Miseria & nobiltà: La Campania vista con gli occhi degli studenti della regione

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Un documento sulla condizione studentesca in Campania. Riflessioni e proposte di una generazione che vuole poter scegliere.

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Raffaele Guarino Luca Cioffi Coordinatore regionale Responsabile Organizzazione regionale 349 219 43 36 327 946 58 97

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MISERIA E NOBILTÀ La Campania vista con gli occhi delle studentesse e degli studenti della regione

TRA RICCHEZZA E POVERTÀ , TRA MIRACOLI E BESTEMMIE Siamo studentesse e studenti della regione Campania, una regione ricca di contraddizioni, con due volti in continua lotta tra di loro. Da una parte la nobiltà che le consegna per prima la storia, sin dai Sanniti e la Magna Grecia fino alle guerre di resistenza partigiana, passando per la “Campania felix” romana, il Regno delle due Sicilie e gli Spagnoli che hanno lasciato i segni del loro passaggio su tutto il territorio. Dall’altra la miseria. La miseria e le sue mille sfumature. Quella della povertà che dilaga nelle nostre città, nelle periferie come nei piccoli centri delle province; la miseria culturale, dai crolli di Pompei alla chiusura di ospedali e biblioteche, alla svendita di teatri e di tutto il patrimonio pubblico. La miseria lavorativa di fabbriche che chiudono oppure emigrano come fanno, d’altronde, i laureati e i nostri giovani. La Miseria di decenni di corruzione, di camorra e di un malato sistema economico-politico che ha sacrificato all’altare dei mercati la propria nobiltà. Ora a vestire i “nobili-panni” sono, infatti, i grandi poteri, quelli che detengono le ricchezze di questa terra, dai grandi gruppi industriali alla criminalità organizzata. La Campania vive in questa contraddizione, tra la miseria del reale e una nobiltà possibile, desiderabile. Una regione che è specchio dell’intero Paese ma ancora di più simbolo di un SUD Italia che ha visto il disvelarsi del volto peggiore della crisi.

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Se da una parte, infatti, il nord Italia nell’ultimo decennio ha mostrato comunque piccoli segnali di crescita (+2% del PIL) dall’altra il meridione mostra invece un’acuta fase di recessione (-7% del PIL), la nostra regione risulta, difatti, essere agli ultimi posti tra le regioni del “bel paese”. Le misure di austerity imposte nel nostro continente sono state ancora più forti nella nostra regione dove il taglio alla spesa pubblica ha raggiunto il 6,2% (più del doppio rispetto alle regioni settentrionali) provocando sempre maggiori tagli ai servizi e, conseguentemente, di negazione dei diritti. Quello che emerge dai dati è che la passività dimostrata degli enti pubblici nel dare risposte concrete al dispiegarsi della crisi ha provocato sempre più un effetto depressivo: in Campania il 23% delle famiglie vive in condizione di povertà relativa, con un quasi 5% di famiglie che vivono con meno di 6mila euro l’anno; abbiamo il 21% di disoccupazione generale che arriva al 51% se prendiamo in considerazione i giovani fino a 24 anni e 33mila giovani fuori dai luoghi della formazione che non cercano un lavoro (i cosiddetti NEET). Siamo la seconda regione per emigrazione, in particolar modo giovanile, e vediamo andare via circa 22mila laureati l’anno che non trovano opportunità in questa terra. Tutto ciò dimostra la totale assenza di un’idea complessiva di quello che la Campania può diventare, di cosa si può e si vuole essere, di quello che c’è da costruire e intanto quel poco che abbiamo intorno lo vediamo crollare sotto i nostri occhi. Le imprese chiudono con una velocità disarmante, i fallimenti nel 2014 sono aumentati del 16% volatilizzando difatti circa 73mila posti di lavoro e le uniche prospettive che abbiamo sono quelle di un lavoro precario, molto spesso a nero e legato alla criminalità organizzata, l’unico soggetto, paradossalmente, ancora capace di “offrire lavoro”. Il sistema scolastico d’altra parte non è altro che la cartina di tornasole dell’intero sistema. Uno studente su quattro abbandona il proprio percorso formativo prima di aver assolto l’obbligo scolastico e sono sempre di meno quelli che, terminate le scuole superiori decidono di inscriversi all’università, molti dei quali decidono di andare fuori dalla Campania, nonostante la presenza di sei università. Tutti questi dati dovrebbero interrogare le amministrazioni regionali su quali prospettive ha la Campania nel prossimo futuro, e soprattutto oggi, alla vigilia della tornata elettorale, vogliamo interrogare nella globalità tutti i problemi che affrontiamo quotidianamente, sfidando la complessità che essi portano con sé per provare a dare una risposta altrettanto totale ritenendo che essa non sia più rinviabile o eludibile.

