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Missione Oggi | aprile 2012 17 I paesi dell’Unione europea sono oggi i maggiori esportatori mondiali di armamenti. Nel loro in- sieme, le esportazioni militari dei 27 Stati membri superano ampiamente sia quelle degli Stati Uniti, sia della Russia. La parte più consistente dei trasferimenti (oltre il 45%) è diretta a paesi dell’emisfero Sud del mondo. Il protagonismo europeo suscita interrogativi, soprattutto oltreoceano. L’ultimo rapporto al Congresso degli Stati Uniti afferma chiaramente che “i maggiori paesi europei produttori di armi hanno separatamente rafforzato la propria posizione com- petitiva nelle esportazioni di armi con un forte sostegno governativo al marketing delle proprie vendite all’estero” e oggi rappresentano “fonti alternative di armamenti per quelle nazioni che gli Stati Uniti hanno deciso per ragioni politiche di non rifornire”. In Europa, invece, il dibattito sulle implicazioni politiche e sulla sicurezza internazionale delle esportazioni militari è lasciato a pochi addetti ai lavori, spesso ad esperti alle dipendenze delle industrie militari. Intanto la guerra offre, come nel recente caso libico, nuove occasioni per testare le armi e per rinnovare gli arsenali. La società civile europea è perciò chiamata a porre attenzione agli sviluppi dell’industria militare e al commercio di armamenti: sono necessarie normative vincolanti e trasparenti ed è urgente interpellare con forza le rappresentanze politiche. Anche dal ruolo che l’Europa intende assumere in questi settori dipende la pace e il futuro del mondo intero. di GIORGIO BERETTA MISSIONE OGGI Affari globali per gli armamenti Unione europea

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I paesi dell’Unione europea sono oggi i maggiori esportatori mondiali di armamenti. Nel loro in-sieme, le esportazioni militari dei 27 Stati membri superano ampiamente sia quelle degli StatiUniti, sia della Russia. La parte più consistente dei trasferimenti (oltre il 45%) è diretta a paesi

dell’emisfero Sud del mondo. Il protagonismo europeo suscita interrogativi, soprattutto oltreoceano. L’ultimo rapporto al Congresso degliStati Uniti afferma chiaramente che “i maggiori paesi europei produttori di armi hanno separatamente rafforzato la propria posizione com-petitiva nelle esportazioni di armi con un forte sostegno governativo al marketing delle proprie vendite all’estero” e oggi rappresentano“fonti alternative di armamenti per quelle nazioni che gli Stati Uniti hanno deciso per ragioni politiche di non rifornire”. In Europa, invece, ildibattito sulle implicazioni politiche e sulla sicurezza internazionale delle esportazioni militari è lasciato a pochi addetti ai lavori, spesso adesperti alle dipendenze delle industrie militari. Intanto la guerra offre, come nel recente caso libico, nuove occasioni per testare le armi eper rinnovare gli arsenali. La società civile europea è perciò chiamata a porre attenzione agli sviluppi dell’industria militare e al commerciodi armamenti: sono necessarie normative vincolanti e trasparenti ed è urgente interpellare con forza le rappresentanze politiche. Anche dalruolo che l’Europa intende assumere in questi settori dipende la pace e il futuro del mondo intero.

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Affari globali per gli armamentiUnione europea

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zione dei trasferimenti di tecnologia e attrezza-ture militari”, ma anche “a rafforzare lo scambiodelle pertinenti informazioni al fine di raggiun-gere una maggiore trasparenza”. La trasparenzasenza la comunicazione rende però la Relazioneannuale europea materia per soli “addetti ai la-vori”. Ai quali, evidentemente, non piace che siindaghi troppo su questo particolare business.

AFFARI PER 30 MILIARDI L’ANNO

Eppure, il giro d’affari delle esportazioni diarmamenti dei paesi dell’Unione europea non èdi poco conto. Ammonta ad oltre 30 miliardi dieuro all’anno e riguarda praticamente le indu-strie di tutti gli Stati membri, dalla britannicaBAE Systems alla finlandese Patria, dalle fran-

Nessuna conferenza stampa, niente comuni-cato né annuncio sui siti del Consiglio o del

Parlamento europeo. La pubblicazione, venerdì30 dicembre 2011, della Tredicesima Relazioneannuale sul controllo delle esportazioni di tec-nologia e attrezzature militari sul portale dellaGazzetta ufficiale dell’Ue passa in assoluto si-lenzio. L’ultimo giorno lavorativo del calendarionon invoglia certo i parlamentari a soffermarsisulle quelle 470 pagine piene di tabelle e cifre.L’atto burocratico è comunque stato ottemperatodal Consiglio dell’Unione just in time prima dellafine dell’anno. Stando alla Posizione Comuneche dal 2008 regolamenta la materia, gli Statimembri sono determinati non solo “a fissarenorme comuni rigorose che siano consideratecome base minima per la gestione e la limita-

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“Gli Stati membri riconoscono la particolare responsabilitàche incombe sugli Stati esportatori di tecnologia eattrezzature militari”: lo afferma la Posizione Comunedell’Unione europea sul controllo delle esportazioni diarmamenti. Ma, analizzando le Relazioni annuali, la realtà cheemerge è alquanto diversa. E passa in assoluto silenzio.

Export di armiun business

indisturbatoGiorgio Beretta,

membro del boarddella “Rete Italiana

Disarmo”, svolgeattività di ricerca

sui temi delcommercio di

armamenti, suiquali ha pubblicato

diversi studi per l’Annuario Armi-Disarmo

e per l’Annuariogeopolitico della

pace oltre chenumerosi contributiper varie riviste, tracui “Missione Oggi”,

e per il sitounimondo.org.

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cesi Thales e Safran alle tedesche Rheinmetall eKrauss-Maffei Wegmann, dalla spagnola Na-vantia alle controllate di Finmeccanica.

Ma anche sulle cifre, nonostante i corposirapporti annuali, le informazioni sono parziali.Se, infatti, i dati delle Relazioni sono abba-stanza certi per quanto concerne le autorizza-zioni (licences) all’esportazione, molto carentirisultano invece quelli relativi alle effettive con-segne (deliveries) di armamenti: una laconicanota della Relazione avvisa annualmente chediversi Stati membri “could not supply thesedata” (non hanno potuto fornire questi dati). Enon si tratta di esportatori di poco conto: nel-l’ultimo anno, ad esempio, oltre a Belgio, Da-nimarca, Grecia, Irlanda e Polonia non hannofornito le cifre delle consegne anche la Germa-nia e il Regno Unito: Londra di fatto non ha leha mai presentate. A tredici anni dall’entrata invigore del Codice di Condotta, l’Unione euro-pea non è insomma ancora in grado di offriredati completi sulle esportazioni di armamentidei propri paesi membri. Però, stranamente,nessuno solleva domande in merito né al Parla-mento europeo né nei parlamenti nazionali. An-che su questo regna il silenzio.

Il trend degli affari, nonostante la flessionedell’ultimo anno, è comunque in crescita (figura1). Le autorizzazioni all’esportazione di sistemimilitari sono infatti passate – in valori costantial 2010 – dai 25 miliardi di euro del 2002 a quasi41 miliardi di euro del 2009 per poi ridiscenderenell’ultimo anno a poco meno di 32 miliardi. Lecifre vanno certamente comprese tenendo contosia del processo di allargamento dell’Unione –che è passata dai 15 paesi membri del 2002 ai25 paesi del 2004 fino ai 27 del 2007 – sia deitrasferimenti intracomunitari di armamenti chesono inclusi nei dati riportati. L’andamento delleconsegne rilevate dai rapporti, seppur chiara-mente incompleto per la già citata mancanza didati di diversi paesi, mostra a partire dal 2004una sostanziale stabilità attorno ai 10,5 miliardidi euro annui con una crescita nel 2010 quandohanno raggiunto i 13 miliardi di euro: quest’ul-timo dato include le consegne di Germania eItalia come riportate nelle relazioni governativedei due paesi. La media ponderata delle effettiveesportazioni di soli materiali militari (non com-prensiva delle licenze di produzione e di altriservizi all’estero) da parte degli Stati membripresenta invece una tendenziale crescita fino al

2009 e una contrazione nell’ultimo anno dovuta– come spiegano alcuni rapporti nazionali – “daun lato al progressivo esaurimento di alcuni pro-grammi governativi europei di cooperazione edall’altro ad un minor numero di commesse in-ternazionali correlabile alla difficile congiunturaeconomica”.

