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Numero 2 2014 http://www.cemiss.difesa.it/

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Numero 2 2014

http://www.cemiss.difesa.it/

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Osservatorio StrategicoAnno XVI numero 1I - 2014

L’Osservatorio Strategico raccoglie analisi e reports sviluppati dal Centro Militare di Studi Strategici, realiz-zati sotto la direzione del Gen. D. Nicola Gelao.

Le informazioni utilizzate per l’elaborazione delle analisi provengono tutte da fonti aperte (pubblicazioni astampa e siti web) e le fonti, non citate espressamente nei testi, possono essere fornite su richiesta.

Quanto contenuto nelle analisi riflette, pertanto, esclusivamente il pensiero degli autori, e non quello del Mi-nistero della Difesa né delle Istituzioni militari e/o civili alle quali gli autori stessi appartengono.

L’Osservatorio Strategico è disponibile anche in formato elettronico (file PDF) nelle pagine CeMiSS delCentro Alti Studi per la Difesa: www.casd.difesa.it

SommarioEDITORIALE

MONITORAGGIO STRATEGICO

Massimo Arigoni

Regione - Danubiana - Balcanica - TurchiaLa seconda transizione serba e i suoi rischi dopo la vittoria del SNS Paolo Quercia 7

Medio Oriente - Nord Africa - MENA Cambio di strategia per la sicurezza in Arabia Saudita?Nicola Pedde 13

Sahel e Africa SubsaharianaRepubblica Centroafricana: aggiornamentiMarco Massoni 19

Russia, Europa Orientale ed Asia CentraleUcraina: cronaca di una crisi annunciataLorena Di Placido 25

CinaLo Stato di diritto e la trappola del reddito medioNunziante Mastrolia 31

India Oceano IndianoLa parabola di Arvind Kejriwal e le conseguenze delle scelte dell’Aap sugli assetti politici nazionaliClaudia Astarita 39

Pacifico (Giappone, Corea, Paesi ASEAN, Australia)Quo vadis DPRK? Un anno di svolta per la Corea del NordStefano Felician Beccari 45

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America LatinaLe imprese italiane e la sicurezza in MessicoAlessandro Politi 51

Iniziative Europee di DifesaNiente di nuovo sul fronte anglo-franceseClaudio Catalano 59

NATO e teatri d’interventoChe cosa minaccia la sicurezza nazionale statunitense? Lucio Martino 67

Sotto la lente2014: L’Afghanistan non è pronto ma l’Italia, con la NATO, resta in prima lineaClaudio Bertolotti 73

RecensioniLa minaccia subacquea nell'attuale contesto geopolitico internazionale, con particolare riferimento alle aree di interesse nazionale ela possibile evoluzione della stessa.Pietro Batacchi 77

Sviluppi tecnologici della ricerca e dell’investigazione in campo subacqueo. Analisi e valutazione delle possibili sinergie tra esigenzecivili e militariAndrea Perrelli 79

Osservatorio StrategicoVice Direttore Responsabile

C.V. Massimo Arigoni

Dipartimento Relazioni InternazionaliPalazzo Salviati

Piazza della Rovere, 83 00165 – ROMAtel. 06 4691 3204 fax 06 6879779

e-mail [email protected]

Questo numero è stato chiusoil 22 aprile 2014

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Anno XVI - n° II - 2014

EDITORIALE

Legittime ambizioni nell’applicazione di modelli di democrazia ma difficoltà estreme nel sostenerli con coerenza.

Nel prossimo mese di maggio, il popolo egiziano sarà chiamato alle urne per scegliere il nuovopresidente. Tutto lascia presupporre, al momento, che si tratti di un plebiscito a favore dell’exCapo di Stato Maggiore delle Forze Armate e attuale Ministro della Difesa, Abdel Fattah al Sisi.L’imminente consultazione egiziana, avverrà tuttavia in un clima dominato da crescenti contrastiideologici all’interno di una società in tumulto, da un’economia in crisi e dalla prospettiva di unaprofonda lacerazione politico-ideologica interna, che rischia di incidere sulle future dialetticheegiziane.I vertici militari, tornati, di fatto, a dominare e gestire le sorti del paese, ricercano una legittima-zione forte e proveniente dal voto plebiscitario, che certifichi un’ampia maggioranza di consensi.Per ottenere questo risultato è appoggiata una palese campagna contro la Fratellanza Musulmana,dichiarandola fuori legge, arrestandone gran parte dei vertici ed infliggendo la pena capitale amolti dei suoi attivisti-oppositori, soprattutto quelli presenti alle manifestazioni di piazza che sfi-darono il colpo di mano militare della scorsa estate. Una strategia chiaramente volta a criminalizzare l’Ikhwan, quotandola come una pericolosa orga-nizzazione terroristica, finalizzata a islamizzare il paese attraverso la forza e la violenza. Questaradicale posizione, non mostra lungimiranza e rischia anzi di avere ricadute non positive sulla le-gittimazione dell’attuale classe dirigente.Indecifrabili appaiono le posizioni del vertice militare egiziano nei confronti del fenomeno politicodella Fratellanza Musulmana: ad un’estrema lucidità d’analisi applicata al percorso politico diascesa e d’involuzione seguito da questo movimento, si oppone, infatti, l’inaspettata faziosità nelprocesso di sintesi, attraverso l’apparente irrazionalità d’azione. L’effetto che ne deriva, è quellodi orientare la costruzione di un nuovo sistema politico mancante di condivisione nel paese, quindipericolosamente simile a quello collassato con la protesta di Piazza Tahrir, minato alla base dal-l’eliminazione forzata di una componente ideologica rilevante nel panorama politico nazionale.La Fratellanza Musulmana, nella sua espressione di governo guidata dall’ex presidente Morsi, fudisastrosamente incapace di traghettare il paese verso una nuova fase di stabilità e pluralismo, pa-lesando come alla base del movimento prevalessero interessi di fazioni e personalismi, oltre aduna comprovata impreparazione tecnico-politica degli esponenti di governo. L’esasperante corru-zione, la lotta intestina per il dominio del partito e l’immobilismo nella gestione degli affari pub-blici, avevano fatalmente prodotto uno stallo politico, privando la Fratellanza Musulmana delsostegno di gran parte dei suoi sostenitori. Nelle stesse manifestazioni di piazza, che accompa-gnarono gli ultimi due mesi del governo di Morsi, la netta maggioranza dei partecipanti era proprioelettorato dell’Ikhawn, tradito dall’incapacità dei vertici del partito e determinato a chiedere laloro caduta, oltre alla sostituzione dell’esecutivo.L’indicazione espressa dalla maggioranza, era pertanto quella d’interrompere il ciclo di governodella Fratellanza, ispirata soprattutto dall’intento d’impedire danni ancor più gravi all’economia. Nella sostanza il governo espressione della Fratellanza Musulmana sarebbe quindi caduto per lapressione esercitata dai suoi stessi elettori. Morsi avrebbe prevedibilmente ceduto alle crescentiproteste della piazza e, soprattutto, al vertice organizzativo del sistema politico dell’Ikhwan. La scelta prudente di non intervenire da parte dei militari, poteva quindi aprire ad una fase di tran-

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EDITORIALE

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sizione, forse più lunga ma certamente non cruenta, senza mettere fuori legge una forza politicache, plausibilmente, impedisce oggi a oltre metà della popolazione egiziana di collocare libera-mente il proprio consenso.Trasformare la Fratellanza Musulmana nella radice di tutti i problemi nazionali, accusandola diterrorismo e la conseguente crociata per metterla al bando dalla vita politica e sociale del paese,sono state scelte discutibili sul pano internazionale e chiaramente avulse dai meccanismi demo-cratici.Il paradosso è ora nell’imminente elezione presidenziale, che nel mese di maggio potrebbe riportarel’Egitto in una condizione molto prossima a quella del 2011, alla viglia della protesta di PiazzaTahrir. Con la differenza sostanziale del quadro economico e dell’equilibrio sociale, notevolmentepeggiorati e con scarse prospettive di mutare in chiave migliorativa nel breve-medio periodo. È pertanto arduo esprimere una valutazione equilibrata e definitiva sull’operato delle Forze Armatee delle forze politiche a queste alleate, in un Paese mediterraneo come l’Egitto molto vicino al-l’Italia. Restano comunque i tentativi di questo Paese a sviluppare dinamiche democratiche, cherichiederanno di sicuro una maggiore consapevolezza, visto che la democrazia o è fondata suidiritti e sulle libertà, oppure non è.

Massimo Arigoni

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Anno XVI - n° II - 2014

MONITORAGGIO STRATEGICO

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RegioneDanubiana - Balcanica - Turchia

Paolo Quercia

Eventi►La comunità religiosa islamica in Albania cerca di porre un freno alle partenze di combattentiper la Siria. Due Imam radicali e sei altre persone sono state arrestate in Albania nel mese dimarzo con l’accusa di reclutamento di combattenti jihadisti da Albania, Kosovo, Macedonia eSerbia destinati ad operare in Siria tra milizie islamiste anti Assad. Secondo stime internazionalisono circa 300 i combattenti albanofoni che dall’inizio della guerra civile si trovano in Siria, unitia gruppi di miliziani qaedisti come Jabhat al-Nusra e Islamic State of Iraq e al-Sham. Sempre nelmese di marzo, Blerim Heta, kosovaro nato in Germania rientrato nel suo villaggio di Ferizaj, èmorto a Baghdad mettendo in atto un attentato suicida che ha procurato decine di vittime. La cre-scente preoccupazione per la nuova ondata di jihadisti balcanici, indirizzati al “vicino” teatro dicombattimento siriano, preoccupa sempre più l’attenzione delle agenzie di sicurezza tanto deipaesi della regione quanto internazionali. Sul tema è intervenuto recentemente anche l’illustreaccademico islamista Tariq Ramadani dell’Università di Oxford, che ha invitato gli albanesi delKosovo, Albania, Macedonia o Preshevo a non partecipare alla lotta contro Bashar al-Assad, so-stenendo che occorra lasciare ai siriani l’impegno militare di battersi contro il regime. ►L’Albania di Rama punta ad ottenere in giugno lo status di “paese candidato”. Lo scorsodicembre il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea aveva deciso di posporre la concessioneall’Albania dello status di paese candidato a causa della non soddisfacente collaborazione intema di lotta al crimine organizzato e corruzione. Nel mese di giugno il Consiglio dei Ministridell’Unione Europea avrà l’occasione di rivedere il suo parere dopo il nuovo Report della Com-missione sull’attuazione delle misure anti corruzione e sulle riforme giudiziarie. Per favorirequesta decisione il primo ministro albanese Rama sta aumentando le proprie iniziative diplo-matiche internazionali, in particolare rivolte alla Germania, ritenuto uno dei paesi chiave nellacostruzione della posizione europea sul tema. ►Montenegro e Kosovo raggiungono un accordo sulla delimitazione della frontiera. Sei annidopo l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, Pristina e Podgorica trovano un accordo sulla de-marcazione della reciproca frontiera (79 chilometri). L’accordo di demarcazione fa seguito a dueanni di negoziati e potrebbe aprire le porte ad un miglioramento delle relazioni bilaterali tra idue paesi, condizione importante anche per il percorso di adesione del Montenegro all’UnioneEuropea. Tenuto conto che il Montenegro abbia, fin dall’indipendenza, ha sostenuto la decisione

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MONITORAGGIO STRATEGICO

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di autonomia del Kosovo, e considerato che la cospicua minoranza albanofona in Montenegrosia stata determinante nel referendum sull’indipendenza di Podgorica dalla Serbia, i rapporti trai due paesi limitrofi non sono, infatti, mai decollati e, a tutt’oggi, non esistono ancora stabili rap-porti diplomatici di alto livello tra i due paesi contermini.

LA SECONDA TRANSIZIONE SERBA E I SUOI RISCHI DOPO LA VITTORIA DEL SNS

Le elezioni parlamentari del 16 marzo hannosensibilmente modificato il quadro politicoserbo, assegnando la maggioranza assoluta deiseggi ad un solo partito, l’SNS guidato da Alek-sandar Vucic ed interrompendo così quindicianni di instabilità politica che aveva caratteriz-zato il quadro elettorale serbo dopo la caduta diMilosevic. Dall’avvio della democratizzazionedel paese, nessun partito politico ha mai otte-nuto la possibilità di governare da solo. Ancheai tempi del regime di Milosevic, inftti, lo stessopartito socialista serbo ha spesso fatto ricorsoal supporto del partito radicale serbo. Il fattoche un unico partito abbia conseguito il potereassoluto nel paese, con possibilità di governareanche senza dover condividere il potere, nonrappresenta l’unico cambiamento prodottodalle elezioni politiche anticipate del 16 marzo. La vera seconda rivoluzione copernicana del si-stema serbo, emessa dalle elezioni politiche an-ticipate, è rappresentata dal fatto che taleobiettivo di enorme concentrazione del poteresia stato ottenuto dal Partito del ProgressoSerbo (SNS), una formazione politica creata dafuoriusciti dal Partito Radicale Serbo (SRS),quindi proveniente da una matrice politica ultra-nazionalista e profondamente anti-occidentale,che dal 2001 fino al 2008 è stata di fatto man-tenuta ai margini della vita politica del paese.Oggi è proprio una parte di quella componentepolitica nazionalista pan-serba, esclusa dal po-

tere dopo la prima transizione seguita alla ca-duta di Milosevic per le responsabilità avute nelconflitto jugoslavo, ad aver completato in ma-niera efficace, la sua breve transizione demo-cratica iniziata pochi anni fa e a trovarsi allaguida assoluta del paese con il riconoscimentointernazionale. L’elemento fondante di questatrasformazione è stata la conversione di unaparte degli ultranazionalisti serbi all’europei-smo, adottato come principale linea d’indirizzodel programma di governo in politica estera, eu-ropeismo che si rafforzerà ulteriormente ri-spetto alla tendenza filo-russa dopo l’uscita delPartito Socialista dal governo. Un esempio tan-gibile dell’attuazione di tale “conversione”, èstato fornito nel 2013 con il cambio di rotta diBelgrado sul dossier Kosovo, accettando, sottol’egida di Bruxelles, l’avvio di un processo dinormalizzazione delle relazioni con Pristina.Una vera e propria rivoluzione copernicananella politica serba ed in quella balcanica del-l’Unione Europea, entrambe avvenute in pocotempo, quasi sotto silenzio e al prezzo di poche,simboliche, concessioni di principio. Pur non essendo ancora nota – nel momento incui viene chiuso questo Osservatorio – la com-posizione del nuovo governo, sembrerebbe chesolo il partito della minoranza ungherese riescaad entrare nell’esecutivo, mentre altre rilevantifigure della scena politica serba, come l’ex mi-nistro degli interni Dacic e, forse, l’ex premier

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MONITORAGGIO STRATEGICO

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Tadic, saranno inclusi nel governo come singolepersonalità. Tale approccio sarebbe in linea conla principale motivazione per cui l’SNS decisedi rompere il governo di coalizione con il Par-tito Socialista, mirando al controllo assoluto suun governo compatto e forte, che possa princi-palmente gestire il completamento del processodi transizione economica del paese. Si tratteràin primo luogo di gestire il processo di ristrut-turazione delle centinaia di aziende di Stato che,sebbene in perdita costante, sono mantenute invita dal bilancio dello Stato prevalentementeper motivi occupazionali e sociali. Sarà un pro-cesso socialmente molto delicato, in una faseeconomica difficile ed è prevedibile che essocauserà nei prossimi mesi dure proteste e motidi piazza con l’avvio dei processi di dismissionie licenziamenti. Il governo comunque sembraorientato a puntare a una terapia d’urto, abban-donando l’immobilismo e il gradualismo seguitisino ad ora, per ottenere risultati quanto più ve-locemente possibile, almeno sul piano di risa-namento dei conti pubblici, quale presuppostoper ottenere investimenti e prestiti (FMI) dautilizzare come incentivi all’economia per sti-molarne la ripresa. Il dibattito tra “terapiad’urto” e “transizione graduale” ha caratteriz-zato i due decenni post 1989 e ha rappresentatoun dilemma strategico per tutte le leadership deipaesi ex comunisti. A causa del ritardo la Serbiasi trova, in buona sostanza, a vivere questescelte con un ventennio di ritardo così maturato.Il contesto internazionale e profondamente mu-tato, e la stagione dei grandi investimenti privatidi capitali verso i Balcani occidentali volgepressoché al termine, inoltre le risorse necessa-rie alla trasformazione del sistema economicoserbo saranno prevalentemente garantite daforme diverse di aiuti di stato internazionali(con tutte le deformazioni che essi compor-tano). La via turbo-capitalista per uscire dallacrisi dell’economia e dello Stato serbo rischia

di rappresentare una pericolosa scommessa,non solo a causa della particolare congiunturainternazionale e del ritardo accumulato, maanche per la tempistica e l’aleatorietà del pro-getto di adesione della Serbia all’Unione Euro-pea. Vero è che le riforme economiche in Serbiasono necessarie a prescindere, per garantire lastessa sostenibilità economica dello Stato serbo,anche a prescindere dalla loro strumentalità perraggiungere altri obiettivi politici o di sviluppo.Qualunque siano gli effetti di tali riforme, essedovrebbero essere viste come passaggio obbli-gato, per la ristrutturazione e per il salvataggiodel paese. Che il processo generi un sistemapolitico-economico euro-compatibile è ovvia-mente un’opzione possibile, ma che resta tutta-via da dimostrare. Un'altra peculiarità del contesto in cui avvienela seconda transizione serba, consiste nel fattoche essa ha luogo durante una sensibile ed im-prevedibile crisi internazionale, capace di inci-dere sui rapporti tra Unione Europea e Russia eche può produrre ripercussioni non secondariesul posizionamento geopolitico di “regioni dimezzo”, come i Balcani Occidentali o “stati cu-scinetto”, come può per certi versi essere con-siderata la Serbia. Ovviamente, la principalepreoccupazione per Belgrado è che un induri-mento del confronto tra l’Unione Europea e laRussia possa avere ripercussioni sulla realizza-zione del gasdotto South Stream. Il premieruscente Dacic passa per essere un buon alleatodi Mosca, ma certamente anche il nuovo primoministro Vucic, si candida a mantenere saldi irapporti con la Russia, ancorché il suo obiettivoresta quello di preservare gli interessi vitalienergetici del paese. La sfida sarà quella di con-ciliare le ambizioni russe di egemonia e pre-senza economica strategica nell’Europa SudOrientale, e rendendo il tutto compatibile con ilpercorso di adesione della Serbia nella UE. Unaquadratura del cerchio che appare di difficile

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MONITORAGGIO STRATEGICO

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realizzazione, soprattutto alla luce dell’aumentodelle pressioni della Commissione su alcuniStati membri, affinché rallentino la realizza-zione del progetto South Stream. Progetto il cuivalore strategico per Belgrado non è ovvia-mente quello di cambiare il principale fornitoredi gas (90% del fabbisogno importato dalla Rus-sia) quanto piuttosto di modificare e diversifi-care il percorso di tali importazioni (attualmentevia Ucraina e Ungheria). Per certi aspetti il con-cetto di sicurezza energetica della Serbia apparedunque assimilabile, con le dovute differenze, aquello tedesco e vede assegnare massima prio-rità ai rischi connesso al ruolo di instabili paesidi transito e dalle ripercussioni prodotte da loropossibili crisi geopolitiche. Con il conflittoucraino la realizzabilità di South Stream diviene,per la Serbia, strategicamente sempre più rile-vante e non rappresenta una semplice opzionepolitica modificabile dal nuovo governo, ancor-chè Belgrado ricopra in questo progetto transna-zionale, un ruolo marginale essendo chiamata afinanziarne parte della realizzazione sul proprioterritorio, per un importo stimato in circa 1 mi-liardo di euro. Il conflitto ucraino per Belgradoè prevalentemente visto fattore di precarietà perla sicurezza energetica, alla luce della futuraadesione all’Unione Europea. Solo in parte e de-cifrato attraverso le pur rilevanti questioni ter-ritoriali che esso racchiude, come il problemadell’annessione della Crimea e la creazione diun’altra area contesa nello spazio di confine traRussia e Unione Europea. Per Belgrado resta in-fatti ambiguo il fine ultimo che, la crisi ucrainae il referendum di annessione della Crimea el’impatto sulla geopolitica regionale. Da un lato,un avvallo delle posizioni ufficiali russe, se-condo le quali la secessione della Crimeadall’Ucraina è speculare a quella del Kosovodalla Serbia, finirebbe per compromettere le re-sidue possibilità di mantenere una linea di nonriconoscimento dell’indipendenza di Pristina. Al

contrario, assumendo la partita sullo status delKosovo definitivamente chiusa, considerarecome positivo sviluppo la questione dell’annes-sione della Crimea alla Russia potrebbe rappre-sentare un viatico per una futura messa indiscussione delle frontiere tra Serbia e Srpska,qualora la tenuta della Federazione della BosniaErzegovina dovesse essere messa in discus-sione. Anche in funzione di queste considera-zioni va letto il low profile tenuto dal paese sulcaso ucraino sia dai media che attraverso le viediplomatiche. Ciò dipende essenzialmente dalfatto che Belgrado non ha la forza di giocare ilruolo della neutralità tra i due scacchieri euro-atlantico e russo, specialmente in una fase fluidacome quella attuale (e non rigida come quelladella guerra fredda, quando il non allineamentopoteva essere costruito attorno a semplici ren-dite di posizione geopolitiche). Attualmente nonsono chiari i rapporti di forza tra i vari attori,ispirati da azioni confuse, contraddittorie e ca-librate nel breve periodo. Una riedizione dellavecchia politica di bilanciamento tra Est edOvest che fu della Jugoslavia appare quasi ir-realistica e fuori tempo per la Serbia. Lo stessoconcetto di Occidente è divenuto in questi 25anni più complesso e friabile, non solo a causadel progressivo sdoppiamento tra interessiatlantici ed interessi europei, processo in buonaparte innescato dalla riemersione della Germa-nia come potenza euroasiatica; ma anche per laprogressiva involuzione dello stesso progettoeuropeo, (il cui ritardo nell’allargamento aiBalcani occidentali rappresenta uno degliaspetti di debolezza e criticità). Una Serbia più forte, in una situazione interna-zionale più definita e con un più robusto leve-rage sub-regionale sull’areaadriatico/danubiana, avrebbe potuto costruire lasua nicchia di utilità geopolitica anche in unagrave crisi internazionale come quella Ucraina,tornando utile tanto a Mosca quanto a Bruxelles.

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La forza del nuovo esecutivo serbo, apparente-mente elevatissima se misurata in termini diconsenso elettorale e di maggioranza parlamen-tare, lascia invece emergere un momento diestrema debolezza politica ed economica, sia al-l’interno del paese che a livello regionale. Ba-

steranno i positivi rapporti bilaterali con la Ger-mania e l’attuale governo tedesco, con cui ilnuovo premier serbo Vucic sembra nutrire unparticolare affiatamento, a disinnescare le moltecriticità che il nuovo esecutivo serbo dovrà af-frontare nella parte restante del 2014?

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MONITORAGGIO STRATEGICO

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Medio Oriente - Nord Africa - MENA

Nicola Pedde

Eventi►EGITTO - Il 16 febbraio hanno perso la vita nel Sinai alcuni turisti asiatici ed i loro accom-pagnatori egiziani in conseguenza di un attentato condotto da non meglio specificate formazionijihadiste. L’episodio è l’ultimo di lunga serie di attentati che ha sconvolto il paese, colpendo so-prattutto nella penisola al confine con Israele e determinando il crollo delle attività turistiche, vi-tali per l’economia nazionale.Le autorità egiziane denunciano un costante incremento delle formazioni qaediste nella regione,adottando misure straordinarie in tutta l’area compresa tra Suez ed il confine orientale con Israele. La presenza di cellule terroristiche nell’area del Sinai non è un fatto nuovo, anche ben prima dellacrisi politica che dal 2011 interessa il paese, mentre è decisamente incrementato il numero degliattentati e la portata degli stessi.L’elemento di novità rispetto al passato, invece, è rappresentato dal tentativo da parte dei verticidelle Forze Armate di porre in relazione gli attentati del Sinai con quelli del Cairo e del delta delNilo, dalle autorità sempre più spesso attribuiti a formazioni collegate alla Fratellanza Musul-mana. Nell’imminenza delle elezioni, è stata da più parti segnalata la possibilità di una strumen-talizzazione degli episodi di violenza in funzione di un ulteriore consolidamento del fronte politicolaico ed ostile all’Ikhwan, con il rischio di esasperare ulteriormente il già critico equilibrio socialeegiziano.►LIBANO – Il 15 febbraio è stata annunciata la formazione del nuovo governo libanese, dopooltre 10 mesi di infruttuosi tentativi. Il nuovo governo è composto da un totale 24 ministri, suddivisiin gruppi di otto, scelti rispettivamente in seno alla coalizione “14 marzo”, alla coalizione “8marzo” e in una rosa predisposta dal presidente della Repubblica Michel Suleiman. Il governo èpresieduto dal primo ministro Tammam Salam.Il nuovo governo scaturisce da un poderoso sforzo negoziale compiuto da Salam per individuareuna piattaforma politica comune tra i gruppi sunniti, quelli cristiani e quelli sciiti, ed in modoparticolare per risolvere i non pochi contrasti sorti in connessione al conflitto nella vicina Siriae alla partecipazione diretta delle milizie di Hezbollah al fianco delle forze governative leali aBashar al-Asad.Ulteriore difficoltà è stata rappresentata dalla scelta del ministro dell’energia, carica divenuta digrande importanza all’indomani della scoperta di ulteriori giacimenti offshore, e dell’apparenteimminente avvio delle attività di sfruttamento economico.

