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Filippo Mignini

Dell’ontologia in Spinoza

1. L’accezione del termine ‘ontologia’

Il termine ‘ontologia’ non ricorre in Spinoza; ma nell’Appendice ai Principia phi-losophiae cartesianae intitolata Cogitata metaphysica si trova la distinzione trametaphysica generalis e metaphysica specialis. Nel sottotitolo della prima partedei Cogitata, dedicata all’esame di alcune delle questioni più difficili della metafisica generale, si precisa che queste riguardano l’ente e le sue affezioni;mentre le questioni affrontate nella metafisica speciale riguardano Dio e i suoiattributi, nonché la mente umana. Dunque, se manca il termine, troviamo in Spi-noza, sotto la denominazione tradizionale di metafisica generale, la trattazionedell’oggetto che le sarà proprio, ossia l’ente e le sue affezioni. Tuttavia si devesubito precisare che l’indagine sulla metafisica generale, da altri filosofi giàchiamata ontologia o ontosophia, è svolta da Spinoza nei Cogitata in chiave car-tesiana, ossia per mostrare, in appendice all’esposizione geometrica dei Princi-pia, che cosa si dovesse dire, dal punto di vista di Cartesio, circa l’ente e le sueaffezioni. Non possiamo dunque assumere questo testo come espressione auten-tica ed esplicita del pensiero di Spinoza; ma non possiamo neppure trascurarlo,in una indagine circa la sua ontologia, perché costituisce un punto di riferimen-to privilegiato per riconoscere e valutare i radicali cambiamenti operati da Spi-noza, rispetto a esso, nel proprio sistema. Dovremo quindi prendere le mosse daquesto testo, se è vero, come è vero, che la filosofia di Cartesio ha costituito unodei riferimenti imprescindibili nella formazione del sistema spinoziano.

Sarà opportuno, tuttavia, considerare brevemente anche la definizione di on-tologia presente nella Ontosophia di Clauberg, uno dei primi filosofi che ne ab-biano impiegato il termine e ne abbiano elaborata una dottrina significativamen-te influenzata da Cartesio, orientata alla costruzione di una filosofia prima chefosse fondamento di tutte le altre scienze. Clauberg era autore ben noto a Spino-za, che nella sua biblioteca ne possedeva due opere: Defensio cartesiana adver-sus Jacobum Revium (Amsterdam 1652) e Logica vetus et nova (Amsterdam

«Quaestio», 9 (2009), 209-224 • 10.1484/J.QUAESTIO.1.100703

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1654). L’ontologia viene presentata da Clauberg come scienza dell’ente in quan-to ente, ossia «in quantum communem quandam intelligitur habere naturam velnaturae gradum, qui rebus corporeis et incorporeis, Deo et Creaturis, omnibu-sque adeo et singulis entibus suo modo inest. Ea vulgo metaphysica, sed aptiusontologia vel scientia catholica et philosophia universalis nominatur»1. Nella de-finizione di Clauberg, che possiamo assumere come emblematica di un modopiuttosto comune di intendere l’ente, questo è designato essenzialmente da unacommunis natura che inerisce in modo diverso (suo modo) a ogni singolo ente.L’entità dell’ente che l’ontologia indaga è dunque quella che si identifica conquesta natura comune e, in quanto tale, indifferente, rintracciabile in ogni ente,sia infinito sia finito, sia corporeo sia pensante, sia reale sia possibile. In secon-do luogo, la definizione di ontologia è caratterizzata dalla considerazione di talenatura dell’ente come intelligibile, anzi come il massimamente intelligibile. Que-sto è possibile, in terzo luogo, perché essa è concepita come reale in sé, prescin-dendo dall’intelletto che la conosce. In quarto luogo sottolineo che gli enti ai qua-li tale comune natura inerisce, sono tutti considerati da Clauberg come sostanze:solo in quanto tali possono essere considerati soggetti di inerenza di quella natu-ra comune che costituisce l’ente in quanto ente. Questo riferimento sintetico allaposizione ontologica di Clauberg è sembrato opportuno per misurare con preci-sione la distanza che Spinoza porrà tra sé e questa rappresentazione dell’ente, maanche la distanza che lo separerà da Cartesio e dalla Scolastica.

Desidero infine precisare, in via preliminare, che l’indagine su questo tema,come, del resto, su ogni altro, non può prescindere da una precisa idea dell’or-dine cronologico ed evolutivo delle opere di Spinoza e dal valore rappresentati-vo che a ciascuna di esse viene attribuito. Premetto dunque che leggo Spinozaconsiderando il Tractatus de intellectus emendatione antecedente e non succes-sivo al Breve Trattato e che considero i Principi della Filosofia di Cartesio con laloro appendice di Riflessioni metafisiche testi nei quali Spinoza non intendeesporre e non espone la propria filosofia, ma quella di Cartesio, fatti salvi, ov-viamente, interventi sull’ordine dell’argomentazione, giudizi o sfumature espres-sive che “tradiscono” implicitamente, in qualche modo, il pensiero proprio del-l’autore.

1 J. CLAUBERG, Ontosophia, 1656, cap. 1, 1-2, in J. CLAUBERG, Opera omnia philosophica, 2 voll., G.Olms, Hildesheim 1968: vol. 1, p. 283. Il termine ojntologiva, quale philosophia de ente appare in R. GO-CLENIUS, Lexicon philosophicum, Frankfurt a.M. 1613, p. 16, in riferimento al tema della astrazione dallamateria, che può dirsi in tre modi, il terzo dei quali è Mathematica et ojntologikhv, id est Philosophia deente seu Trascendentibus; ma prima ancora in J. LORHARD, Ogdoas scholastica continens diagraphen typi-cam artium Grammatices Latinae, Graecae, Logices, Rhetorices, Astronomices, Ethices, Physices, Me-taphysices seu Ontologiae, Apud Georgium Straub, Sangalli 1606. Cf. anche a questo proposito M. LA-MANNA, Sulla prima occorrenza del termine «Ontologia». Una nota bibliografica, «Quaestio», 6 (2006), pp.557-570.

