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MISTICA E PROFEZIA NEL QUOTIDIANO BOLLETTINO UISG N. 147, 2011 PREFAZIONE 2 “DEMISTIFICARE” LA MISTICA E LA PROFEZIA 4 IL CRISTIANO DEL FUTURO O SARÀ UN MISTICO O NON ESISTERÀ AFFATTO (KARL RAHNER) Sr. Janet Malone, CND REINVENTARE L’ARTE DI VIVERE INSIEME 12 Sr. Josune Arregui, CCV DALL’OSPITALITÀ ALLA VISITAZIONE: 24 VIVERE L’INCONTRO CON LA DIVERSITÀ P. Bernard Ugeux, M.Afr. IL RUOLO DELLA SPIRITUALITÀ 30 NELLA CURA DELL'AMBIENTE Fr. Eduardo Agosta Scarel, O. Carm. IL MODO IN CUI LA SACRA SCRITTURA 39 FORMA E MODELLA LA VITA RELIGIOSA UN CONTRIBUTO ANGLICANO Sr Avis Mary, SLG L’AMORE DI DIO NELLA COMUNIONE 52 CON IL CRISTO CROCIFISSO S. E. Mons. João Braz de Aviz VITA DELLA UISG 55

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MISTICA E PROFEZIA

NEL QUOTIDIANO

BOLLETTINO UISG N. 147, 2011

PREFAZIONE 2

“DEMISTIFICARE” LA MISTICA E LA PROFEZIA 4IL CRISTIANO DEL FUTURO O SARÀ UN MISTICOO NON ESISTERÀ AFFATTO (KARL RAHNER)

Sr. Janet Malone, CND

REINVENTARE L’ARTE DI VIVERE INSIEME 12

Sr. Josune Arregui, CCV

DALL’OSPITALITÀ ALLA VISITAZIONE: 24VIVERE L’INCONTRO CON LA DIVERSITÀ

P. Bernard Ugeux, M.Afr.

IL RUOLO DELLA SPIRITUALITÀ 30NELLA CURA DELL'AMBIENTE

Fr. Eduardo Agosta Scarel, O. Carm.

IL MODO IN CUI LA SACRA SCRITTURA 39FORMA E MODELLA LA VITA RELIGIOSAUN CONTRIBUTO ANGLICANO

Sr Avis Mary, SLG

L’AMORE DI DIO NELLA COMUNIONE 52CON IL CRISTO CROCIFISSO

S. E. Mons. João Braz de Aviz

VITA DELLA UISG 55

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PREFAZIONE

Originale in spagnolo

2011, alcuni articoli che possono aiutarci a mantenere vivo lo spirito dell’AssembleaPlenaria del 2010.

Sr. Janet Malone ci propone alcuni percorsi per ricreare oggi la tradizionemistico-profetica nella vita concreta: il silenzio che smaschera quel ‘falso io’ checerca di prendere il posto di Dio in noi e imparare a vivere il momento presentecon gratitudine. Ma, per esercitare la profezia, dobbiamo prima attraversare ildeserto, come Giovanni Battista e ripercorrere, ogni giorno, questi sentieri.

La vita fraterna si presenta come il vero punto di unione tra la mistica e laprofezia e come la verifica di entrambe. Sr. Josune Arregui ci offre alcune pistedi riflessione per “Reinventare l’arte di vivere insieme”, un impegno quotidianoche, coloro che sono chiamati a questo stile comunitario di sequela, non devonomai trascurare. Si tratta di un’impresa difficile, ma essa costituisce la nostra sfidae si traduce quotidianamente in uno stile di vita fraterna caratterizzatodall’accoglienza, dalla corresponsabilità, dal dialogo e dalla missione comune. Édifficile, ma non impossibile ed è un grande dono.

“Dall’ospitalità alla visitazione: vivere l’incontro con la diversità” èil contributo del Padre Bianco Bernard Ugeux. L’articolo approfondisce il temadell’accoglienza della diversità, con particolare riferimento al dialogo interreligioso.La vera accoglienza significa creare un posto per l’altro nel proprio spaziointeriore. In questo modo l’ospitalità può essere vissuta come un autenticocammino spirituale. Abramo, Maria nella Visitazione e i martiri di Thibirine sonoicone significative del dialogo interreligioso e comunitario.

L’impegno ecologico scaturisce da una spiritualità, ci dice il carmelitanoEduardo Agosta, dato che la crisi ecologica è profondamente connessa alla crisidi fede. Il desiderio umano, sempre illimitato, è la base del consumismo che, a suavolta, provoca la crisi ecologica. Il dramma di un mondo senza Dio è spingere lecreature a riempire quello spazio che solo Dio può colmare. Per questo, il

a convinzione della necessità di una vita religiosa mistico-profetica chesia significativa nel mondo di oggi e il desiderio sincero di progredire inquesto cammino, ci portano ad offrire, in quest’ultimo numero dell’anno

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cammino che propone San Giovanni della Croce mira a purificare questo desiderioattraverso le notti e a riconoscere nelle creature il passaggio di Dio che le rivestedella sua bellezza.

Publichiamo, inoltre, la conferenza che una religiosa anglicana, Sr. AvisMary, SLG, ha offerto quest’anno in occasione del Congresso Interreligioso(CIR) svoltosi a Triefenstein (Germania) su “Il modo in cui la Sacra Scritturaforma e modella la Vita Religiosa” e che mette in evidenza la forza di questonucleo comune che unisce tutti i cristiani e i religiosi. A partire dalla tradizioneanglicana, presenta il silenzio come la porta d’ingresso per incontrare la Paroladi Dio, sia nello studio che nella liturgia o tramite la Lectio Divina.

In questo numero diamo inizio ad uno spazio dedicato alle Testimonianzedi vita. Don Joâo Braz de Aviz, il nuovo Prefetto del Dicastero per la VitaConsacrata racconta una sua particolare esperienza personale che ha generatouna splendida testimonianza ecclesiale.

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“DEMISTIFICARE” LA MISTICA E LA

PROFEZIAIL CRISTIANO DEL FUTURO O SARÀ UNMISTICO O NON ESISTERÀ AFFATTO(KARL RAHNER)

Sr. Janet Malone, CND

Sr. Janet Malone è membro della Congregazione di Notre Dame (CND). Haconseguito vari dottorati in Sviluppo dell’Organizzazione e in PsicologiaPastorale. Poetessa, scrittrice, autrice, Janet ha recentemente scritto un librosulla trasformazione non violenta dei conflitti personali e interpersonali e dellarabbia. Ha guidato vari gruppi in leadership di congregazioni religiose e animaritiri spirituali e workshop sui diversi aspetti del cambiamento della vitaconsacrata di fronte ai segni dei tempi.

Originale in inglese

scelto dalle stesse partecipanti all’assemblea, è stato oggetto di discussione, diriflessione, di analisi e di ascolto. Uno dei relatori, P. Ciro Garcia, OCD, citando gliscritti del mistico carmelitano spagnolo, Giovanni della Croce, ha affermato: “Non c’èfuturo per la vita religiosa, senza mistica e profezia”, ed ha aggiunto: “Oggi siamochiamati a ricreare la tradizione mistico-profetica dei nostri fondatori “.

Come possiamo ricreare e rivivificare la tradizione mistico-profetica? Vorreiindicare che, in questo XXI secolo, in cui gli attuali modelli di vita religiosa stannocambiando, mentre nuovi modelli che mostrino chiaramente questa tradizione mistico-profetica non sono ancora evidenti, i religiosi sono chiamati ad incarnare nel quotidianogli aspetti concreti di uno stile di vita mistico e profetico. Solo se ognuno di noi si lasciapermeare sempre più da questi due valori, le nostre congregazioni saranno, poi, in gradodi trasmetterli. Una cosa è dire che la vita religiosa è una forma di vita profetica ma, sele nostre congregazioni non sono realmente mistiche e profetiche, corriamo il rischiodi perdere gli aspetti integranti di questa liminalità. Recentemente, mentre lavoravo con

l duplice tema dell’assemblea che ha riunito circa 800 leaders di congregazioniappartenenti all’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG) e svoltasia Roma dal 7 all’11 maggio 2010, è stato ‘Mistica e Profezia’. Il tema, felicemente

Contesto

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alcune religiose, abbiamo fatto riferimento al tema della conferenza UISG del maggio2010. Una persona, esprimendo la frustrazione di molti membri del gruppo, ha detto:“Per favore, potresti demistificare la mistica (e la profezia)”? Questo articolo è untentativo di demistificare questi valori nella nostra vita.

Viaggio nel deserto della Mistica

La Mistica è un’esperienza di Dio che si svolge senza parole, nomi,concetti, o persino senza alcuna conoscenza (Albert Nolan).

Sia che parliamo della tradizione mistico-profetica nel suo complesso o esaminiamoseparatamente queste due dimensioni, voglio suggerire che vi è una continuità nel suosviluppo. Credo che qualsiasi atteggiamento profetico si fondi sempre su una vitafortemente contemplativa e mistica in cui l’individuo e/o la congregazione denuncia leingiustizie a partire da uno spazio sacro interiore, dove Dio dimora, un luogo che è statoliberato dal falso io e che è fortemente permeato di amore di Dio, di compassione e digiustizia. Questo atteggiamento contemplativo e mistico è un viaggio interiore, unapotatura che un tempo era chiamata purificazione, l’eliminazione di tutto quanto ciimpedisce di concentrarci solo su Dio, nella illuminazione e, quindi, nell’unione.

La mistica è una disciplina quotidiana, una pratica quotidiana, un viaggio permanentedell’anima nella desolazione del deserto. In esso, passiamo gradualmente dalla nostrapreghiera ‘catafatica’, discorsiva, piena di immagini, parole, consolazioni, a quellapreghiera definita ‘apofatica’, in cui ci lasciamo andare e lasciamo Dio nel silenzio, nelvuoto, nel buio, nel nulla. Attraverso quella preghiera quotidiana del silenzio in Dio,impariamo a distaccarci dalle nostre idee, reputazione, educazione, salute, competenze.Questo è il viaggio nel deserto verso la mistica. Si tratta di un viaggio nella quiete e nellasemplicità, come indicato in “Fermatevi e sappiate che io sono Dio” (Salmo 46, 11).

Fasi della Mistica

Noi tutti abbiamo viaggiato, perciò tutti sappiamo cosa è l’ignoto, l’imprevisto,l’inaspettato che possono sorgere in un viaggio. Tuttavia, il viaggio nel deserto perdiventare un mistico e un profeta è un viaggio completamente diverso, un pellegrinaggiomolto pericoloso perché non abbiamo mappe, non abbiamo GPS, (sistemi diposizionamento globale), non abbiamo indicazioni per il viaggio e, soprattutto, nonabbiamo alcun controllo su di esso. Questo viaggio nel deserto di uno spazio sacrointeriore “ci invita a paesaggi inesplorati di una geografia interiore in cui il nostro “io”più profondo si unisce a ciò che sperimentiamo come il totalmente Altro” (AnnemarieS. Kidder, La forza della solitudine, NY, Crossroad, 2007, 59).

A cosa possiamo paragonare questo viaggio nel deserto? Sono stati definiti alcunistadi (costrutti concettuali) per aiutarci a visualizzare il nostro viaggio attraverso ilvuoto del deserto “esteriore” per raggiungere ... il vuoto “interiore” (Ruth Haley Barton,Invito al silenzio ed alla solitudine, Intervarsity Press, 2004, 90). Questi stadi, come

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sottolineato da diversi autori, tra cui Jean Shinoda Bolen (Attraversare Avalon, Harper,San Francisco, 1995) e da Ewert Cousins (Il Cristo del XXI secolo, Element, 1992),sono sempre simili:

1) la chiamata a lasciare il conosciuto, il familiare, il comodo e a trasferirsi nellasolitudine del deserto;

2) la lotta e la sfida del kenotico, che consiste nello spogliarsi del falso io nel vuotoassoluto e fecondo del deserto dell’anima;

3) la trasformazione metanoica nella mistica, a mano a mano che questa spogliazioneelimina tutto ciò che non viene da Dio;

4) infine, il ritorno e l'annuncio del Nuovo Regno di giustizia e di compassione(profezia). Kerry Walters esplora questo viaggio nel suo libro, La solitudinedell’anima: una spiritualità del deserto, (NY, Paulist Press, 2001, 10), aggiungendoche “... la trasformazione solitaria lo ha reso un profeta, un inviato di Dio ... e lui/lei torna nel mondo di tutti i giorni ... per condividere ....”

La Kenosi

La nostra anima cresce per sottrazione, non per addizione (MeisterEckhart)

Se osserviamo queste fasi della mistica e della profezia nella nostra vita, avvertiamonello spazio deserto dei nostri cuori una forte chiamata a lasciar andare ciò che ci èfamiliare, ciò che abbiamo appreso e che ci rende “buoni e santi religiosi” e a dirigerciverso l’ignoto. Le nostre tante preghiere discorsive e i vari riti devozionali possono farcisentire di avere il controllo della nostra vita, fanno di noi il Centro del nostro esserepiuttosto che la Sophia di Dio. Nel viaggio verso la mistica siamo chiamati al silenzioe all’ascolto per poter sentire il silenzio ineffabile di Dio che ci parla quando, come percaso, “passa” in quello spazio sacro del nostro cuore. Come un tempo Elia, apprendiamonel deserto che Dio non è nel furore del vento, nel terremoto, nel fuoco, ma nel “suonodi un sottile silenzio” (I Re 19, 1-19). Elia ha dovuto imparare che il suo essere “pienodi zelo per il Signore” (profezia) doveva prima essere trasformato nel silenzio, nellaquiete e nella solitudine del deserto. Quando lasciamo andare le nostre forme dicontrollo, provenienti dal nostro falso io, anche in campo religioso, allora e solo allora,Dio userà la nostra capacità profetica di denuncia, rinuncia e annuncio.

Metanoia

E il deserto fu concepito come un luogo di morte, il luogo dove unomuore al falso io .... (Annemarie S. Kidder)

A questo punto, ci si potrebbe scoraggiare circa la possibilità di diventare mistici,ma dobbiamo ricordare che “siamo tutti mistici nel nostro cuore, perché il seme di Dioè dentro di noi” (Frank Tuoti, Perché non essere un mistico? Crossroad, 1996, 21).

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Tuttavia, quando desideriamo seriamente entrare in noi stessi, nelle profondità dellospazio deserto del nostro essere, a poco a poco, lasciamo andare tutto ciò che non èDio, tutto ciò che non è il nostro vero io, per lasciare solo il seme di Dio in noi.

In questo cammino di spogliazione dal falso io ho trovato molto illuminante econsolante il capire meglio in che modo questo falso io diventa così “radicato” in noi.Il nostro falso io nasce come una difesa dalle ferite, dai rifiuti, dalle paure che abbiamosperimentato da bambini, in un tempo in cui non avevamo alcuna consapevolezzadell’esistenza di un io più autentico. In altre parole, nel corso del tempo, i nostrimeccanismi di difesa si sono radicati diventando la nostra maschera, il nostropersonaggio, il nostro falso io. Tuttavia, quando diventiamo più consapevoli della nostrainnata bontà e amabilità sepolte sotto il falso io, attraverso le nostre pratiche spiritualiquotidiane di deserto e di silenzio, solitudine, contemplazione, lectio divina, siamo ingrado di “mettere a fuoco il falso io che ha preso il posto di Dio in noi, per ... lasciareche lo Spirito di Dio entri in noi ed operi la sua trasformazione” (Annemarie Kidder,2007, 133). A poco a poco, siamo spogliati del nostro falso io, fatto di ambizioni, didesiderio di essere riconosciuti, di essere lodati, di essere il numero uno.

La meraviglia e lo stupore del MOMENTO PRESENTE (ADESSO)

Il mistico rimane stupito di fronte al mistero dell’amore di Dio (AlbertNolan)

Prendiamo consapevolezza del nostro progredire sempre più profondamente nellamistica, a mano a mano che il nostro vero io, fatto ad immagine e somiglianza di Dio,ci trasforma per vivere realmente solo il momento presente, l’ADESSO, della nostravita. Siamo grati per questo ADESSO, accogliamo con stupore e meraviglia l’unità diogni cosa, di noi stessi, Dio e il cosmo, in un mistero di comunione e di interdipendenza.Ci sentiamo grati anche se non comprendiamo pienamente questo Mistero. Vivere la vitamistica attraverso il viaggio nel deserto dell’abbandono del nostro falso io, del giàconosciuto per dirigerci verso la kenosis e la metanoia del nostro vero io in Dio èun’esperienza misteriosa di santità. L’illuminazione in questo Mistero viene dopo il buioe il vuoto della spogliazione purificativa della kenosi. Sempre più ci rendiamo conto diquel senso vero di unità, di comunione con tutti e per tutti. Molte di queste esperienzeunitive sono ineffabili, vanno oltre le parole e le spiegazioni, solo le lacrime spessoesprimono la realtà di tale mistero.

Dirigersi verso l’ignoto della trasformazione e vivere l’adesso e lo stupore dellamistica richiedono sia la disciplina che la pratica. Uno dei grandi doni che riceviamo dalvivere il silenzio e la solitudine del deserto nella nostra vita quotidiana è che, a poco apoco, siamo capaci di lasciar andare molti dei nostri attaccamenti costruiti durante lanostra vita e possiamo sperimentare un senso di gratitudine “adesso” per ciò che esiste,qui in questo momento, qualunque cosa sia. Il nostro ritmo desertico giornaliero dellacontemplazione, della lettura, della riflessione (lectio divina) indebolisce le difese delnostro Io e sempre più ci rendiamo conto che “il nostro bisogno di un senso di

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realizzazione, di fare bene, il nostro desiderio segreto di riconoscimento e di approvazionesono tutti radicati nel falso io” (Frank Tuoti, Perché non essere un mistico?NY, Crossroad, 1996, 39).

Tramite questa kenosi e metanoia, questa disciplina e pratica quotidiana delsilenzio ricettivo, la nostra preghiera diventa sempre più una preghiera del cuore, unapreghiera della non-conoscenza, come Meister Eckhart spiega in La nube della nonconoscenza, Thomas Keating, in Centrati nella preghiera e John Main, in MeditazioneCristiana. La preghiera diventa una conoscenza della non-conoscenza. Per diventarerealmente mistici, è necessario questo ‘lasciar andare’, “una sorta di non conoscenzao di oscurità. Eppure è una realtà, una vera e propria forma di coscienza, legata allostupore e alla meraviglia (Albert Nolan, Gesù oggi, NY, Orbis, 2006, 124).