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Riteniamo, infatti, che sia fondamentale ripartire proprio da scuole e università per ridare non solo un futuro alla nostra generazione ma ridarlo proprio qui, all’interno del nostro territorio. Un territorio che vive da troppi anni il sopruso di gente senza scrupoli e amministrazioni accondiscendenti, un territorio sempre più devastato da quegli industriali che, ricercando il profitto, hanno sacrificato finanche la terra sui essi stessi camminano. Guardiamo la nostra regione da studentesse e studenti perché crediamo che ci sia un intero mondo da riscrivere, nuovi modelli di sviluppo, nuove forme di gestione del territorio e nuove opportunità che vanno create e che proprio dalle scuole e dalle università esse possano nascere. Crediamo difatti che la nostra regione possa e debba essere un campo di sperimentazione nel panorama nazionale, partendo dall’obiettivo di una crescita eco-sostenibile. La “terra dei fuochi” è, infatti, solo la punta di un iceberg fatto che da un sistema economico che il nostro pianeta non può più sostenere. Proprio da qui, da quella che era la “Campania Felix”, è fondamentale costruire nuovi modelli di sviluppo basati su risorse rinnovabili senza produzione di rifiuti. Ripartire da ogni piccolo centro, da quelli delle nostre periferie e delle nostre province, luoghi in cui si sente ancor di più la mancanza di un ruolo pubblico capace di valorizzare oltre che difendere le ricchezze del nostro territorio e che spesso si ritrovano ad essere terreno fertile per sentimenti razzisti e xenofobi. Non vogliamo lasciare la nostra regione ancora nelle mani dei grandi potenti, delle grandi lobby, della Camorra e di chi continua a saccheggiare la nostra terra. Noi vogliamo poter scegliere di restare. Vogliamo dare al luogo in cui siamo nati il frutto dei nostri studi, le nostre capacità e le nostre competenze, contribuire alla sua crescita, non solo economica ma sociale e culturale. Rivendichiamo un intervento pubblico forte, perché le emergenze che il nostro territorio vive non possono essere eluse a causa del pareggio di bilancio. Non possiamo cedere a questo ricatto economico. Senza interventi pubblici concreti non è possibile una lotta alla povertà come alla criminalità organizzata, senza finanziamenti pubblici non è possibile garantire diritti, da quello alla vita a quello all’istruzione. Con i diritti non si può far mercato, e la Regione non può metterli all’asta al miglior offerente. Queste per noi sono le priorità da cui ripartire, interrogando le nostre contraddizioni fino in fondo, assumendo la sfida delle nostre miserie con il desiderio di cambiarle.

