui mi sembra illuminila lettura che sto conducendo.

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Nella sua poesia ci troviamo immersi in una situazio-ne di vita vissuta visceralmente, ma visceralmente in unsenso letterale: il mondo dei nudi corpi, e il loro essereoccupati dall’incontro vicendevole comporta un punto didomanda sul senso dell’accadimento, di quel fare o farneesperienza che non ha risposta e che per così dire li“letteralizza”. È, per esemplificare, quel cercare vanamen-te sul corpo segni di ferite («Infine si disse che//sul suocorpo cercassero invano e non trovarono/segno di feri-ta», vv. 10-12 del testo Favola, il nono della sequenza ri-portata) che “marchino”, segnino davvero l’esperienza,riescano a situarla, ad inverarla.

Dunque, senso di fragilità e di attesa, come in un’espe-rienza alterata della realtà, una sorta di fecondaderealizzazione. Sembra di dover fare i conti con unostare prima del mondo all’interno di una realtà comun-que connotata: per esempio, e parafrasando le parole diDi Dio, in quel sorriso trattenuto prima della sua forma,prima del contorno che lo sagomi, provocato da un even-tuale dolore, che troviamo nei versi del secondo testo(«Quella volta che hai trattenuto il sorriso/per un tempolungo, come un colore./Quella volta che lo hai tenuto nelviso/prima della forma, prima del dolore/che ne sagomail contorno», vv. 1-5), oppure in quel «ti viene/una grandevoglia di una cosa senza nome» che troviamo nel terzo, aivv. 9-10.

La breve silloge porta il titolo di Favole: favola di unavita incerta, non sicura, si potrebbe aggiungere, della pro-pria identità, ma appunto per questo esposta al rischiodell’arte, al rischio “estetico”, con sincerità e maestria. E“favola”, in questo senso, è il ricorso a qualche citazionedel poeta tedesco Paul Celan, come proposizione di una

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vita incompiuta e che si offre a un al di là ignoto, espe-rienza vorrei dire non decidibile, o anche il verso di GiosueCarducci, posto al termine della raccolta, tratto dalla po-esia Jaufré Rudel (qui l’amore “da lontano”, di provenzaleesito e memoria): elementi che ispessiscono di rimandicolti e angosciosi la scrittura poetica di Tommaso Di Dio.

Mario Benedetti

FAVOLE

Inizio ora a pensare quanti anni ho.I vent’anni presi come un graffiodentro la casa, la scala va verso l’altoinfinitamente. Qui si partoriscedalla faccia della gente, tronchi, sassicome crani, alghe; mentre una montagnaci sovrasta. A vent’anni lo sguardo è nei chilometriin alto, dove tutto è sostanza vivadei boschi. Dormono nella casa, sono tutti silenziosi.Ma al mattino si disse chemorte non avrà su questo spazio né parola.

I.

favola

Quella volta che hai trattenuto il sorrisoper un tempo lungo, come un colore.Quella volta che lo hai tenuto nel visoprima della forma, prima del doloreche ne sagoma il contorno.

Ci sono i parchi, le stagioni. Oggi sono due giorniche piove a dirotto. La terra fuori deve essere fradiciadi cielo e ad ogni passo dovresti sentire un rumore.L’intrusione delle nuvole. La sagoma del sorriso.Cielo e viso sono sentieri.

II.

E di questa sera possiamo ricordareun canto rotto per l’altezza e i piedi pesantisul pavimento, sopra la testa, sopra tutto. Questa cosa vivanella pancia da qualche parte nel mondouna femmina produce l’urlo apertoa prendere ogni elemento fra cielo e terra.E poi lo scotch sugli angolidei tavoli e tra le bracciati vieneuna grande voglia di una cosa senza nome.

III.

Il corpo atteso al giudiziodelle ultime labbra. La foce delle nuvole,l’armistizio sereno del vento dove le manistringono la finestra e chiudono per sempreil fuori dal di dentro. Ripetere questa nebbiache batte all’impazzata contro i marginidegli abbracci e dei palazzi. Cercare la chiave giusta.L’accordo di tutto il pianto dei portoni.Venne, poi, la chiara successione. L’estate,l’autunno, l’inverno; aspettare la crescitadei fiori da quel fiato scarno e colori livididei prati macchiati di neve. Ogni seme.Ogni testa. Nella terra sono gonfi per la gioiadi una strana festa.

IV.

V.