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Un radicale mutamento ha preso corpo a metàfebbraio in Arabia Saudita nella gestione delleattività in Siria e più in generale nella pianifi-cazione della sicurezza.Il principe Bandar bin Sultan, per molti anni alvertice dell’intelligence saudita, è stato di fattoesautorato e sostituito dal principe Mohammedbin Nayef, vicino agli Stati Uniti e conosciutoper il suo impegno nella lotta ad al Qaeda.La decisione sembra essere maturata in senoalla corona nella consapevolezza del fallimentodella strategia attuata da Bandar bin Sultan inSiria, modellata sull’indiscriminato sostegnoalle formazioni jihadiste di opposizione al re-gime di Bashar al-Asad. Strategia che, oltre anon aver prodotto alcun tangibile risultato e –anzi – indebolito notevolmente la capacità com-plessiva delle forze di opposizione, ha inoltreallarmato gli Stati Uniti e la gran parte dei paesioccidentali per la proliferazione e il consolida-mento di unità terroristiche della rete qaedistain Siria e nella regione.Mohammed bin Nayef ha invece gestito in pas-sato la crisi in Yemen, contrastando le forzeqaediste e riuscendo a garantire una transizionepolitica sostanzialmente lineare, ottenendo ilplauso degli Stati Uniti e maturando un consi-derevole credito personale.Allo stesso tempo è stato ulteriormente incre-mentato il peso politico ed operativo del figliodel sovrano, il principe Miteb bin Abdullah, giàal comando della Guardia Nazionale Saudita,trasformata in vero e proprio ministero e di fattotrasformata nel più efficiente e dotato apparatomilitare del regno.Consolidando in tal modo un asse di potere fi-nalizzato ad abbandonare il tradizionale radica-

lismo saudita in un nuovo e più pragmaticostrumento di politica estera e di sicurezza, dopooltre due anni di fallimenti in Siria e dopo averincrinato pericolosamente il rapporto dell’Ara-bia Saudita con gli Stati Uniti.La strategia adottata da Bandar in Siria preve-deva il rafforzamento indiscriminato di tutte leformazioni combattenti di ispirazione religiosa,senza alcuna discriminazione tra forze jihadistee gruppi di opposizione politica al regime si-riano. Determinando in tal modo un poderosoincremento delle unità maggiormente struttu-rate e, soprattutto, quelle di estrazione qaedista.Queste ultime hanno potuto allestire una nuovapiattaforma operativa attraverso la quale con-vogliare uomini, risorse e traffici.La strategia di Bandar, tuttavia, era costruitasulla convinzione di riuscire ad ottenere dagliStati Uniti ed alcuni paesi europei (tra cui inparticolar modo la Francia) un intervento ar-mato contro Bashar al-Asad, provocandone ilcollasso militare e lasciando campo libero alleforze confessionali vicine all’Arabia Saudita. Ilrifiuto degli Stati Uniti di intervenire, ed il con-seguente consolidamento delle posizioni gover-native siriane, hanno fatto crollare l’impiantodella strategia di Bandar, trasformando i gruppisino a quel momento così copiosamente finan-ziati in strutture autonome e fuori controllo, escatenando i timori dei paesi Occidentali e re-gionali in merito alla possibilità di un allarga-mento del conflitto in Libano e Giordania.La nomina del principe Mohammed bin Nayefè quindi legata ad un poderoso mutamento distrategia, almeno nelle intenzioni.Conscio dell’impossibilità di ottenere un inter-vento aereo degli Stati Uniti, il nuovo stratega

CAMBIO DI STRATEGIA PER LA SICUREZZA IN ARABIA SAUDITA?

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saudita del conflitto siriano propone oggi a Wa-shington di operare su due diverse lineed’azione. Da una parte chiede che vengano di-stribuiti sofisticati missili anti-aerei spalleggia-bili alle forze di opposizione, in modo da potercontrastare il predominio aereo di Bashar alAsad anche in assenza di un supporto ameri-cano. Dall’altra si offre per operare una nettadistinzione nel sostegno alle forze di opposi-zione, distinguendo quelle jihadiste da quellemoderate, ed isolando le prime a vantaggiodelle seconde.Un piano che incontra il favore degli Stati Unitiin linea generale, ma che non convince appienoi militari e l’intelligence di Washington, conscidella difficoltà di tale progetto e soprattutto delruolo predominante delle forze jihadiste rispettoa quelle moderate. E non può che incrementarei timori negli Stati Uniti, la consapevolezza diun continuo flusso di denaro dal Golfo in dire-zione delle formazioni jihadiste. Non imputa-bile direttamente alle case regnanti, macertamente da queste tollerato nell’ambito dipiù delicati equilibri interni ai propri sistemi so-ciali e religiosi nazionali.Il 7 marzo una commissione saudita compostadal ministro dell’interno, da quello della giusti-zia, da quello degli affari islamici, da quellodegli esteri e da altri enti minori, ha definitouna lista preliminare delle organizzazioni terro-ristiche regionali. Tra queste spiccano al Qaedae le sue ramificazioni regionali in Iraq, penisolaarabica e Yemen, la formazione siriana di Ja-bhat al Nusra, l’Islamic State of Iraq in theShams (ISIS), l’Hezbollah saudita, la Fratel-lanza Musulmana e il gruppo Houthi.La lista ha destato scalpore, perché se da un latoha menzionato alcune delle organizzazioni no-toriamente più vicine all’Arabia Saudita dellaregione – e in Siria in modo particolare – dal-l’altra contiene riferimenti talmente generici darenderla poco adeguata alla precisa identifica-

zione di gruppi e soprattutto formazioni minori.Non viene invece menzionato affatto il FronteIslamico, rendendo visibilmente squilibratol’organigramma delle sigle regionali ascrivibilinei ranghi delle formazioni terroristiche.Una linea comune di interesse tra Washingtone Riyadh, invece, è quella connessa oggi al ti-more delle cellule jihadiste più radicali, ritenutepericolose per la sicurezza di entrambi i paesi.I sauditi, oltretutto, temono fortemente il feno-meno del cosiddetto blow back, ovvero il rien-tro in patria dei jihadisti di nazionalità saudita,e la possibilità che questi intendano compiereazioni sul proprio territorio nazionale.Ciò che gli Stati Uniti hanno rimproverato inquesti due anni all’Arabia Saudita, è di averboicottato sistematicamente il consolidamentodella componente di opposizione al regime si-riano considerata dagli americani come più mo-derata ed espressione di un contesto pluralistae di orientamento democratico, quella del Li-bero Esercito Siriano (FSA). L’episodio delloscorso dicembre, in cui una caserma dell’FSAin cui erano stati recentemente immagazzinatiaiuti militari americani venne attaccata e sac-cheggiata dalle forze di un gruppo jihadista vi-cino all’ISIS, fece comprendere agli USA laportata del fallimento della propria strategia ela misura dell’ingerenza saudita nel sostegnoalle formazioni radicali. Mettendo alfine in evi-denza la realtà di un rapporto bilaterale ormailogorato e caratterizzato dalla reciproca sfidu-cia.Questo episodio ha tuttavia avuto ripercussionianche a Ryadh, convincendo il ristretto circolodi potere della corte della necessità di rimuo-vere il principe Bandar dal suo incarico, e porrefine alla insensata strategia di sostegno al jiha-dismo in Siria. Recuperando gradualmente ilrapporto con gli Stati Uniti, anche in funzionedell’unilateralismo con cui Washington ha nelfrattempo condotto la propria politica con Te-

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hran, e che l’Arabia Saudita ha considerato conestremo timore.

Cambiamento e continuità della politica sau-ditaQuanto è condiviso, nell’eterogenea struttura dipotere saudita, il mutamento di indirizzo nellagestione della sicurezza con il prevalere dellaposizione del principe Mohammed bin Nayef?Difficile fornire una risposta certa, come sempredel resto in Arabia Saudita, sebbene alcune con-siderazioni possano fornire lo spunto per unapiù approfondita analisi.Mohammed bin Nayef è un esponente dellaterza generazione della famiglia reale saudita.È il figlio di Nayef bin Abdulaziz al Saud – fi-glio del primo sovrano saudita, Abdulaziz, e diHassa bint Ahmed Al Sudairi – che fu tra i piùinfluenti membri della famiglia reale e uno deicosiddetti “sette sudairi”.Si è guadagnato notorietà e stima tra il 2003 edil 2006, quando ha gestito la lotta al terrorismoall’interno dell’Arabia Saudita alternando deci-sione nella repressione e flessibilità nel recuperodei jihadisti, attraverso l’inserimento in strutturealtamente qualificate e lussuose, specificamenteideate ed allestite per il trattamento degli excombattenti radicali.A differenza del padre, che fu un conservatoreradicale e poco incline alla flessibilità, Moham-med bin Nayef ha sempre dimostrato un grandepragmatismo ed una spiccata capacità nego-ziale.Dopo aver servito per quasi dodici anni comevice ministro per la sicurezza, ed essersi guada-gnato sul campo la fama di esperto nella lotta alterrorismo, nel novembre del 2012 fu nominatoministro dell’interno, segnando per la primavolta l’ingresso di un esponente della terza ge-nerazione nel complesso sistema di gestione delregno saudita.La sua politica di gestione della sicurezza in

Siria, e il tentativo di ricucire pragmaticamenteil rapporto con gli Stati Uniti, hanno molti ne-mici nel regno. E tra questi, la gran parte appar-tiene alla seconda generazione, largamentedominata ancor oggi da esponenti meno inclinialla diplomazia e alla flessibilità, intimoritidall’evoluzione delle dinamiche politiche e so-ciali nella regione, e sostanzialmente convintidella necessità di combattere con ogni mezzol’eresia sciita e la sedizione della FratellanzaMusulmana.Molte cose stanno tuttavia cambiando in ArabiaSaudita, e l’imminenza di un passaggio genera-zionale alla guida del regno sembra essere pie-namente in atto. Il 27 marzo, un decreto realeha ufficialmente nominato il principe Muqrincome secondo in linea di successione a Re Ab-dullah, dopo il principe ereditario Salman, con-siderato un moderato.Muqrin è il figlio vivente più giovane del fon-datore della stirpe, Abulaziz, e sebbene sia ascri-vibile in seno alla seconda generazione,rappresenta in realtà l’elemento di cerniera conla generazione successiva, dove ha maturato lagran parte dei legami politici e delle alleanze.Non è chiaro se queste nomine siano il frutto diun processo negoziato all’interno della corte ose, al contrario, siano invece espressione dellavolontà dell’ormai anziano e malato sovrano,Abdullah, nel tentativo di assicurare una succes-sione incruenta, limitando l’irruenza della vi-sione radicale dei membri della secondagenerazione. Tra questi, solo Salman e Muqrincomprenderebbero e condividerebbero con ilsovrano l’esigenza di un processo di mutamentograduale della rigida ortodossia di corte.Ulteriore elemento di spicco in questo contestodi cambiamento è il principe Miteb bin Abdul-lah, terzogenito del re Abdullah e attuale capodella Guardia Nazionale Saudita, progressiva-mente trasformata nella più potente e meglioequipaggiata struttura militare del paese.

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Il principe Miteb e Mohammed bin Nayef ven-gono quindi identificati da molti come l’ele-mento portante della strategia di transizionepolitica e generazionale all’interno del regno,apprestandosi ad un’ascesa che li vedrebbe tran-sitare a breve nella prima linea di gestione delpotere politico e del sistema amministrativo.Non poche insidie minano tuttavia il camminodi questa nuova generazione. L’Arabia Sauditaè oggi pervasa da una maniacale ossessione neiconfronti dell’Iran – visto come attore egemonealla conquista della regione – e dei movimentiislamici progressisti e partecipativi, come laFratellanza Musulmana – considerati una mi-naccia epocale per lo status quo delle monar-

chie.Vacilla anche l’alleanza regionale del Consigliodi Cooperazione del Golfo, sempre più domi-nata da interessi individuali e da posizioni di-vergenti in merito alla gestione del rapporto conl’Iran, del conflitto in Siria e con la FratellanzaMusulmana.Elementi che la terza generazione è chiamata agestire sin da oggi, mediando tra le posizioni piùconservatrici e radicali della seconda genera-zione, e quelle maggiormente pragmatiche degliesponenti più giovani. In una dinamica rela-zione priva tuttavia di alcun elemento di cer-tezza e dall’indirizzo assai confuso.

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Sahel e Africa Subsahariana

Marco Massoni

►Burkina Faso: ha preso il nome di “Fronte Repubblicano” la nuova coalizione costituita dauna quarantina di piccoli partiti gravitanti attorno al Congresso per la Democrazia e il Progresso(CDP) del Presidente, Blaise Compaoré. Tale neoformazione politica è a favore della revisionedell’Articolo n°37 della Costituzione, così da assicurare a Compaoré la candidatura per un ulte-riore termine alle prossime elezioni presidenziali. Di contro, alcuni dissidenti del CDP hanno datovita ad un’altra coalizione minore, il Movimento del Popolo per il Progresso (MPP), contrarioalla suddetta modifica costituzionale.►Burundi: Washington e Bujumbura hanno siglato uno Status of Forces Agreement (SoFA)quanto alla formazione ed al sostegno logistico. Il partito d’opposizione tutsi è in fibrillazione dasettimane, in ragione di scontri interni alla formazione politica (Uprona), associati ad un bracciodi ferro politico-istituzionale con la maggioranza (Cndd-FDD). ►Guinea Bissau: le elezioni legislative e presidenziali sono state procrastinate al 13 aprile, cosìda ristabilire l’ordine costituzionale, sovvertito dal golpe del 2012. Tra i candidati in lizza si se-gnala la presenza di Carlo Gomes Júnior, rientrato in patria dall’esilio in Portogallo, in qualitàdi Presidente del PAIGC, la forza politica principale del Paese. La sicurezza verrà garantita daun contingente di peacekeeper della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CE-DEAO–ECOWAS).►Kenya: è stato spiccato un mandato d’arresto del Governatore della Banca Centrale, NjugunaNdung’u, per presunto abuso d’ufficio e corruzione da parte della Procura Generale. Criticheall’operato all’agenzia di sviluppo degli Stati Uniti, USAID, sono state mosse dal Governo, chenon gradisce le presunte eccessive interferenze interne.►Mali: il Presidente della Repubblica, Ibrahim Boubacar Keita, si è recato in visita ufficiale aDoha, per rafforzare i rapporti con il Qatar, attore sempre più coinvolto nelle politiche africane.Bamako ha istituito un Comitato bilaterale sul Nord del Mali, così da consolidare il dialogo conle regioni settentrionali del Paese e dare ascolto alle loro istanze. A Kidal infatti perdura il climad’insicurezza, a causa delle continue infiltrazioni terroristiche dei qaidisti, ancora operativi nelloscacchiere, nonostante le incursioni a guida francese proseguano, per bonificare l’area.►Mauritania: Moulaye Ould Mohamed Laghdaf è il nuovo Premier, il cui Governo si è inse-diato il 12 febbraio.

Eventi

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►Mozambico: un accordo quadro tra il partito al Governo, FRELIMO, e quello principaledell’opposizione, RENAMO, è stato siglato in previsione delle elezioni legislative, e presidenzialidi ottobre, in maniera tale da scongiurare qualunque ulteriore violenta escalation, che mini il pro-cesso elettorale; tutti i partiti hanno approvato la nuova legge elettorale.►Repubblica Centroafricana (RCA): il 23 gennaio in sostituzione di Djotodia, il Consiglio Na-zionale di Transizione (CNT) ha eletto Catherine Samba-Panza, già Sindaco della capitale,Bangui, nuovo Presidente della Transizione, la quale ha assicurato che le elezioni si svolgerannoentro gli inizi del 2015. Il nuovo Premier ad interim è André Nzapyeké, già Segretario Generaledella Banca Africana di Sviluppo.►Repubblica Democratica del Congo (RDC): preoccupa il nuovo focolaio d’instabilità questavolta ubicato nella provincia mineraria del sud-est del Paese, il Katanga, a motivo delle riven-dicazioni autonomistiche, che da sempre hanno caratterizzato la zona. Lì, miliziani locali stannoreclutando con la forza migliaia di giovani. Nel contempo centinaia di ribelli ugandesi delle ForzeDemocratiche Alleate (ADF-NALU) sono stati uccisi dall’esercito congolese in Nord Kivu.►Senegal: passi avanti nel processo di pacificazione tra il Governo di Dakar e il Movimentodelle Forze Democratiche della Casamance (MFDC), grazie alla mediazione italiana della Co-munità di S. Egidio.►Somalia: si registra una recrudescenza delle ostilità, che hanno provocato una lunga seriedi attentati terroristici degli Shebaab a Mogadiscio. Nel frattempo le Forze Armate etiopiche distanza nell’ex colonia italiana sono state integrate in AMISOM, la Missione dell’Unione Africanain Somalia. Il 21 gennaio il Primo Ministro, Abdiweli Sheikh Ahmed, ha ottenuto la fiducia delParlamento.►Sudafrica: in un clima di tensione sociale crescente è stata fissata al 7 maggio la data delleelezioni politiche e amministrative nel Paese. L’economia del Sudafrica, un tempo locomotivatanto della regione australe quanto dell’intero Continente, è in ristagno, poiché segnata da con-traddizioni strutturali e da un persistente senso di crisi. In tale contesto, malgrado una certa ine-vitabile perdita di voti, l’African National Congress (ANC) di Zuma dovrebbe tuttavia rimaneredominante rispetto agli altri partiti politici, che si trovano ancora in una fase di profonda riorga-nizzazione.►Sud Sudan: non convince ancora il tentativo di mediazione gestito dalla Comunità EconomicaRegionale competente per il Corno d’Africa, cioè l’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo(IGAD) rispetto alla drammatica crisi interna del Sud Sudan, dove proseguono i combattimentifra le Forze Armate regolari e quelle dei disertori fedeli all’ex Vice-Presidente, Riek Machar, con-fluite in un nuovo movimento di resistenza anti-governativa. ►Zimbabwe: l’Unione Europea (UE) ha revocato tutte le sanzioni imposte ad Harare, in vig-ore sin dal 2002, eccezion fatta che per il Presidente, Mugabe.

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REPUBBLICA CENTROAFRICANA: AGGIORNAMENTI

Stato tra i più poveri del mondo, la RepubblicaCentroafricana (RCA), con capitale Bangui, èun’ex colonia francese priva di sbocchi sul mare(enclave), situata in una regione molto instabilea cavallo tra il Sahel, la savana e la foresta tro-picale dell’Africa Centrale; confina con ilSudan (Darfur), il Ciad, la Repubblica delCongo (Brazzaville), la Repubblica Democra-tica del Congo (Kinshasa) e il Camerun. Gliscontri e le violenze che da un anno a questaparte si registrano in RCA oppongono le miliziedegli ex ribelli Séléka, composte anche, ma nonsoltanto, di islamici, ai cosiddetti gruppi localidi autodifesa, gli Anti-Balaka, ovvero sosteni-tori cristiani dell’ex Presidente in esilio Bozizé.Nel corso dell’autunno 2013 a causa della dif-fusa insicurezza, di tensioni fra comunità di-verse e di incursioni di bande armate, Parigidefiniva la situazione di “pre-genocidio”. Evo-cando lo spettro ruandese di vent’anni or sono,la speranza era quella di suscitare una reazioneda parte della comunità internazionale, affinchésostenesse qualunque sua iniziativa, per preve-nire violenze. Il 10 ottobre 2013 (RisoluzioneONU n°2121) è stata autorizzata, sotto il co-mando del Generale congolese Jean-Marie Mi-chel Mokoko, l’African-led InternationalSupport Mission to the Central African Repu-blic (AFISM-CAR) o MISCA dell’Unione Afri-cana. Il ritardato dispiegamento delle forze e lainefficacia iniziale hanno subito dopo spinto laFrancia ad intervenire unilateralmente conl’avallo dell’ONU. Il 5 dicembre 2013 è per-tanto scattata l’Operazione Sangaris, il cui com-pito ufficiale era quello di impedire ladegenerazione causata dallo scontro fra le prin-cipali milizie in campo e, di conseguenza, dipresidiare il territorio. Il 23 gennaio 2014 il

Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) haeletto Catherine Samba-Panza – un’avvocatacristiana, già Sindaco di Bangui –, Presidentedella Repubblica ad interim; la Panza ha pro-messo la tenuta di elezioni generali entro feb-braio 2015. Nelle prime settimane di quest’annotuttavia le violenze sono ancora aumentate,estendendosi a macchia d’olio nel Paese. Difatto le truppe francesi e i peacekeeper africanidella MISCA, prevalentemente del Ciad, avreb-bero praticato un disarmo selettivo, rivolto soload una delle due fazioni, la coalizione Séléka, enon anche ai gruppi Anti-Balaka, i quali hannoaumentato i propri margini di manovra per tuttolo Stato. La situazione umanitaria risultante èdrammatica: 250.000 rifugiati e 825.000 sfollati(IDPs). Rimane tuttavia fuorviante l’accosta-mento al caso di vent’anni fa del Rwanda, dovesi verificò un vero genocidio, visto che giammainell’enclave centrafricana avevano avuto luogoscontri intercomunitari, interetnici e interreli-giosi di rilievo. Infatti la locale minoranza mu-sulmana, pari a circa il quindici percento dellapopolazione ha sempre convissuto in pace conla maggioranza cristiana e con la restante partedella popolazione, dedita alle religioni tradizio-nali. Questa nascente opposizione del tutto ar-tificiale, fa certamente comodo ad attori esternial Paese, che mirino a controllarne le sorti, as-sicurandosi l’approvvigionamento delle sue ri-sorse naturali, uranio in primo luogo, ma anchepetrolio, diamanti, oro, ferro e rame. Ufficial-mente, la Francia è quindi intervenuta nellaRCA, legittimata dalla indiscutibile debolezzadell’ex Presidente, François Bozizé, cheavrebbe peraltro favorito l’ingresso di gruppiislamisti provenienti dai Paesi vicini, per i qualiè plausibile domandarsi chi li avesse armati ed

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organizzati. L’incapacità delle autorità di tran-sizione, createsi dopo il Colpo di Stato del 24marzo scorso per mano del cartello di forze ri-belli noto come Séléka, ha favorito l’escalationdi violenze in uno Stato fallito quanto a sicu-rezza, stato di diritto e sviluppo. In effetti daqualche tempo assistiamo sempre più in Africaad una proliferazione di Made Happen FailedStates (MAHAFS©), vale a dire Stati già fragiliche sono fatti intenzionalmente fallire permezzo di crimini di aggressione o golpe gene-rati da attori esterni. Ad esempio, sin dal 2008la ribellione ugandese dell’Esercito di Resi-stenza del Signore (Lord Resistence Army –LRA) si è radicata nei territori della RCA, doveancora adesso è braccata dall’Unione Africanacol sostegno degli Stati Uniti, ma senza esiti dirilievo. Risulta quindi agevole, per neo-forma-zioni Non-Statali (Non-State Actor – NSA), mo-vimenti ribelli e fondamentalisti armati,albergare a piacimento presso i Failing State,controllando regioni intere fuori dalla portatadei Governi centrali. Tornando allo stato dellecose in RCA, l’uscita di scena di Bozizé po-trebbe, in vero, trovare spiegazione nel suo av-vicinamento in direzione di due dei maggioriconcorrenti della Francia in Africa, vale a direil Sudafrica e la Cina, associato al parallelo al-lontanamento dall’ingombrante Ciad, bastionedi Parigi nella fascia saheliana. L’analisi dellasituazione in RCA mostra prodromi della primaguerra economica indiretta contro la Cina daparte di uno Stato membro dell’Unione Euro-pea. La Francia, nel contrastare ogni eventualeavvicinamento alla politica di Bangui, tende ascoraggiare il possibile interesse cinese ad ap-provvigionarsi dalla filiera dell’uranio in AfricaCentrale. Un ulteriore fattore più squisitamentegeopolitico, mette infatti al centro dell’atten-zione internazionale la Repubblica Centroafri-cana: la sua posizione, esattamente a cavallo trai Paesi sahelo-sahariani e quelli dell’Africa Tro-

picale. La RCA si trova anche al confine fra gliStati francofoni dell’Africa Centrale – Came-run, Ciad e Repubblica Democratica del Congoad esempio – e quelli perlopiù anglofoni, comel’Uganda, appartenenti al Grande Cornod’Africa. Si tratta quindi di una macroregionecaratterizzata da una miscela esplosiva, dovel’instabilità dell’Africa Orientale s’incardinacon quella della Regione dei Grandi Laghi. Inquesto scenario sta emergendo da alcuni anni lapenetrazione di componenti salafite di matricesaudita, in zone finora a loro aliene, grazie al fi-nanziamento di forze destabilizzanti prima ine-sistenti. Le criticità del Sahel stanno quindiestendendosi verso est, allacciandosi con le in-stabilità dell’Africa Orientale e della Regionedei Grandi Laghi. L’Africa Centrale si dimostrasempre più snodo tra gli interessi britannici,israeliani e statunitensi da una parte, con epi-centro in Rwanda e Uganda, e quelli francesidall’altra parte, che si sviluppano secondo unadirettrice quadrantale, che congiunge il Medi-terraneo alla foresta tropicale dell’Africa Cen-trale passando per il Sahara, il Sahel e la fasciadella Savana. Lungo questa faglia virtuale, si ra-dica l’accerchiamento geopolitico cinto attornoalla Regione dei Grandi Laghi da parte delle ri-spettive sfere d’influenza strategica di Parigi eWashington. Queste due forze condividonol’esigenza di contenere le inevitabili mire espan-sionistiche di Pechino nell’area. La risposta eu-ropea più recente alla crisi centroafricana è lamissione militare CSDP-EUFOR RCA, fruttodella nuova e più decisa politica estera tedescadel Ministro degli Esteri, Frank-Walter Stein-meier, e della Ministra della Difesa, Ursula vonder Leyen, di fatto alla base del rafforzamentodella cooperazione militare franco-tedesca inAfrica. A questo si aggiunge il contributo diPaesi minori della UE quali le Repubbliche Bal-tiche – Estonia, Polonia, Lettonia, Litania –, laRomania e addirittura la Georgia, che non è

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membro della UE. Resta da definire se l’intesamilitare tra Berlino e Parigi in Africa sia solotattica e di breve termine o anche strategica,dunque di lungo termine. Certo è che quanto av-venuto potrebbe limitare qualunque strategiaitaliana autonoma nel Continente africano. Il riassestamento geopolitico dello scacchiereafricano si sta spostando dall’Africa Occiden-tale a quella Centrale. A chi giova? La Regionedei Grandi Laghi e il Corno d’Africa Allargatocondividono la necessità del containment del-l’espansionismo economico cinese e in paral-lelo di quello religioso islamista. Con laconnivenza probabile di un New External Pla-yer, il Qatar, e con quella esplicita di un Regio-nal Player, il Ciad, un Old External Player. LaFrancia, è intervenuta nella Repubblica Cen-

troafricana, uno Stato cerniera dell’Africa Cen-trale, poiché temeva che la debolezza dell’exPresidente, François Bozizé, favorisse l’infiltra-zione di gruppi estremisti provenienti dagli Staticonfinanti, in particolare dal Ciad, dalla Nige-ria, dal Sudan e dal Mali, mentre invece la ra-gione più profonda che ha acceleratol’estromissione di Bozizé si fonderebbe nel suoeccessivo avvicinamento a due dei maggioricompetitor della Francia in Africa: l’uno con-tinentale, il Sudafrica e l’altro globale, la Cina.Ancora una volta scontri intercomunitari, inte-retnici ed interreligiosi, tutti artificiosi, altronon rivelano che il desiderata di potenze stra-niere, interessate al controllo e alla gestionedelle risorse strategiche della RCA.