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2. Il termine ‘ens’ nelle opere di Spinoza

2.1. ‘Ens’ nei Cogitata metaphysica

Preciso subito che in questa circostanza, dati anche i limiti di tempo, prenderòin esame soltanto il termine ‘ens’, riferendomi ai suoi correlati (come esse, es-sentia, existentia, substantia) in funzione della trattazione di esso2. Osservo inol-tre che per il nostro scopo non è qui necessario esaminare tutte le occorrenze diente nei Cogitata, ma è sufficiente limitarci all’esame del cap. 1 della prima par-te, intitolato «L’ente reale, l’ente finto e l’ente di ragione». Di questo capitoloesamineremo quattro aspetti: 1) la definizione generale di ente; 2) la distinzionetra ente finto ed ente di ragione; 3) la critica della distinzione tra ente reale edente di ragione; 4) la dottrina dell’ente reale.

1. La definizione generale di ente è la seguente: «Con tale nozione intendia-mo tutto ciò che troviamo esistere necessariamente o, quanto meno, che può esi-stere, quando lo percepiamo in modo chiaro e distinto»3. In questa definizione,che riprende PPC1Ax6, due sono gli elementi essenziali: anzitutto l’ente è og-getto di una idea chiara e distinta; inoltre l’ente può essere concepito chiara-mente e distintamente o come necessario o come possibile. L’assioma 6 ora ri-cordato precisa: «Nell’idea o concetto di ogni cosa è contenuta l’esistenza o pos-sibile o necessaria (vedi A 10 di Cartesio). Necessaria nel concetto di Dio o del-

2 Per l’amplissima bibliografia sull’ontologia di Spinoza rinvio, a titolo indicativo, a S. VANNI ROVIGHI,L’ontologia spinoziana nei «Cogitata Metaphysica», «Rivista di Filosofia neoscolastica», 52 (1960), pp.399-412 e ai classici studi di P. DI VONA, Studi sull’ontologia di Spinoza, La Nuova Italia, Firenze, I(1960); II (1969); Contrasti di idee sull’essere nel pensiero di Spinoza, «Acme», 16 (1963) pp. 217-291;Studi sulla Scolastica della Controriforma, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1968; Spinoza e i trascen-dentali, Morano, Napoli 1977; La definizione dell’essenza in Spinoza, «Revue internationale de philo-sophie», 31 (1977), pp. 39-52; Le proprietà dell’essenza nella filosofia di Spinoza, «Verifiche», 6 (1977),pp. 681-706. Più recentemente si veda M. REVAULT D’ALLONES/H. RIZK (éd.), Spinoza: puissance et onto-logie, Kimé, Paris 1994; R. BORDOLI, Baruch Spinoza. Etica e ontologia. Note sulle nozioni di sostanza, diessenza e di esistenza nell’«Ethica», Guerini scientifica, Milano 1996; A. MATHERON, La chose, la cause etl’unité des attributs, «Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques», 82 (1998), pp. 3-16.

3 SO 1, 233, 20-22 (con la sigla SO indico Spinoza Opera, a cura di C. Gebhardt, Heidelberg [1925],seguito dal numero del volume, della pagina e delle righe. La Korte Verhandeling/Breve Trattato è citatadall’edizione a cura di F. Mignini, Japadre, L’Aquila-Roma 1986, indicata con la lettera M. Le opere diSpinoza sono indicate con le seguenti sigle: Tractatus de intellectus emendatione: TIE; Korte Verhandeling:KV; Principia Philosophiae Cartesianae: PPC; Cogitata Metaphysica: CM; Tractatus teologico-politicus:TTP; Tractatus Politicus: TP; Ethica: E. Per le citazioni interne di quest’ultima opera si usano le seguen-ti sigle: A: Axioma; Def: Definitio; P: Propositio; D: Demonstratio; S: Scholium; C: Corollarium. Le partisono indicate con numeri arabi subito dopo la sigla E. Il TTP è citato con riferimento al capitolo e al pa-ragrafo. Le traduzioni italiane sono citate da Spinoza, Opere, a cura e con un saggio introduttivo di F. Mi-gnini, traduzioni e note di F. Mignini e O. Proietti, Mondadori, Milano 2007, indicato dalla sigla O segui-ta dal numero della pagina. Per quanto concerne la numerazione delle lettere, dò la numerazione adotta-ta nell’edizione O 2007, seguita tra parentesi tonde dalla numerazione tradizionale in Gebhardt.

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l’ente sommamente perfetto; altrimenti lo si concepirebbe imperfetto, contro ciòche si suppone concepire. Contingente o possibile nel concetto di una cosa fini-ta»4. Vedremo come ambedue questi caratteri, ossia la possibilità di avere un’i-dea chiara e distinta dell’ente in quanto ente e la distinzione dell’ente in neces-sario e possibile (inteso come contingente), saranno ricusati da Spinoza nel suosistema.

