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www.freelex.altervsita.org 1 1 MICROECONOMIA COS’è L’ECONOMIA L’economia è una scienza sociale che, pertanto, cerca di spiegare qualcosa sulla società. Si distanzia, ad esempio, dalla psicologia, sociologia ecc. per oggetto e metodo di studio. L’economia è lo studio della scelta in condizioni di scarsità: il nostro tenore di vita materiale è soggetto a limiti stringenti, pertanto tutti ci troviamo ad affrontare il problema della scarsità. Esistono due limitazioni fondamentali: 1. scarsità di tempo 2. scarsità della capacità di spesa. Data una maggiore quantità di entrambi, ciascuno di noi potrebbe avere una maggiore quantità dei beni e servizi che desidera. Ognuno di noi è costretto a fare delle scelte. Ogni volta che scegliamo di fare o comprare qualcosa, contemporaneamente scegliamo di non fare o non comprare qualcos’altro. Gli economisti studiano le scelte che compiamo in quanto individui, e le conseguenze di tali scelte. Analizzando il problema della scarsità dal punto di vista della società, il problema si pone in termini di scarsità di risorse, ossia ciò che utilizziamo per produrre beni e servizi che ci aiutano a perseguire i nostri scopi. Esistono 4 categorie di risorse: 1. lavoro : tempo impiegato per la produzione di beni e servizi. 2. capitale : insieme di beni durevoli utilizzati per produrre altri beni e servizi. Il capitale dovrebbe durare almeno un anno. Esistono due diverse categorie di capitale a. capitale fisico : costituito da macchinari, impianti, edifici ecc. b. capitale umano : costituito da abilità e conoscenze dei lavoratori. Lo stock di capitale è la quantità complessiva di capitale a disposizione di una nazione in qualsiasi momento; consta di tutto il capitale fisico e umano realizzato nei periodi precedenti e che risulta ancora utile in termini produttivi. 3. terra : spazio fisico in cui ha luogo la produzione, insieme alle risorse naturali che ne derivano. 4. capacità imprenditoriale : capacità di un individuo di combinare le altre risorse in un’impresa produttiva. Un imprenditore può essere a. innovatore : che partorisce un’idea originale b. risk taker : che si assume un rischio fornendo i propri fondi o il proprio tempo per un progetto. Qualsiasi cosa prodotta deriva da una combinazione di queste risorse. La scarsità di tali risorse porta alla scarsità di tutti i beni e servizi che vengono prodotti a partire da esse. La società, quindi, è soggetta a scarsità di risorse, pertanto deve compiere delle scelte sviluppando un metodo per allocare le sue scarse risorse, scegliendo quali dei molti desideri realizzare e quali no. Molti degli odierni dibattiti sono centrati sui diversi modi in cui le risorse possono essere allocate. Spesso si tratta di decidere se il settore privato sia in grado di provvedere da solo a tale allocazione, o se invece debba essere coinvolto anche lo Stato. Input : dalle risorse vanno distinti gli input, ossia una qualsiasi cosa utilizzata per produrre un bene o un servizio. Le risorse sono input particolari che appartengono ad una delle quattro categorie. Esse sono la fonte ultima di tutto ciò che viene prodotto. Ciascun altro input può essere ricondotto alle risorse utilizzate per produrlo. La scarsità e le scelte che essa ci costringe a fare stanno all’origine di tutti i problemi che studia l’economia. Il campo d’interesse dell’economia è molto ampio e si divide in due parti principali: 1. microeconomia: studia il comportamento dei singoli soggetti sulla scena economica; considera le scelte compiute da questi soggetti e il modo in cui essi interagiscono fra loto quando s’incontrano per scambiare beni e servizi specifici. Analizza le singole parti dell’economia piuttosto che il suo complesso. 2. macroeconomia: da una visione d’insieme del sistema economico e guarda alla produzione totale dell’economia. Si concentra sul quadro d’insieme trascurando i dettagli. Altra distinzione è fra Economia positiva: si occupa di come funziona l’economia. Si tratta di affermazioni che, a prescindere dalla loro veridicità, riguardano il funzionamento di un sistema economico, e la loro precisione può essere verificata attraverso l’analisi dei dati empirici.

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MICROECONOMIA COS’è L’ECONOMIA L’economia è una scienza sociale che, pertanto, cerca di spiegare qualcosa sulla società. Si distanzia, ad esempio, dalla psicologia, sociologia ecc. per oggetto e metodo di studio. L’economia è lo studio della scelta in condizioni di scarsità: il nostro tenore di vita materiale è soggetto a limiti stringenti, pertanto tutti ci troviamo ad affrontare il problema della scarsità. Esistono due limitazioni fondamentali:

1. scarsità di tempo 2. scarsità della capacità di spesa.

Data una maggiore quantità di entrambi, ciascuno di noi potrebbe avere una maggiore quantità dei beni e servizi che desidera. Ognuno di noi è costretto a fare delle scelte. Ogni volta che scegliamo di fare o comprare qualcosa, contemporaneamente scegliamo di non fare o non comprare qualcos’altro. Gli economisti studiano le scelte che compiamo in quanto individui, e le conseguenze di tali scelte. Analizzando il problema della scarsità dal punto di vista della società, il problema si pone in termini di scarsità di risorse, ossia ciò che utilizziamo per produrre beni e servizi che ci aiutano a perseguire i nostri scopi. Esistono 4 categorie di risorse:

1. lavoro: tempo impiegato per la produzione di beni e servizi. 2. capitale: insieme di beni durevoli utilizzati per produrre altri beni e servizi. Il capitale dovrebbe durare

almeno un anno. Esistono due diverse categorie di capitale a. capitale fisico: costituito da macchinari, impianti, edifici ecc. b. capitale umano: costituito da abilità e conoscenze dei lavoratori.

Lo stock di capitale è la quantità complessiva di capitale a disposizione di una nazione in qualsiasi momento; consta di tutto il capitale fisico e umano realizzato nei periodi precedenti e che risulta ancora utile in termini produttivi.

3. terra: spazio fisico in cui ha luogo la produzione, insieme alle risorse naturali che ne derivano. 4. capacità imprenditoriale: capacità di un individuo di combinare le altre risorse in un’impresa

produttiva. Un imprenditore può essere a. innovatore: che partorisce un’idea originale b. risk taker: che si assume un rischio fornendo i propri fondi o il proprio tempo per un progetto.

Qualsiasi cosa prodotta deriva da una combinazione di queste risorse. La scarsità di tali risorse porta alla scarsità di tutti i beni e servizi che vengono prodotti a partire da esse. La società, quindi, è soggetta a scarsità di risorse, pertanto deve compiere delle scelte sviluppando un metodo per allocare le sue scarse risorse, scegliendo quali dei molti desideri realizzare e quali no. Molti degli odierni dibattiti sono centrati sui diversi modi in cui le risorse possono essere allocate. Spesso si tratta di decidere se il settore privato sia in grado di provvedere da solo a tale allocazione, o se invece debba essere coinvolto anche lo Stato. Input: dalle risorse vanno distinti gli input, ossia una qualsiasi cosa utilizzata per produrre un bene o un servizio. Le risorse sono input particolari che appartengono ad una delle quattro categorie. Esse sono la fonte ultima di tutto ciò che viene prodotto. Ciascun altro input può essere ricondotto alle risorse utilizzate per produrlo. La scarsità e le scelte che essa ci costringe a fare stanno all’origine di tutti i problemi che studia l’economia. Il campo d’interesse dell’economia è molto ampio e si divide in due parti principali:

1. microeconomia: studia il comportamento dei singoli soggetti sulla scena economica; considera le scelte compiute da questi soggetti e il modo in cui essi interagiscono fra loto quando s’incontrano per scambiare beni e servizi specifici. Analizza le singole parti dell’economia piuttosto che il suo complesso.

2. macroeconomia: da una visione d’insieme del sistema economico e guarda alla produzione totale dell’economia. Si concentra sul quadro d’insieme trascurando i dettagli.

Altra distinzione è fra

• Economia positiva: si occupa di come funziona l’economia. Si tratta di affermazioni che, a prescindere dalla loro veridicità, riguardano il funzionamento di un sistema economico, e la loro precisione può essere verificata attraverso l’analisi dei dati empirici.

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• Economia normativa: si occupa di “ciò che dovrebbe essere”. La si utilizza per esprimere giudizi sull’economia, identificare i problemi e indicarne le soluzioni. Dipende dai giudizi di valore che si formulano. Un’affermazione di carattere normativo non può essere comprovata o confutata dai soli dati empirici.