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RIPARTIAMO DAL REDDITO In questo momento, il nostro Paese si trova ad affrontare uno dei suoi più complessi e particolari capitoli, dovuti a sette anni di crisi e alla conseguente applicazione delle politiche di austerity. Da questo punto di vista, riteniamo necessario partire dal reddito, in quanto strumento fondamentale per abbattere le diseguaglianze, combattendo la povertà avviando un percorso di redistribuzione delle ricchezze. Diventa quindi essenziale riuscire a ristabilire un sistema welfaristico che sia capace di rispondere ai nuovi bisogni e alla tutela dei fondamentali diritti di cittadinanza. Tra le finalità dell’avere un welfare funzionale, rientra indubbiamente l’assicurare un tenore di vita minimo a tutta la popolazione, dare sicurezza agli individui e alle famiglie fornendogli la possibilità di appianare le disparità economiche e quindi di consentire a tutti i cittadini di usufruire di alcuni servizi indispensabili, quali l’istruzione e la sanità, garantendo il benessere di tutti. Questa situazione, accompagnata nel nostro Paese dal sistematico impoverimento del sistema scolastico e universitario, lascia indietro migliaia di giovani (soprattutto nel Mezzogiorno dove si avverte un tasso di dispersione scolastica del 33%), costretti troppe volte ad abbandonare le proprie città e il proprio Paese in cerca di migliore fortuna. L’istruzione e la formazione permanente restano, in questo contesto, le uniche risposte in grado di resistere agli attuali paradigmi produttivi e in quanto queste vanno incentivate e finanziate a tutti i livelli. La totale mancanza di sussidi per gli studenti, l’incredibile mancanza delle borse di studio, di forme di reddito, di formazione diretto e indiretto, è un inequivocabile segnale di quanto questo Paese tenga alla cultura e all’istruzione. Partendo da questo concetto, noi studentesse e studenti, siamo convinti che la rivendicazione di un reddito di formazione diretto e indiretto, possa garantire nel senso più ampio, il diritto allo studio e il libero accesso ai saperi contro l’esclusione sociale ed economica. Introdurre forme di reddito per i soggetti in formazione significherebbe permettere loro una reale emancipazione, la possibilità di scegliere in totale autonomia il proprio percorso formativo, svincolandosi così dalla propria condizione economica di partenza.

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Non accettiamo la visione dell’istruzione ristretta nelle mura degli edifici scolastici, riteniamo, anzi, che la formazione passi anche in quei luoghi e in quelle discipline che sono spesso escluse o messe da parte nelle nostre scuole. Siamo convinti di aver diritto ad accedere a un sapere che non è solo quello scolastico e di potervi accedere per altre strade. Abbiamo il diritto di ricercare, approfondire e ampliare quello che è oggetto dei nostri studi e non possiamo accettare che tale diritto venga posseduto solo da coloro che se lo possono permettere. Per questo crediamo che la creazione di una carta dello studente regionale, che offra agevolazioni per cinema e teatri come per l’acquisto di libri e film, possa essere uno strumento per promuovere e valorizzare la cultura. Crediamo che la sperimentazione di forme di reddito per i soggetti in formazione possa essere lo strumento per combattere la povertà, economica e culturale, nonché la criminalità organizzata che dilaga sul nostro territorio. Proprio qui, infatti, nelle periferie e nei piccoli centri, questo strumento rappresenterebbe una possibilità di emancipazione reale per migliaia di giovani, la possibilità di permettersi un’istruzione completa e non cedere al ricatto lavorativo precario o illegale.

I SAPERI COME RISPOSTA AI PROBLEMI E I BISOGNI DEL N OSTRO TERRITORIO Il forte scollamento fra scuola e territorio non è legato semplicemente ai limiti evidenti di una didattica vecchia, ma dalla mancanza di legame fra scuola, saperi, cultura e territorio. Negli ultimi anni il dibattito politico ha proposto un modello per il quale l’unico legame fra scuola e territorio è quello aziendalistico: costruire legami fra aziende e scuole per far si che la didattica si adegui alle richieste del mercato del territorio. Questa miope logica di subalternità del sapere nei confronti del mercato non fa che riprodurre l’attuale modello di lavoro e di precarietà e senza, invece, cogliere le opportunità che i saperi possono avere per la crescita, lo sviluppo e la riqualificazione dei territori. I legami fra dispersione scolastica e criminalità organizzata, fra scarso investimento in ricerca e devastazione ambientale, fra mancanza di opportunità ed emigrazione giovanile, sono evidenti a tutti. Eppure, nonostante il forte radicamento della criminalità organizzata, la nostra regione non ha mai finanziato la leggere regionale sul diritto