TANTE CIFRE, NESSUN COMMENTO

Per comprendere la ragione della recente fles-sione di ordinativi si è dovuto ricorrere alle rela-zioni nazionali pubblicate separatamente dagliStati membri: paradossalmente, infatti, non èpossibile reperire nelle centinaia di pagine dellaRelazione europea una singola riga a commentodelle cifre. E anche quando – come ai primi didicembre dello scorso anno – un intero volumedella Gazzetta ufficiale dell’Ue è stato dedicatoalla rettifica dei dati del 2009 non è stata fornitaalcuna spiegazione delle inesattezze. Anche inquel caso nessuno ha sollevato questioni. Eppurenon si trattava di meri errori contabili visto chela parte più consistente riguardava gli oltre 79milioni di euro di “armi leggere” che Malta avevasegnalato di aver esportato in Libia, mentre in-vece – grazie alla ricostruzione dei ricercatoridella Rete italiana disarmo in collaborazione conle associazioni belghe – si è stabilito che si trat-

Nelle Relazionidell’Ue vi sonotuttora moltemancanze: ègrave per untesto ufficialeche dovrebbefornireinformazioniche riguardanola politicaestera e didifesa europea

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Figura 1 – Esportazioni di armamenti dell’UE: Licenze, Consegne* e Media ponderata (in miliardi di euro costanti)

* I dati relativi alle Consegne sono puramente indicativi per la mancanza di informazioni di diversi paesi.Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione Europea.

A pag. 18 in alto, dasinistra verso destra:la sede centrale dellasocietà tedescaRheinmetall, specializzatanella produzione di pezzidi artiglieria;lo stabilimento dellaBeretta a Prince George'sCounty, MD (U.S.A.);cerimoniad’inaugurazione dellaMeteoro, nave da guerraspagnola, sul fondo icantieri di Navantia. Sotto: l’interno di unostabilimento dellaBeretta.

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tazioni militari appare oggi, a tredici anni dall’entrata in vi-gore del Codice di Condotta, un documento pressoché in-servibile – se non integrato con i rapporti nazionali – perpoter analizzare con precisione le effettive esportazioni diarmamenti dei paesi membri. È necessario ormai chiedersise le numerose carenze e errori non siano di fatto un subdoloe reiterato boicottaggio dell’unico documento ufficialedell’Unione che dovrebbe essere in grado di esplicitare conprecisione informazioni di ampio interesse che concernonola politica estera e di difesa dell’Unione europea. Ma anchesu questo tutto tace: il business può andare avanti indistur-bato. n

tava delle oltre 11mila armi semi-automatiche della dittaBeretta di Gardone Valtrompia vendute dall’Italia alla Dire-zione Armamenti della Pubblica Sicurezza del colonnelloGheddafi per un valore di 7,9 milioni di euro. Proprio le in-genti esportazioni di armamenti verso paesi che non sempreottemperano a tutte le condizioni previste dagli otto criteridefiniti dalla Posizione Comune (vedi box a pag. 22) meri-terebbero più di qualche riga di motivazione. Quelli che in-vece ritroviamo nelle Relazioni europee sono solo numeri,cifre. Spesso incompleti e errati.

Considerate queste reiterate mancanze e diverse ano-malie la Relazione annuale dell’Unione europea sulle espor-

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Le cifre ballerine dell’ItaliaLa principale anomalia nell’ultima Relazione europea sulleesportazioni di sistemi militari riguarda l’Italia. Mentre,infatti, la Relazione della Presidenza del Consiglio sull’ex-port di armamenti italiani relativa all’anno 2010 riportavacome “operazioni di esportazione effettuate” un ammon-tare di circa 2.754 milioni di euro, il Governo italiano hasegnalato all’Ue un totale di esportazioni effettuate (Wor-ldwide exports) per soli 616 milioni di euro. Fino agli anniscorsi le cifre relative alle consegne di armamenti delle dueRelazioni (Ue e italiana) erano pressoché identiche perché,trattandosi di operazioni già effettuate e debitamente re-gistrate dall’Agenzia delle Dogane, sono dati chiari e c’èpoco da inventare. Quale novità è dunque sopravvenutatra il 31 marzo e il 30 dicembre 2011 da ridurre di oltre unquarto la cifra delle consegne di armi italiane? Attendiamouna spiegazione.

Figura 2 – Ue: Licenze all’esportazione di armamenti per zone geopolitiche anni 2006-2010(in miliardi di euro costanti)

LEGENDA: In blu: i paesi del Nord del mondo. Il Giappone è stato inserito nell’Oceania.Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione europea.

Figura 3 – Paesi Ue: Licenze all’esportazione di armamenti anni 2006-2010 (in miliardi di euro costanti)

Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione europea.Le Relazioni sulle esportazioni di armamenti, la Posizione Comune e tutti i documenti dell’Ue sono in:http://consilium.europa.eu/showPage.aspx?id=1484

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O ltre 307 miliardi di euro: a tanto ammonta ilvalore delle licenze all’esportazione di si-

stemi militari rilasciate dai paesi dell’Unioneeuropea negli ultimi dieci anni. Limitandociall’ultimo quinquennio (v. figure 2 e 3 nella pa-gina precedente), i paesi dell’Ue hanno trasferitoagli Stati membri materiali militari per poco piùdi 55 miliardi di euro (33,6%), ai paesi del NordAmerica oltre 18 miliardi (11%), alle economieavanzate dell’Oceania (qui compreso il Giap-pone) per quasi 7 miliardi (4,1%) e agli altriStati del continente europeo (compresa la Tur-chia) per meno di 11 miliardi (6,5%), mentrehanno esportato armamenti per oltre 31 miliardidi euro alle nazioni del Medio Oriente (19%),per più di 27 miliardi a quelle dell’Asia (16,5%),per 8 miliardi esatti all’Africa (4,9%) e per oltre7 miliardi ai paesi dell’America latina (4,4%).

TANTE ARMI, POCHI DIRITTI

Sono le economie ricche della penisolaaraba i maggiori acquirenti di armi a marcaturaCE (v. tabella 1 a p. 24). Nell’ultimo quinquen-

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Il girodel mondodelle armi europee

Negli ultimi dieci anni i paesi dell’Unioneeuropea hanno autorizzato esportazionidi armamenti a 132 nazioni: dallamartoriata Angola al poverissimo Niger,dal Sultanato di Brunei al Laos, da Vanuatu allo Yemen. Mancano solo Corea del Nord, Iran,Tonga e Tuvalu. Ma, nonostante l’embargo di armi, cisono Cina, Somalia, Sudan e Zimbabwe

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nio gli Stati Uniti (16,5 miliardi di euro) restanoil principale cliente internazionale, ma l’ArabiaSaudita non è da meno (12 miliardi) incalzatada vicino dagli Emirati Arabi Uniti (9 miliardi)e dall’Oman (oltre 4 miliardi) a dimostrazioneche l’accoppiata petrolio-armi continua ad es-sere tra le più redditizie: non a caso i governi diquesti tre paesi sono anche – secondo il Sipri diStoccolma – quelli al mondo col più alto rap-porto di spesa militare rispetto al Prodotto in-terno lordo.