Le due discipline sono correlate: l’analisi normativa si basa su quella positiva. La divergenza d’opinione può essere di natura positiva, ma è più probabile che il disaccordo sia di natura normativa poiché gli economisti hanno tutti valori diversi. L’economia si studia per comprendere meglio molti elementi di rilevanza mondiale ma anche molto vicende di carattere locale e personale. Ovviamente ha i suoi limiti ma è difficile trovare una aspetto della vita sul quale essa non abbia qualcosa di importante da dire. Altro motivo può essere il tentativo di migliorare il mondo: l’economia può aiutarci a comprendere l’origine di alcuni problemi, i motivi del fallimento dei tentativi che sono stati fatti per cercare di risolverli e ci consente di elaborare soluzioni nuove e più efficaci. I professionisti, spesso, devono affrontare questioni economiche. In particolar modo gli economisti vengono assunti dalle banche per valutare il rischio di investimenti all’estero, dalle imprese manifatturiere per aiutarle a progettare nuovi metodi per produrre, commercializzare e fissare il prezzo, e ancora dagli organi governativi per aiutarli ad elaborare le politiche, dalle organizzazioni internazionali per collaborare alla creazione di programmi d’aiuto ai Paesi meno sviluppati, dai mass media per aiutare il pubblico ad interpretare gli eventi mondiali, nazionali e locali e dalle organizzazioni per fornire consulenze. La disciplina economica vuole che ogni teoria venga rappresentata da un modello esplicito ed elaborato. Un modello è una rappresentazione astratta della realtà. Non deve essere esattamente uguale alla realtà ma deve rappresentare il mondo reale astraendo da esso ciò che ci aiuta a comprenderlo. Per realizzare il suo scopo un modello dovrebbe essere il più semplice possibile e presentare solamente i dettagli necessari. Il livello di dettaglio adatto ad un obiettivo è di solito eccessivo o insufficiente per un altro obiettivo. I modelli devono aiutare a comprendere alcuni principi semplici ma importanti che riguardano il funzionamento dell’economia. Ogni modello economico parte da ipotesi sul modo in cui i soggetti economici agiscono. Esistono due tipi di ipotesi:

1. ipotesi semplificatrice: è un modo per rendere un modello più semplice senza influire sulle sue conclusioni fondamentali. Il suo scopo è quello di eliminare da un modello i dettagli superflui per evidenziare più chiaramente le sue caratteristiche essenziali.

2. ipotesi critica: influisce in modo significativo sulle conclusioni di un modello. Gli economisti procedono alla comprensione del sistema economico, in due fasi. Innanzitutto dividono gli agenti economici in 4 gruppi:

1. famiglie 2. imprese 3. organismi governativi 4. resto del mondo.

Nei modelli microeconomici l’attenzione è focalizzata sul comportamento delle singole famigli, imprese ed organismi governativi, e sul modo in cui essi interagiscono fra loro. Nei modelli macroeconomici questi agenti vengono raggruppati in settori e si studia come i vari settori interagiscono fra loro. La fase successiva consiste nel formulare due ipotesi critiche riguardo gli agenti economici. Prima ipotesi: riguarda cosa i singoli agenti economici cercano di realizzare. Ogni attore economico cerca di ottenere il massimo da ogni situazione, ossia cerca di massimizzare qualcosa. Tutti gli economisti concordano sul fatto che ogni modello economico debba partire dall’ipotesi che qualcuno massimizzi qualcosa. Anche il comportamento dei gruppi deriva dal comportamento di singoli individui che massimizzano. In realtà solo di rado prendiamo delle decisioni consciamente e freddamente calcolate, ma gli economisti ipotizzano che ciò avvenga sempre. Gli economisti sono inoltre molto interessati ai casi in cui si prendono in considerazione gli interessi altrui. Sono stati, ad esempio, elaborati degli utili modelli economici per analizzare gli atti di beneficenza da parte di individui e imprese.

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Seconda ipotesi: si tratta di una semplice constatazione sulla vita che afferma che ogni agente economico è soggetto a delle limitazioni. La scarsità delle risorse di una società ci limita in quanto individui. Le due ipotesi insieme contribuiscono a definire l’approccio che assumono gli economisti per rispondere alle domande sulla realtà che ci circonda, ossia

1. Quali sono i singoli agenti economici? 2. Che cosa massimizzano? 3. A quali vincoli sono soggetti?

Gli economisti esprimono le loro idee utilizzando concetti matematici ed una terminologia specifica. Tali strumenti consentono di esprimersi con una precisione che sarebbe impossibile con la sola lingua comune. Esistono dei principi fondamentali dell’economia, ossia dei concetti che vengono continuamente utilizzati nell’analisi dei problemi economici; essi costituiscono le fondamenta su cui poggia la teoria economica. Si tratta di otto principi fondamentali:

• 1° principio: la massimizzazione soggetta a vincoli . L’approccio economico per la comprensione di un problema consiste nell’identificare gli agenti economici e determinare poi che cosa essi massimizzino e a quali vincoli siano soggetti.

• 2° principio: il costo opportunità Tutte le decisioni economiche prese dagli individui o dalla società nel suo complesso hanno un costo. La corretta misura del costo di una scelta è il suo costo opportunità, ossia ciò a cui si rinuncia quando si opera tale scelta.

• 3° principio: la specializzazione e lo scambio La specializzazione e lo scambio ci consentono di ottenere una produzione maggiore e un tenore di vita più elevato di quanto non sia altrimenti possibile. Di conseguenza, tutti i sistemi economici presentano un alto livello di specializzazione e di scambio.

• 4° principio: i mercati e l’equilibrio Per comprendere il funzionamento dell’economia gli economisti suddividono il mondo in singoli mercati ed analizzano poi l’equilibrio in ciascuno di essi.

• 5° principio: i “trade-off” in politica economica La politica economica è limitata dalle reazioni degli agenti economici privati; di conseguenza i responsabili della politica economica si trovano di fronte a dei “trade-off”: per raggiungere un obiettivo occorre spesso sacrificarne degli altri.

• 6° principio: decisioni al margine Per capire e prevedere il comportamento dei singoli agenti economici focalizziamo l’attenzione sugli effetti aggiuntivi o marginali delle loro azioni.

• 7° principio: i risultati nel breve e nel lungo per iodo Il comportamento dei mercati varia a seconda che si consideri un periodo breve o uno lungo: per risolvere un problema dobbiamo sempre sapere che tipo di periodo stiamo analizzando.

• 8° principio: l’importanza del valore reale Poiché il nostro benessere economico dipende, in parte, dai beni e servizi che possiamo acquistare, è importante convertire il loro valore nominale (misurato in euro correnti) in valore reale (misurato in potere d’acquisto).

L’economia si basa fondamentalmente sulla logica comune e il comune buon senso.

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SCARSITA’, SCELTA E SISTEMI ECONOMICI Il costo totale di qualsiasi scelta ce compiamo, è tutto ciò a cui dobbiamo rinunciare quando intraprendiamo quell’azione: si parla di costo opportunità dell’azione perché rinunciamo all’opportunità di avere qualcos’altro che apprezziamo. Il costo opportunità di una scelta è ciò a cui rinunciamo compiendo quella scelta. Ogni azione che compiamo consuma una quantità limitata di tempo, di denaro o di entrambi. Il costo opportunità comprende tutto ciò che sacrifichiamo quando effettuiamo quella scelta. Il costo opportunità di una scelta è costituito dalla migliore di tutte le possibili alternative a tale scelta. Il costo opportunità è composto da:

• costo esplicito: il denaro cui si rinuncia effettuando un pagamento quando si compie una scelta • costo implicito: il valore di ciò che si sacrifica senza effettuare pagamenti in denaro.

L’espressione “il tempo è denaro” sta ad indicare che il sacrificio del tempo spesso equivale ad un sacrificio di denaro, e in particolare il denaro che si sarebbe potuto guadagnare nel tempo in questione. Pertanto è chiaro che il costo esplicito di una scelta può costituire anche solo una parte del costo opportunità di tale scelta. In effetti, maggiore è il reddito di una persona, meno importante è il costo monetario diretto di un’attività e più importante è il costo opportunità in termini di tempo. Es. Paola è una giornalista che guadagna 20€ l’ora, e decide di andare a vedere un film al cinema. Il biglietto per il film costa 8€ e l’attività richiederà 3 ore della sua serata. Per lei il costo opportunità di andare al cinema corrisponde a 20x3+8 = 68 €. Valentina, invece, è un avvocato che fattura 100 euro l’ora. Per lei il costo opportunità di andare al cinema corrisponde a 100x3+8 = 308€. Quando prendiamo in considerazione la società nel suo complesso, il costo opportunità ha un’origine diversa: la scarsità di risorse della società. Tutti i tipi di produzione hanno un costo opportunità: per produrre qualcosa in maggior quantità, la società deve sottrarre risorse alla produzione di qualcos’altro. Per produrre questi beni e servizi dovremmo sottrarre risorse alla produzione di altri beni e servizi. A questo argomento è collegato il secondo principio fondamentale dell’economia. Se misuriamo la produzione di assistenza sanitaria in numero di vite salvate e indichiamo questa variabile sull’asse orizzontale di un grafico, mentre rappresentiamo sull’asse verticale la quantità degli “altri beni”. La curva che si traccia (Fig. 1 pag. 34) è la cosiddetta PPF: frontiera delle possibilità di produzione ed indica le diverse combinazioni di beni che si possono produrre con le risorse e la tecnologia disponibili. La PPF indica la quantità massima di tutti gli “altri beni” che possono essere prodotti per ogni determinato numero di vite salvate o la quantità massima di vite salvate per ogni determinato ammontare di altri beni. I punti oltre la frontiera sono irraggiungibili. Il punto A rappresenta la scelta della società di impiegare tutte le risorse disponibili solo per la produzione di tutti gli altri beni rinunciando ad ogni opportunità di salvare vite. Il punto F rappresenta l’estremo opposto. Una scelta realistica includerebbe un mix di assistenza sanitaria e di altri beni. Spostandoci da sinistra verso destra, su immaginari punti della PPF, aumenta il numero di vite salvate ma la conseguenza sarebbe una riduzione degli altri beni. Secondo la legge del costo opportunità crescente, maggiori quantità produciamo di un determinato bene, maggiore è il costo opportunità di produrne ancora di più. Tale legge conferisce alla PPF una forma concava, poiché la curva diventa sempre più ripida mano a mano che si scende verso destra. La pendenza di una curva è il rapporto fa la variazione lungo l’asse verticale e quella lungo l’asse orizzontale. Va aggiunto che la maggior parte delle risorse, per loto natura, sono più adatte ad alcuni scopi piuttosto che ad altri. Maggiori quantità produciamo di un determinato bene, maggiore è il costo opportunità di produrne unità aggiuntive. L’economista vincitore del Premio Nobel, Milton Friedman affermava che “Non esistono pasti gratuiti”, riassumendo un concetto più complesso: anche se si offre un pasto ad una persona senza chiedere alcun prezzo, la società deve comunque utilizzare delle risorse per produrlo; pertanto un “pasto gratuito” non è mai veramente tale. Esistono però delle situazioni che, a prima vista, sembrano violare il principio di Friedman.

