©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

7
J TAV. I PALDMO, SAN GIOVANNI ALLA GutLLA - MATTtA Pltnt : PRtDICA DIL BATT1STA 1 PAitTlCOLAitl ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Transcript of ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

Page 1: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

J

TAV. I

PALDMO, SAN GIOVANNI ALLA GutLLA - MATTtA Pltnt: PRtDICA DIL BATT1STA1 PAitTlCOLAitl

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 2: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

LUCILLA DE LACHENAL

SU UNA STATUA DI MENADE

E SISTE sul mercam antiquario di Roma, e più esatta­mente nella sala di esposizione della s.A.L.G.A.

s.r. l. , una statua acefala femminile e panneggiara, con un cerbiatto stretto contro il fianco sinistro, ritta su una base cilindrica moderna con decorazioni geometriche e vegetali (fig. 1).

Il pezzo è stato preso in considerazione dalla Soprin­tendenza Ard1eologica di Roma, il cui ufficio addetto alla tutela dei beni mobili, sotto la direzione della dott.ssa M.E. Bertoldi, sta svolgendo un ampio lavoro di riscontro e catalogazione dei beni ru·cheologici in proprietà privata, soprattutto nel settore riguardante il matenale scultoreo. E proprio la Soprintendenza, dopo aver constatato l'im­portanza della statua da un punto di vista artistico e storico, e averla sottoposta a vincolo ai sensi della legge I giugno 1939, n. w8g, mi ha offerto l'opportunità di studiarla in maniera più approfondita, cosa che del resto ho accettato di fare molto volentieri, aiutata anche dalla cortese disponibilità del personale del salone antiquario. Là infatti, oltre che verificare personalmente i restauri e lo stato di conservazione del pezzo, ho potuto anche con­sultare alcuni documenti che lo riguardavano, riuscendo così a ricostruirne quasi interamente la storia. Essa è così semplice e al tempo stesso testimonia chiaramente il gusto di un'epoca (la fine del XVIll secolo) che val la pena di delinearla subito brevemente, per passare poi senz'altro all'analisi stilistica del pezzo.

La statua ' ' venne dunque trovata nel 1777, in località Torre Tre Teste, a 4 mi~lia da Roma, sulla via Prene­stina, al riversa su un pavunento decorato con mosaico a a scacchiera di un edificio definito alquanto genericamente come " tempio " , ma forse pertinente a una villa romana.

Subito entrò nel commercio antiquario gestito allora in Roma dall'ex pittore Thomas Jenkins che s fruttava la propria cultura, una certa dose di abilità, e le sue cono­scenze di tutte le persone più importanti della città (era tra l'altro in ottimi rapporti col cardinal Albani, il Win­ckelmann, e Raffaello Mengs), per vendere e sistemare i pezzi che veniva raccogliendo sia in Roma che da scavi ptù o meno clandestini nei dintorni. La statua fu così acquistata il 15 aprile 1779 per 225 sterline dal barone sir George Strickland, residente nel castello di Boynton Hall presso Bridlington, nella contea di York in Inghilterra, e costituì il pe:~:zo più bello e ammirato della sua collezione, comprendente orca una dozzina di altre sculture, scelte con gusto sicuro da intenditore.

Ma prima che entrasse materialmente a far parte di questa colle:~;iooe, vi furono tra il barone e lo Jenkios delle trattative, documentate da una serie di lettere datate fra il 1781 e il 1782, e da cui ricaviamo anche notizie dei restauri voluti da sir Strickland per ambientare opportu­namente la statua nella sua casa. 3l Ci si riferisce alla grande base cilindrica decorata con bucrani e ghirlande, un motivo geometrico a doppio meandro e foglie di acanto su alcune modanature nella parte superiore ed inferiore; all'inserzione di una testa antica ma non pertinente, rio­venuta in occasione dì scavi purtroppo non documentati (oggi separata dalla statua e conservata nei magazzini della s.A.L.G.A.), e al completamento delle parti mancan­ti o frammentarie della figura, compresa anche una ghir-

landa di frutti e fiori che le scendeva dalla spalla destra e le attraversava diagonalmente il petto terminando sotto il braccio che sosteneva il cerbiatto (fig. 4).