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Russia, Europa Orientale ed Asia Centrale

Lorena Di Placido

Eventi►RUSSIA: si procede con il programma di sviluppo dell'estremo oriente Ai primi di febbraio,il primo ministro Mevedev ha ordinato di spostare le sedi di alcune compagnie statali e agenziefederali nell'estremo-oriente del paese. Risale a febbraio 2013 il lancio del piano di sviluppo del-l'estremo oriente russo la cui attuazione è stata affidata a Medvedev stesso. Scopo delle iniziativein corso è quello di rivalutare un’area estesa e ricca di risorse naturali che, in seguito alla disso-luzione dell'Unione Sovietica, aveva sofferto una massiccia emigrazione della popolazione au-toctona, privando le locali aziende estrattive della necessaria manodopera. Anche la compagniapetrolifera di stato Rosneft ha manifestato l’intenzione di investire 83 miliardi di dollari nello svi-luppo di un giacimento strategico di petrolio e gas nella regione di Krasnoyarsk (Siberia orien-tale), denominato Vankor. Stime indipendenti ipotizzano che possa contenere l'equivalente di oltre1,6 miliardi di barili di petrolio in riserve di idrocarburi. Lo sfruttamento di Vankor era iniziatonel 2009 e, una volta potenziato, sarà destinato a soddisfare le esigenze energetiche della Cina. ►RUSSIA: pene più severe per reati di estremismo Il 4 febbraio, il presidente Putin ha firmatouna nuova legge che inasprisce pene detentive e sanzioni pecuniarie per i colpevoli di reati con-nessi ad attività estremistiche. La nuova disciplina giunge alla vigilia dei Giochi Olimpici e Pa-ralimpici invernali (7 febbraio-14 marzo), che si svolgono a Sochi, località sul Mar Nero moltovicina alle aree più instabili del Caucaso. Gruppi di tutela dei diritti umani hanno contestato chela legge offrirebbe alle autorità uno strumento per perseguitare gli oppositori politici.►CAUCASO/ARMENIA: tracciato il percorso l'Unione Doganale Ai primi di febbraio, l'Ar-menia ha reso nota la road map per l'adesione all'Unione Doganale, aperta a tutti i paesi ex so-vietici di Europa, Caucaso e Asia Centrale. Costituita da Russia, Bielorussia e Kazakhstan, taleiniziativa prevede una progressiva maturazione che dovrebbe condurre nel 2015 alla nascita diuna Unione Euroasiatica, che, di fatto, rappresenta un'alternativa a guida russa rispetto alle formedi integrazione esistenti in ambito europeo.►RUSSIA: deciso l'aumento di produzione di petrolio e gas Il ministero dell'Energia russo rendenoto che nell'anno in corso la produzione di petrolio crescerà dello 0,3% (525 milioni di tonnellate)e quella di gas del 4,8% (700 miliardi dimetri cubi), quest'ultima favorita dal lancio di nuovi gia-cimenti (dichiarazioni del 12 febbraio). Secondo le statistiche di stato, nel 2013 la Russia ha pro-dotto oltre 523 milioni di tonnellate di petrolio e 668 miliardi di metri cubi di gas.

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►RUSSIA: in discussione nuova legge sulla cittadinanza E' in discussione alla Duma una nuovalegge sulla cittadinanza che amplia la casistica dei richiedenti a cittadini stranieri che abbianostudiato in Russia o che abbiano investito almeno 10 milioni di rubli (290 mila dollari) nell'eco-nomia locale.►KAZAKHSTAN: decisa la svalutazione del tenge La banca centrale del Kazakhstan ha decisodi svalutare la moneta nazionale per contenere le influenze straniere nella finanza e nell'economia;si prevedono difficoltà nelle importazioni e un calo degli standard di vita della popolazione (11febbraio). Il presidente Nursultan Nazarbaev ha rassicurato il paese, smentendo ulteriori svalu-tazioni della moneta nazionale e aggiungendo che la decisione di diminuire in un solo giorno ilvalore del tenge del 20% era stata dettata dalla volontà di prevenire speculazioni (17 febbraio).►GEORGIA: esplorazioni petrolifere in corso Il ministro georgiano per l'energia, Kakhka Ka-ladze, ha dichiarato (12 febbraio) che sono state rilasciate 25 licenze per la ricerca di nuovi gia-cimenti petroliferi. Attualmente, in Georgia vengono estratte in media 3,5 milioni di tonnellate dipetrolio al giorno, ma tali volumi non riescono a soddisfare la domanda interna. ►CAUCASO/RUSSIA: Socar e Transneft si accordano per la pipeline Baku-Novorossisk Lacompagnia petrolifera di stato azerbaijana Socar e la russa Transneft hanno firmato un nuovoaccordo per lo sfruttamento della pipeline Baku-Novorossisk, del quale tuttavia non sono statiresi noti i dettagli (19 febbraio). Molti analisti interpretano l'accordo come un positivo segnalenelle relazioni bilaterali tra Russia e Azerbaijan, che avevano parzialmente risentito del ritirorusso dalla stazione radar di Qabala.►KAZAKHSTAN: crescono nel 2013 i casi di corruzione in ambito pubblico Rispetto al 2012,nel 2013 gli atti di corruzione riscontrati in ambito pubblico sono triplicati; le autorità interpre-tano il dato come un successo per la nuova disciplina in materia, che mira a verificare con mag-giore efficacia i processi legati alle attività politico-amministrative. A tale scopo sono stati istituitidiversi meccanismi di controllo a livello locale (19 febbraio).►RUSSIA: il rublo raggiunge i minimi livelli su euro e dollaro Dall'inizio del 2014, il rublo haperso il 6% del suo valore rispetto a euro e dollaro e, nei riguardi di quest'ultima moneta, ha rag-giunto i livelli più bassi dal 2009. Le autorità negano che si tratti di una scelta deliberata per fa-vorire le esportazioni e stimolare l'economia nazionale, che versa in una fase di difficoltà (19febbraio).►Russia: controllo dei fenomeni migratori e diminuzione dei crimini legati all'estremismoFonti del Comitato Investigativo russo hanno dichiarato che nel 2013 i crimini correlati all'estre-mismo sono diminuiti del 29% rispetto all'anno precedente, grazie all'introduzione della nuovadisciplina migratoria. Quest'ultima avrebbe, infatti, favorito la prevenzione delle tensioni interet-niche e xenofobiche, dovute a una eccedenza di migranti rispetto alla reale capacità del paese diutilizzare i lavoratori stranieri. Le stesse fonti hanno aggiunto che nell'immediato futuro si renderànecessario un maggiore controllo della distribuzione dei materiali propagandistici di stampo estre-mista (27 febbraio).►Asia Centrale/Kyrgyzstan: a Manas arrivano i russi Il 24 febbraio è terminata la missioneUSA presso la base aerea di Manas, il cui sgombero verrà completato entro l'11 luglio pros-simo. Situata a un'ora e mezza di volo dall'Afghanistan, Manas è stata un importante centro ditransito per uomini e mezzi funzionali al supporto delle operazioni di stabilizzazione della coa-

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lizione multinazionale, che cesserà il grosso delle attività entro il 2014. Parallelamente allosmantellamento della presenza americana, in Kyrgyzstan è previsto un ulteriore rafforzamentodelle forze professionali russe presso la base aerea di Kant, già operativa nell'ambito delle atti-vità della CSTO (Collective Security Traty Organization), organizzazione regionale di caratteremilitare a guida russa (25 febbraio).

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Nel corso del mese di febbraio, la critica situa-zione interna all’Ucraina, alle prese fin dal no-vembre 2013 con una crescente tensione dicarattere sociale e politico, è esplosa gene-rando conseguenze che hanno colto del tuttoimpreparata non solo la dirigenza locale, maanche la comunità internazionale. La difficilesituazione economica in cui da tempo versa ilpaese è giunta alle estreme conseguenze, esa-sperata dalla mancata soluzione del dualismopolitico ucraino (che vede contrappostaun’anima “filo-occidentale” (riconducibile allafigura di Yuliya Timoshenko, leader del bloccoOpposizione Unita-Patria) a una “filo-russa”(identificabile con il presidente Viktor Yanuko-vich, leader del Partito delle Regioni). Con unnuovo governo e vecchi problemi di ancora piùdifficile soluzione.

Una soluzione politica alla crisi economicaDa sempre al centro delle attenzioni politicostrategiche della vicina Russia e cerniera idealedella politica di vicinato dell’Unione Europea,fin dall’indipendenza l’Ucraina ha cercato confatica di trovare una propria collocazione nelloscenario europeo. A seconda della dirigenza alpotere, l’orientamento dicotomico delle forzepolitiche del paese l’ha indirizzata verso posi-zioni alternativamente più vicine agli interessidi Mosca o di Bruxelles. Tale assunto di fondo,

associato alle drammatiche condizioni econo-mico-finanziarie del paese (per risollevare lequali è stato calcolato un impegno pari a 35 mi-liardi di dollari) ha infine dettato la scelta amonte della crisi tuttora in corso. La situazioneimponeva che urgenti decisioni risolutive fos-sero prese dalla dirigenza di Kiev e le opzionisul tavolo risultavano essenzialmente due: laconclusione di un Accordo di associazione e li-bero scambio con l’Unione Europea oppurel’adesione all’Unione Euroasiatica (costituita daRussia, Bielorussia, Kazakhstan). Così, il 21 no-vembre 2013, alla vigilia del vertice di Vilnius,nel corso del quale si sarebbe dovuto firmarel’accordo con l’UE, il presidente Yanukovich hadeciso, invece, di interrompere i negoziati (siveda l’Osservatorio Strategico di novembre2013). Accettare le condizioni previste da quelpatto implicava, infatti, sacrifici che difficil-mente la popolazione ucraina avrebbe tolleratosenza presentargli un amaro conto politico alleelezioni presidenziali del 2015. Di qui la sceltadi preferire un ulteriore avvicinamento a Mosca,piuttosto che sottostare alle pressanti richiestedell’UE per l’imposizione di misure di austeritàe l’attuazione di improrogabili riforme struttu-rali dell’economia. Il 17 dicembre, Yanukovichha, infine, sancito la propria scelta, firmandocon la Russia un accordo per 15 miliardi di dol-lari in aiuti finanziari e la promessa di una sen-

UCRAINA: CRONACA DI UNA CRISI ANNUNCIATA

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sibile riduzione del prezzo del gas.

Due mesi di protesteLa decisione del presidente è stata interpretatada parte dell’opinione pubblica ucraina comeun’ennesima scelta personalistica e orientata almero mantenimento del potere. Un crescendo diproteste antigovernative ha immediatamente in-teressato Kiev e, successivamente, altri centridelle regioni occidentali del paese, portandoall’occupazione di numerose sedi istituzionali eall’edificazione di barricate nel centro della ca-pitale. La compagine dei manifestanti è risultatapiuttosto eterogenea e animata da istanze di di-verso orientamento, tanto che accanto ai soste-nitori dei partiti all’opposizione parlamentare sisono schierati anche gruppi di estrema destra.Tra questi, Pravy Sektor (unico a impartire aisuoi membri una formazione paramilitare) si èparticolarmente distinto nelle fasi più acutedegli scontri (19-20 gennaio, 18-20 febbraio)che hanno causato oltre cento morti. Le dimis-sioni del primo ministro Mikola Azarov (rasse-gnate il 27 gennaio) hanno rappresentato unacesura rispetto agli impegni assunti da Yanuko-vich con Mosca: a questo punto, la dirigenzarussa ha, infatti, congelato l’accordo di dicem-bre in attesa di vedere come la crisi in atto ve-nisse superata e quale governo avrebberimpiazzato quello uscente. Alcuni tentativi di negoziato tra manifestanti edesponenti delle istituzioni sono falliti, con l’op-posizione che richiedeva un dialogo diretto conil presidente che, invece, si opponeva a ognicontatto. Solo il 21 febbraio, con l’intervento diuna mediazione internazionale, si è giunti a unaccordo tra Yanukovich e l’opposizione, grazieai buoni uffici dei ministri degli esteri di Fran-cia, Germania e Polonia, assistiti da un osserva-tore russo. Le parti hanno convenuto per: ilritorno alla costituzione del 2004, la formazionedi un governo di unità nazionale e la convoca-

zione di elezioni presidenziali entro l’anno.

Il precipitare della crisiA questo punto, ci sarebbero stati tutti gli ele-menti perché nel paese si potesse giungere adun nuovo equilibrio politico-sociale e ad unnuovo corso risolutivo della crisi che, ormai,durava da oltre due mesi. Invece, contraria-mente alle aspettative delle controparti interna-zionali dell’accordo, la situazione è precipitatain una fase ulteriore e ben più grave di crisi, conuna serie di eventi in rapida successione che nehanno segnato il declino.Il 22 febbraio, all’indomani della firma della so-luzione negoziale tra il governo ucraino e i mo-vimenti protagonisti delle manifestazioni dipiazza, il parlamento ha votato la destituzionedi Yanukovich (subito fuggito in Russia) e haindetto nuove elezioni presidenziali per il 25maggio. Inoltre, ha liberato Yuliya Timoshenko,che stava scontando una pena a 7 anni di reclu-sione e due di interdizione dai pubblici uffici perreati di corruzione e abuso d’ufficio. Già nel po-meriggio dello stesso giorno a Kiev, la Timo-shenko compariva in un evento pubblico su unapiazza simbolo delle proteste di Kiev, acclamatacome simbolo della vittoria appena guadagnatadai manifestanti. Il 23 febbraio Oleksandr Tur-chynov viene nominato dal parlamento presi-dente ad interim, mentre il 26 febbraio vieneinsediato un governo di transizione (compostoanche da alcune delle forze estremiste che ave-vano protestato nelle piazze), del quale ArseniyYatsenyuk è primo ministro. Stabilita la nuovadirigenza, ripartono i negoziati con l’UE e leistituzioni finanziarie internazionali (viene de-cisa una missione del Fondo Monetario Interna-zionale a Kiev fino al 21 marzo) e viene lanciatoun dialogo diretto con Stati Uniti e altri paesioccidentali. Di contro, la Russia decide di con-gelare l’accordo di dicembre, di esigere i paga-menti in sospeso per il gas e di abolire gli sconti

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sull’acquisto. Il venire meno all’accordo del 21febbraio e l’insediamento di un governo decisa-mente lontano dalle posizioni filo-russe di Ya-nucovich (anzi, guidato da figure vicine allaTimoshenko) ha, infatti, indotto la Russia a mu-tare definitivamente atteggiamento versol’Ucraina, per lanciarsi in un’iniziativa che leassicurasse garanzie rispetto ai propri interessistrategici. Così, tra il 27 e il 28 febbraio, nellapenisola di Crimea migliaia di uomini armatirussi (definiti dalle autorità di Mosca una mili-zia spontaneamente creatasi sul posto) hannoavviato l’occupazione delle sedi istituzionali delcapoluogo (Sinferopoli) e guadagnato il con-trollo di aeroporti, strade, snodi infrastrutturali,accessi alla penisola e, infine, stazioni televi-sive. Nel giro di due giorni, Kiev ha completa-mente perso il controllo della Crimea.

Una duplice crisiLa crisi avviata a fine novembre 2013 e culmi-nata a febbraio 2014 con un’apparente risolu-zione negoziale, alla fine dello stesso mese siaggrava, dividendosi in diversi rivoli. Da un lato, infatti, si ha una crisi interna alpaese, concentrato nella definizione dei suoinuovi obiettivi, orientati definitivamente versola scelta di campo occidentale, che comporta undifficile cammino verso inderogabili quanto im-popolari riforme economiche. Nonostante oltredue mesi di proteste e di rivolgimenti politici dinotevole portata, in realtà l’Ucraina si è ritro-

vata di nuovo nella stessa posizione che avevaa novembre 2013, ma con un bagaglio di soffe-renza ulteriore a pesare su una popolazione an-cora più provata e carica di aspettative nel corsodel dopo-Yanukovich. La compagine del nuovogoverno di transizione risulta, inoltre, disomo-genea e accoglie anche le frange più estreme delmovimento di piazza, che esprimono posizionipoco concilianti rispetto alle istanze più sensi-bili per Mosca. Sul versante delle relazioni internazionali, inol-tre, la scelta filo-occidentale dell’Ucraina ha au-mentato il senso di accerchiamento della Russia,che si è affrettata a tutelare i propri interessistrategico-militari, occupando, di fatto la peni-sola di Crimea. La velocità degli eventi ha la-sciato pochi dubbi circa la naturadell’operazione, sicuramente programmata datempo e lasciata nel cassetto in attesa che ma-turassero le condizioni perché si potesse attuarenon appena fossero venute meno le condizioniminime di fiducia nella leadership di Kiev.Lo scenario che si è venuto a profilare – con-trapposizione diretta della Russia con una ex re-pubblica sovietica di rilievo strategico notevole,come l’Ucraina; partecipazione alla crisi diUnione Europea, Stati Uniti, diversi paesi occi-dentali a titolo individuale – non delineerebbetuttavia uno scenario da nuova guerra fredda,quanto, piuttosto, un’esasperazione di quantonell’ultimo ventennio non si è riusciti a fare persuperare la contrapposizione bilaterale.

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Cina

Nunziante Mastrolia

►Il 17 febbraio si è svolto l’incontro – definito storico da tutti i media internazionali – tra ilpresidente cinese Xi Jinping e il presidente onorario del Kuomintang Lien Chan. L’incontro hafatto seguito ai colloqui altrettanto importanti tra il ministro per i rapporti con Pechino Wang Yu-chi e il responsabile cinese delle questioni taiwanesi, Zhang Zhijun. Il risultato di tali colloqui èstata la decisione di aprire quanto prima degli uffici di rappresentanza sia a Pechino che a Taipei. ►Prove di distensione tra Pechino e Hanoi. Mentre continua ad essere alta la tensione traPechino e Manila, anche per il tentativo da parte delle Filippine di internazionalizzare il conten-zioso marittimo e territoriale in atto nel Mar cinese meridionale, si registra una progressiva di-stensione tra Pechino ed Hanoi che il 27 febbraio scorso hanno annunciato l’installazione di unalinea telefonica diretta tra il mistero della Difesa cinese e quello vietnamita.

Eventi

LO STATO DI DIRITTO E LA TRAPPOLA DEL REDDITO MEDIO

Su Pechino si addensano le preoccupazioni sullatenuta dell’economia. Le posizioni sono varie-gate: si va dagli ottimisti, come Stephen Roach,che vede gli attuali affanni della macchina eco-nomica cinese come un segnale dell’avvio delprocesso di trasformazione del modello econo-mico del paese da una crescita trainata, comenegli ultimi trent’anni, da esportazioni, investi-menti pubblici e industria, ad una crescita trai-nata da consumi interni, innovazione e servizi1;ai catastrofisti come Samuelson per i qualisiamo solo all’inizio di una crisi economica chepotrebbe ripercorrere le tappe della crisi ameri-

cana, dall’esplosione della bolla immobiliare alfallimento di operatori finanziari super indebi-tati2.Tra questi due estremi si collocano le posizionidi quanti sono più o meno preoccupati dagli at-tuali affanni del colosso cinese. Ciò che, tutta-via, accomuna tutte queste posizioni è una soladomanda: quanto è alto il rischio che la Cina in-cappi in quella trappola del reddito medio cheha azzoppato la corsa dei paesi dell’AmericaLatina. In cosa consiste questa trappola? In linea diprincipio, sostengono gli economisti, un paese

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inizia la sua corsa verso il benessere forte, nellacompetizione internazionale, a partire dal bassocosto della sua manodopera, che gli consente difare la differenza nei settori a basso contenutotecnologico e labour-intensive. Lo sviluppoprodotto fa crescere i redditi dei lavoratori, finoad un punto oltre il quale la manodopera cessadi essere a basso costo. Viene così meno quelvantaggio che aveva trainato lo sviluppo. Inquesto modo, per gli investitori internazionali(o anche nazionali) diventa conveniente delo-calizzare le proprie attività produttive alla ri-cerca di altri luoghi dove poter trovare altramanodopera a basso costo. Il modo per non incorrere in tale trappola, con-tinua questa teoria economica, è quello di spo-stare il vantaggio competitivo del paese daiprodotti a bassa tecnologia ai prodotti ad altocontenuto di conoscenza o di capitali, ai quali,convenzionalmente, sono associati alti redditi,in grado di sostenere anche la domanda interna.Per dirla in una formula, ciò significa trasfor-mare il paese da un’economia di assemblatoriad un’economia di innovatori, o per dirla con leparole usate in passato del premier Wen Jiabaopassare dal “made in China” al “made byChina”3.In questo modo, il paese non è più costretto afare affidamento esclusivo sul basso costo delleproprie braccia e sugli umori della domanda in-ternazionale, e può crescere sulla base della do-manda interna, alimentando nel contempo uncircolo virtuoso fatto di innovazione e alti sa-lari.Qualche appunto può essere mosso a questateoria: come, ad esempio, far notare che la cre-scita dei salari in Cina è il frutto di una precisascelta politica della autorità di Pechino, e nonil naturale risultato delle libere forze che muo-vono i mercati ed il commercio internazionale.Detto ciò, è tuttavia chiaro anche ai massimi or-gani politici cinesi che il modello che ha garan-

tito il miracolo cinese negli ultimi decenni(esportazioni ed investimenti pubblici) non èpiù sostenibile, per una serie di ragioni chevanno dall’inquinamento al fatto che i consu-matori occidentali non sono più voraci come untempo; dagli effetti distorsivi dovuti alla piog-gia di investimenti pubblici alle aspettative cre-scenti dei figli del boom economico, in generecon un titolo di studio medio alto (solo nel 2013sono stati 8 milioni circa i laureati in Cina), nondisposti ad un futuro di assemblatori o operaigenerici.Questo significa che c’è del vero nella teoriadella trappola del reddito medio: se la Cina do-vesse continuare ad insistere nel perseguire que-sto modello ormai logoro è probabile che lacrescita economica possa rallentare. Di qui laforza e la consapevolezza con cui la nuova lea-dership politica del paese sta lavorando alle ri-forme.C’è però una ulteriore riflessione da fare: se ilfenomeno, che va sotto il nome di trappola delreddito medio, è prettamente economico, le suecause sono politiche ed istituzionali. A benguardare infatti i paesi che non sono stati az-zoppati da questa trappola nel corso del loropercorso di crescita, sono quelli, come la Coreadel Sud, Taiwan ed il Giappone, che sono riu-sciti a costruire delle istituzioni di tipo liberale,in grado di garantire - attraverso il governodella legge e la separazione dei poteri – una piùampia libertà possibile alla società civile e almercato, libertà dalla quale sgorga di solito l’in-novazione scientifica e tecnologica. A volerusare una sola formula si può dire che lo svi-luppo è garantito quando alla modernizzazioneeconomica e tecnologica segue una moderniz-zazione istituzionale e culturale. Il che vuol direche un paese in via di sviluppo può, più o menoagevolmente, colmare un primo tratto della di-stanza che lo separa dai paesi sviluppati attra-verso la modernizzazione economica e

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tecnologica, sfruttando cioè quelle conoscenzescientifiche e tecnologie già esistenti. Ma iltratto successivo, quello necessario ad entrarenel novero dei paesi sviluppati (il tratto più dif-ficile, come ha riconosciuto a marzo il premierLi Keqiang) consiste nella costruzione di quellaparticolare conformazione istituzionale - su de-scritta - in grado di generare ricerca scientifica,innovazione tecnologica, redditi elevati e, diconseguenza, alti consumi interni.