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Cosa succede se un’economia non realizza il suo potenziale produttivo, operando all’interno della sua PPF? Tali situazioni si verificano in alcuni casi:

• quando vengono sprecate le risorse della società: un’impresa, un settore o un intero sistema economico sono caratterizzati da inefficienza produttiva nel caso in cui potrebbero produrre quantità maggiori di almeno un bene, senza sottrarre risorse alla produzione di alcun altro bene. L’espressione efficienza produttiva indica l’assenza di qualsiasi inefficienza produttiva. Affinché un intero sistema economico sia efficiente dal punto di vista produttivo deve essere assolutamente impossibile produrre quantità maggiori di qualche bene se non sottraendo risorse alla produzione di qualche altro bene. I casi di inefficienza conclamata non sono molto comuni in quanto le imprese sono fortemente incentivate a individuare ed eliminare l’inefficienza produttiva.

• quando ci si trovi in recessione: si ha un rallentamento dell’attività economica complessiva. Molte risorse sono inattive, vi è disoccupazione diffusa, molti stabilimenti sono chiusi e non si utilizza nemmeno tutto il capitale o la terra disponibili. La fine di una recessione comporta lo spostamento del sistema economico da un punto all’interno della sua PPF, ad un punto su di essa.

Se il sistema economico sta già operando sulla sua PPF, non si può sfruttare la possibilità di ottenere quantità maggiori di tutto spostandoci verso la curva. I fattori che contribuiscono alla crescita economica sono svariati ma possono essere suddivisi in due categorie:

• è possibile che si verifichino incrementi della quantità di risorse disponibili. Un aumento del capitale fisico consente al sistema economico di produrre quantità maggiori di tutto ciò che si realizza con tale capitale. Lo stessa ragionamento vale per l’aumento del capitale umano.

• l’innovazione tecnologica consente di produrre quantità maggiori a partire da una data quantità di risorse.

Queste due cause spesso viaggiano di pari passo e producono lo stesso effetto sulla PPF. Es. il tomografo è un apparecchio che consente ai medici di visionare rapidamente tutti gli organi del corpo, diagnosticando tumori, anomalie cerebrali e altri potenziali problemi. Qual è l’impatto prodotto sulla PPF? Analizziamo il punto F (Fig. 3 Pag. 41) dove ipotizziamo che tutte le nostre risorse siano dedicate all’assistenza sanitaria. La tomografia ci consentirebbe di salvare ancora più vite spostando l’intercetta orizzontale della PPF verso destra, da F a F’. Consideriamo invece il punto A dove ipotizziamo che non venga dedicata alcuna risorsa al sistema sanitario. Poiché i tomografi non hanno altro uso produttivo oltre quello sanitario, la loro diffusione non cambierebbe l’intercetta verticale A. Pertanto i tomografi spostano la PPF verso l’esterno lungo l’asse orizzontale. La nostra società può quindi scegliere qualsiasi punto lungo la nuova PPF. Ma la società potrebbe scegliere di utilizzare anche solo in parte il maggior potenziale san ittrio per dedicare le restanti risorse di questo settore alla produzione degli altri beni. Un’innovazione tecnologica o un incremento dello stock di capitale, anche quando l’impatto diretto è un incremento della produzione di un unico tipo di bene, consente di scegliere di produrre quantità maggiori di tutti i tipi di beni. Tale affermazione sembra affermare l’esistenza di pasti gratuiti. Per produrre quantità maggiori di beni e servizi nel futuro è necessario sottrarre risorse alla produzione di beni e servizi che ci piacerebbe avere nel presente per dirottarle verso la ricerca e sviluppo e la produzione di capitale. Ognuno produce beni e servizi per altre persone. Il sistema economico è il modo in cui è organizzata la nostra economia. Nessuna società presenta un grado di autosufficienza tanto estremo. Ogni sistema economico è caratterizzato da due aspetti:

1. la specializzazione per cui ognuno di noi si concentra su un numero limitato di attività produttive 2. lo scambio per cui otteniamo la maggior parte di ciò che desideriamo commerciando con gli altri

piuttosto che producendo da soli. A tale tema si riferisce il terzo principio fondamentale dell’economia. Ci sono tre ragioni per cui specializzazione e scambio ci consentono di usufruire di una maggior produzione:

1. ha a che fare con le capacità umane: in una vita possiamo imparare solo una limitata quantità di cose.

2. si spiega pensando al tempo necessario per passare da un’attività all’altra. Adam Smith fu il primo a delineare i vantaggi derivanti dalla specializzazione, nel suo libro Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, del 1776. Egli affermava che la produzione tutela aumenta se i lavoratori si specializzano.

3. si basa sulle differenze individuali: nel mondo reale non tutti i lavoratori, appezzamenti di terreno ecc. sono ugualmente portati per tutti i tipi di lavoro.

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Ipotizziamo che vi sia un naufragio a cui sopravvivano solo P e F che vengono portati dalla corrente su due rive opposte di un’isola deserta. Da un lato dell’isola F impiega mezz’ora per raccogliere un kg di bacche e un’ora per pescare un pesce. Dall’altro lato P impiega 2 ore per raccogliere un kg di bacche e 6 ore per pescare un pesce. Raccogliere 1 kg di bacche Pescare un pesce

F

½ ora

1 ora

P

2 ore

6 ore

Un individuo ha vantaggio assoluto nella produzione di un bene quando lo può produrre utilizzando meno risorse di un altro individuo. Il vantaggio assoluto non è un parametro affidabile nella distribuzione dei compiti ai diversi lavoratori. Principio corretto da utilizzare è quello del vantaggio comparato che si ha quando un individuo può produrre un bene con un minor costo opportunità rispetto ad un altro. Nell’esempio utilizzato possiamo calcolare i vantaggi comparati. F impiega un’ora di tempo per pescare un pesce, tempo in cui potrebbe raccogliere due kg di bacche, pertanto F: costo opportunità di un pesce = 2 kg di bacche P impiega invece sei ore, tempo in cui potrebbe raccogliere tre kg di bacche, quindi P: costo opportunità di un pesce = 3 kg di bacche. Il costo opportunità di un pesce è inferiore per F rispetto a P, quindi F ha un vantaggio comparato nella pesca. Per quanto riguarda la raccolta delle bacche F: costo opportunità di un kg di bacche = 1/2 pesce P: costo opportunità di un kg di bacche = 1/3 pesce. In questo caso è P a sostenere un costo opportunità inferiore quindi ha un vantaggio comparato nella raccolta delle bacche. Se i due decidono di specializzarsi in base al loro rispettivo vantaggio comparato: P catturerebbe 3 pesci in meno ogni settimana e gli resterebbero 18 ore libere in cui potrebbe raccogliere 9 kg in più di bacche. F invece catturerebbe 4 pesci in più a settimana, sottraendo 8 ore alla raccolta delle bacche e sacrificandone 8 kg. F riesce a compensare ampiamente la quantità di pesce che P non cattura più, e P compensa ampiamente la quantità di bacche che F non raccoglie più. La coppia produce un pesce in più e un kg di bacche in più senza alcuna ora aggiuntiva. La produzione totale di tutti i beni e servizi raggiunge il suo massimo livello se gli individui si specializzano in base al proprio vantaggio comparato. Questo è un altro motivo per cui la specializzazione e lo scambiano portano a livelli di vita più elevati rispetto all’autosufficienza. I benefici della specializzazione possono spiegare molti aspetti della nostra società. Ad esempio, gli studenti universitari devono specializzarsi e, una volta laureati, scegliere quale carriera perseguire; chi segue questa strada viene premiato con un reddito più elevato di chi “perde tempo”. Possono spiegare anche perché la maggior parte di noi finisce col lavorare in imprese che impiegano decide o migliaia di dipendenti: l’organizzazione della produzione in imprese potenzia i vantaggi della specializzazione in quanto all’interno di un’azienda ciascuno si specializza e il risultato è una produzione maggiore. La specializzazione ha consentito a molte società contemporanee di raggiungere livelli di vita elevati, ma può anche avere dei risvolti negativi. Lo stesso Adam Smith temeva che la specializzazione venisse portata all’estremo limitando la gamma degli interessi e delle abilità degli individui, con conseguenze negative sul carattere delle persone. Sebbene la specializzazione offra dei benefici materiali, i costi opportunità da sostenere potrebbero consistere nella perdita di altre cose per noi importanti. Il giusto grado di specializzazione può essere trovato solo soppesando vantaggi e costi. A partire dalla rivoluzione neolitica tutte le società hanno dovuto risolvere tre importanti questioni:

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1. Quali beni e servizi devono essere prodotti? 2. Come bisognerebbe produrli? 3. A chi si dovrebbero destinare?