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Posizione Comune: gli otto criteri dell’Unione europea L’8 dicembre 2008 il Consiglio dell’Ue ha adottato una Posizione Comune(2008/944/PESC) che aggiorna e sostituisce il Codice di condotta, invigore dal 1998, sulle esportazioni di armi europee e stabilisce “Normecomuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzaturemilitari”. Che devono rispondere agli otto criteri qui riassunti:

1. Rispetto degli obblighi e impegni internazionali, delle san-zioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dell’Ue come l’embargo diarmamenti verso diversi paesi, il non esportare mine terrestri anti-persona e la non proliferazione;

2. Rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale erispetto del diritto internazionale umanitario;

3. Situazione interna del paese di destinazione finale per nonprolungare tensioni o conflitti armati;

4. Mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilitàregionali: gli Stati membri rifiutano licenze di esportazione qualoraesista un rischio evidente di utilizzo dei sistemi militari a fini di ag-gressione contro un altro paese o per far valere con la forza una ri-vendicazione territoriale;

5. Sicurezza nazionale degli Stati membri e sicurezza dei paesiamici e alleati;

6. Comportamento del paese acquirente nei confronti della co-munità internazionale riguardo al terrorismo, alle sue alleanze e alrispetto del diritto internazionale;

7. Esistenza del rischio che i sistemi militari siano sviati al-l’interno del paese acquirente o indebitamente riesportati (triango-lazioni);

8. Compatibilità delle esportazioni di sistemi militari con lacapacità economica del paese destinatario, tenendo conto che ipaesi acquirenti dovrebbero destinare il minimo di risorse umaneed economiche agli armamenti.

La Francia, con oltre 5,5 miliardi di euro nelquinquennio, è il principale fornitore di sistemimilitari dell’Arabia Saudita alla quale di recenteha autorizzato l’esportazione di 1000 missiliterra-aria trasportabili Mistral e 25 mortai 2R2Mentrambi per la Guardia Nazionale Saudita. Ne-gli ultimi anni però, a seguito della commessanel 2007 da parte della Reale Aeronautica Sau-dita di 72 caccia multiruolo Eurofighter Ty-phoon, sono cresciute le esportazioni versoRiyad anche del Regno Unito (2,7 miliardi) edell’Italia (1,5 miliardi).

Sempre la Francia è il maggiore fornitore de-gli Emirati Arabi Uniti verso i quali ha autoriz-zato esportazioni per oltre 6,5 miliardi di eurosia per caccia multiruolo Mirage-2000-9, sia so-prattutto per la licenza di produzione in loco diquattro corvette multiruolo classe Baynunah erelativi missili MM-40-3 Exocet con sistema digestione per combattimento navale e di controllodel tiro dell’italiana Selex Sistemi Integrati.L’Italia ha autorizzato per la Marina militareemiratina anche la fornitura di due pattugliatoristealth classe Diciotto prodotti da Fincantierinel programma “Falaj 2” per un valore di 200

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milioni di euro di cui però è sparita traccia nellaRelazione all’Ue. Quest’ultima commessa, in-sieme a quella per 48 aerei addestratori M-346di Alenia Aermacchi – il cui contratto definitivonon è però ancora stato firmato – ha visto re-centemente incrementare le licenze all’esporta-zione italiana verso Abu Dhabi.

Di minor consistenza, ma in forte incre-mento, sono le autorizzazioni verso l’Oman chesono passate dai 105 milioni di euro del 2005ad oltre 1 miliardo di media nell’ultimo triennio:

potrebbe essere diversamente viste le limitazionidelle libertà democratiche e religiose nella mo-narchia assoluta dell’Arabia Saudita, che ha ilCorano come costituzione, negli Emirati ArabiUniti, in cui tuttora vige la shari’a islamica, onel sultanato dell’Oman che mantiene la penadi morte per diversi reati. Situazioni sulle quali– in considerazione dei criteri restrittivi dellaPosizione Comune europea (vedi box a paginaprecedente) – non si dovrebbe sorvolare troppofacilmente nell’esportare armamenti.

Da sinistra verso destra:una colonna di mezzi dellaGuardia Nazionaledell’Arabia Saudita (Sang);alcune navi da Guerra KD Perak, Kedah.

A pag. 20Rastrelliere di armi dafuoco prodotte da Beretta.

A pag. 21Alcuni esemplari in volo dijet M-346 Aermacchi.

A pag. 22Una seduta del Consigliodell’Unione europea.

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Nord del mondo Sud del mondo

anche in questo caso il principale fornitore è laFrancia, soprattutto per velivoli militari e, piùdi recente, per i 20 elicotteri da trasporto tatticoNH90 prodotti dalla NHIndustries, una jont-ven-ture nata dalla collaborazione della franco-tede-sca Eurocopter, dell’italiana AgustaWestland edell’olandese Stork Fokker Aerospace. Consi-stente anche l’ordinativo alla britannica Bae Sy-stems Surface Ships per tre corvette classe Kha-reef dotate dei radar olandesi Smart e Sting, dimissili antinave a lunga gettata, sistemi terra-aria Mica e del cannone navale Super Rapid del-l’italiana Oto Melara. L’Italia ha venduto allaGuardia Reale dell’Oman anche sei autoblindoCentauro dotati di torretta Hitfist per il cannoneda 120/45.

Inutile, però, cercare nelle Relazioni dell’Uequeste informazioni sugli specifici armamentiesportati ai vari Stati. Men che meno è possibiletrovare nelle Relazioni annuali qualche riferi-mento alla situazione interna o allo stato dei di-ritti umani nei paesi destinatari: non è questionedi poco conto considerato che, secondo l’Indicedi democrazia dell’Economist, questi tre Statifigurano tra quelli a “regime autoritario”. E non

TANTE ARMI, POCA STABILITÀ

Volgendoci al subcontinente indiano, apparesubito evidente come India e Pakistan sianoquasi concorrenti nell’acquistare sistemi militarieuropei: nell’ultimo quinquennio il governo diNew Delhi – che secondo il Sipri è il maggioracquirente mondiale di armamenti convenzio-nali – ne ha ordinati per quasi 5,6 miliardi dieuro, mentre quello di Islamabad, che per la crisieconomica nel recente biennio ha dimezzato lecommesse, per oltre 4 miliardi.

La Francia, con più di 3 miliardi di euro dilicenze, è il principale fornitore del ministerodella difesa indiano: va segnalato il programmaper la fornitura dei sottomarini Scorpene, svi-luppati dalla francese Dcns con la spagnola Na-vantia. Sempre in ambito navale, l’Italia ha au-torizzato nel 2009 a Fincantieri l’esportazionedi due navi rifornitrici di squadra (“fleet tan-ker”): una commessa – evidenziava Il Sole 24Ore – “legata al piano di riarmo del paese asia-tico che prevede un consistente investimento perla Marina militare la quale, nei prossimi diecianni, intende acquistare 100 navi da guerra per

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Licenze all’esportazione diarmamenti Ue verso i paesidel Sud del mondo (inmiliardi di euro costanti)

Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione europea.