Una serie di segnaliCome si è descritto nei precedenti numeridell’Osservatorio Strategico, la nuova leader-ship cinese sembra totalmente consapevoledella necessità di procedere ad una tale opera.Infatti, nonostante l’addensarsi di nubi più omeno preoccupanti sul fronte economico, le au-torità cinesi non stanno mostrando lo stesso in-terventismo mostrato nel 2009, quando hannoinondato il paese di investimenti e liquidità perattutire i contraccolpi della crisi dei subprime.Nel contempo, sul fronte istituzionale sisusseguono segnali, anche a volte minimi, chefanno ipotizzare un più ampio cambiamento.Il 28 febbraio il Global Times dedica un lungoarticolo al ventisettenne Lei Chuang che ha de-nunziato la compagnia ferroviaria delGuangzhou-Shenzhen. Il motivo? A causa delsovraffollamento dei treni, molti viaggiatorinon trovano un posto a sedere, eppure chi restain piedi paga lo stesso biglietto di chi ha la for-tuna di fare il viaggio seduto. Per Lei si trattadi qualcosa di più di una truffa da parte delleferrovie: “Non voglio approfittare di questocaso – ha dichiarato – e forse è un modo biz-zarro per difendere i propri diritti. Ma la miadignità non ha prezzo”. Il processo alla com-pagnia ferroviaria è iniziato il 6 marzo.Il 25 febbraio il China Daily, riprendendo unanotizia apparsa su un quotidiano dell’Hebei,raccontava la storia di Li Guixin, il primo cit-

tadino cinese ad aver denunciato una autoritàgovernativa (nello specifico l’Ufficio munici-pale per la protezione ambientale di Shiji-azhuang) per esser venuto meno al suo doveredi controllo dell’inquinamento dell’aria dellacittà. Li, inoltre, chiede un risarcimento di diecimila yuan (più le spese legali) per le spese cheha dovuto sostenere per far fronte alle cattivecondizioni dell’aria nella città, ed in particolareper quanto speso per le mascherine, per l’ac-quisto di un purificatore dell’aria e di un tapisroulant per poter fare esercizio fisico in casa,vista l’impossibilità di uscire all’aperto.Sebbene non sia scontato che la sua denunciapossa essere accettata dalla corte distrettualecompetente, la notizia ha fatto il giro delmondo4: per l’Huffingonton Post si tratta di un“Landmark case”; The Diplomat spiega che“Li’s case is especially sensitive because itbrings suit not against a polluting company, butagainst the government for not doing a suffi-cient job of policing pollution (…) Should it beallowed to proceed (…)it would set the prece-dent that local governments at least can be heldaccountable for pollution that occurs withintheir jurisdiction”5. La notizia è degna di notanon solo (e non tanto) perché mostra il consol-idarsi di una maggiore sensibilità ambientaledei cittadini nei confronti del degrado ambien-tale (non a caso Li Keqiang nel presentare ilproprio rapporto sul lavoro del governo nel2013, ha dichiarato una vera e propria “guerraall’inquinamento”, che costa alla Cina ognianno quasi il 3% del PIL), ma soprattutto per-ché mostra come alcuni cittadini cinesi stianoprendendo coscienza di essere titolari di alcunidiritti (in questo caso quello alla salute) ai qualinon si può rinunciare in nome dello sviluppoeconomico e soprattutto che le autorità pub-bliche possono essere chiamate a rispondere deipropri errori.Si va così formando, sebbene in via forse an-

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cora embrionale, una contrapposizione, trapotere pubblico e società civile. Potremmo es-sere di fronte ai primi sviluppi in Cina di quellagiustizia amministrativa chiamata a regolare irapporti tra cittadini e pubblica amminis-trazione.Negli stati liberali, inoltre, il potere pubblico hail dovere di render conto del proprio operato aicittadini, ha il dovere cioè alla trasparenza: lapubblica amministrazione come una “casa divetro”. In questo senso, va segnalato il recenterapporto dell’Accademia Cinese delle ScienzeSociali, che ha stilato una vera e propria classi-fica delle amministrazioni pubbliche più omeno virtuoso. Al primo posto di questa classi-fica il Ministero dell’Educazione, seguitodall’Amministrazione Statale per la Sicurezzasul Lavoro e dalla Commissione per loSviluppo Nazionale e le Riforme. Agli ultimiposti il Ministero degli Esteri, il Ministero dellaGiustizia e l’Ufficio Statale per le Lettere e gliAppelli, l’ufficio centrale responsabile dellagestione dell’antichissima prassi dei cittadinicinesi di inviare delle petizioni all’Imperatore,di solito per protestare contro gli abusi subiti adopera dei funzionari locali. Una piccola par-entesi: a marzo una circolare del Comitato Cen-trale del Partito e del Consiglio di Stato haproibito la detenzione dei questi cittadini, unaprassi ampiamente diffusa per impedire che lepetizioni potessero compromettere la carrieradei funzionari locali6. Petizioni che a partire dalmese di marzo potranno essere presentate on-line7. Fanalino di coda il Ministero delle Fer-rovie, che sino a gennaio del 2014 non avevaneppure un sito internet8.Yun Jie, un ricercatore dell’Accademia Cinesedelle Scienze Sociali, che ha lavorato al rap-porto, spiega che di solito ministeri e uffici delgoverno centrale si rifiutano di rendere pub-bliche molte informazioni appellandosi al seg-reto di Stato. Già in passato era accaduto che i

dati di una ricerca sull’inquinamento del suoloin Cina non fossero resi pubblici in quanto seg-reto di Stato. Più in generale come notava l’a-genzia di stampa Xinhua, i funzionari pubblici,i particolare a livello di governo locale, “oftenuse the excuse of ‘state secrets’ to avoid an-swering inquiries from the public properly”. Perimpedire questi abusi dal primo marzo è in vig-ore un nuovo regolamento emanato dal Con-siglio di Stato che proibisce “to label items thatshould be made public as ‘state secrets’”9. L’o-biettivo dichiarato è quello di aumentare latrasparenza, tuttavia sia il Wall Street Journalsia il The Diplomat avanzano qualche dubbiosull’efficacia di tale nuova direttiva nel metterein riga i funzionari recalcitranti10.Trasparenza dunque, per rinchiudere i fun-zionari all’interno di una gabbia di regole (perdirla con Xi Jinping), ma anche per tentare ditenerne a freno la corruzione. In questo sensouna notizia importante, vale a dire la creazionedi un registro nazionale delle proprietà immo-biliari11, il cui fine è certamente quello di (comesi dichiara) mettere ordine in questo settore afini fiscali, ma che diventa anche un modo perimporre a tutti di dichiarare le proprietà.Nel frattempo, prosegue la riforma del sistemagiudiziario secondo le linee guida indicate dalTerzo Plenum dello scorso anno, vale a dire laseparazione degli organi giudiziari dal poterelocale. Di prossima pubblicazione è, inoltre, unpiano dettagliato al fine di illustrare il quadrocomplessivo delle riforme del sistemagiudiziario12.A tutta questa serie di (probabili) innovazioniva aggiunto il capitolo che riguarda la lotta allacorruzione. Capitolo ampio, che va dalle migli-aia di funzionari incriminati e condannati alladefenestrazione di alti esponenti delle Forze Ar-mate, come nel caso del generale Gu Junshan,ex vice capo dei servizi logistici dell’Esercito,o del big business, come il miliardario Liu Han,

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fino al progressivo e cauto accerchiamento diZhou Yongkang, il potentissimo capo del Comi-tato per gli Affari Politici e Legislativi, la cuicaduta significherebbe infrangere quella regolanon scritta che garantiva l’immunità ai membri(o ex membri) del Comitato Permanente delPolitburo.E’ diffuso il sospetto che tali defenestrazioni,fatte in nome della lotta alla corruzione, altronon siano che una colossale purga per estromet-tere quanti sono in grado di indebolire o di op-porsi alla leadership di Xi Jinping. Eppure altrielementi vanno presi in considerazione.Il primo riguarda la serie di condanne che hannocolpito il mondo giudiziario13 (2.279 funzionaricondannati nel 2013 per abuso di potere o cor-ruzione14 tra cui 210 procuratori15) e il secondoè la condanna di una serie di funzionari ed espo-nenti del Partito a livello locale, colpevoli diaver truccato le elezioni. Il 18 marzo il GlobalTimes dava notizia dell’arresto di due funzionarilocali accusati di aver comprato la propriaelezione al parlamento provinciale dello Hunan.Lo scandalo, venuto a galla lo scorso 26 dicem-bre, e di cui i due funzionari arrestati sono solola punta dell’iceberg, coinvolge più di 500 per-sone per un giro di tangenti che ammonta a 18milioni di dollari16. A marzo Zhang Dejiang,presidente del Comitato Permanente del Con-gresso Nazionale del Popolo ha tuonato controla corruzione elettorale e promesso tolleranzazero17.Lo scandalo elettorale è interessante. Che leelezioni locali siano state negli anni poco libereè risaputo; ed è altrettanto risaputo che ad essere“eletti” sono stati sempre gli uomini indicati dalPartito. Dunque in cosa consiste lo scandalo?Una possibilità è che i funzionari incriminati ab-biano con il denaro contravvenuto agli ordinidel partito. In altre parole, i funzionari eletti gra-zie alle mazzette non avrebbero dovuto ac-quisire quelle posizioni in quanto non graditi al

partito. Eppure, appare singolare estrometterequesti funzionari non graditi in nome della cor-rettezza delle elezioni, in un paese in cui non sisono mai svolte correttamente. Perché non usarealtri strumenti o incriminarli di altri reati? Inaltre parole, di cosa sono accusati i funzionaricoinvolti nelle scandalo? Le ipotesi sono due: olesa maestà, (solo il partito può “nominare glieletti”) o di aver realmente truccato, con ildenaro, un processo elettorale che da oggi in poisi vuole libero e trasparente.

ConclusioneChe senso dare a tutta questa serie di segnali?E’ possibile che la nuova leadership stia proce-dendo a consolidare il proprio potere anchecostruendo una nuova fonte di legittimazione: èpossibile, in altre parole, che Xi Jinping vogliapresentarsi, in maniera machiavellica, come ilpaladino della legge, del buon governo e dellasorte dei cittadini comuni solo per rinsaldare lapropria posizione: cambiare tutto per non cam-biare nulla.Eppure è altrettanto valida l’ipotesi che il sensocomplessivo di tali fenomeni sia il tentativo difar fare un ulteriore passo al paese lungo la viadella modernizzazione, vale a dire far seguireuna modernizzazione istituzionale e culturalealla modernizzazione economica e tecnologica. Che significa modernizzazione istituzionale?Per dirla in una parola: Stato di diritto18. E’ pos-sibile, in altre parole, che a Pechino l’obiettivodelle riforme sia la costruzione di un sistema is-tituzionale liberale, ma non (ancora o non total-mente) democratico e questo perché – per dirlacon Norberto Bobbio – “lo stato liberale è il pre-supposto non solo storico ma giuridico dellostato democratico. (…) In altre parole: è pocoprobabile che uno stato non liberale possa assi-curare un corretto funzionamento dellademocrazia”19. Prima lo stato di diritto, dunque.Quale possa essere il modello di riferimento è

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noto: Singapore, il cui regime politico è classi-ficato dalla Freedom House come “parzialmentelibero”; per il Democracy Index dell’Economistè un “regime ibrido”. La città-Stato inoltre siclassifica al quinto posto (a pari merito con laNorvegia) nel Corruption Perceptions Index2013. Per giunta il modello di Singaporepotrebbe non essere il punto di approdo finale,ma solo una fase di passaggio intermedia.In conclusione, si può dire che resta ancora inpiedi l’ipotesi che a Pechino vogliano ammaz-zare il Gattopardo, e cioè cambiare tutto percambiare tutto: è una ipotesi di cui pare con-vinto anche David Lampton che su Foreign Af-fairs ipotizza che i leader cinesi voglianospingere “il paese in avanti, istituendo lo Statodi diritto dotandolo di strutture normative cheriflettano meglio i diversi interessi del Paese.Pechino potrebbe anche ampliare le propriefonti di legittimità al di là della crescita, del ma-terialismo, dello status di potenza globale, conla costruzione di istituzioni ancorate a un realesostegno popolare. Ciò non significa necessari-amente una transizione verso una pienademocrazia, ma implicherebbe adottarne quellecaratteristiche che le sono proprie: parteci-pazione politica locale, trasparenza della pub-blica amministrazione, organi giudiziari eanticorruzione più indipendenti, una società

civile impegnata, controlli istituzionali sulpotere esecutivo e istituzioni legislative e civiliper canalizzare i diversi interessi del Paese.Solo dopo aver compiuto tutti questi passaggiil governo cinese potrebbe, in via sperimentale,cominciare a dare al popolo una voce nellascelta dei suoi massimi dirigenti”20.Se questo processo di transizione avrà successonon è dato saperlo, né è possibile ipotizzarequando, dopo aver costruito un stato di diritto,si passerà alla fase successiva e cioè la “sper-imentazione democratica”. Ma volendo contin-uare a guardare le cose in prospettiva,un’ultima domanda bisogna porsela: può unostato di diritto crescere e prosperare senzademocrazia? Può accadere che, per un mira-colo storico, una leadership dispotica ma illu-minata costruisca uno stato di diritto e concedale libertà fondamentali. Ma chi può garantireche tali diritti e libertà possano perdurare? Se,come si è detto in precedenza, è poco probabileche uno stato non liberale possa assicurare uncorretto funzionamento della democrazia, d’al-tra parte, continua Bobbio “è poco probabileche uno stato non democratico sia in grado digarantire le libertà fondamentali (…) occorre ilpotere democratico per garantire l’esistenza ela persistenza delle libertà fondamentali”21.

1 S. Roach, “China’s Growth Puzzle” Project Syndicate, 27 febbraio 2014; id. “Rebalancing of the econ-omy is good”, China Daily, 7 marzo 20142 Robert J. Samuelson, “China’s next Challenges”, Washington Post, 19 marzo 2014.3 Si veda “Encourage innovation to advance reform”, Global Times, 9 febbraio 2014. Si veda anche DongLe “China hopes to dispel 'copy others' reputation”, BBC, 30 gennaio 2014.4 La notizia veniva ripresa dalla BBC, dal Telegraph, dalla Reuters e dal South China Morning Post

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5 “Chinese Man Sues Local Government Over Smog”, 26 febbraio 20146 “China bans the locking up of petitioners seeking government redress”, South China Morning Post, 20marzo 2014.7 “Supreme court allows online petitions”, Xinhua, 28 febbraio 2014.8 “Govt transparency below par” Global Times, 25 febbraio 2014. Si veda anche “China to increase gov-ernment transparency”, China Daily, 24 febbraio 2014.9 “Li signs regulation on state secrecy law”, China Daily, 2 febbraio 2014.10 Richard Silk, “China’s Secret Anti-Secrecy Act “, Wall Street Journal, 3 febbraio 2014. Shannon Tiezzi,“Does China’s New State Secret Regulation Mean Anything?”, The Diplomat, 4 febbrio 2014.11 “Property supervision”, Global Times, 2 marzo 2014.12 “Highlights of work report of China's Supreme People's Procuratorate”, Global Times, 10 marzo 2014.Il senso complessivo di tali riforme è quello di liberare “the courts and prosecutor's offices from the ad-ministrative interference of local governments to ensure judicial independence (…)The focus of the re-form is to bring the personnel, funds and goods of local courts and prosecutor's offices under the controlof provincial authorities and separated from local governments”.13 “China targets judicial corruption in commutation”, Xinhua, 24 febbraio 2014. 14 “Highlights of work report of China's Supreme People's Procuratorate”, Global Times, 10 marzo 2014.15 “210 Chinese procurators punished in 2013”, China Daily, 10 marzo 201416 “Two arrested over central China election scandal”, Xinhua 18 marzo 2014. Si veda anche “ChinaCash-for-Votes Scandal Shows Xi’s Graft Challenge”, Bloomberg 30 dicembre 2013.17 “China's top legislator denounces election fraud”, China Daily, 9 marzo 2014.18 Xi Jinping ha di recente dichiarato che per poter modernizzare il paese il Partito deve governare in modo“scientific, democratic and legal”. Ed ha aggiunto: “A governing system is determined by history, culturaltradition, economic development, and the will of the people”, si veda anche “Xi urges modernization ofgoverning system”, Xinhua, 17 febbraio 2014.19 N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1995, p. 720 D. M. Lampton, “Ho China Is Ruled”, Foreign Affairs, gennaio-febbraio 2014.21 N. Bobbio, cit.

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India - Oceano Indiano

Claudia Astarita

Eventi►L’India sospende temporaneamente le trattative commerciali con la Rolls-Royce. Dopo il casoFinmeccanica, New Delhi punta il dito anche contro la Gran Bretagna, accusando la secondaditta al mondo per produzione di motori per aerei di essere coinvolta in uno scandalo di corruzioneche vede come protagonista il governo indiano. Il ministro della difesa A.K. Antony ha precisatoche attende di conoscere i risultati dell’indagine affidata al Central Bureau of Investigation (CBI)per decidere se chiudere o meno l’affare da 1,6 milioni di dollari destinati all’acquisto di nuovimotori per i velivoli dell’Aeronautica Militare indiana. Il gigante britannico ha in più di un’oc-casione ribadito di essere pronto a collaborare con le autorità di New Delhi.►India, ennesima condanna a morte per uno stupro. Tre uomini sono stati condannati da un tri-bunale di New Delhi perché colpevoli di aver sequestrato, stuprato in gruppo e ucciso una di-ciannovenne indiana nel 2012. Il corpo mutilato della donna venne ritrovato nello statodell'Haryana. Dopo l'indignazione generale suscitata dallo stupro di una giovane studentessa in-diana a dicembre 2012, violentata su un autobus mentre rientrava a casa e poi gettata dal fine-strino, l'attenzione nel paese per i casi di violenza contro le donne è aumentata. Il Governo, oltread approvare nuove leggi preventive, sta cercando di mostrarsi più severo nei confronti dei col-pevoli..►L'Afghanistan rafforza la collaborazione militare con l'India. In occasione della visita a NewDelhi dello scorso dicembre, il Presidente afghano Hamid Karzai aveva richiesto aiuto e attrez-zatura militare all’India. A febbraio il Ministro degli esteri indiano Salman Khurshid ha confer-mato l'intenzione di New Delhi di fornire al più presto degli elicotteri. La dichiarazione è arrivatain occasione della visita di Khurshid a Kandahar, dove ha inaugurato l’Università Nazionale Af-gana di Scienze Agrarie e Tecnologiche (ANASTU), costruita anch'essa con finanziamenti indiani.Il numero esatto di elicotteri non è ancora stato specificato. Tuttavia, il Ministro Khurshid ha pre-cisato che questa iniziativa è in linea con l'intenzione indiana di rinforzare e formare le Forzedella Sicurezza Nazionale Afgana (ANSF). Lo scopo dell’India è ben lontano dal fornire armiletali. “L’Afghanistan è un Paese speciale e fino ad ora, nel limite delle nostre capacità, abbiamofornito loro quello di cui necessitavano”, ha dichiarato Khurshid, ricordando quanto, anche invista delle elezioni presidenziali di aprile, la sicurezza giochi un ruolo chiave nel garantire stabilitàin questa delicata fase di transizione politica.

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►Il Parlamento indiano ha approvato il decreto per la creazione della nuova regione del Telan-gana, che nascerà dalla scissione dell’Andhra Pradesh. La ventinovesima regione indiana hacreato reazioni contrastanti nel Paese. Il primo ministro dell’Andhra Pradesh, Kiran KumarReddy, si è dimesso come segno di protesta quando il decreto è stato approvato dalla CameraBassa, sostenuto dal suo consiglio regionale. L’oggetto principale della controversia è lo statusdella capitale Hyderabad, sede di importanti case farmaceutiche e aziende di informatica. Per iprossimi dieci anni, la città resterà la “capitale condivisa” di Telangana e Andhra Pradesh. Do-podiché, l’Andhra Pradesh dovrà sceglierne una nuova. La nuova regione raccoglie dieci dei ven-titrè distretti dell’Andhra Pradesh, e conta una popolazione di 35 millioni di unità. Il partito regionale dell’Andhra Pradesh YSR (Partito a difesa dei giovani, dei lavoratori e deicittadini), ha definito la firma del decreto antidemocratica. Quando il decreto riorganizzativodell’Andhra Pradesh era stato rigettato dal consiglio regionale nel 2013, il governo di New Delhinon aveva preso provvedimenti, limitandosi a rinviarne la discussione alla successiva seduta. La scissione diverrà ufficiale non appena il Presidente Mohammad Hamid Ansari apporrà la suafirma, trasformando in legge il decreto in questione. Chi sostiene questa operazione ritiene chealla base della scissione vi sia una scelta di tipo economico, orientata a mettere a punto un nuovosistema di ridistribuzione delle risorse tra la capitale e il resto della regione, che è una delle areerurali più povere dell’India.►Le relazioni economiche tra India e USA sono di nuovo compromesse. La Commissione diScambi Internazionali Americana (USITC), un corpo semi giuridico che consiglia il Presidentesu temi di economia internazionale, ha iniziato un’indagine sulle politiche di scambio, di investi-mento e industriali indiane. A detta dell’USITC, l’India non sta facendo abbastanza per stare alpasso con l’innovazione ed è troppo concentrata sui fornitori locali. Atteggiamento, questo, con-siderato dannoso per le aziende americane.Le tensioni interessano in particolare i settori farmaceutico, dell’energia solare e dell’aviazione.L’India è il maggiore fornitore di medicinali degli USA e “se vuole aumentare la sua presenzanegli Stati Uniti, deve adeguarsi agli standard”, ha affermato Margaret Hamburg, la portavocedel US Food and Drug Administration (USFDA). Altra fonte di preoccupazione è l’intenzione indiana di raddoppiare gli impianti di energia solareentro il 2017. Gli USA si sono rivolti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), la-mentando la preferenza indiana per i fornitori locali, a scapito di quelli americani. L’india con-trobatte che la sua politica nel settore energetico è in linea con gli standard dell’OMC, che inpassato l’avrebbe già difesa autorizzandola ad approvare misure anti-dumping nei confronti deifornitori cinesi e indonesiani.Gli Stati Uniti hanno infine declassato il rating sulla sicurezza dell’aviazione Indiana, impedendodi fatto alle compagnie di bandiera Air India e Jet Airways di aumentare le tratte verso gli USA.Sanjay Notani, noto avvocato di diritto internazionale, ha messo in guardia gli Stati Uniti, sugge-rendo di non trascurare questa grande potenza in espansione, e sostenendo l’urgenza di spingereper un impegno bilaterale alla liberalizzazione degli scambi USA-India come possibile soluzionealle tensioni. Tuttavia, è opportuno ricordare che la determinazione con cui la classe dirigenteindiana sta cercando di resistere a qualsiasi pressione esterna, incluso l’appello presentato al-l’OMC in risposta alle accuse americane o altre forti prese di posizioni su questioni di politica

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estera ancora oggi in sospeso con altri paesi, andrebbe letta anche in chiave pre-elettorale. Daqui la speranza che la rigidità di questo atteggiamento possa essere almeno in parte smussata inseguito all’insediamento del nuovo governo.