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allo studio del 2005. I saperi devono rappresentare lo slancio per la nostra terra: le scuole non possono essere viste soltanto come luoghi dove gli studenti trascorrono le ore mattutine di didattica, ma devono essere dei fari di cultura, di aggregazione e di emancipazione all’interno dei nostri territori. Bisogna ripartire da qui: dalle scuole aperte tutto il giorno, da biblioteche e musei accessibili a tutti, da spazi di aggregazione nelle nostre città.

10 ANNI DI LEGGE … E MANC ’ UN EURO! La legge della regione Campania sul diritto allo studio, emanata il 7 febbraio 2005, è tra le più avanzate d'Italia in materia. Essa prevede, infatti, agevolazioni sul trasporto pubblico, la creazione di una carta dello studente, l’erogazione di borse di studio e il comodato d'uso dei libri di testo. Prevede, inoltre, la convocazione annuale di una conferenza regionale, uno strumento necessario perché si crei un vero dibattito politico intorno a tema che riesca ad assumere le problematiche e le proposte che provengono dagli studenti e dalle realtà sociali. Purtroppo, a più di dieci anni dall’approvazione di quella legge, nessun finanziamento è stato mai stanziato e anche la conferenza regionale non è mai stata convocata. I risultati di questo disinteresse sono evidenti: la dispersione scolastica in Campania è altissima e le disparità sociali dilagano. Riuscire a pagarsi gli studi diviene giorno dopo giorno un lusso che sempre in meno possono permetterselo. La logica del merito che si è imposta nel dibattito pubblico negli ultimi anni, ha fatto sì che il diritto allo studio e l’assicurare a tutti le stesse condizioni di partenza diventasse un ragionamento secondario. Questo è evidente: non finanziare una legge per dieci anni è una precisa scelta politica, che mostra come le amministrazioni che si sono succedute non hanno mai visto nel diritto allo studio una reale priorità. La scuola ha così perso il suo ruolo di ascensore sociale, togliendo così a moltissimi giovani la possibilità di emanciparsi e di scegliere del proprio futuro. Costo dei libri sempre più alto, totale assenza di borse di studio, completa mancanza di agevolazioni per l’accesso alla cultura e per l’acquisto di materiale didattico, abbonamenti sempre più costosi, contributi volontari imposti alle famiglie, sono il disegno di una scuola sempre più elitaria e inaccessibile. L’istruzione deve essere gratuita e le scuole devono essere aperte a tutti. Solo da qui può partire l’alternativa per una Campania diversa, dove la provenienza territoriale ed economica non influiscano più sulle aspettative di vita e le possibilità delle persone, ma dove tutti abbiano l’opportunità di scegliere e di migliorare le proprie condizioni tramite la scuola, la cultura e la formazione.

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L’ IGNORANZA ALIMENTA SOLO FASCISMI E CAMORRE .