Modelli di Mistica e di Profezia

Il profeta è colui che denuncia in maniera critica le ingiustizie delproprio tempo (Albert Nolan)

Sia Giovanni Battista che Gesù sono andati nel deserto del misticismo, prima diritornare (l’ultima fase del viaggio nel deserto) come profeti per predicare la giustiziae la compassione per tutti. Gesù ha lottato contro le tentazioni profondamente seducentidel potere, della popolarità e del possesso, come descritto in Luca 4,1-13, simili alletentazioni del nostro falso io.

Ci sono familiari i loro viaggi nel deserto. Qui, mi concentrerò su Giovanni ilBattista e sul suo ruolo profetico al tempo di Gesù. Prima di tutto, in Luca 1, 57-80,leggiamo della nascita di Giovanni e di suo padre che annuncia la sua vocazioneprofetica: “E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzial Signore a preparargli le strade ...” (v.76). Tale chiamata profetica è solo l’aspettoiniziale di questa vocazione, perché parte essenziale del suo compimento è la rispostadella persona. Poi abbiamo letto quale è stata la risposta di Giovanni. “Il bambinocresceva e si fortificava nello spirito, e visse in regioni deserte fino al giorno della suamanifestazione a Israele” (v. 80). Giovanni è un modello per noi religiosi sia dellachiamata alla mistica che alla profezia. Nella sua vita, egli ci ha mostrato, le loro“sequenze” ricorrenti e la loro interconnessione. Nel deserto del silenzio, dellasolitudine, della quiete e della semplicità, Giovanni imparò quotidianamente che cosa èla mistica; egli imparò anche a riconoscere i segni del tempo che lo spingevano a parlareapertamente. Noi non conosciamo i dettagli della sua esperienza di deserto, maconosciamo i risultati di tale esperienza. Giovanni ha incarnato per noi i requisitiprofetici di una vita di preghiera profonda, di libertà da qualsiasi attaccamento che puòimpedire l’unione profonda con Dio e la necessaria coerenza tra la sua vita e il suomessaggio. “Dai loro frutti li riconoscerete” (Galati 5).

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Ritorno

Quando tornò dal deserto, come un coraggioso mistico e profeta,inequivocabilmente, Giovanni divenne la “voce di uno che grida nel deserto: Preparatela via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! … i passi tortuosi siano diritti; i luoghiimpervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! … Razza di vipere … fate dunqueopere come segno della vostra conversione” (Luca 3, 4-7). Giovanni non usava mezzitermini, il suo messaggio era incisivo e chiaro! Nessuno di noi sarà profetico comeGiovanni, ma siamo ancora chiamati ad essere profeti in questo nostro tempo, leggendoi segni dei tempi e riconoscendo che dobbiamo approfondire la nostra dimensionemistica come una preparazione necessaria per poter denunciare profeticamente ciò chevediamo come ingiusto o bisognoso di cambiamento nelle nostre congregazioni. Sesappiamo leggere i segni dei tempi, saremo poi capaci di annunciare in che modo siamochiamati a rispondere alle urgenze di un dato momento. Essere profeti significa che Dioparla dentro di noi e attraverso di noi, ‘adesso’, nei segni dei tempi. Kerry Waltersanalizza questo viaggio, osservando, “... la trasformazione solitaria lo ha confermatoprofeta, un inviato di Dio ... e lui/lei torna nel mondo di tutti i giorni ... percondividere ....”. Walters aggiunge: “Il mistico è anche un profeta e il compito delprofeta è quello di ritornare” (NY, Paulist Press, 2001, 10; 21).

In queste riflessioni, voglio sottolineare che, prima di diventare profeti, bisognaaffrontare il viaggio nella solitudine del deserto, la spiritualità del deserto, latrasformazione in mistici. Il viaggio fisico nel deserto può essere un viaggio cheintraprendiamo in certi momenti della nostra vita, per periodi di tempo di diversa durata,andando in un eremo, in una poustinia. Ma può anche essere una metafora altamentesignificativa del pellegrinaggio quotidiano di kenosi e di metanoia dell’anima,fondamentale per assumere la missione di profeta. Come abbiamo visto prima, lavocazione profetica di denuncia, di rinuncia e di annuncio viene dal deserto interiore delvero io mistico, in cui Dio ci chiede di rinunciare a tutto ciò che è parte dell’io. Soloallora, possiamo denunciare ciò che è ingiusto, sleale, egoista, cattivo, per annunciarela necessità di giuste relazioni di tutti con tutti. È di importanza fondamentale cheognuno di noi, religiose e religiosi, si renda conto che la chiamata alla mistica ed allaprofezia è per tutti. Anche se può sembrare strano, nello stesso tempo, c’è qualcosa diordinario in questo viaggio. Si tratta dei viaggi quotidiani che ognuno di noi intraprendenella nostra vita ordinaria per rispondere a questa chiamata, affrontando la lotta deldeserto della kenosi e della metanoia e ritornando per condividere il modo in cui siamostati chiamati. La vera sfida è la nostra fedeltà quotidiana a entrare nel silenzio e nelvuoto dello spazio deserto nel profondo della nostra anima e rimanere semplicementedavanti e con il nostro Dio fedele che è sempre presente in quel Nada apofatico.

Paura e coraggio

Come sappiamo, il profeta sarà ignorato, emarginato, rifiutato ogniqualvoltadenuncerà l’abitudine allo status quo nelle congregazioni, nella politica, nella società.

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Per poter sopportare tale rifiuto e non mollare, il nostro unico sostegno è una interioritàfortemente mistica. Essere un profeta non significa, per nessuno di noi, andare in cercadi popolarità o di accoglienza; ma il profeta deve mostrare che, attraverso la suaspiritualità mistica del deserto, le ferite e l’arroganza del falso io sono trasformati. Ilprofeta deve essere un mistico. In quale altro modo potrebbe continuare a rimanerefermo e tranquillo in mezzo a tali sfide, facendo appello continuamente alla nonviolenzae all’equanimità, quando aumentano l’emarginazione e il rifiuto?

Poiché tutti noi siamo umani, abbiamo paura di non essere amati, apprezzati,accettati, compresi, se denunciamo ciò che è ingiusto. Joan Chittister lo spiega bene:“Se non seguo passivamente le linea politica ... potrò avere un ruolo nel sistema, unposto al tavolo ...?” E avverte che dobbiamo andare nel profondo di noi stessi per avereil coraggio di essere profetici, e aggiunge: “Che cosa sono disposto a perdere per averela pace della mente, l’integrità dell’anima?” (Intimoriti dalla lotta, trasformati dallasperanza. Grand Rapids, MI: Eerdman Publishing, 2003, 45).

Riepilogo

La vita consacrata come stile di vita è considerata parte della tradizione mistico-profetica. Questo è stato sottolineato nei recenti incontri della UISG a Roma, nel maggio2010. Le categorie della mistica e della profezia sono viste da molti di noi religiosi comequalcosa di esoterico e destinate solo ad una piccola élite. Tuttavia, nelle nostreriflessioni in questa sede, ho cercato di analizzare alcuni aspetti del vivere sia la misticache la profezia, personalmente e come congregazione. Queste vocazioni devono esserecoltivate e favorite. Tali chiamate non sono per i deboli di cuore né per quelli che sitrovano a proprio agio con lo status quo dell’accettazione e della sicurezza nella vitareligiosa.

Ci troviamo ad un punto critico nel ciclo di vita della maggior parte dei modelliattuali di vita religiosa. All’inizio di queste riflessioni, ho citato le parole del carmelitanospagnolo all’incontro della UISG, “Non c’è futuro per la vita religiosa, senza misticae profezia”, e “Oggi, siamo chiamati a ricreare la tradizione mistico-profetica dei nostrifondatori”. Sono fermamente convinta che la vita religiosa esisterà sempre, ma i modelliattuali stanno morendo anche nei piccoli gruppi neo-tradizionali che emergono qua e là.Il nostro contributo quotidiano a questo futuro ignoto nella vita religiosa è il nostrocammino quotidiano nel deserto verso la mistica e il nostro continuo ritorno profeticoper annunciare la Buona Novella. Alcuni affermano che è finito il tempo dei singolimistici e profeti nelle congregazioni, ora è il momento che le congregazioni sianomistiche e profetiche. Io sostengo che solo quando riconosceremo i mistici e i profetinelle nostre congregazioni diventeremo gradualmente congregazioni mistiche eprofetiche. Non prima.

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Domande per la riflessione

1. Ti consideri un mistico, un profeta? Perché? Perché no?

2. Esamina la tua spiritualità mistica alla luce della preghiera catafatica e apofatica.

3. Rifletti sulle tue qualità mistiche e profetiche come evidenziato in questo articolo.

4. Dov’è il tuo deserto o spazio di silenzio, quiete, semplicità e solitudine? Sei mai andatoin un eremo per un tempo di profonda solitudine?

5. La tua congregazione è mistica e profetica? Perché? Perché no?

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REINVENTARE L’ARTE DI VIVERE

INSIEME

Sr. Josune Arregui, CCV

Segretaria Eseutiva della UISG

Originale in spagnolo

di percorsi per realizzare il sogno di una vita religiosa mistico-profetica.

La Dichiarazione finale, che sintetizzava quel discenimento ‘corale’, metteva afuoco tre punti:

Il primo punto faceva riferimento alla mistica della persona profetica, che ascolta‘il sussurro della fonte che zampilla e scorre’ e si preoccupa di gustare e di condividerela Parola e il Pane, di andare alla sorgente del proprio carisma ed invitare altri a beredi quest’acqua...

Il terzo punto, a sua volta, esprimeva la profezia della persona mistica, quella chescopre scintille di luce nella notte, che offre un ministero di compassione e diguarigione delle ferite dell’umanità e sa dire una parola profetica ad un mondo in cuisi sforza di cambiare le strutture e ad una chiesa in cui sente che la donna dovrebbeavere un maggior spazio e riconoscimento.

Ma, vi è un secondo punto che parla di accoglienza ed ospitalità e che, a mioparere, è ciò che rende possibile questa unità mistico-profetica che tanto desideriamo.Se cerchiamo di valorizzare la nostra profezia o la nostra mistica, corriamo sempre ilrischio di autoingannarci. La verifica di entrambe si trova solamente nella caritàfraterna: “Da questo vi riconosceranno ...”, diceva Gesù. La carità si esprime sia nellerelazioni interpersonali che nell’impegno sociale e nella vita religiosa haun’espressione visibile e audace che è la vita comunitaria.

Ad essa farò riferimento in questo articolo. Inizio, citando due punti dellaDichiarazione che hanno ispirato la mia riflessione sulla comunità come luogo diaccoglienza e di ospitalità:

§ Reinventare un’arte di vivere insieme, caratterizzata da relazioni che umanizzano,dall’ascolto, dall’empatia, dalla non violenza, per diventare testimoni dei valorievangelici

olte di noi ricordano l’Assemblea Plenaria della UISG, svoltasi nel maggio2010 a Roma, in cui circa ottocento religiose, leaders di congregazionireligiose femminili, provenienti da tutto il mondo, si sono messe in ricerca

Introduzione

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§ Creare uno stile di vita mistico-profetico, aperto alla ospitalità ed all’accoglienzasenza esclusivismi, rispettoso delle differenze, che riconosce la ricchezza dellediverse culture e religioni.

Trovo molto efficace questa espressione, “reinventare”, perché non bastano lestrutture fondazionali, anche se rimane ancora molto valida la loro ispirazionecarismatica. Quello che ci viene chiesto è reinventare, perché la società è cambiata ele persone - non solo le giovani - non sono più le stesse e l’antropologia ci offre nuovimodelli di realizzazione umana ai quali non dobbiamo rinunciare.

Per fare alcuni esempi: l’attuale senso democratico mette in discussione i vecchimodi di esercitare l’autorità comunitaria; il riconoscimento della dignità della personaobbliga a ripensare l’umiltà; l’irrinunciabile autonomia di una libertà matura invita ariconsiderare l’obbedienza; la valutazione positiva dell’energia affettivo-sessualerichiede un nuovo modo di vedere il celibato e, in generale, la valorizzazione deirapporti interpersonali e del dialogo tra le diversità ci obbliga a reinventare la vita dicomunità.

Non possiamo continuare a trascinare stili comunitari ormai superati, dobbiamoreinventare. E per reinventare non sono sufficienti tecniche o conoscenze. É necessariaun’arte, perché si tratta di una nuova creazione, è necessaria l’anima di artista, cioèl’aver intuito la bellezza dell’armonia e trovare il modo di esprimerla in nuove formedi vita fraterna che siano significative per il mondo di oggi.

1. Una difficoltà che ci sfida

“Tutta la fecondità della Vita Consacrata dipende dalla qualità della vita fraterna”diceva Giovanni Paolo II, ma sappiamo che quest’arte è difficile perché racchiude tuttala complessità delle relazioni interpersonali. Lo esprimeva molto bene Casaldáliga,con umorismo poetico:

Due sono i problemi, due:gli altri e io.Il difficile altro e il difficile io.Il duro noi della comunione.

Non dovremmo insistere troppo su questo e conosciamo bene le cause delladifficoltà: siamo persone diverse sotto tanti aspetti, siamo tutte peccatrici e più o menoimmature, con elementi non ancora integrati, e nel vivere insieme ci mette in tensionel’esercizio del potere condiviso …

A volte la radice della difficoltà può trovarsi proprio nell’idealizzazione dellacomunità, sia per perfezionismo che per false aspettative. Abbiamo un ideale dicomunità così irraggiungibile che siamo costantemente frustrati. Lo esprimeva moltobene Bonhöffer: “Chi ama il suo ideale di comunità più della comunità reale, distruggela comunità”.

Certamente, la più grande difficoltà per reinventare l’arte del vivere insieme inuna comunità religiosa potrebbe risiedere nell’indebolimento della fede, il nucleo

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fondamentale che ci unisce. E se si indebolisce la fede, la comunità religiosa vieneferita alla sua radice e fondamento.

Vivere in comunità è difficile e a volte sembra impossibile. Si dice che questa siala causa della maggior parte dei casi di abbandono della vita religiosa e uno deiprincipali motivi di malessere e di sofferenza.

Ma, la vita fraterna è una dimensione essenziale per noi e, nello stesso tempo, unadelle nostre sfide più grandi. E sappiamo bene che una sfida è una difficoltà che citenta, che ci attrae e, nello stesso tempo, ci scoraggia.

La sfida segue una sua dinamica: dapprima si sperimenta che qualcosa nonfunziona più e nasce il desiderio spontaneo di rinunciare, di tornare indietro. Ma,qualcosa dentro di noi ci spinge a reagire e quindi:

* Torniamo a sognare l’utopia, ciò che si nasconde dietro la difficoltà, ciò cheperderemmo se rinunciassimo ...

* Analizziamo serenamente perchè ha smesso di funzionare.

* Cerchiamo nuovi cammini, facendo attenzione ai segni recenti e ai nuovi germogliche stanno sorgendo ovunque.

* E torniamo a ricominciare in modo nuovo, reiventiamo cammini.

2. Tornare a sognare l'utopia

Il primo comandamento

Gesù, colui che vogliamo seguire, era un uomo “accompagnato” e ha vissuto peruna missione che ha affidato ad un gruppo di discepoli e di discepole, aperto allafraternità universale. Al termine della sua presenza sulla terra ha detto: “Questo è ilmio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15, 12).La novità risiede in quel come io vi ho amato, fino a dare la vita, in manierastraordinaria.

L’amore per Dio e per il prossimo è il nostro unico e primo comandamento. È lasintesi della fede cristiana, il tratto distintivo che Lui ci ha lasciato, il segno che puòfar si che il mondo creda, ciò che da coerenza e verità alla nostra esistenza. “Da questotutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

È la prova della nostra fede: “Se uno dice di amare Dio e odia suo fratello è unbugiardo “ (1 Gv 4,20). E, nella stessa lettera, Giovanni aggiunge: “Chi non ama è unomicida” (1 Gv 3,15). E non è una esagerazione, perché realmente impedisce all’altrodi realizzarsi in pienezza, gli blocca la vita. Fa paura per la verità che racchiude questaespressione e per le sue applicazioni alla vita comunitaria.

La famiglia dei figli di Dio

Gesù ha cercato di superare la struttura della famiglia patriarcale ebraica, chiusain se stessa, ed è venuto per costruire la nuova umanità, la famiglia dei figli di Dio,

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formata da coloro che cercano la volontà del Padre: “Questi sono mia madre e i mieifratelli ...” (Mc 3, 35).

La fraternità religiosa vuole rendere visibile nella Chiesa questa novità, questafamiglia in cui Gesù, Fratello e Figlio per eccellenza, è al suo centro, come forzageneratrice di fraternità. Il “fare discepoli” consiste nell’invitare la gente a questodiscepolato di eguali, in cui è data la preferenza solo ai più deboli e piccoli. Tutti iprogetti di crescita personale o di santità o di impegno apostolico che non passano diqui, vanno in altra direzione.

Il nostro segno di identità

Non possiamo dimenticare che, nella professione religiosa, siamo stateconsacrate, vale a dire, unte e inviate ad essere memoria di Gesù (VC 22). Questaazione di Dio segna profondamente la nostra identità: siamo persone consacrate.

Ma, l’altra faccia dell’identità è l’appartenenza. Identità e appartenenza sonoinseparabili: “Non è possibile rispondere alla domanda chi sono io senza includerenella risposta a chi appartengo” (Toño García).

Generalmente, emettiamo la professione all’interno di un gruppo o di unacongregazione e quindi la fedeltà a Dio passa attraverso l’appartenenza a questogruppo, tramite il quale rispondiamo alla sua chiamata. L’impegno con la comunità(senso di appartenenza) è la prova visibile della nostra identità invisibile(consacrazione).

L’appartenenza è il marchio di qualità della nostra vita ed il segno della nostraidentità.

La tensione tra persona e comunità

L’antropologia attuale ha sottolineato la centralità della persona e questo èdavvero evangelico. Ma, l’individualismo che corrode la nostra società ci ha contagiatocon un’esaltazione dell’ego che sconfina nel narcisismo ed una persona ripiegata suse stessa è così bloccata nella sua pienezza personale da non aver autostima o vivereuna sottomissione infantile.

Nel considerare oggi la vita fraterna sorge facilmente la domanda: cosa vieneprima, la persona o la comunità? In altre epoche avremmo risposto che la cosa piùimportante è la comunità. Oggi sono molti quelli che rivendicano la supremazia dellapersona.

Ma, dobbiamo riconoscere che sia la persona che la comunità sono realtàdinamiche che si realizzano in un processo, nella tensione dialettica, nello sviluppoprogressivo. Qui risiede la tensione e bisogna mantenerla senza eliminare nessuno deidue elementi.

