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NICOLA SEVERINO

ANTOLOGIA DI STORIA

DELLA GNOMONICA

PRIMA EDIZIONE ROCCASECCA 1995

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Premessa:

Durante le ricerche di gnomonica condotte nei precedenti anni e rivolte soprattutto ad alzare il velo di polvere che copre e rende faticosa la conoscenza della storia degli orologi solari, ho avuto modo di “accumulare” vario materiale che, per varie ragioni, non è stato utilizzato appieno nelle mie pubblicazioni. Questo materiale “spurio” è costituito per la maggior parte da fogli singoli, opuscoli, articoli, disegni, immagini, appunti, brevi notizie e stralci presi da vari studi, erudizioni, lettere e commentari di matrice diversa, come libri antichi, codici manoscritti, relazioni del ‘600-’700, cataloghi di antichità, dizionari, enciclopedie e, infine, anche da libri e riviste moderni sui più svariati argomenti, dall’egittologia, alla magia, dall’archeologia all’astronomia.

Ho pensato di mettere finalmente insieme tutto ciò e di

ricavarne questo volume che non ha pretesa alcuna se non quella di rendere di pubblico dominio “frattaglie” gnomoniche del passato o immagini moderne che, in qualche modo, possono risultare interessanti per il lettore ed appassionato di gnomonica.

Non da ultimo, ho voluto inserire anche vari articoli e

considerazioni su taluni aspetti tecnici e storici della gnomonica derivanti da brevi articoli, o scritti su diverse esperienze pratiche realizzate da alcuni studiosi del passato. Anche in questo caso si tratta di documenti rari che è sempre più difficoltoso trovare e soprattutto averne una copia.

Più volte mi è capitato di leggere che spesso si trovano notizie ed immagini interessanti, a volte sconosciute, anche da testi molto modesti, semplici ed elementari ma che, a volte, sono corredati di una iconografia molto ricca. Molti dei miei lavori dimostrano che l’appassionato cultore di una disciplina come la Gnomonica può trovare cose interessanti anche in un libro semplicissimo e non specialistico. Quante volte, per esempio, gli esperti hanno potuto ammirare immagini sconosciute di

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strumenti astronomici (spesso è stato il caso degli astrolabi e di orologi solari) su libri di storia per le scuole medie inferiori e superiori, o sulle pagine di piccole enciclopedie, dizionari e riviste “insospettabili”?

Anche questo è un motivo per il quale si è pensato di

pubblicare in queste pagine alcune tra le cose più rilevanti che fanno parte del materiale che ho trovato in circa otto anni di attività . Si è cercato, inoltre e per quanto possibile, di creare un nesso tra i vari argomenti, di raggruppare insieme i piccoli “ritagli” che offrono scarse possibilità di commenti, ivi comprese quelle immagini che rappresentano solo dei semplici orologi solari.

Ringrazio tutti quanti hanno voluto collaborare a questa iniziativa e spero di aver fatto cosa gradita al lettore.

Nicola Severino maggio 1995 Roccasecca Seconda ristampa, Roccasecca 2011 La presente ristampa, riveduta e corretta, rispecchia in

modo fedele i contenuti dell’edizione originale di questa opera, pubblicata per la prima volta nel 1995 in formato fotocopia A4 e rilegata con spirale.

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UN OROLOGIO VERAMENTE UNIVERSALE: IL GLOBO ANDANTE !

Il XVII secolo è caratterizzato da un generale, vivo,

rinnovamento dell’arte gnomonica, che lascia indelebili tracce nella ricerca teorica da una parte, con personaggi come Ozanam che oramai impronta addirittura un dizionario di gnomonica a coronamento di eccellenti studi matematici (dichiarati Recreation), i quali rappresentano ancora oggi la summa della gnomonica illuministica, e dall’altra con quelle schiere di appassionati, dilettanti, antiquari, detti Cadraniers che, in qualche modo, cercano di stare al passo con i tempi, inventando nuove soluzioni pratiche per la costruzione di orologi solari, soprattutto di quelli portatili.

In questo fervente clima di intensa attività gnomonica, dopo che Kircher aveva lasciato un Museo di antichità con ogni ben di dio dal punto di vista gnomonico che, probabilmente, neppure riusciamo ad immaginare; dopo che erano stati inventati globi terrestri e celesti di tutte le dimensioni (si pensi al fantastico Planisfero di Norimberga grande quanto un palazzo a cinque piani) ed orologi solari fin sulle stelle marine, ecco comparire un nuovo strumento astronomico-gnomonico. Proprio come vuole la tradizione, cioè che sia utile per ravvisare il tempo che scorre e, insieme, mostrare fedelmente i fondamenti che stanno alla base della misura del tempo: il movimento dei principali corpi celesti, il Sole e la Luna.

L’idea non è nuova. La rappresentazione del movimento dei corpi celesti abbinata al computo del tempo si ritrova in molti luoghi storiografici. Per esempio, negli Atti del Martirio di S. Sebastiano, del Prefetto Cromazio, si legge: “Ho la stanza da letto tutta di vetro, ho disegnato tutto l’ordinamento delle stelle e la meccanica celeste...”. Tuttavia, non mi sembra sia stato mai tentato di costruire, o meglio, trasformare un globo celeste esamine, in uno strumento pregevole che per mezzo del moto mostrasse tutte le cose più importanti della gnomonica e dell’astronomia sferica.

E’ quanto fece Francesco Generini per il Granduca di

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Toscana Ferdinando Secondo. Di questo Globo Andante, come fu chiamato dall’autore stesso, pare ci resti solo una breve descrizione ed una figura fatta dal Generini, “scultore fiorentino”, e pubblicata nella Stamperia del Massi e Landi in Firenze nel lontano 1645.

Tale pubblicazione è scritta in italiano e, sebbene, non

molto chiara in diversi punti, si presta benissimo per un’adeguata descrizione dello strumento che nessuno potrebbe fare meglio, se non l’autore stesso.

Già dal frontespizio dell’articolo si comprendono i meriti

principali del Globo Andante, “...Formato da lui per mostrare il Moto Diurno, Lunare, et Annuo. Con l’inequalità de’ giorni, e delle Ore Naturali, e Artificiali sinora per alcuno Strumento non veduta Operare...”.

Generini era ben cosciente di aver realizzato un’opera che

non aveva precedenti e ciò l’afferma apertamente e serenamente: “L’haver avvertito, Cortese Lettore, che nel rappresentare con istrumenti, si piccoli, come grandi, fabbricati fin qui, sotto nome per lo più d’Orioli, la distribuzione Oraria del Tempo, cagionata dal moto de’ Cieli, con altre loro Operazioni, rese a noi per detti strumenti sensibili, e visibili, nessuno per ancora, che sia per diligenza fattane, venuto a mia notizia, ha tentato non che fatto attualmente vedere la detta Oraria distribuzione in un Corpo Sferico, che nel muoversi, portando seco i due maggiori Luminari, in uno stesso tempo ne rappresenti all’occhio de’ Riguardanti, sopra e sotto il nostro Emisfero, secondo il sito, e positura de’ Cieli, il Moto Diurno, e Notturno, col nascere, e tramontar del Sole, secondo l’Equalità, e Inequalità de’ giorni, si Naturali, come Artificiali. Il Corso Lunare, e Solare, con altre non men curiose, che nuove rappresentazioni, che a questi Moti conseguono. Il non haver veduto talcosa fatta finora, m’indusse (stimando io tutto questo fattibile) a tentarne, si come feci, l’impresa...”.

Inoltre, egli è oltremodo sicuro di essere il primo a costruire tale strumento per il fatto che si sia trattato di una

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novità anche quando fu presentato ad un Personaggio d’Altezza straordinaria, che dilettandosi molto di questi studi ha potuto vedere ciò che in questo genere è finora comparso nella scena del Mondo...”. Non è escluso che il personaggio di cui parla Generini sia Galileo, considerato che è scomparso solo tre anni prima della pubblicazione dell’articolo sul Globo Andante.

Bellissima la fine della dedica “A’ Lettori”, intrisa di umiltà: “...Se all’incontro ci scorgessi per mia malasorte, qualche imperfezione, che forse non sarà gran cosa, benché mi sia ingegnato di sfuggirle al possibile, ricordati, che siamo Uomini, e compatiscimi”.

Il Globo Andante E’ uno strumento formato essenzialmente da un grande

globo celeste (fig. 1) dotato di movimenti di rotazione sul proprio asse e di circoli celesti. Le tre operazioni fondamentali che in esso si possono vedere sono il movimento diurno, lunare ed annuo.

Il moto diurno è visibile per mezzo della sua rotazione, imperneata sui due poli del Mondo, da Levante a Ponente. Ne segue che le stelle fisse segnate con le loro immagini sul globo, si vedranno sorgere, transitare in meridiano e tramontare, proprio come accade sulla sfera celeste.

Il corso lunare è ottenuto per mezzo del semicircolo H che ha ad un estremo l’immagine della Luna e nell’altro il suo Nadir. Tale semicircolo oltre a muoversi da Est verso Ovest “con la violenza del Primo Mobile si vede anco mosso con proprio moto da Ponente a Levante in su’ Poli del Zodiaco e con e con 27 giorni astronomici, e un terzo terminare una sua Revoluzione...”. Un movimento completo quindi per il moto lunare con la possibilità di osservare i gradi dei segni zodiacali nei quali il satellite si trova, rispetto al Sole.

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Figura 1

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Il moto annuo, o solare, viene rappresentato per mezzo del semicircolo E, che ha in una delle sue teste l’immagine del Sole e nell’altra il suo Nadir, in uno spazio di 366 giorni astronomici (senza tener conto degli anni bisestili). Il Sole viene mosso non solo dal Primo Mobile da Levante a Ponente (sui poli celesti, seguendo gli spostamenti in declinazione del Sole), ma di moto proprio da Ponente a Levante (seguendo il moto diretto del Sole sull’eclittica). Un Sole artificiale quindi che segue fedelmente il cammino dell’astro vero nel cielo, mostrando anche la sua posizione rispetto alle costellazioni dello zodiaco.

Altri due semicircoli sono quello dell’Equinoziale M che divide il cielo in due emisferi uguali e quello dell’Eclittica, L, “strada impermutabile del Sole”. Sul primo sono riportate le ore Astronomiche ( o, appunto, equinoziali), e sull’Eclittica il vero sito del Sole e della Luna. Altri quattro cerchi sono i due Tropici del Cancro e del Capricorno, il Meridiano e l’Orizzonte. Nei due Tropici si vedono descritte le ore Temporarie e Italiche, per mezzo di sottili fili: “retti, sottili e di rame quelli dell’Ore Artificiali, più grotteschi, obliqui e d’ottone quelli dell’ore naturali”. Il meridiano, di cui è riportata solo una parte (G), ha il suo prolungamento che separa le spalle dell’Ercole posto a sostenere il Globo. I fili che “materializzano” le ore mostrano, nel loro intrecciarsi, la durata dei giorni, ovvero la loro disuguaglianza, nel corso dell’anno. E’ quanto si può osservare nei comuni orologi solari ad ore italiche e babiloniche. Naturalmente anche nel Globo si ricava l’ora del sorgere e del tramontare del Sole in ogni stagione dell’anno.

L’orizzonte CO, come si vede. è stato messo non in piano, come andrebbe, ma pendente, alto di sopra e basso di sotto, e ciò perchè “più comodamente si rappresenti alla vista di chi ne ricerca il sito e l’operazione”.

Fin ora possiamo riassumere le operazioni che permette di effettuare un simile strumento:

• L’ascensione retta dei Segni; • Il vero luogo del Sole e della Luna in ogni giorno; • L’altezza, la latitudine e la declinazione del Sole

della Luna, dei Pianeti e delle stelle; • La distinzione delle ore diurne da quelle notturne;

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• Quale sia ad ogni momento il corrente ascendente; • Quale sia la quarta, la settima e la decima Casa del

Cielo (ore Planetarie); • Le congiunzioni e gli aspetti del Sole e della Luna;

Tutte queste operazioni possono ricavarsi in poco tempo,

un una sola osservazione e, in più, con la meraviglia della vista di tali movimenti che crea la particolarità cercata da Generini: “E questa è una di quelle particularità della nostra opera, che la distingue con qualche vantaggio dagli Oriuoli, e altri strumenti simili, che la sottigliezza degli artefici ci ha finora fatto vedere”.

Infine, Generini spiega che il moto allo strumento può

essere dato in tre modi: per mezzo di contrappesi verticali, cioè che operino perpendicolarmente al piano orizzontale, ragion per cui il cerchio dell’orizzonte non può essere posto in piano, ma pendente; per mezzo dell’acqua, e in tal caso il cerchio dell’orizzonte può mettersi in piano; per mezzo di un sistema di molle o tiranti dentro al globo. Secondo Generini, la soluzione migliore è quella del moto per mezzo dell’acqua.

Il Globo Andante fu fabbricato da Francesco Generini in

materiali di bronzo, ma può essere realizzato anche in ferro, rame, ottone, argento o altri metalli. Tra tutti i globi terrestri e celesti costruiti fino a quel tempo, quello del nostro autore, per la sua originalità, sicuramente rappresenta un pezzo unico nel catalogo degli strumenti astronomici e gnomonici.

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L’OROLOGIO SOLARE DI GLAUCO DE MOTTONI

L’introduzione del tempo medio, nella seconda metà del

secolo scorso, si tradusse nelle numerose ricerche, da parte degli gnomonisti, di metodi geometrici e pratici per la rappresentazione, il più possibile semplice e chiara, della correzione del fuso e dell’equazione del tempo, sul quadro degli orologi solari.

Dal punto di vista gnomonico, però, risultò subito chiaro che la lettura del tempo medio sull’orologio solare, effettuata attraverso la cosiddetta “lemniscata”, pone qualche problema.

Il primo è dovuto al fatto che, essendo la costruzione della “lemniscata”, a forma di 8 allungato, molto laboriosa - come ben sanno gli gnomonisti dilettanti - viene, in genere, realizzata solo per la linea oraria del mezzodì, cioè sulla linea meridiana.

Perciò, i due maggiori problemi relativi alla lettura del

tempo medio sugli orologi solari sono legati al fatto: • che l’ombra dello stilo, esclusi i momenti attorno al

mezzodì, si trova sempre lontana dalla curva lemniscata posta sulla linea meridiana. Ne segue che non è possibile individuare con precisione il punto della lemniscata sulla quale si legge la correzione;

• che la detta correzione, in alcune epoche come quelle attorno ai solstizi, varia notevolmente da un giorni all’altro, rendendo la lettura difficoltosa anche se si dispone di una scala perpendicolare alla linea meridiana.

Alcuni autori hanno cercato di eliminare il primo

inconveniente riportando una lemniscata per ogni linea oraria. Uno dei primi orologi, e il più completo e preciso sotto questo aspetto, è certamente quello realizzato dall’astrofisico Padre Angelo Secchi nella piazza di Alatri (FR), nel 1875, ma è famoso anche quello di Aosta, eseguito da Capitano Enrico A.

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D’Albertis. Mentre A. Jarson 1 per rimediare alla seconda difficoltà,

ha pensato di riportare direttamente i valori della correzione ad intervalli regolari di tempo, ma in questo caso l’interpolazione tra i valori segnati sul quadrante non permette una lettura sufficientemente precisa della correzione, soprattutto nei punti in cui la lemniscata è più ampia, come nei periodi dei solstizi.

Glauco De Mottoni, in occasione della realizzazione di un

orologio solare su di una parete dell’Osservatorio di Genova, pubblicò, nel novembre del 1945, un breve articolo in cui propone un semplice accorgimento mirato ad eliminare i due inconvenienti seguendo il criterio di ingombrare il meno possibile il quadro dell’orologio.

Il risultato è immediatamente visibile nella fig. 2 eseguita

dal De Mottoni stesso. Si tracciano le “curve diurne” corrispondenti alle declinazioni del Sole, per esempio, di 5 in 5 gradi, chiamate dall’autore curve isocline. Tali curve servono “a guidare l’occhio nel riportare la posizione dell’ombra all’istante della lettura, a qualunque ora del giorno, alla posizione corrispondente in meridiano a mezzogiorno vero”. Questo accorgimento dovrebbe eliminare la prima difficoltà, cioè la distanza del vertice d’ombra dello stilo dalla linea oraria del mezzodì.

Per la seconda difficoltà, al posto della lemniscata e del groviglio di numeri o di date che ingombrerebbero il quadrante, De Mottoni propone di riportare, servendosi dell’allineamento dato dalle curve diurne (isocline), i valori della correzione da effettuare col seguente criterio:

sul bordo sinistro sono riportati i valori della correzione con il loro segno per il periodo che va dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate; sul bordo destro i valori della correzione che saranno letti durante il periodo che va dal solstizio estivo al solstizio invernale. L’uso è reso oltremodo chiaro dalla scritta 1 Bull. Soc. Astr. de France, 1937, p. 284

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riportata sullo quadro stesso dell’orologio: “All’ora segnata dall’ombra aggiungere col loro segno i minuti letti lungo le tratteggiate sul bordo sinistro se i giorni si accorciano, sul destro se si allungano”.

I valori riportati sui bordi del quadrante forniscono la

correzione per l’equazione del tempo e la differenza di longitudine tra il luogo e il meridiano centrale del fuso orario, così da fornire direttamente l’ora media civile, con l’approssimazione del minuto. E precisa che “volendo ottenere dal quadrante la correzione per l’ora dell’Europa Centrale (ora ufficiale italiana) in luogo di fare riferimento al meridiano di Monte Mario, la differenza di longitudine si computerà a partire dal meridiano dell’Etna”.

Nel caso della fig. 2, si vede il vertice dell’ombra stilare che corrisponde al 5 giugno a ore 10 e 20 minuti di tempo vero locale. “Seguendo la linea isoclina idealmente passante per la punta dell’ombra, fin sul bordo destro del quadro (dato che i giorni si allungano) sulla scala che occupa questo bordo si legge la correzione * 11 minuti. L’ora civile del momento è quindi di 11 minuti maggiore dell’ora solare vera locale ed importa perciò 10 ore e 31 minuti”.

Ad ogni modo, il suggerimento del De Mottoni è degno

di nota perchè abbastanza pratico da essere attuato con facilità e sufficientemente preciso per la lettura delle correzioni.

L’unica difficoltà è forse data dalla costruzione delle numerose curve “isocline” che non agevolano certo il costruttore con poca esperienza.

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Figura 2

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IL TRACCIAMENTO DELLA LINEA MERIDIANA IN UN DOCUMENTO DI SILVESTRO II PAPA

Tracciare la linea meridiana sul quadro dell’orologio

solare è una delle operazioni più importanti dell’intero procedimento costruttivo. Lo gnomonista, nel tracciare la linea meridiana, sente di compiere un gesto simile a quello di infiggere lo stilo nel muro, sente l’emozione di catturare e riportare indelebilmente sul muro il momento più importante dell’intera giornata: il mezzogiorno vero solare, l’antico meridies dei Romani.

L’importanza di conoscere con la massima precisione

possibile l’istante del mezzogiorno solare vero locale, spinse i costruttori di orologi solari di tutti i tempi a cercare metodi che soddisfino a due essenziali condizioni: la praticità e semplicità d’operazione e il massimo contenimento degli errori di lettura.

Il metodo più comunemente usato in tutte le epoche hanno ricevuto varie denominazioni: “metodo dei cerchi concentrici”, “dei giardinieri”, “dei cerchi indiani”, ma l’appellativo forse più “scientifico” e giusto è “metodo delle altezze corrispondenti”. Infatti, il procedimento poggia le sue basi sul fatto che ad ore equidistanti dal mezzogiorno il Sole si trova ad eguali altezze sull’orizzonte e quindi produce ombre di eguale lunghezza.

A dire il vero, questo metodo non è matematicamente

molto corretto in quanto per gli inevitabili errori che si commettono nell’operazione pratica, per l’incertezza della definizione dell’immagine del punto d’ombra dello gnomone e per la variazione della declinazione del Sole nello stesso giorno in cui si esegue l’operazione, la serie di punti appartenenti alla linea meridiana cercata non saranno rigorosamente su una retta.

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In ogni caso, se si esclude il periodo degli equinozi e si sceglie quello vicino ai solstizi, in modo da ottenere la minima variazione di declinazione del Sole, il risultato potrà riuscire abbastanza bene giacché l’errore è così esiguo da poter essere trascurato.

Sommariamente, il metodo consiste nell’impiantare uno

stilo perfettamente verticale si di un piano orizzontale e descrivere diversi archi di cerchio concentrici. Ad ore equidistanti dal mezzogiorno si osservano e si annotano i punti di intersezione dell’ombra dello stilo con detti circoli. Congiunti i punti segnati con delle linee, si tira una retta indefinita ad esse perpendicolare e che passa per il piede dello stilo: questa sarà la linea meridiana.

“Questa antichissima esperienza - scrive il Pasini 2 -

venne solo questi ultimi tempi applicata anche ai piani verticali, e si può anche estenderla ai piani obliqui, ma in questi due ultimi casi non è la meridiana che con questo mezzo di viene a determinare, ma la sustilare ovvero la proiezione ortogonale dello stilo sopra i detti piani”.

Il metodo delle altezze corrispondenti è indubbiamente

molto antico, e sembra risalire addirittura a Euclide, il quale, secondo quanto scrive Giovanni Battista Vimercato 3, si curò di darne la prima dimostrazione: “Mi piace questa ragione (teoria), et mi par molto giusta. Non può esser se non giusta perchè Euclide, che la dimostra...”.

Mentre Emanuele Gallarati 4 ci fa sapere che anche Vitruvio ne fece cenno nel cap. VI del Libro I della sua Architettura.

Un’altra descrizione, abbastanza particolareggiata, ci è stata lasciata dal monaco Beda il Venerabile nell’VIII secolo d.C. in una sua opera molto famosa. Propongo di seguito un 2 Claudio Pasini, Orologi solari, Angelo Draghi Ed., Milano 1900, p. 39 3 G.B. Vimercato, Dialogo de gl’horologi solari, Venezia, 1586 4 E. Gallarati, La retta oraria del mezzogiorno...”, Carlo Brigola Ed., Milano 1872, p. 30, probl. VIII

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breve passo, tratto dall’originale, relativo al metodo di ricavare la linea meridiana, che il dotto monaco scrisse nel suo solito latino dalla chiarezza cristallina:

“AD MERIDIEM INVENIENDUM”

Circumscribe in plana tabula circulum, cujus centro rectissime infine gnomonem tante longitudinis, ut umbra ejus praedictum circulum excedat; et diligenter vide, quando predicta umbra incipiat recipi infra ipsius circuli ambitum, et vestigia ejusdem umbrae se contrahentis punctis cautissime nota. Simili observantia vide quando iterum circuli limitem exsierit (quod siet transacto meridie, cum rursus declinatus umbra inferiora recepit) et ibi similiter puncta affige. Postea spatium, quod est inter haec puncta, a centro per medium recta linea divide. Postera vero die causa probationis explorans, caute iuture quando umbra gnomonis praedictum lineam operuerit, et tunc certo meridiem esse non dubites”5

5 Beda, Libellus de mensura horologii”, sec. VIII, ed. Petz

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Figura 3 Metodo di Gerberto d'Aurillac

Dopo Beda si può segnalare un metodo simile, nell’opera

“Geometrice” del monaco Gerberto d’Aurillac, divenuto Papa col nome di Silvestro II (sec. XI). Purtroppo il testo della descrizione mostra molti punti oscuri, come si può notare dalla nota inserita dal copista; mentre la figura è ripresa tal quale dal codice manoscritto, compilato da Gerberto attorno all’anno Mille (Fig. 3). Tuttavia, abbiamo un’altro passo della sua opera che richiama chiaramente al metodo delle altezze corrispondenti. La descrizione è ricavata dal libro “Gerberto o sia Silvetro II Papa

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ed il suo secolo” di C.F. Hock, stampato in Milano nel 1846: “Si scelga una pianura volta a mezzogiorno, vi si pianti uno gnomone, si segni l’ombra che questo protende a sesta, e si descriva un circolo, prendendo per raggio la lunghezza dell’ombra, per centro il punto in cui è infisso il gnomone. L’ombra dello spillo cade ora al di qua ed ora al di là della linea circolare; si segni il punto in cui l’ombra cade sulla linea circolare, si unisca questo punto con quello fissato all’ora sesta del mattino, si divida in due parti eguali questa linea, e dal punto della divisione si conduca una linea al gnomone; questa linea è il meridiano...”.

Una vasta trattazione dei metodi per trovare la linea

meridiana si trova nell’opera di Cristoforo Clavio, Gnomonices libri octo, pubblicata a Roma nel 1586. Principalmente egli espone tre metodi 6:

a) trovare la linea meridiana per mezzo dell’astrolabio; b) per mezzo dei “seni”; c) per mezzo dell’analemma, come aveva già insegnato

tempo prima Giovanni Battista Benedetto nella sua “Gnomonica”.

Dal secolo XVI in poi se ne trova cenno in qualche opera

di gnomonica di J. Ozanam, D. Gregorio, Pappiani ed altri. Verso la fine del 1800 fu Emanuele Gallarati a pubblicare un libro intero sui metodi geometrici ed analitici per tracciare la linea meridiana in piano orizzontale e verticale.

Ma vorrei considerare un libro più raro e meno conosciuto in cui si avverte maggiormente l’importanza di tracciare con precisione la linea meridiana, a garanzia della buona riuscita e precisione di un orologio solare. In questo libro, intitolato “Gnomonica pratica”7, l’autore, un monaco di nome Giuseppe Pandolfi, descrive anche l’antico metodo della “altezze corrispondenti” che, per completezza d’informazione, vorrei riportare interamente, anche perchè si tratta di una delle rarissime descrizioni particolareggiate di tale metodo. Inoltre, 6 C. Clavio, Gnomonices Libri octo, Romae, 1586, pagg. 82-86. 7 Giuseppe Pandolfi, Gnomonica Pratica, Lavagna, 1925

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sempre in questo volume, il Pandolfi dà un metodo originale, come la maggior parte che presenta, che permette di eseguire il procedimento delle “altezze corrispondenti”, ma adoperando al posto del piano orizzontale con sopra uno stilo, uno strumento da lui inventato e rappresentato nella Fig. 4.

Figura 4 Strumento di Pandolfi per il tracciamento della linea meridiana

La “Dichiarazione” fatta dall’autore all’inizio del libro

vale la pena di essere letta da chi ama la gnomonica:

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“Poichè di Gnomonica mi occupai con passione fin dai primi anni giovanili e me ne sono occupato fino ad ora che posso dirmi vecchio, parve bene a’ miei amici che non dovessi chiudere gli occhi, prima di raccogliere e pubblicare le mie memorie,le mie prove; e, nonostante le difficoltà ch’io misi loro innanzi, essi mi fecero tale insistenza perchè io mi mettessi al lavoro, che alla fine dovetti cedere.

Per accontentare adunque persone care, incominciai a scrivere del modo di costruire in un giorno solo, anzi, dopo fatti i preparativi necessari, in poche ore, la linea meridiana sopra un muro e di costruirla in qualunque luogo sella Terra dalla lat. 60° Nord alla lat. 60° Sud, coll’errore o incertezza di pochi secondi...”.

Metodo delle altezze corrispondenti

Il metodo di costruire sopra un muro la linea meridiana,

metodo cosiddetto della altezze corrispondenti del Sole, dagli autori di gnomonica viene descritto press’a poco così:

Sopra una superficie perfettamente piana e orizzontale, che non si pieghi a star esposta al Sole per lo meno dalla mattina di un giorno al mezzodì del giorno successivo, si pianta, con sostegno ben fisso, uno gnomone, cioè una piastra di ferro disposta orizzontalmente con in mezzo un piccolo foro. E, fatto centro in questo foro, si descrivono sulla superficie vari archi di cerchio. Alla mattina si segna il punto in cui il raggio del Sole, che passa per il foro, tocca uno di questi cerchi per andarvi dentro; alla sera si segna il punto in cui il raggio di sole tocca il medesimo cerchio per uscirne fuori. Quando non si fa l’operazione ai solstizi, si corregge questo punto della sera mandandolo innanzi o indietro sul medesimo arco per modo che disti dal mezzogiorno quanto il punto della mattina.

Siano a, b (fig. 5) i due punti segnati. Fatto centro in a, e poi in b, con ugual raggio si descrivono due archi di cerchio che s’incontrino in c,d. Si tiri cd: la cd sarà la linea meridiana costruita su un piano orizzontale.

Il giorno dopo, quando il raggio di sole, che passa per il foro della piastra, è esattamente sulla cd, si segna sul muro il

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punto in cui l’ombra dello stilo piantata nel muro incontra il muro. Per quel punto si tira una linea verticale: sarà tracciata sul muro la linea meridiana. Questo a un dipresso il metodo generalmente seguito.

Figura 5

Il metodo delle altezze corrispondenti lo si ritrova, ogni

tanto, su qualche muro di antichi castelli, conventi e palazzi ove i costruttori di orologi solari eseguirono lasciarono le loro impronte. A volte mi è capitato di vedere su una stessa facciata il quadro dell’orologio principale ben decorato e finito, e poco distante dei piccoli riquadri in cui si scorgevano dei cerchi concentrici suddivisi da varie rette. Un esempio degno di nota mi pare quello che ho potuto vedere all’incirca nel 1989 su una parete esposta perfettamente a Sud dell’antico chiostro della certosa di Trisulti a Collepardo (Fr). Non saprei dire quando fu eseguito quel lavoro, ma è probabile che non sia posteriore alla realizzazione del bell’orologio solare che si ammira a pochi metri da questo, su una facciata orientata nello stesso modo, e risalente, probabilmente, al XVIII secolo.

Il metodo delle altezze corrispondenti eseguito sulla prima parete (fig. 6) non fu mai cancellato, se non dalla mano

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incuriosa dell’uomo, sicché oggi questa traccia gnomonica è scomparsa per sempre. Nell’immagine si vede una serie di 4-5- circoli (che ho ricalcato per meglio evidenziarli) concentrici e 7-8- linee che partono dal centro comune ai circoli come fossero le rette orarie di un orologio verticale.

Figura 6 Metodo delle altezze corrispondenti su una parete della Certosa di Trisulti

Per terminare, riporto un altro passo di Pandolfi, utile per

i preziosi consigli pratici ai costruttori di orologi solari, relativo alla realizzazione della linea meridiana sul muro.