LA PARABOLA DI ARVIND KEJRIWAL E LE CONSEGUENZE DELLE SCELTEDELL’AAP SUGLI ASSETTI POLITICI NAZIONALI

A gennaio i risultati delle elezioni di New Delhisono stai giudicati sorprendenti dal momentoche l’incarico di primo ministro dell’area terri-toriale della capitale indiana è stato affidato aun outsider, Arvind Kejriwal, 44 anni, leader diun giovanissimo partito anti-corruzione noto siaper il suo nome, “Partito dell’Uomo Comune”(Aam Aadmi Party, Aap) , sia per il suo sim-bolo, una scopa, da utilizzare, stando alla reto-rica dei suoi sostenitori, per liberare l’India datutti quei politici, burocrati e uomini d’affaricorrotti che l’hanno rovinata. Ebbene, 49 giornidopo la nomina, altrettanto, se non maggiorescalpore è stato creato dall’annuncio delle di-missioni di Kejriwal. Avevamo già scritto che l’inesperienza e unostile poco tradizionale (e tendenzialmente pocoapprezzato) di fare politica avrebbero potutocompromettere la durata dell’incarico di Kejri-wal a Delhi. E così è stato: l’ “uomo comune”per eccellenza si è dimesso il 14 febbraio inaperta polemica con le istituzioni che hanno in-tralciato l'introduzione del Jan Lokpal Bill a li-vello locale. Il Jan Lokpal Bill, noto anchecome Citizen's Ombudsman Bill, è un disegnodi legge che prevede l’istituzione di un organi-smo indipendente per indagare sui casi di cor-ruzione, da sempre presentato dall’Aap come ilproprio cavallo di battaglia. Quando il provve-dimento è stato bloccato da autorità superioriche ne hanno evidenziato l’incompatibilità conla legislazione federale, sostenendo quindi l’im-possibilità di introdurre una legge anti corru-

zione solo a livello locale, Kejriwal si è dimessosottolineando l’inammissibilità per il suo partitodi rinegoziare gli impegni presi con i propri so-stenitori nel corso della campagna elettorale. Se i motivi che hanno portato a riconsiderare lacredibilità e le aspettative nei confronti dellapresunta rivoluzione politica innescata dallacreazione dell’Aap possono essere tanti,( a par-tire dalla consapevolezza dei limiti derivantidall’inesperienza politica di questo gruppo diex attivisti, che inevitabilmente ne ha ridotto,almeno sulla carta, la capacità di risolvere i pro-blemi strutturali di ordine politico, economicoe sociale che affliggono il paese), quelli chehanno convinto Kejriwal a dimettersi sono so-stanzialmente due. Anzitutto, il desiderio di nonessere identificato come l’ennesimo politico in-teressato più a mantenere il controllo della pro-pria poltrona che a rimanere fedele ai propriprincipi. In secondo luogo, liberarsi dall’impe-gno di governare New Delhi in un momento incui gli sarebbe stato possibile sfruttare sia ilforte aumento di popolarità generato da questoincarico sia la nuova predisposizione positivaegli elettori nei suoi confronti in conseguenzaalle dimissioni di principio appena presentateper partecipare alla campagna elettorale nazio-nale, con l’obiettivo di ottenere su scala nazio-nale lo stesso successo riscosso nella capitale. E’ necessario aspettare qualche altra settimanaper poter capire se Kejriwal ha fatto una buonascelta oppure no, e se questa sua strategia possaessere considerata o meno la conseguenza di-

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retta di una rapida maturazione politica del par-tito e del suo leader. Tuttavia, la discesa incampo dell’Aap ha già aperto nuovi scenari dialleanze che sarebbe opportuno esplorare. Nel tentativo di prevedere i successivi sviluppidi questa fase pre-elettorale così mutevole ericca di colpi di scena, è opportuno fare almenodue considerazioni. Anzitutto, bisognerebbechiedersi se, quando ha deciso di scendere incapo per le elezioni della capitale, Arvind Ke-jriwal avesse davvero come obiettivo quello diottenere l’incarico di primo ministro locale. E’infatti più realistico ipotizzare che queste con-sultazioni siano state considerate come unasorta di primo test elettorale per l’Aap. Il Partito dell’Uomo Comune, a New Delhicome altrove, è destinato a raccogliere dissensoe frustrazioni di tutti coloro che, stanchi delloscenario politico indiano più tradizionale, fati-cano a trovare alternative realistiche da soste-nere. Del resto, abbiamo già scritto che moltidegli elettori che lo hanno sostenuto a Delhi lohanno fatto essenzialmente per manifestarecontemporaneamente la propria sfiducia neiconfronti del partito di Rahul Gandhi e di quellodi Narendra Modi. E’ quindi probabile che Ke-jriwal non si aspettasse di ricevere l’incarico diformare un governo. Tra l’altro, se uno dei duepartiti nazionali avesse ottenuto una maggio-ranza certa, l’Aap avrebbe finito col giocare benaltro ruolo nell’esecutivo della capitale. A con-ferma di questo punto di vista vi è il fatto cheKejriwal in un primo momento avesse annun-ciato di non essere interessato a formare un go-verno di minoranza a New Delhi, cambiandoidea solo dopo una lunga serie di consultazionie, aspetto non meno importante, dopo aver chie-sto ai propri sostenitori se un esecutivo guidatoda Kejriwal in persona ma sostenuto esterna-mente dal Partito del Congresso sarebbe statopercepito come un tradimento oppure no. Pre-sentando questa soluzione come l’unico com-

promesso possibile per impedire la formazionedi un esecutivo targato BJP. Se questo è vero, non solo sarebbe possibilegiustificare, anche se solo in parte, gli erroricommessi dall’Aap a causa della sua stessa ine-sperienza, ma potrebbe diventare legittimo im-maginare che le stesse dinamiche possanoriprodursi anche su scala nazionale. L’india al momento può permettersi di sceglieresolo tra due candidati premier, Rahul Gandhi eNarendra Modi, e la parentesi di Kejriwal aNew Delhi ha ulteriormente rafforzato questacertezza. Tuttavia, se il primo non è riuscito arecuperare i consensi che desiderava, anche ilsecondo non è riuscito a liberarsi dal peso deglischeletri accumulati negli anni in cui la sualinea politica era contraddistinta da un forte na-zionalismo. Il “mancato riscatto” in campagna elettorale deidue candidati premier ha contribuito a far cre-scere ulteriormente il livello di delusione e in-soddisfazione all’interno dell’elettorato,assieme alla consapevolezza dell’urgenza, perl’India, di risolvere tutti quegli squilibri politici,economici e sociali che stanno rallentando losviluppo della nazione. Se tutto questo malu-more si tramutasse in voti per l’Aap, gli equili-bri post-elettorali dell’India potrebbero essernefortemente compromessi. La seconda considerazione si riferisce al fattoche, per il Partito del Congresso, assicurarsi ilsostegno di Kejriwal sarebbe di fondamentaleimportanza per tre motivi diversi. Anzitutto per-metterebbe di formare un governo a prescinderedal risultato del Bjp di Modi (sempre chequest’ultimo non ottenga un numero di prefe-renze tale da permettergli di formare autonoma-mente un esecutivo di maggioranza). Insecondo luogo, immaginando che su scala na-zionale l’Aap possa ottenere risultati miglioririspetto a quelli dei vari partiti regionali relati-vamente ai quali sia il Congresso che il Bjp

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hanno già sperimentato la difficoltà di costruirecoalizioni stabili ed efficaci, il successo el’eventuale alleanza tra Aap e Congresso per-metterebbero a quest’ultimo di interagire all’in-terno di una coalizione bicolore, riducendoquindi i rischi di ritrovarsi nel corso della legi-slatura in una posizione di minoranza derivantidal confrontarsi in un contesto di coalizione piùampio. Un’alleanza di questo tipo sarebbe certamenteutile anche per l’Aap, che si ritroverebbe a gio-care un ruolo chiave all’interno di un governomantenendo la libertà di dissociarsi dallo stessose messo nella condizione di scendere a patticon gli impegni presi con gli elettori. Ancora,questa soluzione introdurrebbe sulla scena po-litica indiana l’Aap come terzo partito nazio-nale, ridimensionando ulteriormente il pesodelle formazioni regionali e facendo tramontareper sempre l’ipotesi secondo cui queste ultime

sarebbero state un giorno in grado di organiz-zarsi in un terzo fronte. Se un partito creato da un gruppo di outsidernel 2012 che partecipa per la prima volta a unaconsultazione nazionale nel 2014 riuscisse daun lato a entrare in un governo di maggioranzabicolore, mantenendo al suo interno un fortepotere contrattuale, dall’altro a scongiurarel’ascesa di un leader nazionalista come Naren-dra Modi, non potrebbe certo ritenersi insod-disfatto dei risultati raggiunti. Un esito diquesto tipo non necessariamente proietterebbel’Aap verso un futuro di leadership, ma certa-mente trasformerebbe il partito di Kejriwal inun interlocutore difficile da trascurare. Restada vedere se questo tipo di evoluzione possa es-sere effettivamente considerata utile o fun-zionale alla stabilità e allo sviluppo dell’Indiaoppure no.

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Pacifico(Giappone-Corea-Paesi ASEAN-Australia)

Stefano Felician Beccari

Eventi►Thailandia: Le elezioni politiche anticipate del 2 febbraio 2014 non sono state risolutive; ve-rificati alcuni attacchi ai seggi. Il paese cerca ancora una sua stabilità interna, mentre non siplacano scontri e proteste. Le elezioni politiche thailandesi si sono tenute il 2 febbraio in un climateso e difficile, caratterizzato da molti mesi di dialettica violenta, scontri di piazza e forte pola-rizzazione pro o contro Yingluck Shinawatra, il premier uscente. Durante il processo elettorale,secondo i dati ufficiali del governo thailandese, non è stato possibile votare in 69 distretti su 375.Proteste e attacchi ai seggi hanno impedito il regolare svolgimento delle elezioni, ma nonostanteil massiccio dispiegamento di forze dell'ordine e militari non vi sono stati morti o feriti. Le elezioni,quindi, dovranno essere aggiornate successivamente. Le proteste non si sono fermate nemmenodopo la chiusura delle urne. L'uccisione di un poliziotto e di quattro manifestanti a Bangkok, il21 febbraio, ha fatto comprendere come le tensioni interne siano ancora ben lungi dall'essere so-pite. La situazione politica thailandese, quindi, rimane decisamente instabile.

Il mese di febbraio è stato denso di elementi in-teressanti per la Corea del Nord, anche se con-traddittori. A fianco di caute aperture, come ilricongiungimento di alcune famiglie divise e di-versi colloqui bilaterali, vi sono stati eventimeno confortanti come la critica alle esercita-zioni congiunte USA-ROK (Republic of Korea,il nomen formale della Corea del Sud) e il test,come rappresaglia, di alcuni missili balistici.Di particolare importanza, poi, è stato l'annun-cio da parte dell'ONU di un corposo rapporto

sulla situazione dei diritti umani in Corea delNord. I contenuti di questo documento – scioc-canti - hanno provocato le critiche unanimi daparte di tutta la comunità internazionale. Ep-pure, come si è visto, la Corea del Nord ha “in-cassato il colpo” apparentemente senzareagire. Nonostante la superficiale fermezza, èchiaro tuttavia che all'interno del paese è incorso un insieme di manovre per rafforzare lafigura di Kim Jong Un ed il suo potere, senzadiscostarsi dalle precedenti “gestioni” del

QUO VADIS DPRK? UN ANNO DI SVOLTA PER LA COREA DEL NORD

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paese. Il carattere erratico di queste iniziativedi febbraio (aperture seguite da repentineazioni di chiusura) sembrano ulteriormenteconfermare questa tendenza. Nel frattempo re-stano fredde le relazioni con Pechino.

Il 2014 nordcoreano: un difficile inizioLa transizione della Corea del Nord fra il 2013e il 2014 è stata problematica, ed è probabil-mente destinata a proiettare la sua ombra sututto l'anno che viene. A livello interno la“purga” di fine anno è la prima notevole “scossatellurica” provocata da Kim Jong Un, fino adoggi limitatosi a rimuovere qualche generale oqualche figura della opaca nomenklatura delNord. Dall'inizio del suo mandato (dicembre2011, dopo la morte del padre Kim Jong Il) KimJong Un si è lentamente impratichito a gestireil complesso potere del Nord grazie allo strettocontrollo dello zio Chang Song-Thaek, maritodi Kim Kyung-hee, una delle sorelle di KimJong Il. Sebbene lo zio e il giovane Kim nonfossero parenti di sangue, per circa due anni ilnuovo dittatore ha de facto accettato (dovuto ac-cettare?) il ruolo di “apprendista” seguendo ilben più navigato “maestro”. Chang Song-Thaek, oltre a ricoprire importanti posizioni nelpartito, era pure il punto con i vertici della vi-cina Repubblica Popolare di Cina, vero e pro-prio mentore della Corea del Nord nonché,sostanzialmente, unico partner commerciale.Tanta era la forza dello zio – sibilavano alcuni– che il giovane leader altro non era che una“marionetta” nelle mani del ben più abile pa-rente. Era prevedibile che questa sorta di “tu-tela” sul giovane Kim Jong Un fosse destinataa finire prima o poi, ma nessuno, compresa lanomenklatura di Pechino, si sarebbe aspettatoun epilogo come quello del dicembre 2013.Mentre il pianeta si accingeva e celebrare il Na-tale, in Corea del Nord veniva condotta unapurga, di sapore staliniano, ai danni dello zio,

colpito da accuse infamanti come quella di avertramato contro il nipote e contro lo Stato. Il suoarresto e la conseguente esecuzione capitalehanno così dato il via al “nuovo corso” di KimJong Un, dal 2014 vero e solo leader al co-mando della Corea del Nord.

Alle caute aperture...La tragica quanto repentina fine di Chang Song-Thaek ha aperto diversi interrogativi di cui nonè facile azzardare la soluzione. Kim Jong Un èormai abbastanza “pratico” per guidare da soloil paese? Chi potrà esercitare qualche pressionesu di lui in caso di comportamenti più aggres-sivi? Quale linea politica vorrà seguire KimJong Un adesso? Chi terrà i rapporti politici edeconomici con Pechino, essenziali per la so-pravvivenza del Nord? Al momento tutte questedomande rimangono senza risposta, e i recentieventi di febbraio sembrano dimostrare comein questa fase la politica del Nord segua un an-damento erratico e non ancora nettamente defi-nito. Questo potrebbe sia essere il frutto di unagenerale incertezza sulla linea politica quantoinvece una strategia mirata ad alternare aperturee chiusure. Questo secondo approccio è un clas-sico modus operandi che la politica della DPRKsegue da anni. Ma è sicuro che Kim Jong Unvoglia continuare a seguire questa via? Nel corso del mese di febbraio si sono verificatialcuni eventi che sembrano essere contraddit-tori. La prima apertura è arrivata agli inizi delmese. Improvvisamente, sotto la spinta di Pyon-gyang, le due Coree hanno deciso di tenere deicolloqui bilaterali il 12 febbraio; così a Pan-munjon si sono riunite due delegazioni dei go-verni per trattare “tematiche intercoreane”.L'apertura di Pyongyang, che fa seguito a unalettera aperta degli inizi di gennaio (ma rifiutatada Seul), è un segnale che ha stupito diversianalisti. Erano anni che le parti non organizza-vano un incontro bilaterale: quest'ultimo, seb-

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bene non abbia coinvolto esponenti politici, èstato comunque gestito da importanti dirigentidelle due amministrazioni. All'incontro non èseguito nessun comunicato ufficiale, ma, hannocommentato diversi osservatori, l'incontro co-stituisce già un messaggio politico distensivoper se. Un secondo segnale di apertura, poi, èstato dato verso fine mese, quando un centinaiodi sudcoreani sono stati autorizzati, per pocheore, ad entrare nel territorio di Pyongyang pervisitare i loro parenti. Le “riunioni familiari”,nonostante le scene strazianti (capita che visiano parenti che non si sono più rivisti daglianni Cinquanta) sono un ottimo strumento dipressione politica nelle mani del Nord. L'averdato una disponibilità ad organizzare questoevento a breve distanza dai colloqui, quindi,sembrerebbe convincere della buona disponibi-lità del governo di Pyongyang. Ma, come spessocapita quando si esamina la politica nordoco-reana, questi due beaux gestes non sono avve-nuti in modo casuale.

...Seguono altrettante chiusureDopo i due (positivi) avvenimenti di febbraiopochi, a parte la propaganda del Nord, si sonoespressi in toni entusiastici riguardo a questeaperture. La ragione è semplice: pochi si fidanodei segnali distensivi di Pyongyang. Negliscorsi anni il governo del Nord si è spesso “ri-mangiato” le sue promesse su tematiche ben piùdelicate, come ad esempio il nucleare: perchèfidarsi ora, quindi? D'altro canto, però, occorrepure considerare che Kim Jong Un adesso è ilsolo uomo al potere, quindi questa poteva essereuna buona occasione per “rilanciare” il dialogoe la detente nella penisola. Queste aspettative,però, sono state presto deluse, proprio in con-comitanza con l'inizio delle annuali manovremilitari US-ROK. Ogni anno i due paesi orga-nizzano una serie di esercitazioni militari – notecon il nome di Foal Eagle – che se da un lato

servono effettivamente a testare la cooperazionemilitare dei due paesi (nella ROK gli Stati Unitihanno un comando interforze con circa 30.000uomini) dall'altro mandano un chiaro messaggioalla Corea del Nord. Quest'ultima ha semprecontestato l’esercitazione, bollandola comeun'iniziativa “offensiva” e “minaccia alla pace”.Nel 2013 la pericolosa escalation retorica nellapenisola cominciò proprio a latere dello svolgi-mento di Foal Eagle. Quest'anno la reazione diPyongyang è stata più moderata, ma ha ugual-mente mandato due segnali poco confortanti. Ilprimo è stato lo sconfinamento di una imbarca-zione nordcoreana nelle acque del Sud, propriodurante le esercitazioni. L'imbarcazione, chesembra essersi trattenuta nelle acque di Seul perun paio d'ore durante la notte del 24-25 feb-braio, è poi spontaneamente tornata nella pro-pria area di competenza: si è trattato di un chiarosegnale (una provocazione?) di “non gradi-mento” delle operazioni militari in corso. Il go-verno di Seul, pur stigmatizzando“l'incursione”, ha optato per il non intervento, ela situazione è presto rientrata. Come evidente,però, questa azione, per quanto simbolica, nonè stata per nulla gradita. In linea con questaazione il 28 febbraio la Corea del Nord ha lan-ciato quattro missili a corto raggio KN-02, ov-vero la versione autoctona, e leggermentemigliorata, del missile a corto raggio sovietico“Tochka”, noto in ambito NATO come SS-21Scarab. I missili, lanciati dall'area di Gitdaerye-ong, hanno percorso circa 200 chilometri perpoi inabissarsi nel tratto di mare fra la penisoladi Corea ed il Giappone. Anche in questo caso,quindi, si è trattato di una mossa simbolica, pre-cisamente indirizzata a esprimere il disappuntoper le attività militari in corso nel Sud. Eccoquindi che le varie ipotesi di “apertura” delNord sotto Kim Jong Un si sono rivelate, in re-altà, poco più di un bluff. Ad oggi la dialetticafra le due parti della penisola rimane tesa e di-

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stante, anche se lontana dagli eccessi retorici ebellicisti dello scorso anno.

Il report dell'ONU sui diritti umani in Coreadel NordLe due azioni provocatorie della Corea del Nordin altri momenti della vita del paese sarebberopassate quasi inosservate: attività militari op-portunamente “limitate” sono un classico stru-mento nella complessa relazione fra Nord eSud. Forse queste azioni non avrebbero attiratol'attenzione sul Nord se contemporaneamente,nel mese di febbraio, non fosse stato rilasciatoun voluminoso rapporto dell'ONU sulla situa-zione dei diritti umani in Corea del Nord. Que-sto ponderoso documento (370 pagine) daltitolo Report of the detailed findings of the com-mission of inquiry on human rights in the De-mocratic People’s Republic of Korea hamostrato all'opinione pubblica internazionale lagrave situazione dei diritti umani nel paese. Ilteam dell'ONU, guidato dall'australiano Mi-chael Donald Kirby, ha svelato al mondo una re-altà nordcoreana inquietante, nella quale leviolazioni dei diritti umani sono costanti e, ad-dirittura, costituiscono uno strumento politico adisposizione dello Stato per mantenere il suoferreo controllo sulla popolazione. I risultatidella Commissione d'inchiesta richiedono, pe-raltro, pochi commenti:

<<La Repubblica Popolare e Democratica diCorea, tramite le sue istituzioni ed i suoi fun-zionari ha commesso e commette violazioni deidiritti umani sistematiche, diffuse ed evidenti.In diversi casi le violazioni dei diritti umani sco-perte dalla Commissione costituiscono criminicontro l'umanità. Questi non sono meri abusiperpetrati dallo Stato. Essi sono componenti es-senziali di un sistema politico che si è forte-mente discostato dagli ideali sui quali pretendedi essere basato. La gravità, la dimensione e la

natura di queste violazioni rivelano una situa-zione che non ha nessun parallelo nel mondocontemporaneo>> (Report of the detailed fin-dings of the commission of inquiry on humanrights in the Democratic People’s Republic ofKorea, § 1211, p. 365)Molte sono le violazioni dei diritti umani ripor-tate dalla Commissione, a partire dai diritti dipensiero, espressione, religione, movimento, re-sidenza ed espatrio. Le discriminazioni interneal paese, spesso su base politica e di genere,sono notevoli, e si riassumono nella principiodel songbun; sulla base di questa prassi tutti gliabitanti della Corea del Nord sono “classificati”a livello sociale. Solo i “migliori” dal punto divista politico, di partito e di fedeltà al regimehanno a disposizione maggiori quantità di ciboe migliori opportunità. Questa sorta di “scheda-tura politica” influisce pesantemente sulla vitadei cittadini, cosa che colpisce e marginalizzamaggiormente quelli con status più basso. Aqueste violazioni si aggiungono detenzioni ar-bitrarie, un uso sistematico della tortura e delleesecuzioni sommarie, nonché un vasto sistemadi campi di lavoro e di detenzione per prigio-nieri politici. In molti di questi lager, così comenelle carceri – procede il rapporto con una se-zione specifica – vengono perpetrati criminicontro l'umanità. A questo riguardo e <<sullabase delle testimonianze e delle informazioni ri-cevute, la Commissione ritiene che le autoritàdella Corea del Nord abbiano commesso e com-mettano crimini contro l'umanità nei campi didetenzione per prigionieri politici, che compren-dono sterminio, uccisioni, messa in schiavitù,tortura, imprigionamento, stupri e altre graviviolenze sessuali e la persecuzione su basi poli-tiche, religiose o di genere>>. La situazione in-terna, confermata da testimonianze e rilievisatellitari, è molto critica. Come evidente, laCorea del Nord ha rifiutato in toto i risultatidella Commissione, non riconoscendo nem-

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meno la risoluzione 22/13 del United NationsHuman Rights Council che istituiva la Commis-sion of Inquiry on Human Rights in the Demo-cratic People’s Republic of Korea (DPRK). Irisultati del rapporto hanno fatto il giro delmondo, e attirano sulla Corea del Nord un rin-novato sentimento generale di biasimo. Eppureil rapporto della Commissione non svela nulladi nuovo agli “addetti ai lavori”. La grave e si-stematica violazione dei diritti umani, i campidi lavoro, la repressione totale del dissenso po-litico, l'indottrinamento e l'utilizzo dell'alimen-tazione per colpire i rivali politici (ma il tristeelenco potrebbe continuare) è da anni una“prassi” ordinaria in Corea del Nord. Anchequesto rapporto dell'ONU sembra confermare,ancora una volta, come le “aperture” di KimJong Un altro non siano che manovre propagan-distiche o meglio “tattiche” che nascondono unarealtà ben diversa. Il giovane leader, finalmenteal potere senza l'ingombrante ombra dello zio,sta dimostrando che non ha il minimo interessea “cambiare rotta” rispetto ai suoi predecessori.Anzi, in questi primi mesi dell'anno la Corea delNord ha proseguito sulla sua strada senza mo-dificare nulla sul piano militare, politico, socialeod economico. Le ipotesi di cambiamento, perora, sembrano prospettive remote.