É vero che la qualità della vita di una comunità dipende dalla maturità umana edalla qualità evangelica delle persone che la compongono. E, nello stesso tempo, unabuona comunità, nella sua organizzazione e nel suo stile relazionale, favorisce la

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crescita delle persone e permette processi di trasformazione personale, anche se nonpuò sostituire né forzare quel nucleo personale in cui ogni persona cresce.

“La persona è come una pianta, con un proprio principio vitale che le permettedi svilupparsi e di crescere, ma ha bisogno di terra, acqua, luce e calore e questo looffrono gli altri, la comunità” (Juan María Ilarduia).

Pertanto, cosa viene prima, la persona o la comunità? La comunità non sostituiscene è al di sopra. Il suo valore risiede nel generare dinamismi che le persone non possonoottenere isolatamente.

Tutto questo ravviva la nostra utopia e stimola la nostra sfida. Questa è la formadi vita alla quale ci siamo sentite chiamate e nella quale ci siamo liberamenteimpegnate per seguire Gesù. La vita in fraternità è il nostro sogno e questo sogno cispinge a tentare ancora, a cercare nuovi modi, a reinventare, ad analizzare icambiamenti … Vale la pena tentare di nuovo.

3. Reinventare la comunità è un compito quotidiano

Grazie a Dio il nostro impegno non si misura sui risultati, sull’aver ottenuto unacomunità più o meno buona, ma sul vivere creando comunità per tutta la vita, lì dovesiamo, senza dimenticarci di essere creatrici di armonia nella nostra comunità.Reinventare l’arte del vivere insieme è un compito quotidiano e presuppone un esodocontinuo da noi stesse “per diventare sorelle”.

Esaminiamo, ora, quattro aspetti di questo impegno. Essi sono come quattropilastri sui quali si appoggia questo compito quotidiano: accoglienza, dialogo,corresponsabilità e missione comune.

Accoglienza: aprire il cuore e la casa

Siamo un gruppo umano di persone convocate intorno al Signore, in unatradizione carismatica concreta, e ci ritroviamo insieme senza esserci scelte. Perquesto, per tutta la vita noi non ci scegliamo, ma ci accogliamo.

L’accoglienza non è un atteggiamento da riservare solo agli ospiti – che poi vannovia – ma anche nei confronti di chi vive con noi; è l’amore cristiano che ci spinge adaccogliere i membri della comunità ogni volta che li sentiamo estranei o stranieri. Sitratta di “accogliere, secondo il cuore di Dio, il mistero di ogni persona” (JavierGarrido).

Per evitare delusioni, desidero chiarire sempre che l’amore non è un sentimento,ma una libera scelta di voler bene e fare il bene alle persone.

Dal termine greco pathos (ciò che uno sperimenta, soffre o perde) derivano, incastigliano (e in italiano) parole con il suffisso – patia (antipatia, simpatia, apatia …)che non sono sentimenti liberi, che ci invadono e che non dobbiamo moralizzare.“Ogni persona matura deve sapere che metà della comunità mi ama e l’altra metà misopporta”, usava dire la psicologa Mary Paul Ross.

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Qui parliamo dell’agape cristiana che è l’amore vissuto come opzione libera eresponsabile e a sua volta sostenuta dallo Spirito Santo. Io la chiamo accoglienza persottolineare questa dimensione di libertà ed evitare la parola amore e altre parole, qualicomprensione, fiducia, etc. che si prestano ad equivoci.

La Dichiarazione parla della non violenza e credo che essa vada considerata inquest’ambito. Bisogna essere molto sinceri per scoprire in noi la violenza chescaturisce dalla nostra radice di peccatori e dalla quale provengono giudizi escludentinei confronti di chi ci circonda.

Possiamo citare alcuni elementi di questa accoglienza che richiede la costruzionedella comunità:

* Rispetto: è l’accoglienza riverente davanti al “mistero” dell’altro/a che è come unastanza sacra la cui porta si apre solo dall’interno e per questo bisogna chiamare,bisogna chiedere e cercare. Non possiamo entrare (violare, dominare) senzachiamare, ne possiamo giudicare o classificare senza chiedere, né possiamo esigereo dominare, senza cercare (cf Mt 7,7). É come ci piacerebbe che ci trattassero glialtri.

* Compassione: è l’accoglienza dei deboli: anziani, ammalati, insoddisfatti … o dichi sta vivendo una situazione difficile. È l’opzione preferenziale per i poverivissuta interiormente. La parabola del samaritano termina con l’invito allacompassione: Va e anche tu fa lo stesso, vale a dire, esercita la compassione. Farciprossimi di chi soffre o rimane ai margini del cammino, senza voltarci dall’altraparte, interessarci e coinvolgerci.

* Riconciliazione: è l’accoglienza che ricomincia ogni mattina e non si stanca diaspettare, fino a 70 volte 7, diceva Gesù, vale a dire, sempre. Gli scontri in comunitàsono occasionali, ma gli attriti possono essere frequenti. La riconciliazione consistenel tornare ad accogliere nel cuore chi ci offende o semplicemente ci molesta. Sitratta di perdonare interiormente, di toglierci i sandali davanti alla terra sacra e nonlasciare che il giudizio e il pregiudizio emergano ed escludano. Gesù, che noiseguiamo, è venuto a salvare e non a giudicare. La riconciliazione cominciadall’interiorità.

* Servizio: è l’accoglienza che si traduce nell’impegno personale. Va oltre i piccolifavori o i compiti domestici condivisi in comunità. L’accoglienza apporta qualitàal servizio. Benjamín González Buelta sostiene che, così come l’adorazioneconsiste nel dedicare tempo ed affetto a Dio, il vero servizio consiste nel dedicaretempo ed affetto ai fratelli.

Da questo atteggiamento, esercitato quotidianamente in comunità, impareremoad aprire le porte e ad essere comunità aperte ed ospitali per coloro che ci avvicinanoo vivono insieme a noi.

Dialogo, un cammino verso l’ incontro

Il dialogo è il secondo pilastro su cui si fonda la relazione fraterna.

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Nella vita religiosa tradizionale si sopravvalutava il silenzio e in una vitareligiosa rinnovata diventa indispensabile la comunicazione. Per diventare sorelleabbiamo bisogno di conoscerci e di comunicare con ampiezza e profondità.

La verità è che l’essere umano ha bisogno, nello stesso tempo, di comunicazionee di silenzio. E, in una comunità, non possiamo eliminare nessuno dei due elementi.Il silenzio senza la comunicazione isola la persona e la chiude in se stessa. Lacomunicazione di chi non coltiva il silenzio risulta vuota e superficiale. Perciò,abbiamo bisogno di mantenere una tensione che integri i due aspetti.

L’esercizio che armonizza silenzio e comunicazione è il dialogo, una parola chescaturisce dalla profondità personale e che si dispone ad essere arricchita dalla paroladell’altro. Il dialogo avvicina posizioni, ci arricchisce e ci conduce all’incontrofraterno.

Gli incontri comunitari: tempo di qualità per il dialogo

Gli incontri comunitari sono occasioni privilegiate per dialogare a livello profondosu temi di comune interesse, sui quali si è riflettuto precedentemente in silenzio.Bisogna curare la metodologia perché si favorisca la partecipazione di tutte, soprattuttonelle comunità numerose, poiché la partecipazione è un elemento essenziale in unacomunità rinnovata. Se alcune non partecipano, allora bisognerà cambiare la dinamica,l’animazione, il luogo, la disposizione, l’ora … finchè si possa stabilire un dialogo.

Non possiamo trascurare altri incontri informali, conversazioni, uscite,celebrazioni festive, etc, che possono anche essere spazi di qualità per la comunicazionee l’incontro. In essi, giorno dopo giorno, diventiamo sorelle.

Condividere la fede: elemento-chiave di una comunità rinnovata

La dimensione comunitaria è un elemento-chiave importante della spiritualitàdell’incarnazione ed è un segno che ci dice se la nostra spiritualità si è rinnovata ocontinua ad essere intimista e verticale.

Alcune persone si astengono dalla condivisione di fede e la riducono ad un“pregare insieme”. Ma, se ci siamo riunite intorno a Gesù come è possibile noncondividere la sua Parola? Se viviamo una spiritualità dell’incarnazione, come èpossibile non mettere in relazione fede e vita? Se cerchiamo il progetto di Dio, comeè possibile non discernere insieme alla comunità i nostri progetti personali?

Ogni fraternità deve trovare i canali adeguati per condividere la fede in Gesù checi convoca.

Comunità circolari

Il terzo pilastro sul quale si fonda la costruzione della comunità è lacorresponsabilità. Molte di noi ricordano quelle comunità piramidali, con strutturamonarchica (una sola persona aveva il mandato e la ‘grazia di stato’) ed era colei checi trasmetteva la volontà di Dio (non era necessario fare discernimento). In essa si

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assolutizzava e sacralizzava la mediazione della superiora considerandola cometrasmettitrice diretta e ‘automatica’ della volontà di Dio e dimenticando o prescindendodal discernimento e dalla mediazione comunitaria.

Con il rinnovamento postconciliare siamo passati ad uno stile più democratico eda ciò che chiamiamo comunità circolari. In esse si possono realizzare quelle relazioniche umanizzano.

Il potere del centro e l’uguaglianza dei membri

Il cerchio ha un centro che rende possibile la sua forma e il risultato èl’equidistanza dei punti. Il centro della comunità è Gesù – non ci siamo riunite percasualità o per convenienza – e l’equidistanza esprime l’uguaglianza delle persone, neidiritti, nella dignità, nel carisma. La comunità, come ha affermato molto bene E.Fiorenza, è un discepolati di eguali.

In una comunità circolare tutte devono avere voce e prendere parte, come personemature, al cammino della comunità e prendere decisioni insieme.

Tutte siamo responsabili del clima comunitario, della ricchezza degli incontri,della profondità delle celebrazioni, della crescita di ciascuna sorella.

Il contrario di questo è la passività, la sottomissione o la pretesa e il lamentodall’esterno. “Vivere al margine della comunità, con una partecipazione minima, nonè un’opzione legittima, ma una violazione del voto di obbedienza”, ha affermatoSandra Schneiders durante il congresso sulla Vita Religiosa del 2004.

Dal dialogo al discernimento

Abbiamo detto che lo stile democratico deve condurci a prendere decisionicongiunte, per cui diventa essenziale l’informazione, il coinvolgimento di tutti e ildialogo. Ma la comunità non è una semplice democrazia, è molto di più dellademocrazia, perché ha un Centro che ci convoca e la sua Volontà è ciò che tuttedesideriamo anteporre alla nostra volontà. Questo elemento cambia la dinamicacomunitaria: non è sufficiente accoglierci ed ascoltarci in maniera corretta e quindivotare e accettare la maggioranza. Si tratta di cercare insieme la volontà di Colui checi convoca e obbedire l’una all’altra come una preziosa mediazione del volere di Dio.Questa corresponsabilità vissuta nella fede è una sfida per le comunità del futuro.

La ricerca dialogante, quando è condotta alla luce della fede, si converte indiscernimento, nella ricerca congiunta della volontà di Dio. Se non è così, le nostredecisioni non sono altro che “riflessioni sensate”.

Ogni discernimento si conclude con un passo da compiere ed è questol’atteggiamento che mette la comunità in continuo movimento, in obbedienza fraternae in itineranza missionaria.

Il progetto comunitario: motore di una comunità in processo

Una espressione di questa circolarità crescente è il progetto comunitario, unostrumento che esprime questo cammino deciso da tutte e che dà vigore alla comunità.

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Siamo un gruppo convocato dal Signore, all’interno di una tradizione carismaticaconcreta, in processo – né soddisfatto, né deluso – che si interroga sulla volontà di Dioe si dispone come Abramo ad uscire dalla situazione data per andare verso la terra “cheti mostrerò”. Questa è l’obbedienza nella fede, una itineranza esistenziale.

Il progetto (a meno che esso non sia un orario o una proclamazione teorica diprincipi oppure una negoziazione di interessi personali) è frutto di discernimento e sicostituisce come “autorità suprema” che sveglia e mobilita i dinamismi di fedeltà e dicrescita che i membri di una comunità hanno dentro di sè.

Il progetto comunitario è mezzo di partecipazione e di corresponsabilità ed è laprincipale mediazione di un gruppo per vivere in fedeltà creativa.

Nuovo profilo del servizio di leadership comunitaria

Nel film Dio e uomini uno dei frati rimprovera al superiore: “Non ti abbiamoeletto perché tu decida da solo”.

Secondo quanto ci dice la sociologia e l’esperienza, la corresponsabilità nonelimina la necessità di coordinamento o il servizio dell’autorità, ma dà a questa nuovefunzioni:

§ Potenziare la corresponsabilità, far circolare la circolarità. Per questo bisognafornire informazioni, proporre consultazioni, far si che tutte si esprimano e che ilpercorso della comunità sia organizzato da tutte.

§ Aver cura e proteggere l’uguaglianza soprattutto di coloro che sono ‘più-ineguali’o deboli.

§ Accogliere ed essere disponibili per le persone, soprattutto per le più povere(persone in crisi, malate, persone che hanno bisogno di confrontarsi …).

§ Vigilare sul progetto comunitario, elaborato da tutte.§ Mantenere viva la domanda: “cosa vorrà Dio da noi in questa situazione (sociale,

congregazionale, comunitaria)”?

La missione comune

La missione costituisce il quarto fondamento di una comunità religiosa apostolica,perché è un elemento essenziale della nostra forma di sequela. In una spiritualitàdell’incarnazione non si vive il lavoro apostolico come un “logorio pericoloso” macome sorgente e stimolo di fedeltà. E questo è vero sia a livello personale che a livellocomunitario. Dall’obiettivo e dal vissuto della missione comune dipende la vitalità ela rinascita continua della comunità. Non siamo comunità per la missione, macomunità in missione.

Distinzione tra piattaforme, compiti e missione

Prima di tutto dobbiamo distinguere tra piattaforme (collegi, parrocchie,residenze, ONG …) o strutture tramite le quali evangelizziamo, e la missione che puòrealizzarsi in vari modi, anche se la piattaforma cambia o scompare. A questo si collegatutto il tema della riorganizzazione delle opere in cui siamo attualmente impegnate

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nella vita religiosa occidentale.

Altre volte identifichiamo il lavoro o il compito che realizziamo con la missione.Ma bisogna ricordare che, solo quando la persona e il suo lavoro sono ispirate dallafede in Gesù, possimo parlare di missione cristiana. Cito solo alcuni indicatori diquesta differenza:

§ Non andiamo in missione per nostra iniziativa, ma perché inviate da Gesù (laChiesa, la congregazione o la comunità locale)

§ L’obiettivo della missione è l’evangelizzazione, la costruzione del Regno e non unostipendio o un’altra ricompensa (sia in denaro che in altre forme materiali opsicologiche)

§ Il carattere di qualità della missione non dipende solo dalla professionalità (ilcompito ben fatto), ma dallo stile di Gesù che va oltre la professionalità

§ I risultati della missione non sempre sono percepiti o si raggiungono perchè sonoad un altro livello e questo esige a volte l’accettazione dei fallimenti

§ Nella missione non siamo i protagonisti, ma strumenti dello Spirito, l’unico chemuove i cuori ed è capace di trasformare la storia

§ La missione non ci classifica per categorie come nel lavoro, ma ci unisce per unamissione che appartiene alla comunità

§ Il lavoro ha un orario e un calendario, mentre noi siamo sempre in missione: è lavita che diventa missione.

Ognuna di noi deve essere vigile per non non perdere la mistica della missione.È ciò che chiamiamo spiritualità apostolica.

La missione appartiene alla comunità: il mandato

Generalmente abbiamo un grande senso di protagonismo e di possesso del nostrolavoro, ma l’opera apostolica che ognuna di noi realizza appartiene alla comunità cheè ciò che accoglie o approva e invia in missione.

Oggi, tra i contratti di lavoro e il volontariato di molte pensionate, in ognicomunità vi è una grande varietà di compiti ed è urgente trovare strutture che aiutinoa vivere tutto questo come una missione unica o comune. A tal fine può esserci di aiuto:

§ Formulare la missione nel progetto comunitario in modo generico in modo che tuttesi sentano integrate.

§ Prima di assumere un compito, ogni membro deve informare la comunità ediscernere se è opportuno.

§ Mantenere informata la comunità in maniera formale ed informale, dell’attività diogni persona.

§ Prevedere momenti di autovalutazione condivisa.§ Fare in modo che le diverse attività apostoliche siano presenti nella preghiera della

comunità.

Il senso della missione comune stimola la fedeltà personale e costruisce comunità,ma bisogna coltivarlo perché sia realmente missione, vale a dire, che sia un invio dellacomunità e che miri alla costruzione del Regno.

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4. La comunità è possibile

La comunità è difficile, senza dubbio, e favorisce o ostacola quotidianamente ilnostro atteggiamento interiore e la nostra creatività nelle forme di convivenza, maabbiamo anche bisogno di fede per credere che la comunità è possibile. Dobbiamoessere convinte che il Signore è presente in questo sforzo e che da sole non siamocapaci di questa utopia. Dio non sceglie i forti, ma dà forza a chi sceglie.

Per non stancarci di costruire ogni giorno la comunità abbiamo bisogno dellafede. Non dimentichiamo i fondamenti teologici che la rendono possibile.

L’impronta di Dio Trinità

Siamo fatti per la relazione e per l’incontro. Crediamo che Dio Padre, Figlio eSpirito, creandoci a sua immagine, abbia impresso in noi questo desiderio di relazione,di famiglia, di comunione. E che abbiamo bisogno di questa relazione d’amore perdiventare persone in pienezza. Per questo ne abbiamo continuamente nostalgia. LaTrinità, più che un ‘modello’ etico da imitare, è la sorgente della famiglia, dellarelazione, della comunità. È la fonte che ci abita e scorre continuamente versol’armonia e l’incontro fraterno a tutti i livelli.

Gesù – Centro che convoca e sostiene

Come già accennato, la comunità ha un Centro che la convoca e la sostiene.L’origine sta nella convocazione e il segreto dell’unità sta nel legame di ogni membrocol Centro e in strutture e momenti comunitari che ricordino, esprimano e rafforzinoquesta centralità. Colui che ci ha chiamate continua ad intercedere per la nostra fragilecomunione. Solo se crediamo che è Lui che sostiene la comunità, saremo disposte acollaborare in questo difficile compito e, confidando nella sua energia rinnovatrice,ricominceremo continuamente.

Lo Spirito ci consacra e ci abilita

Credere nello Spirito che ci viene donato e che ci rende capaci – ci unge nellaconsacrazione – di un amore agapico che trascende ciò che noi siamo capaci. Bisognachiedere questo Spirito, come il nostro pane quotidiano, come la porzione quotidianadi servizio, di pazienza, di impegno e di resistenza.