E’ da notare che il metodo delle altezze corrispondenti, eseguito alla stessa maniera del piano orizzontale, da per risultato la linea sustilare.

Modo di dipingere sul muro la linea meridiana Supposto che si voglia contentare della linea meridiana

bisogna 1° segnarla di tal larghezza che sia visibile alla distanza da cui si suole osservarle e 2° tingerla in modo che il color della linea esposta al Sole e all’acqua non ismarrisca.

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1. Per ottenere che la linea della meridiana abbia

larghezza conveniente, faccio delle prove. Sopra un foglio di carta applicato sul muro segno linee di varia larghezza; vado al luogo da cui si suol guardare la meridiana e osservo quale di quelle linee ha la larghezza necessaria perchè sia ben visibile. Suppongo (nel mio caso) che la linea meridiana sia ben visibile con la larghezza di mm. 5.

2. Perchè al Sole e all’acqua il color della linea meridiana non ismarrisca, con un piccolo scalpello pratico su di essa un solco e opero a questo modo: Parallele alla meridiana e alla distanza di 4 mm da essa tiro due linee, l’una a destra e l’altra a sinistra: le tiro ben sottili e appena visibili a guardarle da vicino. Il solco lo faccio largo mm 5 e sempre ugualmente distante dalle parallele tracciate. Prendo del nerofumo, lo stempero in un po' di latte e con un pennellino tingo in nero il solco fatto. Sarà una linea che non ismarrirà mai.

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IN RICORDO DI UNO GNOMONISTA: GIUSTO BELLAVITIS

In ricordo di uno gnomonista oggi poco conosciuto, ma

tra i più importanti del secolo scorso, vorrei qui riportare un documento tratto da un suo autografo rinvenuto nella Biblioteca del Museo Civico di Bassano Veneto e pubblicato a cura del prof. Gaetano Fasoli in una rivista di qualche decennio fa e ora difficile a reperire.

Un piccolo necrologio del prof. Bellavitis è doveroso: “Il Conte Giusto Bellavitis nacque in Bassano veneto il

22 novembre 1803 da Ernesto e Giovanna Navarrini; morì il 6 novembre 1880 nella sua villa di Tezze, presso Bassano, dopo aver trascorso tutto il giorno a Padova agli esami. Il patrimonio della sua famiglia, quando egli nacque, era impoverito, per sfortunati eventi. Ma, dotato di grande ingegno e di ferrea volontà, seppe istruirsi senza alcun altrui aiuto, e passò la giovinezza attraverso grandi difficoltà. Dapprima ebbe modesti incarichi, quale insegnante di matematica nelle scuole secondarie in Vicenza ed in Padova, ove fu notato per i suoi geniali scritti, fra i quali va segnalata la teoria sulle equipollenze. Per tali meriti fu nominato professore di geometria

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analitica all’Università di Padova. Il 2o agosto 1845 avrebbe dovuto sostenere l’esame di laurea, condizione necessaria per conseguire la cattedra. La Commissione con voto unanime lo esonerò, e pertanto il Bellavitis iniziò la sua splendida carriera universitaria col 1845. Fu veramente patriota, sotto il regime austriaco, senza manifestare idee politiche. Nel 1866 liberato il veneto, appartenne alla commissione che recò omaggio a re Vittorio Emanuele II. Il 3 novembre 1866 fu eletto Rettore Magnifico dell’Università. Fu amico dell’illustre naturalista Giambattista Brocchi, ed in seguito fu nominato senatore.

Il Bellavitis fu rigoroso esaminatore, benchè equanime. persona di spirito, talvolta salace con gli studenti. Si ricordano molti aneddoti durante gli esami. Ad uno studente poco preparato, che disse di volersi annegare se non fosse promosso, rispose: “Non abbia paura, le zucche stanno a galla”.

Prima di morire scrisse il suo annuncio mortuario, per non lasciare alla famiglia il dolore di scriverlo. Nel 1881 vennero murate due lapidi in memoria sua. Una fu collocata all’Università di Padova, e l’altra in Bassano, sulla facciata della sua abitazione, in Via Verci”.

L’autografo del Bellavitis descrive un metodo pratico per

la realizzazione di meridiane solari e comincia proprio con il metodo delle altezze corrispondenti del Sole, per una superficie verticale, allo scopo di ottenere la linea sustilare e da questa la linea meridiana.

“Piantato uno gnomone nel muro, in un giorno che non

sia troppo vicino agli equinozi, e piuttosto verso il solstizio d’estate, perchè allora le ombre sono più lunghe, si segneranno di mattina alcuni punti a, b, c,... (Fig. 7) estremi dell’ombra del gnomone, ed altre ombre si segneranno nel dopo pranzo; poscia, a mano, si uniranno queste ombre con una linea continua abc....def, che sarà un’iperbole, e nel tempo dell’equinozio sarebbe una retta (la retta equinoziale, nda). Su questa linea si sceglieranno due punti a f egualmente distanti dal vertice G del gnomone; ossia, proiettato questo vertice G perpendicolarmente sul muro in Z, si descriverà col centro Z l’arco aVf che si

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dividerà per metà in V; simil cosa si ripeterà per qualche altro arco cUd; poi si tirerà la retta AZUV che riuscirà perpendicolare alle af, cd, ecc. Questa operazione (che è quella stessa con cui in un piano perfettamente orizzontale si descriverebbe la meridiana) ci darà sul muro la sostilare AZV. Dopo di che non occorre più il Sole, e basta che questo abbia risplenduto alquante volte di mattina ed alcune dopo pranzo. Sul muro potrebbe segnarsi la meridiana col mezzo di un orologio, ma bisogna notare di fare la correzione tra il tempo medio ed il vero; d’altronde l’orologio sarà regolato con un orologio solare, e resta da vedere se questo sia esatto.

Determinata come sopra la sostilare AZ, passante per Z (fig. 8), proiezione perpendicolare del vertice del gnomone (ossia del forellino); supposto che il muro sia esattamente verticale (il che ha luogo di rado) si segnerà la meridiana AB12 nel seguente modo. Si conduca la orizzontale LBZ e la verticale ZG, che si faccia eguale a ciò che dicesi l’altezza o lunghezza del gnomone, cioè alla distanza del suo vertice dal muro. Si formi l’angolo ZGL uguale alla latitudine, e si tiri l’orizzontale lL’ che abbia dalla LZ la distanza ZL’ = ZL; ossia per la latitudine di Bassano di 45° 42’ ½ sia ZL’ eguale ZG accresciuta di una sua quarantesima parte (ZL’ = 41/40 ZG). Dal punto l, dove la orizzontale lL’ taglia la sostilare, si cali la verticale lλ, che si tagli in λ coll’arco di raggio Gλ=GZ; si prolunghi il raggio Gλ fino ad incontrare la orizzontale LZ in B, per quel punto si conduca la verticale AB12, che sarà la meridiana.. Sarà BA = 41/40 BG, ed è esatta anche la costruzione Lacroix per trovare il punto A quando si conosce la meridiana.

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Fig. 7, 8 e 9

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Trovato in un modo o nell’altro il punto A, in cui la meridiana ABD taglia la sostilare AZε (fig. 9), il quale dicesi il centro dell’orologio, si procederà alla descrizione delle altre

linee, ossia nel seguente modo. Si tiri ZG’ perpendicolare alla sostilare AZ ed eguale all’altezza ZG del gnomone, si formi l’angolo retto AG’ε, e pel punto ε si conduca l’equinoziale εD perpendicolare alla sostilare, su questa prendasi (da una parte o dall’altra) εG’’ = εG; si formino gli angoli DG’’ 1= 15°, DG’’ 2= 30°, DG’’3 = 45°.... DG’’ 11= 15°, DG’’10=30°....; il che comodamente si eseguisce descrivendo il circolo col centro G’’ ed il raggio G’’D, e prendendo su di esso gli archi di 60° che poi si dividono in quattro parti eguali. Per i punti 1,2,3,11,10... dell’equinoziale e per il centro dell’orologio si tirano le linee orarie. Gioverà verificare se εG’’ sia eguale alla distanza del punto ε dal vertice del gnomone; così pure, come insegna il Lacroix, BC=BG, eguale alla distanza di B dal vertice del gnomone, e, formato l’angolo retto ACD, il punto D cadrà sull’equinoziale, e DG’’ sarà eguale alla distanza del punto D dal vertice del gnomone.

Le costruzioni grafiche presentano proprio delle inesattezze che si diminuiscono mediante il calcolo. Forse dopo di aver descritta sul muro la sostilare AZ e l’orizzontale εD sarà comodo eseguire tutto il disegno sopra un foglio di carta, riducendolo solo alla metà od alla terza parte; poscia si fa il quadro dell’orologio, e si ripetono finalmente tutte le linee orarie del disegno al muro; così si opera con maggior esattezza e si profitta di ogni verificazione (fig. 10).

Segnata sul muro la sostilare AZ (la quale poscia si cancella) e determinato il centro A dell’orologio e l’altezza ZG del gnomone, sarà meglio togliere lo gnomone già piantato, formare in tavoletta il triangolo rettangolo AZG’ di un lato AZ si pone lungo la sostilare e l’altro AG’ si tiene esattamente perpendicolare al muro poscia si pianta nel muro un perno infisso in A obliquamente lungo l’ipotenusa AG’; questo si dice lo stilo dell’orologio, e la sua ombra serve, molto meglio dell’estremo del gnomone, ad indicare le ore e le loro frazioni, giacchè l’ombra dello stilo cade lungo ciascuna linea oraria.

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Fig. 10

Per tracciare l’iperbole dei solstizi si prenda

separatamente una retta AG eguale alla lunghezza AG’ dello stilo (fig. 11), si forma l’angolo retto AGε, ed i due angoli εGQ ed εGR eguali a 23° 23’ 1/2, cioè alla declinazione massima del sole; a tal fine con un raggio GP di 32 parti si descrive un arco di circolo, sul quale si prendono da P su Q e da P su R due corde di 13 di quelle parti. Dopo ciò si prenda nell’orologio, per esempio, la lunghezza della linea, ossia A1, compresa tra il centro e l’equinoziale, e la si porta (nella fig. 10) da A in 1 ipotenusa del triangolo AG1. Questa A1 è tagliata in i ed in e dalle rette GQ e GR, le distanze 1i e 1e si trasportano nella fig. 8, sulla retta oraria A1, e si hanno due punti dell’iperbole dei solstizi; lo stesso si fa per le altre linee orarie. Se un orologio orizzontale sia già costrutto per riconoscere i difetti si potrà fare da prima la operazione indicata nella fig 6, per riconoscere se la vera sostilare sia veramente perpendicolare alla equinoziale, poscia se ne verificano le altre parti.

Infine, l’articolo riporta una nota in cui si dice chele numerose pubblicazioni, e quindi l’attività gnomonica del prof. Giusto Bellavitis, sono conservate nella biblioteca del Comune di Bassano del Grappa.

Sarebbe davvero interessante poter esaminare tale documentazione e si spera che qualche appassionato, residente

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nelle vicinanze di Bassano del Grappa, possa trovare il tempo necessario per dedicarvisi.

Fig. 11

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UNA PAGINA DI GNOMONICA ANTICA: “Modo di fare con facilità grandissima gl’Orologij à Sole nelli muri....”

Una pagina di gnomonica antica è come una rubrica in

cui vengono presentati, di tanto in tanto, dei metodi inventati dagli gnomonisti del passato per risolvere alcuni problemi relativi alla costruzione degli orologi solari, o alcune soluzioni che rendono in qualche modo più agevole l’esecuzione degli stessi.

In questo caso si tratta di un metodo che, a detta dell’autore, consente di ottenere una buona precisione nella lettura dell’ora. La costruzione dell’orologio solare murale, viene effettuata con l’ausilio di un piccolo orologio orizzontale ad ore italiche, simile a quegli orologi portatili detti “dittici”. Il metodo è riportato dall’opera del Padre Bonaventura Cavalieri intitolata “Sfera Astronomica”, pubblicata a Roma nel 1690.

“Trovata la linea meridiana 8 nel piano posto avanti al

muro, dove si vuol fare l’orologio, e prese due tavole bene spianate, conficcate insieme, in maniera che i piani di esse siano perpendicolari l’uno all’altro, cioè che la linea CB (fig. 12) sia perpendicolare alla linea AB. Sopra ciascheduno di detti piani sia conficcato un’ago perpendicolarmente dei quali quello che stà nel piano della tavola orizzontale sia tanto lungo da servire come gnomone ad un piccolo orologio orizzontale, il quale descritto sulla carta sia mobile attorno a detto gnomone. Accostate questa tavoletta al muro in modo che l’orizzontale gli sia perpendicolare, e l’altra parallela. Si volti tanto la carta dell’orologio orizzontale che la sua linea meridiana confronti con la linea meridiana già trovata nel piano del muro e si fermi 8 Con uno dei tanti metodi usati nella gnomonica.

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con un poco di hostia 9 nel detto luogo. Nel momento in cui il Sole batte sul muro, si inchini la tavoletta, dove è segnato l’orologio e si faccia in modo che la punta dell’ombra dello gnomone tocchi l’estremità d’una linea dell’hore v.b. (verbi gratia, per esempio) quella delle 23 (ora italica) e guardandosi all’ago dell’altra tavoletta, si veda l’ombra di quello dove termini, e si segnerà un punto v.g. G. Si torni di nuovo ad inchinare la tavoletta dell’orologio in modo che l’ombra dello gnomone tocchi l’altra estremità della linea delle hore 23, e riguardandosi l’ago dell’altra tavoletta, si veda dove termina l’ombra che sarà v.g. in H et ivi si segni un’altro punto, e tirata una linea dal punto G al punto H, quella sarà la linea delle 23 hore dell’orologio verticale, e così si farà à ciascheduna linea dell’hore dell’orologio orizzontale, che si haveranno tutte l’altr’hore nel verticale, come anco l’Equinottiale”.

L’autore indica anche come ottenere la linea meridiana “tirando una perpendicolare all’orizzontale passante per il punto d’intersezione della linea equinoziale con la linea oraria delle 18”, accorgimenti gnomonici che oggi non sempre vengono ricordati.

Fig. 12- Metodo di B. Cavalieri

9 Questo termine dovrebbe designare una specie di colla. Un antico dizionario riporta: Dischetti di pasta di farina usati una volta per chiuder le lettere.

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UN OROLOGIO UNIVERSALE INDIPENDENTE DALLA MERIDIANA

In un numero di “Civiltà Cattolica” 10 del secolo scorso,

fu pubblicato un breve articolo in cui si recensiva un lavoro del gesuita P. Egidi dal titolo Un orologio solare indipendente dalla meridiana.

Purtroppo la recensione non lascia spazio ai particolari descrittivi dello strumento, limitandosi essa a fare più un lungo prologo sull’utilità degli orologi solari che non sulla sostanza del lavoro di P. Egidi. Comunque, e giusto per dare qui la notizia, riporto un brano centrale del detto articolo che lascia almeno immaginare di cosa si tratti:

“...Or non sarebbe possibile costruire un orologio solare

valevole per tutti i meridiani e fatto in tal guisa da essere usato dovunque altri lo trasporti o in una gita sulle alpi, o in una villa sfornita di meridiana? Ciò è possibile; e ci è piaciuto di vedere eseguito cotetsto lavoro dal professore P. Egidi d.C.d.G, valente matematico, nel suo Orologio universale indipendente dalla meridiana. Tutto il congegno consiste in un piccolo quadrante di cartone munito di traguardo e di un piombino pendente (pendolino). Il tutto entrerebbe in una scatoletta di un decimetro quadrato, se non v’amdasse aggiunto un libriccino che dà le latitudini di una serie di città ed altri punti sia d’Italia sia di altri paesi d’Europa e di tutto il globo. Al quadrante va pure annesso un foglio nel quale si dichiara il modo di trovar l’ora, e chi ne fece saggio molte volte ci attesta che le indicazioni ne sono esattissime fino alla differenza di un solo minuto. Lo stesso autore peraltro dichiara che il suo orologio non si acconcia tanto all’uso di consultarlo ad ogni tratto come un oriuolo da tasca o una meridiana; quanto allo scopo di rimettere gli altri oriuoli quando si dubita se vadan bene, o se sieno a caso 10 Vol. X, serie undecima, 1882, p. 719

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fermati. Perocchè sebbene il trovar l’ora per mezzo di cotesto orologio universale si faccia con un’operazione semplicissima, nondimeno occorrendo con esso traguardare il sole, non è quello uno spasso che altri di buona voglia si prenda ad ogni istante in tutte le ore e le stagioni”.

E’ evidente che l’ultima frase si riferisce ad una critica

del redattore sulla dubbia comodità d’uso dello strumento, giustificata dall’Egidi con il fatto che l’orologio serve principalmente a correggere eventuali altri orologi meccanici, o a verificare l’esattezza di altri orologi solari. Ma se questo era l’intento principale, allora vi è contraddizione con quanto afferma il redattore nella prima frase che abbiamo riportato.

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STORIA DEGLI OROLOGI SOLARI PORTATILI E SULLA SUCCESSIONE CRONOLOGICA DEGLI OROLOGI SOLARI RETTILINEI

1. STORIA DEGLI OROLOGI SOLARI PORTATILI

A cominciare dal secolo XVII, quasi agli albori dell'archeologia, gli unici indizi che si avevano dei fragili orologi solari portatili, erano alcune citazioni riportate nelle opere degli antichi compilatori. Già il filosofo neoplatonico Ateneo (II sec. a.C.), citando l'antico poeta Comico Batone (IV sec. a. C.), riporta questo passo che testimonia l'uso in quei tempi di orologi portatili:

Poi di buon mattino porti in giro l'ampolla guardando attentamente l'olio, di modo che

alcuno crederà, che tu porti in giro un Orologio, non già un'ampolla.

Lo storico Casaubon (11), dedusse da questa citazione che gli orologi portatili dovevano avere radici molto profonde nella storia, ma credeva, però, che in questo luogo il poeta si riferisse agli orologi ad acqua e non a quelli solari. Tale ipotesi troverebbe conferma in alcuni studi, secondo cui nelle "sacre cerimonie degli Egizii compariva tra gli altri Ministri sacri anche l'Oroscopo, il quale portava in mano un Orologio, e una palma, simboli dell'Astrologia". Nella mitologia egizia è noto che Mercurio inventò l'orologio ad acqua, dopo aver osservato il Cinocefalo orinare dodici volte al giorno. Per questo si ritenne per molto tempo, che l'orologio portato in mano dall'Oroscopo 11 Isaac Casaubon, ellenista e filologo protestante (Ginevra 1559-Canterbury 1614). Curò eccellenti traduzioni di numerosi classici greci e latini.

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fosse stato ad acqua. E dato che la forma stessa dell'ampolla non permetteva di osservare il liquido ivi contenuto se non per trasparenza, venne da pensare che il poeta si riferisse ad un vaso trasparente, forse di vetro (Esichio dice "vaso da unguento e ampollina di vetro"). Uno dei primo orologi portatili che si incontra nella storia è uno strumento al quale è stato dato il nome di "Merkhet". Risale al 1500 a.C., all'epoca cioè in cui regnò il potente Faraone Tutmosis III. E' composto di due aste di pietra a forma di T. che opportunamente orientato permette, secondo alcuni autori, di leggere l'"ora" attraverso l'ombra che l'asta più piccola proietta su quella più lunga, lungo la quale sono incise delle tacche che certamente non hanno nulla a che vedere con la classica suddivisione del giorno in dodici ore, ma sembrano piuttosto riferirsi solo ad alcuni particolari momenti del giorno. E' indubbio comunque che venisse usato come orologio solare. Allo stesso periodo risale un bellissimo orologio ad acqua ricavato in un vaso finemente decorato, che testimonia quanto fosse comune l'uso di entrambi gli strumenti. I vasi ad acqua, come misuratori del tempo, furono utili almeno fino al III secolo dell'Era Cristiana. E' certo che se ne servivano soprattutto gli astronomi per le loro osservazioni (12). Gli orologi portatili furono chiamati "viatoria pensilia" da Vitruvio Pollione, nella sua famosa "Architettura" in cui tutto il nono capitolo è dedicato alla gnomonica. Probabilmente egli alludeva agli orologi solari pensili da viaggio, benché esistessero all'epoca strumenti che pur non essendo tascabili, potevano facilmente trasportarsi in altri luoghi, come per esempio il "pelignum", i piccoli hemicyclia, l'Engonato (13), ecc. I pensili da viaggio furono così chiamati proprio perchè avevano dimensioni tanto ridotte, da poter essere comodamente sospesi nell'aria per la lettura dell'ora. Purtroppo però, Vitruvio non fa alcuna menzione specifica di 12 Teone a Tolomeo in "V. Mag. Synt." pag. 261 13 Vedi N. Severino, "2000 anni di meridiane", Orione, marzo 1993

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questi orologi, ma per fortuna alcuni di essi ci sono giunti in originale, attraverso gli scavi archeologici. Le uniche citazioni che si conoscono relative agli orologi portatili sono di Papiniano, riferito da Ulpiano (14), che parla appunto di un orologio di bronzo "mobile" (15), e un passo di Pertinace, in cui parlando della vendita dei beni dell'imperatore Commodo, nel 193, si menziona "alia iter metientia horasque monstrantia". Nella maggior parte dei casi, gli orologi ritrovati sono del genere ad "anello" e alcuni di essi arrivano ad avere dimensioni davvero ridotte, dell'ordine dei 3 centimetri di diametro. Jean Soubiran (16) fa una piccola lista di questi oggetti rinvenuti in varie epoche, che può riassumersi così:

- l'orologio di Forbach, una specie di sestante rudimentale che segna l'ora per mezzo della misura dell'altezza del sole sull'orizzonte. Dimensioni: 52 mm di diametro;

- l'orologio di Aquileia I, di 31 mm di diametro; - l'orologio di Aquileia II, di 39 mm di diametro; - l'orologio del museo Kircheriano di Roma (ora Museo

Preistorico ed Etnologico); - l'orologio di Mayence che è il più grande, con un

diametro di 68 mm. L'Orologio del Museo Kircheriano

Secondo Soubiran, il primo scritto relativo all'orologio conservato nel Museo Kircheriano, risalirebbe al 1891, a cura di A. Schlieben (17). Uno studio approfondito dello strumento, invece, fu effettuato qualche decennio prima dal noto astrofisico Padre Angelo Secchi, e pubblicato in un articolo sulla rivista 14 Ulpiano Domizio, giureconsulto romano, vissuto verso la fine del primo secolo d.C.. Egli fu assessore di Papiniano. 15 Ulpiano, Lib. 12. de fundo instr. Papinianus - Si veda anche il Tomo XX dell'Accademia delle Iscrizioni 16 J. Soubiran, Commentario al Lib. IX dell'Architettura di Vitruvio,- Les Belles lettres, Parigi, 1969. 17 Ann. d. Ver. f. Nassauische Altert. kunde, XXIII, p. 115 seq.

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Civiltà Cattolica (18).

L'orologio fu donato dal Cavaliere Luigi Vescovati al Mueso Kircheriano di Roma. E' composto da una scatola rotonda di circa 5 cm di diametro, sulla cui superficie vi era un appiccagnolo (un anello) per mezzo del quale veniva sospeso in aria e rivolto verso il sole, per il lato in cui era stato aperto un forellino destinato ad introdurre nella scatola il raggio di luce. Le linee rette che si vedono incise sul fondo della scatola e che partono tutte da un comune centro, servono a dividere le linee dei mesi, cioè le curve diurne, contrassegnate dai rispettivi nomi. Nel centro orario vi è impiantato un indice che ruota attorno al suo perno parallelamente al piano dell'orologio; esso serve da pendolino per collocare lo strumento in giusta posizione. Per leggere l'ora basta osservare su quale punto della linea mensile, nel mese corrente, cade il raggio di luce che passa attraverso il forellino. L'età di questo orologio ci è data dal ritratto dell'Imperatore Commodo che si vede sul rovescio. Siccome qui egli assume l'imperiale acclamazione di Britannico, potrebbe 18 Anno ottavo, Terza serie, Volume sesto, pagg. 97-101.

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essere anteriore all'anno 189 di Cristo, nel quale Commodo cominciò a far uso di tale titolo.

Per intero la frase è: M. COMMODUS. ANTONIUS. PIVS. FELIX. AVG. BRIT. Vi è omesso il nome Aurelius, come manca pure l'appellativo Imp. Le caratteristiche tecniche sono così riassunte nell'articolo:

1. L'orologio è destinato a dare le ore mediante l'altezza del sole, collocato che esso sia nel piano verticale che passa per quest'astro.

2. Le ore sono temporarie, cioè di lunghezza variabile secondo le stagioni, come era nell'uso civile dei Romani.

3. Le linee mensili, la cui intersezione col raggio solare dà per tutti i giorni del mese rispettivo il corso delle ore, vengono perciò divise in sei parti, rispondenti alle sei ore dell'arco semidiurno.

4. Le curve mensili non sono già archi di circolo, ma prendono dalla costruzione stessa alcune piccole irregolarità indicate nell'orologio con alcune flessioni.

5. Il principio di costruzione non differisce molto dall'anello astronomico, ma il primo ha sul secondo il vantaggio che mediante l'introduzione di un raggio di sfera variabile con le diverse declinazioni solari, le linee e le suddivisioni orarie vengono molto ben sviluppate e distese, soprattutto verso il mezzodì e nell'inverno. Con questo, quindi, si evita il difetto comune a tutti gli orologi della specie ad anello che per certe ore e stagioni hanno il campo troppo ristretto per il tracciato orario e di conseguenza sono molto inesatti nelle indicazioni.

La vera storia del Prosciutto di Portici Nei testi di gnomonica non manca quasi mai una

citazione per uno dei più curiosi orologi solari ritrovati. Per la forma, davvero insolita e per il luogo in cui fu rinvenuto, è passato alla storia come il Prosciutto di Portici. Come è facile

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verificare, molti scritti sull'argomento sono stati compilati sulla base di rapporti inesatti, o troppo superficiali. Basta osservare l'immagine dello strumento proposta da Soubiran, R. Rohr ed altri. Per molto tempo, invece, è stato trascurato un importante studio, condotto senza dubbio con più zelo, da un comitato di scienziati dei più disparati campi, provenienti da diverse scuole partenopee, che nel XVIII secolo si era soliti chiamare "Accademici Ercolanensi". Il loro rapporto sull'orologio in questione si trova nel Tomo III delle Pitture Antiche d'Ercolano, opera pubblicata a Napoli nel 1762. Ancor prima degli Accademici Ercolanensi, un'autorevole studioso francese aveva voluto dare un'anteprima della scoperta nella famosa Encyclopedie ou dictionnaire raisonné des sciences des arts et des metiers, di Diderot e D'Alembert. Ma il suo rapporto si è rivelato falsato a causa delle imprecise notizie che troppo frettolosamente aveva recuperato.

Così gli Accademici Ercolanensi si riservarono di darne

per primi un rapporto completo e preciso: "Noi diamo questo bronzo (orologio, n.d.a.) come inedito; non avendone finora il pubblico veduto il vero disegno, né l'esatta descrizione. E in merito all'articolo dell'autore francese così scrissero: I falsi rapporti, a cui egli si è attenuto, hanno ingannato lui, come più volte è avvenuto ad altri, che con più vivacità, che giudizio, e sofferenza si sono affrettati a parlar delle antichità d'Ercolano; e gli han fatto scrivere quel che non è, e dare una relazione di questo bronzo falsissima. Poichè le due superfici del nostro orologio non sono né convesse, com'egli suppone, né concave, ma irregolari, come quelle appunto di un presciutto (...). Lo stilo poi dentato, ch'egli rammenta, e che secondo lui forma la quarta parte del diametro dello strumento, non è in verità che un pezzo della coda troncata del presciutto, il quale non ha denti di sorta alcuna (...). E' falso inoltre, che la superficie superiore sia coverta d'argento (...). E' falso ancora che la superficie superiore sia divisa in dodici linee parallele, che formano tanti piccoli quadrati: poichè le linee, come ognuno vede, non sono dodici, ma quattordici; delle quali sette solo sono rette, e parallele tra loro; e le altre sette non sono nè rette in tutto, nè

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parallele, ma composte di più picciole rette l'una all'altra variamente inclinate: e quindi è chiaro, che dall'incontro delle prime colle seconde non può essere divisa la superficie in quadrati". Gli Accademici continuano nelle loro osservazioni e infine rilevano pure che "nulla vi è di misterioso e straordinario nella disposizione de' mesi, che tanto si rileva, e che si caratterizza col nome di "boustrophedon" (19). Il nostro orologio, ch'è verticale, necessariamente deve essere descritto colle "ombre verse", la lunghezza delle quali nell'ingresso del Sole in ciascun segno dello zodiaco è rappresentata secondo le regole della Gnomonica dalle sette linee parallele, e verticali. Dopo tante altre osservazioni, fanno notare che nell'articolo apparso sull'Enciclopedia francese, come in altri articoli da quella fonte copiati: "...manca la storia, poichè ei dice di averne avuto il disegno nel 1754 e lo strumento fu trovato il dì 11 Giugno del 1755. Manca l'Astronomia, colla quale se ne dovea fare la spiegazione; poichè ei ci dà segni bastanti di avere studiato tutt'altro, che quella scienza. Manca la figura; poichè in vece di un presciutto, quale è veramente quella di questo bronzo, egli ci da una caraffa...". Resta da chiedersi il motivo per il quale l'autore abbia voluto dare a questo orologio tale curiosa forma. Anche a questa domanda gli Accademici cercarono di dare una risposta pensando che l'artefice avesse voluto alludere al cognome del committente, come per esempio poteva essere de' Suilli, o che avesse il soprannome di Perna. Le sette linee trasversali danno le dodici ore temporarie del giorno. Quando l'ombra dello gnomone tocca la seconda linea (dall'alto in basso) denota la Prima ora; la terza linea la Seconda ora; la quarta linea la Terza ora; la quinta linea la Quarta ora; la sesta linea la Quinta ora; la settima linea la Sesta ora (mezzodì). Quindi risalendo l'ombra, sulla sesta linea denota la Settima ora; 19 Bustrofedico, è riferito alla lettura "bustrofedica", cioè un rigo da destra a sinistra ed il successivo da sinistra a destra, nel senso di come si muove l'aratro.