2. La distinzione tra ente finto ed ente di ragione consiste principalmente inciò: l’ente finto è il risultato della scomposizione di idee di enti reali e della lo-ro ricomposizione «per sola pura volontà, senza alcuna guida della ragione; on-de, per caso, l’ente finto può essere vero»5. L’ente di ragione, invece, è esclusi-vamente un modo di pensare, che si produce per sola costituzione della mentesenza alcun impulso di volontà, e «che serve a ricordare, spiegare e immagina-re più facilmente le cose conosciute»6. Gli enti di ragione, considerati come pu-re produzioni necessarie della mente, esprimono una realtà mentale e, in tal sen-so, sono ineliminabili; ma ad essi non corrisponde in natura alcun ente reale.

3. Dunque è impropria, anzi falsa, la distinzione tra ente reale ed ente di ra-gione, perché si pretenderebbe con essa di distinguere l’ente dal non ente, as-sunto falsamente come ente7. Il non ente, non essendo, non può costituire un ter-mine di distinzione. Dunque, una vera distinzione può essere istituita solo traenti reali, dotati di essenza esistente in natura. Ne segue che nella costruzionedella filosofia si deve porre la massima attenzione, come Spinoza raccomandagià nel Tractatus de intellectus emendatione8, nel non confondere gli enti realicon i semplici modi di pensare o gli enti di ragione. In tal senso devono ancheessere interpretati i passaggi nei quali Spinoza raccomanda di distinguere ac-curatamente tra enti reali ed enti di ragione: per riconoscere, appunto, che glienti di ragione non hanno realtà al di fuori della mente ed evitare, così, di isti-tuire una distinzione, rispetto a essi, come se si trattasse di enti naturali.

4. Come si dovrà dunque distinguere l’ente reale? Dalla definizione data se-gue che esso «si deve dividere in ente che esiste necessariamente per sua natu-ra, o la cui essenza implica l’esistenza, ed ente la cui essenza non implica un’e-sistenza se non possibile. Quest’ultimo si divide in sostanza e modo, le cui defi-nizioni sono date negli articoli 51, 52 e 56 della prima parte dei Principi dellaFilosofia»9. L’autore precisa che usa il termine ‘modo’ per intendere proprietà

4 O 260; SO 1, 15, 12-16.5 O 346; SO 1, 236, 12-14.6 O 344; SO 1, 233, 29-31.7 O 345; SO 1, 4-9.8 TIE § 99 (O 64; SO 2, 36, 13-20).9 O 347; SO 1, 236, 25-30.

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reali della sostanza (come il moto rispetto al corpo) e non gli accidenti, espri-menti soltanto una relazione (come il moto rispetto al triangolo, che non si muo-ve per se, ma solo per accidens qualora sia corporeo). Ora, che l’ente possibilevenga distinto in sostanza e modo non significa affatto che l’ente necessario, os-sia Dio, non sia sostanza; anzi, nell’art. 51 dei Principi Cartesio afferma espres-samente che la nozione di sostanza compete propriamente solo a Dio e non si ri-ferisce univocamente a Dio e alle creature, perché nessun significato del termi-ne ‘sostanza’ può essere considerato comune a Dio e alle creature. Tuttavia, nel-l’art. 52, Cartesio precisa che anche la creatura può essere considerata sostan-za in quanto, per esistere, ha bisogno del solo concorso di Dio. Il riscontro diquesta dottrina cartesiana sarà importante per intendere le variazioni che Spi-noza imprimerà alla nozione di sostanza e, conseguentemente, anche a quella diente.

2.2. Le occorrenze di ‘ens’ e il loro valore semantico nelle altre opere

Il termine ‘ens’ ricorre, sebbene non frequentemente, in tutte le altre opere diSpinoza (nella forma wezen anche nel Breve Trattato) secondo tre modalità prin-cipali.

1. Esso è impiegato quasi esclusivamente per indicare l’Ente sommamenteperfetto e infinito, ossia Dio; rarissime sono le occorrenze nelle quali il termine‘ente’ viene impiegato diversamente. Una sola volta ricorre la formula entia fi-nita (E1P11D, aliter2) in opposizione all’Ente assolutamente infinito ed eterno,ma nel contesto di una ipotesi dimostrativa che viene rifiutata; quindi con unaimplicita negazione, che l’unicità dell’occorrenza rende plausibile, di uno deidue termini dell’opposizione, ossia la possibilità di concepire enti finiti10. Un’al-tra volta gli angeli sono chiamati “enti”11; ma in CM 2, 12 si precisa che gli an-geli non sono oggetto di metafisica o filosofia, bensì di teologia, perché la loroesistenza ci può essere nota unicamente per rivelazione12. Infine, le altre pocheoccorrenze di ens, non riferito a Dio, possono tutte riassumersi nella formula:unumquodque ens sub aliquo attributo concipitur13. In questa formula, a ben ve-dere, il termine ente è impiegato in generale, secondo la tradizione, come riferi-bile a qualsiasi cosa possa dirsi ente, al fine di dimostrare che se a un ente qual-

10 O 797; SO 2, 53, 31.11 TTP 2, SO 3, 40, 22-23.12 O 392; SO 1, 275, 14-19.13 Ep 30(9), SO 4, 45, 2-3; Ep 77(63), SO 4, 275, 15-22.

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siasi appartengono attributi, all’ente perfettissimo devono competere tutti gli at-tributi. Dalla sola osservazione di questa ricorrenza associativa del termine ‘en-te’ si può ricavare l’ipotesi che essa risponda a una precisa ragione teorica, cheil seguito dell’indagine cercherà di rendere manifesto.