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Tabella 1 - I primi 20 paesi nel Sud del mondo destinatari di armamenti dell’Ue e raffronto con vari Indici e spese militari

Paese destinatario Licenze Export armi

Anni 2006-2010 (€)Export armi

% sul Totale

Indice di sviluppo umano(Livello e posto su 184 Paesi)

Indice di democrazia(Livello e posto su 167 Paesi)

Indice globale di pace(Livello e posto su 149 Paesi)

Spese militari(% sul PIL)

Arabia Saudita 12.130.250.024 7,4 Alto (56) Autoritario (160) Basso (107) 11,2%

Emirati Arabi Uniti 9.164.153.705 5,6 Molto Alto (30) Autoritario (148) Alto (44) 7,3%

India 5.594.049.063 3,4 Medio (134) Imperfetto (40) Molto Basso (128) 2,8%

Oman 4.332.112.810 2,6 Alto (89) Autoritario (143) Molto Alto (23) 9,7%

Pakistan 4.028.673.071 2,4 Basso (145) Ibrido (104) Molto Basso (145) 2,8%

Turchia 3.506.410.354 2,1 Alto (92) Ibrido (89) Molto Basso (126) 2,7%

Malaysia 3.440.009.507 2,1 Alto (61) Imperfetto (71) Molto Alto (22) 2,1%

Singapore 3.402.079.229 2,1 Molto Alto (26) Ibrido (82) Molto Alto (30) 4,3%

Marocco 2.539.942.745 1,5 Medio (130) Autoritario (116) Alto (58) 3,4%

Brasile 2.274.781.666 1,4 Alto (84) Imperfetto (47) Medio (83) 1,6%

Algeria 1.849.641.494 1,1 Medio (96) Autoritario (125) Basso (116) 3,8%

Kuwait 1.622.736.757 1,0 Alto (63) Autoritario (114) Medio (39) 4,4%

Venezuela 1.613.290.917 1,0 Alto (73) Ibrido (96) Molto Basso (122) 1,3%

Indonesia 1.492.852.656 0,9 Medio (124) Imperfetto (60) Medio (67) 0,9%

Cile 1.360.509.626 0,8 Molto Alto (44) Imperfetto (34) Molto Alto (28) 3,5%

Cina* 1.225.463.123 0,7 Medio (101) Autoritario (136) Medio (80) 2,2%

Thailandia 1.208.936.971 0,7 Medio (103) Imperfetto (57) Molto Basso (124) 1,9%

Egitto 1.134.091.335 0,7 Medio (113) Autoritario (138) Alto (49) 2,5%

Sudafrica 1.102.492.741 0,7 Medio (123) Imperfetto (30) Molto Basso (121) 1,3%

Libia 1.005.035.499 0,6 Alto (64) Autoritario (158) Alto (56) n.r.

Totale dei 20 paesi 64.027.513.293 38,8 Norvegia: Molto Alto (1)

Norvegia: Democrazia piena (1)

Norvegia: Molto Alto (5)

Norvegia:1,6%

Resto del mondo 100.912.282.225 61,2 Stati Uniti: Molto Alto (4)

Stati Uniti:Democrazia piena (17)

Stati Uniti: Medio (85)

Stati Uniti:4,7%

TOTALE 164.939.795.518 100,0 Italia: Molto Alto (24) Italia: Imperfetto (29) Italia: Alto (40) Italia: 1,8%

Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione europea e del Human Development Report (Hdr), 2011; Democracy Index, 2010; Global Peace Index (Gpi), 2010; Sipri Yearbook, 2009.

Armi, spese militari, sviluppo, democrazia e pace a raffronto

La tabella, presentando l’elenco dei primi 20 paesi nel Sud del mondo (compresa la Cinatuttora sotto embargo) verso i quali gli Stati dell’Ue hanno rilasciato licenze di esporta-zione di armamenti nel quinquennio 2006-2010, mostra le diverse criticità (in colorefucsia) sulla base di alcuni indici internazionali di riconosciuta rilevanza. Questi indicisono stati scelti per offrire un parametro di valutazione dell’applicazione degli ottocriteri della Posizione Comune dell’Ue sulle esportazioni di armamenti. In particolare:

1) Indice di Sviluppo umano (Human Development Index) elaborato dal programmadelle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) è stato scelto in considerazione del Criterio 8 cherichiede agli Stati membri di valutare la “compatibilità delle esportazioni di sistemi militaricon la capacità economica del paese destinatario” e del suo lo sviluppo sostenibile.

2) Indice di Democrazia (Democracy Index) elaborato dall’Economist Intelligence Unitdel settimanale “The Economist” definisce lo “stato di democrazia” sulla base di cinquecategorie generali (processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo,

partecipazione politica e partecipazione culturale). Questo indice è stato scelto in consi-derazione del Criterio 2 che richiede agli Stati membri di valutare “il rispetto dei dirittiumani nel paese di destinazione finale”.

3) Indice Globale della Pace (Global Peace Index) sviluppato da un’équipe internazionaledi esperti di pace su dati forniti e rielaborati dall’Economist Intelligence Unit, intendeclassificare lo “stato di pacificità” delle nazioni sulla base di 23 indicatori che tengonoconto sia di fattori interni ad un paese (livelli di criminalità, omicidi, rispetto dei dirittiumani...) sia delle relazioni esterne (rapporti con gli Stati vicini, conflitti, terrorismo,spese militari e per armamenti...). Questo indice è stato scelto in considerazione deiCriteri dal 3 al 7 che richiedono agli Stati membri di valutare la situazione interna e lerelazioni internazionali di un paese per il mantenimento della pace, della sicurezza edella stabilità regionali.

4) Spese militari: basato sulla banca dati dello Stockholm International Peace ResearchInstitute (Sipri) calcola le spese militari di ogni paese in rapporto al suo Prodotto internolordo (Pil). Questo indicatore va letto in relazione agli altri indici presentati e offre indi-cazioni utili soprattutto rispetto al Criterio 8 che chiede agli Stati membri di considerareche “i paesi acquirenti dovrebbero essere in grado di soddisfare le loro legittime esigenzein materia di sicurezza e difesa con una diversione minima di risorse umane ed econo-miche per gli armamenti”.

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contrastare l’ingombrante presenza nell’Oceanoindiano della Marina cinese che, grazie ad ac-cordi con Pakistan e Sri Lanka, può utilizzarnediversi porti”.

Sempre la Francia è il maggiore fornitore delPakistan, ma nel quinquennio Islamabad ha ot-tenuto autorizzazioni per rilevanti forniture an-che dalla Svezia e dall’Italia per dieci sistemimissilistici Spada 2000 Plus dotati di 200 missiliAspide della Mbda con veicoli autotrasportabiliIveco per un valore complessivo di circa 425milioni di euro. Anche in questo caso, non vi ènelle Relazioni alcun cenno non solo alla situa-zione interna e alle condizioni di vita nei duepaesi, ma nemmeno al problema dell’instabilitànell’intera regione. Tra i due Stati – entrambidetentori di ordigni nucleari – permangono di-verse tensioni, sia quelle storiche per i territoridel Kashmir sia quelle più recenti collegate alterrorismo internazionale che hanno visto reci-proche accuse per gli attentati a Mumbai nel2008 e nel luglio dell’anno scorso.

CRESCE L’ECONOMIA, AUMENTANO LE ARMI

Altrettanto singolare è la perfetta parità diautorizzazione di armamenti europei a due Statidirimpettai, Malaysia e Singapore, che nell’ul-timo quinquennio hanno ottenuto licenze d’ac-quisto per oltre 3,4 miliardi di euro ciascuno.Le due economie presentano da diversi anni uncostate livello di crescita tanto che, dopo unaleggera flessione dovuta alla recente crisi eco-nomico-finanziaria internazionale, hanno già ri-preso i propri livelli di sviluppo.

La Malaysia deve la sua fortuna economicaalla produzione di stagno, caucciù e olio di palmae alla sua posizione sullo stretto di Malacca, dalquale passa un quarto di tutto il commercio na-vale mondiale. Ma di recente, oltre all’industriamanifatturiera, si è andata sviluppando forte-mente anche la finanza islamica e la Borsa diKuala Lumpur è segnalata nel rapporto GlobalFinancial Centres della City of London tra i“transnational contenders” emergenti. Ancor piùimpressionante è la crescita economica di Sin-gapore, quarto maggiore centro finanziario almondo, la cui Borsa ha ampiamente superato pervolume d’affari quella di Tokyo ed è oggi, in-sieme con Hong Kong, tra le più dinamiche.