La statua così restaurata restò nella colle:~:ione Strick­land sino al novembre del 1950, quando fu venduta in occasione di un'asta di numerosi oggetti del casteJio di Boynton Hall 4) e da allora fu sempre nel mercato anti­quario internazionale, sino ad oggi quasi sconosciuta e forse anche scarsamente apprez:~;ata.

Cominceremo dunque col fornirne una descrizione ac­curata, premettendo che è alta - senza i restauri -m. 1,24, sl e realizzata in marmo greco a grana grossa e lucente che col tempo ha assunto una patina leggermente dorata, che forse non è errato definire pario o comunque insulare. Raffigura una giovane donna vestita con un leg­gerissimo doppio chitone manicato ed altocinto, dall'am­pio apoptygma, un himation e una ne bride che le si incrocia sul petto lasciando pendere in avanti la testa ferina, e si lega con un nodo appena sotto la spalla destra. La figura incede verso lo spettatore, avanzando appena la gamba destra su cui la sottile stoffa dell'abito sembra annullarsi completamente, e porta un cerbiatto stretto contro il fianco sinistro, mentre protende in avanti il braccio destro frammentario in un gesto che oggi non è più possibile ricostruire. Doveva volgere leggermente la testa verso sinistra, forse nella direzione dell'animale che teneva io braccio, come sembrano indicare anche i due riccioli che le scendono dal collo sulle spalle; e indossa sandali dalla suola piuttosto spessa, con una strin~;a sottile fra l'alluce e il secondo dito, decorata da una ptccola fibbia a foglia d'edera. Infine, nella parte posteriore, la statua appare lavorata piuttosto sommariamente, con brevi accenni alle pieghe essenziali formate dal chitone e da un mantello che avvolge la figura anche davanti, per raccogliersi {'OÌ sul braccio destro in una cascata di pieghe quasi artifi­ciose. Questa trascurata esecuzione del retro fa dunque supporre un'originaria collocazione del pezzo entro una nicchia, o comunque sempre in relazione ad una sul ve­duta essenzialmente frontale.

Per quanto riguarda lo stato di conservazione del pezzo, del resto abbastanza buono, mancano: testa, mignolo e anulare della mano sinistra, avambraccio destro della figura femminile; zampa anteriore destra e orecchia si­nistra del cerbiatto; parte del mantello sul fi.anco sinistro e piccole :~;one delle pieghe. È visibile qualche scheggia­tura e incrostazione, specie nella parte posteriore del pezzo. Sottili linee di frattura si possono notare sul busto della figura, sul mantello che pende dal braccio destro, e sulle gambe.

I resti di puntelli sul fianco sinistro sono in relazione alle zampe dell'animale; il perno in ferro nel collo, in­sieme con alcuni perni più piccoli, sempre metallici, sulla parte anteriore della statua, e i resti di colla lungo le pieghe del panneggio, sono da attribuire ai restauri rea­lizzati alla fine del 1700, poco dol'o la scoperta, e in parte eliminati recentemente. Quell1 che a tutt'oggi ri­mangono sul pezzo sono- nell'ordine-: l'intera :~:ampa posteriore sinistra e la destra da sotto il garretto (con piccolo puntello), noochè il garretto della zampa anteriore sinistra, e la testa del cerbiatto; la testa pendente della

I

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 3: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

2

I - ROMA, SOCIETÀ S.A.L.G.A.- STATUA DELLA MENADE ALLO STATO ATTUALE CON LA BASE MODERNA

nebride; la parte del chitone ripiegata sul piede destro, anch'esso moderno; il paoneggio sul braccio sinistro nella parte posteriore a partire dalla spalla; alcune delle pie­ghe del chitone. Inoltre, rutta quell'ampia parte del­l' himation che pende dal braccio destro e presenta una serie di sbavature in stucco e colla, e dei puntellini, è difficile dire se sia antica e fu riattaccata (come in effetti sembrerebbe) oppure no. A ciò si aggiungano il plinto rotondo e liscio su cui si impianta la statua, e la base cilindrica già ricordata.

Lo stile che caratterizza questa statua si può definire, a prima vista, genericamente, come arcaistico, ma ve­dremo più avanti come questo termine finisca per risw­tare improprio.