2. Il termine ‘ente’ ricorre alcune volte nella formula ut ens ad non ens, as-sunta a simbolo della semplice improponibilità di un rapporto o di una propor-zione ipotizzata, perché si rivela piuttosto una semplice assenza di rapporto, dalmomento che il non ente non esiste e non può costituire alcun termine di riferi-mento. Da sottolineare una di tali occorrenze, sulla quale tornerò più tardi, nel-la quale la formula ut ens ad non ens serve a illustrare il rapporto tra Dio e glienti finiti: Dio è tanto diverso dagli enti finiti quanto l’ente dal non ente14. Sinda qui è possibile inferire che se il termine ‘ente’ si riferisce a Dio, ossia all’in-finito, non è possibile impiegarlo per indicare il finito. E questa potrebbe esse-re già una spiegazione della scarsissima o quasi nulla associazione del termine‘ente’ al finito. Ma dobbiamo ancora spiegare perché questo avvenga.

3. La terza distinzione sotto la quale ricorre il termine ‘ente’ è quella, a cuigià qui sopra si è accennato, tra ente reale, da una parte, ed ente di ragione, diimmaginazione o finto, dall’altra. Mentre l’ente reale esiste in natura fuori dallanostra mente, gli altri enti esistono soltanto nella nostra mente; quindi si potràdire, al massimo, che hanno la realtà di enti mentali. Su tale “realtà” mentalesarebbe opportuno aprire una accurata riflessione, che non è possibile tuttaviasvolgere in questo contesto.

2.3. La descrizione del termine ‘ente’ e la sua valenza in E2P40S1

Nella ricognizione del valore semantico del termine ‘ente’ vi è un testo dal qua-le non possiamo prescindere, perché in esso Spinoza espone con assoluta chia-rezza il suo pensiero sulla natura dell’idea di ente. Si tratta del passaggio conte-nuto nel primo scolio della proposizione 40 della seconda parte dell’Etica, nelquale l’autore spiega le cause dalle quali traggono origine i termini «detti tra-scendentali, come ente, cosa, qualcosa». Spinoza riconduce tali termini e le ideecorrispondenti alla limitatezza del corpo umano, il quale è capace di formare insé soltanto un certo numero limitato di immagini distinte, ossia di tracce fisicheo impressioni delle modificazioni prodotte nel corpo da altri corpi afficienti. Poi-ché, tuttavia, il corpo umano è affetto simultaneamente da moltissimi altri cor-pi, le loro impressioni, chiamate qui anch’esse immagini, si confonderanno; e

14 Ep 70 (54), SO 4, 253, 8-12; cfr. E2P43S; E2P48S.

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quando la capacità del corpo di formare immagini distinte viene superata di mol-to, anche la mente, che ha un’idea di ogni modificazione prodotta nel corpo, rap-presenterà le modificazioni corporee con immagini molto confuse, fino ad espri-merle con una sola idea, cioè sotto l’attributo di ente, cosa ecc. Si possono tro-vare, oltre al numero ingente e non controllabile delle modificazioni, anche al-tre cause simili a queste, come, ad esempio, la minore o maggiore vivacità del-le singole immagini. In ogni caso, «tali termini significano idee in sommo gradoconfuse»15.

Tralasciando ora, per ragioni di tempo, qualsiasi commento sulla dottrina spi-noziana dell’immaginazione, mi limito a sottolineare la conclusione alla quale ilragionamento perviene e la sua opposizione riguardo alla definizione cartesianadi ente. Mentre in Cartesio la nozione di ente esprime l’idea chiara e distinta del-la necessità o possibilità di qualcosa, in Spinoza l’idea di ente esprime una rap-presentazione immaginativa, ossia una idea «in sommo grado confusa». Da quiemerge anche la grande circospezione che si deve assumere rispetto ai CM pernon scambiare come pensiero di Spinoza quel che appartiene invece soltanto aCartesio. In secondo luogo, da questa sola dottrina, che considera l’idea di entecome immaginativa e confusa, segue che una ontologia, intesa come scienza del-l’ente in quanto ente, non è spinozianamente possibile. Si tratterebbe infatti diuna scienza costruita sul fondamento di una idea sommamente confusa e questotentativo sarebbe, anche e soprattutto cartesianamente, destinato al fallimento.In Spinoza non c’è dunque e non possiamo attenderci una ontologia intesa comescienza prima e fondamento di tutte le altre scienze, così come Clauberg e mol-ti altri autori del suo tempo pretendevano.

Tuttavia, se la radicale diversità dell’idea spinoziana di ente rispetto a quel-la di Cartesio è fondata in primo luogo su una diversa idea della natura del cor-po, della sua fisiologia e su una diversa dottrina della immaginazione, vi sonoaltre ragioni, legate a una diversa concezione di essenziali temi ontologici, cherendono impossibile in Spinoza l’ontologia come scienza prima, sostituita inve-ce da una teologia razionale (l’Etica si apre con una dottrina De Deo e non de en-te) fondata su una precisa nozione della sostanza e dell’intelletto. Prima di pas-sare alla esposizione di queste ragioni, rimane però da chiarire perché, pur con-siderando confusa l’idea di ente, Spinoza continui a servirsene, impiegandolapersino e, prevalentemente, riguardo all’ente assoluto e sommamente perfetto,che non potrebbe essere concepito ed espresso se non mediante un’idea chiarae distinta.

15 O 876.

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2.4. La necessaria “ambiguità” del termine ‘ente’

Le ragioni per le quali Spinoza continua a servirsi, sebbene con parsimonia econ riferimento quasi esclusivo a Dio o Sostanza, del termine ‘ente’, sono prin-cipalmente due.