Queste tre domande costituiscono il problema dell’allocazione delle risorse e il modo in cui una società decide di rispondervi, determinerà in parte il carattere del suo sistema economico. Per rispondere a queste domande le società possono utilizzare metodi diversi. La questione relativa al come produrre è la più complessa: deve esservi sempre un meccanismo per scegliere il metodo da utilizzare nella produzione dei beni e servizi fra l’infinita varietà di metodi disponibili. Per quanto riguarda la domanda per chi produrre, l’economia interagisce maggiormente con la politica e si tratta della questione più controversa nell’allocazione delle risorse. La società vuole sapere perché osserviamo determinati schemi di distribuzione e come dovremmo comportarci al riguardo. Esistono 3 sistemi principali di allocazione delle risorse:

• Economia tradizionale: le risorse vengono allocate osservando la consuetudine. Tali economie sono solitamente stabili e prevedibili ma generalmente non si sviluppano perché ognuno è immobilizzato nella struttura tradizionale di produzione, pertanto risultano tendenzialmente stagnanti.

• Economia pianificata: le risorse vengono allocate secondo esplicite istruzioni impartite da un’autorità superiore. In questo tipo di economie, un organismo governativo pianifica il metodo di allocazione delle risorse. Gli unici esempi rimasti sono Cuba e la Corea del Nord.

• Economia di mercato: le persone sono ampiamente libere di utilizzare come meglio preferiscono le risorse a loro disposizione, che vengono quindi allocate sulla base del processo decisionale individuale. La libertà di scelta è tuttavia limitata dalle risorse di cui si dispone; non tutti partiamo dalla stessa posizione nella corsa economica ed in un sistema di mercato chi dispone di più risorse avrà più scelta rispetto agli altri. Ci sono anche limitazioni alla libertà di scelta; alcune restrizioni sono imposte dallo Stato per assicurare alla società ordine, giustizia e produttività.

Ma se ognuno agisce secondo i propri desideri, perché non si crea il caos? La risposta è nelle definizioni di:

• Mercato: insieme degli acquirenti e dei venditori che possono commerciare tra di loro. In alcuni casi il mercato è globale (es. mercato del petrolio), in altri è locale. I mercati svolgono un ruolo fondamentale nell’allocazione delle risorse, costringendo i singoli soggetti a considerare le loro decisioni di acquisto e di vendita grazie ad un’importante caratteristica, il prezzo al quale il bene è acquistato e venduto.

• Prezzo: quantità di moneta che un acquirente deve pagare a un venditore per un bene o un servizio. Il prezzo non equivale al costo di un bene, ma è parte del suo costo opportunità. Per i grandi acquisti il prezzo è la parte più significativa del posto opportunità.

Quando le risorse vengono allocate dal mercato e gli individui devono pagare i propri acquisti, essi sono costretti a considerare il costo opportunità che la società deve sostenere per le loro azioni. In questo modo i mercati sono in grado di portare a un’allocazione intelligente delle risorse.

Es: Ogni giorno negli USA vengono prodotti e venduti milioni di beni diversi nei mercati. Non c’è bisogno di direttive dall’alto per far funzionare i mercati. Ma anche negli USA troviamo diversi casi di allocazione delle risorse esterni al mercato. Le famiglie, ad esempio, prendono molte decisioni economiche nel loro piccolo, ed assomigliano più a villaggi tradizionali che ad economie di mercato. Si trovano però nell’economia statunitense anche esempi di pianificazione: le amministrazioni pubbliche ai vari livelli incassano circa un terzo dei redditi sotto forma di imposta e sono loro a spendere il gettito fiscale. In questo modo lo Stato svolge un ruolo fondamentale nell’allocazione delle risorse, determinando quali beni produrre e a chi destinarli. Ci sono poi altri modi, quali regolamentazioni volte alla salvaguardia ambientale, alla sicurezza sul lavoro ecc.

Il mercato, sebbene non in forma pura, è il metodo dominante di allocazione delle risorse negli USA. Il proprietario di una risorsa decide come essa possa essere usata e riceve un reddito quando altri la usano. Nella storia dell’uomo troviamo 3 modalità di proprietà delle risorse:

1. Comunismo: le risorse appartengono a tutti e sono a disposizione di chi ne voglia usufruire. Secondo Karl Marx alla fine tutte le economie si sarebbero evolute verso un sistema di proprietà collettiva. Tale sistema può però funzionare solo se gli individui non entrano in conflitto a causa del modo in cui queste risorse vengono impiegate. Presupposto necessario per l’avvento del comunismo è la fine della scarsità, mentre ritroviamo esempi di proprietà collettiva su piccola scala.

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2. Socialismo: è lo Stato a possedere la maggior parte delle risorse. Esempio tipico era l’ex Unione Sovietica. Negli USA i parchi nazionali, reti autostradali, basi militari, università ed edifici del governo, sono tutte risorse di proprietà dello Stato.

3. Capitalismo: la maggior parte delle risorse sono di proprietà privata. Le società vendono una risorsa che possiedono, il loro lavoro, alla società e ricevono in cambio un reddito in forma di salari e stipendi. Gli USA sono uno dei paesi più vicini al modello teorico di capitalismo. I proprietari delle risorse tengono per sé la maggior parte del reddito ottenuto impiegando le proprie risorse e hanno ampia libertà di scelta riguardo il modo in cui queste possono essere utilizzate.

Un sistema economico è costituito da due fattori:

- meccanismo di allocazione delle risorse - modalità di proprietà delle risorse.

Esistono 4 tipi principali di sistemi economici: 1. capitalismo di mercato: le risorse vengono allocate principalmente dal mercato e possedute

principalmente dai privati. Oggi la maggior parte delle nazioni adotta questo sistema 2. socialismo a pianificazione centrale: le risorse vengono per lo più allocate tramite direttive dall’alto e

appartengono per lo più allo Stato. Esempi sono stati l’ex Unione Sovietica e l’Europa dell’Est, le cui economie si sono però profondamente trasformate cambiando sia il sistema di allocazione che la modalità di proprietà delle risorse

3. capitalismo a pianificazione centrale: le risorse appartengono ai privati ma vengono allocate direttamente dall’alto. Si muovono in questa direzione le nazione in periodo di guerra

4. socialismo di mercato: le risorse appartengono allo Stato ma sono allocate dal meccanismo di mercato. Tale sistema ha affascinato molti studiosi che ritenevano fosse il migliore; tuttavia nel mescolare i due sistemi si incontrano grossi problemi. Esempi sono l’ex Jugoslavia e l’Ungheria negli anni ’50 e ’60.

Lo studio delle economie contemporanee è ora più che mai lo studio del capitalismo di mercato. Il mercato è nello stesso tempo il più semplice e il più complesso sistema di allocazione delle risorse. Dal punto di vista dei singoli acquirenti e venditori, è semplice, perché non ci sono tradizioni o istruzioni da memorizzare; ognuno di noi partecipa al mercato che desidera e risponde ai prezzi come desidera, senza preoccuparsi del processo generale di allocazione delle risorse. Dal punto di vista dell’economista il mercato è piuttosto complesso. Le risorse vengono allocate indirettamente come effetto secondario delle scelte degli individui. Spesso è necessario un vero e proprio lavoro investigativo in ambito economico per capire come gli individui si comportano e come le risorse vengono conseguentemente allocate. Stiamo salvando vite in modo efficiente? Se si verificano sprechi di risorse significa che stiamo operando all’interno della PPF anziché su di essa. Alcune di queste risorse potrebbero essere utilizzate per salvare un numero maggiore di vite e altre per produrre una quantità maggiore di beni. Anche l’assistenza sanitaria salva – vita potrebbe essere caratterizzata da una inefficienza produttiva. Alcuni economisti sostengono che gli USA stanno sprecando notevoli quantità di risorse negli sforzi di salvare vite. Salvare una vita richiede l’utilizzo di risorse e, poiché in un’economia di mercato le risorse hanno un prezzo, possiamo utilizzare il costo monetario di un metodo salva-vita per misurare il valore delle risorse impiegate con quel metodo. Possiamo inoltre confrontare i “costi per anno di vita salvato” di diversi metodi. Tale costo varia notevolmente. Alcuni metodi salva-vita sono inefficienti in termini di costi, mentre altri presentano qualche grave inefficienza produttiva. La mancata diffusione dei metodi a costo inferiore, costituisce un’inefficienza produttiva. Tuttavia l’allocazione delle risorse salva-vita è molto complessa e i benefici degli sforzi non sono completamente catturati dagli “anni di vita salvati”. Altra difficoltà è rappresentata dall’incertezza. Che mina le decisioni di allocazione delle risorse. Il tentativo di misurare e migliorare l’efficienza produttiva delle azioni salva-vita (mai stata scienza esatta) sta diventando sempre meno preciso nell’era che ha preso avvio con l’11 settembre.