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sulla quinta linea la Ottava ora; sulla quarta linea la Nona ora; sulla terza linea la Decima ora; sulla seconda linea l'ora Undecima e la Dodicesima al tramonto. Sull'uso pratico dell'orologio lascio la parola agli stessi Accademici i quali sono oltremodo chiari: Ora per far uso di questo oriuolo, convien prima sospenderlo pel suo anello, sicchè dal proprio peso resti verticalmente equilibrato; e quindi rivolgere al Sole non già la faccia dell'Orologio, ma il fianco solo, ove sorge il gnomone, con disporlo in modo, che l'ombra di questo vada a incontrare il luogo del Sole nell'Eclittica indicato dalle linee verticali: poichè allora l'ombra stessa mostrerà l'ora, che si cerca, sulle linee orarie.

Essi, infine, calcolarono che l'orologio venne realizzato per la latitudine di 41 gradi 39 primi e 45 secondi, la quale curiosamente corrisponde oggi esattamente a quella del mio paese di residenza, Roccasecca Scalo. Calcolarono l'obliquità dell'eclittica ai tempi che fu fatto l'orologio, per mezzo dell'osservazione dell'ombra su alcune linee orarie scelte, allo scopo di dedurne la data di fabbricazione. Il risultato fu di 23 gradi 46 primi e 30 secondi, che paragonata ai 23 gradi 28 primi e 18 secondi trovata per l'epoca del ritrovamento, essi dedussero una diminuzione di 18 primi e 12 secondi: "...Onde secondo il calcolo, e l'osservazione del Cav. de Louville diminuendosi l'inclinazione dell'Eclittica di 21 primi in 2000 anni, l'epoca del nostro orologio verrebbe a ricadere verso l'anno 28 di Cristo". Il Rohr lo data al I secolo d. C., così pure gli altri. Se vogliamo continuare ad occuparci di orologi solari portatili, dobbiamo fare un salto di circa mille anni, fino ad arrivare all'epoca della grande rinascita della scienza araba, e con essa della gnomonica. Sarebbe troppo dispersivo, sebbene di grande interesse, fare una digressione sulla gnomonica araba, della quale tratteremo meglio in un altro articolo. Per gli orologi solari portatili, dal II secolo della nostra era e fino all'anno Mille, è difficile tracciare un profilo storico. La difficoltà sta nel recuperare fonti attendibili sull'uso di strumenti specifici per la misura del tempo relative a quel periodo.

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Le notizie che circolano sono sempre le stesse, riprese da fonti ormai esaurite. Si parla di Cassiodoro e Boezio, del famoso orologio di Carlo Magno che naturalmente fu un mega-meccanismo meccanico, ma pur sempre un vero prodigio della tecnica di quel tempo, o di Arcidiacono Pacifico che descrisse forse per la prima volta la teoria dell'orologio, pure portatile, detto "Notturnale", e via dicendo. Tutto sommato sono cose che riguardano solo parzialmente la gnomonica. E' importante però setacciare anche queste notizie, perchè in esse possono trovarsi frammenti letterari di qualche importanza che potrebbero aiutare a capire taluni punti oscuri della Gnomonica. Tra le poche testimonianze che ci sono pervenute di orologi solari rinvenuti e manoscritti di gnomonica (soprattutto quelli arabi, che si contano in numero maggiore di cinquanta) che ci tramandano la memoria di orologi sconosciuti, riveste una certa importanza il ritrovamento (1939) dell'orologio solare portatile a ore canoniche, di epoca sassone, nella cattedrale di Canterbury, appartenuto al Vescovo Alpegh, e alcuni strumenti orologici sconosciuti, molti dei quali supponiamo portatili, descritti nel codice n. 1147 della Biblioteca Nazionale di Parigi, compilati nel XIII secolo da al-Hasan Ibn Alì Umar al-Marrakuschi. L'hhafir, che letteralmente significa "Zoccolo di cavallo", e sarebbe un orologio che ha la forma di una S; l'hélice e il Sakke al-jeradah, detto Zampa di cavalletta, di cui il Rohr dice essere simile al Prosciutto di Portici. All'anno Mille risale pure l'orologio del pastore, all'epoca chiamato gnomone girevole da viaggio, la cui prima descrizione che si conosce è quella del monaco Ermanno Contratto (inizio sec. XI), nella sua traduzione degli astrolabi arabi, dal titolo De mensura astrolabi liber. Dei veri e propri progressi nel campo degli orologi solari portatili si ebbero, in Europa, attorno al XV secolo, quando ormai tutta la gnomonica araba era stata materia di studio dei maggiori eruditi occidentali. Durante il Rinascimento, i modelli di portatili che hanno rivestito maggiore importanza dal punto di vista gnomonico, sono tre: l'orologio rettilineo universale di Regiomontano, la cosiddetta

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Navicella Veneziana e il famosissimo Cappuccino (si veda oltre).

Osservando il noto (per i cultori della gnomonica) ritratto di Holbein, "Gli Ambasciatori", ed altri dello stesso autore, in cui furono immortalati con spettacolare minuziosità di particolari alcuni degli orologi solari portatili dell'epoca, è facile rendersi conto di quanto fosse diffuso tra la popolazione l'uso di tali strumenti. E' ancora oggi possibile ammirare molti modelli, di graziosa fattura che hanno conservato intatta la mirabile arte con la quale operavano gli antichi artigiani (20). Ma se da un lato c'erano gli artisti che sforgiavano strumenti già noti, dall'altra vi erano astronomi, matematici, e gli appassionati cultori della Gnomonica che mantenevano in costante esercizio il cervello, nel difficile gioco di perfezionare i vecchi modelli, o inventarne di nuovi. E in questo lavoro, lo sappiamo bene, troviamo i nomi più alti dell'erudizione rinascimentale e illuministica: Oronzio Fineo, Federico Commandino, Egnazio Danti, Cristoforo Clavio, Kircher Athanasius, Oddi Muzio, Cristiano Wolfio, Ozanam, Bion, tanto per citarne qualcuno. Dalla mente geniale di questi ed altri uomini, sono venuti fuori i più incredibili strumenti per la misurazione del tempo. E tra gli orologi portatili troviamo dei modelli che hanno sfidato davvero l'immaginazione dei loro autori: croci (anche inclinabili), coltelli, bussoli, orologi a forma di conchiglia e stelle di mare, persino sotto gli zoccoli; Ma non manca di stupire l'orologio polare orientale e occicentale universale portatile illustrato dal Bion, e un'altro modello che offre un orologio analemmatico a stilo mobile. E la lista continua con il cilindro equatoriale portatile e gli orologi poliedrici ottagonali di Wolfio e tantissimi altri modelli di equatoriali portatili e da tavolo. Nel nostro secolo sembra che la forza creativa degli uomini, in questo specifico campo, sia alquanto esaurita. D'altra parte cinque secoli fa la misurazione del tempo era quasi come un 20 Una delle più ricche collezioni del nostro paese è possibile ammirarla al Museo Poldi-Pezzoli di Milano.

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gioco: a chiunque sarebbe piaciuto conoscere l'ora dall'altezza del sole o facendo riferimento all'incantevole e quasi inavvertibile movimento delle stelle fisse. Il ritmo della vita di quegli uomini era molto più semplice, in perfetta armonia con la natura. Oggi alcuni di questi valori rischiano di essere soffocati dal frenetico correre della vita quotidiana, sicché non si fa più caso se il sole è basso o alto sull'orizzonte. E le stelle... beh! quelle sono sempre più offuscate dall'inquinamento luminoso. Non importa, qualcuno potrebbe forse pensare, oggi ci sono i cronometri digitali per misurare il tempo... già, poveri orologi solari portatili! Chi l'avrebbe mai detto, dopo aver servito fedelmente l'uomo per più di duemila anni?

ELENCO DEGLI OROLOGI PORTATILI

1) Clessidre (probabilmente ampolle olearie e/o a sabbia, poichè ad acqua erano troppo pesanti). 2) Orologio egiziano del tipo "Merkhet" 3) Orologio egiziano a "Cuneo" 4) Pros ta istoroumena 5) Pros pan Klima 6) Orologio del museo Kircheriano 7) "Prosciutto" di Portici 8) "Pelignum" portatile (del tipo che si vede nel mosaico

della Villa di Treviri, conservato nel Landesmuseum di Trier 9) Anello astronomico semplice (d'altezza) 10) Anello astronomico di Gemma Frisio 11) Quadrante d'altezza sassone ad ore canoniche 12) Quadrante d'altezza islamico a stilo mobile 13) Orologio di Scheppard, o Cilindro Orario, o meridiana del pastore 14) "Bilancia oraria" degli Arabi 15) "Affir" degli Arabi 16) "Elice" degli Arabi 17) Orologio cilindrico per tutte le latitudini (arabo)

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18) Orologio conico (arabo) 19) "Sakke al-jeradah", o "Zampa di cavalletta" (arabo) 20) Quadrante "destour" (arabo) e diversi altri tipi. 21) Astrolabi (circa una quindicina di modelli arabi) 22) Notturnali 23) Orologio "Rettilineo Universale" di Regiomontano 24) Orologio "Cappuccino" 25) "Navicella Veneziana" 26) "Torquetum" portatile, o "Turketum" che è un orologio equatoriale reso universale da una scala per le latitudini, in una versione stilizzata del "torquetum" classico. 27) Dittico di Norimberga e vari altri modelli 28) Orologio universale di Paolo Galluccio 30) Emiciclio per le ore italiche di Oddi Muzio 31) Orologio sotto uno zoccolo di Oddi Muzio 32) Semicerchio pensile per le ore italiche di Paolo Galluccio 33) Orologio su coltello 34) Orologio d'altezza su croce 35) Orologio su croce inclinabile 36) Orologio azimutale per breviari religiosi 37) Orologio solare polare universale portatile 38) Cilindro equatoriale 39) Orologio poliedrico ottagonale di Wolff 40) Orologi poliedrici (diversi modelli) 41) Orologi cubici 42) Orologi solari portatili a cannoncino solare 43) Orologio orizzontale ed analemmatico portatile 44) Orologio solare su conchiglia 45) Orologio solare su stella di mare a 5 punte 46) Orologio solare sferico tipo "schapen" (sec. XVI) 47) Orologio solare in una coppa di rame (sec. XVII) 48) Orologi equatoriali da tavolo 49) Eliocronometri portatili 50) Dittico universale

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2. SULLA SUCCESSIONE CRONOLOGICA DEGLI OROLOGI SOLARI D’ALTEZZA RETTILINEI.

Una delle tante pagine incomplete della storia della gnomonica è certamente quella relativa alla successione cronologica degli orologi solari portatili d’altezza detti “rettilinei”. Tale appellativo deriva dal fatto che le linee orarie sono rappresentate sul quadro dell’orologio da linee rette verticali tutte parallele fra loro. Questi strumenti poi sono “d’altezza” in quanto, per fornire l’ora, in luogo dell’angolo orario del Sole, sfruttano la sua altezza sull’orizzonte.

E’ noto che gli orologi solari d’altezza erano comunemente in uso nell’antichità e ciò è provato anche da alcuni stupendi esemplari che si conservano nei moderni musei. Si può qui ricordare il famoso “prosciutto di Portici”, rinvenuto ad Ercolano verso la fine del XVIII secolo e risalente ai primi anni dell’era Cristiana, come pure l’orologio fatto in una scatola rotonda in modo di anello, descritto da Padre Angelo Secchi e fatto risalire

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al II-III secolo d.C. Tuttavia, pare che non sia stato rinvenuto, fino ad oggi, nessun esemplare di orologio solare portatile d’altezza appartenente alla categoria dei “rettilinei”. E ciò farebbe supporre, senza alcun dubbio, che nell’antichità tali orologi “rettilinei” non siano esistiti.

Ad ogni modo, la questione che andiamo trattando ha come perno centrale la discussione sulla successione cronologica di tre orologi d’altezza rettilinei che hanno fatto epoca, soprattutto intorno al XV-XVI e XVII secolo. Questi sono:

1) Orologio solare d’altezza rettilineo denominato

“Cappuccino”. 2) Orologio solare d’altezza rettilineo denominato

“Regiomontanus”. 3) Orologio solare d’altezza rettilineo denominato

“Navicula de Venetiis”.

Il primo (fig. 13) è un orologio d’altezza detto anche “particolare” o “locale” in quanto serve per una sola latitudine. Il suo nome deriva, molto probabilmente, dal fatto che la forma del quadro in cui si sviluppa il tracciato orario, è molto simile al cappuccio dei monaci. Il secondo (fig. 14) è un orologio “cappuccino” modificato opportunamente per essere reso utile a diverse latitudini. Si tratta perciò di un orologio d’altezza “universale” e non più locale. In genere, la scoperta di questo orologio, o la modifica del primo in uno strumento “universale”, è attribuita al famoso Giovanni Muller detto “Regiomontano”, da cui il nome dell’orologio. Il terzo (fig. 15) è un altro orologio d’altezza universale modificato solo nella forma la quale rassomiglia ad una nave, e fu chiamata “Navicula de Veneetis” probabilmente perchè i primi esemplari forse furono costruiti nel Delfinato, o forse perchè lì ebbe il suo maggiore successo.

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Fig. 13 I principali quesiti che si pongono gli studiosi

relativamente alla storia di questi orologi sono: - dove, come e quando si sono sviluppati in generale gli

orologi portatili d’altezza rettilinei; - qual è la successione cronologica con cui si sono

sviluppati e se tale successione si è avuta per caso e per vie indipendenti da vari autori, o fu dettata, come sembrerebbe più logico, da un progressivo miglioramento degli studi relativi alla

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teoria matematica di questi strumenti. Prima di esaminare la questione bisogna premettere che

pochi sono gli autori che hanno approfondito questo aspetto storico della gnomonica e, fra questi, l’Amm. Girolamo Fantoni è l’unico italiano che, da ultimo, se ne è occupato trattandone approfonditamente nel suo volume “Orologi Solari”21.

Fig. 14 Orologio rettilineo universale di Regiomontano come rappresentato in un libro di Cristoforo Clavio. 21 Fantoni Girolamo, Orologi Solari, trattato completo di Gnomonica, Ed. Technimedia, Roma, 1988

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Cominciamo ad analizzare il primo punto, cioè dove e quando sono nati questi strumenti. Alcuni autori ritengono che i “rettilinei” fossero già conosciuti nell’antichità, e che precisamente essi dovevano essere in uso presso la civiltà ellenica. Probabilmente tale convinzione è scaturita dal fatto che la costruzione di questi orologi è basata sull’analemma tolemaico (il famoso Menaeus di Vitruvio) e sulle proiezioni planisferiche di Ipparco. Sebbene nulla di più si può osservare a questa ipotesi,

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oltre che in quei tempi la pur “ammirevole cultura dei Greci non poteva essere ancora matura per raggiungere questo livello di risultati” - come scrive Fantoni -, bisogna purtroppo tener conto, come detto, che:

• nessun documento e soprattutto nessun esemplare di orologio solare rettilineo ci è giunto dall’antichità, nonostante fossero comuni gli strumenti d’altezza portatili;

• anche se non si conoscono bene tutti gli orologi solari citati da Vitruvio nella sua Architettura, è quasi certo che nel suo elenco non compaiono orologi solari d’altezza assimilabili ai “rettilinei”.

• inoltre, in Grecia, e nell’antichità in genere, si usavano le ore Temporarie, mentre questi orologi indicano solo le ore eguali astronomiche.

La mancanza, quindi, di qualsiasi indizio storico dell’antichità relativo a questi strumenti (ritrovamenti archeologici, citazioni presso i maggiori compilatori, ecc.), insieme alla consapevolezza del livello di conoscenze gnomoniche dei Greci, ritenute pur sempre insufficienti per lo sviluppo della teoria dei “rettilinei”, e non da ultimo il fatto che essi si basano sull’uso delle ore astronomiche e non temporarie, sembrano elementi sufficienti per escludere le ipotesi che attribuiscono l’origine degli orologi solari “rettilinei” ai Greci. L’esclusione però, a mio parere, dovrebbe comprende anche tutto il periodo in cui furono usate, per l’uso civile, esclusivamente le ore temporarie. Periodo che comprende i primi secoli dell’Era Cristiana, l’Alto Medioevo, fino ai primi astronomi arabi che introdussero l’uso delle ore equinoziali - ore eguali - (prima usate solo, e di tanto in tanto, nelle osservazioni astronomiche) nell’uso civile forse a cominciare dal X-XI secolo.

Altre ipotesi, invece, sono prive di qualsiasi fondamento, anche perchè non sono basate su alcun documento che possa in qualche modo testimoniarne la fondatezza. E’ il caso di Fuller secondo cui la “Navicella veneziana” sarebbe la più antica di tutti essendo nata in Grecia, successivamente ripresa dagli Arabi e, attraverso questi, trasmessa all’Occidente Cristiano, ove finalmente fiorì

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nel periodo rinascimentale. Lo storico J. Derek de Solla Price, ipotizza che la Navicella derivi il suo aggettivo “Veneziana” dal fatto che sarebbe stata divulgata in Europa dai naviganti arabi che mercanteggiavano nel bacino mediterraneo orientale, senza però escludere che la Navicella dall’Islam sia potuta arrivare a Venezia, o comunque in Europa, attraverso la Spagna mozarabica.

La gnomonica araba è stato oggetto di studio per soli due o tre ricercatori, non italiani, che hanno pubblicato le loro ricerche, all’inizio di questo secolo, in libri oggi pressoché introvabili. Come si può facilmente immaginare, si possono trovare tracce di gnomonica nei libri sull’astronomia che gli arabi scrissero a cominciare dal IX secolo, come per esempio i lavori di Al-Battani, Arzachele, Costa Ebn Luca, e via dicendo. Purtroppo, pochissimi sono i codici arabi esaminati dagli studiosi, e moltissimi sono quelli praticamente ancora sconosciuti alla massa degli appassionati di Astronomia. E bisogna rilevare che nella maggior parte dei casi, i capitoli di Gnomonica non vengono nemmeno presi in considerazione dai traduttori, impegnati a decifrare solo ciò che riguarda le teorie astronomiche. Di conseguenza, possiamo asserire che fino ad oggi, sono stati esaminati, forse, solo due o tre codici arabi relativi alla gnomonica, o di astronomia con capitoli sugli orologi solari. Fra questi, i più importanti, sono certamente quelli tradotti da J. J. Sédillot, nel secolo scorso, che riprendeva un’opera di Aboul Alì Hhassan Al- Marrakushi del XIII secolo (manoscritto n° 1147 e 1148 della Biblioteca Nazionale di Parigi) e una traduzione moderna dell’opera sull’astronomia di Tabhit Ibn Qurra, dello stesso periodo, a cura delle “Belle Lettres” francese, che contiene un libro intero sulla gnomonica.

In seguito alle mie ricerche bibliografiche, è emerso che i codici manoscritti arabi sugli orologi solari sono molto più numerosi di quanto finora ipotizzato ed è presumibile che essi siano più di un centinaio, mentre se si considerano i libri e capitoli dedicati alla gnomonica che spesso si trovano nelle opere arabe sull’astronomia, allora il numero totale di scritti sale di molto. In

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base a queste considerazioni possiamo dire con tutta franchezza che conosciamo molto poco la gnomonica araba, ma quel tanto che ci è dato sapere è sufficiente a darci un’idea dei risultati raggiunti nella gnomonica da quel popolo, eredi della scienza alessandrina e cultori ineguagliabili delle matematiche e delle scienze naturali. Solo per curiosità del lettore, basti dire che Tabhit Ibn Qurra, nel 1200, progettava orologi solari con metodi trigonometrici che furono noti in Europa solo nel XVIII secolo!

Dall’analisi di soli due manoscritti è emerso, quindi, che sono moltissimi gli orologi solari arabi che ancora non conosciamo. E di questi strumenti sconosciuti22, la maggior parte appartengono alla categoria dei “portatili”. Il livello di conoscenze gnomoniche degli arabi, comunque, era sufficientemente maturo per produrre orologi d’altezza “rettilinei”, e tuttavia non possiamo essere sicuri che essi realmente li costruirono per la semplice mancanza di prove (esemplari non pervenutici) e di documenti scritti (manoscritti arabi che ne parlino).

Qualche “colpo di scena” si ebbe quando De Solla Price sembrava aver identificato l’origine della Navicella Veneziana in uno strumento astrolabico descritto da L.AM. Sédillot (Les instruments astronomiques des Arabes) nel secolo scorso. In effetti, questo strano strumento, chiamato “Zaourakhi”, ha davvero una straordinaria somiglianza con la “nave veneziana”, avendo la forma di uno “scafo” e con in mezzo l’”albero”, ma purtroppo non è altro che una delle tante varianti di “reti di astrolabio” inventate dagli Arabi23

Non desterebbe meraviglia, in ogni caso, se un giorno si scoprisse qualche manoscritto arabo che descriva questi orologi, ma per ora dobbiamo accontentarci di ipotizzare che i “rettilinei” siano nati in Europa, in un periodo sconosciuto che, 22 Qui per “sconosciuti” s’intende strumenti che furono esaminati, o descritti da qualche autore del passato, magari in libri oggi introvabili, e che sono di fatto sconosciuti alla maggior parte degli studiosi ed appassionati. 23 Nicola Severino, Il Libro degli Astrolabi, Roccasecca, 1994

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probabilmente, va dal XII al XIV secolo. Non è dato nemmeno sapere se essi siano il frutto del lavoro di qualche astronomo di quel tempo o il risultato di più studi eseguiti da vari esperti.

Stando ai documenti, si dovrebbe pensare che la “Navicella veneziana” sia stata inventata in Inghilterra in quanto è lì che si conservano alcuni codici, i più antichi, che parlano di questo strumento.

Una delle ultime pubblicazioni sull’argomento, a firma di

Margarita Archinard24, risale al 1991. Anche se nulla di nuovo e definitivo emerge dalle sue ricerche, mi sembra di qualche interesse riportare il suo pensiero che però, come vedremo, si allinea con le ipotesi che vedono la navicella conseguente al Regiomontano.

Riassumo di seguito i punti salienti del lavoro di Archinard:

“Gli esemplari di orologi solari “cappuccini” sono rari e i testi antichi sono insufficienti per ricostruire la loro storia. Tuttavia, lo studio attento della sua struttura geometrica permette di pensare che esso sia antecedente al quadrante rettilineo universale. E’ allora normale considerare il quadrante rettilineo universale come una generalizzazione, valido per diverse latitudini, del quadrante “particolare”. Due modelli di quadranti universali attestano una evoluzione in questo senso. Uno fu descritto da Regiomontano nel suo “Kalendarium” pubblicato verso il 1474, e l’altro da Ozanam che lo attribuisce a un certo Père de Saint Rigaud, nelle sue “Recreations mathematique et physique” edito per la prima volta nel 1694. Il quadrante rettilineo universale di Regiomontano è perfetto e fu riprodotto di sovente per lunghi tempi in differenti paesi d’Europa. Invece, quello di Père de S. Rigaud non ebbe nessuna ripercussione e cadde nell’oblìo. Se non l’avesse descritto Ozanam, forse sarebbe rimasto addirittura sconosciuto. Ma 24 M. Archinard, Les cadrans solaires rectilignes, Nuncius, anno VI, fasc. 2, Leo S. Olschki Ed., Firenze, 1991, pp. 150-181

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questo orologio non è valido che per due soli giorni all’anno corrispondenti al solstizio d’estate e d’inverno. Perciò, il quadrante di Regiomontano è stato e resta tuttora il solo vero quadrante rettilineo universale. Nondimeno, qualche mistero sulla sua origine resta perchè nel medioevo esisteva già uno straordinario piccolo quadrante solare in forma di nave, detto Navicula de Venetiis, che ha però tutta l’aria di essere un’applicazione un po' curiosa e fantastica del quadrante di Regiomontano. Questo apparente anacronismo è molto fuorviante e mette in discussione l’attribuzione del quadrante solare rettilineo universale a Regiomontano. Sèdillot complica ancora di più la situazione, rilevando in un manoscritto arabo dell’inizio del XIII secolo, qualche riferimento alla “shafiah” che sembra essere un antecedente arabo della “navicula”.

Seguendo un criterio cronologico basato sulle fonti storiche, si dovrebbe asserire che il quadrante di Regiomontano derivi direttamente dalla “Navicula”, la quale fu creata a partire da un “Shafiah” islamico un po' speciale. Ma sembrerebbe più logico dire, visto che i nomi dei loro inventori non sono ancora noti, che il quadrante rettilineo particolare fu il primo ad essere realizzato, seguito dal quadrante rettilineo universale che, per conseguenza e forse per influenza dell’Islam, ispirò la “Navicula de Venetiis”. Se così fosse, Regiomontano ebbe allora solo il merito di descrivere e divulgare, più tardi e in un libro, un orologio solare creato ed utilizzato molto tempo prima.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, e nel frattempo che altri documenti siano trovati e studiati, dobbiamo restare nel dominio delle congetture in ciò che concerne certi punti della storia degli orologi solari rettilinei. La dimostrazione geometrica della costruzione del quadrante rettilineo universale è immediata a partire dal quadrante rettilineo particolare e, di conseguenza, non ci sarebbero dubbi sulla successione cronologica di questi strumenti se non fosse

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stata testimoniata l’esistenza della “Navicula” prima della pubblicazione del “Kalendarium Magistri” di Regiomontano. Inoltre, ciò solleva seri dubbi anche sull’attribuzione del “rettilineo universale” a Regiomontano. E’ vero che dei quattro esemplari di “navicula” conservati oggi nei musei di Oxford, Cambridge, Firenze e Milano, tre sono senza data e quello di Milano, firmato da O. Fineo, è datato 1524. Tuttavia, l’antichità della “Navicula” e la sua anteriorità in rapporto al quadrante universale di Regiomontano, sembra essere attestata senza equivoci da un manoscritto che appartiene alla Biblioteca Bodlejana di Oxford (Ms. Bodly 68) e che, secondo R.T. Gunther, è stato posseduto dal prete John Enderby di Louth, già dalla fine del XIV secolo. I disegni di questo manoscritto mostrano la “navicula” tal quale come la riprodusse O. Fineo quasi due secoli dopo. Che la “navicula” sia o no di origine araba, essa continuerà tutt’oggi a far credere a un’applicazione, nient’affatto fedele ma alquanto affascinante, del quadrante rettilineo universale detto Regiomontano”.

Archinard conclude che la “Navicula” è quindi solo un’applicazione errata, ma artisticamente fantastica, del quadrante di Regiomontano e ritiene, infine, che potrebbe essere un “Regiomontano” adottato in forma di nave “che se da una parte è una scelta molto bella artisticamente, dall’altra comporta una piccola imprecisione nella posizione e la lunghezza del filo”. Ma qui c’è una contraddizione evidente in cui incappano tutti gli autori che vogliono una derivazione forzata della navicella dal Regiomontano. Infatti, se è attestato che in codici del XIV secolo vi si trova la navicella veneziana non abbozzata, ma già uguale a come descritta poi da O. Fineo, come è possibile che essa possa derivare dal “Regiomontanus”, descritto (stando ai documenti) un secolo dopo? L’unica risposta a questa domanda sarebbe che l’orologio di Regiomontano, in qualche forma primitiva, sia esistito già nel XIII secolo; che qualcuno abbia pensato nel XIV secolo di ottenere lo stesso strumento in forma di “nave”, pur sorvolando su qualche imprecisione progettuale e che, infine,

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Regiomontano sia stato, l’esecutore delle modifiche apportate alla “Navicula” che diventava l’orologio che porta ora il suo nome.

Se si considerano attendibili queste ipotesi, la storia degli orologi solari rettilinei e la loro successione cronologica è fatta. E’ normale supporre che egli sia riuscito ad eliminare gli inconvenienti insiti nella costruzione della “Navicula”e questo spiegherebbe anche l’altro controsenso che vede la navicella come strumento difettoso, postumo del Regiomontano: come è possibile creare un orologio difettoso come la navicella da uno perfetto come il “Regiomontanus”? Lo stesso De Solla Price, in un articolo per un’enciclopedia, scrive: “Un tipo di quadrante simile (alla navicula) fu ideato da Regiomontano ed è conosciuto come il suo quadrante universale rettilineo; “l’albero” è qui sostituito da un indice articolato che porta il filo a piombo...”. Quindi, Regiomontano potrebbe aver modificato la vecchia navicella sostituendo l’albero con l’indice articolato, eliminando il difetto del vecchio strumento legato al cerchio delle latitudini e trasformando la “nave” - di cui resta però una vaga forma nella scorniciatura delle linee orarie anche in esemplari postumi - nella forma ( che è un rettangolo) del suo Universale. Si noti che la forma del rettangolo - poco artistica ma molto funzionale - sul cui lato superiore è imperneato l’indice articolato, deve essere tale proprio per avere lo spazio necessario sul quale disegnare il “trigono” per la scala delle latitudini.

Per quanto concerne invece l’orologio rettilineo “particolare”, si potrebbe pensare che sia stato inventato in Europa intorno all’anno Mille, poco divulgato e, anzi, subito sostituito con il quadrante rettilineo universale, forse in qualche sua forma primitiva a noi sconosciuta. Ma sulla storia di questo strumento i misteri sono fittissimi: quando Ozanam ne diede una descrizione nella sua opera citata, scrisse che il “cappuccino” deriva da un certo quadrante rettilineo universale del Gesuita Padre de Saint Rigaud divulgato in un libro intitolato “Analemma Novum”. Per Ozanam quindi il “cappuccino” sarebbe posteriore al XVI secolo, ma possiamo screditare questa affermazione in quanto

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oggi si conserva un esemplare di “cappuccino” firmato da Oronzio Fineo e datato 1524. Quindi bisogna concludere che il rettilineo “particolare”, fu trasformato artisticamente in “cappuccino” già all’inizio del XVI secolo e forse non fu più ripreso in seguito in quanto era considerato solo una curiosità gnomonica, insufficiente però a giustificarne la continua riproduzione artigianale in esemplari commerciali.

Solo così si potrebbe spiegare il mistero del “vuoto” lasciato dal “cappuccino” nella gnomonica rinascimentale. In effetti, pare che esso non compaia in nessuna opera sulla gnomonica del XIV, XV e XVI secolo e nemmeno nel libro di O. Fineo, che descrive il “Regiomontano” chiamandolo orologio rettilineo universale e non riporta il “cappuccino” di cui però, stranamente, ci resta un esemplare firmato da egli stesso ed anteriore alla pubblicazione del suo libro! Possibile che personaggi tanto attenti all’arte sciografica come lo stesso Regiomontano, Purbach, Muller, Fineo, Benedetti, Schonero, Maurolico, Barbaro, Commandino, Vimercato, Clavio (che dà una bella immagine e descrizione del “Regiomontanus” senza tuttavia mai citare il suo autore), Pini, Galluccio, solo per citarne qualcuno, non abbiano mai scritto di un così curioso orologio come il “cappuccino”, nonostante sia stato, in qualche periodo, prodotto artigianalmente in diversi paesi d’Europa?