Pechino-Pyongyang: la connessione (per ora)mancanteKim Jong Un, quindi, sembra essere saldamenteal comando di una Corea del Nord che, mono-liticamente, sta continuando a seguire i vari am-maestramenti dei predecessori. Le dueideologie-pilastro del paese (Juche e Songun)continuano ad essere il “faro” dell'azione polit-ica, mentre provocazioni militari, chiusura eco-nomica, repressione e controllo del dissensointerno sottolineano appieno la completa conti-nuità con il passato. In questo mosaico, quindi,sembra che tutti i tasselli siano ordinatamente

rimasti al loro posto. Eppure a livellogeopolitico manca un passaggio fondamentale:la “presentazione delle credenziali” a Pechino.Da decenni la Cina – volente o nolente – è l'u-nico rilevante partner economico e politico perla piccola repubblica. Senza i cospicui aiuticinesi la gracile economia del Nord col-lasserebbe in breve tempo, aprendo una crisi re-gionale che nessuno desidera. Anche Pechino,dal canto suo, fa i calcoli: meglio una Corea di-visa e il legame con uno stato “amico”, perquanto bizzoso, più che una possibile Corea ri-unificata e filostatunitense. Rimane quindi dafarsi l'ultima domanda: quando Kim Jong Un sirecherà a Pechino per suggellare la vicinanza fraCina e Corea del Nord? Negli scorsi due anni irapporti con i vicini cinesi sono stati tenuti e tes-suti dallo zio: a quando un vertice bilaterale allapresenza del nuovo leader? Per quanto restii aduscire dal paese, qualche volta gli stessi Kim ilSung e Kim Jong Il si sono recati a Pechino perribadire la loro vicinanza ai vertici cinesi. Oraoccorre vedere quando sarà il turno di Kim JongUn. L'uccisione dello zio ha generato molte pre-occupazioni non solo nella nomenklaturacinese, ma anche nella stampa e nell'opinionepubblica: una visita di Kim Jong Un servirebbecosì a “normalizzare” i rapporti fra i due paesi,ristabilendo una linea “diretta” nei rapportipolitici e sancendo, definitivamente, il passag-gio di consegne alla terza generazione dei Kim.Al momento, però, non si hanno notizie diun'iniziativa di questo genere, cosa che co-munque resta un passaggio necessario – perquanto simbolico – per la definitiva “ac-cettazione” di Kim Jong Un quale unico e veroleader anche agli occhi di Pechino. I primi passi di Kim Jong Un si pongono inpiena continuità con i suoi avi. Le caute aper-ture di febbraio, quindi, assomigliano più a es-pedienti propagandistici o di “marketing” chea segnali di cambiamento. Al momento Kim

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Jong Un mantiene stabile la situazione delpaese, senza volersi avventurare in nuovi esper-imenti politici od economici. E' probabile chequesto comportamento sia legato alla necessitàdi tenere sotto controllo la vasta burocrazia po-litica, militare e di partito, almeno finché con-tinuerà il processo di consolidamento del suo

potere. La prossima scadenza politica impor-tante sono le elezioni legislative di marzo, peril rinnovo del parlamento unicamerale; comenelle altre tornate, però, difficilmente visaranno sorprese, visto che i candidati si pre-sentano a lista unica in tutte le circoscrizionielettorali.

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America Latina

Alessandro Politi

Eventi►Brasile, 1/02/2014. A partire da questa data con la nuova Lei Anticorrupção (12.846/ 2013)il Brasile contempla la possibilità di sanzioni non solo nei confronti dei funzionari pubblici cor-rotti, ma anche delle imprese che praticano pratiche corruttive. La sanzione pecuniaria può pe-sare dallo 0,1% al 20% del fatturato annuo lordo rispetto ad una responsabilità che non può piùesser scaricata su un singolo dirigente. La legge d’iniziativa governativa è stata approvata dallecamere anche in risposta ad impegni internazionali anticorruzione. La disposizione prevede ancheincentivi per le imprese che denunciano il fatto prima delle indagini in modo da ottenere una ri-duzione sino a due terzi della multa.►Brasile, 10/02/2014. L’MST (Movimento dos Trabalhadores Rurais sem Terra) ha celebratoil suo trentesimo anniversario durante il suo 6° congresso nazionale (10-14 febbraio), diven-tando il movimento contadino più longevo nella storia sociale del paese. Ciò deriva da riformaagraria lungamente ritardata e combattuta dalle oligarchie dei latifondisti, cui si aggiungono idanni prodotti da agrobusiness, sementi geneticamente modificate e scarsa iniziativa governativa.Il portavoce dell’MST, Alexandre Conceicao, ha dichiarato che il governo si limita a risolvere iconflitti, ma non attua politiche di riforma agraria: in parlamento siedono 170 agrari nemici dellariforma (la fazione più numerosa nel legislativo contro 2 rappresentanti MST), il governo attuala riforma al rallentatore e il potere giudiziario, nonostante controlli già circa 900 ettari, non liha ancora assegnati ai contadini. L’obbiettivo dell’MST per l’anno corrente è inoltre la produzioneecosostenibile di cibo. Dal 1984 ad oggi l’MST è arrivato a rappresentare 150.000 nuclei familiari,si è diffuso in 23 dei 27 stati del Brasile ed ha ricuperato 42 milioni di ettari di terreno coltivabileper i senzaterra.►Cile-Perù, 24/02/2014. Le commissioni congiunte per la misurazione dei confini marittimi(dette anche 2+2) si sono riunite a Valparaiso per iniziare i lavori ufficiali di delimitazione. Essisono frutto del giudizio della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja reso il 27 gennaio 2014.Rispetto alle contrastanti argomentazioni e richieste, la CIG ha offerto un compromesso asse-gnando al Perù una superficie marittima superiore al previsto, ma permettendo al Cile di mante-nere le zone più pescose all’interno della propria delimitazione. Il procedimento era stato apertoil 16/1/2008 su richiesta del Perù di fronte alle ripetute reticenze di Santiago nell’affrontare unnegoziato bilaterale.

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LE IMPRESE ITALIANE E LA SICUREZZA IN MESSICO

►Cuba, 25-28/02/2014. La crisi sociopolitica in Venezuela e la politica economica cubana sonooggetto di concertazione informale tra Brasile e Cuba. Lo scorso 25 febbraio l’ex presidente LuizInacio Lula da Silva ha visitato il presidente cubano Raoul Castro per discutere sul futuro dellerelazioni bilaterali, condividere con impresari cubani le esperienze del Brasile in materia di in-vestimenti stranieri e scambiare punti di vista riguardo gli sviluppi a Caracas. Lula sta svolgendofunzioni di diplomatico informale e in questa veste ha inaugurato il nuovo terminal cargo e con-tainer nel porto di Mariel che rappresenta al tempo stesso una Zona Especial de Desarrollo, similea quelle cinesi che hanno trasformato l’economia di Pechino, ed una Zona de Actividades Logí-sticas che sarà connessa con il resto dell’isola. La fase di sviluppo successiva sarà la più difficileperché consisterà nell’attrazione d’investitori privati e stranieri, propiziata da una nuova leggesugl’investimenti stranieri che sarà approvata in marzo.

La vitalità e l’intraprendenza delle imprese italiane trova un ulteriore riscontro nella loro attivitàin Messico, paese notoriamente molto problematico per la sicurezza pubblica e per quella del bu-siness. Una recente indagine di enti privati e pubblici rivela anzi che il 63% delle ditte nazionaliintervistate consiglia d’investire nel paese e che il 60% investirà ancora di più su una presenzagià sviluppata.La distribuzione delle imprese recensite geograficamente (69 su più di 200 elencate in un rapportodella PwC) mostra una predilezione per stati considerati relativamente sicuri, insieme al DistrettoFederale il quale ospita Città del Messico e le sue conurbazioni. Un’analisi del quadro generaledella minaccia dei narcocartelli nel paese e, in particolare, nelle maggiori zone d’insediamentoimprenditoriale italiano mostra però un quadro con rilevanti criticità che richiedono maggioreattenzione per la sicurezza delle imprese, la protezione da pratiche intimidatorie e la prevenzionedi eventuali effetti negativi nei rapporti fra imprese e madrepatria.

Il radicamento delle imprese italianeLa presenza delle industrie italiane nel paese si è articolata in tre ondate decennali: la prima agliinizi degli anni ’80, la seconda durante gli anni ’90 del secolo scorso e la terza concentrata nelprimo decennio dell’attuale secolo. Uno studio realizzato in sinergia tra la ditta di consulenza edauditing PwC (PricewaterhouseCoopers ), l’ufficio ICE e la Camera di Commercio Italiana inMessico, mostra non solo che la presenza è significativa (vedi carta successiva), ma che inoltre il60% delle ditte intervistate programma di aumentare i propri investimenti, il 30% di mantenerlistabili e solo il 10% di ridurli.1

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Carta dei principali insediamenti economici italiani in Messico

Fonte: PWC et al., op. cit. ed elaborazione propria.

Considerazioni strettamente aziendali a parte, una componente del clima di fiducia della maggiorparte delle imprese nazionali nel paese è dovuta anche alla nuova presidenza che ha chiaramenteun’impronta liberista e che si appresta a valorizzare la promettente zona di sviluppo industrialedel Bajío, che dovrebbe costituire un nuovo nucleo industriale del Messico.2

Questa zona, a differenza di altri stati federali del paese, è considerata relativamente sicura e liberada influenze mafiose, quindi una piattaforma adatta per rilanciare la produzione manifatturiera aidanni dei vecchi concorrenti cinesi, i cui costi del lavoro hanno superato quelli messicani e che,quindi, inducono ad una parziale delocalizzazione delle linee industriali verso il Messico.È facile vedere dalla sovrapposizione della zona del Bajío (rappresentata da un cerchio nella mappaprecedente) che già una buona parte delle imprese italiane sono in una posizione favorevole, specienegli stati del Guanajuato e del Queretaro, mentre la maggior parte degli insediamenti sono nelDistretto Federale di Città del Messico, anch’esso ritenuto molto protetto dalle forze di polizia.Tuttavia un aggiornamento della geografia mafiosa nel paese induce a riflettere con maggiorecautela sui pericoli che le nostre imprese possono correre riguardo a tipici rischi di crimine orga-nizzato, peraltro spesso ben conosciuti in patria.

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Evoluzione della minaccia mafiosaNel mese di gennaio-febbraio del 2014 la violenza criminale e mafiosa si è concentrata principal-mente negli stati di:• Michoacán • Guerrero (Acapulco è la terza città più violenta del mondo dopo San Pedro Sula nell’Hondurase Caracas)• Sinaloa • Cohauila• Nuevo León• Tamaulipas• lungo le frontiere degli stati adiacenti agli USA (Baja California, Sonora, Chihuahua ed i citatiCoahuila, Nuevo León, Tamaulipas)• Sinaloa (recrudescenza in febbraio)• Durango (idem).• Tuttavia in altri stati più a sud la violenza sta aumentando in modo preoccupante, cioè in:• Morelos• stato del Messico (e la sua vallata)• Distretto Federale (cioè Città del Messico e sue conurbazioni)• Hidalgo.3

Per capire meglio qual è il sostrato di violenza che attraversa tutto il paese, è necessario osservarela seguente carta di fonte governativa.

Carta della presenza di narcocartelli

Fonte: Procuradoria General de la Re-publica (PRG), marzo 2013,http://www.sinembargo.mx/20-05-2013/622023 (20/3/2014).

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Quasi tutti gli stati sono infiltrati da gruppi mafiosi, spesso di diversa affiliazione, spesso fruttodella disarticolazione di vecchi cartelli, il che lascia comprendere che i sei anni di lotta ai narco-cartelli sotto la gestione del precedente presidente Felipe Calderón Hinojosa non hanno sortito glieffetti sperati. Un dato confermato dalla valutazione di FTI Consulting che valuta il Messico ilquinto stato più pericoloso dell’America Latina in cui fare affari, dopo Venezuela, Honduras,Guatemala e Haiti.4

Un altro aspetto evidenziato dalla carta è l’assenza d’infiltrazioni in otto stati federali (Guanajuato,Queretaro, Hidalgo, Tlaxcala, Puebla, Tabasco, Campeche e Yucatán) il che dovrebbe comprovarel’esistenza di zone in cui sarebbe più facile attrarre investimenti. Il Bajío non vi è pienamente in-cluso, ma coincide per due stati su quattro, cioè Guanajuato e Queretaro in cui hanno sede e/o sta-bilimenti 17 (24,6%) grandi imprese italiane sulle 69 riportate in mappa dal documento PwC etal.5

In realtà altre fonti fanno seriamente dubitare di una situazione relativamente più rosea, tra cuiquelle governative statunitensi.

Mappa DHS della presenza di gruppi mafiosi

Fonte: Department of Homeland Security, maggio 2013, http://www.borderlandbeat.com/2013/06/bar-heaven-mass-kidnapping-tepito-12.html (24/3/2014).

La carta fa vedere con chiarezza che non esistono zone libere dal crimine organizzato, nemmenonelle aree di frontiera a Sud che confinano con il Guatemala e con il Belize, perché già dal luglio

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2012 i narcotrafficanti dispongono in questi paesi di piste d’atterraggio per il trasporto aereo dellacocaina verso il Nord. La seguente tabella correla la presenza di grandi ditte italiane con quella dicartelli ed altri fattori rilevanti.Tabella rischio del crimine organizzato per imprese italiane

Fonte: elaborazione propria di dati PWC, PGR, FTI, DHS.6

Partendo dunque dal dato di fatto che non vi sono zone libere da influenza mafiosa e che sui livellidi violenza influisce anche la presenza di milizie d’autodifesa, si può dedurre che il Bajío puòcontinuare ad essere considerato una zona di rinforzo delle capacità manifatturiere del Messico(gli stati più forti sono Nuevo León, Mexico-Edomex, Distrito Federal, seguiti da Jalisco, Guana-

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juato, Puebla e Coahuila), ma non un’isola felice.Bisogna anche aggiungere che le ditte che dipendono da forniture portuali o che operano in quelsettore sono ulteriormente vulnerabili a insidie mafiose perché i maggiori porti (Veracruz, Altamira,Manzanilllo, Mazatlan, Guaymas, Puerto Morelos) sono fortemente infiltrati, da famiglie del crim-ine organizzato. Il porto strategico di Lazaro Cardenas nel Michoacán può essere considerato più sicuro da alcunimesi grazie all’offensiva generale delle forze governative per riprenderne il controllo, ma fontimessicane fanno vedere che la situazione non è affatto risolta.7

Carta della situazione di sicurezza nel Michoacán e zone limitrofe (febbraio 2014)

Fonte: El Blog Chinaco, Los Autodefensas en Michoacán y el Santuario de la Violencia, 14/2/2014,http://blogchinaco.wordpress.com/2014/02/14/autodefensas-michoacan-santuario/ (15/3/2014).

Gli arresti eccellenti che vengono naturalmente citati dal governo negli ultimi quattro mesi passati(noti con i nomi in codice di Z-40, X-20, M-10 ed el Chapo), rispettivamente appartenenti a LosZetas, al Cartel del Golfo e gli ultimi due alla federazione di Sinaloa, hanno colpito indistintamentei tre grandi sodalizi criminali, ma in realtà con effetti tutt’altro che scontati per una diminuzionedell’insicurezza.Il quadro tracciato presenta elementi sufficienti per considerare con molta attenzione le esigenzedi sicurezza delle imprese operanti anche in stati tradizionalmente considerati “sicuri”, primi fratutti il Distretto Federale, Edomex e Queretaro, precisamente per un insieme di fattori di vulne-rabilità il cui combinato disposto può essere problematico sia in loco che nei rapporti con la ma-

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drepatria. Le ditte cinesi, per esempio, non sono mai state molestate, ma non è detto che i metodiper garantirne la tranquillità siano privi di risvolti negativi.

1 Vedi PWC, Ambasciata d’Italia Città del Messico, ICE, Camara de Comercio Italiana en Mexico, Presenzae sviluppo delle imprese italiane in Messico, giugno 2013,http://www.pwc.com/es_MX/mx/publicaciones/archivo/2013-06-presenza-messico.pdf (19/3/2014) . 2 Comprende gli stati di Aguascalientes, San Luis Potosí, Guanajuato e Queretaro (secondo Stratfor e fontieconomiche messicane), cioè stati relativamente sicuri in cui si stanno spostando gl’investimenti interna-zionali. In realtà la geografia del Bajío non comprende San Luis Potosí ed include invece Jalisco, uno statodecisamente problematico.3 Vedi Seguridad, Justicia y Paz, Boletín de seguridad enero 2014, Werner Strohlein, 12/2/2014,http://www.seguridadjusticiaypaz.org.mx/sala-de-prensa/961-boletin-de-seguridad-enero-2014 (22/3/2014);e inoltre Seguridad, Justicia y Paz, Boletín de seguridad febrero 2014, Werner Strohlein, 21/3/2014,http://www.seguridadjusticiaypaz.org.mx/sala-de-prensa/983-boletin-de-seguridad-febrero-2014(22/3/2014). Lo stato del Messico è anche abbreviato in spagnolo con Edomex.4 Vedi PRG, ibidem. Cfr. FTI, Public Insecurity in Latin America, March 2014,http://www.fticonsulting.com/global2/media/collateral/united-states/2014-latin-america-security-index.pdf(31/3/2014)5 Il governo messicano ha già designato come zone agevolate tutta la fascia confinaria con gli USA (zonafranca, zona fronteriza) e gli stati di Baja California, Baja California Sur, Sonora al Nord e Oaxaca, Chiapase Quintana Roo al Sud.6 Legenda: BLO (Bertran Leyva Organization, chiamata anche Cartel del Pacifico Sur), LFM (La FamiliaMichoacana), LCT (Los Caballeros Templarios), VCFO (Vicente Carrillo Fuentes Organization, nota anchecome Cartel de Juarez). I nomi preceduti da un trattino sono menzionati da fonti governative messicane,quelli da un asterisco da fonti governative statunitensi. La scala di rischio tiene presente diversi fattori tracui: il contesto generale, la presenza narcomafiosa, la frammentazione dei gruppi, la presenza di zone diparticolare interesse per i cartelli (piazze di spaccio contestate, porti, zone di scontro, ecc.), le vulnerabilitàdelle imprese, la densità d’imprese presenti nello stato, i livelli correnti di violenza.7 Le forze d’autodifesa (alcune delle quali possono essere legate ad interessi minerari o agrari), hanno strap-pato le valli dello stato al controllo degli LCT, ma questi sono presenti nelle quattro città più importanti in-clusa Lazaro Cardenas ed in tutto lo stato del Guanajuato. Tutta la zona a righe diagonali è la seconda zonadi produzione di droghe, include sei stati (Michoacán, Guerrero, Morelos, Estado de México, Querétaro eHidalgo) ed è al centro di uno scontro serrato fra gli LCT ed un’alleanza tra Zetas ed LFM. Il Cartel JaliscoNueva Generación (CJNG) protegge invece le proprie posizioni nell’angolo in alto a sinistra della mappa.Il Cheran è una municipalità liberatasi dai cartelli e dai partiti tradizionali, eleggendo con l’accordo del go-verno federale i propri rappresentanti secondo usi locali.

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Iniziative Europee di Difesa

Claudio Catalano

Eventi►L’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) prevede di pubblicare uno “EU Capability Develop-ment Plan” entro l’autunno, durante la presidenza europea dell’Italia. L’ultimo documento diquesto genere risale al 2008. Il nuovo piano 2014 dovrebbe considerare il contesto strategicomondiale e le capacità già disponibili a livello europeo, incluse le duplicazioni e le carenze pre-senti, per stabilire le capacità militari necessarie nei prossimi 4 anni. Il piano 2014 dovrebbeconsiderare tutte le risorse presenti negli inventari degli stati membri e armonizzarle con quellerese disponibili per la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Ciò rappresenta una novitàrispetto al piano 2008, che considerava esclusivamente le risorse assegnate all’UE. In questoesercizio, nel corso del 2014, l’EDA dovrebbe rivedere gli scenari d’impiego pubblicando ancheuno studio su eventuali operazioni nell’Artico. ►Il Consiglio dei ministri della UE ha ufficialmente approvato il 10 febbraio una missione eu-ropea nella Repubblica Centroafricana denominata EUFOR RCA, dando il via al processo dipianificazione e di generazione della forza. EUFOR RCA dovrà agire in ausilio del contingentefrancese di 1.600 persone e il contingente MISCA dell’Unione Africana di 6.000 persone, presentinel paese in base alla risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU 2134. La forza operativa do-vrebbe essere di circa 400-600 persone nella capitale del paese africano, Bangui, dove sarà schie-rato il comando operativo in teatro, mentre il comando di vertice dell’operazione sarà a Larissa,in Grecia. Il Comitato Militare UE sta studiando la possibile presenza di una componente di po-lizia, con un eventuale ruolo per la Forza di Gendarmeria Europea (Eurogendfor), mentre non èprevista l’attivazione dei Battle Groups. La missione dovrebbe raggiungere le sua capacità ope-rativa a fine aprile, prima dell’inizio della stagione delle piogge. Verso la fine del 2014 questeforze internazionali potrebbero essere sostituite o affiancate da una missione peacekeeping ONUdi maggiori dimensioni.►Una riunione della sottocommissione “Sicurezza e Difesa” del Parlamento Europeo tenutasiil 12 febbraio 2014, ha indicato tra le priorità europee nella difesa per il 2014, la sicurezza cyberoperativa, i velivoli di pilotaggio remoto (UAV) e le consultazioni tra NATO e UE. Ad esempioil Comitato Militare della UE ha definito l’esigenza di proteggere i propri Comandi dalla minacciadi attacchi informatici. Nel caso specifico dei Comandi stabiliti a Bangui e Larissa, nell’ambitodella missione in corso nella Repubblica Centroafricana, l’Estonia potrebbe contribuire all’avvio

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a risoluzione del problema, vista la sua presenza e, soprattutto, la sua dichiarata specializzazionenella “difesa cyber”, sia in ambito DSDC che NATO.Al fine di ricercare l’ottimizzazione dei prov-vedimenti contro attacchi informatici, risulterebbe anche l’intenzione di avviare un link una lineastabile tra l’ambito cyber europeo e quello NATO. In tal senso i punti di contatto potrebbero essererispettivamente: il palazzo De Courtenberg e la sede di SHAPE. ►Il Commissario parlamentare per le forze armate tedesche, Helmut Königshaus, nel suo rap-porto annuale 2013 presentato il 28 gennaio ha richiesto una revisione della riforma dello stru-mento militare avviata nel 2013. Il rapporto 2014 evidenzia come la riforma avviata genericonseguenze in contrasto con gli obiettivi proposti, vanificando di fatto le azioni intraprese. In ef-fetti, mentre da un lato il Bundeswehr sembra aver raggiunto i suoi limiti operativi, dall’altro itagli al personale incidono negativamente sul morale dello stesso. Il trend in aumento degli espostial Commissario indica così nel 2013 la cifra record di 5.095, un incremento di 786 rispetto al2012, quando l’organico fu ridotto da 198.000 a 184.000 persone. Altri fattori di insofferenze, daparte del personale, si individuano anche: nell’incremento dei livelli d’impegno in servizio, lacarriera e l’impatto nella vita familiare (20%), nelle problematiche emergenti per l’integrazionedel personale femminile nelle FF.AA. (55% potrebbe aver ricevuto molestie sessuali). Eventualiprovvedimenti di revisione della riforma, potrebbero comunque essere avviati non prima dellametà 2014, dopo che la commissione parlamentare avrà discusso il rapporto. Il Commissario par-lamentare per le forze armate è una figura creata nel 1959, è eletto dal Bundestag per 5 anni eassicura il controllo democratico delle forze armate e agisce da difensore civico per il personaleriguardo il principio Innere Führung (comando e disciplina) e i diritti civili.►A metà febbraio, in una lettera al personale del ministero della difesa (BMVg), il ministrodella difesa tedesco, Ursula von der Leyden ha manifestato l’intenzione di rivedere i programmidi armamento, soprattutto quelli che presentano ritardi o sovraccosti. Questo perché il ministroritiene che la carriera politica del suo predecessore Thomas de Maizière sia stata negativamenteinfluenzata dal caso dell’Euro Hawk. Il BMGv gestisce circa 1.200 programmi, di cui almeno uncentinaio valgono più di 25 milioni di euro. Ad esempio per l’Airbus Military A400M c’è stato unsovraccosto del 40%, da 125 a 175 milioni di euro per velivolo, e un ritardo di 48 mesi, motivoper cui il BMVg ha tagliato gli ordini di 37 velivoli. Inoltre, la Germania dovrà pagare 55 milionidi euro di compensazione al motorista MTU e Airbus chiede 900 milioni di euro di penali. Il veicolocorazzato Krauss-maffei Wegemann e Rheinmetall “Puma” è aumentato da 6,5 a 9,9 milioni dieuro per veicolo con un ritardo di un anno, invece l’elicottero d’attacco Airbus Helicopters“Tiger” è stato consegnato dal 2010 con 7 anni e mezzo di ritardo. Il ministro vorrebbe istituireuna commissione per la revisione dei programmi, ma alcuni analisti prevedono che troverà molteresistenze da parte del BMVg. ►Nel rapporto del National Audit Office (NAO) - organo del Parlamento britannico equivalentealla Corte dei Conti - “Equipment Plan 2013 to 2023” HC 816 pubblicato il 13 febbraio 2014,si annuncia che la riorganizzazione e i programmi di armamento necessari per la Future Force2020 sono a rischio tagli di bilancio, perché i programmi dipendono dai fondi di contingenzapari a 4,7 miliardi di sterline, dovrebbero essere resi disponibili solo a partire dal 2017. Al con-trario di quanto sostiene il governo, i fondi sono a rischio tagli perché la spending review 2013richiede al MoD di tagliare 1 miliardo fino al 2016.