La prima è legata al fatto che le rappresentazione della immaginazione pos-seggono una loro necessità in due sensi: anzitutto perché esprimono una formapropria e ineliminabile della mente nella percezione del mondo; poi perché essenon cessano di prodursi nella loro propria forma e secondo le loro proprie leggi,anche se conosciamo che esse non esprimono qualcosa di reale esistente in na-tura conformemente al modo con cui lo rappresentiamo. Ad esempio, benché co-nosciamo chiaramente che la nozione di tempo è un prodotto della immaginazio-ne e che, fuori dall’immaginazione, il tempo non esiste in natura, continuiamo tut-tavia a produrla e a servircene come di uno strumento per misurare il movimen-to, che invece è un modo dell’estensione realmente esistente in natura. Allo stes-so modo, benché sappiamo che non esistono cause finali in natura, continuiamoa produrre la nozione di fine e a servircene come di un puro strumento mentaleper rappresentare e descrivere il rapporto tra le nostre azioni e il tempo. Così, lanozione di ente sorge nella mente per una precisa ragione, ossia per la nostra im-possibilità di rappresentare distintamente il grandissimo numero di affezioni chemodificano costantemente il corpo umano. E poiché il corpo umano non può esi-stere senza essere continuamente modificato, ossia alimentato, rigenerato ma an-che contrastato e infine distrutto da altri corpi, la nozione di ente è ineliminabilecome quella di tempo, di numero, di misura, di ordine, di fine ecc. senza, tutta-via, che essa esprima qualcosa che esista in natura, e tanto meno una natura co-mune che si partecipi diversamente e indifferentemente a tutti gli enti, infiniti efiniti. C’è però un modo, in Spinoza, diverso da quello al quale si riferiscono gliontologi, di concepire questa natura comune e di poterla indicare con qualchegiustificazione come ente. Ma di questo dirò qui di seguito.

Ora conviene alludere alla seconda ragione per cui Spinoza continui a ser-virsi della nozione di ente, pur considerandola idea sommamente confusa. Essarisiede nel fatto che questa nozione possiede una storia filosofica secolare e cheappartiene al lessico comune dei suoi interlocutori e lettori. E poiché l’autore,come prescrive espressamente nel TIE, intende parlare per farsi intendere dalmaggior numero possibile di uomini, si adatta al linguaggio più generalmentecondiviso offrendo tuttavia, al tempo stesso, gli strumenti per la sua esatta com-prensione e correzione16. Questo uso, particolarmente evidente nella KV, si ac-

16 TIE § 17, sub 1 (O 30).

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compagna a una precisa intenzione demitizzatrice e catartica, come ho mostra-to altrove17. Utilizzando termini tradizionali come Dio, provvidenza, predestina-zione, peccato, grazia ecc., Spinoza intende mostrare che cosa quei termini in-dichino, propriamente e filosoficamente, una volta che siano stati correttamen-te intesi. Lo stesso atteggiamento mi pare venga assunto nei confronti del termi-ne ‘ente’: lo si impiega perché appartiene al lessico comune dei filosofi, ma of-frendo gli argomenti che consentano di intenderlo senza cadere in illusioni e pre-giudizi.

3. La rottura del nesso tradizionale ente-sostanza finita

3.1. Sostanza o ente

Per avviare la riflessione su questo punto, conviene partire dall’unico luogo nelquale ricorra una esplicita identificazione di sostanza con ente. Si tratta di unpassaggio finale dell’Ep 30(9), nel quale Spinoza risponde a De Vries riguardoall’obiezione che questi aveva mossa (anche a nome degli altri amici di Amster-dam che avevano letto il manoscritto della prima parte dell’Etica) alla tesi spi-noziana della possibile inerenza di più attributi a una medesima sostanza. Nel-la risposta Spinoza si serve della identificazione o piuttosto della riduzione del-la nozione di sostanza a quella di ente, più familiare ai suoi amici lettori, perrendere ad essi accessibili i due argomenti impiegati: 1) intendiamo ciascun en-te sotto un qualche attributo e quanta più realtà o essere un ente possiede, tan-ti più attributi gli assegniamo; di conseguenza, all’ente assolutamente infinitodevono competere tutti gli attributi; 2) quanti più attributi assegno a qualche en-te, «tanto più sono costretto ad assegnargli l’esistenza, ossia tanto più lo conce-pisco sotto la forma del vero»18.

Ora, la riduzione della nozione di sostanza a quella di ente può essere inte-sa adeguatamente solo se consideriamo il preciso momento argomentativo alquale l’obiezione e la risposta si riferiscono, ossia a quello che, nell’edizione OP,corrisponde all’inizio dello scolio della P 10 e che nel testo letto dagli amici co-stituiva invece il terzo scolio della P 8. A ben vedere, la difficoltà dei primi let-tori dipendeva da due ragioni: 1) dal non aver compreso ancora esattamente ilsignificato e la portata della dimostrazione con la quale Spinoza provava che nonpossono darsi due o più sostanze dello stesso attributo (e dunque gli amici con-

17 Die theologische terminologie in Spinozas «Korte Verhandeling», «Studia Spinozana», 14, Würzburg2003, pp. 137- 157.

18 O 1319; SO 4, 45, 4-7.

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cludevano che, concepito un certo attributo, deve darsi anche una sola sostanzache lo esprima, e quindi che nessuna sostanza può avere più attributi); 2) dalconsiderare ancora equivalenti e correlate la sostanza infinita o Dio (a cui nonavevano difficoltà di riferire più attributi) e le sostanze finite o infinite nel lorogenere. Non avevano ancora chiaramente compreso che le sostanze finite eranostate eliminate da Spinoza, attraverso le quattro P 5-8, e che le sostanze infini-te nel loro genere erano state trasformate in attributi dell’unica sostanza assolu-tamente infinita. Per evitare le complicazioni derivanti dalla arditezza della dot-trina che stava proponendo, difficile da assimilare anche da parte dei suoi stes-si amici, Spinoza ricorre alla identificazione della sostanza con l’ente e si servedi questa nozione generale per dimostrare la possibilità di inerenza di più attri-buti a una medesima sostanza.