Ipotesi di successione

1. all’inizio doveva esserci l’orologio rettilineo “particolare” non conosciuto come “cappuccino” e quindi senza nessun particolare riferimento artistico alla forma del tracciato orario;

2. esso però fu subito sostituito con l’orologio rettilineo universale in modelli che non ci è dato conoscere, perchè non ci sono pervenuti;

3. questi furono successivamente (XIV secolo) trasformati in forma di “nave” - attraverso una evoluzione artistica che non conosciamo -, dando luogo alla “Navicula de Venetiis”;

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4. questa però presentava delle imperfezioni di costruzione che furono eliminate da Regiomontano il quale la modificò nel suo orologio Rettilineo Universale “Regiomontanus”.

5. Infine, verso l’inizio del XVI secolo, qualcuno pensò di riesumare il vecchio orologio rettilineo particolare, forse ispirato dalla curiosa forma del tracciato orario, e di trasformarlo nel caratteristico “saio” o “cappuccio”, come quello dei monaci. Da ciò tale strumento ricevette il nome di “cappuccino”, ma non ebbe lo stesso fortuna, considerato che era valido per una sola latitudine.

1° Orologio solare d’altezza rettilineo “particolare” (esemplari primitivi) sec. XI-XII 2° Orologio solare d’altezza rettilineo “universale” (esemplari primitivi) sec. XII-XIII 3° Trasformazione dell’orologio universale in “Navicula de Veneetis” sec. XIII-XIV 4° Trasformazione della “Navicula” nell’”Universale di Regiomontano” sec. XIV 5° Adozione del rettilineo “particolare” e trasformazione artistica in “cappuccino ”. sec. XVI-XVII

E’ da notare che il 2° e 3° punto potrebbero rappresentare

anche un solo evento storico, ipotizzando per esempio, che subito dopo il rettilineo “particolare” si sia avuto la “navicula”.

Restano alcuni interrogativi secondari. Per esempio:

• come mai dal disegno dell’orologio rettilineo pubblicato nel Kalendarium di Regiomontano, non si riesce a trovare alcuna particolarità artistica che possa ricondurre alla “Navicella”. E’ ovvio che si tratta di un esemplare primitivo, successivamente ridisegnato meglio artisticamente. Ma si può anche pensare che Regiomontano avesse realizzato il suo “Universale” indipendentemente dalla “Navicula”, o senza badare a mantenere la sua forma.

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• Non si conoscono i particolari degli eventuali orologi rettilinei universali esistiti prima della navicella e, oltretutto, ciò mette in dubbio l’attribuzione dei rettilinei universali a Regiomontano. D’altra parte, seguire altre congetture, come si è visto, lascia adito non soltanto a molti altri dubbi, ma fa cadere irrimediabilmente in contraddizioni cronologiche, come quella relativa all’ipotesi che vede la navicella come strumento derivato dal Regiomontano senza tener conto dei codici sulla navicula precedenti al Kalendarium di Regiomontano.

• Il fatto che il termine “cappuccino” si ritrovi solo a partire dall’opera di Ozanam, che può essere in parte spiegato ipotizzando che sia stato lo stesso Padre de S. Rigaud ad usare tale termine nel suo libro “Analemma Novum”.

Conclusione

Teoricamente, e seguendo una logica derivata dall’analisi tecnica di questi strumenti, la successione cronologica sarebbe: 1° Orologio rettilineo “particolare; 2° Orologio rettilineo “universale” o di Regiomontano; 3° Navicella veneziana, ma solo come una variante del Regiomontano. A mio avviso, questa successione non tiene conto dell’anteriorità della Navicella sul Regiomontano, attestata dai codici del XIV secolo e, per ovviare a tale inconveniente, alcuni autori arretrano la nascita del rettilineo universale al XII-XIII secolo, spodestando - peraltro senza alcuna prova - l’attribuzione di questo orologio a Regiomontano, tanto ben attestata dalla sua pubblicazione. Inoltre questa ipotesi non spiega il “silenzio” degli gnomonisti del ‘400-’500 sul “cappuccino”, e perchè gli gnomonisti avrebbero dovuto commettere un errore tanto grossolano facendo scaturire da un orologio perfetto come il Regiomontano, uno strumento impreciso e difettoso come la Navicella veneziana. Tutte queste contraddizioni possono essere eliminate se si ipotizza la successione in questo modo:

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1° Orologio rettilineo “Particolare”; 2° tentativo di “universalizzare” il rettilineo “particolare” attraverso lo strumento “matematico” detto “Navicula de Veneetis”; 3° Regiomontano ovvia agli inconvenienti di quest’ultimo, inventando il suo “strumento universale” che sarà detto, per questo di “Regiomontano”.

In questo modo, resterebbe solo da spiegarsi come mai, teoricamente, il rettilineo “universale” può essere geometricamente dimostrato a partire direttamente dal rettilineo “particolare”, mentre nella successione proposta c’è di mezzo anche la Navicula. Il fatto che lo stesso Regiomontano, e in seguito, O. Fineo e C.Clavio si siano limitati a dare una descrizione dello strumento universale senza darne la dimostrazione matematica (operazione alla quale soprattutto Clavio teneva particolarmente) potrebbe far pensare che l’evoluzione di tali strumenti si sia basata, soprattutto all’inizio, sull’esperienza pratica e non sulla ricerca del perfetto meccanismo matematico. D’altra parte nella gnomonica si conoscono moltissimi esempi di strumenti realizzati per osservazione pratica e di cui si è successivamente dimostrata la validità geometrica e matematica. Basti pensare all’orologio a rifrazione di Oddi Muzio, ai numerosi strumenti ed orologi inventati da Kircher sulla base dell’esperienza pratica, allo stesso orologio rettilineo universale, dimostrato matematicamente solo a partire da Ozanam. Infine, non vorrei dimenticare una notizia riportata nel bel volume “L’ombra e il tempo” di G. Pavanello, A. Trinchero e L. Moglia (ed. Vanel, Torino 1988) secondo cui l’orologio cappuccino “più verosimilmente si può attribuire alla firma che compare su numerosi esemplari antichi: ‘F. Amatius Bellu. Capucinus Fecit’, cioè costruito dal Padre Cappuccino Amatius Bellunensis”. Una notizia del genere potrebbe risolvere almeno l’enigma delle origini del “cappuccino” - non dell’orologio rettilineo particolare -, cioè proverebbe che il rettilineo locale, sebbene esistesse da molti secoli prima, fu trasformato artisticamente nella forma del “cappuccino” solo a partire dal XVI secolo e probabilmente a partire dal 1525, anno in cui

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Clemente VII riconobbe ufficialmente l’ordine dei frati Cappuccini. Il che è quando si è ipotizzato da parte nostra in questa lunga digressione. Sfortunatamente, gli autori di questo libro - forse senza dare gran peso a questo particolare - non riportano la loro fonte e non dicono altro su questo argomento. Bisognerebbe almeno sapere quando è vissuto questo frate Amatius Bellunensis e quali sono questi “numerosi” esemplari di “cappuccino”.

Sulla base di quanto detto, mi pare che la successione qui proposta sia, in definitiva, quella che offre meno spazio ad interrogativi senza risposte o a curiose e fuorvianti contraddizioni. Ciò che di certo resta è la bellezza della ricerca storica che, soprattutto in questo caso, è particolarmente affascinante dimostrando ancora una volta che il tempo non è solo un vago contorno della vita dell’uomo, ma la dimensione attraverso la quale egli ritrova il suo passato ed il suo presente.

Bibiografia:

Archinard M., A Note on Horizontal Sundials, in “Bulletin of the Scientific Instrument Society”, n. 14, 1987, p. 6 Archinard M., Les cadrans solaires rectilignes, “Nuncius”, anno VI, fasc. 2, 1991, Firenze, Olshki Ed. Bion N., Traitè de la construction et des principaux usages des instrumens de mathematique, prima ed. Paris, 1709, seguono varie edizioni. Brusa, G., Le Navicelle orarie di Venezia, “Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze”, 5, 1980, fasc. 1, pp.51-59. Fantoni Girolamo, Orologi Solari. Trattato completo di Gnomonica., Ed. Technimedia, Roma, 1988 Fuller, A.W., Universal rectilinear dials, “The Mathematical Gazette”, febbraio, 1957, vol. 41. Gunther R.T., Early science in Oxford, Vol. 2, London 1923 Ozanam J., Récréation mathématiques et physique, prima edizione Paris, 1694, seguono varie edizioni. Regiomontanus (J. Muller de Konigsberg), Kalendarium Magistri, incunabolo, 1474.

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Severino N., Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1994 Solla Price D.J de, The little ship of Venice, a Middle English instrument tract, “Journal of the History of Medicine and Allied Sciences”, vol. 15, 1960 Stebbins F., A medieval portable sun-dials, “The Journal of the Royal Astronomical Society of Canada”, vol. 55, n° 2, Aprile 1961 Taylor E.G.R., The mathematical practioners of Tudor and Stuart England, Cambridge, 1954 Zinner E., Deutsche und niederlandische astronomische Instrumente des 11.-18. Jahrhunderts, Munchen 1956.

Codici sulla “Navicula de Veneetis”:

Biblioteca Bodlejana Oxford, classe VI-VII-VIII “Codices variorum artium et dialectorum: Anonimy: De constructione Instrumenti Astronomici, vocati Navicula de Veneetis; Wittel: De forma naviculi (instrumenti mathematici sic dicti) cum practica ejusdem A.D. 1485

I due codici suddetti sono riportati dall’opera “Historia Matheseos Universae” di C. Heilbronner del 1742.

In un libro degli incipit a cura di E. Zinner, si ha: “In hoc instrumento duo figure zodiaci...” Materia de novo instrumento quod vocatur Navicula. Bodlejan Lib. D.248, 15c, ff. 2-5 ARUNDEL Mss

Il manoscritto di Wittel, datato A.D.1485 potrebbe essere

decisivo nella risoluzione del problema della successione cronologica degli orologi “rettilinei”, essendo posteriore al Kalendarium di Regiomontano, solo però se non fosse dimostrata, o se sussistessero dei dubbi sull’anteriorità del manoscritto segnalato da Gunther e che viene fatto risalire alla fine del XIV secolo. In tal caso sarebbero opportune delle verifiche in questo senso.

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IL FASCINO DEGLI OROLOGI EQUINOZIALI

L’orologio solare equinoziale ha alcune semplicissime caratteristiche che lo rendono unico fra gli strumenti solari della gnomonica:

1. E’ il più semplice concettualmente. 2. E’ facile da progettare. 3. E’ il più pratico da trasformare in orologio

universale. 4. E’ tra i più semplici a costruirsi. 5. E’ facile renderlo portatile. 6. E’ uno degli orologi solari più versatili alle

trasformazioni artistiche. Tali proprietà sono alla base della popolarità che un

simile orologio ha riscontrato in oltre duemila anni di gnomonica. La rappresentazione materiale del piano dell’equatore (e con esso dei principali circoli della sfera celeste) è sicuramente una delle prime conquiste astronomiche dell’uomo. Se è vero che Anassimandro di Mileto (VII secolo a.C.) fu il primo in Grecia a mostrare ciò che egli usava chiamare “scioteri” e che probabilmente erano macchine gnomoniche evolute in quanto si dice che indicassero non già solamente l’ora, ma soprattutto gli equinozi ed i solstizi, allora dobbiamo convenire che l’orologio equinoziale è di gran lunga anteriore a quel periodo. Tuttavia, la letteratura gnomonica fa soprattutto riferimento alle innovazioni di Beroso Caldeo con gli Hemicyclium, e agli orologi portatili, ma nulla di gran che si legge a proposito di questi straordinariamente semplici ed efficaci orologi equinoziali.

Che il loro uso era frequente presso i popoli arabi attorno

all’anno Mille è confermato almeno dagli eccezionali strumenti che ornano, come un museo all’aperto, gli osservatori astronomici di quell’epoca (portare esempi). Ma nell’Europa rinascimentale essi conseguirono una popolarità che pochi

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strumenti astronomici e gnomonici hanno conosciuto.

Quadrante equinoziale portatile in uso nel XVI secolo. Si sa che il Sole, nel suo moto apparente sulla sfera

celeste, descrive in un’ ora un arco pari a 15 gradi. Di conseguenza, basta disporre un piano circolare, opportunamente suddiviso in archi di 15 gradi ciascuno e numerati con le ore a partire dal punto Est=ore 6, punto Sud=ore 12, punto Ovest=ore18, parallelamente al piano dell’Equatore e l’orologio equinoziale è fatto.

Si è lontani, quindi, dalle noiose operazioni geometriche

e i tediosi calcoli algebrici-trigonometrici per calcolare la declinazione o l’inclinazione delle pareti per gli orologi solari verticali. Un po' meno per l’incisione di tracciati orari su piani perfettamente orizzontali. Ma niente di più facile che costruire un orologio equinoziale. Tale particolarità, ha letteralmente invogliato anche quelle persone che nulla sanno di gnomonica o

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di moti apparenti della sfera celeste a realizzarne di vari modelli. Basta un semplice consiglio di un amico esperto, o aver letto le modalità di progettazione su un libro divulgativo. A volte anche sui manuali pratici di astronomia.

La fantasia del costruttore è, in questo caso, particolarmente stimolata. Infatti, si conoscono molti esempi di realizzazione di orologi solari equinoziali dalle forme davvero stravaganti: ad esempio, il semplice piano circolare, sempre disposto parallelamente al piano equatoriale, spesso viene opportunamente sostituito dalle caratteristiche ruote di carro sulle quali, viene dipinta la numerazione oraria in corrispondenza dei raggi, che rappresentano le linee orarie, senza tener conto, a volte, della precisa angolazione di 15 gradi che dovrebbe distanziarle. Questo, naturalmente, perchè la ruota di carro si presta molto bene da un punto di vista artistico ad essere trasformata in orologio equinoziale. Può fare da gnomone, in questo caso, lo stesso asse a cui era attaccata la ruota.

L’orologio equinoziale in miniatura fu uno dei più

popolari orologi solari portatili nei secoli della Rinascenza. Molti furono i modelli costruiti dagli artigiani, dal semplice “anello equinoziale” alla “croce equinoziale”. Il quadrante equinoziale vero e proprio può essere reso universale semplicemente applicando lo strumento ad una base orizzontale dotata di una scala graduata (quarta di cerchio) che permette di inclinare il piano dell’orologio sull’orizzonte e di renderlo così parallelo al

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piano equatoriale a qualsiasi latitudine. Un’altra caratteristica importate per la quale fu molto

usato questo orologio è la sua versatilità come strumento ausiliario per la costruzione di altri tipi di orologi solari. Lo “sciatere” di Pardies e lo “strumento”, inventato da Giovanni Ferrerio Spagnolo e descritto da Cristoforo Clavio, sono entrambi degli orologi equinoziali. Infatti, si basano sul principio che un piano reso parallelo al piano dell’equatore e suddiviso in archi di 15 gradi ciascuno, trova larga applicabilità nella costruzione di orologi solari murali riportando semplicemente i prolungamenti delle suddivisioni sul piano dell’orologio.

Rappresentazione di alcuni piani. AD è l’equinoziale, ge l’orizzontale, P il verticale, BC l’anello equinoziale. L’asse BE è parallelo all’asse terrestre. Da Chambers’s Encyclopaedia, London, 1862.

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Una variante artisticamente unica ed interessante dell’orologio equinoziale è quella effettuata, forse per la prima volta, da Athanasius Kircher che ne diede una descrizione nella sua Ars Magna Lucis et Umbrae. Si tratta di un “multiquadrante” formato da una colonna centrale su cui sono applicati quattro triangoli ognuno dei quali viene denominato da Kircher “Radius solidus”. Ogni triangolo ha un lato scavato di forma semicilindrica, come si vede nella figura sotto. E’ utile ricordare che un orologio molto simile, non equinoziale però, fu realizzato da Teodosio Rubeo da Priverno nel giardino del Quirinale, giusto qualche anno prima che venisse pubblicato il libro di Kircher.

Pianta dell’orologio solare “Tetraciclo” equinoziale.

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Nell’Enciclopedia Popolare Italiana, pubblicata a Torino nel 184625, troviamo un’altra variante dell’antico orologio “tetraciclo equinoziale” inventato da Kircher. Le innovazioni consistono nell’aver applicato alla colonna centrale, più larga e con la numerazione oraria, un’asta con una meridiana “geografica” a globo che consente di ottenere le ore dei principali paesi del mondo. Mi sembra interessante, per gli appassionati costruttori di orologi solari, dare una descrizione dell’intero strumento e le modalità di costruzione.

Facendo riferimento figura della pagina precedente, si

abbia una tavoletta quadrata di legno ben stagionato, o altro materiale. Si comincia col segnare sopra una delle due facce le linee secondo le quali si dovrà poi tagliare. Per questo si prendano due punti a e b equidistanti dagli angoli della tavoletta e poco distanti l’uno dall’altro (tale distanza determina lo spessore dello stilo per le facce concave). Facendo centro in ciascuno di essi successivamente, si descrivano due quarte di cerchio cA e dB con raggi uguali e tali che rimanga al centro della tavoletta spazio sufficiente per il normale orologio equatoriale. Si prendano i punti K, I ed L, M equidistanti dagli angoli rispettivi della tavoletta facendo in modo che risulti KI=LM=aA. Si tirino quindi le rette Lq ed Mq, Kp ed Ip uguali tra loro e concorrenti con le diagonali della tavoletta nei rispettivi punti q, p.

La stessa costruzione si dovrà eseguire sui tre lati rimanenti della tavoletta. Gli spigoli risultanti dopo il taglio nel senso della dimensione minore della tavoletta serviranno come altrettanti gnomoni.

Le linee orarie si segneranno nel modo seguente. Si orienta l’orologio in modo che il lato KL sia rivolto

dalla parte settentrionale e che il piano della tavoletta sia parallelo all’orizzonte. Ogni quarta di cerchio dovrà essere suddivisa in sei parti uguali, corrispondenti ad archi di 15 gradi ciascuno, e la numerazione si esegue nel modo che si vede nella 25 E qui mi corre l’obbligo di far notare come ancora a quei tempi, un’enciclopedia popolare dedicasse ampio spazio agli orologi solari con un lungo e competente articolo sulla gnomonica.

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figura. Per le tirare le linee orarie segnate nelle facce degli angoli

NrO, PsQ, ecc. si applica comodamente un goniometro sui vertici dei rispettivi angoli, allineando la linea dei 90° con il vertice dell’angolo opposto e segnando su questo i punti orari corrispondenti ad archi di 15° ciascuno. Tutta l’operazione è più semplice a farsi che a dirsi e si invita il lettore a provare a costruire tale simpatico e caratteristico orologio solare.

Come si vede dalla figura, il piano inferiore che sostiene l’orologio è orizzontale ed è munito di una bussola che aiuta ad orientare opportunamente l’orologio. L’asse dello strumento viene fissato sul piano orizzontale in modo che faccia con esso un angolo uguale alla latitudine del luogo. Risulterà quindi essere parallelo all’asse terrestre.

Una buona prova che dimostra la correttezza della costruzione e del funzionamento dell’orologio è che l’indicazione dell’ora dovrà essere uguale nei momenti in cui può effettuarsi contemporaneamente la lettura sulle diverse numerazioni segnate.

Soluzione per l’equinoziale di Pappiani

Di orologi solari equinoziali tratta anche Alberto Pappiani

nella sua "Sfera Armillare, e dell'uso di essa nella Astronomia Nautica e Gnomonica", opera edita in Firenze nel 1745. Nulla di

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importante aggiunge sull'argomento, se non un piccolo particolare dici-amo pure innovativo, ma forse anche scontato, che però non si riscontra spesso nei manuali sugli orologi solari. E' facile osservare che il principale difetto, o meglio limite d'uso, dell'orologio equinoziale è dato dal fatto che ha il piano disposto parallela-mente all'equatore. Ne segue che nel periodo che dal 23 settembre al 21 marzo, l'orologio indica le ore sulla parte inferiore del piano, cioè su quello che viene normalmente detto orologio equinoziale inferiore, mentre nel periodo dal 21 marzo al 23 settembre, il Sole, avendo decli-nazione positiva, illumina la parte superi-ore del piano dell'orologio equinoziale supe-riore. Come è ovvio, nei giorni degli equinozi, l'orologio non mostra ora alcuna perchè il Sole giace proprio nel piano dell'equatore. Nell'orologio tetraciclo che abbiamo visto prima, questo inconve-niente veniva risolto segnando le ore sono sulla parte frontale del piano (lati della tavoletta). Così, il Pappiani propone di "scavare il piano dell'orologio equinoziale" in modo che rimanga nella metà del circo-lo ABC un mezzo anello suddiviso in sei parti uguali. Alzato il piano ADEC secondo l'altezza del polo,cioè della latitudine del luogo, si ha pron-to l'orologio equinoziale che mostra le ore anche nei giorni di equinozio. Esse saran-no indicate dall'ombra delle due estremità A, C. L'ombra dello spigolo C denota le ore antimeridiane; l'ombra dello spigolo A mostra le ore pomeridiane. Per questo motivo si scriverà la

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numerazione delle ore sui due lati del mezzo anello perché una serva per la mattina, l'altra per il pomeriggio. LL’’OORROOLLOOGGIIOO DDEELL RREE AACCHHAAZZ EE IILL MMIIRRAACCOOLLOO DDII IISSAAIIAA

QUESTO SAGGIO È DI POCO ANTERIORE ALLA RELAZIONE

DI E. MARIANESCHI, N. SEVERINO “LA RETROGRADAZIONE DELL’OMBRA”, PUBBLICATA NEGLI ATTI DEL VI° SEMINARIO NAZIONALE DI GNOMONICA TENUTOSI A S. BENEDETTO DEL TRONTO, NEI GIORNI 30-SETT.-95 E 1-2 OTT.-95. E BENE PERCIÒ TENERE IN CONSIDERAZIONE CHE NON SONO QUI COMPRESI GLI ULTIMI STUDI ED IPOTESI, SEBBENE NULLA DI RISOLUTIVO SIA VENUTO ALLA LUCE ANCHE DALL’APPROFONDITA RELAZIONE PREDETTA. SI RIPORTA COMUNQUE QUESTO PICCOLO SAGGIO PER IL SUO CONTENUTO PRESSOCHÈ COMPLETO DI NOTIZIE E CITAZIONI STORICHE SULL’ARGOMENTO.

Ci giunge ormai come una leggenda la travagliata storia di un orologio solare appartenuto al Re di Giudea Achaz e quindi al figlio Ezechia (Hiskiam per gli amici), che regnò in Israele dal 728 al 697 a.C. Una sola fonte storica ci è nota al riguardo, che è anche la più antica: il secondo Libro dei Re. Qui, nel capitolo 20 si accenna ad un orologio solare, ma non è tutto. Per creare una leggenda ci vuole un mistero. E’ d’obbligo, quindi, il ricorso all’arcano, al mistico e a tutti quegli ingredienti che contribuiscono, soprattutto nel tempo, a stimolare la fantasia della gente. Nel nostro caso, allora, non v’era niente di meglio che associare all’ orologio solare di un Re, un miracolo avvenuto per mano di un profeta ispirato da Dio, e che è passato alla storia come il Miracolo di Isaia. L'antico compilatore delle Sacre Scritture forse non avrebbe mai immaginato di scatenare, con questa breve notizia, una reazione a catena che nell'ambito della letteratura medievale si è

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tradotta in fiumi di parole e scritti che riguardano interpretazioni personali, disquisizioni, testimonianze, ricerche ed erudizioni a tutti i livelli. Gli storici (e soprattutto gli esegeti), da una parte, cercavano un'interpretazione mistico-religiosa del fenomeno; gli scienziati, dall'altra, cercavano una spiegazione fisico-matematica dello stesso, in un contesto storico il più reale possibile. Ma prima di conoscere le opinioni degli antichi eruditi su questo argomento, leggiamo il passo originale del II Libro dei Re: "In quel tempo Ezechia fu colpito da una malattia mortale. Or, il profeta Isaia, figlio di Amos, andò a fargli visita e gli disse: Così parla il Signore - tu morrai e non vivrai -. Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e supplicò il Signore, dicendo: Dhe, Signore, ricordati che io ho camminato dinanzi a te nella verità, con cuore perfetto, compiendo ciò che è gradito ai tuoi occhi. Poi Ezechia scoppiò in pianto dirotto. Isaia non era ancora uscito dal cortile di mezzo, quando gli fu rivolta la parola dal Signore, che gli disse: - Torna indietro e annunzia ad Ezechia, capo del mio popolo: così parla il Signore, Dio di Davide: ho udito la tua preghiera, ho veduto le tue lacrime, ed ecco, Io ti guarisco. Fra tre giorni salirai al tempio del Signore. Anzi aggiungerò quindici anni alla tua vita, poi libererò te e Gerusalemme dal Re di Assiria, e proteggerò questa città per amor mio e per amor di Davide, mio servo. Isaia ordinò: portate un impacco di fichi. Lo portarono e quando l'ebbero applicato sopra l'ulcera, il re guarì. Ezechia aveva chiesto ad Isaia: quale sarà il segno che il Signore mi guarirà e che io fra tre giorni potrò salire al tempio del Signore? Isaia rispose: Ecco da parte di Dio il segno che il Signore compirà la sua parola: Vuoi tu che l'ombra salga di dieci gradi, o che torni indietro di altrettanti? Ezechia rispose: Per l'ombra è cosa facile avanzare di dieci gradi: fa invece che torni indietro di altrettanti. Il profeta Isaia invocò il Signore ed egli fece tornare indietro di dieci gradi l'ombra sulla meridiana di Achaz". Questo è il passo che ci racconta la Bibbia, al capitolo 20 del Libro II dei Re. Su queste parole si sono arrovellate le più

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fulgide menti del passato, dall'era di Cristo fino ad oggi, nel tentativo di dare una spiegazione logica del miracolo compiuto dal profeta Isaia, e nello stesso tempo di conciliare tutte le possibili ipotesi uniformandosi alla dottrina della Chiesa. Ma che tipo di orologio solare era quello del Re Achaz? Che forma aveva? Quanto era grande? Che tipo di ore indicava? E perchè si dice orologio di Achaz, se il miracolo ha interessato suo figlio Ezechia? Dopo duemilacinquecento anni queste domande restano ancora in parte senza una precisa risposta. E' perfettamente comprensibile l'interesse degli studiosi per questa piccola fetta di storia ignota. Infatti, l'avvenimento si colloca circa due secoli prima che Anassimandro o, se si vuole, Anassimene suo discepolo, collocassero a Sparta i primi orologi solari. Avvenimento che studiosi autorevoli fanno coincidere con l'inizio ufficiale della scienza gnomonica. Sarebbe quindi del più grande interesse conoscere le fattezze originali dell'orologio di Achaz e il sistema di computo usato. Ed è quanto si è cercato di fare fino ad oggi, attraverso le più diverse interpretazioni dei testi originali ma, come risulta evidente, la risoluzione definitiva del problema è ancora lontana. E ancor prima di domandarci come poteva essere l'orologio di Achaz, è necessario chiarire cosa si intende per la retrogradazione dell'ombra in un orologio solare. Come è evidente, negli orologi solari costruiti su piani verticali, come la maggior parte di quelli visibili sui muri di case e palazzi antichi, l'ombra proiettata dallo gnomone parallelo all'asse terrestre cammina sempre nella stessa direzione, cioè in senso opposto al moto apparente del Sole, passando dalle ore antimeridiane (a sinistra di chi guarda l'orologio solare murale), a quelle pomeridiane (a destra). Essa non potrà mai invertire il suo cammino, o indietreggiare anche momentaneamente. Da questa semplice osservazione si deduce immediatamente che, nell'ambito del razionale, l'orologio di Achaz non poteva essere una meridiana verticale. E se l'orologio fosse orizzontale? In questo caso la retrogradazione, almeno teoricamente sarebbe possibile, dice

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Garnier, in quanto interviene la considerazione della latitudine del luogo e, insieme, della declinazione del Sole. Se la latitudine del luogo dove è collocato l'orologio solare è maggiore della declinazione del Sole (e ciò avviene tutti i giorni per una località la cui latitudine superi 23 gradi e 30 primi), la retrogradazione non può prodursi; ma essa si verifica nel caso opposto. Ad esempio essa si verificherà a Gondar la cui latitudine è di 12 gradi 36 primi e 26 secondi, in tutti quei giorni dell'anno per i quali la declinazione del Sole è maggiore di tale angolo, e cioè da fine aprile a metà agosto circa. Ma allora, secondo queste considerazioni, sarebbe fisicamente impossibile il verificarsi del fenomeno a Gerusalemme, la cui latitudine di 31 gradi 46 primi e 30 secondi supera la massima declinazione possibile del Sole. Per questo fatto sarebbe impossibile pensare ad un orologio orizzontale a stilo verticale. Allora, come si spiega il miracolo di Isaia? A questo punto Garnier propone un esperimento interessante, ma che non aiuta certo a risolvere il mistero. Egli si propone di ripetere il fenomeno in qualunque località ed in qualunque giorno dell'anno, attraverso un espediente che conduce forzatamente ad ottenere una piccola prova di retrogradazione dell'ombra. Il tutto si riduce a simulare un orologio solare orizzontale a stilo verticale e orientarlo poi in modo che risulti quasi un orologio equatoriale. Siccome la retrogradazione raggiunge il massimo valore, con questo espediente, di circa 10 gradi nel giorno del solstizio estivo, cioè il 20-21 giugno, si potrebbe pensare che Isaia, nel praticare l'arte gnomonica, in qualche modo sia venuto a conoscenza di questo trucco: ma si tratta pur sempre di un trucco, cioè di una manipolazione chiara e ben visibile, il che contrasta nettamente con quanto viene riportato nella storia sacra. Terminata questa breve considerazione, ritorniamo all'esame delle diverse fonti. La dissertazione più importante di cui siamo a conoscenza, e che riassume mirabilmente il pensiero di quanti si sono occupati dell'argomento fin dall'antichità, è certamente quella dell'erudito Agostino Calmet, pubblicata in latino nel 1754.