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Il primo ministro britannico, David Cameron,e il presidente della Repubblica francese, Fran-çois Hollande, accompagnati dai ministri diesteri, difesa ed energia, si sono incontrati il 31gennaio presso la base Brize Norton dellaRoyal Air Force (RAF) nell’Oxfordshire, RegnoUnito, per il primo vertice anglofrancese dal-l’elezione di Hollande nel 2012. L’Oxfordshire,a nord ovest di Londra, oltre ad ospitare l’Uni-versità di Oxford è il collegio elettorale di Ca-meron, motivo per cui una parte dell’incontrosi è svolto a pranzo in un pub locale dove sonostati affrontati i temi più politici, come le con-

troversie tra i due paesi riguardo la riforma deitrattati dell’Unione Europea (UE), il prossimopresidente europeo e la Commissione, e il refe-rendum sulla partecipazione britannica alla UEconvocato da Cameron nel 2017, dopo le ele-zioni politiche britanniche del 2015.Il vertice è stato l’occasione per confermarel’intenzione di proseguire in alcune aree di coo-perazione militare e di industria della difesa,già individuate in occasione del Trattato diLancaster House sulla cooperazione bilateralenella difesa dell’ottobre 2010.I programmi includono: uno studio di fattibilità

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE ANGLO-FRANCESE

Il comando terrestre dell’esercito britannico è l’ente più a rischio. Esiste un piano per mantenerein servizio l’equipaggiamento acquistato per le esigenze operative in Iraq e Afghanistan con ifondi Urgent Operational Requirements (UOR). La procedura prevede che i comandanti in teatroscelgono i singoli equipaggiamenti da conservare per futuri impieghi. Tuttavia secondo il NAO ilpiano può costare fino a 2,9 miliardi di sterline, mentre sono stati stanziati solo 370 milioni disterline per gli anni fiscali 2013/2014 fino al 2016/2017. Le ulteriori spese dovrebbero andare apescare nei fondi di contingenza e se superiori intaccare i “fondi non allocati”di 8,4 miliardi disterline, con il rischio di raschiare il fondo del barile.►Il ministro della Difesa spagnolo, Pedro Morenés, ha reiterato il 30 gennaio il proposito diun consolidamento dell’industria della difesa nazionale, già suggerito nell’ottobre 2013. Dal1996 il governo spagnolo ha investito 30 miliardi di euro in armamenti, il settore difesa impiegacirca 30.000 addetti diretti e 80.000 indiretti ed è rappresentato dall’azienda operante nell’elet-tronica e sistemi di difesa Indra e i cantieri navali Navantia. Indra è stata privatizzata nel 1999,ma ad agosto 2013, per evitare che una quota di maggioranza fosse acquisita da investitori stra-nieri, il governo spagnolo ha acquisito da Bankia il 20% di Indra tramite la Sociedad Estatal deParticipaciones Industriales (SEPI), che detiene anche il 100% di Navantia, gruppo creato nel2005. Per Morenés il governo non manterrà a lungo la quota in Indra. Il consolidamento potrebbeportare alla fusione di Indra e Navantia o altra forma di associazione, per creare un’entità di di-mensioni maggiori, che potrebbe rendere il settore nazionale più integrato, efficiente e competitivocon i partners europei. Morenés sostiene anche che la Spagna è rimasta indietro rispetto a Francia,Italia e Regno unito che hanno consolidato l’industria all’inizio del 21° secolo. Rimarrebbe infattifuori dal consolidamento Airbus Military di Siviglia (già CASA) parte di Airbus Group fin dal1999.

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per un Future Combat Air System (FCAS) perUAV da combattimento (UCAV); la confermadell’ordine congiunto per il missile antinaveelitrasportato MBDA Future Air-to-SurfaceGuided Weapon (Heavy)/ Anti-Navire Léger(FASGW(H)/ANL) da installare sugli Agusta-Westland 159 Wildcat; un contratto per unitàsottomarine senza pilota (UUV) per smina-mento navale; la valutazione da parte del-l’Esercito britannico di 20 Nexter VéhiculeBlindé de Combat d'Infanterie (VBCI) 8x8; deiprogrammi di cooperazione spaziale e nuclearee la creazione di una forza di spedizione Com-bined Joint Expeditionary Force (CJEF).I due paesi hanno dichiarato l’intenzione, manon sono stati firmati contratti né documentigiuridicamente vincolanti, che saranno firmatiin seguito nelle sedi opportune. Nonostante,quindi la “fanfara” con cui sono stati annun-ciate queste iniziative già quasi quattro anni fa,è il caso di dire che la cooperazione militareanglofrancese presenta “molto rumore pernulla”.

Molto rumore per nulla Nel 2010, il trattato di Lancaster House fu ac-colto con grande soddisfazione politica da partedi Sarkozy e Cameron, quest’ultimo da pocoeletto e invece con molta perplessità da partedell’amministrazione e dell’industria, in parti-colare al di sopra della Manica. Il pieno rientrodella Francia nei comandi integrati NATO, ope-rato da Sarkozy, dopo il rientro parziale di Chi-rac negli anni 90, non era condizione sufficienteper creare integrazione e interoperabilità mili-tare dove prima non c’era. L’intervento in Libia nel 2011 ne fu la prova:mentre ci fu piena interoperabilità nel supportotra RAF e aeronautica militare italiana, non cifu la cooperazione auspicata tra RAF e Arméede l’Air, neanche nelle operazioni, tanto che ifrancesi bruciarono le tappe per intervenire per

primi senza avvertire i britannici. Maggiore col-laborazione ci fu con gli americani che forni-rono le specifiche capacità per la campagnaaerea, dimostrando che gli europei non pote-vano compiere azioni autonome.La decisione britannica di tornare alla variante“B” a decollo corto e atterraggio verticale(STOVL) del Lockheed Martin F-35, invecedella variante navalizzata e catapultabile “C”(carrier), abbandonando la riconversione delponte di volo delle due portaerei classe “QueenElizabeth” in costruzione, mise la pietra tom-bale su una possibile cooperazione dell’avia-zione navale della Royal Navy e della MarineNationale, così come alla possibilità, paventatada alcuni analisti britannici, di un acquisto bri-tannico del Rafale navalizzato, come alternativaeconomica e in pronta consegna all’F-35C. Conl’F-35B i britannici possono conservare unabuona interoperabilità con i Marines statuni-tensi e con la Marina e Aeronautica italiana,mentre l’F-35C avrebbe fatto ottenere la pienainteroperabilità solo con la US Navy, mentreper la Marine Nationale rimanevano difficoltàtecniche per l’impiego dell’F-35C sulla CharlesDe Gaulle.L’elezione di Hollande fu un altro colpo all’al-leanza, perché il nuovo presidente era più favo-revole a uno sviluppo della difesa europea,piuttosto che alla cooperazione bilaterale inchiave atlantica.Nel frattempo i gruppi di lavoro fra istituzionie industria dei due paesi produssero poco e leesercitazioni militari congiunte non raggiunseroi risultati sperati, soprattutto a causa delle dif-ferenze di equipaggiamenti - quello francese èpuramente nazionale – procedure e lingua. Inoltre, il libro bianco della Difesa francese del-l’aprile 2013 e la legge militare pluriennale2014-2019 (LPM) hanno diminuito i fondi perle acquisizioni militari, ma almeno per la Fran-cia il processo di revisione ha stabilito i paletti

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per i progetti comuni con il Regno Unito.Un primo spiraglio si ebbe quando i britannicifornirono ai francesi un supporto per il trasportoaereo strategico alle operazioni in Mali dal2013, che era poco più che simbolico e inferiorea quello di Belgio e Germania e che avrebberofornito in ogni caso anche senza trattato bilate-rale.Per questo, il vertice è stato spostato da Blen-heim Palace - magnifica dimora di WinstonChurchill che ricorda l’omonima battaglia vintanel 1704 dal suo illustre antenato Duca di Mal-borough sui francesi - a RAF Brize Norton, dadove decollano gli aerei C-17 RAF per il Malie dove è di stanza l’aerorifornitore AirbusA330, che ad oggi è il principale esempio diprodotto francese impiegato dai britannici. Secondo alcuni commentatori, i francesi siaspettavano anche un maggiore supporto bri-tannico alle operazioni in Mali e RepubblicaCentroafricana, come quello ottenuto in gen-naio dalla Germania, ma questo desiderio è ri-masto limitato all’invio di aerorifornitori A330RAF, dato che per i britannici il supporto giàfornito con i C-17 è più che adeguato.

Future Combat Air System e UCAV comuneLo studio di fattibilità per il Future Combat AirSystem (FCAS) dovrebbe essere firmato con unaccordo specifico al salone aerospaziale di Far-nborough a luglio, con l’investimento di 200milioni di sterline: 120 milioni per lo studio difattibilità FCAS e un impegno di investire 40milioni ciascuno per studi nazionali. Lo studio di fattibilità segue lo studio prelimi-nare di 18 mesi sugli UCAV previsto dal Trat-tato del 2010 e costituisce la prima fase delprogramma FCAS, che dovrebbe durare circadue anni e stabilire i requisiti e la struttura del-l’eventuale concetto di UCAV. La seconda fasedi dimostrazione, con la progettazione e realiz-zazione del primo prototipo è prevista nel 2016.

La prima fase sarà anglofrancese, ma già nellaseconda fase potrebbero essere coinvolte Ger-mania, Italia, Spagna, Svezia e altri paesi euro-pei. Ciò costituisce una svolta rispetto ai primiprogetti del 2010 di un progetto bilaterale e noncomprendente gli altri paesi europei, che dove-vano però diventare clienti del prodotto finale.I partners industriali Dassault Aviation e BAESystems hanno responsabilità per il velivolo,Rolls-Royce e Snecma - rappresentati dallajoint venture Rolls-Royce Snecma Ltd creatanel 2001 - per la propulsione e Selex ES - com-ponente britannica dell’azienda controllata diFinmeccanica specializzata nell’avionica e neisensori aviotrasportati - e Thales per l’avionicae sistemi di volo. Nel 2013, Rolls-Royce eSnecma hanno presentato il rapporto dello stu-dio preliminare sulle tecnologie mature di pro-pulsione e generazione elettrica per l’UCAValle direzioni nazionali armamenti di Francia eRegno Unito. Selex ES e Thales hanno presen-tato proposte sui sensori e comunicazioni, in-cluso un radar a scansione elettronica (AESA)ad alta risoluzione e una suite per guerra elet-tronica. Il dimostratore FCAS dovrebbe validare le tec-nologie critiche per gli UCAV, permettere alleaviazioni interessate di comprendere le capacitàe l’uso operativo che ne può derivare. L’Ar-méee de l’Air è particolarmente interessata a te-stare gli equipaggi al volo, sul poligono di tiroe a prevedere l’utilizzo in operazioni di avvi-stamento (early warning) o di addestramentoavanzato. Il FCAS trarrà giovamento dall’esperienzadegli attuali programmi di dimostratori UCAVin cui sono coinvolti Francia: programma mul-tinazionale Dassault nEUROn e Regno Unito:BAE Systems Taranis.Il nEUROn, cui partecipa anche Alenia Aer-macchi, ha fatto il primo volo nel dicembre2012, mentre il Taranis ha fatto il primo volo il

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10 agosto 2013. I primi test di volo del Taranishanno superato le aspettative del Ministero dellaDifesa britannico su decollo, velocità di rota-zione, cabrata e atterraggio, che fanno ben spe-rare sulla possibilità di realizzare un UCAVcapace di penetrare in profondità per attacchi suobiettivi a terra. Il FCAS sarà un successo se riuscirà in futuro asostituire con un unico UCAV europeo gli at-tuali 3 caccia europei di 4° generazione plus(Eurofighter, Rafale e Gripen), che si fanno con-correnza fratricida nell’esportazione.Tuttavia i britannici prevedono che fino al 2040,l’UCAV opererà insieme al caccia di 5° genera-zione F-35B e per il momento si aggiornano icaccia in servizio. A gennaio, in Francia è statoannunciato l’upgrade del Dassault Aviation“Rafale” alla versione F3 R, mentre procede perGermania, Italia, Regno Unito e Spagna la con-segna della Tranche 3A dell’Eurofighter di 91velivoli in totale e l’Italia dovrebbe riceverenella prima metà del 2014 il primo di 21 veli-voli. La Tranche 3B di complessivi 134 velivolipotrebbe subire tagli o un vero e proprio azze-ramento, se gli altri Stati partecipanti seguisserol’esempio della Germania, che intende cancel-lare l’ordine. Nel 2017, il Regno Unito deciderà sull’ordinefinale per l’acquisto di F-35B (Main Gate 5),dopo la definizione nella Strategic Defence andSecurity Review (SDSR) del 2015 del numeropreciso – attualmente di 138 velivoli – e in se-guito alla consegna, nel 2016, dei primi 14 ve-livoli operativi (Main Gate 4). La capacitàoperativa iniziale dovrebbe essere raggiunta ap-punto con il Main Gate 5 dal 2018 e la piena ca-pacità, con la sperimentazione sulla portaerei,dal 2023.

Missile comune Con il “Memorandum of Understanding per laconferma degli ordini congiunti” Francia e

Regno Unito hanno deciso di integrare insiemeil FASGW(H)/ANL, perché è un’arma com-plessa per la quale non possono più permettersidi duplicare i costi di sviluppo. L’accordo pre-vede 500 milioni di sterline da dividere, conquota maggiore per il Regno Unito, perché laRoyal Navy necessita del missile in tempistretti, mentre la Francia attenderà fino al 2019. Dal 2000 esiste MBDA e nel 2010 era stata an-nunciata una maggiore collaborazione tra lacomponente francese e britannica di MBDA. LaLPM aveva omesso fondi per il progettoFASGW(H)/ANL, mentre in un vertice bilate-rale nel 2013 Cameron ha insistito per la suarealizzazione. Come contropartita, il Regno Unito firmerà se-paratamente un secondo contratto con ThalesUK – filiale britannica della società francese -per costruire e integrare il Lightweight ModularMissile, che sarà montato anch’esso sugli Agu-staWestland 159 Wildcat.MBDA dovrebbe realizzare il FASGW(H)/ANLin quattro centri, due in Francia e due nel RegnoUnito. Questa potrebbe essere l’occasione peruna riorganizzazione della componenti franco-britanniche di MBDA attraverso il progetto“One Complex Weapons” basato su 12 centri dieccellenza sulle due sponde della Manica. Ilprogetto cerca di creare interdipendenza tra ledue componenti, ma rischia di spiazzare le altrecomponenti nazionali di MBDA. Secondo alcuni analisti un’ulteriore contropar-tita per i francesi è rappresentata dall’eventualeinteresse britannico all’acquisto di veicoli blin-dati VBCI 8x8, che dovrebbe bilanciare uneventuale acquisto francese di UAV Watchkee-per.

Veicoli blindati, Mare, spazio, nucleare eforze spedizionariePer i veicoli blindati, nell’ambito degli accordidi cooperazione dei due eserciti, la Francia darà

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in comodato 20 VBCI al British Army, chedovrà testare e valutare il veicolo, per un even-tuale acquisto futuro. Nel 2008, il VBCI avevapartecipato alla gara Future Rapid Effect Sy-stem Utility Vehicle (FRES UV), per il quale ibritannici avevano però selezionato il veicoloblindato 8x8 General Dynamics Piranha V. Ilprogramma FRES UV è per il momento cancel-lato in attesa dell’aggiornamento della SDSRnel 2015, ma i francesi sperano che nel caso incui il requisito FRES UV sia ripristinato, ilVBCI possa essere selezionato.Per le attività sottomarine, esiste uno studio Ma-ritime Mine Counter Measures per un prototipodi unità navale senza pilota e un UUV capacedi individuare e eliminare mine navali, da uti-lizzare ad esempio per lo stretto di Hormuz. Per la cooperazione aeronautica, sarà avviato unprogramma di scambio di piloti e ingegnerisugli A400M Atlas francesi e Airbus A330-200Voyager Multirole Tanker Transporter (MRTT)britannici. I francesi cederanno la priorità sullaconsegna di due A400M affinché la RAF ricevail suo primo velivolo. I primi 7 velivoli MRTTsono stati consegnati alla RAF su un ordine per14 da evadere entro il 2016. Il MRTT ha ripresoa volare il 21 febbraio, dopo che il 9 febbraioun velivolo aveva fatto un atterraggio di fortunain Turchia dopo aver perso quota durante unvolo operativo tra Brize Norton e l’Afghanistan. Per lo spazio, la UK Space Agency (UKSA) eil Centre National d’Études Spatiales (CNES)collaboreranno su una serie di iniziative inclusal’osservazione terrestre e le telecomunicazioni.L’osservazione terrestre prevede dei satellitimetereologici Infrared Atmospheric SoundingInterferometer di Eumetsat e un satelliteNASA/CNES/UKUSA Surface Water andOcean Topography per la mappatura mondialedelle risorse idriche da lanciare nel 2020. Lacooperazione spaziale presenta buone potenzia-lità per lo sviluppo della tecnologia britannica,

che è poco aggiornata e l’UKSA ha un budgetmolto limitato, che può trarre giovamento dalletecnologie spaziali francesi tra le più avanzateal mondo e in futuro potrebbe concludere ac-cordi simili con l’agenzia spaziale italiana e te-desca. La collaborazione nucleare è finora il settore dimigliore collaborazione dal 2010 tra Francia eRegno Unito, ma anche quello di cui si parlameno, data la natura del settore. Le attività diR&S sono ormai ben integrate. Gli accordi fir-mati di recente includono la collaborazione e itest sicuri sulle scorte nucleari dei due paesioltre alla condivisione di dati tecnici e scientificinell’ambito della ricerca comune.Al contrario del nucleare, un’iniziativa spessonominata, ma che ha poca consistenza è laCJEF, la cui ultima versione prevede una com-ponente interforze di 10.000 persone a partiredal 2016, con compiti antiterrorismo, ad esem-pio in Nord Africa o in Africa occidentale, maanche di contrasto al traffico di droga e di armi.La CJEF che include anche il coordinamentodelle portaerei, ha perso un di credibilità, vit-tima dell’esperienza in Libia e della riconver-sione della Royal Navy al F-35B, che hacancellato ogni speranza per il Rafale britan-nico.

A tre anni e mezzo dalla conclusione del Trat-tato di Lancaster House è chiaro che i suoi ob-biettivi non sono stati raggiunti, con l’eccezionedei due temi di cui si parla di meno: la coope-razione nucleare e spaziale. Gli accordi rag-giunti tra Cameron e Hollande non sonosuperiori a quelli contenuti scorrendo le dichia-razioni finali di altri vertici bilaterali tra Statieuropei. Lo sviluppo dell’UCAV può essere po-sitivo per tutta Europa, visto che gli anglofran-cesi hanno ormai deciso di allargare il progettoa Germania, Italia e Svezia. Il progetto di rior-ganizzazione anglofrancese di MBDA dovrebbe

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essere seguito in parallelo da un processo ita-lotedesco per non sbilanciare l’impresa tran-snazionale. Tra il 2010 e 2011 suonavanaturale per i britannici rivolgersi ai francesiper la collaborazione di armamenti in ambitoeuropeo, oggi, dopo la Libia, ad ogni richiestafrancese segue la risposta britannica “sentiamoanche tedeschi, italiani e svedesi”, che può es-sere considerata sia come un ritorno alla situa-

zione pre-2010 (che vedeva la collaborazionebritannica principalmente con questi tre paesi),sia come una maniera molto “british”per nondire no ai francesi. Progetti come la CJEFhanno assunto ormai un carattere di wishfulthinking che si autoalimenta e se venisse can-cellato potrebbe anzi ridare credibilità ad unacooperazione bilaterale, ormai appannata datroppe dichiarazioni senza effettivo seguito.

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MONITORAGGIO STRATEGICO

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NATO e teatri d’intervento

Lucio Martino

Eventi

CHE COSA MINACCIA LA SICUREZZA NAZIONALE STATUNITENSE?

►Come ormai tradizione, anche all’inizio di quest’anno, la Comunità d’Intelligence in un docu-mento pubblico di una trentina di pagine ha presentato la propria visione delle questioni che mi-nacciano la sicurezza nazionale statunitense. Di particolare interesse, più che le minacce elencatenel documento sono le questioni, come l’arsenale nucleare russo di cui, a differenza di quanto ac-cadeva in passato, non si fa più alcuna menzione.

Gli eventi del settembre del 2001 hanno con-dotto a un ripensamento tanto funzionalequanto strutturale dell’intera comunità d’Intel-ligence statunitense caratterizzato da unagrande pluralità di obiettivi. Tra questi il piùimportante è senz’altro identificabile nel tenta-tivo di esercitare un più stretto coordinamentoin materia di antiterrorismo. A questo fine èstata creata la posizione del Director of Natio-nal Intelligence (DNI), ed è stata a essa attri-buita un’autorità di controllo e coordinazionemolto più grande di quella mai esercitata dalDirettore della Central Intelligence Agency, au-torità che arriva a comprendere anche la fa-coltà di trasferire personale e fondi daun'agenzia a un'altra. A dieci anni di distanzadalla sua introduzione, il dibattito sull’effettivocontribuito alla sicurezza nazionale apportata

da questa nuova carica è non si è ancora pla-cato. Nonostante siano anche importanti e nu-merose le innovazioni decise dall’ufficio delDNI (la sedicesima agenzia d’Intelligence)volte a favorire il coordinamento e la condivi-sione delle informazioni, lo scetticismo sulla ne-cessità del DNI e sulla sua capacità di garantireun funzionamento della comunità d’Intelligencepiù agile e flessibile è ancora molto forte. Inogni caso, dall’Intelligence Reform and Terro-rism Prevention Act del 2004, il DNI è anche ilvero portavoce della comunità d’Intelligencestatunitense. In tale ambito, l’attuale DNI, l’exgenerale Clapper, presenta e discute pubblica-mente ogni anno un documento conosciutocome la Wordwide Threat Assessment of the USIntelligence Community (WTA). Per quanto dirilievo, anche questo documento no n è immune

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dalle critiche rivolte da più parti all’ufficio delDNI, forti sono i dubbi sul suo effettivo impattonel processo di elaborazione della visione stra-tegica nazionale.

Cyberthreats e minacce biologicheNell’edizione di quest’anno, ancora una voltasono le minacce cibernetiche a guidare la listadei pericoli più rilevanti, ponendo in secondopiano anche il terrorismo, nelle sue diverseforme e nature. Secondo la comunità d’Intelli-gence, le probabilità di attacchi distruttivi ingrado di cancellare intere banche dati oppure didistruggere importanti impianti e macchinarisono in continuo aumento. A questo propositosono molti gli aspetti apparentemente degni dinota. In primo luogo la WTA 2014 riconoscecome importanti i pericoli che derivano dallacrescita dell’utilizzazione della rete internet.Preoccupa, in particolare, il settore sanitario. Levulnerabilità informatiche in questo campo sonogiudicate così grandi da rendere potenzialmenteconcepibili interventi clandestini volti ad alter-are drammaticamente gli esiti diagnostici e ma-nipolare gli strumenti medici al punto da poteruccidere a distanza intere categorie di pazienti.In secondo luogo, la WTA 2014 riconosce i van-taggi della stampa in tre dimensioni, ma altempo stesso osserva come quest’ultimapotrebbe rivoluzionare gli aspetti più nascostidelle più disparate attività criminali. Terzo, e piùsorprendentemente, dalla relazione si ricavacome le problematiche oggi intrinseche nelle at-tività nazionali di Counter-Intelligence rappre-sentino una minaccia maggiore delle armi didistruzione di massa e della criminalità organiz-zata. All'interno della sezione dedicata allaCounter-Intelligence la minaccia più grande èidentificata nelle possibili minacce interne, valea dire in tutti quegli “insider” di fiducia che pos-sono sfruttare il loro accesso a informazioni eprocedure riservate per comprometterle, ora in

ossequio ai dettami di una qualche ideologiapersonale ora in funzione degli interessi di unqualche governo straniero. Le armi biologichesono state in gran parte dimenticate, dopo avercostituito la giustificazione per l’intervento in-ternazionale in Iraq del 2003. Secondo la nuovaWTA sono le minacce biologiche naturali, nonquelle prodotte in un laboratorio, a rappre-sentare la vera minaccia per gli interessi ameri-cani, anche perché molti degli antibiotici usatiper trattare malattie comuni non sono così effi-caci come una volta. E la globalizzazione stacomplicando le cose. Vecchie e nuove malattieinfettive sono identificate come la minaccia piùimportante alla sicurezza di un mondo semprepiù affollato e interconnesso. Un mondo, quellocontemporaneo, nel quale è sempre più proba-bile che malattie umane o animali evolvano e sidiffondano a livello globale in pandemie ingrado di persistere anche per un paio di anni,anche perché qualcosa come almeno i due terzidei batteri finora conosciuti sembra abbiano ac-quisito effettive capacità di resistenza ai far-maci, tanto da poter far prospettare anche unritorno all'era pre-antibiotica.