Si notino comunque l' impostazione rigidamente fron­tale della figura, con la gamba destra più avanzata che costituisce un pretesto per accentuare l'aderenza e la trasparenza delle vesti leggere, e tende invece a suggerire il movimento con elementi puramente illusionistici; il trattamento delle membra che rivela uno scarso interesse anatomico, ma al tempo stesso nella manierata lunghezza della parte inferiore del corpo conferisce all'insieme un efficace slancio ascensionale; il compiacimento nella resa del panneggio, accortamente chiaroscurato ove si adden­sano e ricadono le pieghe, o velificato sin quasi al punto di annullarsi sulle forme in . movimento. E soprattutto certi particolari, finissimi, che impreziosiscono l'opera senza tuttavia turbarne l'effetto d'insieme: ad esempto la studiata raffinatezza dei sandali, o .l'attenta realizzazione di quella nebride dal vello corto e rasato, fatto con sottili e fitte incisioni quasi cesellate, e i cui orli naturalmente irregolari finiscono per diventare quasi un motivo deco­rativo contro le increspature del chitone sottostante, che a sua volta contrasta con la stoffa leggera ma già più consistente del mantello. Il risultato è quello di una composizione estremamente elegante, di grande limpi­dezza formale, e che doveva assolvere perfettamente alla funzione decorativa per cui era stata realizzata.

Tanto più dispiace quindi, la perdita della testa che doveva essere altrettanto bella e delicata, anche se forse un poco generica, dato il soggetto qui rappresentato.

Si tratta infatti molto probabilmente di una Menade, dati i rinvenimenti nella stessa zona - e a breve distanza di tempo - di una statuetta di Dioniso e di un Satiro dormiente su una roccia, a tutt'oggi purtroppo entrambe perdute; 6) e i confronti - stnngent1ssimi - con opere sempre di soggetto dionisiaco, come ad esempio un Priapo (o Dioniso), anch'esso acefalo, rinvenuto sul Qui­noale durante lo scavo del Traforo nei primi anni del rgoo. 7l

Il dio è colto nell'atto di avamare con passo misurato verso lo spettatore, e indossa lo stesso tipo di zvrwv itoS'i)P'I)c; senza rimbocco e manicato (la cui sottigliezza serve anche ad evidenziare il sesso ben sviluppato ma non itifallico), con mantello raccolto su ambedue le braccia e pardalide gettata attraverso il petto. Anche in questo caso un ca­pretto (purtroppo assai danneggiato) viene portato stretto a sinistra, anche se molto più alto che nella statua da via Prenestina, mentre come quella il Priapo presenta il braccio destro monco all'alte-zza del gomJto, e una resa sommaria della parte posteriore.

Rispetto alla Menade pe.rò egli aveva in più tre, se non addirittura quattro puttini (due sulle spalle, un terzo che cercava di arrampicarsi sulla coscia sinistra, mentre l'ultimo era forse sulla base, ora frammentaria) resi con vivace naturalismo e indicanti le stagioni e il concetto di fecondità e fertilità che è sempre collegato alla figura di

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 4: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

2 ROMA, SOCIETÀ S.A.L.C.A. 3 - ROMA, SOCIETÀ S.A. L.C.A. STATUA DELLA MENADE VISTA DI FRONTE STATUA DELLA MENADE: LATO DESTRO

3

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 5: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

Priapo, e viene confermato talora anche dalla presenza di una ghirlanda di fiori e frutta, in questo caso perduta (restano solo i fori per perni che dovevano sostenerla).

È singolare comunque il fatto che tra i restauri tardo­settecenteschi della statua di via Prenestina vi fosse pro­prio un analogo festone di frutta e fiori (oggi. eliminato, anche se restano a testimoniarlo alcuni sottili perni me­tallici e una vecchia fotografia del 1950) forse in rela­zione alla sua originaria interpretazione come Flora.

La presenza di questa ghirlanda ricorda anche un'altra statua che con le precedenti presenta molti punti in co­mune: si tratta della c.d. Baccante di Madrid, 8l ugual­mente acefala e senza un braccio (il sinistro: spezzato al­l'altezza del gomito, ove era piegato e proteso probabil­mente in avanti). U trattamento delle vesti è straordtna­riamente simile: infatti indossa anch'essa un chitone sot­tile e pieghettato, con le stesse caratteristiche pieghe '' a tubo " fra le gambe che aveva anche il Dioniso-Priapo, e il medesimo rimbocco sui fianchi che si può osservare neUa Menade da via Prenestina; e come quella porta una nebride sulle spalle, sia pure legata alta sul petto, ma con la testa ferina pendente davanti.