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Peraltro questo lavoro, stranamente, non ha mai riscosso il successo che invece meriterebbe, ed è rimasto fino ad oggi pressoché sconosciuto anche agli esperti. In linea di massima, possiamo dire che le divergenze di opinioni sull'orologio in questione, hanno origine nelle diverse interpretazioni della terminologia usata nei testi antichi delle Sacre Scritture e riportata in seguito dai primi scrittori cristiani. Una prima difficoltà è quella di riconoscere se nel passo originale si vuole alludere proprio ad un orologio solare o a qualcosa d'altro. Alcuni pensarono che si trattasse di un vero complesso gnomonico, altri di una semplice scalinata che in qualche modo fungeva da orologio solare. Così, si arrivò ad ipotizzare che nel grande palazzo reale di Gerusalemme, fosse stata costruita una scala chiamata d'Achaz, in quanto fu ordinata da questo re, sulla quale era possibile osservare il corso del sole, e la misura del tempo per mezzo dell'ombra proiettata dai singoli gradini, o gradi. Il problema è che nessuna parola ebraica antica corrisponde precisamente a quella di orologio, o quadrante solare. Nelle Sacre Scritture si trova semplicemente la parola Mahalot, o Magnalot, che sia in siriaco che in arabo significa gradi. Addirittura, nelle versioni antiche è scritto che l'Eterno fece ritornare indietro l'ombra sui gradi d'Achaz, e non sull'orologio d'Achaz, come viene riportato nelle versioni moderne. Altri antichi autori intesero le cose diversamente: Il Sole aveva fatto cadere l'ombra sul decimo grado nella sua casa. Ezechia gli domandò che l'ombra ritornasse indietro nel luogo precedente, e che in seguito ella ritornasse. (26) Altri aggiungono che forse sui gradini della scala, erano incise delle linee ad una certa distanza l'una dall'altra, o da figure, che ne facevano una sorta d'orologio solare.(27) Ma la maggior parte degli interpreti si dichiarano convinti che in quel luogo debba intendersi un orologio solare vero e proprio. E questo, probabilmente, è accaduto da quanto S. 26 Josephe A. J., nella traduzione di P. Gillet, Lib. X. cap.2. 27 Si veda Ufferius, Annal. p. 46 e la Historia Universelle, T. III, p. 119; ancora Cirillo Alessandrino in Esa. Hieronim.

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Gerolamo, e lo stesso Simmaco, fecero passare nelle versioni latine delle Sacre Scritture, cioè nella Vulgata, la parola orologio d'Achaz, al posto di gradi d'Achaz, come riportano i testi più antichi. Ma nelle Paraphraste Chaldéen è scritto che l'Eterno fece ritornare l'ombra sulle figure, o sulle incisioni (marques) della pietra delle ore (lapidem horarium), e pare che la maggior parte dei Giudei adottino questa versione. (28) Un'altra grande difficoltà che rende ardua l'interpretazione di questo passo, è data dal significato della parola ora. Nella lingua ebraica non c'è nessun termine che risponde alla parola ora, nel senso che noi gli diamo, tranne che in un passo del Caldeo Daniele (VIII secolo a.C.). Lo stesso problema si riscontra nel greco e nel latino, in cui la locuzione ora, secondo Salmasio, non venne adottata per la suddivisione del giorno almeno fino al tempo di Platone. Ma cosa sono i gradi d'Achaz? E se di orologio solare si trattò, che tipo di ore indicò? E quale forma ebbe questo orologio? Come ho detto, a queste domande si può ancora rispondere solo con altre supposizioni ed ipotesi. In un passo precedente a quello di Isaia, si legge che Achaz andò a Damasco per rendere omaggio a Teglat-Falasar, Re degli Assiri che aveva combattuto contro Rasin, e "avendo veduto l'altare che era in Damasco, il Re Achaz, ne mandò un modello al Sommo Sacerdote Uria, con le misure e i dettagli precisi della sua struttura. Uria fece costruire l'altare secondo tutte le istruzioni che Achaz aveva fatto pervenire da Damasco e lo terminò prima ancora che il Re tornasse da quella città". E se si trattasse proprio dell'orologio solare in questione, voluto ad ornamento del palazzo reale? E' probabile. Anche perchè un altare può essere facilmente descritto senza troppi particolari, mentre le misure che Achaz prese con tanta cura, potrebbero essere proprio relative alla geometria dell'orologio. Inoltre, recentemente è stato scoperto un orologio egiziano, detto a cuneo, che ha la forma molto simile ad un altare. Quindi, anche questa non è un'ipotesi 28 Si veda Salom. Farchi ad h.l. et Esa XXXVIII. 8. cum Not. Breithaupt.

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da scartare. Un'altra considerazione da fare è la seguente. Isaia offrì a Ezechia la scelta di vedere l'ombra dello gnomone (non si confonda con stilo, qui la parola si deve intendere nel suo significato letterale, cioè "indicatore") risalire di 10 gradi, e quindi di vederla riscendere di altrettanti sull'orologio del suo palazzo. E' chiaro quindi che sull'orologio vi erano segnati almeno 20 gradi, che se corrispondessero ognuno a un'ora, dovremmo concludere che lo strumento segnava almeno 20 ore, ciò che è impossibile in quanto il giorno più lungo per la città dove era Achaz non supera 14 ore delle nostre (più o meno qualche minuto). E' lecito supporre, allora, che sull'orologio di Achaz vi era riportata una suddivisione temporale abbastanza fitta, simile alla nostra, in modo che l'ombra del sole poteva retrocedere anche di 10 di queste linee, senza risalire più di un'ora (29). Oppure, se si tiene conto che già i Caldei osservarono che il Sole percorre ogni giorno nel cielo 30 gradi dello zodiaco, e quindi 360 gradi in un anno, si può supporre che una suddivisione di 360 gradi fosse segnata ai bordi dell'orologio di Achaz, per servirsene come segnatempo. Secondo questa supposizione, dire che l'ombra del sole retrocesse di dieci di questi gradi, equivale ad affermare che vi fu in quel luogo e in quella stagione una retrogradazione di circa due terzi di ora (30). Bailly, il dotto autore della famosa Histoire de l'Astronomie ancienne, scrisse che "gli antichi nelll'aver adoddato la suddivisione sessagesimale, divisero il cerchio il 60 gradi. Questo diede origine alla suddivisione del giorno in 60 ore, perchè il Sole percorre i 60 gradi del cerchio nella sua rivoluzione diurna. Di conseguenza, i primi orologi solari ebbero un cerchio diviso in 60 parti che potevano essere denominate indifferentemente "ore" o "gradi". Ecco forse cosa erano i gradi 29 E' questo il pensiero di Menochius, de Rep. Hebr., e di Basnage, Hist. des Juifs. 30 E' questa la tesa di Langius, de annis Christi (sec. XVIII), pag. 32, 33 e Basnage, op. cit., Lib. VI. c. 39. pag. 702-708.

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dell'orologio di Achaz. L'ombra retrocede di 10 di questi gradi, cioè di 10 ore orientali, o di quattro delle nostre ore" (31). Un altro autore, celebre per i suoi paradossi (32), ha cercato di dimostrare che Isaia non aveva offerto, nè promesso, nessun miracolo a Ezechia, se non che questi sarebbe guarito dalla sua malattia quando l'ombra del sole sull'orologio solare fosse ritornata, il giorno successivo, nello stesso punto in cui era stata osservata: "Domani a questa stessa ora tu vedrai l'ombra del Sole sull'orologio di Achaz allo stesso punto, più o meno, ove ella è adesso". Naturalmente questa tesi non ha mai trovato altri sostenitori, soprattutto per l'evidente cattiva interpretazione del testo originale ove, incontestabilmente, è riportata la parola "miracolo". Ezechia aveva chiesto un segno della mano divina, e Isaia gli aveva proposto quello della retrogradazione, mentre l'ombra che ritorna sui suoi passi, nel giorno successivo, non è certo da considerarsi un evento miracoloso. Nell'ambito del miracolo, vi furono alcuni che si domandarono addirittura se l'ombra non fosse retrocessa di dieci gradi a causa dell'interruzione momentanea, per mano divina, del normale corso del Sole. A sostegno di questo pensiero essi osservarono: 1) che Isaia (XXXVIII, 8) disse espressamente che "il Sole tornò indietro di 10 gradi, sui gradi per i quali esso era disceso"; 2) che il Re di Babilonia, Merodaco, mandò a Gerusalemme i suoi uomini per informarsi sulla causa di questo prodigio (2 Chron., 31); 3) che si ritrovano tracce di questo evento anche nella storia profana, specialmente in Erodoto (Lib. II, cap. 142), ove pare si faccia un'allusione sia per il miracolo che aveva fatto fermare il Sole alle preghiere di Giosuè, tanto a quello che fece retrocedere l'ombra sull'orologio di Achaz alla domanda di Ezechia (33). 31 M. Bailly, Historia de l'Astronomia ancienne, pag. 385. 32 Herman Van der Hardt, Biblioth. Bremensis T. I, p. 840 33 Si veda Usserius, la Bib. Angl., Polus, Patrick, Henry, Stackhouse

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Per quanto riguarda il primo punto, la maggior parte dei critici ribattevano che nei testi si parlava di retrogradazione dell'ombra sull'orologio di Achaz, e non dell'arresto del corso del Sole. Evidentemente Isaia parla il linguaggio popolare, e mette la causa per l'effetto, come si riscontra in molti altri luoghi. Secondo punto. Se Merodaco mandò degli uomini ad informarsi sull'evento straordinario, possiamo ben immaginare perchè. L'Astronomia è nata e si è sviluppata nella grande valle dell'Eufrate. E' normale, quindi, che per un popolo come i Caldei i quali avevano acquisito cognizioni elevate sullo studio del cielo, mostrassero una certa perplessità per un fenomeno che non riuscirono a spiegarsi, anche perchè non l'avevano visto. Ma questo non significa necessariamente che di miracolo si trattò. Terzo punto. Come giustamente fa osservare qualche commentatore, questo miracolo, che a quei tempi dovette stupire gran parte della popolazione dell'Oriente almeno per decenni, avrebbe dovuto lasciare delle tracce ben marcate sia negli annali, sia nelle tradizioni di diversi popoli. Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi compiuti dagli studiosi nel ritrovare queste tracce, nella storia profana tale evento non occupa certamente un posto di qualche rilievo. Pare si legga qualcosa, in Platone, Pomponio Mela, Plutarco, Diogene Laerzio, ed altri, ma sono riferimenti troppo incerti e superficiali. Qualcuno vuole che si trovino tracce importanti del "solstizio miracoloso che Giosuè ottenne da Dio con le preghiere", negli Annali della Cina sotto il regno dell'imperatore Tao settimo (?), secondo loro contemporaneo di Giosuè. In definitiva, l'ipotesi più accreditata e che trovò i suoi sostenitori in Grotius, Bochart, Vatable, Sanctius, Polus, Calmet, Spanheim, Marck, Le Clerc, Wideburg, Roques, Polier, Baumgarten, ed altri, è quella che sembrò essere la più semplice, nonostante alcune difficoltà rimaste insuperate. Per questi autori, i documenti parlano espressamente della retrogradazione dell'ombra sull'orologio di Achaz e non dell'arresto del corso del Sole. Per spiegare questo fenomeno essi pensarono che "Dio produsse su qualcuno dei raggi del Sole

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un'inflessione che ne deviò momentaneamente la direzione naturale", per cui l'ombra retrocesse di 10 gradi (34). Nello stesso tempo, questa inflessione fu l'effetto incontestabile del verificarsi del miracolo, del segno divino che si manifestò così immediatamente dopo la richiesta. Gli stessi autori, per spiegare questa inflessione, dissero che "Dio non fece che condensare la parte dell'atmosfera che inglobava il palazzo reale, servendosi di un vento impercettibile che trasportava dei vapori". Sembra che anche Spinoza si sia pronunciato, proponendo, al posto del miracolo, un evento naturale. Secondo questi, un "parelio", cioè una specie di nube che essendosi fermata improvvisamente nei paraggi del palazzo reale, deviò leggermente i raggi del Sole provocando la retrogradazione. Ma in questo caso, spiegano gli esegeti, come poteva Isaia sapere in anticipo di questo fenomeno? E come avrebbe potuto dare l'alternativa ad Ezechia di vedere l'ombra avanzare o retrocedere sull'orologio? E' necessario fare una piccola digressione sul fenomeno dei "vapori" che causarono la retrogradazione dell'ombra. Uno studio del genere fu fatto all'inizio del secolo XVIII dal matematico Antoine Parent (esimio gnomonista), membro dell'Académie des Sciences di Parigi, e pubblicato in una memoria nelle sue "Recherches Mathematique et Physiques (pag. 256), dell'edizione del 1705. Ed ecco quanto riportano alcuni critici in un commentario dell'epoca: "Questo fenomeno era stato osservato da D. Romuald, Priore di un convento di Metz. Egli attesta che il 7 di giugno del 1703, accompagnato da Lucien e da Alexis De Lana, due dei suoi monaci, aveva visto a mezzogiorno preciso su un orologio solare declinante a oriente, l'ombra del Sole retrocedere dalla linea meridiana fino alla linea oraria delle dieci e mezzo. Non è dato sapere quale giudizio abbia espresso su questo fatto l'Accademia delle Scienze di Parigi, anche perchè non abbiamo potuto esaminare le "Richerches...", ma qualche idea la possiamo avere dalla spiegazione che ne dà Thummig, dell'Accademia di Berlino, Professore di Filosofia ad Hall ed in seguito a Kassel, di cui fu discepolo il famoso Wolff. La sua tesi 34 Wideburg, Mathes. Biblic. Specim., T. III, p. 95.

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la troviamo in una dissertazione seconda dell'opera "Metalemata" che fu stampata da Brunswick nel 1727, ma che in effetti egli aveva già pubblicato ad Hall con il titolo "Phaenomen singulare solis caelo sereno pallescentis ad rationes revocatum" e riproposta a pag. 93 dei Metalemata. Qui egli nel provare a spiegare fino a quale punto i "vapori" atmosferici possono aumentare la densità dell'aria pura e del cielo sereno, si appella al fatto documentato da D. Romuald, e rapportato nelle Recherches di A. Parent. "Basta conoscere i principii fondamentali dell'ottica - scrive - per comprendere che la retrogradazione dell'ombra sull'orologio solare osservata da P. Romuald, sia l'effetto della rifrazione del raggi solari, aumentata a causa della condensazione impercettibile dell'atmosfera, dove gli interstizi si sono riempiti insensibilmente di particelle eterogenee e di vapori caricati a poco a poco dai venti". Scheuchzer, nella Physique sacrée (T. V, pag. 156) accetta questa spiegazione di Thummig. E anche gli autori che abbiamo nominato poc'anzi trovarono appoggio in questo studio per la loro teoria dei "vapori" che, per quanto fantasiosa, fu l'ultima fino al nostro secolo. Questo è quanto sappiamo degli studi effettuati da persone che cercarono in tutti i modi di conciliare la spiegazione del fenomeno senza sfatare il miracolo di Isaia. Ma già dal XVI secolo vi era chi, come Petrus Nonius Lusitanius, cercò di darne una prima rudimentale dimostrazione razionale, senza ricorrere al soprannaturale. Egli scrisse nel secondo libro del de Navigatione, al cap. II, che "non è assurdo allora che in quei luoghi (sempre tra l'equatore e il tropico del cancro, o del capricorno) si verifichi l'avanzamento o la retrogradazione dell'ombra...". Successivamente, il gesuita Cristoforo Clavio, uno dei maggiori gnomonisti del Rinascimento, nella sua opera "Fabrica et usus instrumenti ad horologiorum constructionem...", del 1586, riprende la dimostrazione di Nonio, e quindi espone la sua. Ma da buon religioso cerca di non ridicolizzare il miracolo scrivendo che la "retrocessione da lui spiegata non contrasta con quella dell'orologio di Achaz, avvenuta per virtù di un fatto divino".

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Anche un astronomo portoghese, certo Nomus, si occupò della retrogradazione dell'ombra negli orologi solari posti a determinate latitudini. L'11 agosto del 1881, la retrogradazione dell'ombra fu ottenuta a Losanna dal colonnello del Genio Etienne Guillemin, in presenza dell'astronomo Camille Flammarion. Ma egli ricorse all'espediente di inclinare il piano dell'orologio di un determinato angolo, finchè la declinazione dello stilo, o gnomone, piantano perpendicolarmente al quadro, risultò essere inferiore a quella del Sole. Claudio Pasini, nella sua opera "Orologi solari", del 1900, offre una buona dimostrazione matematica del fenomeno in cui al posto di inclinare il piano dell'orologio, inclina lo stilo che è cosa alquanto più semplice. Da questi studi si rileva che, con ogni probabilità, l'orologio di Achaz doveva essere orizzontale. Inoltre, si può ipotizzare che Isaia sia venuto a conoscenza della retrogradazione dell'ombra, studiando il moto dell'ombra di un bastone, o gnomone, piuttosto che provare ad inclinare il quadro dell'orologio. Può darsi, quindi, che Isaia sia pervenuto senza saperlo alla scoperta di questo fenomeno e che abbia potuto, in seguito, ripeterlo senza troppe difficoltà. L'ultima dimostrazione matematica è quella data da Enrico Garnier, nel suo libro "Gnomonica. Teoria e pratica dell'orologio solare", del 1938, in cui dice che in particolari condizioni, come quando la latitudine del luogo è minore della declinazione del Sole, si ha il fenomeno della retrogradazione dell'ombra. Essa è tanto maggiore quanto più grande è la declinazione del Sole e viceversa, ed è nulla quando la declinazione è uguale a zero. Ogni quadrante orizzontale a stilo verticale posto nelle regioni equatoriali dà luogo alla retrogradazione dell'ombra. Egli si occupò di questo fenomeno anche in un articolo divulgativo, apparso nel volume VII di Sapere per l'anno 1938, gentilmente segnalatomi da Paolo Forlati di Verona e successivamente dal fisico Edmondo Marianeschi di Terni.

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Purtroppo, non possiamo stabilire con accuratezza il periodo in cui l'evento avvenne ai tempi di Isaia. Infatti, Ezechia fu guarito con degli impacchi di fichi applicati sull'ulcera aperta. Ma il dato è troppo incerto poiché i fichi, che sono una grande varietà, maturano da giugno a settembre. Il miracolo, quindi, sembra essere risolto, anche se vi sono ancora molte perplessità da parte dei vari studiosi. Ma vorrei terminare questo breve resoconto storico con le stesse parole del Pasini, il quale, abbracciando la causa della ragione, scrive: "Valga solo quanto abbiamo detto a dimostrare che, come questo, molti dei pretesi miracoli di cui abbondano le antiche storie, si potrebbero facilmente ripetere senza essere profeti, quando si sappia spogliarli di tutto ciò che la fervida fantasia popolare ha loro creato d'intorno".

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UNA PAGINA DI GNOMONICA ANTICA: OROLOGIO SOLARE AD ORE ASTRONOMICHE-ITALICHE-BABILONICHE DI V. PINI

“Metodo e regola di descrivere un in’istessa operatione

tre diversi horologi Horizontali, cioè il Volgare, il Babilonico, e l’Italiano, buoni non solo da porre sopra a qual si voglia superficie piana, equidistante all’Horizonte, ma anco da intagliare sopra alle nominate lastre, per ridurle in istrumenti, da dissegnare poi col mezzo d’essi de’ gl’altri simili sopra ad ogni superficie murale”.

E’ questo il titolo del terzo capitolo del libro secondo

dell’opera dello gnomonista Valentino Pini, “Fabrica de gl’Horologi solari”, del 1598. Il metodo geometrico, anche se contiene molte operazioni da farsi con riga, goniometro e compasso, sostanzialmente è molto semplice, soprattutto se si tien conto della facilità con cui si ottengono le linee orarie italiche e babiloniche.

Il metodo qui proposto, divulgato da V. Pini, fu in realtà

sviluppato da Francesco Maurolico parecchi anni prima - “imitando la dottrina di Francesco Maurolico” dice l’autore -, che la incluse forse nel suo libro “De Opuscula Mathematica”, del 1575 in cui vi è un lungo capitolo sulla descrizione delle linee orarie in vari tipi di orologi, compresi gli italici, dal titolo “De lineis horariis tractatum Gnomonicum” e “De lineis horariis libros tres, Gnomonicae uberiora fundamenta exponentes”.

Vediamo dunque, la costruzione di questo orologio come

divulgata da Pini: “Si produca la linea AB (fig. 16), la quale venga tagliata

ad angoli retti dalla perpendicolare CD, nel punto E, denoterà la prima linea delle 12 hore, e l’altra la Meridiana sopra alla AEB,

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dal punto E, verso la B, si determini la lunghezza dello stile, a piacere di chi opera, e sia EG, nel punto G, si ponghi un piede del compasso, e con l’altro si crei a voglia libera, il semicircolo AQFPB, spartito dalla perpendicolare FG, in due quadranti...”. Nella successiva fase, il metodo è interessante perchè si basa sulla costruzione grafica dell’analemma per ottenere la proiezione dei tropici sul piano e nella figura proposta da Pini il procedimento è più che mai chiaro.

A questo punto, avendo la comodità di usare un

goniometro, resterà inutile suddividere i due quadranti in nove settori di dieci gradi ciascuno, quindi basterà prendere sul quadrante di sinistra e cominciando da F, il punto Q corrispondente alla latitudine del luogo, che nella figura è di 45°; nel quadrante di destra si nota il punto P, corrispondente all’altezza dell’Equinoziale, pari al complemento della latitudine del luogo, cioè 90°-45°=45°. Quindi la linea “occulta”, cioè la tratteggiata QRG rappresenta l’asse terrestre e la perpendicolare a questa, nel punto G, è l’altezza dell’equinoziale, cioè PGO.

Sempre con l’ausilio del goniometro, si notino sotto e

sopra P, i punti di gradi 23° 30’ che corrispondono naturalmente ai due tropici e si congiungano con la linea . Centrando il compasso in P’, si formi il circolo (in mancanza del simbolo originale assumiamo ad indicare il tropico del Capricorno) il quale, siccome rappresenta il circolo zodiacale, verrà diviso in dodici parti uguali, notando ogni punto col rispettivo segno zodiacale. Per il punto O, si tiri la linea KL, parallela alla AB, è questa la linea equinoziale; quindi misurata da distanza OG, semidiametro dell’equinoziale, la si riporta sulla linea CD a partire da O, ottenendo OH. Centrando col compasso in H, si crei il semicircolo equinoziale MCN di grandezza a piacere, e lo si divida in 24 parti uguali.

Dai punti dei tropici sull’analemma, cioè dal e dal si tirino, passando per il vertice dello stilo in G, due linee “occulte” G T e G H. Per descrivere i vari sistemi orari si procede così:

si prolunghino le suddivisioni del semicircolo MCN fino

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ad incontrare la retta equinoziale KL; quindi congiungendo questi punti con il centro R dell’orologio, si ottengono le cosiddette ore “Astronomiche”. Si farà, dipoi, in modo da notare sulla linea AB anche i punti delle mezze ore “astronomiche”. Le ore “italiane” si ottengono, da E versa A, congiungendo i punti di intersezione delle ore e mezze ore francesi sulla linea AB, con quelli sulla linea equinoziale seguendo lo schema della tabella qui sotto riportata. Esempio: per le ore 13 italiane si congiunga la duodecima e mezza “astronomica” con l’intersezione sull’equinoziale della settima ora “astronomica”; l’ora 15 italiana si avrà congiungendo il punto di ore 1 e mezza con quella dell’ora 9 sull’equinoziale.

Nella pagina seguente si vede lo Schema in cui sono riportate le intersezioni delle ore Babiloniche ed Italiche con le linee delle ore “astronomiche” normali sulla linea orizzontale (retta alba-tramonto) e sulla linea equinoziale per un orologio orizzontale.

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Fig. 16

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UNA PAGINA DI GNOMONICA ANTICA: L’OROLOGIO MERIDIANO

“Si produca il circolo DPVQ, diviso dai suoi diametri DV e PQ, i quali tagliandosi nel centro E, ad angoli retti, lo dividono in quattro quadranti (fig. 17), ognuno diviso in 90 gradi, incominciando la numerazione da Q per i quadranti di destra e da P per quelli di sinistra. Questa circonferenza, così divisa, denoterà il circolo meridiano e la retta DV sarà il Verticale, e la PQ l’Orizzonte.

Dalla Q alla D si prenda l’altezza del polo del luogo

(latitudine) per il quale si descrive l’orologio, e sia nell’esempio in F che è pari a 45 gradi; per F si tiri la retta FG per il centro E, e questa rappresenta l’asse del mondo che è tagliata ad angoli retti dalla retta KL, cioè la linea equinoziale. Ponendo un piede del compasso in E e l’altro sulla linea FG, sopra e sotto alla E, con misura a piacere, si prenda la lunghezza dello stilo, e sia EX, e EO, e per i punti O e X si tirino le due rette AB e MN parallela all’equinoziale; la prima servirà per le ore 18 italiane e l’altra per la 6 babilonica. Mantenendo la stessa misura dello stilo, si notino, sempre sulla FG, sopra e sotto E, i punti per i quali passano le rette, ancora parallele all’equinoziale, RS e HI; esse sono le rette “contingenti” dei due semicircoli F e G, tracciati sopra le RS e HI con la stessa misura dello stilo EX, e divisi in 24 parti uguali.

Dal centro dei semicircoli si tirino, per i punti di

suddivisione, le linee rette che terminano sulle rispettive linee “contingenti” RS e HI e si congiungano questi punti di intersezione delle due contingenti con delle rette perpendicolari all’equinoziale come la RH e la SI. Queste linee rappresentano le ore e le mezz’ore dell’orologio “volgare” o “francese”, nel piano meridiano”.

Le linee delle ore italiche e babiloniche si ottengono

come sempre congiungendo i punti di intersezione delle ore e

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mezz’ore volgari sulla retta XA, con quelli sulla retta equinoziali KL nel modo che si vede nella figura qui riportata..

Questo antico metodo geometrico per tracciare l’orologio

solare “meridiano”, cioè rivolto perfettamente ad Est (ortivo) o ad Ovest (occaso), descritto da Valentino Pini nel suo libro precitato, è rimasto sostanzialmente lo stesso fino ad oggi ed è tutt’ora il più comunemente usato dai costruttori di orologi solari. Tuttavia preme ancora una volta richiamare l’attenzione su quei termini, come “linee contingenti”, che sono stati dimenticati nel moderno lessico gnomonico, e che invece sono molto importanti. Molto bella è la figura geometrica proposta da Pini che mostra il progetto completo dell’orologio, con l’intreccio dei tre sistemi orari Astronomico, Italico e Babilonico e i punti delle curve solstiziali. Inoltre, sono ben visibili le “linee contingenti” HI e RQ, da cui si diparte il fascio di rette parallele delle ore astronomiche.

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Fig. 17 Orologio orientale di Pini

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CURIOSITA’ GNOMONICHE “DEI LUMI”

L’”Encyclopédie del Sciences des Arts et des Métiers” di

Diderot e D’Alembert costituisce senz’altro “l’opera capitale dell’Illuminismo francese, destinata ad avere enormi conseguenze sul piano culturale, politico, sociale”35, fu pubblicata a partire dal 1751. Un periodo che non esito a definire “d’oro” per la gnomonica occidentale e durante il quale furono sviluppate molte procedure matematiche, tecniche e pratiche per la realizzazione degli orologi solari monumentali - si ricordano i lavori di De La Hire, Picard, Ozanam - e che vide protagoniste le grandi meridiane “a luce” realizzate nelle principali cattedrali del mondo ed edifici scientifici del mondo. Un periodo quindi prolifico di produzioni gnomoniche di cui, molto probabilmente, conosciamo solo una piccolissima parte. Una prova ne è l’opera di Diderot che, a distanza di oltre duecento anni, e dopo essere stata sviscerata in tutti i suoi contenuti, ci riserba ancora delle sorprese sugli orologi solari. Infatti, a parte il lunghissimo articolo dedicato all’argomento dei “Cadrans Solaires”, c’è anche il “Supplement au Dictionnaire”, pubblicato nel 1778, che contiene un aggiornamento stupefacente sulla gnomonica, e soprattutto sugli orologi solari d’altezza, di cui vorrei riportare la descrizione di alcuni esemplari che mi sembrano attualmente poco conosciuti.

L’articolo redatto dagli “enciclopedisti” fu preparato

forse in poco tempo con la conseguenza che vi sono molti errori di trascrizione e d’impaginazione, ma la chiarezza dell’esposizione ne fa un lavoro oltremodo interessante per l’appassionato. Purtroppo però a nessuno degli orologi solari descritti viene assegnato un nome, ma semplicemente 35 Die Encyclopédie des Denis Diderot. Eine Auswahl, Haremberg Komm., Dortmund, per Die Bibliophilen Taschenbucher n. 389, 1983; ed. italiana a cura di EdiCart, 1990.

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l’appellativo universale di “instruments”. Inoltre, come specificato dagli autori stessi, quasi tutti gli articoli relativi agli orologi solari d’altezza, furono tradotti in francese dai lavori originali pubblicati da gnomonisti inglesi che rappresentavano, probabilmente, gli ultimi progressi tecnici nella gnomonica degli orologi solari d’altezza in quel periodo.

Prima di descrivere questi strumenti, vorrei riportare due

metodi geometrici per costruire un orologio solare orizzontale che mi pare siano molto semplici e poco conosciuti.

Fig. 18 1.1) Metodo geometrico per l’orologio orizzontale “Su due rette AB, DE (fig. 18) che si tagliano ad angoli

retti nel punto C, descrivere la proiezione stereografica sul piano di un meridiano.

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Per costruire un orologio orizzontale si prenda l’arco AF uguale all’altezza del polo; per il punto F si tiri la retta FG, parallela alla retta AB, e che interseca il G il cerchio ADBE e in H la retta DE. Dal centro H e con intervallo HF, si descriva un semicerchio che interseca le proiezioni dei meridiani nei punti 7,8,9,10,1,2,3,4,5; si tiri da H e per ciascuno di questi punti di divisione delle rette che saranno quelle delle ore; la retta DE sarà la meridiana, il punto ed il centro del quadrante. Se si vuole costruire un orologio verticale australe, si prenda l’arco AF uguale all’altezza dell’equatore. Il resto della costruzione resta uguale.