La camorra cresce e si sviluppa laddove la presenza dello Stato non viene avvertita o dove essa è assente. Qui, infatti, la criminalità organizzata si comporta come un vero e proprio soggetto che eroga servizi e “garantisce” diritti e sicurezza. Questa situazione è molto più evidente nella nostra regione, dove la crisi e la mancanza di lavoro rendono il terreno fertile per il radicarsi della criminalità organizzata, la quale sfrutta i disagi che la popolazione sente, per raggiungere benefit economici che comprendono, oltre a enormi capitali, anche innumerevoli immobili e industrie. La mafia è spesso ben accetta all’interno del territorio, in quanto viene vista come una soluzione “alternativa” a tutti problemi che lo Stato non riesce a risolvere. Essa dà lavoro ai disoccupati, nonostante i compiti che devono essere svolti siano illegali, e offre servizi a basso costo, malgrado essi siano dannosi per l’ambiente e per i cittadini (l’aspetto più evidente di ciò è sicuramente lo smaltimento dei rifiuti). La mancanza di un’educazione alla cittadinanza attiva e ad una cultura della legalità, in ottica di giustizia sociale, come della responsabilità, gli aspetti negativi diventano superflui, e l’individualismo vince sulla giustizia. Chi collabora con queste organizzazioni è spesso cosciente di essere nell’illegalità, e continua a farlo perché sente quella che ha intrapreso come l’unica strada per poter sopravvivere in una società in cui la legalità è infruttuosa e sopprimente. Come dice Don Luigi Ciotti, “l’istituzione di cui hanno più paura le mafie non è la polizia o il parlamento ma proprio la scuola, perché, essendo luogo di crescita e formazione personale, essa ha il compito di dare alle persone quel senso critico e di giustizia, necessario per riconoscere i limiti della legalità, e creare cittadini veri”. Lo scarso investimento in diritto allo studio permette alla criminalità organizzata di radicarsi tra coloro che abbandonano il proprio percorso formativo, i quali, vedendo con quanta facilità si può guadagnare operando illegalmente, entrano in un sistema dal quale è difficile, se non impossibile, uscire. Per questo il percorso di lotta alla criminalità organizzata inizia dalla scuola, ma ciò è possibile solo rendendo questa un luogo di inclusione, e non di esclusione, una scuola aperta a tutti, in cui ognuno è tutelato ed ha la possibilità di emancipazione. La scuola deve farsi carico di decostruire dalle fondamenta ogni forma di camorra, partendo dalla cultura camorristica, ovvero la logica della sopraffazione e della violenza come risolutrice dei conflitti.

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C’AVIT ACCISE A SALUTE Viviamo in una regione che soffre ogni giorno problematiche legate all’ambiente, dalla cementificazioni alle trivellazioni, dai grandi impianti a tutto ciò che in questi anni abbiamo chiamato più generalmente Biocidio, si stanno permettendo nuovi scempi ambientali al solo fine di proteggere gli interessi economici. Il ruolo della scuola può apparire molto lontano, dalla questione ambientale che affligge le nostre terre, ma in realtà i due problemi sono strettamente correlati tra di loro. Difatti i modelli culturali di consumo e produzioni perpetrati dalla società vengono riprodotti all’interno di questi luoghi. Crediamo invece che i luoghi della formazione abbiano il dovere di interrogare continuamente la logica dominante, analizzarla per formulare risposte alternative. Il problema nasce quindi nella maniera in cui si affronta la questione e nel modo in cui viene posta sin dai gradi più inferiori della scuola. Un esempio pratico: ad Acerra, che dal 2009 ospita sul suo suolo un impianto funzionante (per giunta non a norma) d’incenerimento rifiuti, la scuola pubblica dipinge l'impianto come l’unico modello di gestione dei rifiuti. Qui, infatti, anziché promuovere la ricerca di modelli di smaltimento di rifiuti che tutelino l'ambiente, l'impianto di Acerra è divenuto la meta di numerose visite guidate scolastiche. Lo stesso paradosso lo si può osservare anche a livello universitario, infatti benché l'UE ha imposto che entro il 2020 tutti gli impianti di incenerimento debbano essere chiusi e sostituiti, i futuri laureandi studiano ancora la costruzione degli stessi. Per sconfiggere definitivamente quello che nella nostra regione è stato definito biocidio, invece, bisogna ribaltare questo modello di gestione dei rifiuti: partendo dalla ricerca, infatti, è fondamentale superare la gestione dei rifiuti basata su inceneritori e discariche per investire in un piano che preveda modelli di produzione fatti con materiali riciclabili, modelli di consumo basati sul riutilizzo e il riuso anziché l’ossessiva ricerca della produzione e del consumo che generano una quantità insostenibile di rifiuti. Oltre alla problematica relativa ai rifiuti ordinari, in questa terra si continua a lottare anche contro gli sversamenti illegali e i roghi tossici che ogni giorno avvelenano i cittadini campani che vivono il triangolo della morte chiamato Terra dei Fuochi. Così nasce il biocidio: dalla terra che