Ora nel tuo volto la carta intera,logora di tutti i giorni; quando bellezza viveva e morivacome adesso fanno i fiori. I bastardi segni e l’audaciadel piacere non erano ancora nati sulla tua faccia vivente.Né le trecce dorate dei morti, la loro giustiziarecisa aveva preso a vivere una seconda vitasulla testa che vedi. Nessuno era ancora felicenella bella pelle dei morti. In te, queste sante oreantiche vivevano senza ornamento e veramentenon cresceva l’estate dal verde altrui rubandovecchi stracci alla bellezza nuova del paesaggio.Natura raccoglie. Natura come carta interain te mostra l’arte bugiarda e la memoria orasola di ogni bellezza.

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VI.

La macchia scura di foglie, sotto gli alberi del bosco.Lì dove sono più larghe e fanno un vuoto intornoè stata formata da due corpi stesi nella notte.La vediamo di giorno, noi. Ma la terra nuda riveladove si fermarono nel tragitto.

VII.

Fare l’amore fino a fare i figli. Addentrarsinella genuflessione. Dire prendo questo corposenza limiti; a furia di reni sfondareil fondo cupo dei preservativi. La neve poiche immerge ogni cosa. Palazzi, strade, ogni voltooltre i fiumi immemorabili della storia.Oggi volevo fare l’amore con te. Oggi volevosbranare la paura di essere solo duecorpi finiti.

VIII.

Entrare. Nel petto. Nei chilometri.La faccia muta come una terra. Questo cielo alloradi schiena attaccato durante il sonnosenza tempo, per ore. Fare l’amore senza il minimo sospettoche vento, carezze, maremoti delle braccia incredibilifanno l’opera, tengonoaperti i visi degli amanti, aperti al crollo degli annitutti gli istanti. Ti prego, tieni a mente tuil paesaggio scavato di strade, questo volto grande.

Fu trovato sangue sulle zolle; si disse chetracce della bestia ferita nei boschisono fra le case, addosso all’odore della pelle

fin dal mattino; quando l’uomo la donna le manitastano i bordi del letto e il corpo che haicreduto nella notte animaleè solo matrice eletta degli occhi, adessoè cosa scacciata vivadalla terra e dal male. Infine si disse che

sul suo corpo cercassero invano e non trovaronosegno di ferita.

IX.

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X.

Prendi quest’ombra. Poi alza il nudodelle braccia e taci. In un contorno di labbratutto ci avvicina. Senza tregua, lungo i tronchiprenderci come corpiammassati ovunque prossimie orizzonti.

A volte mi sveglio solo; e nella bocca della golaqualcosa vive.

XI.

Tu puoi estenderele labbra del viso, fino all’isoladolce nella pancia. Dove la manoindifesa come la città,gli alberi, la sera. Vieni a chiedere ventoper le strade e cadendo migliaiadi millimetri in una foglia. In ogni momentotu puoi estenderequesta faccia di dosso; le bocche sono contronell’atto del bacio.

XII.

La stanza ora è piena di vento, la primaveraporta i suoi segni aprendo e dandosenso alle tue mani; ci sono foglie sui rami quante il ventopuò contarne addosso, oltre i vestiti. Questa porta è aperta, e poiamarti nuda, prendere da tela carne mossa al portentodei fiori. Credere che questa stanza sia una fra i chilometricon gli alberi esplosi dentrola presenza. Nuda tu dicifa come stare senza esempio. Labbra mai viste prima.

XIII.

In via c’era la grotta con la madonna.E i fiori vuotifra le dita delle grate.E c’erano le puttane, il ventodegli alberi nei vetri; le case

c’è un limite, una parete.

Nella faccia è ora più sottile seti guardo mentre nell’amaretu godi.

XIV.

Gli operai fuori di casa miascavano. Hanno le tute arancio e sono tantiintorno alla buca. Di giorno tumi dici che mancano i colori, che bisogna fareridere la gente. Loro scavano. La buca è grande quantopossa bastare all’intubazionedei cavi e dei condotti nella terra. Prendi le cose tule metti alle labbra perché possapassare una forma di calore. Hanno le macchine, si muovonointorno alla buca. Prendi questa cosadura che germina sulla mia bocca, prendila. Loroscavano. Apri la bocca tua e la linguacancelli ogni nome. Rimanga questo di noisegno muto. Amore. Che scavano.

favola

NOTE

La favola V, più che una traduzione, è il viraggio di unsonetto di Shakespeare (Thus in his cheek the map of thedays outworn).

La favola XIV ha come origine l’incipit di un testo di PaulCelan: Es war Erde in ihnen, und/sie gruben (Die Nieman-drose).

FINITO DI STAMPARE NEL GIUGNO 2009