Fig. 19 2° metodo per orologio orizzontale

1.2) 2° metodo geometrico per l’orologio orizzontale Si tiri una retta orizzontale AB (fig. 19) della lunghezza

scelta opportunamente a seconda dei casi e della grandezza dell’orologio. Su questa retta dal punto A si elevi la perpendicolare AC e dal punto C si tiri una retta che taglia la AB nel punto D in due parti uguali; si costruiscano, dal punto D sulla retta DA e dal punto A sulla retta AC, gli angoli ADC e CAE ciascuno uguale alla latitudine del posto per il quale viene costruito l’orologio. Nel caso della figura l’angolo di latitudine è

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di 52° 30’; le retta CD e AE si tagliano ad angoli retti; AD rappresenta il piano orizzontale; AC il piano verticale; AE il piano dell’equatore; DC l’asse del mondo, ovvero l’assostilo, e DAC lo stilo intero, cioè il “triangolo stilare”.

Dal centro F, e con intervallo FA, si descriva un cerchio; si divida la circonferenza in 24 parti uguali per le ore e si riporti la numerazione delle parti come mostrato in figura. Per questi punti si tirino delle rette parallele alla CD di cui la BE risulterà tangente al cerchio nel punto E e le altre incontreranno la BA nei punti BGHFKLDMNOPQ.

Fig. 20

Fatta questa costruzione, l’orologio solare orizzontale si realizza così: dal centro a (fig. 20) si descrivano due cerchi concentrici, uno con il raggio ab o ac uguale ad AF o a FE (della figura precedente), l’altro con il raggio ad o ae uguale a AD o DB (sempre della figura precedente). Si porti sulla circonferenza del cerchio piccolo, incominciando dal punto 12, le suddivisioni 12, 11, 10, e del cerchio della figura precedente e sul diametro ed per cerchio maggiore, a cominciare dal centro a, si prendano le af e ag; ah e ai; a11 e a12, ak e al; am e an, uguali rispettivamente

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alle DL o NM; DK o DN; DF o DO; DH o DP; DG o DQ della prima figura. Dai punti a, f, h, ecc., si tirino le perpendicolari su ed; e dai punti I e II; 2 e 10, I, 3, e 9 della circonferenza del cerchio piccolo si tirino le parallele a e d, che incontreranno le perpendicolari nei punti XI, X, ecc. Le rette tirate dal centro a e per i punti XI, X, ecc., sono le linee orarie dell’orologio orizzontale, di cui il centro è a; la meridiana ae; il punto che guarda il Nord e; lo stilo il triangolo DAC della prima figura che dovrà essere sul piano e VI s, in modo che il punto D tocchi in a e il punto A in e.

Fig. 21 Clinometro a traguardo

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2) Clinometro d’altezza a traguardo. Su un diametro AB (fig. 21) di dimensioni a piacere, si

descriva un semicerchio ACB, il cui centro è D; si faccia l’angolo BAC uguale all’altezza del polo e gli angoli CAE, CAF ciascuno uguale all’obliquità dell’eclittica (23°.5): sugli archi EC, CF si prendano quei punti ove questi archi sono tagliati dagli angoli di declinazione dei segni e dei gradi dello zodiaco. La “jambe”, cioè il punto di compasso per questi angoli è dato dalla retta AC. Per evitare confusione abbiamo riportato in figura solo i segni zodiacali.

Dal centro D si tiri la retta DG parallela alla AC, e dal punto A sulla DG si tiri la perpendicolare AG. Dal centro G e con intervallo DG, si descriva un cerchio DHI che sarà diviso in 24 parti uguali per le ore e in 48 per le mezz’ore, ecc. Dalle suddivisioni sulla circonferenza, si tirino le rette perpendicolari sulla retta DG; ciascun punto d’incontro è un centro dal quale, per il punto a, si descriveranno gli archi compresi entro le rette EA, AF: per esempio, dal centro K e con intervallo KA, si descrive l’arco di cerchio che interseca la retta AF nel punto marcato 8, 4; e dal centro L e con intervallo LA, l’arco che arriva ai punti 7, 5, e così gli altri.

Ora da A si sospenda un filo che porta una piccola perlina mobile e un peso N sul fianco OP: si mettano due pinnule perpendicolari al piano OP e lo strumento è costruito.

Per usarlo, si orientano le pinnule verso il Sole; la perlina discende sul semicerchio AECFB che è quello delle 12 ore; infine, si porta il filo teso sul luogo del Sole per il giorno dell’osservazione, per esempio, in AQ, la perlina mobile indicherà l’ora: nella figura essa è in q, e indica circa 5 ore pomeridiane o le 7 e tre quarti circa del mattino.

Un uso corretto di questo orologio prevede che esso sia installato su un treppiede ben stabile, al modo delle quarte di cerchio astronomiche.

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3) Clinometro d’altezza con regolo mobile Su un raggio AB (fig. 22), si descriva un arco di cerchio;

si prendano gli archi BC, CD, ciascuno uguale all’altezza dell’equatore; si tirino le corde BD, che la retta AC taglia egualmente in E; si portino da B e da D verso E i seniversi delle ore, oppure da E verso B e verso D, i coseni delle ore per i raggi EB o ED: sull’arco BCD, si porti da C verso B e verso D il valore dei gradi (dell’obliquità dell’eclittica) corrispondenti a ciascun segno dello zodiaco. Nella figura abbiamo tracciato solo le ore e i segni dello zodiaco (obliquité des signes). Ne centro A, si impianti un regolo mobile AF, che porti sulla sommità un altro regolo perpendicolare GH; su questo regolo si trovino le pinnule, fissate con le ordinarie precauzioni. Si prenda sul regolo AF la parte AI (mancante in figura) uguale al raggio del settore e nel punto S (mancante anche questo) si sospenda un filo con un peso K.

Per trovare l’ora con questo strumento, si piazza la regola AF sul segno e sul grado dell’eclittica ove si trova il Sole nel giorno dell’osservazione; si gira il settore facendo in modo che la regola, fermo restando sul segno dove è stata posizionata, sia perpendicolare all’orizzonte, come indicato dalla direzione AON, oppure che il filo IK passi per il centro A; allora, senza spostare il settore, si gira la regola finché le pinnule siano orientate (dirette) al centro del Sole; il filo IK indicherà l’ora.

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Fig. 22 Clinometro a traguardo con regolo mobile Questo strumento, che è locale, cioè valevole per una sola latitudine, può essere reso facilmente “universale” attraverso delle opportune modifiche che portano alla realizzazione della fig. 23 La suddivisione della scala oraria BD resta la stessa; l’angolo BAE è sempre essere uguale all’altezza dell’equatore; allora DE è costante, la retta CA cresce, o decresce in funzione delle tangenti delle latitudini, e la retta DA o AF, cresce o decresce in funzione delle secanti delle stesse latitudini. Bisogna quindi ancora una volta mettere una regola in AE sulla quale si porta da A verso E le tangenti di tutte le altezze del polo (latitudini) e rendere mobile la scala BD lungo gli estremi bL e dM per poterla fissare alla latitudine corrispondente del luogo di osservazione. Si porta quindi parallelamente sulla regola AF le secanti delle latitudini.

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Fig. 23 Orologio portatile universale

In questo modo lo strumento prende una forma

rettangolare. Sui due fianchi bL e dM sono riportate le tangenti delle latitudini. Si piazza la scala oraria in modo che il suo bordo superiore BD coincide con il valore della latitudine dell’osservatore. L’arco di cerchio superiore (bCd) riporta le declinazioni del Sole corrispondenti ai segni dello zodiaco. La regola AF è girevole attorno al punto A e riporta le secanti delle latitudini. Il filo a piombo (pendolino) è attaccato ad una ghiera che scivola lungo la regola AF e che si può fermare sul punto di divisione che si conviene. Le tangenti e le secanti devono essere rapportare ad uno stesso raggio che può essere più grande o più piccolo di BE, oppure uguale a BE.

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Fig. 24

Questi due strumenti, rappresentati nelle figg. 24-25 hanno delle proprietà che sarà bene ricordare. l’angolo OAF, o il suo eguale AFK, è l’altezza del sole.

Il punto O indica l’ora del levare e del tramontare del Sole per il giorno dell’osservazione; poiché l’angolo OAF o il suo eguale AFK è l’altezza del sole, quando il pendolino giace su NA, questo angolo, e per conseguenza l’altezza del sole, è uguale a 0; quindi il sole è in quel momento sull’orizzonte, cioè tramonta o si leva. Ciò si deduce anche dal fatto che, in tal caso, la regola DH, essendo sempre diretta verso il sole, è parallela all’orizzonte.

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Fig. 25 La retta OE è il seno della differenza dell’ascensione retta. La retta EP è il seno dell’arco delle ore computate dalle 6. L’angolo AOE è il complemento della declinazione; poiché il

luogo del sole è N, l’angolo della declinazione è NAC, dunque l’angolo AOE è il complemento in quanto l’angolo OEA è retto.

Infine, AF sta a OP come il seno dell’angolo AOE sta al seno dell’angolo OAF.

Per quanto riguarda l’uso pratico di questi strumenti, e soprattutto per gli errori che possono essere contenuti nelle osservazioni, si rammenta che l’errore nell’altezza del Sole è sempre lo stesso; l’errore nella lettura delle ore dipende: dalla lunghezza della scala oraria;

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dalla lunghezza delle parti della scala sulle quali scorre il filo a piombo;

dall’obliquità dell’angolo sotto il quale il filo taglia la scala. Questi strumenti devono essere costruiti

convenientemente grandi per ovviare ad errori di lettura delle varie scale e, in primo luogo, ai piccoli cambiamenti della posizione del “luogo” del Sole, cioè alle varie declinazioni del Sole. Infine, è richiesta una conoscenza della posizione del sole sull’eclittica la pi precisa possibile, e non solamente per il mezzogiorno, ma anche per gli istanti dell’osservazione, e l’eventuale correzione della rifrazione dei raggi solari in minuti e secondi.

4) Orologio d’altezza simile al “cappuccino” Si prenda a piacere (fig. 26) - 29 - una retta AB che serve

da raggio al punto A, si tiri su AB la perpendicolare AC uguale alla secante della latitudine; si prolunghi la BA in D in modo che la parte AD sia la quarta proporzionale sul raggio BA, la tangente della latitudine e la tangente della maggiore declinazione del sole: sul raggio per il quale AD è la tangente della maggiore declinazione, si prendano le tangenti delle declinazioni di qualche grado dell’eclittica e si riportino a destra e a sinistra del punto A in E, F, N, ecc., c,d,f,e, ecc.

Per i punti EF, ecc. si tirino delle parallele alla retta AC, e per C si tiri la parallela alla retta BD che incontra le prime in GHF, ecc., si prolunghi la GD in L, in modo che la GL sia la quarta proporzionale sul raggio DA, la AC secante della latitudine, e la secante della maggiore declinazione del Sole: sul raggio per il quale GL è la secante della maggiore declinazione, si prendano le secanti delle declinazioni di tutti i gradi dell’eclittica e li si porti in HM, FN, ecc. si faccia passare una curva per i punti L,M,N,A: n,m,l, e si descrivano i segni dello zodiaco.

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Fig. 26 Orologio d’altezza simile al “Cappuccino”

Dal centro L e con intervallo LG, si descriva un arco di cerchio che incontra in O la retta BK; per il raggio CK o AB si prenda il seno di 15° in 15° per le ore e si riportino da C verso K e verso G; per i punti di divisione si tirino delle parallele alla retta AC che incontrano l’arco di cerchio GO: si segni il numero 12 ai punti K e O e sull’arco di cerchio i numeri 1,2,3, ecc. dal punto O verso G e sulla retta KG i numeri 11, 10, 9, 8, ecc. da K verso G; sulla retta PQ, parallela alla BD, si mettano delle pinnule e lo strumento è costruito.

Per l’uso, si mette lo strumento in modo che la retta AC sia verticale; si prende un filo con un peso R e una perlina mobile e lo si attacca nel luogo del sole corrispondente al giorno dell’osservazione, per esempio in T; si porti la perlina mobile sulla retta KG in U; infine, si gira lo strumento in modo che le

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pinnule siano dirette verso il sole e si lascia pendere liberamente il filo, la perlina indicherà l’ora. Nel nostro esempio, la perlina è in S e indica o tre ore e qualche minuto della sera o nove ore del mattino meno qualche minuto. L’angolo STU è l’altezza del sole.

5) Orologio d’altezza tipo “Regiomontanus” E’ un vero e proprio “Regiomontanus” modificato (fig.

27). L’Encyclopédie ne dà una brevissima sommaria descrizione così: AB è una tavoletta di rame, o di legno, sulla quale è inciso un quadrante rettilineo universale; CDE è la quarta di cerchio divisa in gradi e in minuti; EDF è un regolo mobile al quale è attaccata la quarta di cerchio e per mezzo del quale si piazza sui gradi di latitudine che si vuole; ST è l’alidada, XY le pinnule.

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Fig. 27 Orologio d’altezza universale tipo “Regiomontano” modificato.

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FRAMMENTI DI OROLOGI SOLARI RITROVATI NEGLI SCAVI ARCHEOLOGICI

E’ incredibile la varietà e la quantità dei luoghi

storiografici in cui poter trovare citazioni, descrizioni e, quando va proprio bene, anche diverse figure - disegni o addirittura foto - degli orologi solari.

In genere, l’appassionato quando “va alla ricerca di orologi solari” in una biblioteca rivolge la propria attenzione soprattutto alle opere tecniche e scientifiche, ed in particolare a quelle astronomiche. E’ vero che la probabilità di trovare degli utili riferimenti è molto più alta, ma quando tutti i libri scientifici “adulti” sono praticamente scandagliati, dove continuare a cercare?

Nei libri per bambini! Nelle enciclopedie per bambini e ragazzi. Nei libri di archeologia e arte, nei quaderni scientifici, nelle mostre didattiche, nelle mostre di libri, nei cataloghi, nei dizionari, nelle opere religiose, addirittura nelle Bibbie e... chi più ne ha, più ne metta. Chi crede che questa sia una burla, non ha altro da fare che proseguire la lettura di queste pagine e verificare con i propri occhi cosa si può trovare, in poche ore indirizzando le proprie ricerche in queste direzioni.

Un orologio fenicio Chi l’avrebbe detto che nei “Livres Saints et la critique

rationaliste...” si trovassero delle stupende immagini di orologi solari antichi? E non solo. Infatti le immagini sono accompagnate da commenti forse futili per i lettori di quei libri e per gli stessi editori, ma di eccezionale importanza invece per la storia della gnomonica. Innanzitutto, in quest’opera, redatta da F. Vigouroux, illustrata dall’arch. Douillard e pubblicata a Parigi nel 1902, si trova un lungo ed accurato studio storico sulla retrogradazione dell’ombra nell’orologio di Achaz. Ed è proprio in merito a questo argomento che gli autori ritengono

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interessante riportare notizia relativa ad uno straordinario orologio solare fenicio che, per quanto ne sappia, entra a far parte della documentazione gnomonica moderna solo adesso.

Da ciò risulta oltremodo chiara l’importanza di una ricerca, relativa agli orologi solari, effettuata anche in questo senso in quanto permette, molto spesso, il ritrovamento e l’identikit di strumenti importanti, altrimenti sepolti nelle pagine della storia.

Ovviamente non si ha la pretesa, in queste pagine, di stupire il lettore con notizie di seconda o terza mano, ma si ritiene che esse siano comunque di una certa importanza per lo studioso che ricostruisce pezzo per pezzo la storia degli antichissimi orologi solari.

L’opera suddetta ci mostra due pregevoli incisioni di un orologio solare fenicio con il seguente commento:

“Frammento di un antico orologio solare fenicio - fig. 28 - e in fig. 29 lo stesso orologio restaurato secondo come doveva essere l’originale, conservato al Museo del Louvre. Fu trovato a Oum-el-Awamid, in Fenicia36. L’orologio vero e proprio è alto 27 cm, mentre il solo piedistallo 20 cm. Dell’iscrizione, in caratteri fenici, che era sotto l’orologio non resta che una piccola parte sull’originale; manca la parte iniziale e quella finale. Ed ecco la traduzione dell’iscrizione:

“...Tuo servitore, Abdosir, figlio d’E’...” Questa iscrizione mostra che il quadrante solare è stato

dedicato a un dio. La superficie del quadrante è formata da un segmento di cono tagliato da due piani. Lo gnomone è stato ricostruito interamente dal Capitano Laussedat. Si vede l’ombra prodotta dallo stilo sulla quarta divisione del quadrante nella parte destra. Sulla faccia conica si notano tre archi di cerchio paralleli entro i quali si sposta l’estremità dell’ombra dello stilo ai solstizi e agli equinozi. Le linee convergenti che li dividono sono delle linee orarie. Il quadrante solare è di origine molto antica”. 36 Si veda E. Renan, Mission de Phénicie, p. 729-744, 1864

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Fig. 28 Frammento di orologio fenicio

In un’altra opera di Vigouroux, e precisamente nel

“Dictionnaire de la Bible”, alla voce “Cadran Solaire”, viene di nuovo descritto lo stesso orologio, ma con qualche particolare in più. Evidentemente, i circa vent’anni che separano le due opere, essendo quest’ultima stata pubblicata nel 1926, erano serviti per approfondire le ricerche su tali ritrovamenti e, cosa molto importante, per cogliere i commenti di esperti in strumenti antichi che non si erano avuti in un primo momento.

Seguiamo, quindi, la seconda descrizione dell’orologio: “Il frammento di quadrante trovato a Oum-el-Aouamid,

presso Tiro, da Renan, faceva parte di un quadrante conico (fig. 30). Dall’iscrizione che compare “...Tuo Servitore, Abdosir, figlio d’E’...”, apprendiamo che lo strumento fu consacrato a una divinità di Tiro. La costruzione di un simile quadrante suppone allora la conoscenza assai avanzata sulle proprietà delle sezioni coniche. “E sulla base di ciò, è molto probabile , e conforme con la tradizione storica, che i quadranti sferici siano precedenti a

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quelli che noi conosciamo”37. “Nondimeno, gli antichi potevano assai facilmente, sia per mezzo del calcolo, sia per mezzo di costruzioni grafiche, determinare la figura e le dimensioni di un segmento di sezione conica che forma l’orizzonte del quadrante, così come la posizione e il raggio del segmento del cerchio che formano l’apertura della faccia anteriore del quadrante”38. Il quadrante d’Oum-el-Aouamid è stato restaurato e completato. Oltre alle linee che segnano le ore, esso reca tre archi di cerchio concentrici indicanti le proiezioni dell’ombra del vertice dello stilo ai due solstizi e all’equinozio.”

Fig. 29

Sebbene la descrizione dell’orologio sia esattamente

uguale alla precedente, qui l’autore ci regala due brevi commenti, uno del Colonnello Laussédat e l’altro del noto Woepke, profondo studioso degli orologi solari antichi. 37 Colonnello Laussédat, Comptes rendus de l’Académie des sciences 25 juillet 1870, p.261-265. 38 Woepke, Journal Asiatique, mars-avril 1863, p. 292.294.

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Infine, questa seconda opera, ci offre una bella incisione di un altro orologio solare sferico, ovvero, un hemicyclium, trovato nei pressi di Atene e, all’epoca, conservato nel museo del Louvre (fig. 31).

Fig. 30. Orologio fenicio, ricostruzione

Fig. 31 Orologio solare ritrovato nei pressi di Atene

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Un orologio su lastre di paravento

Orologio solare di Lord Elgin (vista dall’alto) LATO NORD E W A B

vertice gnomone vertice gnomone dopo mezzodì prima di mezzodì

Lato Sud

Sulla facciata A si leggono le ore

antimeridiane . Sulla facciata B le ore pomeridiane. Il Sole, sorgendo ad Est, getta l’ombra del vertice del triangolo di destra sulla facciata A. Quando transita sul meridiano non viene segnato il momento del mezzodì. Nelle ore pomeridiane , l’ombra del vertice del triangolo di sinistra si proietta sulla facciata B .

Un altro orologio solare di notevole importanza per la storia della gnomonica è quello ritrovato da Lord Elgin e di cui ho trovato una breve descrizione nell’opera “The later greek and graeco-roman reliefs, decorative and architectural sculpture in the British Museum”, pubblicata a Londra nel 1904. Si tratta della parte VIII, volume III di un catalogo di sculture esistenti

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nel dipartimento delle antichità greche e romane, curato da A.H. Smith, assistente dello stesso dipartimento.

In questo catalogo, ai numeri 2544-2545-2546-2547-2548, vengono brevissimamente descritti alcuni orologi solari. Di questi, il più importante è sicuramente quello indicato al n. 2544 che fu trovato e descritto da Lord Elgin. Si tratta di un orologio solare in marmo pentelico alto circa due piedi, con quattro iscrizioni sulla superficie, costruito nella forma che si vede in fig. 32 in modo che indica il tempo, sul lato sud, prima di mezzogiorno sulla faccia rivolta ad est e, dopo mezzogiorno, sulla faccia esposta ad ovest.

Fig. 32

Le due facce esterne sono uguali e parallele alle rispettive

facce interne. Sul retro vi sono due pannelli su ciascuno dei quali vi è una incisione in rilievo che mostra un cocchio. L’iscrizione si riferisce ad un certo Phaidros, figlio di Zoilos che l’autore tenta di identificare con lo stesso Phaidros che realizzò l’ultima fase del teatro di Dionisio (circa 300. d.C.).

Si tratta, come è evidente, di un orologio solare non comune. Non il solito hemisphaerium, o hemicyclium, ma un orologio con delle caratteristiche costruttive completamente differenti. Il rapporto di Lord Elgin è quindi di estremo interesse, soprattutto perchè un orologio simile, che pare abbia qualche somiglianza con le lastre di paravento, fu citato anche da L.AM. Sédillot, nel suo libro sugli strumenti astronomici degli arabi.

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Oggi sappiamo che orologi solari di questo tipo venivano realizzati dagli arabi già nel XIII secolo ed un esemplare simile, forse una variante per una diversa orientazione nella fase della lettura delle ore, fu descritto dal noto astronomo arabo Tabhit Ibn Qurra. Un’altra conferma, quindi, della vasta tradizione gnomonica ellenica ereditata dagli arabi. D’altra parte, l’esistenza nell’antichità di orologi solari di forma simile, cioè come due tavolette verticali unite per un lato e disposte ad angolo retto, è testimoniata anche dal noto “Pelignum”, descritto da Cezio Faventino39 di cui si conoscono due o tre rappresentazioni artistiche in un mosaico, su un sarcofago e nel calendario del Lambecio. Tutti esemplari databili dal II al IV secolo d. C.

Al n. 2545 viene descritto un classico hemicyclium in marmo supportato da due teste di leoni (fig. 33) che sembrano emergere dalle loro stesse grosse zampe. La superficie concava presenta la solita suddivisione oraria temporaria attraversata dai tre semicircoli degli equinozi e solstizi. Lo gnomone è mancante, ma è rimasto intatto il punto d’impianto.

Il n. 2546 presenta un orologio solare in marmo pario “con due superfici piane oblunghe, ciascuna suddivisa in dodici spazi orari di 15 gradi che si sviluppano in semicerchio dallo gnomone che è di bronzo, ed ora mancante. Sulla destra e sulla sinistra del bordi di queste superfici, vi sono delle scale graduate e, un po’ più in alto, si vedono delle tracce di gnomoni. La superficie dell’orologio è inclinata di 57° dal piano orizzontale”. Si tratterebbe quindi di un altro orologio del tipo hemicyclium ma realizzato in un supporto con facciate esterne più lunghe adatte per disegnarvi sopra orologi orientali e occidentali, come si nota dalla descrizione. Lo strumento, comunque, fu costruito per la latitudine di 33° (90°-57°).

Ai nn. 2547 e 2548 si descrivono due orologi solari, il primo è un hemicyclium in pietra calcare, con 12 ore temporarie con intatto il punto d’attacco dello gnomone; il secondo, un piccolo hemicyclium in marmo pario, supportato da una base circolare con lo gnomone mancante e con gli spigoli danneggiati. 39 N. Severino, Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1994.

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Fig. 33

Orologio solare osco Un altro importante orologio solare è quello citato da

Cesare Cantù in Archeologia e Belle Arti. Si tratta di un hemicyclium (fig. 34) di ottima fattura scoperto a Pompei il 23 settembre del 1854 sulla cui base c’è una lunga frase in scrittura osca:

mr. atiniis. mr. Kvaisstur eitiwad

multasi Kad, Kum bennieis, tangi (nud), aamananeffed

che tradotto il latino sarebbe: Marius Atinius Marii (filius) Questor pecunia

multaticia conventus decreto admandavit.

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Fig. 34 Hemicyclium scoperto a Pompei il 23 settembre 1854

Orologio del monastero di Castellion

Nel bel libro L’Archeologia Cristiana in Palestina, di Bellarminio Bagatti, edito da Sansoni nel 1962, ho trovato l’immagine di un orologio solare (fig. 35) del tipo hemicyclium appartenente al monastero di Castellion. Si tratta evidentemente di un orologio usato da religiosi e forse utilizzato anche per il computo delle ore canoniche. La numerazione delle linee orarie, cosa alquanto insolita per un’orologio di duemila anni fa, reca al posto dei numeri le lettere dell’alfabeto greco.

Inoltre, l’autore segnala ( a pag. 203 della stessa opera) ancora un orologio rinvenuto nel sud della Palestina che ha solo le lettere γ e δ, forse ad indicare solo l’ora di Terza e Nona; un’altro trovato sull’Ofel che non presenta alcun segno specifico e un quarto orologio trovato a Tell Bise, in Siria, il quale “mostra una perfezione maggiore, perchè le ore sono suddivise in minuti”. Se è così, questo orologio è forse l’unico esemplare di hemicyclium che si conosca con l’inusuale suddivisione delle ore in singoli minuti.

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Fig. 35

Alcuni orologi solari inusuali Non di rado si osserva in alcune enciclopedie importanti

immagini di presunti orologi solari. Ne sono un classico esempio la fig. 36 e la fig. 37 Il primo, conservato al Museo Nazionale di Roma, è descritto come “orologio solare in forma di disco ornato da una fascia con i dodici segni dello zodiaco”; il secondo come “quadrante solare con segni dello zodiaco” e proviene da una raccolta di antichità di Utica, risalirebbe al II-III secolo ed è conservato a Tunisi, Bardo, nel Museo Alaoui. Non avendo delle descrizioni ed immagini migliori di questi presunti “orologi solari”, ci si deve accontentare di quelle proposte dalle enciclopedie. Ma stando a quanto si vede dalle foto, secondo me, in entrambi i casi non si tratta che di strumenti decorativi astrologici che hanno molto poco a che fare con i veri orologi solari. Il primo, presenta una concavità verticale adornata dalla fascia con i segni zodiacali, dal cui centro di dipartono delle linee rette e non curve, come si conviene in orologi del tipo “hemicyclium”. Inoltre, il luogo d’impianto dello gnomone, cioè il centro da cui partono tutti i raggi, non mostra nessuna particolarità, né tanto meno, un foro che lasci supporre che un

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tempo vi sia stato impiantato uno gnomone.

Figg. 36 e 37 Nel secondo caso, l’ambiguità è ancora maggiore in

quanto, a parte l’inesistenza di alcun tracciato orario, si nota solo una larga fessura al centro del cerchio al cui interno - unico posto dove un raggio di luce potrebbe significare qualcosa - è impensabile che vi sia stato tracciato un orologio solare.

Comunque, sarebbe da effettuare una verifica attraverso un sopralluogo che mi auguro possa fare qualche appassionato turista in viaggo a Tunisi.

La terza immagine che viene spesso presentata (fig. 38) rappresenta il “frammento di un orologio solare cartaginese che porta i nomi dei primi sei mesi dell’anno. Si vede indicata la separazione delle stagioni secondo le ore: hora brumalis, hora aequinoctialis, hora solstitialis. Questo frammento vale solo per le ore antimeridiane. In un altro frammento esistono i tracciati per le ore pomeridiane”. Disegno approssimativo dell’orologio cartaginese. Come si vede, le linee orarie convergono nel punto d’impianto dell’assostilo. Sono quindi ore astronomiche e non temporarie.

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Il lettore esperto si ravvede subito che una tale

descrizione, non può essere stata data da uno gnomonista. Si può osservare, infatti, che il frammento rappresentato nella figura è abbastanza grande e presenta una porzione abbastanza grande dell’intero “zodiaco gnomonico”, tale da farci avere una precisa idea sulle sue caratteristiche originali. Si tratta, come è evidente, di un orologio solare verticale in quanto in alto sono riportati i mesi invernali e in basso

la curva solstiziale estiva. D’altra parte i nomi del mesi sono chiaramente leggibili. Lo “zodiaco gnomonico”, cioè lo spazio del tracciato riportato, compreso entro le linee solstiziali, è completo, essendo formato da sette linee “diurne”, o calendariali, corrispondenti alle declinazioni del sole relativi ai segni zodiacali e dalle linee orarie di cui quelle visibili in questo frammento sono solo cinque. L’orologio, stando al tracciato,

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doveva essere posto su una parete declinante dal Sud verso Est di circa 30°. Ciò si vede anche dall’angolo che fa la linea equinoziale con la orizzontale. La linea meridiana, in questo frammento, è l’ultima linea, l’unica perfettamente verticale rispetto al bordo inferiore nero della foto, sulla destra di chi guarda. Data la declinazione, l’orologio era valido prevalentemente per le ore antimeridiane, ma probabilmente, serviva anche per le prime ore pomeridiane, forse solo fino alla seconda ora. Quello che è strano è che le ore, così come tracciate, sono quelle astronomiche anziché temporarie. E per questo risulta essere l’unico orologio dell’antichità ad ore astronomiche. Infatti, se si prolungano le direzioni delle linee orarie, si vede che esse convergono tutte nel punto d’impianto dell’assostilo sul prolungamento superiore della linea meridiana. La linea delle ore 13 pomeridiane coincide con il bordo in rilievo sulla destra. Mentre, si sa che le ore temporarie non possono convergere tutte in un unico punto. Infine, si può notare facilmente che le curve diurne, esclusa quella solstiziale estiva, sono tutte approssimate a delle rette, il che fa pensare ad una costruzione abbastanza rudimentale del quadrante e probabilmente all’uso di un ortostilo al posto dell’assostilo.