3.2. Non esistono sostanze finite

Il punto nodale delle dimostrazioni iniziali della prima parte è costituito dall’at-tuale P 8: «Ogni sostanza è necessariamente infinita». Poiché Spinoza ha as-sunto, all’inizio del percorso dimostrativo, il punto di vista generale e diffuso,scolastico e cartesiano, della molteplicità delle sostanze, finite e infinite nel lo-ro genere, ora, prima di aver dimostrato che esiste un’unica sostanza (P 14), dinecessità assolutamente infinita, può e deve riferirsi alla sostanza con l’aggetti-vo indefinito ‘ogni’, che implica la loro possibile molteplicità. Quel che importasottolineare è che, se ogni sostanza è necessariamente infinita (la dimostrazioneutilizza le precedenti P 5-7), non esistono sostanze finite o, detto altrimenti, ilfinito non può essere concepito sotto la categoria della sostanza. Si tratta, comeognuno vede, della frattura più radicale che la filosofia spinoziana operi rispet-to alla tradizione aristotelico-scolastica e anche cartesiana.

Alla luce di questa dottrina deve essere anche intesa l’altra tesi centraledella assoluta sproporzione tra infinito e finito19, nel senso, cioè, che non puòdarsi alcuna proporzione tra sostanza infinita e sostanza finita semplicementeperché la sostanza finita non esiste. La nozione di sostanza non costituisce piùil fondamento comune su cui costruire la possibilità di un rapporto tra infinitoe finito. Ciò che li distingue è la diversa relazione tra essenza ed esistenza.Mentre nell’infinito essenza ed esistenza si identificano e perciò l’esistenza del-l’infinito è necessaria e dunque eterna, il finito non esiste in virtù della pro-pria essenza ma soltanto in virtù di una causa prossima. Tuttavia, se l’essenza

19 Ep 70(54) di Spinoza a Boxel, O 1469; SO 4, 253, 8-9.

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e l’esistenza finite non costituiscono sostanza, ma modi dell’unica sostanza, es-se non possono esistere né essere concepite senza o al di fuori della sostanza(E1P15).

3.3. Tutto ciò che ha essere è in Dio e non può essere concepitofuori di Dio

La P 15 della prima parte dell’Etica si incarica di stabilire la condizione ge-nerale di esistenza e di concepibilità di tutto ciò che chiamiamo ente, ossia do-tato di una qualche essenza ed esistenza: «Tutto ciò che è, è in Dio e nientepuò essere ed essere concepito senza Dio». Dopo che la P 14 ha stabilito cheesiste un’unica sostanza assolutamente infinita e che al di fuori di questa nonpuò esistere né essere concepita altra sostanza, tutto l’essere in ogni sua formapossibile si dà come modo immanente della sostanza. L’essere della sostanza ènon soltanto l’identico essere di tutti gli attributi, infiniti nel loro genere e nonaventi nulla in comune l’uno con l’altro; è anche l’identico essere di tutti i mo-di, non “creati” dalla sostanza, ma implicati o compresi eternamente nell’es-sere stesso o nella natura della sostanza. Infatti la P 16 attesta che «dalla ne-cessità della natura divina devono seguire infinite cose in infiniti modi (cioètutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito)». E questo vuol di-re che Dio non è causa prima universale mediante intelletto e volontà ma sol-tanto per natura.

La realtà dei modi è talmente inseparabile dall’esistenza necessaria della so-stanza, ossia dalla sua eternità, che la vera e unica possibilità di intenderli co-me “enti reali” consiste nella loro intellezione sub specie aeternitatis, come in-segna E5P30: «La nostra mente, in quanto conosce sé e il corpo sotto l’aspettodell’eternità, ha necessariamente la conoscenza di Dio, sa di essere in Dio e diessere concepita per mezzo di Dio». Nella dimostrazione si spiega che le cosepossono essere concepite «come enti reali» solo mediante l’essenza di Dio, os-sia «in quanto, mediante l’essenza di Dio, implicano l’esistenza». Ciò non si-gnifica, ovviamente, che l’essenza determinata dei modi implichi l’esistenza; mache essi non possono esistere se non in quanto partecipino di quel medesimoprocesso mediante il quale l’essenza di Dio implica l’esistenza necessaria, ossiase non in quanto siano eterni. Ma l’essenza di Dio è espressa dai suoi attributi;dunque i modi possono essere intesi come reali solo mediante l’idea dei loro at-tributi. Più precisamente ancora, l’eternità dei modi finiti consiste nell’essereradicati eternamente nel modo infinito ed eterno mediato di ciascun attributo.Ciascun modo finito, infatti, può essere considerato attuale o in quanto esistanella durata e nel tempo o in quanto venga concepito sotto l’aspetto dell’eternità

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(E5P29S); ma è evidente che la sua vera realtà è quella eterna, poiché senza diessa non si potrebbe dare neppure l’altra.