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avvelena la gente. Attualmente nelle scuole manca informazione su questo tema, che, invece, dovrebbe essere affrontato a trecentosessanta gradi. Tra i banchi di scuola, infatti, non solo si dovrebbe studiare in cosa consiste e cosa rappresenta il biocidio nella nostra regione e per il nostro territorio, ma dovremmo avere una più completa educazione sul tema, in modo tale da sensibilizzare il più possibile riguardo al tema ed in modo da rendere partecipi gli studenti di ciò che accade intorno a loro. Bisogna, infine, ricercare nuovi modelli produttivi e di gestione dei rifiuti, ribaltando radicalmente la concezione degli stessi, specie quelli urbani, che, se regolarmente raccolti e trattati, rappresentano una risorsa vitale per l’economia di un paese. Questa deve essere una grande battaglia culturale che parta proprio dall’educazione al riuso, al riciclo e alla raccolta differenziata per decostruire la cultura dell’“usa-e-getta” in favore di una logica di tutela ambientale di una società eco-sostenibile.

SE QUESTE SONO SCUOLE... La maggior parte delle scuole campane verte in una condizione invivibile: crepe nei muri, infissi rotti, pannelli del controsoffitto fatiscenti, uscite di sicurezza inagibili, scale di emergenza assenti e palestre inesistenti o non a norma. Questo quadro ogni giorno mette a rischio la vita degli studenti, come nel caso del Nautico

Giovanni XXIII di Salerno, dove nel Gennaio del 2015 il crollo di un soffitto ha messo in

evidenzia la precarietà delle strutture delle nostre scuole e, quindi, della vita dei nostri studenti.

Ciò è dovuto alla mancanza di un’anagrafica regionale che descriva la condizione strutturale

degli istituti così da permettere interventi di manutenzione e progetti d’intervento per la

creazione di nuovi plessi scolastici dove c’è fabbisogno. Oggi invece le province rispondono di

non avere le risorse per intervenire e le scuole sono costrette a chiedere ospitalità ad istituti

privati che non solo sono costosi ma non sono nemmeno idonei ad ospitare aule che garantiscono

la normale attività didattica e che sono privi di spazi come palestre e/o laboratori. Questa

situazione insostenibile ha portato anche molti istituti a ricorrere alla “rotazione” delle classi. Il

caso poi della Cittadella Scolastica di Pomigliano D’Arco è emblematico. Nonostante siano stati

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stanziati oltre 20.000.000€ da dieci anni il progetto non è stato mai iniziato e gli istituti che

avrebbe dovuto ospitare (liceo Cantone e ISIS Europa) versano in condizioni emergenziali.

Noi studentesse e studenti abbiamo la necessità di vivere scuole sicure, che rispondano alla

nostra esigenza di avere spazi materiali ed immateriali dove discutere, confrontarci, tra noi e con

i docenti, e passare il tempo in modo costruttivo e stimolante. Vogliamo scuole che ci accolgano

all’infuori delle cinque ore di lezione. Immaginiamo aule autogestite, sportelli SOS studenti,

istituti aperti al nostro bisogno di crescere, assemblee di classe e d’istituto dal quale nascano

iniziative concrete, volte alla strutturazione di momenti formativi, non soltanto sotto il punto di

vista prettamente didattico. Scuole aperte a tutte e tutti, dove aule, palestre, laboratori e corsi

pomeridiani possano ospitare gli studenti, soprattutto quelli con maggiori difficoltà, scolastiche

e/o sociali-economiche, anche nelle ore pomeridiane. Vogliamo che le nostre scuole ritornino un

luogo nevralgico per le nostre città, per la vita culturale e sociale del nostro paese.