La ricchezza economica ha migliorato il te-nore di vita nei due paesi che hanno mantenutocostante la propria spesa militare procurandosianche nuovi armamenti: la Malaysia ha comefornitore principale la Russia, ma ha anche ac-quistato numerosi sistemi militari europei tra cuii carri armati polacchi, la licenza di produzionedalla Germania di sei corvette Kedah e, soprat-tutto, due sottomarini Scorpene sviluppati dallafrancese Dcns con la spagnola Navantia dotatidi siluri Black Shark dell’italiana Wass e, più direcente, 12 elicotteri EC 725 Super Cougar ordi-nati alla francese Eurocopter e otto aerei adde-stratori di Alenia Aermacchi consegnati nel 2009.

Singapore, invece, ha come primo fornitore gliStati Uniti da cui ha acquisito gran parte della pro-pria imponente flotta area. Ma annovera anche di-versi paesi europei, tra cui la Germania, da cui haacquistato oltre un centinaio di carri armati Leo-pard e, soprattutto, la Francia per il “ProgettoDelta” che comprende la licenza di produzione disei fregate stealth tipo La Fayette (classe Formi-dabile) dotate di 300 missili terra-aria ASTER-15e di cannone Super Rapid della Oto Melara e laSvezia per due sottomarini classe Archer dotati disiluri Black Shark dell’italiana Wass. Singaporepossiede oggi uno dei sistemi militari più avanzatidel sud-est asiatico e da alcuni anni ha messo inatto la “Total Defence”, una strategia di difesa di

tipo sia militare sia civile. Nonostante i due paesi

La Francia è il maggiorefornitore delPakistan, ma nelquinquennioIslamabad ha ottenutoautorizzazioniper rilevantifornitureanche dallaSvezia edall’Italia

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L’elenco dei destinatari diarmamenti europei mostra

che più che ai divieti si èbadato agli affari. I maggioriacquirenti sono infatti i paesi

in forte crescita economica,ma spesso con regimi

“autoritari”, un’alta spesamilitare e un “indice di pace”

alquanto critico

ILSOLE24H.BLOGSPOT.COM

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Odissea all’alba. Doveva iniziare col sorgere del solel’operazione militare sulla Libia a seguito della Riso-

luzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che au-torizzava la comunità internazionale ad istituire una “no-fly zone” sui cieli libici. I primi ad alzarsi in volo, già nelpomeriggio del 19 marzo 2011, sono invece i caccia fran-cesi Rafale e Mirage: alle 16:45 colpiscono quattro mezzicorazzati dell’esercito di Gheddafi che tenevano in assediogli insorti a Bengasi. Dopo alcuni giorni una foto fa il girodel mondo: raffigura dei semoventi Palmaria, distrutti aBengasi. In Francia brindano al successo del loro premièreattaque. In Italia, alla Oto Melara si congratulano per laresistenza al tempo e alla sabbia del deserto di quei cannoniordinati dal colonnello Gheddafi nel lontano 1982. La

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figurino nel Global Peace Index tra le nazioni con ilmiglior indice di pace, permangono tra loro attritistorici che si riaccendono sia per questioni di accessoall’acqua o collegate all’invasione dello spazio aereodei velivoli militari sia per motivi politici tra cui lostorico legame tra Singapore e Israele: lo Stato diIsraele non è infatti riconosciuto non solo dalla Ma-laysia ma anche dalla vicina Indonesia e dal Sulta-nato del Brunei.

Anche Indonesia e Thailandia sono due econo-mie in forte crescita: secondo la classifica dellaBanca Mondiale, l’Indonesia è già al 18° posto perProdotto interno lordo (Pil) davanti a Svizzera eSvezia, mentre la Thailandia è al 30° posto davantia Danimarca e Finlandia. L’ammontare delle espor-tazioni di sistemi militari europei nei due paesi è,anche in questo caso, molto simile: poco meno di1,5 miliardi di euro verso Giacarta e oltre 1,2 mi-liardi verso Bangkok. La crescita economica ha in-fatti portato i due paesi del sud-est asiatico ad ac-quisire nuovi armamenti. L’Indonesia li ha commis-sionati soprattutto ai Paesi Bassi. La Thailandia, in-vece, nell’ultimo quinquennio ha acquistato sistemimilitari soprattutto dalla Svezia. La crescita econo-mica non sempre ha portato altrettanta stabilità in-terna: in Indonesia – le cui forze armate sono stateancora recentemente accusate da Human RightsWatch di serious human rights violation – perman-gono i movimenti separatisti nella regione di Papua(la sezione indonesiana dell’isola di Nuova Guinea),mentre la Thailandia nell’ultimo quinquennio è statateatro di diverse sollevazioni popolari: mentre sonoricorrenti gli scontri armati ai confini con la Birma-nia (Myanmar) e con la Cambogia.

E I DIVIETI?

“Gli Stati membri sono determinati a impedirel’esportazione di tecnologia e attrezzature militariche possano essere utilizzate per la repressione in-terna o l’aggressione internazionale o contribuireall’instabilità regionale”. Leggere questo paragrafodella Posizione Comune dopo aver passato in ras-segna la situazione nei principali paesi destinataridi armamenti europei porta a pensare che più cheai divieti si sia badato agli affari: non a caso i mag-giori acquirenti sono quei paesi che presentano eco-nomie in forte crescita trainate dal petrolio, daicommerci e dalla finanza. Che poi le principaliagenzie mondiali li classifichino come regimi “au-toritari” ad alto livello di spesa militare e con un“indice di pace” quanto mai critico poco importa.Business is business, anche per le armi. n

Armare dittatori e insorti

Il caso Libia

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guerra serve anche a questo: mostrare l’efficienza dei mezzimilitari, la loro durevolezza e funzionalità anche nelle con-dizioni più avverse. “Testato in teatro operativo” è una mar-chio ormai necessario per ogni potenziale acquirente.

ATTO PRIMO: RIABILITARE A LIBIA

Erano stati soprattutto i governi di Italia e Francia a chie-dere e ottenere nel settembre del 2004 dall’Unione europeal’abolizione dell’embargo al commercio di armamenti e si-stemi militari verso Gheddafi. Una sanzione decisa nel 1986dopo l’attentato alla discoteca “La Belle” di Berlino e man-tenuta a seguito dell’abbattimento nel 1988 dell’aereo pas-seggeri della Pan Am a Lockerbie (Scozia). Con la rinuncia

di Gheddafi a proseguire nel programma di sviluppo di armidi distruzione di massa, il presidente George W. Bush nelsettembre del 2004 aveva fatto cadere tutte le sanzioni eco-nomiche contro il rais libico consentendo formalmente il ri-torno delle compagnie petrolifere statunitensi a Tripoli.

Non fu quindi difficile per Berlusconi e Chirac, sostenutianche da Prodi che era presidente della Commissione euro-pea, convincere gli altri leader che era tempo di metter fineall’embargo di mezzi militari. Il motivo ufficiale stavanell’urgenza di assicurarsi l’apporto libico per “contrastarel’immigrazione clandestina” verso le coste italiane. Ma erasoprattutto urgente, prima che arrivassero le compagnieamericane, riprendere i rapporti commerciali con un paesericco di petrolio in grado di pagare beni e servizi che le im-prese del vecchio continente potevano offrire.

ATTO SECONDO: RIARMARE LA LIBIA

Non è un caso, quindi, che nel quinquennio 2006-2010proprio Francia e Italia si siano aggiudicate, per un am-montare di oltre 725 milioni di euro, più di 2/3 di tutte lecommesse militari della Grande Jamāhīriyya Araba Popo-lare e Socialista (figura 5 a pagina 28).