A queste opere che rivelano un'attenta cura sia nella resa della struttura generale che dei particolari più mi­nuti e decorativi, i quali non rompono l'unità della compo­sizione ma anzi servono ad arricchirla nel suo complesso, bisogna aggiungere poi anche due figure adattate come erme, del Larerano. 9)

Una è il tipico satire col capro di tradizione ellenistica, vestito di nebride e con l'animale stretto al fianco come già abbiamo visto nella Menade da via Prenestina (EA 2203); mentre l'altra non è che la versione femminile dello stesso motivo, con un satirello in braccio e un se­condo forse sulla spalla sinistra, riconducibile senz'altro al Dioniso dal Quirinale (EA 2202).

Pur con le inevitabili stilizzazioni dovute all.' inseri­mento dei torsi su basamenti di erme, da attribuire con tutta probabilità al copista romano, tuttavia queste due opere mostrano di derivare o essersi almeno ispirate ad originali greci molto vicini a quelli delle altre statue già esaminate.

Il che farebbe a buon diritto supporre l'esistenza di una scuola, o meglio di una vera e propria corrente ar­tistica nell'ambito della scultura dell'Ellenismo, cui ri­condurre senz'altro tutte queste opere, e soprattutto la Menade da via Prenestina rò) che però rispetto al Dioniso, all'altra Menade e alle erme, sembrerebbe essere in realtà un'originale per il marmo ~reco, le dimensioni quasi na­turali, e la particolare senstbilità stilistica che la contrad­distinguono: si vedano ad esempio la sottigliezza quasi esasperata che raggiunge nelle pieghe, o i passaggi medi­tatissimi e graduati di piani, l' innegabile vita che spira da tutta la figura, lontana da qualsiasi freddezza di copista ..

Ma d'altro canto, proprio la commistione, più evidente in questa statua che nelle altre, di elementi arcaici ed altri più naturalistici, anzichè facilitare, complica ulterior­mente le reali possibilità di individuazione d1 tale corrente artistica.

I pezzi portati come confronto sembrano infatti gra­vitare tutti nell'ambito del c.d. rococò ellenistico (sia pure influenzato dallo stile arcaistico) secondo quanto affermava il Klein; mentre la Borrelli "l rifacendosi al Laurenzi, ne esalta il fondo classicistico che tende a dare particolare importanza ai particolari e agli elementi ac­cessori, e ritiene di individuare la loro origine nell'ambiente greco-insulare - e preferibilmente rodio - tra la fine del II e il I secolo a.C.

4

Stando a queste premesse e sulla base delle osserva­zioni già fatte riguardo la Menade da via Prenestina, ci sembra dunque di poter affermare che questa corrente artistica - mai finora chiaramente individuata tra quelle tardo ellenistiche - si sia effettivamente ispirata allo stile rococò, 12l ma fondendolo con elementi arcaistici, allo scopo di farne una dotta, cosciente, e forse anche intellet­tualistica rielaborazione.

E tutto questo, senza il minimo scadimento nella sterile esercitazione accademica, proprio per la profonda sensi­bilità e un certo rigore sulisttco che riuscirono a mante­nere il linguaggio espressivo - f;Ìà avviato verso un rnanierismo ormai scarsamente creattvo ma altamente raf­finato - lontano da certe formule vuote e ripetitive che insidiavano invece molte altre manifestazioni di stile ar­caistico contemporaneo.

Ma questi non furono evidentemente i soli mezzi di cui tale corrente si valse per raggiungere una certa indivi­dualità e realizzare i propri capolavori. Direi anzi che in un altro elemento sta il segreto della sua originalità e validità come esponente del manierismo arcaistico greco: e cioè proprio nel suo fondamentale rispetto verso il na­turalismo come conquista tipicamente eUenistica, che ri­mase sempre alla base delle sue opere, anche se in esse l'accento veniva posto essenzialmente sugli elementi deco­rativi, realizzati con abile e consumato virtuosismo.

Si giunge cosi ad individuare il vero carattere di questa corrente artistica, capace di mantenere su un piano di raro equilibrio e di perfetta coerenza stilistica le molte­plici componenti che ritroviamo nelle sue creazioni.