Fig. 38 Orologio solare verticale cartaginese

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Quadrante solare “da muro” Nella fig. 39 si vede un “raro quadrante da muro per

navigazione, in ottone, inciso con lo stemma di Ferdinando I de’ Medici”. Si troverebbe a Firenze e si può datare alla seconda metà del XVI secolo. Tale strumento, apparso in un catalogo d’asta “Semenzato Venezia”, ha un’affinità unica con i quadranti murali arabi e turchi. Infatti, in Turchia, fino al secolo scorso, vi era ancora la tradizione di “appendere” orologi solari del tutto simili a questo, sui muri delle case che davano sulle strade principali. La matrice ispiratrice è dunque islamica. Non si capisce poi perchè sarebbe un “quadrante per navigazione”. Comunque, si ricorda che anche E. Danti, nello stesso periodo, realizzò il “quadrante solare da muro” che tutti possono ancora ammirare sulla facciata di S. Maria Novella in Firenze: che ci sia anche qui il suo zampino?

Fig. 39

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L’uso del merkhet in un libro per ragazzi Il merkhet è un orologio solare egiziano risalente al 1500

a.C., quando regnava in Egitto il potente faraone Tutmosis III. Si tratta di uno strumento in forma di ┬ con delle tacche incise sul lato più lungo. L’uso di questo orologio viene descritto solo raramente nei testi, tanto che in molti libri di gnomonica moderni si trovano solo degli accenni. Stranamente, invece, mi è capitato di trovare in un libro per ragazzi (!) la descrizione più particolareggiata dell’uso del merkhet accompagnata da una figura:

“All’alba l’orologio veniva rivolto verso il Sole (fig. 40); l’ombra della traversa giungeva fino alla sesta intaccatura: era la sesta ora prima di mezzogiorno; poi, col passare delle ore e levandosi progressivamente il Sole, l’ombra si ritirava, finché, a mezzodì, era diventata brevissima. A mezzogiorno l’orologio veniva rivolto dalla parte opposta; man mano che il Sole si abbassava l’ombra si andava allungando; le intaccature indicavano così le ore pomeridiane; al tramonto l’ombra aveva raggiunto un’altra volta l’ultima intaccatura”.

Fig. 40

Vorrei solo precisare che, sebbene, sia attendibile l’ipotesi di un tale funzionamento dell’orologio, qualche dubbio, invece, sussiste sulle indicazioni fornite, cioè sul significato delle tacche incise, ma con tutta probabilità esse indicavano le principali ore temporarie :Prima, Terza, Sesta e Nona, o tre momenti della giornata prossimi a questi.

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Curiosa meridiana indiana Fig. 41 e 42 In un altro libro per ragazzi (Le

Civiltà del passato di Pavel Augusta e F. Honzak, Fabbri ed.) ho trovato due altre interessanti immagini, Nella fig. 41 si vede un orologio solare definito come “meridiana egizia a quadrante sospeso (circa 100 d.C.)” e nella fig. 42 una “meridiana da viaggio indiana”. Entrambe incredibili queste immagini che mostrano meridiane sconosciute alla letteratura gnomonica moderna. Purtroppo il testo, concepito appositamente per ragazzi, esula da approfondimenti e considerazioni su questi strumenti e non ci è dato sapere neppure dove e quando sono stati ritrovati e dove sono conservati. Per la meridiana indiana, però, seguono delle brevi indicazioni sul suo funzionamento: “l’asticciola che proiettava l’ombra poteva essere spostata su otto scale secondo le stagioni”.

Quest’orologio è quindi o un antenato, o un parente povero e rudimentale del noto “orologio cilindrico” o meridiana del pastore. Sarebbe interessante comunque capire se quest’ultimo possa essere un’evoluzione della meridiana indiana, considerato che l’orologio del pastore fu divulgato in Europa da Ermanno Contratto nell’anno Mille, il quale lo aveva appreso sicuramente da testi arabi, o se si sia sviluppato indipendentemente presso i popoli indiani.

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Orologi solari da epigrafisti Come è noto, non di rado gli orologi solari presentano

scolpite delle incisioni con scritte dedicatorie, motti ed altre frasi. Tali iscrizioni interessano principalmente il mestiere di epigrafista. Ed ecco che nel bel libro “Mestiere di Epigrafista” di Ivan Di Stefano Manzella (ed. Quasar), compaiono “cose gnomoniche” interessanti. Principalmente si fa riferimento all’orologio del “Palazzo Valle” di cui l’autore dà un’immagine (fig. 43) leggermente diversa da quella proposta dal Boissard 40. Segue l’immagine di uno sconosciuto orologio solare marmoreo sagomato in 1/4 di sfera. Si tratta di un hemicyclium trovato forse nei pressi di Teano (CE). Purtroppo, l’epigrafista autore del libro si cimenta nelle descrizioni degli orologi solari e si dimentica di dare una decifrazione dell’iscrizione che compare sulla base di questo orologio risalente al 200 d.C.

Fig. 43 40 Nicola Severino, Ampliamento al libro Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1994

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L’OROLOGIO SULLO ZOCCOLO DI ODDI MUZIO

Si sa, la letteratura gnomonica è ricca di pagine sugli orologi solari più strani. Infatti, In tutte le epoche gli artisti si sono ingegnati nell’inventare nuove soluzioni tecnico-artistiche, forse soprattutto per ciò che riguarda gli orologi solari portatili e i cosiddetti pensili da viaggio. Basti pensare agli annuli, il pros pan klima dei greci e il prosciutto di Portici dei Romani per l’antichità, e all’orologio del pastore, il cappuccino, la navicula de Venetiis e gli strani orologi solari portatili arabi del medioevo fino ad arrivare, nei secoli XVI e XVII, all’orologio detto Regiomontano (1476), le croci, i coltelli, gli orologi in coppe con e senza acqua, sulle uova di struzzo, sulle lettere, sulle conchiglie, sulle stelle di mare e...chi più ne ha, più ne metta. Ma la fantasia non ha un limite in queste cose. Così, chi si occupa di storia degli orologi solari attraverso la stupenda ricerca delle fonti originarie, ha buone probabilità di incappare, in un libro non ancora consultato, in qualcuna di quelle curiosità gnomoniche che lasciano di stucco anche chi si occupa da anni di questa materia e crede di non avere più nulla da imparare, né tecnicamente, né artisticamente. A me, per esempio, è capitato qualche anno fa che in una semplice e bella visita alla basilica di S. Francesco ad Assisi, pensai di dare un’occhiata alla biblioteca di quel convento. Scorrendo i nomi di autori di gnomonica che mi venivano in mente, trovai il libro di Oddi Muzio, Trattato de gl’Horologi Solari, del 1614. Chiesi se era possibile ottenere una copia fotostatica del volume. Mi venne risposto che era possibile solo per poche pagine. Allora dovendo decidere quali sfortunate pagine erano da destinare all’avida fotocopiatrice, optai per quelle che mi sembravano avere un contenuto originale. Tra queste c’erano quelle sull’orologio solare a rifrazione, il primo la cui descrizione sia stata pubblicata a stampa, che ha la particolarità di essere costruito empiricamente in quanto le leggi della rifrazione non erano ancora state trovate, e quelle relative

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all’orologio solare ottenuto sotto uno zoccolo. Quest’ultimo dà l’impressione, sia pure per un’attimo, al lettore di essere nei panni di un detective della gnomonica. Fa un certo effetto scoprire che su dei libri seri del XVII secolo si descrivevano cose oggi all’apparenza risibili: un orologio sotto uno zoccolo! Ma passato il momento di sorpresa, ci si immedesima nel tempo e nell’animo dello gnomonista, scorgendo subito l’elemento che giustifica tale pubblicazione: l’esigenza, in quel tempo, di trovare nuove soluzioni gnomoniche che siano soprattutto pratiche, di semplice realizzazione e magari anche un tantino curiose. Ciò che quasi un secolo dopo si trasformerà, più tecnicamente nelle curiosità e ricreazioni matematiche di Ozanam. Lo stesso Muzio sa di scrivere una pagina di gnomonica bizzarra e lo lascia intendere chiaramente: la curiosità non dimeno d’uno (orologio) fatto in quella parte d’uno zoccolo, che sta verso terra, mentre si porta in piede, mi fà violenza a scrivere due parole di così capricciosa bizzarria, ove il calcagno serve di gnomone, e lo scalvo per letto delle linee horarie.”. Come si vede nelle figure, nel profilo dell’orologio, A è il tacco, BC il “letto delle linee orarie” o, come lo chiama Muzio, lo scalvo. AF è perpendicolare all’orizzontale DE. Lo gnomone è AF. La larghezza dello scalvo MNOP , OP sarà suddivisa in otto parti uguali, con sette linee tirate per il lungo e parallele alle MN. Sono queste le sette linee diurne sulle quali si riporteranno i punti orari delle ore italiche. Per segnare, per esempio, un punto dell’ora italica 23 sullo scalvo, si riporta lungo la FG della prima figura, dal punto F, la FH uguale allo spazio (lunghezza della linea oraria compresa tra i due solstizi) che l’ora 23 avrebbe nel piano di un orologio orizzontale supposto con lo stesso gnomone. Quindi il punto K, nel quale la linea che congiunge i punti AH prolungata interseca la curva dello scalvo BGC, è un punto orario sulla curva diurna del tropico del Cancro. Allo stesso modo si ottengono tutti gli altri punti che opportunamente congiunti formano l’orologio italico sullo scalvo dello zoccolo, o come dice Muzio “si haverà un’Horologio certamente riguardevole...e questo si adopera voltando il calcagno verso il Sole in modo che l’ombra sua ricuopra tutta la larghezza dello

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scalvo PN supposto sempre, che il piano RST equidistante (parallelo) all’orizzonte, e nella comune settione del Parallelo del giorno corrente, e la linea, che è tra l’ombra, et il chiaro so conoscerà molto bene, che hora sia”.

Orologio italico orizzontale con gnomone pari ad AF

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Zoccolo visto di profilo e sotto con le linee diurne

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AMPLIAMENTO AL LIBRO STORIA DELLA GNOMONICA

(Edizione 1992)

Roccasecca 1994

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Prima edizione, Roccasecca 1994 Seconda edizione, CD-r Opera Omnia Terza edizione, 2011

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'Orologio solare "nabatéen" di Natahan E' noto che durante le numerose campagne di scavi archeologici capita, non di rado, di ritrovare tra i reperti portati alla luce strane pietre incise, a forma di mezzaluna, o di semisfera cava. Ai nostri giorni è ormai assodato che tali pietre sono quasi sempre orologi solari e vengono regolarmente custoditi per essere messi poi a disposizione di esperti che ne valutano gli elementi storici ed artistici e ne curano la totale preservazione. Nei secoli scorsi però le cose stavano in una maniera diversa, e vorrei ricordare in proposito la bella meridiana tratta in salvo dal matematico Ruggero Boscovich nel XVIII secolo, proprio quando stava per essere avviata in una cava vicino al luogo del ritrovamento, la splendida Villa Rusinella, sulla collina del Tuscolo, nei pressi di Roma, come pietra da costruzione. Poi, invece, si rivelò un importantissimo monumento storico essendo, invero, il primo orologio solare che portò all'identificazione con il noto "Hemicyclium" citato da Vitruvio nella sua Architettura nel (I secolo a. C). Si può essere certi che molti altri orologi solari sono stati ritrovati nel corso di più di mille anni, a cominciare dall'era pagana, ma nessuno di essi ci è pervenuto, essendo stato utilizzato sicuramente per scopi più modesti. Così, per esempio, non sappiamo che fine abbia fatto l'orologio solare raffigurato in un antico calendario, descritto dall'Antonini nel '700; oppure nulla si sa del monumentale complesso gnomonico descritto dal Boissard nel XVI secolo, e di cui ci regala un'immagine che racchiude tre orologi solari ed un calendario astronomico-astrologico su un edificio detto "Palazzo Valle" (si veda oltre). Per fortuna, a porre rimedio a questa estinzione barbarica degli antichi monumenti artistici arrivò l'Archeologia. Ma fino ai primi anni di questo secolo, il pericolo di perdere importanti monumenti artistici, a causa dell'ignoranza degli operai addetti agli scavi, non era ancora passato. Un esempio brillante, ci è dato dal rapporto di un certo Dieulafoy su un orologio solare ritrovato, e miracolosamente salvato, in una campagna di scavi

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in Arabia per conto di una società francese: "A cominciare da quest'anno - scrive Dieulafoy41 - la generosità di Messier il Duca di Loubat, corrispondente dell'Accademia delle Iscrizioni, ha permesso alla Società francese di intraprendere degli scavi archeologici da dirigere in una missione in Arabia. Questa missione, conferita a due padri domenicani della Scuola biblica di Saint-Etienne da Gerusalemme, avevano quale mèta Teima. Delle difficoltà insormontabili non permisero ai Padri Jaussen e Savignac di arrivare a Teima, ma i due viaggiatori, dopo aver eseguito una missione molto interessante e molto rischiosa, ci hanno fatto conoscere già i primi risultati, contenuti in due lettere". Queste lettere furono lette da Dieulafoy nella sede dell'Accademia. " Il rapporto comunica il ritrovamento di un orologio solare detto "nabatéen"42 , il primo che si conosca, che reca inciso lo scultore che lo ha cesellato o piuttosto, a mio avviso, il nome dell'astronomo che lo ha costruito: "MANASSE' bar NATAHAN chalom". Ed ecco la seconda lettera dei Padri Jaussen e Savignac, datata 41 Academie des Inscriptions et Belles Lettres, Comptes rendus des séances de l'annee 1907, Bulletin de Juin, Paris, Librairie Alphonse Picard et fils, MDCCCVII, pagg. 315, 316. 42 Il significato di questo termine è un pò ambiguo. Esso venne impiegato probabilmente già dal XVIII secolo per indicare gli orologi solari mussulmani antichi rinvenuti in oriente. Il termine significa letteralmente “Nabateo”, ed è riferito all’antico popolo dell’Arabia Petrea, stanziato a Sud-Est del Mar Morto, che si diceva discendente da Nabath, o Nabaioth, primogenito di Ismaele; parlava un dialetto aramaico detto nabateo, o mendaico, appartenente, con il caldeo e il siriano, al ramo settentrionale delle lingue semitiche. Questo popolo ebbe la sua massima espansione (tra Siria, Egitto ed Arabia) nel periodo ellenistico e romano. Sotto Traiano la Nabatea fu conquistata dai Romani.

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Jerusalemme 2 giugno 1907: Monsieur Le Presidente, Questo è un orologio solare "nabatéen", il primo che sia stato segnalato fino ad oggi, per quanto ne sappiamo43 . Esso è stato ritrovato da alcuni soldati che lavoravano alla strada ferrata (ferrovia) di Hedjaz, a 1800 metri a sud di QUALA'A de MADAIN SALEH, sul terreno presumibilmente dell'antica villa di Hégra. Siccome in questi paraggi le piccole pietre sono scarse, il Genio Militare, incaricato della costruzione della linea ferroviaria, ha pensato che il modo più semplice di procurarsi le pietre è quello di estrarle dalla sabbia e frantumare i resti delle antiche costruzioni lontane dalla linea in costruzione. Con questo "nuovo genere di scavi archeologici", il 25 aprile scorso gli operai presero di mira il monumento in questione (l'orologio solare). Ma essi riconobbero per caso su di esso un segno di scrittura ed ebbero il buon spirito di mettere da parte la pietra; il capitano Louffi, essendo capo del comando, la fece portare al campo e noi fummo chiamati per vederla, per misurarla e per prenderne uno schizzo. Questo è un piccolo blocco di pietra arenaria (fig. 44) che misura alla base mt. 0.35 di larghezza e alla sommità mt. 038, su un'altezza di mt. O,42 ed uno spessore medio di mt. 0.25. La parte anteriore è stata lavorata con cura; in basso è tagliato in forma di zoccolo davanti al quale si trova un cartiglio incassato con una iscrizione "nabatèen" in rilievo; una rottura interessa un angolo del monumento, ma l'iscrizione non ne risulta troppo danneggiata. Sopra questo zoccolo si alza una specie di gamba, larga 11 cm e alta 9 cm, che fa da supporto all'orologio solare vero e proprio. Questo è formato da una superficie concava equivalente ad un quarto di sfera il cui diametro è di 26 cm; questa superficie è 43 Queste lettere si trovano anche in un manoscritto conservato nella Biblioteque de l'Institut de France: "Lettres de Marcel Dieulafoy (1887-1904)... -5. Cadran solaire nabatéen".

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divisa in dodici parti uguali da undici linee distanti l'una dall'altra lungo il bordo di 3 cm e tagliate da un arco di cerchio. Nel centro, da dove partono le linee, la pietra porta una incisione di qualche millimetro di profondità, fatta senza dubbio per ospitare una piccola piastra di metallo; più sopra, e più indietro, si trova un buco nel quale era fissato lo stilo destinato a proiettare l'ombra. Ma passiamo ad esaminare la scritta che senz'altro è stata opera del costruttore. Abbiamo cercato di vedere prima di tutto una qualche allusione con la natura dello strumento, ma per il momento noi ci siamo decisi a leggere:

מנשא בד נהו שלס che sembra la più verosimile. Nella nostra copia, tuttavia, abbiamo notato che la sesta lettera, in cui la parte superiore è scomparsa, poteva essere collegata con la seguente, diventando quindi un כ al posto di un ר ". La lettera dei padri si conclude come al solito con un rispettoso saluto al presidente del Comitato. Personalmente non sono in grado di dire che fine abbia fatto questo straordinario monumento gnomonico. E' già una grande fortuna avere a disposizione una perfetta immagine riprodotta dai due padri, in cui si può notare uno stile costruttivo profondamente caratterizzato da elementi orientali associati a qualcosa di pagano. Qui sembra addirittura di vedere le linee orarie e dei solstizi, realizzate con apprezzabile precisione, come offerte in un calice.

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Fig. 44

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GLI OROLOGI SOLARI DELLA BASILICA DI DAMOUS-EL-KARITA

Durante gli scavi archeologici della basilica di Damous-el-Karita, presso Carthage, il Padre Delattre, corrispondente del Comitato di Tunisi per l'Accademia delle Iscrizione e Belle Lettere, comunicò un rapporto dei monumenti ritrovati. Gli archeologi riconobbero nella basilica una parte di un cimitero cristiano detta "area martyrum muro cincta", dove con i nomi cristiani dei sepolti si trovava la formula ordinaria degli epitaffi cristiani di Carthage: "Fidelis in pace". Fra i vari monumenti rinvenuti, vi era un orologio solare piano, orizzontale, datato al V secolo d.C., ma purtroppo non ci è stato descritto44 . Nella stessa basilica furono rinvenuti, dopo decenni, altri due orologi solari, di cui uno, fortunatamente, ci è rimasta memoria attraverso un disegno di "M. le marqueis d'Anselme"45 . Il primo è un orologio solare a "doppia faccia" con alcuni altri frammenti. Il secondo è un bellissimo esemplare di hemicyclium, "di forma concava - dice il rapporto - che porta incisa al centro una croce monogrammatica, con vicino le lettere alfa e omega (fig.45). 44 Bulletin Arch‚ologique du Comit‚ des travaux historiques et scientifiques, 1886, Paris, Impremiere Nationale, MDCCCLXXXVII, pag. 224 e seg. 45 Academie des Inscriptione.... 1911, Paris, 1811, pag.573, 574.

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Fig. 45

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L'OROLOGIO SOLARE DI POITIERS - Messier "le lieutenant" Esperandieu, corrispondente del Comitè‚ a Saint-Maixent (Deux-Sèvres), ha eseguito un disegno di un orologio solare e la stampa di una iscrizione gallo-romana, ritrovata a Poitiers dal Padre de la Croix46 . Sul Bulletin Archeologique dell'anno successivo, 1889, viene pubblicato un sommario rapporto, da parte di Edmond Le Blant, sulla comunicazione di Esperandieu, relativa all'orologio solare. Qui, finalmente, si specifica che il monumento risale al XVIII secolo, che E’ conservato a Saint-Maixent dal dottor Beaudet. Diverse iscrizioni interessano il "quadrante", ma queste sono le solite banali iscrizioni che generalmente si trovano su monumenti del genere (così dice il rapporto). Forse per la stessa ragione non E’ stato pubblicato in entrambi i numeri del Bulletin il disegno che era stato effettuato dallo scopritore e che, insieme alla nota, venne depositato nell'archivio del Comitè, dove potevano essere "consultati dalle persone interessate a questa categoria di monumenti". UNO "GNOMONE". Un'altra segnalazione riguarda alcuni frammenti di epitaffio presso la "Casba", nelle fondazioni della casa del consolato di Russia, ove E’ stato trovato anche uno gnomone, colonne e capitelli senza grande interesse, risalenti al tempo della dominazione spagnola a Tunisi47 . 46 Bulletin Archeologique, 1888, Paris, 1888, pag.1 47 Bulletin Archeologique, anno 1894, Paris, 1894, pag.234

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UNA CANDELA "RICORDA" UN OROLOGIO SOLARE. Un'altra singolare scoperta è data dalla "Séance de la Commission de l'Afrique du Nord". Messier Cagnat annuncia al Presidente Héron de Villefosse, che ha ricevuto da M. Marye la stampa di due iscrizioni di candele ritrovate nella costruzione del presbiterio (non sappiamo quale). Una di queste scritte menziona la costruzione di un orologio solare. ....(ae?)di(is) horol(ogium) omni sua impensa conlocavi(t) d(e)

dicavitq(ue)48 . UN HEMISPHAERIUM IN MARMO CON CINQUE "FIGLI" SULLE...SPALLE. In una sala attinente ad un "caldarium", in un vecchio tempio della Mauritania, M. Waille, riesumò un orologio solare emisferico in marmo, più grande e in uno stato di conservazione migliore di altri due già acquistati dal Museo di Cherchel. Esso misura 57 cm di larghezza e altrettanti di altezza. Una pietra è modellata a forma di zoccolo ad ornamento di due rosoni e la semisfera a forma di "mezzaluna". Nella metà della concavità graduata della pietra, vi è un canaletto (foro) nel quale vi era infisso lo gnomone destinato a proiettare l'ombra sulle graduazioni (linee orarie). Sulla faccia posteriore della pietra si vedono cinque calotte incavate, di cui una grande al centro e una piccola per ogni angolo, le quali avevano probabilmente delle "palline" metalliche49. La caratteristica descrizione dell'autore ci fa porre qualche domanda su alcune particolarità del monumento. Egli chiama "graduazioni" le linee orarie temporarie, "spiedo", o "punteruolo" 48 Bulletin Archeologique, anno 1899, Paris, 1900, pag. CLXXXIII 49 Bulletin Archeologique, anno 1902, Paris, 1902, pag. 350-351

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(broche) lo stilo e via dicendo. Per fortuna ci fa capire che si tratta di un orologio solare emisferico con stilo verticale, quale poteva essere, probabilmente, il "polos" centinaia di anni prima di Cristo. Questo semplice orologio solare, ricavato in una semisfera intagliata in un blocco di pietra è tra i più comuni dell'antichità, e per questo, tra i più preziosi oggi. Waille parla poi della presenza, nella parte posteriore del monumento, di cinque "cuvettes", cioè cinque calotte, o piccole semisfere incavate che possiamo essere certi erano altrettanti orologi solari "boreali" perchè erano orientati a Nord. Un tipo di orologio del genere è quello detto di "Pergamo", che presenta altri piccoli orologi solari ricavati nelle altre facce della pietra utilizzata per l'orologio principale. Probabilmente, però, invece che "palle", ognuna delle "cuvettes" era dotata di un piccolo stilo. Ad ogni modo è questa una segnalazione di un orologio solare antico molto particolare, di cui è bene tener conto nei trattati di storia e nei futuri cataloghi di meridiane antiche. UN OROLOGIO SOLARE DI SCISTO. M. Heron de Villefosse rapporta la spedizione di M. Collard, corrispondente del Comité, da Auch, e annuncia il ritrovamento di un orologio solare di scisto, datato 1671, incastrato sopra la porta di una fattoria, a Prat-Arouet, nel Comune di Roquelaure (Gers)50. L'OROLOGIO SOLARE DI VILLA DES SAISONS Durante lo sterramento della villa che gli scopritori hanno chiamato "Villa des Saisons", fu trovato un orologio solare, insieme a molti altri reperti51. 50 Bulletin Archeologique, anno 1908, Paris, 1908, pag.CXXII 51 Bulletin Archeologique, anno 1913, Paris, 1913, pag.

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UN TORO PER OROLOGIO SOLARE Durante una campagna di scavi archeologici, relativamente recente, cioè avvenuta intorno agli anni '60 di questo secolo, condotta nell'agro della città di Tomi52 , fu rinvenuto un orologio solare. Generalizzato, come al solito, in "quadrante solare", ne fu pubblicata una foto53 in un articolo a firma di Umberto Garrone per la rivista L'Universo, anno XLVII, n. 3, maggio-giugno del 1967. Purtroppo, l'autore non azzarda una descrizione dello strumento, e ciò che possiamo dedurre dall'illustrazione (fig.46) è una testa di toro le cui corna reggono un orologio solare che sembra appartenere alla classe degli "hemicyclium". Nella concavità interna si notano dieci linee orarie temporarie, ma è evidente che l'undicesima, alla destra di chi guarda, è in ombra e per questo non visibile. Tali linee orarie sono tracciate, peraltro, senza quello zelo artistico che caratterizza i grandi artigiani della gnomonica di quel tempo. Due archi attraversano trasversalmente le linee orarie e rappresentano il solstizio invernale e l'equinozio di primavera; mentre il terzo arco, non tracciato, corrispondente al solstizio estivo, coincide proprio con il "taglio" dell'orologio stesso nella parte bassa. Da questa caratteristica si deduce che esso appartiene alla categoria di orologi solari descritta da Vitruvio come "Hemicyclium ad enclima succisum", che si dice abbia inventato Beroso Caldeo il quale ebbe l'idea di alleggerire il vecchio e pesante "hemicyclium". Le rotture sulle due estremità del quadrante e la perdita dello stilo sono gravi, ma nulla tolgono all'alto valore artistico di questo curioso monumento che CCXXVIII 52 Tomi è l'antica città della Mesia inferiore, sul Ponto Eusino, fondata nel VII secolo a.C. Corrisponde all'odierna Costanza, in Romania. 53 Per concessione della "Tomis Editura Meridiane" di Bucarest.

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potrebbe risalire attorno ai primi secoli della nostra era.

Fig.46

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L'OROLOGIO DEL BOISSARD E LA QUESTIONE SETTELE SULLA FORMA DELLE LINEE DELLE ORE TEMPORARIE Nel capitolo II del mio libro Storia della Gnomonica, ho riportato integralmente le lettere del matematico e canonico Giuseppe Settele, al suo amico Francesco Peter, nelle quali fece una lunga digressione sulla forma delle linee delle ore temporarie negli orologi solari degli antichi. In effetti, Settele fu spronato ad indagare su questo aspetto teorico della Gnomonica proprio dal ritrovamento dell'illustrazione di due orologi solari, entrambi pubblicati nell'opera Inscriptiones antiquae totius orbis Romani, redatta da Giuseppe Scaligero e Marco Velsero, sotto la supervisione di Giovanni Gruteto, con le tavole del Grevio, pubblicata ad Amsterdam da Francesco Halma, nel 1707. Dopo qualche ricerca ho trovato quest'opera e i due orologi solari citati, nei quali si vede perfettamente che le linee orarie temporarie sono leggermente ricurve, anche se non corrispondenti con precisione a come dovrebbero essere in realtà. Come si è già detto nel libro, teoricamente le linee orarie temporarie non sono delle rette, ma delle curve "assai bizzarre", come le definì Montucla. Ma descrivendole, praticamente, come delle rette, si ha un'approssimazione accettabile sulla lettura dell'ora. Settele, però, fu portato ad approfondire l'argomento in quanto si trovò in antitesi con altri grandi della matematica e della gnomonica, come Delambre. In queste pagine, quindi, riporto le immagini dei due orologi solari ritrovati nell'opera predetta, di cui quello tratto dalla tavola del Boissard è veramente qualcosa di stupefacente. Si tratta, in effetti, di un vero e proprio complesso gnomonico (fig.46), il cosiddetto "Palazzo Valle", sulla cui sommità si vedono ben quattro orologi solari, mentre il resto dell'edificio è un enorme calendario. L'altra immagine (fig.47) è un frammento di orologio solare piano, orizzontale, del genere "discum in planitia", in cui si notano sei curve solstiziali, quattro linee temporarie ricurve e alcune parole concernenti i nomi dei segni zodiacali e dei venti.

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Fu rinvenuto nel mausoleo di Augusto in Campo Marzio, probabilmente nel secolo XVI, ma a quanto sembra è andato perduto.

Fig. 46

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Fig. 47 UNA ECCEZIONALE SCOPERTA GNOMONICA: IL "SOLARIUM" DI PALESTRINA I documenti A Orazio Marucchi, archeologo di fama internazionale e socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, si deve una eccezionale scoperta gnomonica, confermata più volte da altri eminenti studiosi. Varrone ricorda nel suo libro De lingua latina, un solarium, che dice di aver visto a Preneste (la moderna Palestrina, in provincia di Roma) con un'iscrizione che egli cita come esempio di grande antichità. Marucchi trova incidentalmente questa notizia quando Varrone commenta la parola Meridies:

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"Meridies ab eo quod medius dies. D antiqui loco non R in hoc

dicebant ut Praeneste incisum in solario Vidi54 , dove aggiunge che nel solario si vedevano le diverse ore:

"solarium dictum id, in quo horae in sole inspiciebantur". Naturalmente, questo passo non è sfuggito agli amanti delle antichità locali, e tutti hanno sempre pensato che Varrone si riferisse all'esistenza di un qualche orologio solare antichissimo perché indicato come antico già ai tempi in cui Varrone scriveva, esistito nel cuore di Preneste, ma nessuno è mai riuscito a individuarne la collocazione e a riconoscerne il monumento. L'opinione comune è sempre stata quella che un tale orologio dovesse trovarsi nelle vicinanze dell'antico Foro, ovvero su uno degli antichi edifici che si trovano presso la piazza maggiore della città, dove è l'attuale cattedrale. Ma seguiamo con le parole dello stesso archeologo Marucchi il riconoscimento dell'orologio solare55 : DDAALL NNUULLLLAA UUNN SSOOLLAARRIIUUMM "Così stavano le cose quando io nell'ottobre del 1884 mi recai a Palestrina per compilare sul posto la guida archeologica di quella città, che fu pubblicata nel 1885; e naturalmente studiai in modo speciale quell'antichissimo edificio che forse fin dal IV secolo dell'era nostra fu trasformato in cattedrale, la quale fu poi dedicata al martire prenestino S. Agapito. Siccome questo edificio stava nell'antico Foro di Preneste ed era rivolto al mezzogiorno, io ebbi il sospetto che sopra quel muro potesse rimanere qualche traccia di quell'antico solarium. Quel muro era ricoperto di moderno intonaco che io feci togliere; ed allora apparvero quattro antiche fessure oblique, due 54 L.L., VI, 4 55 Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Serie III, Rendiconti, volume VI, annate accademiche 1927-29, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1930, pagg. 77-84, 1 tavola.