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Missione Oggi | aprile 2012 27

I paesi europei prima hanno fatto agara per armare i dittatori del Nord

Africa poi, come nel caso della Libia,si sono premurati di bombardarnegli arsenali mentre rifornivano di

armi gli insorti. Oggi, nascosto sottola sabbia qualche relitto,

annunciano con orgoglio la ripresadella cooperazione militare col

nuovo governo di transizione.Niente di nuovo sotto il sole...

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per un valore complessivo di oltre 330 milionidi euro. Anche Regno Unito e Germania entra-vano nella partita per un valore complessivo dioltre 90 milioni di euro ciascuno. Nessuno stu-pore, perciò, se al primo salone militare interna-zionale LibDex (Libyan Defence Exhibition),tenutosi nel 2008 al Mitiga Airport, alle porte diTripoli, partecipavano tutte le maggiori aziendeeuropee del settore. Che rinnovavano la loro par-tecipazione alla seconda edizione, tenutasi nelnovembre 2010. Particolarmente nutrita la de-legazione italiana. Erano presenti tutte le prin-cipali aziende del gruppo Finmeccanica: SelexCommunications illustrava le innovazioni di“Soldato Futuro”, il sistema per la modernizza-zione delle forze terrestri, ma c’erano ancheAgustaWestland, Alenia Aermacchi, Alenia Ae-ronautica, Oto Melara e Selex Galileo con leloro “soluzioni di nuova generazione”.

ATTO TERZO: BOMBARDARE LA LIBIA

Quattro mesi più tardi i Rafale francesi cer-cavano di dribblare i radar libici per bombardarei cannoni italiani, i militari britannici si doman-davano quanti di quegli snipers fossero nellemani dei soldati fedeli a Gheddafi e chiedevanoai belgi quanti fucili e munizioni avessero in-viato a Tripoli, i giornalisti tedeschi si interro-gavano sui disturbi alle comunicazioni telefoni-che messi in atto grazie ai sistemi di jammingesportati dalle loro ditte. Le aziende e il Governoitaliano prevenivano le domande: Finmeccanicarilasciava prontamente un comunicato per chia-rire che “gli ordini acquisiti dalla Libia non sonoin ambito militare” ma esclusivamente “per at-tività di ricerca e soccorso e di controllo dellefrontiere” (tacendo ovviamente sui ricambi peri Palmaria 155/52 del valore di € 24.286.800, lecomponenti per missili Milan-3 da € 2.519.771e i sistemi elettronici di tiro NEMO FC del va-lore di € 13.704.250 forniti dalle sue aziende).La ditta Beretta di Gardone Valtrompia, pressatadalle associazioni pacifiste circa una strana for-nitura di armi via Malta, si premurava di far sa-pere “di operare nel pieno rispetto dei regola-menti, normative e procedure che regolano lacommercializzazione di armi a livello mondiale”tacendo però sulle 11.200 tra carabine, pistole efucili semiautomatici inviati nel 2009 al colon-nello Abdelsalam Abdel Majid Mohamed ElDaimi, Direttore della Direzione Armamenti

Parigi ha dato il via libera ad ordinativi libiciper oltre 390 milioni di euro soprattutto per ve-livoli militari (120 milioni), apparecchi per con-tromisure (90 milioni), sistemi di puntamento(33 milioni), razzi e missili (51 milioni). Le ditteitaliane, invece, si sono impegnate da un lato adammodernare la flotta aerea e i mezzi militariforniti a Gheddafi negli anni ’80, dall’altro adeffettuare nuove forniture tra cui dieci elicotteriAgusta AW109 di cui due in configurazione mi-litare, due AW139 “per il controllo delle fron-tiere”, un aeromobile Alenia ATR42 per il pat-tugliamento marino ed altro materiale: il tutto

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Figura 5 – Licenze all’esportazione di armamenti verso la Libia (in milioni di euro costanti)

Fonte: elaborazione dalle Relazioni dell’Unione europea.LI

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PER SAPERNE DI PIÙ

Giorgio Beretta, Chiara Buonaiuti,

Francesco Vignarca (a cura di)

L’economia armataLa produzione e il

commercio di armi:conoscerne i meccanismi

per promuovereun’economia di pace

Ires/Altreconomia Milano 2011

pp. 144; € 8,00

presso:[email protected]

missione oggi aprile 2012_mo 26/03/2012 16.13 Pagina 28

della Pubblica Sicurezza del rais libico: i timbri– ad onor del vero – erano in perfetto ordine.

ATTO QUARTO: ARMARE GLI INSORTI

C’era però un problema a terra che bisognavarisolvere: gli “interventi mirati” alle contraereee ai radar libici non bastavano a far avanzare gliinsorti. A complicare la situazione c’era la Ri-soluzione Onu 1973 del 17 marzo 2011 che, isti-tuendo la “no fly zone”, rafforzava l’embargodi armi verso la Libia. Ma un passaggio aprivauno spiraglio: autorizzava – previa notifica alSegretario Generale – “ad adottare tutte le mi-sure necessarie per proteggere i civili e le areecivili popolate sotto minaccia di attacco nellaJamahiriya Araba Libica inclusa Bengasi”.

Per i ministeri della difesa il gioco era fatto:nessun intervento degli eserciti ma “tutte” le mi-sure per proteggere i civili. Le armi, va da sé, almassimo servono per la difesa, per la “bonifica”ci sono i caccia. E fu così che qualche settimanadopo l’ex ministro dell’interno libico divenutocomandante militare degli insorti, il generale Ab-del Fattah Younes, poteva dichiarare festante a

Al-Arabiya che le sue forze “stavano ricevendoforniture di armi da parte di nazioni non identifi-cate che sostenevano la rivolta”. Qualche giornoprima otto membri dell’intelligence britannicavenivano bloccati nella campagna libica dagli in-sorti che li avevano scambiati per sostenitori diGheddafi. Il Belgio intanto giustificava le mi-gliaia di bossoli calibro 7,62 ritrovati sulle pistedell’aeroporto di La Abrag a El Beida prodottidalla Fn Herstal come una “fornitura destinataalla scorta di aiuti militari in Darfur”. Anche la

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Missione Oggi | aprile 2012 29

Massacri in Siria con armi italiane

Si susseguono i massacri in Siria: il presi-dente dell’Assemblea generale dell’Onu,

Nassir Abdulaziz al-Nasser, ha riferito di ol-tre 8 mila persone uccise dall’inizio dellemanifestazioni. L’ultima carneficina, men-tre scriviamo, è quella perpetrata nella cittàdi Homs dove i lealisti al regime di Basharal Assad hanno sgozzato una cinquantinadi donne e bambini. Le violenze si sono in-tensificate dall’agosto scorso quando i carroarmati siriani T-72 sono entrati nella cittàdi Hama e hanno preso a cannonate la follaprovocando oltre cento morti e centinaia diferiti. Su quei carri armati di fabbricazionesovietica c’è l’impronta del made in Italy:vi sono infatti installati da anni i sistemi

di puntamento e di controllo del tiro Turms-T, un sistema di terza generazione “espe-cially developed for the fire control moder-nisation/upgrade of Russian origin T-familytanks” – spiega il sito di Selex Galileo, unacontrollata di Finmeccanica. La commessadi Damasco per 500 sistemi di derivazioneTurms prodotti dalle allora Officine Galileodestinati all’aggiornamento dei carri ar-mati T72 di fabbricazione sovietica del va-lore iniziale di 229 milioni di dollari (oltre400 miliardi di lire) risale al 1998 (ne par-lammo su Missione Oggi), ma è continuatafino al 2009 quando il Governo Berlusconiha autorizzato la consegna di 286 parti diricambio e 600 ore di assistenza tecnica per“sistemi di derivazioni Turms”. I ministridegli Esteri, Frattini e Terzi di Sant’Agata,hanno ripetutamente condannato le vio-lenze. Verso chi negli anni ha continuato arifornire il regime siriano di sistemi mili-tari, assoluto silenzio.