A questo punto non resta altro che domandarsi io quale ambito geografico e cronologico essa potè svilup­parsi.

Purtroppo i confronti che si possono fa re con altri originali greci sono piuttosto scarsi. E bisognerà accon­tentarsi dell'unico dato più evidente a nost ra disposizione, e cioè della caratteristica tecnica usata per realizzare le vesti, trasparenti e leggerissime, con quei particolari ef­fetti di nudo sulle membra che già abbiamo avuto modo di rilevare.

È noto che le vestes coae dominarono per lungo tempo, almeno daUa seconda metà del II secolo a.C. in poi, nella scultura tardo-ellenistica della Grecia insulare e dell'Asia minore, per un vasto raggio che comprendeva le Cicladi, la costa asiatica e le Sporadi meridionali. Ma se a Pergamo la resa differenziata del chitone rispetto all' hi­mation fi.nl per essere considerata come qualcosa di acces­sorio, in favore di una più generale corporeità data alla stoffa per ritmare o comunque partecipare al pathos della rappresentazione; altrove (e soprattutto nelle isole) si cercò invece di accentuare virtuosisticamente la legge­rezza del mantello per rivelare ogni piega del sottostante chitone. Per quanto concerne la nostra Menade, l'esecu­zione del doppio chitone non giunge fino all' esasperata trasparenza di certe sculture più note, ma è comunque influenzata da quella tecnica, e trova raffronti solo in po­che opere di Rodi e di Coo, con le quali condivide- fra l'altro .- anche la lavorazione meno accurata della parte poste n ore.

Ricordiamo infatti certe statue frammentarie rodie di toga ti del tardo Ellenismo, ' 3l dove la veste mostra le stesse tipiche pieghe " a festone, o " in risalita , realizzate con nettezza e precisione, ad orli acuti, ed ha il medesimo effetto di sottigliezza sulle gambe, anche qui estrema­mente allungate. Mentre un ritratto femminile t4l ci rivela un trattamento analogo del chitone sul petto, con la stoffa tesa sui seni e fitta di piegoline al centro.

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 6: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

Si osservino poi la pane inferiore di una figura muliebre panneggiata al museo di Coo, con elementi arcaistici che la rendono però estremamente statica, •sl e, iJ frammento di statuetta forse di Asclepio, anch'essa a Coo, che mostra una particolare sensibilità nella resa del panneggio, e può - secondo il Laurenzi - •6) definirsi un'opera del tardo Ellenismo, paragonabile per finezza a certi ritratti rinve­nuti nell'Odeion dell'isola e forse ora potremmo anche aggiungere, alla Menade da via Prenestina.

Tuttavia forme cosl allungate, longilinee, le pieghe mi­nute e quasi " angolose , delle vesti, e la cascata di pan­neggi realizzati in maniera piuttosto lineare e insieme virtuosistica sul fianco destro, si ritrovano anche io un'al­tra statuetta da Coo, ora al British Museum, raffigurante in origine un'Artemide, variante del tipo di Dresda, tra­sformata - secondo il Laurenzi - in età ellenistica per rappresentare forse un'Atena. 17l

Naturalmente questa statuetta, che non ha nulla di ar­caistico, è un poco diversa dalla Menade, ma rivela ugual­mente una finezza nel trattare la stoffa leggera, una ricerca di movimento pur nella frontalità della figura dalla snel­lezza quasi esasperata, che già farebbero pane di un ma­nierismo attribuitO dal Laurenzi appunto alla scuola di Ro­di, e caratterizzato da un costante richiamo a modelli arcaici e classici rivissuti alla luce delle esperienze elleni­stiche, ma profondamente diverso dalle altre manifesta­zioni neoattiche contemporanee.

Tuttavia proprio i numerosi confronti provenienti dal­l'isola di Coo indurrebbero con buone probabilità ad at­tribuire anche ad essa, e non solo a Rodi, il merito di aver fondato questo stile così vivo ed originale, ma forse di breve durata.

Tanto più che tutti i pezzi citati a confronto sono da­tati al I secolo a. C., periodo in cui appunto l'isola di Coo, dopo l'apertura delle sue cave d1 marmo (molto simile ed anzi quasi indistinguibile da quello delle altre isole egee, in particolare dal pario), divenne nota per le sue officine di scultori, che migliorarono anche il tenore di vita di tutti gli abitant.i locali.