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LA DOMANDA E L’OFFERTA Molti considerano l’espressione “domanda e offerta” come un sinonimo di economia. Si tratta di un modello economico ideato per spiegare come vengono determinati i prezzi in un sistema di mercato. Tale modello ha assunto ruolo preminente perché i prezzi stessi hanno una parte molto importante dell’economia. In un sistema di mercato, una volta che il prezzo di un bene è stato fissato, solo coloro disposti a pagare quel prezzo otterranno il bene in questione. Pertanto i prezzi determinano quali famiglie avranno quali beni e servizi e quali imprese avranno quali risorse Mercato: nella lingua comune è un luogo fisico dove ha luogo la compravendita. In linguaggio economico è l’insieme di tutti coloro che commerciano (acquirenti e venditori). L’insieme di singoli mercati è definito sistema economico e al suo interno acquirenti e venditori variano a seconda di ciò che viene scambiato.

Possiamo definire il mercato in modi diversi a seconda dello scopo che perseguiamo. Il processo di raggruppare elementi diversi in un unico insieme, prende il nome di aggregazione. I mercati sono definiti anche in base alle loro dimensioni geografiche. L’ampiezza dei mercati è una delle differenze principali fra macroeconomia e microeconomia. In macroeconomia i beni e i servizi sono aggregati ai massimi livelli; viene analizzato il mercato dei beni capitali. In microeconomia i mercati sono definiti in termini più ristretti, sebbene anche la microeconomia comporti un certo grado di aggregazione.

Sono venditori e acquirenti le imprese, le famiglie e gli organi governativi. Per comodità consideriamo nei mercati dei beni di consumo le imprese come unici venditori e le famiglie come unici acquirenti, e trascuriamo gli “intermediari”. In molti casi acquirenti e venditori esercitano un’influenza importante sul prezzo. Nei mercati in condizioni di concorrenza imperfetta i singoli acquirenti o venditori possono influenzare il prezzo del prodotto, mentre in un mercato perfettamente concorrenziale ogni acquirente e venditore considera il prezzo di mercato come dato. Nei mercati perfettamente concorrenziali esiste un numero elevato di acquirenti e venditori, ciascuno dei quali rappresenta una piccola parte del mercato, e il prodotto è standardizzato. Nei mercati in condizioni di concorrenza imperfetta è presente solo un piccolo numero di acquirenti o venditori molto meno potenti, oppure il prodotto di ogni venditore ha delle caratteristiche in qualche modo uniche. Il modello della domanda e dell’offerta è molto versatile in quanto può essere applicato a beni definiti ampi o ristretti. Le famiglie, imprese e organi governativi possono comparire in qualsiasi combinazione. L’utilizzo di tale modello è però soggetto a un vincolo importante: sottostà all’ipotesi implicita che il mercato sia perfettamente concorrenziale. I mercati perfettamente concorrenziali non sono molto diffusi nel mondo reale ma molti mercati operano in condizioni prossime alla concorrenza perfetta, tanto che possiamo analizzarli come se fossero perfettamente concorrenziali Per definire se un mercato sia perfettamente concorrenziale o meno, la discriminante è il quesito che stiamo analizzando. La concorrenza perfetta è quindi una caratteristica che si presenta in gradi. Sebbene siano pochissimi i mercati in cui i venditori e gli acquirenti considerano il prezzo come dato, in molti mercati viene presa come data una gamma ristretta di prezzi. La domanda: si potrebbe essere tentati di considerare la domanda semplicemente come un fenomeno psicologico o un desiderio. Tuttavia, oltre che ai desideri, si è anche soggetti a dei vincoli. Innanzitutto i beni devono essere pagati e nella maggior parte dei casi non si può avere alcuna influenza sul prezzo (si deve semplicemente pagare o rinunciare), inoltre i fondi a cui si attinge sono limitati, pertanto ogni decisione di acquisto di un bene corrisponde a una decisione di rinuncia a un altro bene. I desideri insieme ai vincoli reali a cui si è soggetti, determinano ciò che si sceglie di acquistare in un mercato. La quantità domandata di un bene da parte di una famiglia, è la quantità specifica che tale famiglia sceglierebbe di comprare in un dato periodo di tempo considerati (1) un dato prezzo da pagare (2) tutti gli altri vincoli cui la famiglia è soggetta. La quantità domandata di mercato è la quantità specifica di un bene che tutti gli acquirenti del mercato sceglierebbero di acquistare in un dato periodo di tempo considerati (1) un dato prezzo da pagare (2) tutti gli altri vincoli.

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La “quantità domandata” indica la quantità che le famiglie desidererebbero acquistare una volta preso in considerazione il costo opportunità della loro decisione. Esistono delle situazioni in cui le famiglie non riescono ad acquistare tutto ciò che sceglierebbero di comprare. Pertanto tale quantità è ipotetica. Legge della domanda: Il prezzo del bene è uno dei tanti fattori che influenzano la domanda. Quando il prezzo aumenta, a parità di altre condizioni, la quantità domandata diminuisce, quando il prezzo diminuisce, a parità di altre condizioni, la quantità domandata aumenta. Questa relazione si riscontra nei mercati con tale regolarità, che gli economisti la definiscono “legge”. L’inciso “a parità di condizioni” è molto importante. La legge della domanda ci dice, infatti, cosa accadrebbe se tutti gli altri fattori che influenzano le scelte dell’acquirente rimanessero invariati e solo l’elemento “prezzo del bene” variasse. Nel mondo reale, però, variano contemporaneamente molti fattori ma, per capire un sistema economico, dobbiamo comprendere l’effetto di ogni fattore preso singolarmente. Scheda di domanda: elenco delle differenti quantità domandate in corrispondenza di prezzi diversi, mantenendo costanti tutti gli altri fattori che influiscono sulle decisioni di domanda. Nella figura 1 pag. 72 ogni combinazione prezzo – quantità della Tabella 1 è rappresentato da un punto. Unendo tutti i punti con una linea otteniamo la curva di domanda, che indica la relazione tra il pezzo di un bene e la quantità domandata, mantenendo costanti gli altri fattori che influenzano la domanda. Ogni punto della curva indica la quantità che gli acquirenti sceglierebbero di acquistare a un determinato prezzo. I mercati, però, sono influenzati da un gran numero di fattori: alcuni causano un spostamento lungo la curva di domanda, altri provocano un spostamento dell’intera curva di domanda. Fattori che provocano spostamento lungo la curva:

• Prezzo: una diminuzione del prezzo porterebbe a un movimento lungo la curva di domanda verso destra, mentre un aumento del prezzo porterebbe a un movimento verso sinistra.

Fattori che provocano spostamento della curva: • Reddito: un incremento del reddito produce lo stesso effetto sulla domanda della maggior parte dei

beni (“beni normali”). Per alcuni beni (“beni inferiori”) tale aumento causerebbe una diminuzione della domanda.

• Ricchezza: è il valore complessivo di tutto ciò che si possiede in un dato momento, meno il valore monetario complessivo che si deve. Un incremento della ricchezza aumenterà la domanda di un bene normale e ridurrà la domanda di un bene inferiore.

• Beni collegati: un sostituto è un bene che può essere usato al posto di un altro e che risponde approssimativamente allo stesso scopo. Quando il prezzo di un sostituto sale, gli individui sceglieranno di comprare il bene originario in maggior quantità, se il prezzo scende si ha il risultato opposto. Un bene complementare, invece, è un bene che viene utilizzato insieme al bene che ci interessa. Un aumento del prezzo di un bene complementare provoca una diminuzione del consumo del bene in esame, spostando la curva di domanda verso sinistra.

• Popolazione: l’aumento demografico fa aumentare la domanda di un bene. • Aspettative: se gli acquirenti prevedono un aumento del prezzo di un bene, può essere che scelgano

di comprarne di più subito. In molti mercati le aspettative di un aumento futuro del prezzo spostano la curva di domanda corrente verso destra, mente le previsioni di una diminuzione del prezzo spostano la curva di domanda corrente verso sinistra.