“Che lo Spirito Santo riunisca nell’unità quanti partecipiamo al corpo e al sanguedi Cristo”, chiediamo nella Eucaristia che ci permette di mantener vivo il nostrocammino costante verso l’utopia della comunità.

“Cristo rafforza la comunione fraterna e sollecita coloro che sono in conflitto adaffrettare la loro riconciliazione, aprendosi al dialogo e all’impegno con la giustizia”;afferma il Papa nella Esortazione Sacramentum caritatis, e aggiunge “solo questatensione costante verso la riconciliazione permette di comunicarsi degnamente colcorpo e il sangue di Cristo”. E termina dicendo:” Chiedo a tutti i consacrati e leconsacrate che manifestino nella loro vita eucaristica lo splendore e la bellezza diappartenere totalmente al Signore”. Questa è la bellezza che siamo inviate a

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Reinventare l’arte di vivere insieme

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testimoniare: essere pane spezzato e vino versato per gli altri.

5. La comunità è un dono

Infine, conviene guardare ai grandi vantaggi che il vivere in comunità offre alnostro sviluppo umano e cristiano e in questo modo nascerà in noi un’ immensagratitudine.

Gratitudine per quanto offre alla nostra crescita personale il vivere in compagnia,in relazione con persone diverse che rivelano i nostri valori e i limiti, a contatto conpersone deboli, malate o anziane che ci tirano fuori dalla nostra tendenza egoistica efanno germogliare la nostra tenerezza; che ci stimolano col loro esempio e cipermettono, in tante occasioni, di essere gioiose e di fare festa.

Gratitudine per quanto la comunità fa per favorire la nostra fedeltà nella sequeladi Gesù. Testimoni che ci stimolano, la formazione ricevuta nella fede, la condivisionecomunitaria negli incontri e nelle liturgie ci aiutano a rinnovare ogni giorno la sceltadi camminare con gli occhi fissi su Gesù … per un cammino nuovo e vivo (Eb 10,20).

Gratitudine anche perché la comunità ci invia alla missione evangelizzatrice e cioffre piattaforme che non avremmo mai immaginato. Da essa riceviamo il mandato pervari compiti, in diversi paesi e situazioni. Essa riflette e realizza la missione carismaticae ci permette di dare la nostra vita in vari ambiti e sempre per dare vita in abbondanza.In questo modo la nostra esistenza diventa feconda.

Infine, ringraziamo la comunità per il senso di appartenenza che è una dellenecessità primarie della persona ed è molto più che un vincolo giuridico con i suoidiritti e doveri. L’appartenenza è questo radicamento che ci dona forza, caloreaffettivo, stabilità. L’aver vissuto per anni nella congregazione, il vivere insieme apersone amate, il vivere un processo rinnovatore e cercare risposte alle nostre crisi,che ci rende un gruppo ecclesiale vivo, l’aver donato la vita, goccia a goccia nelle tanteopere al servizio della umanità, ci rende feconde e gioiose nella vita.

La comunità è la grande mediazione per realizzare il sogno di una vita religiosamistico-profetica. Il futuro della vita religiosa comporta il reinventare l’arte di vivereinsieme.

Se, a volte, con la scusa di “volare più velocemente”, ci sentiamo tentate dirinunciare a questo compito così arduo, ricordiamo i versi di León Felipe:

Vado con le redini tese

e frenando il volo,

perché ciò che importa

non è arrivare presto, né da solo,

ma arrivare con tutti e al tempo giusto.

(León Felipe)

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DALL’OSPITALITÀ ALLA VISITAZIONE:VIVERE L’INCONTRO CON LA DIVERSITÀ

P. Bernard Ugeux, M.Afr.

P. Bernard Ugeux, Missionario d’Africa (Padri Bianchi), di origine belga,è attualmente missionario nella Repubblica Democratica del Congo. Èstato Assistente e Direttore dell’Istituto di Scienza e Teologia delleReligioni presso l’Istituto Cattolico di Tolosa, negli anni 1995-2009.Docente e scrittore, è autore di numerosi articoli e libri. Il suo ultimo libroè intitolato: “Celui qui est chrétien, celui qui ne l’est plus” (Chi ècristiano, chi non lo è più), scritto con A. Rulmont, Parigi, DDB, 2010.

Questo testo è stato pubblicato nella rivista canadese EN SON NOM - Vieconsacrée aujourd’hui (IN SUO NOME – La Vita Consacrata oggi),Volume 69, No. 1, gennaio-febbraio 2011, pp. 3-10. Riprodotto dopoautorizzazione.

Originale in francese

mondo creda ...”!

Dato che non esistono solo differenze personali di carattere o di biografia, maanche differenze di origine culturale, sociale e differenze generazionali, le comunitàsono invitate a costruire una unità che non cancella le identità, ma favorisceinterazioni profonde in cui ognuno può condividere la sua storia e la sua esperienzadi vita, mantenendo la necessaria discrezione.

Dialogare dal cuore delle nostre differenze, ad un livello profondo, è qualcosache si apprende. É un gesto umano, spirituale e teologico, perché il nostro Dio è trinoe, quindi, è incontro ed accoglienza delle differenze nella pienezza della comunione.Per questo credo che noi abbiamo molto da imparare dall’esperienza del dialogointerreligioso dei contemplativi.

Il dialogo interreligioso monastico

Mi ispirerò, dunque, agli apporti della lunga esperienza di Dialogo InterreligiosoMonastico (DIM). Si tratta di un’esperienza antica perché, in seguito ad un congresso

e nostre comunità cristiane sono invitate a crescere nella fiducia enell’incontro vero affinchè la loro testimonianza sia percepita comeautentica: “Guardate come si amano” e “Siate una cosa sola, perché il

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di monaci cristiani a Bangkok, nel 1963, diversi membri appartenenti agli ordinibenedettini e cistercensi decisero di impegnarsi nel dialogo con i monaci di altretradizioni religiose. Questo dialogo ha assunto progressivamente la forma di invitireciproci, in cui monache e monaci occidentali e giapponesi (buddisti) si invitavanoa turno a trascorrere lunghi periodi nei loro rispettivi monasteri. Così il dialogointerreligioso è diventato un’eccezionale opportunità di ospitalità monasticareciproca, che si è poi esteso ad altre esperienze religiose e spirituali. Il lavoro delDialogo Interreligioso Monastico (DIM) si è particolarmente intensificato a partiredall’anno 1983 1.

L’ospitalità di Abramo

Padre Pierre-François de Béthune, che è stato per lungo tempo segretariogenerale del DIM, ha approfondito il significato di ospitalità interreligiosa ispirandosiall’ospitalità di Abramo, cui si ricollegano le tre religioni monoteiste, ciascuna a suomodo.

Ispirandosi al racconto della Genesi (capitolo 18) dove Abramo accoglie i trestranieri di passaggio – come raffigurato meravigliosamente da Roublev nella suacelebre icona della Trinità – il monaco osserva: «In questi dieci versi è riassunta tuttala bellezza e tutto il mistero dell’ospitalità. Non conosco nessun’altra storia chedescriva meglio l’ospitalità e la sua audacia, la sua discrezione, la sua generosità ela trascendenza sulla quale essa si apre»2.

Egli sottolinea che è impossibile conoscere il Totalmente Altro se si ignora lostraniero, il lontano. E per «straniero » egli intende «le persone, ma anche l’ambienteculturale e religioso, tutto ciò che è strano e, apparentemente, irriducibile al nostromodo tradizionale di vivere e di credere»3. Certamente, stiamo parlando di membridi altre tradizioni religiose, ma non possiamo riferirci anche alle persone, diverse danoi, con cui condividiamo la nostra vita quotidiana?

P. F. de Béthune continua : « Grazie al dialogo interreligioso ora noi possiamoverificare che la verità cristiana non è viva e splendente se l’altro non trova in essail suo posto. Si, essa è fondamentalmente una verità accogliente, ospitale. Ma, d’altraparte, sembra che l’ospitalità debba essere sempre associata alla fede. L’accoglienzaillimitata, senza la fede, porta ad una enorme confusione, così come la fede senzal’ospitalità può diventare una prigione»4. Dunque, ora noi possiamo affermare che,nel cristianesimo, il dialogo e l’ospitalità implicano che coloro che accolgono siriferiscano chiaramente a Colui nel cui nome sono impegnati. In tal modo, la personache accoglie può scoprire che l’ospitalità monastica – come quella dei luoghi dipellegrinaggio – è una manifestazione concreta della compassione di un Dio che nonviene mai meno alle sue promesse e che non fa preferenze di persone.

Esiste uno stretto legame tra ospitalità e umanità a ragione della comuneappartenenza alla famiglia umana. La dichiarazione del Concilio Vaticano II, NostraAetate, fonda l’atteggiamento della Chiesa nei confronti di altre tradizioni religiose

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sulla comune umanità. Nel paragrafo 1, leggiamo: «I vari popoli costituiscono infattiuna sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’interogenere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, lacui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendonoa tutti (…) ». Offrire ospitalità è un modo di dimostrare l’umanità e di riconoscerela dignità dell’altro in gesti concreti e non solo a parole. Osserviamo che in tutte leculture l’ospitalità è un dovere sacro e che il riferimento è, abitualmente, trascendente.Clemente di Roma scriveva : «Abramo, per la sua fede e la sua ospitalità, ha ricevutoil Figlio della Promessa». Secondo un’antica tradizione cristiana (del IV secolo), iPadri del Deserto d’Egitto erano convinti che: «Dobbiamo venerare i fratelli chearriveranno … Perché, in effetti, non veneriamo loro, ma Dio. Quando vedi tuofratello, dice la Scrittura, tu vedi il Signore tuo Dio». L’ospitalità riguardadirettamente Dio5.

Ci è voluto tempo perché la pratica dell’ospitalità in nome della umanitàdell’altro implicasse anche il rispetto per la sua religione. Ma, per lungo tempo,questo principio è stato applicato malgrado questa differenza di religione. Accoglierenel nome di Dio non implica necessariamente il rispetto ed il riconoscimento dellalegittimità della religione dell’altro. Lo scopo potrebbe anche essere la conversione.Oggi riconosciamo che non rispettiamo l’altro, l’ospite, lo straniero, se nonconsideriamo anche la sua religione (o la sua spiritualità), perché essa è parte dellasua identità più profonda. Padre de Béthune precisa: « Si tratta di un incontroprofondo, a livello spirituale, perché non è motivato da un calcolo di interesse, mada ragioni religiose, quelle che animano l’ospitalità sacra. E questo incontro è giusto,senza equivoci, perché l’ospite è per definizione uno straniero; egli è accolto cometale, nel rispetto della differenza e senza alcuna intenzione di assimilazione»6.

La condizione per vivere realmente l’ospitalità è l’aver vissuto la necessità diessere accolti. Finché ci troviamo sempre nella posizione di chi che accoglie nellapropria casa, rischiamo di assumere un atteggiamento di superiorità. Quando siriceve un’ospitalità immeritata – ed io l’ho sperimentata spesso personalmente comePadre Bianco durante i 14 anni vissuti nell’Africa nera – si scopre la bellezza delmistero dell’ospitalità. Perciò è importante accogliere gli inviti che ci vengonorivolti dai credenti di altre religioni e di assumere, da parte nostra, l’atteggiamentodei monaci cristiani che hanno accettato di soggiornare per diverse settimane odiversi mesi come ospiti in un monastero zen, per esempio. In compenso, essi hannopreso maggiormente coscienza della ricchezza della loro tradizione. È un’esperienzadi povertà, di rischio e perfino di non-accoglienza …

Abramo, il primo riferimento biblico di ospitalità, era lui stesso un pellegrino,un viaggiatore che spesso ha dovuto chiedere ospitalità. Il Deuteronomio ricorda alpopolo ebraico: «Amerai lo straniero, perché nel paese d’Egitto anche voi siete statistranieri» (Dt 10,19). O, nel Vangelo, non è forse proprio un Samaritano in viaggioche ha soccorso il viaggiatore ferito? (cf. Lc 10,33). E Gesù stesso, che ha posto lasua tenda tra noi, non aveva un posto dove posare il capo (Lc 5,98)». Quanto alla

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Accogliere l’altro nella propria casa, significa anche creare un posto nel propriospazio interiore. In questo modo l’ospitalità può essere vissuta come un autenticocammino spirituale. Infine, come abbiamo visto nell’icona di Roublev, dove Sara eAbramo sono scomparsi dalla scena, è il Dio trino, nel suo amore di comunione, checi accoglie in lui e si rivela come la sorgente di ogni ospitalità7.

Il mistero cristiano della visitazione

Sempre in riferimento alla tradizione monastica voglio rievocare l’«ospitalitàreciproca» rappresentata dalla Visitazione di Maria ad Elisabetta. Il Priore diThibhirine, Christian de Chergé, che fu assassinato insieme a sei frati nel 1996, siinserisce in una tradizione che lo ha preceduto insieme a Charles de Foucauld, AlbertPeyriguère, Abd-el-Jalil e altri. Egli si è soffermato più volte sul significato delmistero della visitazione alla cugina Elisabetta per il dialogo interreligioso. Già nel1977, egli paragonava il gesto di Maria di rendere visita a sua cugina Elisabettaall’atteggiamento del promuovere l’incontro interreligioso. Fiducioso nell’azionedello Spirito Santo nel cuore di tutte le persone di buona volontà, egli scrive: «Negliultimi tempi, sono giunto alla convinzione che questo episodio della Visitazione èil vero luogo teologico-biblico della missione, nel rispetto dell’altro in cui già operalo Spirito. Mi piace questa frase di Sullivan (nei Matinales) che ben riassume tuttoquesto: «Gesù è colui che arriva quando Dio parla senza ostacoli nel cuore umano».In altre parole, quando Dio è libero di parlare e di agire senza ostacoli nella coscienzadi una persona, quella persona parla ed agisce come Gesù (…) »8. Questo è insintonia anche con quanto ha scritto il papa Giovanni Paolo II nella RedemptorHominis: «L’atteggiamento missionario inizia sempre con un sentimento di profondastima di fronte a ciò che “è in ogni uomo”, per ciò che egli stesso, nell’intimo delsuo spirito, ha elaborato riguardo ai problemi più profondi e più importanti; si trattadi rispetto per tutto ciò che in lui ha operato lo Spirito, che “soffia dove vuole”»(RH 12, sottolineatura dell’autore).

Perché questo legame tra la missione e la Visitazione? Christian de Chergé simette al posto di Maria che, dopo l’Annunciazione, va in fretta a visitare la cuginaElisabetta perché aveva saputo che era incinta di sei mesi. Maria non viaggiasolamente per andare in aiuto di una cugina anziana per la sua gravidanza imprevista.Per Maria tale gesto significa anche accogliere e celebrare, in certo modo, il misterodella propria gravidanza, in riferimento a quella – altrettanto misteriosa – dellacugina. Entrambe custodiscono un segreto in rapporto all’opera salvifica di Dio perl’umanità, per l’azione dello Spirito Santo. Maria porta in sé la “buona novellavivente”, ma come potrà svelare un tale segreto? Non conosce il legame che esistetra il bambino che si sta formando in lei e il bambino già formato nel seno di suacugina. Il priore di Thibhirine paragona qui Maria alla Chiesa che porta anch’essadentro di sé questa Buona Novella. Questo vale per ciascuno di noi, ha detto ai

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religiosi presenti in Marocco, ai quali predicò un ritiro nel 1990. Diceva loro: «Noisiamo venuti qui un pò come Maria … in primo luogo per servire … infatti questaera la sua prima motivazione … ma anche per portare questa Buona Novella … Inche modo possiamo annunciarla? E noi sappiamo che coloro che siamo venuti adincontrare, sono un po’ come Elisabetta, portatori di un messaggio che viene daDio … (…) E io vado incontro ai musulmani senza sapere qual è il rapporto [traCristo e l’Islam]». In seguito, rievocando lo stesso incontro tra le due donne, dice:« (…) questo semplice saluto [di Maria] ha fatto vibrare qualcosa, qualcuno nel senodi Elisabetta. E in quella vibrazione qualcosa è stato detto, cioè la Buona Novella,non tutta la Buona Novella, ma ciò che di essa poteva essere percepito in quelmomento». Ed egli evoca con sensibilità il sussulto di questi due bambini nel senodelle due donne, come se si fossero riconosciuti.

Egli trae da questo una lezione importante per l’incontro interreligioso: « Se noisiamo attenti e se ci situiamo a quel livello, il nostro incontro con l’altro – con imusulmani – nell’attenzione e nella volontà di accogliere l’altro … e anche in questobisogno di ciò che l’altro è e di ciò che egli ha da dirci… probabilmente, l’altro cidirà qualcosa che va a toccare ciò che noi portiamo (la Buona Novella), mostrandoche è in sintonia con essa e permettendoci di allargare la nostraEucaristia9». Troviamo qui il legame tra il Magnificat e l’Eucaristia, due azioni digrazia nella lode, al cuore della Chiesa. Nello stesso modo in cui Elisabetta haproclamato il Magnificat di Maria, così l’incontro nella verità con un altro credente,in cui lo Spirito è all’opera, provoca nel cristiano un Magnificat, una Eucaristia perDio che è molto più grande del suo cuore e dei suoi pregiudizi.

Questo Cantico può diventare un cantico a due voci, così come si deve esseresempre in due a scavare un pozzo. Qual è il legame? Lo afferma Christian de Chergé,ricordando il suo rapporto con un giovane vicino musulmano che gli aveva chiestodi insegnargli a pregare … secondo la fede musulmana. Questo ci dà un’idea delclima di fiducia che i monaci di Thibhirine avevano creato con il vicinato delmonastero. Un giorno, dopo un lungo periodo di lontananza, Christian ritrova questogiovane che gli dice: «È da molto tempo che non scaviamo il nostro pozzo ». Questafrase dell’altro – il musulmano – ha fatto nascere in Christian un Magnificat. Questaespressione è quindi rimasta dentro di lui fino al giorno in cui il Priore ha chiestoal giovane scherzando: « In fondo ai nostri pozzi, secondo te, cosa troveremo: acquacristiana o acqua musulmana?». Il giovane, prendendo seriamente la domanda,rispose: « Abbiamo trascorso tanto tempo insieme e tu fai questa domanda? Al fondodei nostri pozzi troveremo l’acqua di Dio10» … Se noi ponessimo la stessa domandaai credenti di altre tradizioni che vengono a Lourdes per bere l’acqua, riceveremmolo stesso genere di risposta.