CON IL TRENO O CON IL PULLMAN , NON C’A VULIMME FA A ‘PPER! Il pendolarismo è una condizione generalizzata dei soggetti in formazione dovuta alle distanze che esistono tra i luoghi di vita, quelli di formazione e tra quelli di formazione formale (scuola, università, accademie) e di formazione informale (biblioteche, cinema, teatri, etc.). Il tema dei trasporti, per questo, è uno dei temi più sentiti da parte degli studenti campani, soprattutto perché è uno dei primi fattori che alimentano la diseguaglianza materiale tra studenti, sedimentando le differenze tra chi sta nei “centri” e chi sta nelle periferie, tra chi vive in prossimità dei luoghi della formazione adatti alle proprie esigenze e chi proviene da luoghi distanti da essi. Viviamo in una Regione in cui il sistema pubblico dei trasporti è caratterizzato, oltre che dal “Napolicentrismo” derivante dall'inizio della formazione della rete infrastrutturale del territorio campano durante gli anni successivi all'Unita d'Italia, da un basso livello del servizio e da costanti ritardi. Il tutto è aggravato dalla fatiscenza di questi mezzi e soprattutto dalla gestione alquanto inadatta del sistema che non riesce a soddisfare le esigenze di noi studenti.

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Inoltre, il 1° Gennaio 2015 è ufficialmente morto l'Unico Campania, con il cambio radicale della struttura tariffaria nella Regione: è stato, infatti, smantellato il servizio di bigliettazione integrata. Quello che negli slogan della regione doveva essere uno strumento di miglioramento dei trasporti, ha invece determinato soltanto un aumento del costo dei biglietti con un servizio che è sempre più scadente, nonostante gli antichi fasti: il Consorzio Unico Campania, infatti, dopo sette anni dalla sua nascita, nel 2001, fu citato dall'Unione Europea nel “Libro bacino dei trasporti” come esempio positivo di <<integrazione tariffaria, per estensione territoriale e per complessità del sistema>>, ma, dal 2003 in poi, ha registrato soltanto peggioramenti, tagli di fondi (sia per i trasporti su gomma che su ferro), soppressione di linee, orari meno flessibili e aziende in perenne stato pre-fallimentare. Oltre al lato economico, continuiamo a riscontrare evidenti problemi dal punto di vista logistico e organizzativo: sono molti gli studenti che si trovano costretti ad attendere ore intere il bus o il treno per tornare a casa dopo le lezioni, ed è abbastanza alto il numero delle scuole che non ha né stazioni né fermate vicine e, quindi, perfino il banale raggiungimento della scuola può essere un'impresa non affatto semplice. I servizi, poi, cessano ad orari scomodi che non permettono allo studente di vivere completamente la città: uno studente non residente a Napoli, ad esempio, non può avere la minima possibilità di andare a vedere uno spettacolo al teatro San Carlo o al Bellini, non può andare ad ascoltare un concerto, o semplicemente passare una serata in città, vista la totale assenza di trasporti extraurbani nelle ore serali. Affianco a tutto questo, c'è l'assenza quasi totale dei trasporti notturni. A questo bisogna aggiungere che la Campania vanta uno dei peggiori servizi ferroviari d’Europa: la circumvesuviana. I suoi treni, infatti, sono spesso talmente affollati da costringere moltissime persone a rimanere in piedi: tutto questo è dovuto al numero ridottissimo di corse rispetto al numero di utenti. Per mutare radicalmente la situazione dei trasporti in Campania, bisogna, quindi, immaginare e perseguire una nuova concezione del diritto alla mobilità, secondo cui la stessa mobilità non sia un privilegio per pochi, ma un diritto realmente esercitabile da tutti, un diritto che crei cittadinanza e che possa migliorare la società: in questo senso bisogna far sì che lo spazio di intervento delle amministrazioni locali nella determinazione della tariffazione del trasporto locale guardi più all’aspetto sociale e meno a quello economico.