L’ex ministro dell’internolibico, divenuto comandante

militare degli insorti, ilgenerale Abdel Fattah Younes,

poteva dichiarare festante aAl-Arabiya che le sue forze

“stavano ricevendo fornituredi armi da parte di nazioni

non identificate chesostenevano la rivolta”

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Carro armato T72 in azione.

Alle pagg. 26-27Bengasi (Libia), alcuniSemoventi Palmaria delleforze di Gheddafi distruttidall’aviazione francese il19 marzo 2011.

A pag. 28Dall’alto verso il basso:Libia, Fiera LibDex 2008;esposizione di alcunimodellini di elicotteri daguerra presso gli standGem Elettronica e Selex.

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veda il numero di dicembre 2011 di MissioneOggi). Italia Francia e Gran Bretagna spedivanoufficialmente in Libia diversi ufficiali “consi-glieri” per gestire i rapporti con lo stato maggioredegli insorti, e in segreto a Bengasi alcuni teammilitari di forze speciali con compiti di supportoai miliziani. “Una cosa è offrire training, altra èpartecipare” – spiegava il ministro La Russa. LaFrancia invece non aveva bisogno di nasconderele proprie forniture militari agli insorti: sempli-cemente le paracadutava insieme agli aiuti uma-nitari spiegando – parole del Col. Thierry Bur-

Germania aveva i suoi grattacapi: il figlio diGheddafi, Saif al-Islam, arringava la folla mo-strando un fucile d’assalto tedesco Heckler &Koch G36, ma la medesima arma appariva qual-che tempo dopo nelle braccia degli insorti. Il mi-nistro dell’Economia tedesco rassicurava peròche il governo non aveva mai rilasciato alcuna li-cenza per esportare in Libia quei fucili. Le truppedel colonnello Gheddafi, intanto, suscitavano l’in-dignazione mondiale per aver sparato dai mortai,nelle zone residenziali vicino all’’ospedale di Mi-surata, bombe a grappolo: le bombe erano uscite

Italia Francia eGran Bretagna

spedivanoufficialmente

in Libia diversiufficiali

“consiglieri”per gestire i

rapporti con lostato maggioredegli insorti, e

in segreto aBengasi alcuni

team militaridi forze

speciali concompiti di

supporto aimiliziani

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30 Missione Oggi | aprile 2012

nel 2007 dalla fabbrica spagnola Instalaza, maquesto non suscitava altrettante rimostranze.

ATTO QUINTO: ADDESTRARE GLI INSORTI

Il 25 agosto l’inviato del Corriere della Sera,Lorenzo Cremonesi, entrava nel bunker di Ghed-dafi dove “nelle stanze adibite ad arsenali militarici sono le scatole intatte e i foderi di migliaia trapistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigo-rosamente marca Beretta. A lato, letteralmentemontagne di casse di munizioni italiane”. Il Cor-riere seppelliva la notizia all’interno di un lungoarticolo e la notizia passava inosservata. Nel frat-tempo lo Stato Maggiore della Marina Militareitaliana metteva il segreto di Stato sulla destina-zione finale del cosiddetto “arsenale Zhukov (si

khard – che le armi “erano solo mezzi di autodi-fesa” per le popolazioni berbere di Nafusa, a suddi Tripoli. Erano decine di tonnellate di armi. Il 5luglio il ministro della difesa francese, GérardLonguet, dichiarava che le forniture di armi nellaregione “non erano più necessarie” in quanto “iterritori si erano organizzati nella loro autono-mia”. Il ministro algerino, Abdelkader Messahel,denunciava intanto che la Libia era diventata un“open-air arms market” a cui le formazioni di al-Qaeda del Maghreb islamico potevano attingere.Un semplice effetto collaterale.

ATTO SESTO: RIARMARE I NUOVI ARRIVATI

Bilancio dell’operazione “Unified Protector”dal rapporto finale della Nato: “In sette mesi ef-

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Le foto di queste duepagine si riferiscono a

scene della rivolta libicadella primavera 2011.

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fettuate 26.500 spedizioni aeree sulla Libia, di-strutti più di 5.900 obiettivi militari inclusi 400mezzi di artiglieria e lanciamissili e oltre 600tra carri armati e veicoli blindati”. “Il numero diobiettivi che la Nato ha distrutto – spiegava inun briefing a metà giugno il portavoce militaredell’operazione Mike Bracken – indica la vastitàe la forza della macchina militare che Gheddafiha accumulato nel corso degli ultimi 40 anni alfine di opprimere il suo popolo. La Libia diGheddafi era una dittatura militare. It is that sim-ple”. No comment su chi, in quei 40 anni aveva

F1 e di aiutare a formarne i piloti come parte diun accordo di futura cooperazione militare. Mala vera priorità per gli europei rimane il controllodei confini libici per prevenire immigrazioni in-desiderate: e qui la partita è tutta da giocare trale aziende francesi e italiane. Non a caso per ilsuo primo viaggio fuori dall’Europa, il 21 gen-naio scorso, il presidente Monti ha scelto Tripolie si è fatto accompagnare dal ministro della di-fesa Di Paola. Col premier libico Abdurrahimal-Keib Monti ha firmato la “Dichiarazione diTripoli” che punta a “rafforzare l’amicizia e la

rifornito di armi il rais libico. Nessun dato dallaNato sul numero delle vittime della guerra civilesostenuta con le armi inviate anche dagli Statimembri ad ambo le parti (Si stimano in almeno30 mila i morti ed oltre 50 mila i feriti).

La vicenda libica è tuttora in corso. Ma cisono già notizie fresche sul fronte delle fornituredi sistemi militari. Il Segretario del Consiglionazionale di transizione e attuale Capo di Statoad interim, Mustafa Abdel Jalil, ha dichiaratoall’agenzia Novosti che il nuovo governo libico“non ha in programma di acquistare sistemi mi-litari russi”: brutto colpo per le industrie russeche stimano in 4 miliardi di dollari l’ammontaredei contratti militari con Gheddafi. La Franciaha però già annunciato di voler ammodernare lapiccola flotta libica di caccia Dassault Mirage

cooperazione nella cornice di una nuova visionedei rapporti bilaterali”. Come primo atto, si pre-vede l’addestramento delle forze di sicurezza dadestinare nella zona dei campi petroliferi e peril controllo delle zone di frontiera marittima eterrestre, con apparecchiature messe a disposi-zione dalle aziende italiane: inoltre, 100 soldatiitaliani saranno inviati Libia per addestrare lenuove truppe.

Da non dimenticare le opere umanitarie.L’Italia si è impegnata “a compiere l’attività disminamento delle aree a rischio” mentre la Ger-mania (ricordate quei fucili d’assalto?) ha giàannunciato uno stanziamento di 750 mila europer “individuare, mettere al sicuro e distruggeregli arsenali di armi leggere e munizioni”. Il bu-siness delle armi può ripartire. n

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PER SAPERNE DI PIÙ

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Stentano a trovare una politica estera condivisa, si rimpallano leresponsabilità di fronte all’immigrazione incalzante, non si preoccupano dimettere in agenda una linea d’azione comune per la cooperazione

internazionale allo sviluppo. Su un versante, però, i governi europei si sono già trovati d’accordo: quello della semplificazionedelle norme per il commercio dei “prodotti per la difesa” all’interno dell’Unione. Infatti, una direttiva apparentemente innocua– tanto che ha visto come relatrice l’eurodeputata Heide Rühle (Verdi/D) –, approvata nel dicembre del 2008, prevede difacilitare i trasferimenti intra-europei di armamenti “al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno”. Passataquasi inosservata, la direttiva è oggi il miglior grimaldello nelle mani della lobby armiera per modificare la legge 185 che dal1990 regolamenta l’esportazione italiana di armamenti. Che i paesi dell’Ue puntino sul mercato delle armi per uscire dalla crisieconomica è un dato di fatto: come documentiamo in questo dossier, i “magnifici sette” dell’Unione affiancano ormai gli StatiUniti nel commercio internazionale di armamenti. L’industria militare italiana non sta certo a guardare. Anzi fa sentire chiare eforti le sue lagnanze non tanto verso i “soliti pacifisti”, bensì verso le maggiori banche che professandosi “non armate”starebbero penalizzando ulteriormente un settore che per sopravvivere deve dimostrarsi competitivo.