Il cambiamento climatico come minaccia allasicurezza nazionaleLa WTA 2014 si concentra poi su altri tre grandiinsiemi di minacce: il crimine internazionale eil terrorismo, la proliferazione di armi di dis-truzione di massa e la vulnerabilità delle costel-lazioni satellitari necessarie per letelecomunicazioni e la ricognizione. Tuttavia,per quanto mai citata direttamente, la sezioneforse più interessante del documento diquest’anno è quella dedicata alla discussione diuna serie di preoccupazioni direttamente con-nesse alla reperibilità delle principali risorsenaturali, quali i generi alimentari, l’acqua, l’en-ergia oltre che dello stato e della probabileevoluzione dell’ambiente in generale e dell’Ar-

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tico più in particolare. Lo stesso DNI Clapper,nel presentare il documento Senate Select Com-mittee on Intelligence, ha ripetutamente postoin rilievo l’importanza dei presenti e prevedibilicambiamenti climatici, spiegando come un au-mento medio della temperatura globale siaormai una realtà empiricamente dimostrabile.Dal punto di vista strategico, la principale pre-occupazione che emerge dalle valutazioni con-tenute nella WTA 2014 è riconducibilenell’esigenza di posizionare gli Stati Uniti persfruttare al meglio le nuove fonti di energia.Nella sua analisi, la comunità d’Intelligencepresuppone che nel prossimo futuro gli StatiUniti non si lasceranno sfuggire la possibilità ditrarre il massimo vantaggio dallo sfruttamentodelle riserve di petrolio e di gas naturale resopossibile dalle nuove tecnologie di fatturazioneidraulica e riconosce che, per quanto questanuova abbondanza energetica non sarà co-munque sufficiente per isolare completamentegli Stati Uniti dalle dinamiche insite nel mercatoglobale dell’energia, sarà comunque così in-gente da ridurne al minimo gli effetti. Sebbeneil documento non dedichi nessuna attenzione al-l’impatto ambientale delle nuove tecniche diperforazione ed estrazione e non si curi degli ef-fetti atmosferici del conseguente accresciutoimpiego di combustibili fossili, almeno dalpunto di vista strategico, questa nuova e insper-ata abbondanza di risorse energetiche è giudi-cata positivamente, dato che la sicurezzad’interi quadranti strategici, quali lo Stretto diHormuz e lo Stretto di Malacca, ha a lungo ali-mentato e continua ad alimentare non pochepreoccupazioni. D’altra parte, proprio tali pre-occupazioni, non sembrano destinate a persis-tere immutate nel tempo anche per via deglieffetti che i cambiamenti climatici sembranodestinati a produrre sul Mar Glaciale Artico.Nelle valutazioni della WTA 2014, la regionepolare è destinata a crescere in importanza sia

per il commercio tra Europa e Asia, sia comefonte di energia a sé stante. Le modifiche in attonelle dinamiche climatiche che stanno riscal-dando l'aria sopra il Mar Glaciale Artico nonpossono quindi non riguardare anche la si-curezza nazionale degli Stati Uniti. Secondo laWTA 2014, la presente contingenza inter-nazionale si caratterizza, tra le altre cose, perun’inedita gara tra Americani, Canadesi e Russivolta a garantire i diritti di trivellazione di petro-lio e gas naturale nelle aree in cui il ghiacciocontinua a contrarsi. Almeno per il momento, il Consiglio Articosembra lo strumento più che sufficiente per con-sentire alle Nazioni di questa regione, e nonsolo, di discutere e risolvere ogni relativo prob-lema. Tuttavia, chiaro è il timore che l’aperturadi sempre più importanti vie di comunicazionee l’accesso a sempre più ingenti risorse ener-getiche, finisca con il sostituire all’alto livellodi collaborazione che contraddistingue l’interaregione un non meno alto livello di compe-tizione multisettoriale. Del resto non è per casoche il Dipartimento della Difesa ha già daqualche tempo deciso di aumentare notevol-mente la propria presenza militare in questa cosìparticolare regione.Oltre alle tradizionali preoccupazioni sulla con-correnza per il controllo e lo sfruttamento dellerisorse energetiche, è chiaro che l'Intelligencestatunitense si confronta in gran parte su comeil mondo in via di sviluppo dovrà far fronte allamiriade di sfide derivanti da un sistema cli-matico in rapida trasformazione. A questoproposito la WTA 2014 è abbastanza chiara: icambiamenti climatici non causano e non po-tranno causare direttamente nessun conflitto innessun posto del mondo, perché il conflitto èprodotto dal concorrere di processi complessi.Tuttavia, i cambiamenti climatici, incidendo di-rettamente sull'agricoltura, sulle risorse idrichee sulla migrazione, possono e potranno esacer-

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bare le carenze dei governi di tanti piccoli egrandi paesi. La comunità d’Intelligence temeche proprio tali carenze possano finire con ilcreare dei vuoti di potere che non potranno nonessere colmati da organizzazioni non governa-tive dedite alla violenza e all’illegalità. Inquest’analisi si crede che in molti paesi ancorain via di sviluppo spesso manchino le risorsetecniche e finanziarie giudicate quasi come in-dispensabili per rispondere con l’adeguata ve-locità agli sbalzi dei prezzi dei generi alimentaridi base. Tali oscillazioni sono giudicate comeparticolarmente difficili da affrontare da partedi tante povere comunità dove molto del proprioreddito è speso proprio per l’alimentazione.Stesso è il discorso fatto per quanto riguarda lerisorse idriche, spesso impoverite da una nuovageografia delle precipitazioni dovuta proprio aicambiamenti climatici.Questo stato di cose sembra trovare il suomigliore riscontro in quanto avvenuto di recentein Siria, dove una grave siccità ha costrettograndi porzioni di popolazioni rurali a muovereverso le città e a creare quelle condizioni d'in-stabilità poi esplose in aperto conflitto conl'avvento della cosiddetta “primavera araba”. Ilgoverno siriano, sotto questo punto di vista, sisarebbe dimostrato privo delle qualità neces-sarie per valutare e affrontare una crisi anche esoprattutto di natura “ecologica”. In Asia merid-ionale, paesi importanti come la Cina, l’India eil Pakistan destano analoghe preoccupazioni,posto che larga parte dei rispettivi sistemi digenerazione elettrica e d’irrigazione sono stret-tamente dipendenti da grandi flussi fluvialisoggetti a oscillazioni climatiche finorasconosciute. Il messaggio che la WTA 2014sembra lanciare con più forza, nel suo concen-trarsi su come clima e risorse naturali possonointrecciarsi favorendo nuove crisi e conflitti, èche la prima linea di difesa degli Stati Uniti nonè più rappresentata dal sistema militare ma da

un dispositivo diplomatico sotto finanziato inmisura ancora più drammatica. Per affrontare iltipo di potenziali controversie internazionali de-scritte dalla WTA 2014, in linea con le caratter-istiche istituzionali e politiche statunitensi,l'opzione migliore è quindi quella di una diplo-mazia in grado di adattare un vasto dispositivodi programmi di aiuto allo sviluppo ai bisogniindividuali dei vecchi e nuovi paesi partner e,quindi, favorire una più razionale gestione deiflussi fluviali in Pakistan, lo sviluppo di unmaggior numero di fonti di energia pulita inIndia oppure ancora una maggiore sostenibilitàdei processi agricoli in Vietnam.

La fine della grande minaccia nucleareLa WTA 2014 presentata al Congresso dal DNIClapper riflette poi la consapevolezza che laFederazione Russia non è un nemico degli StatiUniti. Impossibile spiegare altrimenti comenelle quasi trenta pagine di cui è costituito ilnuovo documento non si fa alcuna menzionedell'arsenale nucleare russo. Mentre le forze nu-cleari sovietiche occupavono il posto d'onoredurante l’intera Guerra Fredda in qualsiasi com-pilazione di minacce, oggi l’attenzione della co-munità d’Intelligence statunitense si concentrasu una trentina di specifiche minacce regionali,ma ignora completamente quella che per moltianni ha a lungo descritto come l’unica vera mi-naccia esistenziale. Non c’è, infatti, alcun cennonei riguardi di un dispositivo che potrebbe an-cora annientare gli Stati Uniti e radicalmente al-terare la vita sull’intero pianeta. La spiegazionepiù ovvia per questa interessante “omissione” èche la comunità d’Intelligence statunitense ri-tiene la probabilità di un attacco nucleare russoun qualcosa si così remoto da non menzionarlapiù. Con buona pace di quanti, da un lato e l’al-tro dell’Atlantico, descrivono come ormaiavvenuto l’inizio di una nuova guerra fredda, gliautori della WTA 2014 non sembrano disposti

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a dimenticare che è proprio la FederazioneRussa ad alimentare i reattori nucleari statu-nitensi con i combustibili fissili ricavati dallebombe atomiche in precedenza puntate versol’America settentrionale, e che è sempre la Fed-erazione Russa il paese ad utilizzare i suoi razziper trasportare astronauti Americani da e per laStazione Spaziale Internazionale.In questo contesto, vale la pena notare come leforze strategiche americane sono ancora strut-turate e preparate per affrontare la peggioredelle minacce nucleari, vale a dire un attacco disorpresa volto a disarmare gli Stati Uniti. L'at-tuale arsenale nucleare statunitense comprendeoltre duemila testate strategiche operative di cuiuna parte rilevante (i missili balistici intercon-tinentali di terra e mare) è ancora in continuaallerta, pronta per il lancio in pochi minuti. LaWTA 2014 sembra così, indirettamente, appog-giare la visione sostenuta a più riprese dal pres-idente Obama, secondo la quale gli Stati Unitipossono tagliare tranquillamente le proprie ri-manenti forze strategiche anche di un terzo. In-oltre, non solo le forze nucleari strategiche

servono a poco o a niente nel difendere gli StatiUniti dalle minacce descritte dalla WTA 2014,ma cose come il cyberwarfare le rendono unqualcosa di potenzialmente preoccupante, per-ché almeno a livello concettuale potrebberocondurre a episodi di controllo illecito del-l’enorme potenza sempre caratteristica dellearmi nucleari. Sebbene la pianificazione strate-gica statunitense, per quanto riguarda il futurodel proprio deterrente, preveda il mantenimentoe la modernizzazione di tutte e tre le compo-nenti della vecchia triade nucleare, ad un costoattualmente programmato per il prossimo de-cennio di circa trecentocinquanta miliardi didollari, in quest’epoca di grandi pressioni sul bi-lancio federale, simili enormi volumi di spesanon possono non incidere profondamente sulledisponibilità finanziarie necessarie per af-frontare le diverse sfide effettivamente individ-uate nella WTA 2014, e potrebbero finire conl’essere esser stornate a vantaggio di altri settoridel governo federale, come il dipartimento diStato.

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L’ItaliaSalvo improbabili inversioni di rotta, l’Italiamanterrà il proprio contingente militare inAfghanistan unitamente agli altri alleati dellaNATO partecipanti alla nuova missione dell’Al-leanza atlantica, la “Resolute Support Mission”.Sul piano quantitativo sarà un impegno ridottorispetto a quello degli ultimi dodici anni: nonmeno di 800 uomini, non più di 1.800 (sul totaledi 10-15.000) impegnati, in particolare, nel del-icato ruolo di “advisor” al fianco dei colleghiafghani; al nucleo di consiglieri si unirà unacomponente non secondaria di forze per oper-azioni speciali.Un impegno, nel complesso, già pianificatosebbene nell’attesa di disposizioni più dettagli-ate che arriveranno da Bruxelles (NATO HQ)non appena Washington avrà definito l’entità ela natura della presenza di forze statunitensi susuolo afghano. Tutto ciò, sul piano formale ediplomatico, dipende da quando (essendo sola-mente una questione di tempi) il governoafghano (nella persona del nuovo presidentedella repubblica) firmerà il tanto atteso BilateralSecurity Agreement con gli Stati Uniti e, aseguire, con i partner dell’Alleanza atlantica.Ciò che appare ormai evidente è l’efficace «os-truzionismo aggressivo» adottato da Karzai, de-ciso a non firmare alcun accordo con gli StatiUniti; Stati Uniti che si sono formalmenterassegnati ad attendere l’esito delle elezionipresidenziali del 5 aprile prossimo per proporreal successore dell’attuale presidente della Re-pubblica islamica dell’Afghanistan un accordopolitico-militare che consenta alle truppestraniere di garantire l’avvio della nuova mis-sione.

Gli Stati UnitiDunque, nell’attesa di formalizzare l’impegnofuturo, preparandosi comunque al peggio (ilriferimento va all’«opzione zero», ossia il ritirodi tutti i soldati stranieri dal teatro afghano), gliStati Uniti propendono per un approccio diplo-matico energico predisponendo una via di uscitasupplementare dal pantano afghano che possaessere posta sul tavolo negoziale al qualesiederà il successore di Karzai.Data la condizione di stallo dinamico, nellaquale gli attori in scena mostrano intenzioni piùformali che sostanziali, è logico valutare comealtamente improbabile da parte degli Stati Unitiun ritiro totale che comporterebbe una rinunciaagli strategici vantaggi derivanti da una pre-senza a lungo termine in Asia meridionale; maciò che emerge è un nervosismo diffuso alimen-tato da una frustrante politica del braccio diferro psicologico a cui l’attuale governoafghano pare non intendere porre fine.A febbraio, dopo mesi di resistenze e disaccorditra Washington e Kabul, il presidente Obama hachiamato ufficialmente l’omologo afghano – laprima telefonata tra i due leader dal giugno del2013 – comunicando di aver ordinato al Pen-tagono di studiare un piano di ritiro totale delletruppe dal teatro afghano entro la fine del 2014:una decisione presa ufficialmente dalla CasaBianca, un atto formale ritenuto necessario eimprescindibile per l’amministrazione statu-nitense.Al di là della scelta di forza dall’ampio effettopolitico e mediatico, gli Stati Uniti lascerannocomunque un contingente militare ridotto anchedopo il termine della missione “combat” dellaNATO che avverrà a dicembre di quest’anno a

2014: L’AFGHANISTAN NON È PRONTO MA L’ITALIA, CON LA NATO, RESTA IN PRIMA LINEA

di Claudio Bertolotti

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conferma di un impegno preso conl’Afghanistan – e questo indipendentementedalla firma dell’accordo; un impegno che ci siaspetta verrà confermato dal successore diKarzai, il soggetto su cui si riversano le sper-anze di una ripresa formale del dialogo tra i duealleati.Anticipando la discussione dei ministri delladifesa dell’Alleanza atlantica di febbraio, ilpresidente Obama ha così minacciato e predis-posto formalmente la pianificazione del ritiroquasi completo delle forze armate statunitensidall’Afghanistan. In particolare, la specificarichiesta fatta al Pentagono è orientata a garan-tire l’esecuzione di un completo ed efficace ri-tiro di tutte le truppe entro la fine del 2014 e, alcontempo, la capacità – previa firma del BSAda parte del successore di Karzai – di mantenereuna presenza minima capace di sostenere unamissione di «training», «advising» e «assisting»a favore delle forze di sicurezza afghane e con-durre, parallelamente, operazioni mirate controelementi residui di Al-Qa’ida. Ciò che complicala realizzazione di tale intendimento è che piùin avanti nel tempo viene procrastinata la firmadel BSA minore potrebbe essere l’impegnostatunitense (e della NATO) nel sostegno all’e-sercito e allo stato afghani.Una scelta politica, quella di Obama, che ha an-ticipato l’importante incontro dei vertici militaristatunitensi, il generale Martin Dempsey, chair-man del Joint Chiefs of Staff, e il Segretario allaDifesa statunitense Chuck Hagel; un incontropreparatorio alla strategia poi presentata al sum-mit della NATO di Bruxelles il 26 febbraioscorso e orientata allo sforzo comune per la for-malizzazione del BSA.Commentando la decisione di Obama, il gen-erale Dempsey ha affermato che la pianifi-cazione dell’impegno in Afghanistan a partiredal 2015 è certamente importante, così come èimportante il lavoro che al momento viene con-

dotto e deve essere portato a termine, in parti-colare l’attività “advising” a favore delle forzedi sicurezza afghane e il contributo alla si-curezza delle elezioni presidenziali di aprile.Sul piano politico e diplomatico, gli Stati Unitihanno confermato ancora una volta di volersostenere la sovranità di uno stato afghano sta-bile, unito e democratico attraverso una partner-ship basata sul principio del mutuo rispetto ecollaborazione.

Infine, la NATOGli Stati Uniti insistono anche sul piano dellerelazioni internazionali; lo fanno chiedendo aipartner della NATO di fare fronte comune neiconfronti del governo afghano in merito alBSA. E gli alleati, sposando la linea politica diWashington, hanno annunciato di voler pianifi-care il ritiro anticipato delle proprie truppe inassenza dell’accordo con Kabul (Bruxelles,2014). Una vittoria, scontata, dell’amminis-trazione statunitense che è riuscita così ad au-mentare la pressione sul presidente uscentenell’attesa del suo successore.Nel merito, il rappresentante permanente degliStati Uniti presso la NATO, l’ambasciatoreDoug Lute, ha insistito sulla situazione politicae la sicurezza in Afghanistan (in particolare illivello di capacità operativa delle forze di si-curezza afghane – al momento incapaci di op-erare in autonomia al fine di contrastare ilfenomeno insurrezionale –), e sull’opportunitàdi proseguire con la missione della NATO,nonostante il ritardo nella firma del BSA e l’at-tuale assenza di uno Status of Forces Agreementche dia la copertura legale alla presenza ditruppe straniere su suolo afghano.L’ambasciatore Lute, in tal senso, ha chiesto aiministri della difesa della NATO di valutare lasituazione della sicurezza in Afghanistan pro-prio alla luce degli sviluppi in corso delle forzedi sicurezza afghane e dell’importanza della

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nuova missione finalizzata proprio ad au-mentare le capacità operative e organizzativedelle forze armate di Kabul. Tutto ciò potrà es-sere realizzato, ha ribadito Lute, solo ed esclu-sivamente a seguito della formalizzazione delBSA, già approvato dalla maggioranza dei «no-tabili» afghani partecipanti alla tradizionaleLoya Jirga (organo consultivo non istituzionalevoluto dal presidente Karzai) tenutasi il novem-bre scorso a Kabul ma rimasto inascoltato da unKarzai sordo, da un lato, agli appelli della Co-munità internazionale e impegnato, dall’altro,in un dialogo con i taliban.Anche i ministri della difesa dei paesi NATOhanno riaffermato, nella consapevolezza di unnuovo e necessario impegno comune dell’Al-leanza atlantica nell’Afghanistan post-2014,l’importanza di un accordo formale con il gov-erno di Kabul; un accordo che deve concretiz-zarsi con la firma del BSA: un atto politico,conditio sine qua non, da realizzare prima dellachiusura dell’International Security AssistanceForce (ISAF), pena il ritiro immediato dei con-tingenti militari.Dunque, almeno a parole, anche la NATO sistarebbe preparando per il ritiro completo delleproprie unità schierate sul campo di battagliaafghano; una scelta in contrasto con il principiodi opportunità strategica ma, come noto, l’arsdiplomatica è fatta anche di bluff e azzardipolitici.E infatti, a fronte del vivace dinamismo da partedell’Alleanza atlantica, sul fronte istituzionaleafghano il portavoce del presidente, AimalFaizi, ha confermato che Karzai non ha postotra le priorità nell’agenda di governo la firmadell’accordo bilaterale sulla sicurezza poiché almomento impegnato nel tentativo di riconcili-azione con i taliban.La presa di posizione della NATO è stata for-malizzata alla chiusura del meeting di Brux-elles, due giorni dopo la chiamata di Obama a

Karzai e l’annuncio della predisposizione daparte del Pentagono di un piano di ritiro totale.Ma è improbabile che tale ipotesi possa trovarerealizzazione pratica; e infatti, il Segretario diStato Chuck Hagel e il Segretario generale dellaNATO Anders Fogh Rasmussen hanno pre-cisato che confidano comunque nella firmadell’accordo da parte del successore di Karzai.Dunque tutto è rinviato al dopo elezioni diaprile.

Breve analisi conclusivaSul piano formale, lo scoglio principale rimanedunque la firma del BSA tra Washington eKabul a cui seguirà naturalmente quello traKabul e la NATO.Tutto lascia supporre che, sebbene con notevoleritardo rispetto all’agenda statunitense, l’ac-cordo possa essere firmato dal nuovo esecutivoprima dell’estate, spostando semplicemente sulpiano temporale l’applicazione concreta di unnecessario accordo politico. Nella peggioredelle ipotesi, qualora nessun candidato allapoltrona presidenziale dovesse ottenere la mag-gioranza schiacciante, l’accordo potrebbe es-sere concluso anche nel tardo autunno oall’inizio dell’inverno: tardi per consentire undisimpegno razionale e sostenibile, sia dalpunto di vista logistico-operativo, sia su quelloeconomico.È dunque evidente che Karzai non vuole com-promettersi; così come è evidente che stiafacendo il possibile per evitare di chiudere l’es-perienza di governo con un accordo che, da unlato, legherebbe il suo nome a quello degli StatiUniti (e alla presenza di truppe straniere) e,dall’altro impedirebbe qualunque accordo dicompromesso (anche personale e familiare) coni principali gruppi di opposizione armata (tal-iban in primis).Comunque sia, chiuso il capitolo “Karzai”, siaprirà una nuova fase politica afghana; difficile

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dire quanto differente sarà da quella in fase diconclusione e quanto potrà durare: anche inquesta occasione i tempi afghani hanno

prevalso sulla logica strategica e sullarazionale volontà organizzativa occidentale.

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Titolo: La minaccia subacquea nell'attuale contesto geopolitico internazionale, conparticolare riferimento alle aree di interesse nazionale e la possibile evoluzione dellastessa.

Autore: Dr. Pietro BATACCHI

T.Col. Volfango Monaci

Edizione: 2013Editore: Centro Militare di Studi StrategiciPrezzo: Disponibile gratuitamente, all’indirizzo web:http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/ricerche/Pagine/laminacciasubac-quea.aspx

(ultima visita 2014 Apr 10)

L’arma subacquea, dal finire degli anninovanta gode di ''nuovo splendore'' grazie aimissili da crociera che permettono aisottomarini di operare sin dalle prime fasi diun qualunque conflitto, lanciando ordignicontro difese aeree e centri di comando.

Sono numerosi i Paesi, compresi quelli nonpropriamente amici dell’Occidente, che hannocominciato ad acquisire in gran numero, oricorrendo al mercato o costruendoseli inproprio, sottomarini delle più disparatedimensioni e caratteristiche.

L'autore, pertanto, ci presenta la situazionedelle flotte subacquee mondiali di rilievo:

dapprima_quelle ''nucleari'' (USA; Russia; Regno Unito; Francia; Cina; India; Pakistan; Brasile)ed in seguito quelle ''convenzionali'' (Germania; Russia; Francia; Svezia; Giappone; Corea delNord; Cina; India). E' un panorama "denso". Negli ultimi capitoli si trovano le ''sorprese''concettuali e fattuali, consentite sia dall'innovazione tecnologica dei dispositivi (nuove capacita'''stealth'', siluri supercavitanti, miglioramenti ai sistemi offensivi missilistici o propulsivi, ...) sia dalla diffusione delle tecnologie subacquee in ambiti diversi da quelli di Sicurezza e Difesa.

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Il crescente sfruttamento dei fondali marini, la presenza di importanti infrastrutture subacquee, ela necessita’ di aumentare la sicurezza dei traffici marittimi, hanno accelerato lo sviluppo di mezzie sistemi in grado di scandagliare i fondali, rilevare la presenza di oggetti /artefatti e di intervenirea profondita’ sempre maggiori.

Il Rapporto di Ricerca e' stato scritto da un giovane Ufficiale Ingegnere dell' Aeronautica Militare(Forza Armata gia' da tempo impegnata nel campo della robotica militare, stante l'esperienza coni sistemi a Pilotaggio Remoto) e illustra, in particolare, alcune tecnologie recenti ed emergenti(sonar, ROVs, UUVs, etc..) che presentano importanti opportunita’ di impiegabilita’ duale (civilee militare).

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Titolo: Sviluppi tecnologici della ricerca e dell’investigazione in campo subacqueo.Analisi e valutazione delle possibili sinergie tra esigenze civili e militari

Autore: Ten. PERELLI Ing. Andrea

T.Col. Volfango Monaci

Edizione: 2013Editore: Centro Militare di Studi StrategiciPrezzo: Disponibile gratuitamente, all'indirizzo web:http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/ricerche/Pagine/investigazionein-camposubacqueo.aspx

(ultima visita 2014 Apr 10)

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Stampato dalla Tipografia del

Centro Alti Studi per la Difesa