3.4. La critica definitiva dell’ente come “natura comune”

Da tale dottrina segue che non esiste altro ente al di fuori della sostanza assolu-ta e infinita, e che tutto ciò che si dà nella sostanza partecipa della sua entità,distinguendosi da questa solo per la sua essenza particolare, ossia per l’essenzainfinita in suo genere espressa da ciascun attributo o per l’essenza, infinita o fi-nita espressa da ciascun modo. Dunque l’entità o essere appartiene solo a Dio,che si identifica con essa; tutte le altre cose, modi immanenti della sostanza, nepartecipano in modo diverso; la diversità della loro partecipazione esprime la lo-ro essenza particolare e coincide con essa.

Se ci poniamo in questa prospettiva comprendiamo perché Spinoza usi il ter-mine ‘ente’ quasi esclusivamente in riferimento a Dio, Sostanza o Natura natu-rante. Ma si comprende anche come venga definitivamente liquidata la possibi-lità di intendere l’ente come “natura comune” che si possa esprimere indiffe-rentemente in Dio e nelle creature, nell’infinito e nel finito, intesi come sostan-ze. La radicale critica spinoziana della sostanza finita elide questa possibilità elascia aperta soltanto la pensabilità dell’infinito come ente. Tuttavia, che cosanell’infinito possiamo indicare come ente? La sostanza in quanto tale? Gli attri-buti infiniti nel loro genere, che ne esprimono l’essenza? I modi infiniti ed eter-ni, immediati e mediati? Se per ente indichiamo una natura comune che sotten-de le differenze, non possiamo ovviamente chiamare enti gli attributi, non sol-tanto perché non esistono in sé e sono solamente concepiti per sé (E1P10), maanche e soprattutto perché, nella loro infinità o perfezione, non hanno nulla incomune l’uno con l’altro. Ma allora neppure i loro modi possono essere identifi-cati con l’ente in quanto ente, perché sono distinti, oltre che dalla differenza rea-le dei loro rispettivi attributi, anche dalla differenza essenziale che li distingue,in quanto modi diversi, nello stesso attributo.

Non esiste dunque in Spinoza la possibilità di riconoscere un ente in quantoente, una natura comune di tutte le cose? Ritengo che tale possibilità esista, seb-bene di ordine completamente diverso da quello che veniva inteso nella ontolo-gia di Clauberg, come ora cercherò, in conclusione, di mostrare.

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4. L’ente in quanto ente, ossia la sostanza unica e assoluta, è natura comune di tutte le cose in quanto indeterminata

4.1. L’unica possibilità di intendere il nesso sostanza-attributi è l’indeterminatezza della sostanza intesa quale esistenza necessaria comune

Gli attributi spinoziani, come si è già accennato, non sono altro che l’evoluzio-ne delle due sostanze infinite nel loro genere di Cartesio, rese infinite anche dinumero e riferite intrinsecamente alla causa prima assoluta o Dio non più comesostanze, ma come essenze o perfezioni che devono necessariamente appartene-re all’essere assolutamente infinito. In questa nuova prospettiva spinoziana del-la causa prima unica e assoluta, concepita come sostanza, gli attributi sono ca-ratterizzati da tre proprietà: 1) non esistono in sé, ma nella sostanza, della qua-le esprimono l’essenza; 2) sono immediatamente concepibili dall’intelletto, checonosce la sostanza non immediatamente e per sé ma attraverso gli attributi; 3.essendo ciascun attributo infinito nel suo genere, ossia esprimendo ciascuno latotale perfezione di una certa essenza, questa non può darsi in nessun altro at-tributo e dunque gli attributi sono realmente diversi l’uno dall’altro, in modo ta-le da non avere nulla in comune.

Ora, la sostanza assolutamente infinita costituisce l’identica esistenza di cia-scun attributo (E1P10), ossia di essenze non aventi nulla in comune l’una conl’altra. Appare dunque chiaro che tale esistenza non potrebbe simultaneamentee identicamente costituire il medesimo soggetto di tutti gli attributi se fosse inqualche modo determinata, ossia in sé e per sé partecipe dell’uno o dell’altro.Non avendo essi nulla in comune l’uno con l’altro, un’esistenza necessaria nonpotrebbe essere quell’identico simultaneo soggetto. Dunque deve essere inde-terminata.

Ho mostrato altrove la possibilità di verificare tale indeterminatezza anche inrelazione a precise dottrine riguardanti i modi finiti: in particolare la definizio-ne dell’uomo, inteso come un solo e medesimo individuo che si può concepiresimultaneamente sotto i due attributi diversi del pensiero e dell’estensione(E2P7S; E2P21S; E3P2S), e la definizione dell’affetto (E3Def3), inteso come si-multaneità dell’affezione corporea e dell’idea di tale affezione20. Ora vorrei trar-re qualche ulteriore indicazione, riguardo alla indeterminatezza della sostanzaspinoziana, dalla corrispondenza tra Spinoza e Hudde.

20 Afectos de la potencia, in El gobierno de los afectos en Baruj Spinoza, edizione a cura di E. Fernán-dez, M.L. de la Cámara, Prólogo de J.M. Navarro Cordón, Trotta, Madrid 2007, pp. 173-185.

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4.2. L’indeterminato nella corrispondenza con J. Hudde (Ep 46-48; G 34-36)

Di tale corrispondenza, certamente più ampia, ci sono giunte soltanto tre lette-re, tutte di Spinoza (gli editori non avevano voluto, verosimilmente, implicare di-rettamente l’allora borgomastro di Amsterdam nella pubblicazione delle OperePostume). La corrispondenza si svolse tra il gennaio e il giugno del 1666, allor-ché Spinoza aveva portato a termine la prima stesura dell’Etica tripartita e si eraaccinto alla composizione del Trattato Teologico Politico.