È molto probabile quindi che la Menade da T orre Tre Teste si debba far risalire alla metà del secolo, e che sia stata prodotta magari per committenti romani che vole­vano adornarne - com'è noto - qualche edificio pub­blico o privato.

Del resto non si dimentichi che nella stessa area, a pochi km. di distanza sulla via Prenestina, venne trovato nel rgo8 lo splendido puteale con danzatrici conservato al Museo Nazionale Romano e databile anch'esso allo stesso periodo, tS) a testimoniare un analogo gusto deco­rativo con elementi arcaistici e neo-attici, che erano molto apprezzati in Roma verso la tarda età repubblicana.

1) A. MICHAELrs, Ancient Marbles in Great Britain, Cambridge 1882, p. 216, n. I; C.C. VERMEUU, in A] A, 59, 1955, p. 131; C. PI:ETRANCELJ, Scavi e scoperte di antichità sotto il pontifico.co di Pio VI, Roma 1943, p. tt3.

2) La località eli Torre Tre Teste, c.d. dalla torre realizzata nel XII secolo con scaglie di selce tratte dalla antica via Prenestina e caratterizzata da un bassorilievo sepolcrale con due teste- ritratto maschili ed una femminile velata sul lato rivolto verso Roma, faceva parte in origine della " massa , della bas.ilica di San Giovannì in Laterano, come si può ricavare dall'iscrizione frammentaria in lettere semigoticbe apposta sulla Torre stessa (A. NCBBY, Analisi scorico-copografìco.-antiqUJJria della Carta de' dintorni di Roma, Roma 1837, vol. III, p. 249).

Passò quindi ai marchesi Casali senz'ahro prima del r66o, dara a cui risale una misurazione del fondo stesso, eseguita per Ludovico Casali (G. ToMASSETTt, La campagna roman.a antica, medieiJale e moderna, Roma rgio-26, vol. III, p. 474 e ss.), ma venne di regola affittata o data in enfiteusi. Sappiamo inoltre che a panire dal 1870

4 - ROMA, SOCfETÀ S.A.L.G.A. STATUA DELLA MENADE

CON LE fNTEGRAZWNI SETTECENTESClfE

5

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte

Page 7: ©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino ...

il C3rdinal Antoruo Casali volle condurvi personalmente d~h scavt, rivelatisi peraltro molto fruttuosi, e che allargarono la sua gia famosa collezione dj antichltà. Nella zona erano infatti diverse tombe e dei ruderi, pertinenti con tutta probabilità ad un 'antica villa romana; inoltre lo stesso casale costruito nel XVIII secolo presso la Torre, si fondav:t su fabbriche antiche.

Dai Casali poi la tenuta pervenne alla famiglia Del Drago, cui rimase fin verso il 188o, allorchè fu espropriata per la costruzione di un fortino dal Geruo Militare, che a tutt'oggi la detiene ancori!.

(Desidero qui ringraziare la aott.ssa R. Santolini per le notizie gentilmente fornitemi cirC3 la tenuta di T orre Tre Teste, in parte desunte dall'archivio Casali che ella ha avuto modo di consultare per via di un suo studio - dj prossima pubblicazjone - concernente le antichito\ della famiglia Casali, per la maggior parte vendute o andate disperse).

3) Th. Jenkins era infatti rinomato, soprattutto in Inghilterra, perchè sapeva accontentare tutti i desideri dei suoi connaz.ionali che giungevano a Roma desiderosi, come e.ra il gusto e la moda dell'epoca, dj farsi una collezione di opere d'arte antjca. E dal mo­mento che le sculture ad esempio veruvano acquistate soltanto se integre o quasi, egli stesso provvedeva, in contatto com'era con marmisti e scultori, al restauro e alle aggiunte sw pezzi frammentari, nonchè alla loro ripulitura e Jevigarura, ove ciò fosse necessario (A. MtCHAE!-tS, op. cic., p. 75 e ss., * 45, e p. 103).

4) EsiSte un catalogo dell'asta, conservato anch'esso presso la s.A.L.O.A.J. in cui la statua è definjta come l uno o Flora: Jmportant ~ Days .)Ole of the M ojor Portion o! che Contents of che M ansion {:!l--:13 November 1950) - Boynton Hall, Brldlingcon.