• Gusti: gli economisti non cercano di spiegare l’origine dei gusti o i motivi dei loro cambiamenti, ma si occupano soprattutto delle conseguenze delle variazioni dei gusti, qualunque siano le cause. Se si verifica un mutamento dei gusti favorevole a un bene, la domanda aumenta e la curva di domanda si sposta verso destra; un mutamente sfavorevole, invece, provoca una diminuzione della domanda e uno spostamento della curva verso sinistra.

La domanda può anche essere influenzata da fattori diversi, ma il ragionamento da fare è lo stesso: se un fenomeno porta gli acquirenti a desiderare di acquistare maggiori o minori quantità di un bene a un dato prezzo, esso provoca uno spostamento della curva di domanda. ∆ quantità domandata ≠ ∆ domanda: la “quantità domandata” si riferisce a una determinata quantità che gli acquirenti desidererebbero comprare a un dato prezzo; si tratta di un numero rappresentato graficamente da un singolo punto su una curva di domanda. La “domanda” invece indica l’intera relazione esistente tra il prezzo e la quantità domandata, ed rappresentata graficamente dall’intera curva di domanda. Quando la variazione del prezzo di un bene provoca un movimento lungo la curva parliamo di variazione della quantità

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domandata, quando invece varia per un fattore diverso dal prezzo provocando uno spostamento dell’intera curva di domanda, parliamo di variazione della domanda. Reddito ≠ ricchezza: il reddito è la quantità di denaro guadagnata in un periodo di tempo mentre la ricchezza è la differenza fra il valore di ciò che si possiede e il valore di ciò che si deve in un determinato momento. La domanda non è influenzata dall’offerta in quanto una variazione dell’offerta modifica il prezzo di un bene provocando un movimento lungo la curva di domanda e non uno spostamento della curva stessa. L’offerta: alla parola “offerta” si associa generalmente l’idea della quantità disponibile di un dato bene. L’offerta, come la domanda, può variare e la quantità offerta di un bene dipenderà dalle scelte compiute da chi lo produce. La quantità offerta di un bene da parte di un’impresa è la quantità specifica che i dirigenti sceglierebbero di vendere in un dato periodo considerati (1) un determinato prezzo del bene (2) tutti gli altri vincoli cui l’impresa è soggetta. La quantità offerta di mercato è la quantità specifica di un bene che tutti i venditori del mercato sceglierebbero di vendere in un dato periodo di tempo considerati (1) un determinato prezzo (2) tutti gli altri vincoli cui le imprese sono soggette. La quantità offerta è la quantità che consente alle imprese di realizzare il maggior profitto possibile tenendo in considerazione i vincoli imposti dalla realtà. La quantità offerta da ogni impresa riflette pertanto le scelte operate dai dirigenti e la quantità offerta di mercato si ottiene sommando le scelte di tutti i venditori del mercato. Tuttavia la quantità offerta è ipotetica perché in alcuni casi le imprese non sono effettivamente in grado di vendere la quantità che desiderano al prezzo corrente. Il prezzo del bene è solo uno dei fattori che influisce sulla quantità offerta. Legge dell’offerta: prezzo e quantità offerta sono legati da una relazione positiva o diretta: quando il prezzo del bene aumenta, aumenta anche la quantità offerta. Scheda di offerta: elenco delle differenti quantità offerte in corrispondenza di prezzi diversi, a parità di altre condizioni. Curva di offerta di mercato: indica la relazione tra il prezzo di un bene e la quantità offerta, mantenendo costanti tutti gli altri fattori che influenzano l’offerta. Ogni punto della curva indica la quantità che i venditori sceglierebbero di vendere a un determinato prezzo. Ha un andamento crescente. Fattori che provocano spostamento lungo la curva:

• Prezzo: un aumento del prezzo porterebbe ad uno spostamento verso destra, una riduzione del prezzo porterebbe ad uno spostamento verso sinistra.

Fattori che provocano spostamento della curva: • Prezzo dei fattori produttivi: una diminuzione del prezzo di un fattore produttivo causa un aumento

dell’offerta, spostando la curva verso destra; un aumento del prezzo di un fattore produttivo provoca diminuzione dell’offerta spostando la curva verso sinistra.

• Prezzo dei beni collegati: molte imprese possono spostare con facilità la loro produzione tra diversi beni e servizi che richiedono pressoché gli stessi fattori produttivi. Questi altri beni sono detti beni alternativi. Se il prezzo di un bene alternativo aumenta, la curva di offerta di tale bene si sposta verso sinistra e viceversa.

• Tecnologia: si verifica un’innovazione tecnologica nella produzione ogni qualvolta un’impresa è in grado di realizzare un dato livello di produzione con un metodo nuovo e più economico rispetto al passato. Ogni progresso che consente un risparmio sui costi aumenterà l’offerta di un bene spostando la curva verso destra.

• Numero delle imprese: una variazione del numero delle imprese di un mercato modificherà la quantità che tutti i venditori vorranno vendere complessivamente in corrispondenza di un dato prezzo. Un aumento del numero dei venditori sposta la curva di offerta verso destra e viceversa.

• Aspettative: la previsione di un aumento del prezzo futuro di un bene provocherà una diminuzione dell’offerta corrente e l’aspettativa di una diminuzione del prezzo futuro provocherà un incremento del prezzo nel presente. La previsione di una aumento sposta la curva verso sinistra e viceversa.

• Condizioni meteorologiche: fattore particolarmente importante nella determinazione dell’offerta dei beni agricoli. Se sono favorevoli, incrementano i raccolti e provocano uno spostamento della curva

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verso destra, se sono sfavorevoli distruggono i raccolti e provocano uno spostamento della curva verso sinistra. Lo stesso vale per le calamità naturali.

∆quantità offerta ≠ ∆offerta: la “quantità offerta” è una determinata quantità che i venditori vorrebbero vendere a un dato prezzo. È un numero rappresentato graficamente da un singolo punto. L’offerta, invece, è l’intera relazione tra prezzo e quantità offerta ed è rappresentato graficamente dall’intera curva di domanda. Quando il prezzo del bene cambia si ha una variazione della quantità offerta. Quando varia un fattore diverso si ha variazione dell’offerta. Quando un mercato è in equilibrio sia il prezzo del bene sia la quantità acquistata e venduta si trovano in uno stato di stasi. Il prezzo di equilibrio e la quantità di equilibrio di un mercato, sono quei valori del prezzo e della quantità acquistata e venduta che, una volta raggiunti, non cambieranno salvo che non si verifichino degli spostamenti della curva di domanda o di offerta. Si ha eccesso di domanda quando vi è eccesso della quantità domandata rispetto alla quantità offerta, in corrispondenza di un dato prezzo. Si ha eccesso di offerta quando vi è eccesso della quantità offerta rispetto alla quantità domandata in corrispondenza di un dato prezzo. Per trovare il prezzo e la quantità di equilibrio di un mercato concorrenziale, basta tracciare le curve di offerta e di domanda: il prezzo e la quantità di equilibrio corrispondono al punto di intersezione delle curve e sono indicati rispettivamente dai valori dell’asse verticale e dell’asse orizzontale. Nell’equilibrio la quantità domandata e quella offerta sono uguali, ma un mercato raramente rimane per sempre in una data condizione di equilibrio. Errore: è sbagliato fare tale ragionamento “l’aumento del reddito porta a un incremento della domanda, che porta a un aumento del prezzo. Ma un prezzo maggiore incrementa l’offerta e un’offerta maggiore, a sua volta, provoca una riduzione del prezzo. E quando il prezzo diminuisce la domanda aumenta e cosi via…”, infatti un prezzo maggiore porta a un aumento della quantità offerta, e non dell’offerta. Qualsiasi evento che spostasse la curva di domanda verso destra porterebbe a un aumento del prezzo e della quantità di equilibrio, mentre qualsiasi cambiamento che spostasse la curva di domanda verso sinistra aumenterà il prezzo di equilibrio e diminuirà la quantità di equilibrio di tale mercato. Uno spostamento di una curva verso sinistra o verso destra può verificarsi contemporaneamente a uno spostamento dell’altra curva verso destra o sinistra. Quando si sposta solo una curva e conosciamo la direzione dello spostamento, possiamo determinare la direzione verso cui si muoveranno sia il prezzo che la quantità di equilibrio. Quando si spostano entrambe le curve e conosciamo le direzioni degli spostamenti, possiamo determinare la direzione dei movimenti del prezzo oppure della quantità, ma non di entrambi, si potrà determinare se l’altra variabile aumenterà o diminuirà solo sapendo quale curva avrà subito lo spostamento maggiore. Il modello della domanda e dell’offerta è solo un esempio di approccio più generale che consiste nell’identificare un mercato e analizzarne l’equilibrio e si lega al quarto principio fondamentale dell’economia. Tale approccio può spiegare come viene determinato il prezzo e quali siano le cause di una variazione di tale prezzo ma è utile anche per altri motivi quali prevedere cambiamenti dell’economia e prepararci ad affondarli, elaborare politiche pubbliche adatte alla realizzazione di obiettivi socialmente desiderabili ecc. Le forze della domanda e dell’offerta costringono il prezzo di mercato ad adeguarsi sino a quando non si verificano eventi importanti. Tuttavia non tutti sono soddisfatti dai prezzi determinati dalla domanda e dall’offerta. Per eliminare i motivi del malcontento a volte lo Stato interviene modificando il prezzo di un mercato:

• Lo Stato può rispondere imponendo in un mercato un tetto al prezzo, con una legge che impedisca al prezzo di salire oltre un certo livello. Le variazioni delle quantità offerte e domandate insieme creeranno un eccesso di domanda ma, se la quantità offerta e quella domandata differiscono, prevale il lato “corto” del mercato, ossia la parte che offre o domanda quantità minori. Un tetto al prezzo crea scarsità e aumenta il tempo e le preoccupazioni richieste per l’acquisto di un bene. Mentre il prezzo diminuisce, il costo opportunità può aumentare. Il risultato potrebbe essere poi la diffusione del mercato nero in cui i beni sono venduti illegalmente a prezzi più alti di quelli consentiti dalla legge. Il prezzo del mercato nero è inoltre, di solito, superiore al prezzo di equilibrio originario.