Comprendiamo, allora, perché la Visitazione sia diventata quasi una festapatronale dell’abbazia di Nostra Signora di Atlas, come indicato dall’attuale prioredella trappa che porta lo stesso nome, che si trova in Marocco, a Midelt. La statuadi Nostra Signora di Atlas che domina la regione di Thibhirine, è stata posta dalla

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prima trappa di Staouëli ed è stata donata da Charles de Foucauld. Ora, scrivel’attuale priore Jean-Pierre Flachaire : « (…) questa statua di Nostra Signora di Atlas(…) è una vergine incinta con la testa di un piccolo angelo sulla cintura … Maria cheporta Gesù, Maria nella sua Visitazione … In tutta fretta verso l’altro … NostraSignora nella sua Visitazione … Nostra Signora di Atlas ha compiuto la suamissione …» e precisa che i sette frati sono stati rapiti il giorno dopo la celebrazionedell’Annunciazione e sono stati ritrovati il giorno dopo della festa della Visitazione,il 30 maggio 1996.

Abramo e la sua ospitalità, Maria nella sua Visitazione ad Elisabetta, Thibhirinecon i suoi martiri: sono alcuni dei volti che possono aiutare a dare significato aldialogo interreligioso e comunitario nel quotidiano.

1 Benoît Billot, « DIM-MID, L’aventure dudialogue interreligieux», La Vie Spirituelle,n ° 731, juin 1999, p. 253.

2 Par la foi et l’hospitalité, Publications deSaint-André, Cahiers de Clerlande n°4,1997, p. 7.

3 Ibidem.

4 Ibidem, p. 8.

5 Ibidem, p. 15.

6 Ibidem, p.17.

7 Ibidem, p. 35. Vedere anche, dello stessoautore L’Hospitalité sacrée entre lesreligions, Paris, Albin Michel, 2007.

8 Citato da Jean-Pierre Flachaire, « Notre-Dame de l’Atlas, en Afrique du Nord : uneprésence de « Visitation » selon Christiande Chergé », in Chemin de Dialogue, 26,2005, ISTR de Marseille, p. 166.

9 I riferimenti a questo ritiro si trovanonell’articolo citato.

10 Ibidem, p. 170.

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IL RUOLO DELLA SPIRITUALITÀ NELLACURA DELL'AMBIENTE

Fr. Eduardo Agosta Scarel, O. Carm.

Eduardo Andres Agosta Scarel è membro dell’Ordine Carmelitano fin dal1999. Ha conseguito un Master in Scienze Atmosferiche (2000) ed undottorato in Scienze atmosferiche ed oceaniche (2006) presso l’Universitàdi Buenos Aires. Ha svolto studi post-dottorato in Dinamiche dellaTroposfera e della Stratosfera (Upper Toposphere/Lower StatosphereDynamics) (2008). I suoi articoli sono stati pubblicati in numerose rivistenazionali ed internazionali. Attualmente è docente presso la PontificiaUniversità Cattolica Argentina in Buenos Aires, Argentina, ed è unricercatore del Consiglio Nazionale della Ricerca Tecnica e Scientifica.

Originale in inglese

difficile da immaginare, o perfino sospettarne la realizzazione. Giustizia e Pace nonpossono più rimanere confinate alla promozione e alla lotta per i diritti umani legatial territorio, al cibo, all’acqua potabile, alla salute, al lavoro, all’educazione o alladifesa delle minoranze ed alla lotta contro la tratta di esseri umani, esempi questi deitanti problemi che ancora affliggono centinaia di migliaia di persone con una elevataincidenza in tutto il mondo. Giustizia e Pace aprono un nuovo orizzonte, come maiprima d’ora, nella cura della creazione, per integrare le cose create come parteintegrante della dignità della vita per tutti gli esseri umani. Abbiamo imparato cheprenderci cura della Natura - l’unico spazio che accoglie la vita umana – edell’atmosfera - la coperta che la riscalda -, è così importante per l’evangelizzazionecome il prendersi cura di ogni singola vita umana, dalle prime fasi della vita fino allamorte. Come carmelitano ho imparato che la contemplazione non è un dinamismostatico, ma lo spazio umano interiore dal quale la spiritualità si diffonde in tutta lacreazione.

L’intera realtà, quella spirituale e quella fisica, a sua volta, potrebbe essereconsiderata alla luce del dinamismo Trinitario: la Potenza Divina, l’Umanità e le

ttualmente nella Chiesa vi è una crescente consapevolezza e sensibilità difronte al fenomeno del degrado ambientale come parte della nostramissione per la Giustizia e la Pace, che un decennio fa sarebbe stata

Introduzione

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(altre) Cose Create (sia visibili che invisibili), in compenetrazione reciproca,essendo la Potenza Divina, lo Spirito di Dio, la sorgente che avvolge e sostiene larealtà. La contemplazione di tale realtà è una chiamata a scoprire o ad essereconsapevoli della potenza dell’amore di Dio nell’umanità, che si concretizza in ogniessere umano e nelle cose create. E tale processo richiede una profondatrasformazione dell’essere umano attraverso la preghiera, la comunità e il servizio,che sono i percorsi verso la Contemplazione.

Inoltre, l’Ecologia (oikos-logos, in greco) è l’attività umana che si occupa dellacura globale della Natura, cioè delle Cose Create e dell’Umanità, al fine di regolarele relazioni interne (logiei) tra loro, sulla Terra, la nostra casa (oikos). Una curaglobale comporta anche la considerazione della dimensione Divina, spessodimenticata. Pertanto, l’espressione crisi ecologica, o crisi ambientale, significa chela cura globale di tale relazione è a rischio. Probabilmente la crisi sorge per l’assenzadella dimensione divina della realtà che riscontriamo nel comportamento in attonelle società occidentali. Le radici dell’attuale crisi ecologica sembrano esserecollegate al modo in cui si sviluppano le relazioni umane nei confronti del Divinoe della Natura. In tal caso, la Contemplazione può essere considerata come il modoessenziale per recuperare la dimensione divina della realtà. Quindi, la preghiera, lacomunità e il servizio devono rimanere in connessione l’una con l’altra per prendersicura della Natura. Questo è il legame tra spiritualità ed ecologia.

Le radici spirituali della crisi ecologica

Per comprendere il legame tra ecologia e spiritualità è necessario, anzitutto,considerare la contemplazione come un cammino spirituale intimamente connessocol processo di consolidamento dell’auto-consapevolezza degli esseri umani, cheintegra sia il lato oscuro che quello luminoso della personalità, che è parte di uncammino continuo verso la maturità dell’affettività, dell’intelligenza e della sessualitàumana. Questi tre fattori della vita umana possono essere considerati come aspettidel dinamismo del desiderio umano. Tale integrazione ha bisogno e si realizzatramite una proposta etica ed esistenziale. Ad esempio, per i carmelitani, quellaproposta etica ed esistenziale è vivere la vita in fedeltà a Gesù Cristo (RegolaCarmelitana, 1) e tutte le sue conseguenze contenute nella nostra regola di vita.Pertanto, essa si rivela un itinerario spirituale verso una crescita in umanità. Dio ciha creati per questo: per una continua crescita in umanità mentre manteniamorelazioni armoniche con tutte le cose create e con Dio, secondo il dinamismotrinitario citato prima. In secondo luogo, abbiamo bisogno di comprendere che leradici dell’attuale crisi ecologica sono umane e non semplicemente tecniche oscientifiche, come se i problemi ecologici fossero solo una questione legata aiprofondi cambiamenti verificatisi nella tecnologia, in base ad ogni problemaambientale, per esempio, non si tratta solo di un cambiamento verso le nuovetecnologie “pulite”. Se così fosse, non parleremmo di crisi.

L’attuale crisi ecologica evidenziata, tra l’altro, dal cambiamento climatico,

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dall’esaurimento delle riserve energetiche, dal crescente divario tra ricchi e poveri,etc., pare abbia avuto inizio con la crisi dell’essere umano. Durante il secolo scorsosi sono consolidati cambiamenti sociali molto profondi. É notevolmente cambiataspecialmente la nostra concezione degli esseri umani. Siamo passati dal considerarcicome esseri umani, dotati di ragione, autosufficienza e libertà, capaci di fare scelteriguardo a ciò che consideriamo migliore ed appropriato per ciascuno di noi, ad unaconcezione dell’essere umano eternamente insoddisfatto, cui la tecnologia, comeuna amabile tata, viene incontro ad ogni bisogno e desiderio.

Da sempre l’umanità ha sperimentato l’insoddisfazione, che emerge a livellosociale come una violenza endogena o come una violenza innata che porta allarivalità e alla lotta per la sopravvivenza. Allo stesso modo, spesso le società devonocontrastare tale violenza tramite diversi meccanismi in grado di incanalare il poterepolarizzato che potrebbe essere autodistruttivo. Per esempio, le tradizioni e lereligioni, con i loro riti e costumi, contribuiscono a contenere o limitare l’espansionedi queste forze violente, nate interiormente, dovute alla frustrazione del desiderioumano a livello sessuale, affettivo ed intellettivo.

Quando dico che la tecnologia ci appare come una madre acconsenziente checi concede ogni cosa che desideriamo ‘qui e ora’, intendo anche dire che grazie allatecnologia sono stati raggiunti molti traguardi, che ci hanno permesso di farestraordinari passi avanti verso nuove capacità umane per trasformare la nostra naturae per migliorare ed abbellire la qualità della vita. E questo è buono. Oggi possiamogodere di un vasto sviluppo tecnologico, che rende le nostre vite più comode e piùsane, grazie alla crescente conoscenza scientifica (il lato luminoso). Tuttavia, losviluppo tecnologico è stato utilizzato da modelli economici e culturali perconsolidare un programma di vita sociale e pragmatico, che possiamo definire comestile di vita tecnocratico occidentale. Le leggi o i motti che regolano le societàoccidentali sotto il regime tecnocratico sono ben conosciute da tutti: “crescere omorire”, altrimenti rimarrai fuori dal sistema; “uscire e comprare per combattere ladisoccupazione”, disoccupazione è ora una nuova parola tabù; “quantità eaccelerazione”, ogni cosa deve essere fatta alla velocità dei computer e su scalaindustriale; e così via. Di conseguenza, i ritmi umani tradizionali ed i cicli dellaNatura sono considerati obsoleti dai nuovi codici. Apparentemente non siamoconsapevoli del fatto che il modello tecnocratico di sviluppo umano sia unacostruzione umana. É indispensabile comprendere che non si tratta di una forzanaturale incontrollabile alla quale dobbiamo sottometterci, come spesso tendiamo acredere persino nelle nostre comunità.

Inoltre, l’economia convenzionale appartiene al modello tecnocratico disviluppo umano. Essa si fonda sulla logica della insoddisfazione del desiderio o, inaltri termini, sulla logica della violenza innata. L’economia occidentale rafforza larivalità tra desiderio umano e avidità, producendo abbondanza di beni per alleviaretemporaneamente la tensione del desiderio.

Inoltre, le società globalizzate, guidate dalle leggi della tecnocrazia, hanno

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creato i loro miti, come ad esempio “il male è irreale”. L’irrealtà del male è intesacome l’assenza di beni materiali, che è improprio collegare a tutto il dolore el’angoscia presenti nella vita reale (come, ad esempio, le malattie, la morte,l’ingiustizia sociale, etc.). Questo mito implica, nella cornice tecnocratica, che ildesiderio e l’avidità sono inoffensivi perché emulano la relazione tra produttore econsumatore.

Altre convinzioni delle nostre società globalizzate sono: meglio pieno chevuoto, meglio molto che poco, meglio grande che piccolo. Quindi, dobbiamoriempire tutto, avere tutto, conoscere tutto. Questi principi si traducono incomportamenti pragmatici, come ad esempio, la premessa sociale che ognuno deveavere successo professionalmente, come sinonimo di realizzazione. Nella nostracultura non c’è più spazio per esperienze di gratuità, come quella che possiamosperimentare nel semplice atteggiamento di guardarsi intorno senza avere altroobiettivo che il semplice guardarsi intorno, dato che contemplazione è una parolastrana.

Finora abbiamo visto che abbiamo un modello di sviluppo sociale basato suun’economia del desiderio-insoddisfatto. A questo punto appare il primo dilemmaecologico: il desiderio umano è un dinamismo psicologico-spirituale che può esserefacilmente manipolato da fattori esterni alla libertà ed alla capacità decisionale diogni individuo. Questo fatto si osserva all’interno del fenomeno dellaglobalizzazione, in cui i cambiamenti nella tradizione favoriscono la frammentazionesociale (personalmente, credo che le attuali leggi sociali inaspettate, quali ilmatrimonio tra persone dello stesso sesso, le famiglie divise, l’aborto libero, ilmercato comune tra pochi paesi vicini, etc., abbiano contribuito alla frammentazionesociale che è a vantaggio di una economia del desiderio-insoddisfatto) e la moda deibeni e servizi per il consumo indotta dalla pubblicità, diventano tutte forze esterneche ci controllano irresistibilmente dall’interno. Non consumiamo più quelle cosedi cui abbiamo bisogno, ma tutto ciò che ci viene offerto, senza distinzione (quanticellulari avete cambiato o siete stati costretti a cambiare negli ultimi tre anni?). Oggi,abbiamo nuovi bisogni che prima non esistevano. Le novità tecnologiche ci appaionocome piccoli paradisi artificiali che sono aggiornati ogni giorno per potersi adattareal nostro mondo sempre più frammentato. Quindi, il consumismo è stato impostocome l’unica modalità di sviluppo della vita occidentale. È stato imposto dai fortiinteressi nell’economia locale da parte delle imprese globali. Ci viene insegnato chel’unico scopo della vita è il “profitto” ed ogni attività umana tende ad aumentarlo.La massimizzazione del profitto è a discapito di tutto, ad esempio, a discapito dellavita di molte persone e dell’ambiente. Il vero costo dell’entropia (che riguarda laresilienza o la capacità di auto-recupero di ogni ecosistema, incluso quello umano)è l’ipoteca esistenziale che pesa sulle future generazioni. In futuro, esse non avrannorisorse energetiche sufficienti per vivere (dato che ora noi stiamo consumando lamaggior parte delle risorse al minimo costo ed al massimo guadagno).

Un secondo dilemma umano, radicato nel cuore degli esseri umani, è il

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seguente: il desiderio umano è illimitato. Secondo San Giovanni della Croce, ilcuore dell’essere umano può essere soddisfatto solo dall’Infinito. L’infinito cui eglifa riferimento è, chiaramente, Dio stesso. Per questo motivo, quando il desiderioviene liberato su scala globale, le risorse naturali sono insufficienti a soddisfarlo. Laterra implode. I limiti fisici del pianeta, che risultano essere troppo piccoli aconfronto, sono evidentemente i limiti naturali alla economia del desiderio-insoddisfatto.

Esiste un altro limite umano tra il desiderio umano illimitato e l’economiabasata su di esso, che influenza negativamente la salute della terra: le nostre azioniquotidiane sono eseguite a livello locale, ma i loro effetti sono globali e noi nonsiamo consapevoli di questa realtà. Quindi, l’attuale crisi ecologica può esseresintetizzata, tramite il noto problema del Cambiamento Climatico, nel modo seguente:

Il Riscaldamento Globale è un sintomo che il modello globale socio-economicoè di per sè insostenibile. La temperatura planetaria aumenta perché sono emessicontinuamente Gas Effetto Serra (gas quali l’anidride carbonica, etc.). Gli aumentidelle emissioni di Gas Effetto Serra (GHG) sono dovuti al consumo di energiaproveniente soprattutto da petrolio, gas naturali e carbone. Contemporaneamente, il90% del consumo globale di energia proviene dalle fonti di energia non rinnovabili,molte delle quali cominciano ad esaurirsi (si dice che l’energia proveniente dalpetrolio sarà disponibile per altri 30/50 anni al massimo). L’alta richiesta di energiaproviene da quelle società altamente sviluppate (il 25% della popolazione globale)il cui stile di vita è caratterizzato da un consumo esorbitante (consumismo).Quest’ultimo termine significa che consumiamo più di quanto abbiamo bisogno acausa della manipolazione del desiderio umano tramite continue novità e esperienzesuggestive che bombardano la nostra vita attraverso i mass media (Prova! Just doit!).

Inoltre, come conseguenza degli attuali modelli globali di sviluppo e diconsumo, l’ingiustizia sociale è una questione comune in molte parti del mondo. Ilconsumismo è uno stile di vita lussuoso, se paragonato allo stile di vita della metàdella popolazione globale, ad esempio, solo poche società tecnologicamentesviluppate godono di standard di benessere, esaurendo le risorse globali. Secondola FAO, un quarto della popolazione mondiale, consuma irreversibilmente l’80%delle risorse della terra per sostenere un alto tenore di vita.

Questo è il motivo per cui ritengo che la spiritualità possa essere sia unaproposta ecologica che un cammino personale verso una trasformazione guaritiva.L’insegnamento dei nostri maestri, quali Giovanni della Croce, Teresa D’Avila,Giovanni di San Sanson, per citarne alcuni, si basa principalmente sul tradizionaledinamismo spirituale carmelitano del vacare-deo. Secondo questa tradizionecontemplativa, il cammino spirituale rende maturo il desiderio umano. In altreparole, per rendere maturo il desiderio umano abbiamo bisogno di incanalare lenostre forze interiori verso obiettivi sani sia a livello individuale che sociale conevidenti effetti guaritivi nei confronti della creazione.

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Il percorso di guarigione ecologica e personale

Il dinamismo del vacare-deo (letteralmente, svuotarsi per Dio) o il dinamismodel vivere alla presenza di Dio, implica il riconoscere la fondamentale priorità di Dionella nostra vita. Giovanni della Croce diceva che il desiderio umano più profondoè il desiderio di Dio. Per questa ragione il desiderio umano sembra averecaratteristiche talmente strane da stupire gli psicologi di tutti i tempi: il desiderioumano è una infinità di tutto e di niente nello stesso tempo, per cui è ambiguo. Questosignifica che noi vogliamo tutto e adesso e da ogni dove, ma non sappiamoesattamente cosa vogliamo. È il desiderio dell’Impossibile (Cf. Carlos DominguezMorano, uno psicologo gesuita).

Pertanto, il percorso esistenziale e spirituale degli esseri umani, per tutta la vita,è fare attenzione e fare ogni sforzo per ciò che conta veramente, come ha fatto Mariaseguendo il consiglio di Gesù (Luca 2,19). Solo quando una persona è centrata, adesempio, quando tutte le forse del suo desiderio sono incanalate in e verso Dio, alloraè possibile raggiungere equilibrio e pace. L’insegnamento di Giovanni della Croceè molto chiaro a riguardo:

“Il lettore discreto ha sempre bisogno di tenere a mente l’intenzione e lo scopoche ha questo libro, che è la direzione dell’anima, attraverso tutte le sue ansie,naturali e soprannaturali, senza inganno o impedimento, in purezza di fede, verso ladivina unione con Dio (2A 28,1)”.