5) Ahre misure: altezza massima, compresa la basetta liscia e quella cilindriC3 decorara, m. 2,09; altezza della base cilindriC3 de­corata, m. 0,77.

6) C. PIETRANGELI, op. cit., p. 114 e SS. 7) L. MARIANt, in Bull. Com., 30, 1go2, p. 12 e ss.; H. But.J.E, in Ab·

hiindl. Bayer. Akad. Philos. Phil . . ~lasse, 30, 1918, p. 24 e ss., tavv. 6 e 46; D. M usnu.1, Museo Mussolrn1, Roma 1939, p. 59 ess., n. 24, tav. XXXVII, 154; W. Hal!Jc•, Fiihrer durch die iiflenrlichen Sammlun­gen klassischer Alcertiimer, Il, Tiibingen 1966, n. t6gg, p. 484 e ss. (H. von Steuben).

8} EA 1759; H. BULLE, op. cit., p. 25, tav. 6, n. 47· 9) W. KLEIN, Vom antiken Rokoko, Wien 1921, p. 122 e ss.; W.

HELlltc•, op. cit., I, n. 1039 (H. von Steuben).

6

to} Con la quale, sempre in relazione al rendimento del pan· neggto, possiamo confrontare ancora: la statua femminile arcaizzan· te nel Chiostro del Museo Nazionale Romano (n. inv. 61531), da San Pietro in Vincoli, dj fatturaferò abbasr:anza corrente (R. PARI· BENI, u Terme di Diocleziano e i Museo Nazionale Romano", Roma 1932, n. 331); la statu;~ di H ora(?) al museo di Torino (K. DtTTS· CHKE, Antike Bildwerke in Obenwlien, IV, Leipzig t88o, n. 7~; L. BORRELU, in R.A.L., serie Vlll, IV, 1949, p. 339, fig. 2), ptit esile e meno magni.Joquente nella struttura generale, che non ri­nuncia tuttavia ai contrasti coloristici della stoffa e della ghirlanda di frutta sul corpo dalla ponderazione inversa; e l'Apollo al Museo di Villa Borghese, opera che il necH:Iassicismo adrianeo ha rag­gelato e reso angoloso nella sua struttura lineare, arricchita da numerosi oggetti simbolici e decorativi (H. BULLE, op. cir., p. 23 e ss., tavv. 6 e 44; W. HEt..BIG 1, op. eu., 11, n. 196g, H. von Steuben).

11) L . BoRREl..l.J, art. cit., p. 340 e ss. 12) E in questo quadro rie.ntra allora, sia pure con tutte le cautele

del caso, il possjbtle richlamo che con la Menade può farsi per l'anziana contadina che si reC3 al mercato a vendere il suo agnello, del Palazzo dei Conservatori in Roma (H. STUART ]ONES, A Catalo · gue of ... the Scalptures o/ the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, p. 145; M . Bll!sBR, The Sculprure of che Hellenistic Age2, New York tCjl6t, p. 141, fig. 591). In essa infatti si riscontra uno stesso modo do portare la bestia renendola sotto il ventre e lasciando pendere le zampe posteriori, nonchè un vago richiamo alla nebride della Menade in quella veste pesante e trascurata, con gli orli sbrindellati che crea· no efficaci giochl coloristici sul petto scarno della vecchia curva. Veniamo ad avere cosi un'ulteriore conferma dei caratteri 0.1tura­listicì presenti nella statua da via Prenestina.

13) A. MAI11RI, in Clara Rhodos, Il 1, pp. 38 e 39, figg. 18 e 19. 14) A. MAIURJ, in Clara Rhodos, Il 2, p. 125 e ss. 15) L . LAURENZJ, in Annuario, XXXIII-XXXIV, 1955-56, n.

129, p. 119 e ss., fig. 129. t6) L. LAURENZJ, are. cir., n. go, p. 107, fig. go. t7) L. LAURENZT, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni,

3, Milano 1956, p. r86 e ss., fig. 3· t8) N. inv. 54746: E. L o&wv, in N .S., 1908, p. 445 ess.; W. FucHS,

Die Vorbilder der neuattischen. Relie!s, Ber! in 1959, p. 153 e ss. e p. 174 e ss.; W. HEI.aiG4, op. Clt., Ul, n. a148 (H. von Steuben) .

..

©Ministero dei beni e delle attività culturali-Bollettino d'Arte