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Tale metodo, pertanto, non è considerato soddisfacente. Un eccezione è costituita dal “controllo degli affitti” con leggi che fissano un affitto mensile massimo per molte case e appartamenti.

• A volte lo Stato cerca di andare incontro ai venditori fissando un prezzo minimo sotto cui il prezzo del bene non può scendere. Tuttavia l’imposizione di un prezzo minimo porterebbe ad un eccesso di offerta che, secondo la regola del lato corto, rimarrebbe invenduta. I produttori sarebbero quindi incentivati a violare il prezzo minimo con la conseguente diffusione del mercato nero. Lo Stato in questo caso manterrebbe il prezzo minimo acquistando l’intero eccesso di offerta ed impedendo che esse faccia scendere il prezzo al suo livello di equilibrio. La politica porterebbe lo Stato ad accumulare all’infinito riserve di cibo ecc., pertanto lo Stato spesso cerca di limitare l’offerta. In molti Paesi i governi utilizzano da lungo tempo i prezzi minimi per sostenere i redditi degli agricoltori.

Un prezzo minimo posto al di sotto del livello di equilibrio non produrrebbe alcun impatto sul mercato in quanto il prezzo di mercato soddisferebbe già il requisito di essere superiore al prezzo minimo. Un prezzo massimo posto sopra il livello di equilibrio non produrrebbe alcun impatto per lo stesso motivo. Una politica volta al raggiungimento di un obiettivo porta ad accettare dei compromessi su altri obiettivi. Ciò significa che tutte le politiche economiche comportano dei trade-off ossia dei compromessi fra obiettivi alternativi. A tale tema fa riferimento il quinto principio fondamentale dell’economia. L’analisi economica rende il pubblico consapevole dei trade-off di politica economica. Il modello della domanda e dell’offerta ci impartisce importanti lezioni di economia, sia di tipo positivo (informandoci su cosa accade quando varia un fattore del mercato) sia di tipo normativo (suggerendoci quali politiche dovremmo o non dovremmo adottare). Gli amministratori dei college americani commisero un errore costoso: alla fine degli anni ’80 molti college dell’East Coast acquistarono dell’attrezzatura costosa per poter passare rapidamente dallo sfruttamento del gasolio a quello del gas naturale come fonte di energia per il riscaldamento. Intendevano proteggersi da un improvviso aumento del prezzo del petrolio. Nell’autunno 1990, quando l’Iraq invase i Kuwait, i college poterono utilizzare le proprie attrezzature, poiché i prezzi del petrolio erano saliti alle stelle. Tuttavia si accorsero che anche il gas naturale aveva subito un brusco aumento.

1. perché l’invasione del Kuwait provocò un aumento del prezzo del petrolio? Prima dell’invasione il mercato era in equilibrio, finché gli USA imposero un embargo petrolifero mondiale su Iraq e Kuwait, che spostò la curva di offerta verso sinistra. Il nuovo punto di equilibrio corrispondeva a quantità minori e prezzi più alti.

2. perché salì il prezzo del gas naturale? Il petrolio è un bene sostituto del gas naturale, e un aumento del prezzo di un sostituto provoca un aumento della domanda del bene in questione. L’aumento del prezzo del petrolio ha spostato verso destra la curva di domanda del gas naturale con conseguente aumento del prezzo di questo bene.

Elasticità della domanda: quando il prezzo sale la quantità domandata diminuisce e viceversa. non sappiamo però di quanto vari la quantità domandata. Per alcuni beni essa è sensibile alle variazioni di prezzo, per altri non lo è quasi per niente. Ci occorre un metodo per misurare la sensibilità della quantità domandata rispetto a tali variazioni, e tale misura è detta elasticità della domanda rispetto al prezzo, che corrisponde al valore assoluto del rapporto fra la variazione % della quantità domandata e la variazione % del prezzo. Il numeratore è negativo perché un aumento del prezzo di un bene provoca una diminuzione della quantità domandata ma, poiché prendiamo il valore assoluto, possiamo ignorare il segno. Più la quantità domandata è sensibile alla variazione di prezzo maggiore è il calo della quantità domandata, maggiore sarà il numeratore e quindi maggiore sarà l’elasticità della domanda. Tale elasticità indica la variazione % di quantità domandata per unità di aumento del prezzo (es. elasticità pari a 3 indica che quando il prezzo sale dell’1% la quantità domandata diminuisce del 3%). L’elasticità della domanda rispetto al prezzo indica la reazione della quantità a una variazione di prezzo nello spostamento da un punto a un altro lungo la curva di domanda. Arachidi Noci di macadamia Prezzo Quantità (al chilo) (chili all’anno)

Prezzo Quantità (al chilo) (chili all’anno)

€ 1,50 500.000 € 2,50 490.000

€ 8,00 15.000 € 9,00 5000

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La ∆%P delle arachidi quando il P sale da €1,50/Kg a €2.50/Kg, con una variazione % di €1. ∆%P = 1/1,50 = 0,66 o 66& (quando il prezzo sale da 1.50 a 2.50) ∆%P = 1/2,50 = 0,4 o 40% (quando il prezzo scende da 2.50 a 1.50) In questo modo notiamo che calcolando la variazione % con il metodo usuale, il valore che otteniamo cambierà a seconda che il prezzo aumenti o diminuisca. Queste differenze, nel calcolo dell’elasticità, sono però da evitare nel calcolo dell’elasticità perché l’elasticità misura la sensibilità rispetto al prezzo in corrispondenza di un intervallo della curva di domanda, e tale misura non deve dipendere dall’estremità dell’intervallo da cui partiamo. Pertanto il valore base nel calcolo della variazione % di una variabile è sempre il valore intermedio fra quello iniziale e quello finale. Pertanto, quanto il prezzo varia da un valore P0 a un valore P1 la variazione percentuale è: %∆P = (P1 – P0) / (P1 + P0):2 in cui il numeratore corrisponde alla variazione di prezzo e il denominatore al prezzo base (valore intermedio). Allo stesso modo si calcola la variazione % della quantità domandata: %∆Qd = (Q1 – Q0) / (Q1 + Q0):2 Domanda inelastica: il valore numerico dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo è compreso fra 0 e 1. l’elasticità è inferiore all’unità. La variazione % della quantità domandata è minore della variazione % del prezzo. Caso estremo di domanda inelastica si ha quando una variazione del prezzo non provoca assolutamente nessuna variazione della quantità domandata. In questo caso la domanda è perfettamente in elastica. Se la domanda fosse perfettamente inelastica in corrispondenza di ogni prezzo, la curva sarebbe una linea retta verticale. È difficile trovare esempi di beni con elasticità di domanda uguale a 0 nel mondo reale. Domanda elastica: quando il valore numerico dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo è maggiore di uno. La variazione % della quantità domandata è maggiore della variazione % del prezzo. La quantità domandata è sensibile al prezzo. Un caso estremo si ha quando la domanda è perfettamente o infinitamente elastica. La curva di domanda, in questo caso, sarà una linea retta orizzontale. Elasticità unitaria: l’elasticità della domanda è esattamente uguale a 1. La domanda del bene si trova esattamente al confine tra l’elastica e l’inelastica. Quando il prezzo di un bene aumenta i consumatori ne richiederanno quantità minori ma ciò non significa necessariamente che spenderanno meno per esso. Verranno acquistate meno unità ma ognuna costerà di più. La spesa totale per un bene aumenta o diminuisce in base al grado di elasticità della domanda rispetto al prezzo del bene. ST = P x Q Dove P è il prezzo unitario e Q è la quantità acquistata. Quando due valori sono entrambi variabili la variazione % del loro prodotto è = alla somma delle loro singole variazioni percentuali. ∆ST = %∆P + %∆Q Quando la domanda è inelastica rispetto al prezzo, la spesa totale si muove nella stessa direzione del prezzo. Quando la domanda è elastica la spesa totale si muove nella stessa direzione del prezzo. Quando la domanda ha elasticità unitaria, la spesa totale non varia alle variazioni del prezzo. Per qualsiasi punto della curva di domanda, la spesa totale degli acquirenti corrisponde all’area del rettangolo con larghezza uguale alla quantità domandata e altezza uguale al prezzo. Conoscere l’elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo e il legame fra l’elasticità e la spesa totale è utile in molti casi. Per esempio, la spesa totale dei consumatori per un bene corrisponde al ricavo totale delle imprese che vendono quel bene. I produttori di beni e servizi si servono dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo per prevedere l‘impatto di una variazione di prezzo. I responsabili delle politiche economiche devono prevedere le reazione dei privati alle loro politiche, utilizzano l’elasticità della domanda per fissare il prezzo di molti servizi pubblici per determinare la politica fiscale e per elaborare programmi di aiuto per gli indigenti.