Quindi, l’obiettivo principale del santo carmelitano è aiutare le persone atrovare la loro direzione verso Dio, andando dentro di sé, perché il centro dell’animaè Dio (Cantico 1, 12). Il suo poema, “Il Cantico Spirituale”, definisce squisitamentel’itinerario spirituale ed esistenziale degli esseri umani:

La sposa

1. Dove ti sei nascosto, Amato?Sola qui, gemente, mi hai lasciata!Come il cervo fuggisti,dopo avermi ferita;gridando t’inseguii: eri sparito!

2. Pastori, voi che andretelassù, per gli stabbi al colle,se mai colui vedreteche più d’ogni altro amo,ditegli che languo, peno e muoio.

3. In cerca dei miei amori,mi spingerò tra i monti e le riviere,non coglierò fioriné temerò le fiere,ma passerò i forti e le frontiere.

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domanda alle creature

4. O boschi e fitte selve,piantati dalla mano dell’Amato!O prato verdeggiantedi bei fiori smaltato,ditemi se qui egli è passato!risposta delle creature

5. Mille grazie spargendoqui pei boschi s’affrettavae, mentre li guardava,la sola sua presenzaadorni di bellezza li lasciava.…..

Il Cantico di Giovanni della Croce descrive l’origine del desiderio umanoillimitato: la ferita inferta da Dio (versi 1 e 2), che lascia l’anima in una terra arida,deserta e senz’acqua (Salmo 62). La ferita dell’Amato permette agli esseri umanidi uscire da se stessi, sviluppando le loro potenzialità per affrontare la realtà (versi3 e 4). I fisiologi sostengono che una delle funzioni del dinamismo del desiderio/insoddisfazione è lo sviluppo progressivo del fisico umano, della personalità, ininterazione con l’esterno. Nel ‘registro’ spirituale, noi usciamo per cercare diguarire la ferita, visitando l’intera creazione e chiedendo ad ogni creatura, ad ognipersona e ad ogni cosa: Dio è passato da qui? (verso 4). Il dramma principale èquello di essere troppo esigenti con le creature, chiedendo loro di occupare il postodi Dio, perché rimaniamo colpiti dalla loro bellezza. Questa è sempre la tentazione:rendere sia le cose create (sia i beni materiali che spirituali, come il successo, ilpiacere, la felicità, il sesso, il potere, la scienza, etc.), che le persone, i nostri idolio gli dei che rispondono ai nostri desideri.

Tuttavia, non vi è nulla e nessuno sulla terra che può prendere il posto di Dionei nostri cuori, lo spazio vuoto a Lui riservato. La ferita divina può essere guaritasolamente dallo Spirito di Dio. La dottrina di Giovanni della Croce spiega che ildesiderio umano corre sempre il rischio di frammentarsi in molteplici desideriattaccati smodatamente a cose e persone. Il frate carmelitano ci mette in guardia daquesto attaccamento, utilizzando la purificazione del desiderio, che consistenell’orientare le nostre forze interiori del desiderio verso Colui che può davveroaiutarci a godere la vita umana in abbondanza di armonia e di pace. “L’oscura nottedell’anima” ha a che fare con questo processo. Durante la notte, le dipendenze e idesideri inconsci non sono un ostacolo da eliminare o da far scomparire, ma daaffrontare e superare tramite il processo di svuotamento che avviene nella notte. Losvuotamento spirituale non significa mancanza di cose materiali o di beni spirituali(dei quali abbiamo bisogno perché non siamo angeli), ma riguarda il contenerel’appetito per essi o l’interesse esagerato per essi e quindi:

“Per questa ragione noi chiamiamo questo distacco, notte dell’anima, perché

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qui non trattiamo della mancanza di cose, dal momento che questo non implicadistacco da parte dell’anima se ha desiderio di esse; ma trattiamo del distacco da essedel gusto e del desiderio, perché è questo che lascia l’anima libera e priva di esse,anche se essa li possiede; perché non sono le cose di questo mondo che possonooccupare l’anima o danneggiarla, in quanto non entrano in essa, ma è piuttosto ildesiderio di esse, perché è questo che dimora in essa” (1A 3, 4).

Quindi, l’itinerario spirituale carmelitano dell’anima riguarda l’interioritàdell’essere umano come un recipiente che deve essere svuotato dalle cose, adesempio, essere liberato dai carichi pesanti per poter essere riempito da Dio durantetutta la vita. Il passaggio attraverso le notti è il processo di svuotamento o di distaccodai beni e dai pesi, rendendo la persona matura nel suo desiderio. Mentre la personaprogredisce nel cammino di maturazione dei desideri e si avvicina all’unione conDio, inizia un nuovo processo di riempimento con la realtà nascosta di Dio. L’unionedell’anima con Dio è, secondo Giovanni della Croce, la pienezza e il calore. Soloquando ci svuotiamo delle sicurezze umane (il sapere, il possesso, il potere)possiamo scoprire il nostro vero valore: non è nel sapere, nel possesso o nel potere,ma in Dio stesso che riempie la vita umana.

Ma, le nostre società sconsacrate non hanno altri modi per affrontare ildesiderio umano illimitato che incitarlo al consumismo. Oggi, ci troviamochiaramente di fronte alle conseguenze di un’umanità senza Dio. I disastri naturali,il cambiamento climatico e l’inquinamento dell’acqua, l’ingiustizia sociale,l’impoverimento dei nostri popoli, esempi questi di alcune questioni ambientali esociali, rispondono ai modelli di sviluppo insostenibile di produzione e di consumosostenuti da un’economia fondata sul desiderio umano eternamente insoddisfattoche non lascia spazio a Dio.

Considerazioni ecologiche conclusive

La chiamata spirituale alla contemplazione, come illustrata nell’itinerario dimaturazione del desiderio umano di Giovanni della Croce, è una proposta diguarigione sia delle persone che del pianeta. Fino a quando gli esseri umani nonabbandoneranno la convinzione che la loro realizzazione risiede nel riempirematerialmente tutto, non saranno in grado di liberare la terra dall’obbligo disoddisfarli all’infinito, rispondendo al loro desiderio insaziabile. Questa propostanon è certamente facile perché richiede, come primo passo, la fede in Dio, il sensodella trascendenza della vita e l’accoglienza dei valori umani della gratuità e deldono, oltre la logica della soddisfazione immediata e del consumo. Tuttavia, lepersone avrebbero bisogno di sperimentare un’energia diversa e più grande cheproviene da un amore diverso e migliore, che è quello di Dio stesso, allo scopo dipoter avere il coraggio e la tenacia di rinnegare più facilmente se stessi e tutte lealtre cose, avendo posto il proprio piacere in Lui e ricevendo da Lui la sua forza(1A 14,2). Quindi, l’esperienza dell’amore di Dio può aiutare a riorientare le forzeinteriori verso uno stile di vita più austero e semplice, in modo da rifiutare o mettere

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da parte i bisogni di piacere e di soddisfazione immediata. In definitiva, questorichiede sacrificio, nel senso positivo, come una speranza che è paziente e unarinuncia allegra e compiacente per qualcosa di più grande e migliore per la nostravita.

In poche parole, il cammino spirituale contemplativo della trasformazionetramite la preghiera, la comunità e il servizio porterebbe ad una guarigione personale,comunitaria e planetaria, in quanto questi elementi spirituali possono aiutarci adesserne consapevoli che:

* Poche cose sono davvero importanti per la nostra vita (austerità come stile di vitapersonale e comunitario)

* Il poco è spesso molto e sufficiente (sufficienza: Dio basta!, usava dire SantaTeresa D’Avila)

* L’insoddisfazione è parte del cammino della nostra vita (tranquilla accettazionedi questo fatto)

* Le aspirazioni e i desideri umani sono infiniti perché sono fatti per Dio.

Non c’è dubbio che l’umanità si trova di fronte alla sua capacità auto-distruttiva, che era limitata in passato dal sacro, ma che ora sembra essere illimitata.Senza una crescita nella consapevolezza della dimensione divina della realtà lacatastrofe ecologica sembra essere inevitabile. È il momento della contemplazioneper scoprire ancora una volta che il desiderio umano illimitato è un segno dellavocazione umana verso Dio, attraverso le persone e la Natura, in altri termini, unacrescita in umanità.

Nelle nostre comunità dobbiamo riconoscere che le nostre azioni, anche selocali, hanno effetti globali. Per questo è urgente cambiare i nostri modelli di vitacomunitaria che influenzano la salute del pianeta. Dobbiamo anche cercare dilavorare per lo sviluppo di una nuova economia dei bisogni umani e non perun’economia della massimizzazione dei profitti che va semplicemente contro tuttoe tutti. Il tempo attuale ci spinge ad aiutare altre persone a diventare consapevoli delbisogno di preservare la qualità della vita e l’esistenza di tutte le creature sulla terra,perché possano essere capaci di andare e proclamare che Lui, Dio, ci è passatovicino e ci ha avvolti nella sua bellezza.

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IL MODO IN CUI LA SACRA SCRITTURA

FORMA E MODELLA LA VITA RELIGIOSA

UN CONTRIBUTO ANGLICANO

Sr . Avis Mary, SLG

Congregazione Suore dell’Amore di Dio, Fairacres, Oxford, England

Conferenza tenuta in occasione dell’incontro del CIR a Triefenstein,Germania, 25-30 giugno 2010

Originale in inglese

con il tema del silenzio. Dirò anche qualcosa circa l’eredità e la tradizione anglicanaprima di parlare dei tre modi particolari in cui credo che lo Spirito Santo formi emodelli la vita religiosa anglicana.

Lo scorso anno, P. Christopher Jamieson, un benedettino della Abbazia diWorth, nel sud-est dell’Inghilterra, è stato invitato dalla rete televisiva BBC aguidare cinque persone molto diverse in un viaggio nel silenzio. Si trattava di unesperimento, per vedere cosa sarebbe successo. La storia di quel viaggio è stataraccontata in tre programmi, della durata di un’ora, nel settembre 2010. I partecipantihanno trascorso un fine settimana insieme nell’Abbazia di Worth, per essereintrodotti al silenzio monastico ed alla pratica della meditazione. Poi, sono tornatia casa per una settimana, per cercare di mettere in pratica quanto imparato, nella lorofrenetica vita quotidiana e tutti, eccetto uno, fallirono completamente! In seguito,sono andati insieme a S. Beuno, un Centro per esercizi tenuto dai gesuiti nel Galles,per un ritiro di otto giorni guidato individualmente, durante il quale ad ognuno di loroera permesso di parlare solo col direttore del ritiro e ad un video-diario. Ognuno diloro, per la rabbia, la noia, la frustrazione e la solitudine, ha vissuto esperienze qualil’affrontare l’infelicità del passato: il dolore non risolto, la violenza, il rifiuto dellafamiglia, etc. Forse, inaspettatamente, tutti e cinque, sono arrivati a vedere il silenziocome un mezzo per accedere alle dimensioni nascoste della loro vita. Ognuno ha

entre preparavo questo lavoro, mi è venuta in mente una parola-chiave:‘silenzio’, l’importanza del silenzio per permettere alla Sacra Scrittura diformare e modellare la nostra vita religiosa. E, quindi, inizierò e terminerò

Introduzione: Il Silenzio e le Scritture

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ammesso davanti alla telecamera che questa era stata un’esperienza decisiva dicambiamento di vita che aveva avuto come risultato dei significativi cambiamenti.

L’esperimento col silenzio si è svolto nel contesto della vita religiosa – primaal monastero benedettino di Worth e poi sotto la supervisione della tradizionegesuitica – e il legame col nostro tema è che la Sacra Scrittura è stata un elementocentrale in ciò che è stato offerto ai partecipanti. Nella serie televisiva abbiamo vistoi partecipanti rispondere a domande su quanto avevano letto e meditato nelleScritture, testi che erano loro completamente sconosciuti prima di allora. Uno diloro, David, è andato nella campagna gallese, per riflettere sul racconto della nativitàdi Luca e sugli angeli che apparvero ai pastori ed ha sentito dentro di sé una voceche gli diceva (come avevano detto gli angeli): “Non aver paura!”. Jon, un uomod’affari che era risolutamente anti-religioso disse: “Non c’è più bisogno di averpaura del silenzio. Il silenzio è come un amico. La paura è dentro di me”. Piansementre leggeva davanti alla telecamera il versetto del salmo che dice: “Lo stoltopensa: «Non c’è Dio».” 1; e tra le lacrime continuò a leggere: “Uno spirito contritoè sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi” 2.

Sia Worth che San Beuno appartengono alla tradizione cattolica romana, ma laserie televisiva intendeva mostrare ciò che la vita religiosa cristiana, in generale, puòoffrire alla gente per la loro vita quotidiana sempre più frenetica. Ho scelto questastoria come punto di partenza perché credo che ci possano essere risonanze, a questoriguardo, circa il punto di partenza per tutti noi, su ciò che ci ha spinto verso la vitareligiosa. Alcuni di noi fin dalla fanciullezza hanno conosciuto ed assimilato la fedecristiana. Altri l’hanno scoperta realmente solo più tardi nella vita. Ma, sareisorpresa se qualcuno dicesse che le Scritture, e particolari parole della Scrittura, nonhanno giocato un ruolo fondamentale nella loro decisione di abbracciare la vitareligiosa. E aggiungo anche che un certo grado di silenzio sia stato necessario perascoltare quelle parole nel nostro cuore. Possono essere state le parole a noi familiaridella chiamata, quali: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dalloai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” 3, oppure, “Eccomi, Signore,manda me!” 4 Oppure, parole in cui ci veniva chiesto tutto di noi, quali: “Amerai ilSignore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mentee con tutte le tue forze … Amerai il prossimo tuo come te stesso” 5.

Meditare le parole della Scrittura, permettere che ci parlino nel silenzio,lasciare che modellino il nostro modo di vivere, fino al punto di spingerci ad uncambiamento radicale: queste sono le fondamenta della nostra vita come cristianiimpegnati. Conoscere e riflettere sulle Scritture – o almeno sulle storie bibliche e suquanto esse possono insegnarci – è la conditio sine qua non, una cosa essenziale, inuna seria vita cristiana. Quindi, noi non consideriamo una cosa rara, quandoesaminiamo “il modo in cui la Sacra Scrittura forma e modella la vita religiosa” ecome questo è vissuto all’interno delle diverse denominazioni cristiane. Le Scritturesono state fondamentali per la vita cristiana persino quando la Bibbia non eradisponibile in lingua volgare. Nella tradizione della spiritualità cristiana, anche i

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maestri che non avevano ricevuto grandi opportunità educative, usavano per lariflessione ciò che avevano potuto apprendere dalle Scritture e hanno trasmesso adaltri, tramite il loro insegnamento e i loro scritti, ciò che essi stessi avevano ricevuto.Qui viene in mente la carmelitana del XVI secolo, Santa Teresa D’Avila. Essendouna donna, non ha avuto la stessa possibilità di studiare di cui ha goduto, peresempio, il suo collaboratore nella Riforma del Carmelo, San Giovanni della Croce.Inoltre, al tempo della Inquisizione spagnola, non era prudente per una donnadifendere la conoscenza delle Scritture. Tuttavia, lei desiderava che tutti i cristianiconoscessero tutti i segreti della Scrittura e, per lei, la vita spirituale deve conformarsiagli insegnamenti della Sacra Scrittura.

La vita religiosa, in quanto modo particolare di vivere la vocazione cristiana,è uno stile di vita che offre particolari aiuti alla riflessione, alla preghiera e allostudio biblico. In generale, come religiosi abbiamo più opportunità di tempi disilenzio rispetto a coloro che vivono una vita quotidiana frenetica (anche quandoquesto non ci sembra così, perché dobbiamo far fronte a richieste e bisogni crescenti,sia come cittadini del nostro mondo frenetico che come membri di comunità chestanno invecchiando!). Il nostro stile di vita è continuamente alimentato dalleScritture. Noi incontriamo i passi della Bibbia appena andiamo in cappella con inostri fratelli e sorelle. Le nostre Regole e Costituzioni contengono sezionisull’importanza della Scrittura e/o dell’Ufficio divino per la nostra vita di religiosie noi cerchiamo di fissare dei requisiti circa lo studio e la meditazione delle Scritture.Questo è il contesto in cui viviamo.

L’eredità anglicana

Prima di esaminare, in maniera più specifica, la tradizione anglicana della vitareligiosa, come un esempio particolare di questa consapevolezza cristiana generaledell’importanza delle Scritture come Parola di Dio, vorrei dire qualcosa circa ilcontesto generale dell’eredità anglicana, tornando al tempo della Riforma inInghilterra, perché l’anglicanesimo è realmente il prodotto della sua storia. Comemolti sapranno, il re Enrico VIII è stato il responsabile dello scisma con Roma edell’istituzione della Chiesa d’Inghilterra. Eppure la Riforma in Inghilterra ha avutoun corso diverso da quella nel Nord Europa, che è stata provocata prima dallaposizione assunta da Lutero, poi anche da Zwingli e Calvino. Henry ha persinoscritto un libro, in risposta a Lutero, intitolato La Difesa dei sette sacramenti, 6 peril quale, nel 1521, Papa Leone X gli diede il titolo di Fidei Defensor, Difensore dellaFede, un titolo ancora mantenuto ed utilizzato dal Sovrano britannico fino ad oggi.Enrico VIII ha rotto con Roma più per ragioni politiche e dinastiche, che per motiviteologici: si sopportava male l’interferenza di Roma negli affari di Stato, e questomalessere è esploso, quando il Papa non volle dare l’approvazione ad Henry perdivorziare e risposarsi, cosa che non avrebbe consentito ad Henry di continuare i suoitentativi per acquisire un legittimo erede maschio per il trono. Anche dopo la suascomunica ad opera di Papa Clemente VII nel 1538, Henry è rimasto un credente

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negli insegnamenti fondamentali della Chiesa.

Anche se i re e le regine successivi hanno dovuto affrontare le divisionireligiose nel regno, il modo in cui la Riforma arrivò in Inghilterra pose le premesseperché la Chiesa d’Inghilterra si considerasse sia Cattolica che Riformata.L’insediamento religioso della regina Elisabetta I nel 1559 ha posto le basi per la viamedia anglicana (o ‘via di mezzo’), una ricostruzione della Chiesa, un tentativo diincludere tutti (sia Cattolici che Protestanti) nelle strutture, nella teologia e nelleforme di culto formando una via di mezzo tra gli estremi delle rivendicazioni da ogniparte. La fede degli anglicani si fonda sulle Scritture e sui Vangeli, nella tradizionedella Chiesa Apostolica, dell’episcopato storico, dei primi sette Concili Ecumenici,e dei Padri della Chiesa. Il Vecchio e Nuovo Testamento sono considerati come‘contenenti tutte le cose necessarie per la salvezza’ 7 e come il criterio ultimo dellafede.