a c u r a d i G I O R G I O B E R E T TA

Unione EuropeaCommerciare armi per essere competitivi

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Missione Oggi | gennaio 2011 17

Diciamolo subito e chiaro. Una buona legge, fortemente voluta da ampi movimenti dellasocietà civile, come la 185 del 1990, non ha prevenuto l’esportazione di armi italiane a na-zioni in conflitto, governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, Stati pesante-

mente indebitati che spendono ingenti risorse per gli apparati militari e verso i paesi del Sud del mondo: proprio questi, anzi, negliultimi anni ne sono diventati i principali destinatari. Ma non è un buon motivo per mandarla in pensione, semmai una ragione in piùper rafforzarla. L’impegno è oggi più urgente di fronte all’annunciata modifica della legge: per recepire una direttiva europea che“semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno dell’Unione dei prodotti per la difesa” il Governo intende far ap-provare un disegno di legge delega e procedere al “riordino generale della materia”. Sono necessarie, invece, regole più precise. Èurgente aprire il dibattito parlamentare e suscitare l’attenzione pubblica. Ma non basta. Occorre la chiara presa di posizione della so-cietà civile. Un modo per attivarsi è stato la campagna di pressione sulle “banche armate”: se oggi i maggiori gruppi bancari italianisi sono dotati di regole è grazie all’impegno capillare delle associazioni e dei cittadini. La pace non si può delegare se non vogliamoche l’export di armi divenga il “nuovo modello di sviluppo” italiano.

d i G I O R G I O B E R E T TA

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Esportare arminuova via italiana allo sviluppo?

Dossier di G. Berettasul tema del commerciodelle armi pubblicatinel n. 1/2010 e n. 1/2011della nostra rivista.

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zioni e importazioni di armamenti. Con-siderato che “la trasparenza sulle questionimilitari è un elemento essenziale per la co-struzione di un clima di fiducia e di confi-denza tra gli Stati” (Risoluzione Onu 64/22del 2 Dicembre 2009) venga vietata l’espor-tazione di armamenti a tutti gli Stati al difuori dell’Ue che non presentano ai propriparlamenti e agli organismi internazionaliuna relazione annuale sulle importazioni edesportazioni di armamenti.

5. Estendere il regime di autorizzazionie controlli anche alle armi “non a speci-fico uso militare”. Le cosiddette “armi leg-gere e di piccolo calibro” nei recenti conflittisi sono dimostrate reali “armi di distruzionedi massa”. Queste armi sono le più facili datrafugare e triangolare, ma le regolamenta-zioni nazionali sulla loro esportazione risal-gono spesso a leggi inadeguate rispetto almutato scenario. Chiediamo perciò che tuttele armi leggere e di piccolo calibro e il loromunizionamento (per uso militare e non, ci-vile e sportivo) vengano inclusi nel campodi applicazione della nuova normativa.

6. Controllare gli intermediari di arma-menti. La Posizione Comune 2003/468/PESC

1. Migliorare i criteri restrittivi dellanormativa. Gli otto criteri restrittivi dellanormativa vanno definiti sulla base di pa-rametri certi e verificabili. Solo in questomodo possono essere utilizzati efficacementeper impedire l’esportazione di armamentiche possano essere utilizzati per la repres-sione interna o l’aggressione internazionaleo contribuire all’instabilità regionale.

2. Introdurre il divieto di esportazioneverso Stati belligeranti. Si inserisca il di-vieto di esportazione di armamenti versopaesi “in stato di conflitto armato” appli-candolo a tutti gli Stati che pongono in attointerventi militari fuori dai propri confini,non avallati da una specifica risoluzione delConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ildivieto di esportazione di armamenti si ap-plichi anche nei confronti degli Stati che ab-biano violato gli embarghi di vendita di ar-mamenti stabiliti dalle Nazioni Unite edall’Unione europea.

3. Estendere i divieti ai paesi che presen-tano alti livelli di spesa militare. Il di-vieto di esportare armamenti sia esteso neiconfronti dei paesi che secondo l’Indice diSviluppo umano del Programma delle Na-zioni Unite per lo Sviluppo (Undp) sono se-gnalati come “Low or Medium Human De-velopment” e che contemporaneamente pre-sentano alti livelli di spesa militare. Venganovietate le esportazioni di armamenti versotutti quegli Stati al di fuori dell’Ue che pre-sentano un alto livello di spesa militare.

4. Estendere i divieti ai paesi che nonrendono pubbliche le proprie esporta-

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sul controllo dell’intermediazione di arma-menti venga estesa anche agli intermediaridi armi leggere e di piccolo calibro e resa vin-colante.

7. Rendere vincolante la comunicazionedelle esportazioni di armamenti. Ad ogniStato membro sia fatto obbligo di riportareannualmente nei tempi prestabiliti tutte leinformazioni riguardanti le licenze e le espor-tazioni di armamenti suddivise nelle catego-rie previste e i dinieghi messi in atto. Si pre-vedano sanzioni in caso di inadempienze.

8. Migliorare la Relazione annuale e latrasparenza. Oltre a riportate le suddettelicenze, esportazioni e numero di dinieghi,la Relazione annuale presenti le principaliautorizzazioni e le consegne di armamentida parte degli Stati membri. Specifichi inol-tre in dettaglio tutte le licenze all’esporta-zione rilasciate ai paesi sottoposti ad em-bargo di armamenti da parte dell’Ue. In unapposito allegato si dia relazione sulle ope-razioni autorizzate e svolte dagli Istituti diCredito in materia di finanziamento e servizialle esportazioni di armamenti.

9. Promuovere il controllo parlamentaree il confronto con la società civile. La Re-lazione annuale sulle esportazioni di arma-menti sia presentata dal Consiglio al Parla-mento europeo e venga discussa e votatanelle commissioni competenti. In sede di va-lutazione le commissioni invitino le orga-nizzazioni della società civile per specificheaudizioni. La relazione sia presentata an-nualmente in una conferenza stampa agliorgani di informazione.

10. Promuovere il riordino dell’industriamilitare e la conversione a fini civili. Leindustrie del settore militare dei paesi del-l’Unione oggi sono in competizione tra loroin ambito europeo e internazionale per con-seguire ordinativi in grado di garantire lorosussistenza e sviluppo: questo scenario nonsolo è insostenibile, ma rischia di produrreconseguenze destabilizzanti sia rispetto allepolitiche di sicurezza europee sia per la sta-bilità in diverse aree del mondo. L’Ue devepertanto impegnarsi in un’attenta valuta-zione della sostenibilità dell’intera industriamilitare e, nell’ambito della politica estera edi sicurezza comune, procedere al suo rior-dino anche attraverso la conversione a finicivili delle industrie militari nazionali.

Dieci proposte all’Unione europea

La Posizione Comune 2008/944/PESC adottata dagli Stati membri dell’Ue, chedefinisce “norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia eattrezzature militari”, pur rappresentando un positivo miglioramento rispetto alCodice di condotta del 1998, non è però né vincolante né sanzionatoria. Per questola Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace chiedono che la PosizioneComune venga rafforzata e resa una “Direttiva” da implementarsi nelle legislazioninazionali. E presentano ai parlamentari europei dieci proposte:

www.disarmo.org

www.perlapace.it

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