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a destra verso levante e due a sinistra verso ponente, delle quali però non si poteva vedere la continuazione per l'impedimento di un'altra costruzione moderna che vi era addossata: ed io ebbi il dubbio che quelle fessure fossero le tracce delle linee orarie. Ne intrapresi subito lo studio e mi persuasi che doveva essere così e che questo orologio doveva essere costruito in modo diverso da tutti gli altri, cioè non già con un solo gnomone centrale ma con tanti gnomoni quante erano le linee orarie che si volevano avere e dentro le quali si dovevano proiettare le ombre dello gnomone delle relative ore del giorno. Il primo a cui esposi questo mio studio fu l'illustre archeologo Rodolfo Lanciani, il quale convenne con me e ne parlò all'Henzen che mi invitò a trattarne con un discorso nel natale di Roma, discorso che fu poi pubblicato negli annali dell'Istituto archeologico germanico e che io riprodussi nella mia guida dell'antica Preneste, edita nel 1885. Ma il monumento non era ben visibile in tutte le sue parti perchè avanti a quell'antico muro si era costruita nel secolo XVIII la cabina dei mantici dell'organo della chiesa. Dopo quella mia pubblicazione molti archeologi espressero il desiderio che si rendesse completamente libero quel monumento con la demolizione delle nuove costruzioni: ma per quante insistenze si facessero vi si opposero sempre gravi difficoltà per le modificazioni che si sarebbero dovute fare all'organo della chiesa; e tanto le cose andarono per le lunghe che la demolizione di quei muri, invocata fin dal 1885, avvenne soltanto nella primavera del 1929... ...Eseguita così questa demolizione si potè vedere la parte inferiore delle quattro linee orarie oblique e si videro meglio le tracce delle due fessure orizzontali che prima erano visibili soltanto in parte e di più si potè constatare che nella parte centrale dove si supponeva che il muro, di opera quadrata, fosse continuo, esisteva invece una grande finestra arcuata, corrispondente sopra la porta centrale di quell'antico edificio. La inattesa scoperta di questo arco fece dubitare ad alcuni che quelle fessure avessero appartenuto veramente ad un orologio solare: benchè tutti convenissero che non si poteva dare un'altra spiegazione a quelle fessure inclinate, incise anticamente

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sopra un muro rivolto al sole. E del resto era chiaro che la presenza di quell'arco non poteva in alcun modo escludere la mia ricostruzione56; e da quell'arco poteva soltanto dedursi che la fessura verticale indicante l'ora del mezzogiorno, la quale doveva finire all'intradosso dell'arco stesso, era più corta di quanto prima si supponeva. Nel mese di ottobre del 1927, mi recai appositamente in Palestrina ; là mi accompagnò il collega prof. Munoz, come direttore dell'Ufficio dei monumenti, ed al nostro studio si unì anche l'egregio ispettore locale don Urbano dei Principi Barberini. Lo studio sul posto fu assai accurato; il prof. Carlo Pieri eseguì un disegno molto preciso e dettagliato della facciata della cattedrale (si veda la fig.48). 56 Infatti, nel sopralluogo che ho effettuato, si vede chiaramente che la grandezza dell’arco, anche attorno al solstizio d’estate, non ostacola con la sua ombra la lettura dell’orologio in questione.

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Fig. 48

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IILL PPAARREERREE DDEEGGLLII AASSTTRROONNOOMMII Trattandosi di una questione non soltanto archeologica ma anche astronomica, fin dal 1884 ricorsi all'Ufficio del Reale Osservatorio del Campidoglio, a cui era allora addetto il prof. Francesco Giacomelli. E con i calcoli che egli fece si potè determinare che le inclinazioni di quelle antiche fessure oblique corrispondevano alle inclinazioni che avrebbero avuto le ombre di altrettanti gnomoni fissati alle estremità superiori delle fessure stesse nelle principali ore del giorno; e cioè alle ore antimeridiane quelle di levante, ossia a destra di chi guarda il disegno, ed alle ore pomeridiane quelle di ponente, cioè a sinistra. E si suppose naturalmente che all'ora del mezzogiorno doveva corrispondere una fessura verticale, la quale però non esisteva più perchè nel Medioevo fu trasformata tutta la parte centrale del muro antico. Ora ritornando dopo tanti anni a questo studio, ho voluto per completarlo adottare lo stesso sistema: quindi ho fatto appello al medesimo Osservatorio del Campidoglio, che ora è diretto dal prof. Giuseppe Armellini57. Egli ha confermato le deduzioni alle quali giunse tanti anni or sono il prof. Giacomelli e studiando il disegno del Pieri ha aggiunto altre nuove osservazioni che ora riassumerò. Per prima cosa egli ha pure riconosciuto che la presenza dell'arco rivelata dai recenti lavori non costituisce alcuna difficoltà per vedere nel monumento prenestino un orologio solare. Egli ha poi constatato che la prima fessura a destra, cioè la più bassa a levante, corrisponde con la direzione dell'ombra proiettata da uno gnomone nell'ora terza nella stagione estiva, quando il sole sorge più presto, e che la seconda fessura dalla stessa parte corrisponde alla direzione dell'ombra nell'ora terza invernale, quando il sole sorge più tardi. Parimenti la prima fessura a sinistra corrisponde con l'ombra 57 Giuseppe Armellini è autore anche di una meridiana realizzata sulla facciata della chiesa della piazza principale di Boville Ernica (FR). Ora è completamente distrutta e si notano solo i resti di qualche linea oraria. Chi scrive ebbe l’incarico dal sindaco nel 1994 di ripristinarla, conservando l’antico gnomone polare (nda, 2011).

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dell'ora nona invernale e la seconda fessura a sinistra, in basso, con l'ombra dell'ora nona estiva, quando il sole tramonta più tardi. E per controprova di tutto ciò l'Armellini ha pure tracciato sul disegno del Pieri un orologio solare costruito con un solo gnomone centrale. Così ha potuto constatare (come si vede nel disegno, fig.48) che in esso le ombre delle ore estive e delle invernali hanno approssimativamente le stesse direzioni delle fessure incavate sull'antico muro dell'edificio prenestino. Ma un'altra osservazione è anche assai importante. Il muro antico che oggi forma la facciata della cattedrale di Palestrina è rivolto al mezzogiorno, ma non già con matematica esattezza, giacché esso declina verso ponente di un angolo di 13 gradi. Ciò spiega perchè gli angoli delle linee orarie con l'orizzontale sono alquanto maggiori dalla parte di ponente, cioè a sinistra di chi guarda il disegno; mentre dovrebbero essere eguali a quelli dalla parte di levante se il muro fosse rivolto esattamente a mezzogiorno (a sud). Questa osservazione che s'è potuta fare ora dopo la demolizione dei muri moderni, è la più bella conferma che quel sistema di fessure ha certamente relazione col sole; e che perciò qui si tratta veramente di un orologio solare. Questo è anche il parere dei dotti astronomi interpellati da me in questo studio.

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LLAA CCOONNCCLLUUSSIIOONNEE DDEELLLL''AARRCCHHEEOOLLOOGGOO Guardando bene il disegno, si osservi la fessura orizzontale...(...). Questa fessura oggi è diretta da est ad ovest e perciò indica l'ortus solis a destra di chi guarda e l'occasus solis a sinistra. Oggi, dopo il recente lavoro, si vede che questa fessura era strettamente legata con la prima fessura destra e con la seconda fessura a sinistra, cioè precisamente con quelle due fessure che indicavano l'ora Terza e l'ora Nona, ossia le ore che oltre a quella del mezzogiorno si dovevano segnalare dagli antichi per la trattazione dei pubblici affari. Si può supporre pertanto che dentro questa fessura orizzontale vi fosse una lastra marmorea sulla quale erano incise le indicazioni appunto di quelle ore. Ma devo qui aggiungere un'altra osservazione archeologica, la quale conferma la natura del monumento e gli dà una importanza speciale. Nell'antica Preneste si venerava in particolar modo Giunone, la quale, come ci attesta Cicerone nel libro De divinatione, era rappresentata insieme a Giove in grembo alla dea Fortuna in una parte religiosamente recinta del gran tempio prenestino.

Is est hodie locus religiose septus, propter Iovis pueri cum Iunone in gremio Fortunae sedens mamma appetens castissime

colitur a matribus58. Ed inoltre nell'antica Preneste vi era un edificio chiamato Iunonarium, che è nominato nella iscrizione di una base prenestina ch'io feci acquistare molti anni or sono per il Museo Vaticano e trovasi nella Galleria Lapidaria, ed essa proviene appunto dai dintorni dell'antico edificio sul quale abbiamo riconosciuto le tracce dell'antico Solarium59. Ora è cosa assai notevole che Ovidio, nel libro VI dei Fasti, allorchè parla del mese di giugno e ne fa derivare il nome da quello di Giunone, così fa parlare la dea: 58 De div., II, 41 59 E’ l’iscrizione del cippo di Saviolenus che sta incontro all’ingresso della Biblioteca.

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Ne tamen ignores vulgique errore traharis,

Iunius a nostro nomine nomen habet. Ed aggiunge che Giunone era venerata solo in Roma ma anche in luoghi vicini alla città e cita fra gli altri luoghi Aricia, Laurento e Lanuvio, dicendo che ivi si indicava il mensis Iunonius.

Inspice, quo habeat nemoralis Aricia fastos, Et populus Laurens Lanuviumque meum:

Est illic mensis iunonius

ed aggiunge poi subito che a Tibur ed a Preneste si leggeva scritta la indicazione del mensis Iunonius.

Inspice Tibur Et praenestinae moenia Sacra Deae,

Iunonale leges tempus; nec Romulus illas Condidit, at nostri Roma nepotis erat.

Se a Tivoli e a Preneste si leggeva il tempus Iunonale, ciò vuol dire che a Tibur ed a Preneste vi era un orologio solare sul quale si leggeva la indicazione del tempus Iunonale, cioè si vedevano indicate in modo speciale le ore estive. E del resto che nel solario prenestino vi fossero delle indicazioni scritte si ricava da Varrone il quale vi lesse la indicazione del meridies, ut Praeneste incisum in solario vidi. Da tutto ciò io deduco che sull'orologio solare prenestino dovevano essere indicate in modo speciale con qualche iscrizione anche le due ore, la Terza e la Nona, corrispondenti al Tempus Iunonale, cioè’ alle ombre di queste due ore nella stagione estiva. Ora il calcolo ci ha dimostrato che la prima fessura a destra indicava l'ora terza di estate (il tempus iunonale) e così che la seconda fessura a sinistra indicava l'ora nona del tempus iunonale. Ed una circostanza assai notevole si è che precisamente alle estremità di queste due linee indicanti le ore estive, cioè quelle del tempus iunonale, noi vediamo su

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quell'antico muro dei buchi i quali potrebbero mettersi in relazione con dei gnomoni fissati in corrispondenza di quelle stesse fessure...(...). ....E’ certo che lo studio da me fatto su questo antico monumento prenestino ha confermato che veramente in quell'edificio che fece parte dell'insigne Santuario della Fortuna primigenia, e che oggi è la cattedrale prenestina, noi rivediamo ancora qualche traccia di quell'orologio solare che già Varrone indicò come assai antico ai tempi di Augusto; e che perciò può dirsi il più antico orologio di cui rimangano tracce sopra un monumento romano". Roma, aprile 1928. IILL SSOOPPRRAALLLLUUOOGGOO Appena ritrovata la pubblicazione del Marucchi mi sono precipitato, naturalmente, a Palestrina andando a cercare questo famoso solarium. La città è piena di monumenti e solo per trovare la cattedrale di S. Agapito ho impiegato quasi un'ora. Quando mi sono ritrovato davanti alla facciata del monumento ho fatto fatica a riconoscere i dettagli disegnati nella figura eseguita dal Pieri un secolo prima, soprattutto perchè la facciata si è ulteriormente deteriorata a causa degli agenti atmosferici e degli ultimi eventi bellici. Per fortuna però le "fessure" citate dal Marucchi sono rimaste esattamente come furono disegnate e questo lo si vede benissimo confrontando il disegno del Pieri con le fotografie che ho scattato nell'estate del '93. In un primo momento mi è venuto spontaneo pensare "non è possibile". Non potevo credere che quelle strane fessure potessero rappresentare un orologio solare. Ed in effetti chi è abituato a vedere le classiche meridiane da muro si trova davanti uno scenario completamente diverso e mi meraviglio, ancor oggi, di come il perspicace archeologo abbia fatto a riconoscere in quei segni un antico orologio solare. Dopo un pò decisi di andare a parlare col parroco che aveva appena finito di dir messa. Era al corrente del lavoro del

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Marucchi ma mi è sembrato alquanto scettico nel credere che le strane incisioni rappresentassero proprio di un orologio solare. Mentre vano è stato il tentativo di incontrare uno studioso di antichità del luogo per chiedergli un parere. Ciò che ho potuto constatare osservando il monumento è che le fessure sono state tracciate con voluta precisione e per uno scopo ben preciso. La larghezza e la profondità di ogni fessura è tale da far credere che esse ospitavano delle lastre di marmo come ha ipotizzato il Marucchi. Sfruttando l'ingrandimento di un teleobiettivo ho potuto notare che i due fori in prossimità delle fessure laterali citati dall'archeologo sono gli unici perfettamente sferici e profondi, tali da poter ospitare degli gnomoni, mentre tutti gli altri buchi della facciata hanno una forma imprecisa legata a cause diverse. In definitiva, tutte le osservazioni confermano che l'ipotesi di studio del Marucchi è la più probabile e dobbiamo concludere che in quel luogo veramente si conserva un antico orologio solare, concepito in modo completamente diverso rispetto ai tradizionali canoni della gnomonica, e non è escluso che possa trattarsi proprio del Solarium citato da Varrone.

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Tre immagini delle “linee orarie”, come si vedevano nel 1993. In basso: particolare delle fessure di destra. E’ visibile anche il presunto foro gnomonico. Foto dell’autore.

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LL''OOPPIINNIIOONNEE DDEELLLL''AAMMMMIIRRAAGGLLIIOO GGIIRROOLLAAMMOO FFAANNTTOONNII.. Per definire completamente il quadro su questo misterioso "solarium" di Palestrina, ho chiesto il parere di uno dei più autorevoli gnomonisti del mondo, l'Amm. Girolamo Fantoni, ben noto agli appassionati, il quale, con molta gentilezza e sollecitudine mi ha fatto conoscere il suo pensiero. Egli è sostanzialmente d'accordo con il Marucchi sull'interpretazione delle tracce individuate sull'antica facciata della Cattedrale di Palestrina: "Si tratta, quasi certamente, di linee orarie solari temporarie, funzionanti con gnomoni individuali indipendenti - mi scrive nel suo appunto - però sono propenso a ritenere che le linee orarie chiamate 3 e 9 invernali fossero invece le 3 e 9 equinoziali". Si tratterebbe, quindi, non di un orologio solare vero e proprio, cioè di un orologio solare adatto ad indicare l'ora in tutti i giorni dell'anno, ma "di un marcatempo che segna i momenti corrispondenti a determinati e specifici avvenimenti astronomici (presumibilmente collegati a fatti religiosi o mitologici, o calendariali)”. Sarebbe quindi un semplice "avvisatore di istanti" (pur sempre a mezzo dell'ombra del Sole) il "solarium" scoperto dal Marucchi. Secondo i calcoli, la posizione dei fori che avrebbero dovuto ospitare i rispettivi gnomoni, non è corretta. I fori, infatti, dovrebbero trovarsi allineati con le linee orarie. Per questa difficoltà, però, si può pensare che le lastre di marmo che dovevano trovarsi incassate nelle rispettive fessure, avrebbero potuto recare non la linea oraria incisa, ma anche solo delle scritte esplicative della vera linea oraria che avrebbe potuto trovarsi (incisa o dipinta) più sopra, allineata con i fori. Ma è solo un'ipotesi. C'è un'ultima considerazione da fare. Il commento di Fantoni, e soprattutto l'ipotesi che tale strumento fosse adatto solo per certe indicazioni temporali estive, rafforza la conclusione dell'archeologo Marucchi e cioè che il "Solarium" di Palestrina fosse proprio quello citato da Varrone in conseguenza del fatto che esso era stato concepito per indicare principalmente le ore estive corrispondenti al "Tempus Iunonale". E come fece già

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notare Marucchi, i fori per gli stili si trovano solo sulle fessure delle ore 3 e 9 estive. Anche se non si tratta di un vero e proprio orologio solare, le circostanze del ritrovamento e i resti archeologici di questo monumento pervenutici da un tempo così remoto, fanno di questa scoperta un capitolo interessantissimo della storia della gnomonica e per questo, come conclude pure Fantoni, la relazione del Marucchi è un ottimo contributo alle conoscenze sciateriche.

Disegno dell’amm. Girolamo Fantoni e confronto dei due tracciati orari. Sono cerchiati i punti in cui i sistemi coincidono.

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Le linee orarie del “solarium” ricalcolate da Girolamo Fantoni. Combaciano quasi perfettamente con quelle calcolate da Armellini, che erano più approssimative.

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Desidero ringraziare il Fisico Edmondo Marianeschi di Terni e l'Amm. Girolamo Fantoni che con molto interesse hanno esaminato la documentazione relativa alla scoperta del Marucchi. Grazie al loro contributo è stato possibile risolvere il "mistero" del Solarium di Palestrina, da tempo sepolto negli archivi storici. SCIATERICUM TELESCOPICUM Nel 1686 venne pubblicato a Dublino, da W. Norman, un libro di William Molineux il cui fontespizio era

Sciatericum Telescopicum

Guilielmi Molineusii, Equitis, et tam Regiae quam Dublinensis Societatis Socii, Novum inventum adaptandi Telescopium Sciaterico Horizontali,

ad observanda temporis momenta interdiu atque noctu etc. Ho trovato la recensione di questa singolare opera, inesistente nelle bibliografie gnomoniche degli anni passati, sulla rivista, Acta Eruditorum, anno M ,DC LXXXVII publicata, ac Serenissimo Principi ac Domino DN. JOHANNI GERORGIO IV Electoratus Saxonici Haeredi, etc. etc. dicata, cum S. Caesareae Majestatis et Potentissimi Electoris Saxoniae Privilegiis, Lipsiae, apud J. Grossium anno M DC LXXXVII. Incuriosito da questo ritrovamento, mandai copia del testo e della relativa figura esplicativa dello strumento, al fisico Dott. Edmondo Marianeschi, esimio gnomonista, il quale, dopo aver cercato di tradurre il meglio possibile il testo e dopo aver "pulito" l'immagine originale proposta dalla rivista, mi ha fatto conoscere le sue considerazioni in merito insieme ad una

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dettagliata descrizione dello strumento. DESCRIZIONE DELLO SCIATERICUM TELESCOPICUM di Edmondo Marianeschi L'asta gnomonica è un regolo, inclinato sul quadrante orizzontale della latitudine del luogo, a sezione quadrata; l'interno di questo regolo è cavo ed alloggia una bacchetta filettata che può essere ruotata mediante la manovella m. La vite s'impana con una chiocciola solidale con un carrellino c che può scorrere lungo la faccia sud dell'asta gnomonica. Fungono da stilo gli spigoli lato sud dello gnomone: pertanto, sono due le rette sottostilari ed il quadrante è diviso in due parti (antimeridiana e pomeridiana) distanziate di quanto lo sono le due rette sottostilari. Sul quadrante, in corrispondenza all'incrocio delle due linee sottostilari con la retta est-ovest (VI-XVIII), vi sono due piccoli perni attorno ai quali ruotano due alidade a e b (una per le ore antimeridiane ed una per le ore pomeridiane) che con il loro spigolo interno segnano sul quadrante l'ora. All'altra estremità di ciascuna alidada, è imperniata un'asta sottile f su cui sono montati una lente obiettivo o, un oculare positivo p e un reticolo a croce r. L'insieme montato sull'asta viene a costituire un cannocchiale (telescopium) il cui asse s è sullo spigolo interno della medesima asta f; l'asse in questione si appoggia ad uno degli spigoli dello gnomone che fungono da stilo. Nella figura è operante l'alidada ed il telescopio relativi alle ore pomeridiane; l'altra alidada e l'altro telescopio sono oziosi appoggiati sul piano del quadrante. Come si comprende, il piano orario (piano passante per l'asse terrestre e per il Sole) è definito quando il cannocchiale mira il centro del Sole. Difatti, l'asse del cannocchiale si appoggia e scorre lungo l'asse terrestre che, con la nota approssimazione, coincide con lo stilo. In pratica si opera spostando l'alidada delle ore e la manovella m, fino a che il crocicchio del reticolo centra il Sole. La posizione

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dell'alidada (spigolo interno) permette la lettura dell'ora. La macchinosa realizzazione sopra illustrata, mira a disporre di un "indicatore" dell'ora più netto dell'ombra e più veloce (effetto ingrandimento del cannocchiale) in modo da poter cogliere il tempo con maggior precisione. Inoltre, lo strumento poteva fare uso delle stelle e, quindi, segnare il tempo anche di notte (se il cielo era sereno). Probabilmente questa è stata la prima risposta al quesito che l'orologiaio Charles Bellair pose a Huyghens nel luglio del 1659: "...forse lei ha qualche idea per ottenere un raggio di luce, o un'ombra, molto netti, che possano muoversi... rapidamente... in modo tale da potersi registrare (gli orologi meccanici) con sufficiente precisione mediante il riferimento al Sole". La frase di cui sopra è riportata nel D.S. Landes, Storia del Tempo, Mondadori, 1984. In teoria - continua Marianeschi - lo strumento è ben congegnato; la realizzazione pratica e l'uso debbono essere molto problematiche, in particolare, l'osservazione attraverso l'oculare che deve essere penosa anche per le vibrazioni inevitabilmente portate dalla flessibilità dell'asta porta cannocchiale. L'interesse del lavoro di Molyneux risiede nel mostrarci un desiderio di precisione che alcuni fanno passare per una mania di precisione di certi gnomonisti del nostro tempo, mentre invece, l'opera di Molyneux testimonia che questa aspirazione esisteva almeno fin dal XVII secolo (!). A suo tempo comunque deve essere stato un lavoro molto impegnativo che suscitò l'interesse di più studiosi. Infatti, l'inusuale strumento gnomonico è descritto con dovizia di particolari sui dettagli progettuali e d'uso dall'autore nel suo voluminoso libro in ben undici capitoli. E' strano, poi, che una simile opera sia stata dimenticata nei secoli successivi, ma ciò è da imputare naturalmente alla completa assenza (cosa ancora più strana) di un'adeguata bibliografia gnomonica che, come si sa, solo negli ultimi due anni è stata redatta da chi scrive.

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L'OROLOGIO "CELESTE" DI LORETZ-GRASSI. E' uno strumento che funziona da notturnale, astrolabio e orologio. Fu inventato dal Padre Lorentz e G. Grassi nel secolo scorso e può segnare le ore in tempo vero di giorno come di notte. Naturalmente l'ora ottenuta con questo orologio è approssimativa: ma esso ha il vantaggio di essere "tascabile" e della durata nel tempo in quanto non ha meccanismi particolari che possono guastarsi. Consta di due dischi (fig.8-9-10 della TAV 1). Il disco nero rappresenta il cielo stellato con le stelle dalla 1° magnitudine alla

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4° divise in costellazioni; è indicato giornalmente il posto occupato dal sole sull'eclittica; è segnata l'ascensione retta e la declinazione che arriva fino al 30° grado dell'emisfero australe. Il disco bianco (fig.8) rappresenta l'orizzonte dell'osservatore il quale va tagliato internamente a seconda della latitudine del luogo dove lo strumento viene usato. Se, per esempio, l'osservatore si trova a Pietroburgo (lat. 60°), si taglierà il pezzo entro la curva portante il numero 60. L'orizzonte è diviso all'intorno in 12 ore antimeridiane ed il 12 pomeridiane. Per conoscere l'ora di notte ecco un esempio: si fa coincidere la linea Nox-Dies, sul disco bianco col proprio meridiano. Se sul nostro meridiano troviamo una stella nota, si fa passare la retta Nox-Dies del disco bianco su tale stella segnata sul disco nero. Nella fig. 10 la stella Sirio sta per raggiungere il meridiano; si cerca sul disco nero il giorno del mese, supposto che sia il 9 marzo e si legge immediatamente al di sopra, sul disco bianco 7 1/4 pomeridiane; tale è l'ora vera di quel momento.

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Fig. 8, 9, 10 della tav. 1

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L'OROLOGIO "SOLARE ECOLOGICO", OVVERO L'OROLOGIO FLOREALE NELLA VERSIONE DEFINITIVA. Nel mio volume Storia della Gnomonica, ho accennato ad un orologio floreale descritto sommariamente da P. Romano, sul palinsesto del lavoro del noto botanico Linneo. Ripropongo in queste pagine lo stesso orologio con una descrizione più precisa, nella sua versione definitiva. E' noto che le piante si aprono e si chiudono periodicamente e che tale fatto è in connessione con la protezione che esercitano per difendere il loro polline. Un fenomeno che è stato osservato fin dai tempi antichi dai botanici ma, per quanto si sa, fu il famoso Linneo a pensare ad una composizione floreale e a costruire l'"Orologio floreale" di Upsala. E' da dire subito che l'orologio floreale, anche se all'inizio fu sperimentato in molti giardini botanici, non ebbe un seguito di successo, soprattutto perchè le piante scelte fioriscono solamente per una piccola parte nella stessa stagione dell'anno e le indicazioni temporali non possono essere che difficoltose e molto approssimative. Tuttavia, è bene conservarne la memoria e ritengo sia giusto riportare qui il lavoro del Linneo, come viene descritto nell'opera Vita delle piante di Kerner di Marilaun, sull'orologio di Upsala (lat. 60°). Tragopogon pratense.............apertura 4-5 ant. Cichorium intybus Leontodon tuberosum Picris hieracioides 5 ant. Hemerocallis fulva Papaver nudicaule Sonchus oleraceus 5-6 ant. Crepis alpine

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Rhagadiolus edulis Taraxacum officinale 6 ant. Hieracium umbellatum Hypochaeris maculate 6-7 ant. Alyssum utriculatum Crepis rubra Hieracium murorum Hieracium pilosella Sonchus arvensis 7 ant. Anthericum ramosum Calendula pluvialis Lactuca sativa Leontodon astile Nymphaea alba Sonchus lapponicus 7-8 ant. Mesembryanthemus Barbatum " linguiforme 8 ant. Anagallis arvensis Dianthus prolifer Hieracium auricular 8-10 ant. Taraxacum officinale........ chiusura 9 ant. Calendula arvensis.............apertura Hieracium chondrilloides 9-10 ant. Arenaria rubra Mesembryanthemum cristallinum Tragopogon pratense.......... chiusura 10 ant. Cichorium intybus Lactuca sativa

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Rhagadiolus edulis Sonchus arvensis 10-11 ant Mesembryanthemum nodiflorum...apertura 11 ant. Crepis alpina.................chiusura 11-12 ant. Sonchus oleraceus 12 mer. Calendula arvensis Sonchus lapponicus 1 pom. Dianthus prolifer Hieracium chondrilloides 1-2 pom. Crepis rubra 2 pom. Hieracium auricular Hieracium murorum Mesembryanthemum barbatum 2-3 pom. Arenaria rubra 2-4 pom. Mesembryanthemum cristallinum 3 pom. Leontodon astile Mesembryanthemum linguiforme " nodiflorum 3-4 pom. Anthericum ramosum Calendula pluvialis Hieracium pilosella 4 pom. Alyssum utriculatum 4-5 pom. Hypochaeris maculate 5 pom.

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Hieracium umbellatum Nyctago hortensis............ apertura Nymphaea alba................ chiusura 6 pom. Geranium triste.............. apertura 7 pom. Papaver nudicaule............ chiusura 7-8 pom. Hemerocallis fulva.............. " 9-10 pom. Cactus grandiflorus.......... apertura Silene noctiflora............... " 12 pom. Cactus grandiflorus.......... chiusura. Attraverso la realizzazione di altri orologi floreali in altre località dell'Europa, si osservò che l'apertura delle piante in località diverse avveniva in momenti diversi. Per esempio, ad Innsbruck i fiori si aprono una o due ore più tardi che non ad Upsala, e si chiudono da una a sei ore più presto. Ciò dipende evidentemente dal fatto che ad Upsala, situata a circa 13° di latitudine più a nord, il sole sorge circa un'ora e mezza prima durante l'epoca della fioritura delle piante prese in esame.

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Indice Premessa 4 Il globo andante 7 L’orologio solare di Glauco de Mottoni 13 Il tracciato della linea meridiana in un documento Di Silvestro II Papa 17 In ricordo di uno gnomonista: Giusto Bellavitis 27 Modo di fare con facilità grandissima gl’Orologi a sole nelli muri… 35 Un orologio universale indipendente dalla Meridiana 37 Storia degli orologi solari portatili e sulla successione cronologica degli orologi rettilinei 39 Il fascino degli orologi equinoziali 69 L’orologio del Re Achaz e il miracolo di Isaia 77 L’orologio solare ad ore Italiche e Babiloniche di Valentino Pini 91 L’orologio Meridiano 97 Curiosità gnomoniche dei Lumi: orologi portatili 101 Frammenti di orologi solari greco-romani negli scavi archeologici 117 L’orologio sullo Zoccolo di Oddi Muzio 135 L’orologio orizzontale italico per via di numeri 139 Ampliamento al libro Storia della Gnomonica 143 Orologi solari greco-romani 145 Il solarium di Palestrina 159 Sciatericum Telescopicum 175 L’orologio astronomico di Lorentz-Grassi 178 L’orologio solare floreale 181

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