Tuttavia, le azioni di Enrico VIII e dei suoi ministri avevano messo in moto unaserie di eventi inarrestabili, tra cui il fatto di perseguire senza sosta l’obiettivo dellacompleta dissoluzione dei monasteri (1536-1541), che ha comportato la fine di tuttala vita religiosa così come essa era conosciuta. Fino ad allora, il paese era ricco dipotenti fondazioni monastiche, che rappresentavano una minaccia per l’autoritàdello Stato e che spesso possedevano notevoli doti e ricchezze. L’Abbazia diWestminster, dove re e regine sono incoronati, e dove si è svolto, il 29 aprile diquest’anno, il matrimonio regale tra il principe William e Kate Middleton, era unafondazione monastica benedettina, come risulta dal fatto che è essa ancora definitachiesa abbaziale.

Quindi, in che modo e quando la vita religiosa fu ripristinata all’interno dellaComunione anglicana? La risposta è che questo fu una conseguenza del Movimentodi Oxford all’interno della Chiesa d’Inghilterra (noto anche come il Movimento delTrattarianesimo, da Tratti per i tempi, pubblicato nel 1833-1841). Questo Movimentoaveva inizialmente un carattere clericale e i suoi membri spesso erano associati conl’Università di Oxford. Il tutto ha avuto inizio come un attacco, fatto nel sermonedi John Keble a Oxford nel 1833, per la percezione della secolarizzazione dellaChiesa, ma ben presto divenne molto di più. Gli anglicani sembravano formare,insieme con gli ortodossi e i cattolici romani, uno dei tre ‘rami’ dell’unica ‘ChiesaCattolica’. Gli interessi del Trattarianesimo circa le origini cristiane li portò ariconsiderare il rapporto tra la Chiesa d’Inghilterra e la Chiesa Cattolica Romana.Il beato John Henry Newman, prima di essere accolto, nel 1845, nella ChiesaCattolica Romana, era uno dei leader di questo movimento. Nell’ultimo Tratto,numero 90, Newman sostiene che le dottrine della Chiesa Cattolica Romana, comedefinito dal Concilio di Trento, sono compatibili con i ‘Trentanove Articoli dellaReligione’, il documento storico che definisce la Chiesa d’Inghilterra (1563). IlMovimento di Oxford cominciò ad avere una notevole influenza sulla teologiaanglicana e sulla pratica liturgica, premendo per il ripristino delle tradizioni perdute.Molte pratiche cattoliche furono reintrodotte nel culto e l’Eucaristia divenne più

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centrale nella vita della Chiesa. Di conseguenza, il Movimento fu sottoposto ad unattacco, perché considerato ‘papalista’, ma esso continuò ad esercitare una certainfluenza in seno alla Chiesa d’Inghilterra.

A causa di questa Rinascita Cattolica della Chiesa d’Inghilterra, molto prestosi risvegliò l’interesse nel ristabilire gli ordini religiosi e monastici, maschili efemminili. Nel 1841, Marian Rebecca Hughes fu la prima donna dopo la Riforma afare voti di religione in comunione con la Sede di Canterbury. Nel 1848, PriscillaLidia Sellon divenne la superiora della Società della Santissima Trinità, che non erala prima comunità di suore, ma la prima fraternità formalmente organizzata comeordine religioso. È importante sottolineare che, anche se furono stabilite comunitàcontemplative per uomini e donne, la maggior parte delle comunità anglicane hannovissuto la loro consacrazione a Dio tramite i voti in una vita mista, in cui recitavanol’intero Ufficio divino, insieme alla Eucaristia quotidiana, oltre al servizio ai poveri.Questa vita mista, che univa aspetti tipici degli ordini contemplativi ed attivi, rimanea tutt’oggi un segno distintivo della vita religiosa anglicana. Ancora una volta, forse,vediamo in essa qualcosa della via media anglicana.

Gli ordini religiosi anglicani fiorirono e si diffusero in tutto il mondo, soprattuttonei paesi di lingua inglese e nelle regioni sottoposte all’influenza britannica. Apartire dal 1960 vi è stato un calo generale nel numero, anche se vi è stata una crescitasignificativa nei paesi della Melanesia e in alcune parti dell’Africa. Duecaratteristiche che possiamo notare in questi ultimi decenni sono la creazione dialcune comunità miste di uomini e donne e la formazione di un certo numero dicomunità di base. Queste comunità di base vivono la pratica monastica, ma senzaavere necessariamente le tradizionali strutture religiose, come i voti tradizionali, esono indicate generalmente come ‘Nuove espressioni della Chiesa’. Esse partecipanosempre più agli incontri dei religiosi anglicani.

La Parola di Dio

Dal contesto storico anglicano passiamo, ora, alle fondamenta della nostra fedecristiana, alla Parola di Dio, a Gesù, che “è nel seno del Padre e lo ha rivelato” 8, aquell’unica, definitiva parola che ci è stata donata. Citiamo dalla Lettera agli Ebrei:

Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi aipadri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi permezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del qualeha fatto anche il mondo 9.

San Giovanni della Croce lo ha espresso in questo modo:

Avendoci, infatti, donato suo Figlio, che è l’unica sua Parola, egli non ha altraparola da darci. Ci ha detto tutto in una volta e una volta per sempre in questasola Parola, e non ha altro da aggiungere…. perché ciò che aveva detto inparte mediante i profeti, l’ha ora rivelato completamente nel suo Figlio, e ciha donato così il Tutto, che è suo Figlio. 10

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Mi rendo conto che potrei non essere l’unica in questa Conferenza, ma vorreicitare a questo punto, e raccomandare caldamente a voi, l’Esortazione Apostolica diPapa Benedetto XVI del 2010, Verbum Domini, sulla Parola di Dio nella vita e nellamissione della Chiesa, anche se devo dire che le traduzioni in prosa inglese prodottedal Vaticano sembrano piuttosto ampollose e, a volte quasi incomprensibili! Inquesto documento, particolare attenzione è posta sul Prologo del Vangelo di sanGiovanni, 11 in cui la Parola, che è fin dal principio con Dio, che si è fatta carne edè venuta ad abitare in mezzo a noi, è rivelata. Cito da Verbum Domini:

Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui il Padredall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il Verbo, chedal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amoretra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso. 12

Possiamo notare qui il ruolo svolto dallo Spirito Santo riguardo alla paroladivina. Lo Spirito che agisce nella incarnazione del Verbo attraverso la VergineMaria è lo stesso Spirito Santo che guida Gesù durante tutta la sua missione e cheinsegnerà ai discepoli tutte le cose, ricordando loro tutto ciò che Cristo ha dettoloro, 13 lo Spirito di verità 14 che guiderà i discepoli alla verità tutta intera. 15 LoSpirito che ha parlato per mezzo dei profeti è lo stesso Spirito Santo che sostiene eispira la Chiesa nella predicazione degli Apostoli, nella redazione della SacraScrittura e nella proclamazione della parola di Dio. 16

La vita religiosa è un ricordo e un segno che viviamo, non “di solo pane ma diogni parola che esce dalla bocca di Dio”. 17 Nella nostra vita di preghiera e diservizio, è nostro compito meditare, e ascoltare con attenzione, la parola di Dio.Vengono in mente tre modi principali in cui noi prendiamo parte al ‘dialogo d’amoretra le persone divine’ (frase appena citata dal Verbum Domini), attraverso leScritture (una parte essenziale della vita religiosa anglicana), i modi in cui leScritture ci formano e ci modellano. Il primo modo è lo studio delle Scritture. Ilsecondo modo è la partecipazione alla liturgia (soprattutto l’Ufficio divino el’Eucaristia, ma anche gli altri sacramenti), e la terza è la lectio divina, o ‘letturasacra’.

1. Lo studio delle Scritture

Mi riferisco ad uno studio serio delle Scritture, uno studio in gruppo o unostudio individuale, uno studio guidato dallo Spirito Santo, o da alcune istruzioni, ouno studio che segue un percorso stabilito o un libro particolare. Questo è importantenella vita religiosa, ma non è tipico di essa e la quantità di studi intrapresi varierannoin base a una combinazione dei principi dell’ordine, dei suoi altri impegni e in basealla predisposizione e alle esigenze del singolo individuo.

Nei primi tempi della rinascita della vita religiosa anglicana, si può osservareuna differenza di atteggiamento nei confronti dello studio della Scrittura tra lecomunità maschili e femminili. (Io non sono affatto sicura che questo non continui

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ad esistere in forme più sottili, ma certamente meno marcate ...!). Le comunità degliuomini tendevano ad includere i sacerdoti, che avevano ricevuto una formazionenello studio biblico e che continuavano i loro studi. La predicazione era parte del loroministero e missione. Alcuni studiosi, quali Richard Meux Benson, fondatore dellaSocietà di San Giovanni Evangelista (1824-1915) e Charles Gore della Comunitàdella Resurrezione (1853-1932), poi divenuto vescovo, hanno istituito una solidatradizione di studio e Barnaba Lindars della Società di San Francesco (1923-1991)divenne professore di Critica ed esegesi biblica presso l’Università di Manchester,con la caratteristica di essere uno studioso di fama internazionale negli studi delVecchio e del Nuovo Testamento.

Possiamo paragonare questa situazione a quella delle prime comunità femminili,in cui era posta grande attenzione al lavoro sociale, piuttosto che a quello accademico.Questo significava che un piccolo numero di suore intraprendevano lo studiobiblico, anche se l’attenzione all’Ufficio divino nella maggior parte delle comunitàanglicane, come ho detto prima, indica che la maggior parte delle suore avevanodimestichezza con i testi scritturali. Ma, nonostante un serio studio accademico fossepiuttosto insolito, molte suore insegnavano alla “Scuola domenicale” per bambini,un elemento comune nella vita della chiesa inglese e, quindi, la Scrittura e le storiebibliche avevano comunque un’importanza significativa.

Col tempo, anche le suore hanno avuto la possibilità di studiare. LaCongregazione della Sacra Famiglia, per esempio, fondata nel 1898 da tre laureatepresso l’università femminile, Newnham College di Cambridge, incoraggiava lesuore ad intraprendere lo studio della Bibbia, oltre alla esperienza delle Scritturenella liturgia. La fondatrice della Congregazione delle Suore della Chiesa, EmilyAyckbourn, fin dalla fondazione nel 1870, ha sempre sostenuto ed incoraggiato unasolida formazione e studio per le suore. All’inizio del ventesimo secolo, le bibliotechedei conventi contenevano principalmente pie biografie e agiografie (vite dei santi).La situazione è cambiata nel tempo, in particolare quando, alcune donne che avevanostudiato come insegnanti aderirono agli ordini religiosi. Un ordine di insegnanti,l’Ordine del Santo Paraclito, fondato nel 1915, incoraggiava le suore a leggerecommentari biblici. In generale, però, va detto che nei primi decenni del ventesimosecolo, gli ordini che si concentravano maggiormente sul servizio infermieristico esul servizio sociale non incoraggiavano affatto le suore a leggere, né offrivano lorolibri da leggere!

Al giorno d’oggi, anche se alcune differenze di opportunità persistono ancoratra religiosi e religiose, penso che questo abbia probabilmente a che fare con laquantità di tempo che alcuni ordini offrono ai loro membri per poter studiare,considerati i ministeri che l’ordine porta avanti e il crescente bisogno di prendersicura dei propri membri anziani. Infatti, l’ordinazione delle donne (consentita nellaChiesa d’Inghilterra dal 1994) ha permesso alle donne di studiare nel corso della loropreparazione al sacerdozio e alcuni membri di molte comunità femminili sono statiordinati.

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2. La Liturgia: l’Ufficio divino e l’Eucaristia

Gli altri due modi in cui la Scrittura ci forma e modella sono caratteristici dellavita religiosa, perché tale stile di vita, anche per gli anglicani, offre le condizioninecessarie. Il primo di questi modi è l’esperienza delle Scritture nella Liturgia,tramite l’Ufficio Divino e l’Eucaristia (e negli altri Sacramenti). Il secondo modo,che riprenderò in seguito, è la pratica monastica tradizionale della lectio divina o‘lettura spirituale’.

La tradizione dello stile di vita monastica, apparentemente scomparsa all’internodella Chiesa d’Inghilterra durante la Riforma, continuò e fiorì in una forma particolarecome parte della cultura anglicana. La liturgia delle ore, che tradizionalmentesantificava le varie parti della giornata monastica, fu utilizzata nelle parrocchie enelle cattedrali. Il libro di preghiere tipico della Chiesa, il Libro delle PreghiereComuni, ha avuto l’effetto di mettere il salterio e l’Ufficio nelle mani dei laici. Finoal 1970, quando ha avuto inizio il movimento a favore di una più frequentecelebrazione della Santa Comunione, la maggior parte delle chiese parrocchiali siaspettava che le principali celebrazioni della domenica fossero il “Mattutino”(formato dal Mattutino e dalle Lodi) e i “Vespri” (formati dai Vespri e dallaCompieta), come indicato nel libro di preghiere. Spesso si celebrava la SantaComunione la domenica alle 8 del mattino. Da allora, l’Eucaristia o Messa èdiventata la celebrazione principale e spesso il Mattutino e i Vespri sono statieliminati, perché il loro posto è stato preso dall’Eucaristia. I Vespri sono statieliminati, poichè le celebrazioni serali oggi sono poco frequentate, dato che lepersone si sentono meno sicure ad uscire alla sera e perché aumenta l’età media dellecongregazioni.

Il Libro delle Preghiere Comuni del 1559, introdotto durante il regno diElisabetta I, poneva l’accento sull’importanza del canto delle Scritture. Era previstoche “nei cori e nei luoghi dove si canta ...” le lezioni della preghiera del mattino edella sera, insieme con l’Epistola e il Vangelo della celebrazione della SantaComunione avrebbero dovuto essere cantate. Nel Concordato elisabettiano, la lungatradizione corale di molte cattedrali e monasteri inglesi è stata mantenuta, stabilendole basi corali per il canto quotidiano dell’Ufficio divino. Di conseguenza, alla finedel secolo XVI, furono stabilite circa 34 cattedrali, chiese collegiate e cappelle realicon cori. Quasi tutti questi hanno continuato la preghiera corale quotidiana fino adoggi, senza alcuna interruzione.

Quindi, sulla base di una lunga tradizione, e anche a partire dalle idee delMovimento di Oxford che ha avuto inizio nel 1833, la maggior parte degli ordinianglicani sono stati fondati con una idea di vita religiosa modellata dai due obblighidell’Ufficio divino e del sacramento della Messa, e questa è una caratteristicacostante nell’ethos degli ordini anglicani.

Un certo numero di comunità del XIX secolo è stata fondata da sacerdoti, o visono stati sacerdoti che hanno influenzato la loro fondazione, e in esse era fortemente

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sottolineata la lealtà alla tradizione liturgica della Chiesa d’Inghilterra. (Gli anglicanidifferiscono dai cattolici romani in quanto gli ordini hanno una notevole libertà dielaborare un proprio Ufficio). Ad esempio, l’Ufficio utilizzato da Canon T. T. Carterper la Congregazione femminile di San Giovanni Battista a Clewer, vicino Windsor,Le ore del giorno della Chiesa di Inghilterra (1858), all’inizio utilizzavascrupolosamente il calendario del Libro delle Preghiere Comuni e la versioneautorizzata della Bibbia. Questa sembra poi essere diventata la versione più usatadell’Ufficio tra le suore dell’ottocento. Dr John Mason Neale, fondatore dellaSocietà di Santa Margerita a East Grinstead nel sud dell’Inghilterra, ha sottolineatoil posto che la Messa occupa nella vita della Società, e quello della Bibbia (nelrecitare i salmi e la lettura delle lezioni nell’Ufficio divino, e nella lettura e nellameditazione privata delle suore). John Mason Neale ha spesso insegnato il modo incui la Liturgia aiuta a comprendere le Scritture. Influenzato da quanto aveva vistonell’Europa continentale, egli elaborò una traduzione in inglese del Mattutino peril canto di notte, cioè una versione dell’Ufficio notturno.

Ho scritto gran parte di questo lavoro durante la Settimana Santa e nei primigiorni del tempo pasquale. In questo tempo, ancor più che nella normale vitaquotidiana, ci viene offerta una ricca dieta di Scrittura. La Veglia Pasquale, durantela celebrazione della prima Messa di Pasqua, inizia con sette lunghe letturedell’Antico Testamento, che ripercorrono la storia della salvezza. Il Salterio ha unruolo significativo: il Venerdì Santo e il Sabato Santo, ogni giorno, durante le oreminori, recitiamo il lungo Salmo 119. Durante tutta la Settimana Santa, nella miacomunità, ascoltiamo e cantiamo continuamente un verso della lettera ai Filippesi:

Cristo si è fatto obbediente per noi fino alla morte e alla morte di croce. Perquesto Dio l’ha esaltato e gli ha dato lui il nome che è al di sopra di ogninome. 18

Ma vorrei sottolineare l’importanza del silenzio per comprendere tutto questo.Dalla Dei Verbum cito, ancora una volta, un verso “sull’importanza del silenzio inrelazione alla parola di Dio e alla sua ricezione nella vita dei fedeli”:

Infatti, la parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio,esteriore ed interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a voltesi ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento,dagli strumenti di comunicazione di massa… Riscoprire la centralità dellaParola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso delraccoglimento e della quiete interiore. La grande tradizione patristica ciinsegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parolapuò trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donnadella Parola e del silenzio. Le nostre liturgie devono facilitare questo ascoltoautentico. 19

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3. Lectio divina, o ‘lettura sacra’

Vorrei iniziare le mie considerazioni sulla lectio divina con una citazione da undivino anglicano, William Law (1686-1761), noto per il suo libro, Una fortechiamata ad una vita devota e santa. Una breve spiegazione: nella tradizioneanglicana, i teologi, le cui opere sono considerate importanti nello stabilire elementibase in termini di fede, dottrina, culto e spiritualità sono talvolta indicati come ‘idivini anglicani’. Non esiste un elenco autorevole, ma hanno un comune impegnoper la fede cristiana come trasmesso dalla Scrittura e dal Libro delle PreghiereComuni e una visione positiva della “via media” anglicana (cui ho fatto riferimentoprecedentemente). Ecco la citazione di William Law:

Il libro di tutti i libri è nel tuo cuore, in cui sono scritte e incise le più profondelezioni dell’istruzione divina. Quindi, impara a essere profondamente attentoalla presenza di Dio nel tuo cuore, che parla sempre, sempre istruisce, sempreillumina il cuore che è attento a lui. Qui incontrerai la luce divina nellaprofondità della tua anima, dove la nascita del Figlio di Dio e la discesa delloSpirito Santo sono sempre pronte a rinascere in te.