La corrispondenza con Hudde trae origine dalla domanda che quest’ultimoaveva posto riguardo alla possibilità di dimostrare l’unicità di Dio a partire dal-l’esistenza necessaria posta dalla natura divina (Ep 34). Nell’Ep 35, assumendoil punto di vista del suo interlocutore, Spinoza descrive anzitutto le quattro pro-prietà di un ente esprimente una certa essenza che esista necessariamente perpropria forza (ad esempio, la sostanza estesa). Tali proprietà sono: eternità, sem-plicità, infinità o non determinazione, indivisibilità. Tutte possono riassumersiin una quinta proprietà, che è la pura perfezione di quell’ente nel suo genere.Da tutto ciò segue, infine, che se ammettiamo la possibilità dell’esistenza ne-cessaria di un ente che contiene una sola perfezione nel suo genere, dobbiamoammettere a fortiori la necessaria esistenza dell’ente che esprime tutte le perfe-zioni. La conclusione implicita di tale ragionamento, che Spinoza non trae malascia intuire a Hudde, è che gli enti dotati di una essenza perfetta non possonoesistere autonomamente, perché in tal caso si sottrarrebbero alla perfezione del-l’ente assolutamente perfetto; dunque, se questo deve necessariamente esistere,tutti gli altri devono essere considerati suoi attributi.

Hudde dovette trovare non poche difficoltà nella dimostrazione, se Spinoza,nell’Ep 36, tornò di nuovo sull’argomento riprendendo in dettaglio ciascuno deisei punti esposti nella lettera precedente. Quel che ora ci interessa esaminare èla ripresa della terza proprietà, concernente l’infinità o non determinazione diciascuna sostanza esprimente una certa essenza. Ci interessa cioè esaminare davicino, sebbene sinteticamente, l’esame della nozione di determinato e di inde-terminato.

Spinoza precisa anzitutto che il determinato non denota nulla di positivo, masolo privazione di esistenza della stessa natura che si concepisce come deter-minata; per questa ragione qualsiasi ente esista per propria forza non può esi-stere come determinato, perché in tal caso la limitazione della sua essenza, invirtù della quale esiste, sarebbe anche una limitazione della sua esistenza. Equesto contraddice all’ipotesi. Se dunque l’indeterminatezza compete a ciò cheesprime un certo genere dell’ente, la natura di Dio, che esprime perfezione as-soluta, deve essere per questo assolutamente indeterminata. Ma poiché Dio non

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è il risultato della sintesi di tutti gli attributi esprimenti essenza infinita in suogenere, perché in tal caso gli attributi lo precederebbero, come le parti precedo-no l’intero (contro la sua semplicità), si deve concepire Dio come la necessità as-soluta dell’esistenza, la quale, per esser tale, deve implicare tutti gli attributi.L’assoluta indeterminatezza di Dio significa dunque due cose: 1) che a Dio nondeve mancare nessun attributo, perché altrimenti sarebbe imperfetto; 2) chequella natura assoluta, per essere il simultaneo soggetto esistente di tutti gli at-tributi che non hanno nulla in comune l’uno con l’altro, deve essere in sé neutrae indifferente rispetto a tutte le determinazioni essenziali degli attributi. E que-sta è la vera e propria indeterminatezza o indifferenza della esistenza necessa-ria o sostanza. Senza tale indifferenza l’esistenza necessaria non potrebbe esse-re comune a tutti gli attributi e alle loro determinazioni.

4.3. L’esistenza necessaria comune o sostanza di tutte le cose è potenza assoluta, indeterminata e neutra (E1P34).

Decisiva, per l’intellezione della natura assoluta comune della sostanza spino-ziana, è la P 34 della prima parte dell’Etica, nella quale si afferma che la po-tenza di Dio costituisce la sua stessa essenza (Potentia Dei est ipsa ipsius essen-tia). Tale proposizione, come credo di aver provato altrove21, non significa sol-tanto che la potenza e l’essenza di Dio coincidono, nel senso che la potenza nonpuò estendersi oltre la sua essenza; ma significa anche che l’essenza di Dio è co-stituita, propriamente, da potenza assoluta, come si legge nella dimostrazionedella stessa proposizione. Se dunque è unica la sostanza, è unica anche la po-tenza, perché questa non costituisce una proprietà della sostanza, ma la sostan-za stessa. Questa tesi permette di intendere a pieno la riduzione spinoziana del-l’entità del finito a determinazione della potenza infinita della sostanza unica ei rapporti tra individui fisici e mentali come rapporti di forza o potenza. Permet-te al tempo stesso di intendere perché l’autore faccia coincidere il diritto di cia-scun ente con la sua forza o potenza, con la quale si identifica anche, infine, laperfezione.

Questa dottrina spinoziana della potenza, intesa come principio indetermi-nato unico di tutte le cose, si colloca al centro di una tradizione di pensiero chenella filosofia occidentale, per limitarci all’età moderna, può essere fatta risali-re alla tesi della quidditas absoluta identificata con il posse ipsum del Cusano

21 Le Dieu-Substance de Spinoza comme «potentia absoluta», in Potentia Dei – L’onnipotenza nel pen-siero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M.A. Granada, Y.Ch. Zarka, Franco Angeli, Milano 2000,pp. 387-409.

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(De apice theoriae, 1464), viene ribadita nel De la causa di Bruno e trova una ul-teriore formulazione nella dottrina della Volontà di Schopenhauer. Sembra in talmodo configurarsi nell’ambito della filosofia moderna una tradizione ontologicadel principio indeterminato, diversa e per molti aspetti alternativa a quella chetenta di pensare l’ente in quanto ente come natura comune indeterminata.