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CONCLUSIONI

La Campania non è una regione per giovani e studenti. La fortissima dispersione scolastica e l’enorme emigrazione giovanile sono emblematiche dell’espulsione che una generazione vive ogni giorno dai luoghi della formazione e dai territori della nostra regione. Questo non è frutto solo della crisi, della subalternità meridionale o delle tante spiegazioni geopolitiche che ci sono state più volte propinate, bensì è frutto di precise scelte politiche che non hanno mai visto nella cultura, nel sapere e nell’aggregazione un’opportunità di riscatto e di crescita per la Campania. Questo diventa evidente nel diritto allo studio: in dieci anni non è stata la mancanza di fondi a dettare l’insufficienza dei servizi e l’aumento della dispersione scolastica, ma la scelta di non investire mai un euro in una legge regionale. Questo rappresenta la miopia di una classe politica che non ha saputo rispondere alle esigenze sociali investendo nell’accesso alla formazione per dare l’opportunità di emancipazione a migliaia di ragazzi che non hanno mai avuto la possibilità di scegliere. Le diverse amministrazioni regionali che si sono succedute, non hanno avuto la capacità di proporre un’idea chiara di regione e sono state incapaci di dare prospettive e speranze a questo territorio. Noi un’idea l’abbiamo: l’idea di una Campania che metta al centro i giovani, i saperi e la conoscenza, che riparta dalle scuole e da tutti i luoghi della formazione per sconfiggere criminalità organizzata, biocidio e precarietà esistenziale. Per farlo c’è bisogno di avere un’idea d’insieme e di prospettiva, i finanziamenti-slogan sono inutili se manca un piano strutturale d’intervento fatto di finanziamenti pluriennali. Il caso più emblematico in merito riguarda gli ultimi 30 milioni stanziati sull’’Edilizia Scolastica dopo il crollo dell’ Istituto nautico di Salerno: finché non si farà un’anagrafica regionale capace di individuare problemi, fabbisogni e priorità delle scuole di tutta la regione, la questione non verrà mai trattata seriamente. C’è la necessità di costruire un vero sistema di welfare. Non è, infatti, possibile pensare a uno stato sociale basato solo sul lavoro e su un impianto familista in una regione dove dilagano disoccupazione e povertà. È necessario riuscire ad introdurre forme di reddito diretto e indiretto che diano dignità e speranza a centinaia di persone che non hanno mai avuto l’opportunità di emanciparsi e di scegliere, di rendere accessibili a tutte e tutti i luoghi di formazione, siano essi

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Raffaele Guarino Luca Cioffi Coordinatore regionale Responsabile Organizzazione regionale 349 219 43 36 327 946 58 97

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formali o informali (biblioteche, cinema, teatri etc.); un sistema di trasporti che garantisca un vero diritto alla mobilità che combatta l’isolamento delle periferie e dei piccoli centri. C’è il vitale bisogno di finanziamenti: dalla legge regionale sul diritto allo studio, all’Unico Campania, dall’edilizia scolastica come al welfare tutto. E questa volta non siamo disposti ad ascoltare le scuse della crisi e del “there is not alternative”. Se i patti di stabilità non permettono di garantire i diritti minimi alle persone della nostra regione, vanno sforati, perché l’austerità ha già dimostrato di non essere la soluzione ai nostri problemi. C’è bisogno di uno sforzo d’immaginario che vada al di là dei conti, e che riesca a dare forma a sogni e speranze di una generazione che è pronta a partire perché non ha mai ricevuto niente dalla propria terra. Noi siamo pronti a metterci in gioco, perché non vogliamo fuggire senza prima aver dato il nostro contributo per costruire una Campania migliore, libera, aperta, capace di garantire a tutti diritti e welfare.