É lo Spirito Santo che ci insegna, nel profondo del cuore, ed è aiutatodall’attenzione alle Scritture. La Regola della mia Comunità, la Comunità delleSuore dell’Amore di Dio, afferma:

Lo studio della Scrittura come base della loro preghiera dovrebbe essere ilprimo impegno delle suore nel tempo riservato alla lettura. Nulla può sostituire lalectio divina. 20

Origene (185-254 a.C.) sosteneva che la comprensione della Scrittura richiede(anche più dello studio) vicinanza a Cristo e preghiera. Egli credeva che il modomigliore per conoscere Dio fosse l’amore e che non può esistere un’autenticascientia Christi (conoscenza di Cristo), senza una crescita nell’amore. Nella suaLettera a Gregorio, egli consigliava:

Dedicati alla lectio delle divine Scritture, applicati a questo con perseveranza.Fai la tua lettura con l’intento di credere in Dio e di dargli gusto. Se durantela lectio incontri una porta chiusa, bussa e ti sarà aperto da quel custode, delquale Gesù ha detto: “Il custode aprirà per lui”. Applicandoti in questo modonella lectio divina, cerca con diligenza e con fiducia incrollabile in Dio ilsenso delle Scritture divine, che è nascosto in pienezza dentro di esse.

La lectio divina è parte tradizionale della cultura monastica cristiana, unarisposta alla ingiunzione a ‘pregare incessantemente’. 21 Sia San Pacomio che SanBenedetto chiedevano ai loro monaci di imparare a leggere. Nella Regola di SanBenedetto, la lectio è menzionata in un capitolo dedicato al lavoro manuale, perchédice che, per evitare l’ozio, il nemico dell’anima, ‘in tempi prestabiliti, i fratellidovrebbero essere occupati nel lavoro manuale; e ancora, ad orari prestabiliti, nellasacra lettura 22, e questo mette in evidenza che questa lettura sacra è di per sé unlavoro.

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Anche molti laici praticano la ‘sacra lettura’ in qualche modo. Attualmente viè sul mercato una grande quantità di libri in lingua inglese su questo argomento,destinato a tutti i cristiani, insieme ad un aumento generale di libri sulla ‘spiritualitàmonastica’ destinati a tutti. La lectio divina deve essere distinta dal nostro approcciocerebrale moderno alla lettura e, in effetti, il monaco medievale seguiva l’anticapratica della lettura ad alta voce. Essa ha inizio con la lectio (lettura) di un testo,lettura e ascolto a un livello profondo, con il desiderio di capire cosa dice il testo insé. La lettura è collegata alla cogitatio, alla riflessione sul testo, e con lo studium,lo studio di esso.

Poi segue la meditatio (meditazione), in cui ci chiediamo ciò che il testo ci stadicendo: qui siamo sfidati e possiamo cambiare sia a livello personale, che comemembri delle nostre comunità. La lettura e la meditazione insieme sono state anchedescritte come ruminatio (ruminazione), cioè rimuginare nel profondo dell’anima suquanto è stato tolto e ricevuto come nutrimento spirituale. Prima del XII secolo, iltesto “Gustate e vedete quanto è buono il Signore” è stato applicato sia alla letturadella Scrittura che all’Eucaristia. La parola latina sapere significa ‘gustare’ o‘assaporare’, avere un profondo senso del gusto e quindi ‘essere saggio’. Come gliIsraeliti nel loro viaggio attraverso il deserto 23, nella vita religiosa siamo nutrite,ogni giorno, nella nostra lectio. Raccogliamo tutto ciò che è possibile da quanto civiene dato, come la manna nel deserto, della quale ci viene detto: “colui che ne avevapreso di più, non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non nemancava” 24.

Alla meditazione segue la oratio (preghiera), e questa preghiera cerca dirispondere alla parola del Signore per noi. La preghiera -di petizione, di intercessione,di ringraziamento e di lode-, è il modo principale in cui la parola ci trasforma. Poiviene la contemplatio (contemplazione), in cui entriamo in una silenziosaconsapevolezza della presenza di Dio, riposando sotto lo sguardo di questaconsapevolezza amorevole, con un forte senso che Dio semplicemente “è”. Nelleparole di Thomas Keeting:

“Il silenzio è il primo linguaggio di Dio, tutto il resto è una cattiva traduzione.Per udire tale linguaggio, dobbiamo imparare ad rimanere nella quiete eriposare in Dio.” 25

Nella preghiera contemplativa, percepiamo la presenza di Dio in tutte le cosee la Comunione dei Santi diventa una realtà, mentre partecipiamo alla preghiera inunità con tutti e tutto. Incontriamo la Parola al di là delle parole, riceviamo come undono il modo di vedere e giudicare la realtà proprio di Dio, e giungiamo a conoscereciò che Dio ci chiede nel cammino di conversione della mente e del cuore, e nellatrasformazione della nostra vita. San Paolo esprime tale realtà in questo modo:

“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovandola vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a luigradito e perfetto.” 26

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Infine, come risultato della lectio divina, vi è la actio (azione), l’impulso ditradurre nella nostra vita ciò che abbiamo ricevuto.

Questi stadi possono non seguire questo ordine preciso, e se siamo condotti allapreghiera senza aver completato la lettura del testo previsto per questo tempo dilettura spirituale, allora il processo della lectio divina ha raggiunto il suo scopo, cheè quello di attirarci in preghiera profonda. Ricordiamo come i cuori dei discepoliardevano mentre Gesù parlava con loro sulla strada di Emmaus e spiegando loro leScritture. 27 Egli apparve di nuovo ai discepoli e “aprì loro la mente all’intelligenzadelle Scritture” 28, spiegando che “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitaredai morti il terzo giorno” 29. Gesù é il maestro e il significato di tutto ciò che è statorivelato.

E in tutte le nostre letture spirituali, abbiamo un modello in Maria, la Madre diDio, che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” 30.

Conclusione

Concludiamo laddove abbiamo iniziato, con il luogo del silenzio: dobbiamocreare le condizioni per il silenzio in cui possiamo ascoltare e rispondere alla Parola.Questo è comune a tutta la tradizione monastica. Ma dobbiamo anche accettare checiò che sperimentiamo possa apparirci come silenzio. Cito ancora da VerbumDomini:

Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Ilsilenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappadecisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. Appeso al legnodella croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: «Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27,46)… 31 Questa esperienza di Gesùè indicativa della situazione di tutti coloro che, dopo aver ascoltato e riconosciutola Parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio…. Pertanto, nella dinamicadella Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un’espressione importante dellaParola di Dio. 32

1 Sl. 14, 1.

2 Sl. 51, 17.

3 Matteo 19, 21.

4 Isaia 6, 8.

5 Marco 12, 30.

6 Assertio Septem Sacramentorum.

7 L’articolo VI dei Trentanove Articoli dellaReligione, sulla ‘Necessità della Scrittura’

affermava (nell’originale in inglese) che:‘La Scrittura contiene tutto ciò che ènecessario per la salvezza, così chequalsiasi cosa che non è contenuta inessa, non è richiesta a nessuno, nè deveessere considerata un articolo di fede, oun requisito necessario per la salvezza’.

8 Giovanni 1, 18.

9 Ebrei, 1, 1-2.

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10 Salita al Monte Carmelo, San Giovannidella Croce, II, 22, 3,4, trad. Kavanaugh& Rodriguez, Doubleday, 1964.

11 John 1, 1-18.

12 Verbum Dei, I, Il Dio che parla, Dio indialogo.

13 cf. John 14, 26.

14 cf. John 15, 26; 16, 13.

15 cf. John 16, 13.

16 cf. Verbum Domini. I, l Dio che parla. LaParola di Dio e lo Spirito Santo.

17 Mt 4, 4.

18 Fil 2, 8-9.

19 Verbum Domini, II, La Liturgia, luogoprivilegiato della Parola di Dio,Suggerimenti b) La parola e il silenzio.

20 Regola della Comunità delle Suore

dell’Amore di Dio, Capitolo 17.

21 I Tess 5, 17.

22 Regola di San Benedetto, Cap. 48.

23 cf. Es 16, 13-36.

24 Es 16, 18.

25 Invito all’Amore: la contemplazionecristiana, Thomas Keating, Continuum,1997.

26 Rom 12, 2.

27 cf. Luca 24, 32.

28 Luca: 24, 45.

29 Luca 24, 46.

30 Luca 2, 19; cf. 2, 51.

31 Marco 15, 34; Mt 27, 46.

32 Verbum Dei, I , Il Dio che parla, DioPadre, fonte e origine della parola.

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L’AMORE DI DIO NELLA COMUNIONE

COL CRISTO CROCIFISSO

S. E. Mons. João Braz de Aviz

Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per leSocietà di Vita Apostolica (CIVCSVA).

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista TABOR - nº 13 - Aprile 2011

Originale in spagnolo

tratto sterrato, vidi su un piccolo ponte un’automobile ferma e due uomini chinatisul motore. Minacciava pioggia e allora mi fermai e offrii loro aiuto. I due sigirarono con un’arma in mano, mi chiesero la chiave dell’auto, l’orologio, il denaroe mi presero in ostaggio. Collocarono le due automobili in modo da bloccare iltraffico. Dopo alcuni minuti arrivò un furgone blindato di una banca e cominciò unasparatoria stile «Far West». I banditi erano tre. Il furgone, circondato, non potevaproseguire perchè avevano sparato alle gomme. Ma, i ladri non riuscivano a faruscire le guardie, che si difendevano dall’interno del furgone.

Allora, uno dei due ladri, puntandomi contro la sua arma, mi disse: “Metti lemani sulla testa e vai a convincere le guardie perchè escano dal furgone”. Cercaidi far loro notare l’assurdità di tale tentativo, ma fu inutile: “O vai o muori”.

Appena fatti i primi passi, dal furgone partirono alcuni colpi di fucile, che miraggiunsero in pieno dalla testa ai piedi e mi gettarono a terra.

Avvertii un dolore terribile ad un occhio, che si oscurò, ai polmoni e all’addome.Mi usciva sangue dalla bocca e non potevo muovermi per i dolori e anche per lapaura che mi sparassero di nuovo fino ad uccidermi. I ladri fuggirono nei dueveicoli e con un’altra auto che fermarono, per potersi dividere. E dissero all’uomo:“Non facci perdere tempo, perchè abbiamo appena ucciso un sacerdote”. Non sipoteva pensare diversamente. Cominciò a cadere una pioggerella fine.

In quel momento avvertii una profonda solitudine e l’assurdità di quanto stavaaccadendo. Ma, nello stesso tempo, sperimentavo la paternità di Dio che mi

opo il pranzo uscii di casa per andare a celebrare l’Eucaristia in unaparrocchia distante circa 130 km. Arrivato a metà del percorso, laddovedovevo lasciare il tratto di strada asfaltata e inoltrarmi in direzione di un

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proteggeva. Tutto stava crollando, ma rimaneva la fede nel suo amore. E Dio midava la forza di offrire tutto per la Chiesa, per l’Opera di Maria ... Questo sensodi solitudine, questa sofferenza umanamente assurda, erano il volto di Gesùcrocifisso e abbandonato, ed ebbi la forza di abbracciarlo subito e, per quanto miera possibile, con gioia. In fondo al mio cuore non sentivo l’angoscia di vivere omorire, ma la certezza che Dio avrebbe fatto ciò che gli sembrava meglio.

Rimasi a terra per due ore, sotto la pioggia, senza potermi muovere. Due oredi intensa preghiera, in cui chiesi a Gesù il perdono dei miei peccati e perdonai dicuore ai ladri e a chi mi aveva sparato ...

Finalmente, sentii il rumore di un’automobile: l’autista si fermò ma ripartìrapidamente, probabilmente per paura. Passò un’altra auto che si fermò e ascoltaii commenti: “Qui c’è stata una violenta sparatoria e c’è un morto” e se ne andarono.Infine arrivarono quattro poliziotti. Si avvicinarono con le armi in pugno: capii chepotevano darmi il “colpo di grazia” per uccidermi, come a volte si fa con i ladri eriuscii a sussurrare: “Sono un sacerdote, non ammazzatemi”.

Il medico che mi accolse in ospedale fece una battuta: “Mi sembra che abbianoesagerato col piombo ...!”. In effetti, i raggi X rivelarono 117 proiettili, uno deiquali, che mirava direttamente al cuore, era stato deviato da una penna di metallo.Un proiettile mi aveva attraversato un occhio da una parte all’altra, ma non persila vista. Un’altro attraversò l’intestino e si fermò vicino ad una vertebra, senzatoccare il midollo spinale! Tre ore in sala operatoria per ricucire lo stomaco el’intestino. Una tracheotomia per facilitare la respirazione ... tutto era nelle manidi Dio.

Il medico mi disse che non avevo molte possibilità di sopravvivere e che sidoveva aspettare che passassero tre o quattro giorni. E, subito dopo aver lasciatola sala operatoria, parlò con mio fratello sacerdote e con i tanti amici che eranovenuti. In un clima di grande serenità, mio fratello mi amministrò l’Unzione degliInfermi.

Qualche tempo dopo ho ricevuto una lettera di una giovane che avevapartecipato a quel momento: “Da molto tempo mi ero allontanata da Dio, ma quellasera, in ospedale, vedendo la sua pace, ho capito che solo Dio poteva fare una cosacosì. Ho capito che tutto il resto non conta: solo Dio! E chi gli appartiene trasmettepace. Ero venuta per dare aiuto e invece è stato lei a darmi Dio ... e per me ha avutoinizio una nuova vita”.

La notizia dell’incidente si diffuse rapidamente ovunque, dando inizio ad una‘competizione’ di amore. Medici, infermiere, religiose, parrocchiani ... ognunooffrì la sua collaborazione. I sacerdoti fecero dei turni, perchè qualcuno rimanessesempre con me.

Il recupero della mia salute sorprese gli stessi medici, ma ciò che li sopresedi più fu l’amore fraterno che vivevamo tra noi sacerdoti. Il responsabile dell’ospedale

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ci disse: “Non avrei mai immaginato che esistesse una Chiesa così, dove tutti siamano come fratelli”.

Il vescovo è sempre stato presente col suo amore di padre e, il giorno dopo,venne a visitarmi e mi portò i saluti e le preghiere di tutta la comunità diocesana.Le suore dell’ospedale e le infermiere che si sentivano oppresse dal clima diviolenza che era scoppiato in quegli anni, mi scrissero dopo qualche tempo: “Ciòche abbiamo visto ci ha fatte riflettere e ci siamo dette: guarda come è bella laChiesa dell’unità!”.

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VITA DELLA UISG

Originale in spagnolo

In questo numero diamo inizio alla pubblicazione di una pagina che raccogliealcune brevi notizie della vita della UISG negli ultimi mesi:

* Il nuovo Prefetto del Dicastero della Vita Consacrata, Don Joâo Braz de Avizha fatto visita al nostro segretariato in Roma il 30 marzo scorso. Ha ascoltatocon interesse le informazioni sulla UISG e ha avuto una cordiale condivisionecol personale.

* Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto anche la visita dei Consigli Direttivi deiReligiosi/e degli Stati Uniti (4 maggio 2011) e della Presidenza della CLAR (20settembre 2011). Entrambi i gruppi, passando da Roma, hanno chiesto unincontro con i rappresentanti della UISG e della USG per una condivisionefraterna sulle situazioni e sulle preoccupazioni comuni.

* Durante l’assemblea della USG, centrata sul Seminario Teologico, celebratasilo scorso febbraio a Roma, è stata prevista una giornata aperta a tutte le superioregenerali residenti a Roma (25 maggio 2011). I teologi Sr. Mary Maher e P. PaoloMartinelli hanno presentato tutta la ricchezza del seminario, ricchezza che èstata poi oggetto di discussione nei gruppi linguistici. Entrambe le conferenzesono pubblicate nella pagina web delle due Unioni, www.vidimusdominum.org,nella sezione Documenti USG.

* Talithakum, la rete internazionale contro la tratta di esseri umani, è un progettodella UISG che ha avuto inizio nel 2009 ed offre corsi di formazione allereligiose nelle diverse parti del mondo, in cui sono già costituite reti di religioseche lavorano in questo campo. Dal 30 maggio al 1° giugno 2011 si è svolto, aRoma, il primo incontro delle coordinatrici della rete Talithakum. Finora, le retiesistenti sono 20 e coordinano il lavoro di circa 400 religiose contro la tratta didonne e bambini. Gli ultimi corsi si sono svolti in Kenia per l’Africa dell’Est(in aprile e in ottobre 2011) e in Costa Rica per l’America Centrale (novembre2011).

* Sr Amelia Kawaji e Sr Josune Arregui hanno partecipato, a nome della UISG,al Congresso Interconfessionale dei Religiosi (CIR), svoltosi a Triefenstein(Germania). Circa sessanta religiosi di diverse confessioni cristiane si sonoriuniti dal 25 al 30 giugno 2011 per pregare insieme, stabilire relazioni di

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amicizia e riflettere sul tema “Il modo in cui la Parola di Dio forma e modellala nostra vita”.

* In preparazione alla celebrazione del prossimo Sínodo sulla NuovaEvangelizzazione, la UISG ha inviato alle superiore generali di Roma il testo deiLineamenta, perchè offrissero il loro contributo. Vi è stata una buonapartecipazione: alcuni contributi sono arrivati per iscritto, altri sono stati offertidurante un incontro svoltosi il 5 luglio 2011 presso la sede della UISG. Tutti gliapporti sono, poi, stati elaborati dal personale del segretariato e trasmessi allaSegreteria del Sinodo.

* Si è appena celebrato in Aparecida /SP (dal 28 novembre al 3 dicembre 2011)il Consiglio delle Delegate UISG. Circa 47 Superiore Generali, delegate delleCostellazioni e i membri del Comitato Direttivo UISG hanno incontrato, nellagioia e nella fraternità, la Vita Religiosa in Brasile. Con l’aiuto delle teologheVera Bombonatto e Lucia Weiler, hanno riflettuto sul tema “Gesù trasfigurato:il Volto che ci pone in camino”. Durante l’incontro sono state prese decisioniriguardanti la vita della UISG. Nel prossimo numero del Bollettino daremoinformazioni più dettagliate a riguardo.