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LE SCELTE DEL CONSUMATORE Tutti noi prendiamo in continuazione decisioni economiche. Alcune sono banali, altre possono avere un forte impatto sul nostro stile di vita. La natura economica di tutte queste decisioni è l fatto che esse implicano tutte una spesa. In alcuni casi, però, tale natura può essere meno ovvia. Per analizzare le decisioni economiche facciamo riferimento al primo principio fondamentale dell’economia, riguardante la massimizzazione soggetta a vincoli. Dobbiamo rispondere a 2 domande:

1. che cosa gli individui intendono massimizzare? 2. a quali vincoli sono soggetti?

In economia si ipotizza che la maggior parte degli individui cerchi di massimizzare il livello complessivo della propria soddisfazione. Nel tentativo di realizzare tali desideri, però, incontriamo degli ostacoli. Vincolo di bilancio: tutte le persone devono affrontare due aspetti della vita economica

• l’obbligo di pagare dei prezzi per beni e servizi • la disponibilità di un ammontare limitato di risorse da spendere.

Questi due aspetti compongono il concetto di vincolo di bilancio. Il vincolo di bilancio del consumatore, individua le diverse combinazioni di beni e servizi che egli può permettersi con un reddito limitato in corrispondenza di diversi livelli di prezzo. La rappresentazione grafica del vincolo di bilancio, è la linea di bilancio. Qualsiasi punto al di sotto o a sinistra della linea di bilancio è accessibile, mentre non ci possiamo permettere nessuna combinazione al di sopra o a destra della linea. Tale linea serve quindi da confine tra le combinazioni accessibili e quelle inaccessibili. La pendenza della linea indica il costo opportunità. I prezzi di 2 beni e il costo opportunità di avere un’unità aggiuntiva dell’uno o dell’altro sono legati da una relazione importante. Il rapporto fra i due prezzi monetari ci da il prezzo relativo ossia il prezzo di un bene relativamente all’altro. Quindi, la pendenza di una linea di bilancio indica il trade-off tra un bene e un altro, ossia la quantità di un bene cui si deve rinunciare per acquistare un’unità aggiuntiva di un altro bene. Se Py è il prezzo del bene sull’asse verticale e Px li prezzo del bene sull’asse orizzontale, allora la pendenza della linea di bilancio è –Px/Py.

I prezzi dei beni e il reddito del consumatore sono sempre mantenuti costanti durante gli spostamenti lungo la linea. Se uno di essi varia, cambia anche la linea:

• Reddito: un aumento del reddito sposta la linea di bilancio verso l’alto, mentre una diminuzione la sposta verso il basso. Le nuove linee sono parallele alle precedenti, perché le variazioni del reddito non influiscono sulla pendenza della linea.

• Variazioni dei prezzi: quando il prezzo di un bene varia la linea di bilancio ruota modificando così sia la sua pendenza che una delle sue intercette.

Il vincolo di bilancio indica lo scambio fra due beni che i consumatori possono effettuare, ma altrettanto importanti sono gli scambi che i consumatori vogliono effettuare, e questi dipendono dalle loro preferenze. Nonostante le considerevoli differenze nelle preferenze, possiamo trovare alcuni importanti denominatori comuni (validi cioè per un’ampia varietà di individui):

• Razionalità: consiste nella convinzione che le persone abbiano delle preferenze e che teli preferenze siano logicamente coerenti, quindi transitive. Quando un consumatore può compiere delle scelte e queste sono tutte logicamente coerenti, parliamo di preferenze razionali. La razionalità riguarda il modo in cui si operano le scelte e non quali scelte si fanno.

• “Più è meglio”: in genere si ritiene che maggiori quantità di un bene soddisfino maggiormente. Ci sono ovviamente delle eccezioni.

Il consumatore sceglierà sempre un punto sulla linea di bilancio piuttosto che uno al di sotto di essa. Prendendo ogni punto al di sotto della linea di bilancio, infatti, troveremo sempre almeno un punto sulla linea che egli preferirà. Per capire come si può trovare il punto sulla linea di bilancio che da più utilità degli altri, facciamo riferimento al sesto principio fondamentale dell’economia che riguarda le decisioni al margine.

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Il principio delle decisioni al margine può essere applicato alle scelte del consumatore utilizzando due metodi diversi che però presentano molte somiglianze. Entrambi ipotizzano che siano scelte razionali e presuppongono che il consumatore sarebbe più soddisfatto scegliendo quantità maggiori del bene desiderato. Cosi il consumatore sceglierà sempre una combinazione di beni sulla sua linea di bilancio piuttosto che sotto di esse. Entrambi gli approcci sono dei modelli che impiegano grafici e calcoli per capire come i consumatori compiono le loro scelte. L’utilità marginale: qualsiasi soggetto decisore cerca di ottenere il meglio da ogni situazione, cercando di massimizzare la sua utilità (piacere o soddisfazione ottenuta dal consumo di beni e servizi). Si ipotizza quindi che qualsiasi cosa renda il consumatore più soddisfatto, incrementi la sua utilità. La variazione di utilità derivante dal consumo di un’unità aggiuntiva di un bene è detta utilità marginale. Secondo la legge dell’utilità marginale, l’utilità marginale di una cosa per una persona diminuisce ad ogni aumento della quantità della cosa che quella persona già possiede. Al consumo della prima unità di un bene si deriva una certa utilità; quando si ottiene la seconda unità del bene la soddisfazione aggiuntiva che si trae è inferiore a quella del primo e cosi via. A ogni incremento di una unità del consumo l’utilità marginale è pari alla variazione dell’utilità totale. Ipotizziamo che l’unità marginale di ogni bene sia positiva. L’utilità marginale che un individuo ottiene dal consumo di quantità maggiori di un bene fornisce informazioni a proposito delle sue preferenze. Il vincolo di bilancio, invece, indica solo quali combinazioni di beni egli può permettersi. Se uniamo tali informazioni possiamo sviluppare una regola utile per individuare la scelta che massimizza l’utilità di un individuo. L’utilità marginale per euro speso si ottiene dividendo l’utilità marginale dell’ultimo bene per il prezzo del bene. Tale utilità diminuisce al crescere delle unità del bene, infatti l’utilità marginale diminuisce mentre il prezzo del bene non varia. L’obiettivo è trovare tra le combinazioni di beni che ci si può permettere, quella che fornisce la maggiore utilità possibile. In questo punto l’utilità marginale per euro è uguale per entrambi i beni. Per ogni coppia di beni x e y, con prezzi Px e Py, ogni qual volta UMx/Px > UMy/Py, il consumatore sarà più soddisfatto sottraendo soldi a y per spenderli per x. E viceversa. pertanto un consumatore che massimizzi la sua utilità sceglierà il punto sulla linea di bilancio in cui l’utilità marginale per euro sia la stessa per entrambi i beni. A quel punto non si ottiene alcun ulteriore vantaggio da una riallocazione della spesa a favore di uno dei due beni. Tale equivalenza deve sempre valere, non importa fra quanti beni si sceglie. Esiste però un’eccezione: a volte la scelta ottimale consiste nel non acquistare un bene. Ad esempio se

UMy/Py > UMx/Px non importa quanto sia piccola la quantità del bene x che un individuo possiede, egli dovrà comunque ridurla fino a farla diventare pari a 0. tale comportamento è noto come “soluzione d’angolo” perché se si considerano solo due beni l’individuo si collocherà su uno dei punti finali della curva di bilancio, cioè in un angolo del diagramma.

Quando si vuole trovare la combinazione di beni che massimizzi la propria utilità bisogna confrontare le utilità marginali per euro e non solo le utilità marginali. Le variazioni dei prezzi e del reddito ci portano a rivedere le decisioni riguardo le spese da fare: ciò che consentiva massimizzazione dell’utilità prima, non produce più lo stesso effetto anche dopo:

• Reddito: un aumento del reddito (non accompagnato da una variazione dei prezzi) porta a variare la quantità domandata di ogni bene. Il fatto che un bene sia normale o inferiore dipende dalle preferenze dell’individuo (indicate dalle utilità marginali di ciascun bene) in ogni punto della sua linea di bilancio.

• Prezzo: la diminuzione del prezzo di un bene causa un rotazione della linea di bilancio verso destra intorno all’intercetta verticale. Ancora una volta si sceglierà la combinazione di beni che soddisfi il più possibile. Per questa combinazione le utilità marginali per euro in ciascun bene, avranno lo stesso valore.

La curva di domanda individuale indica la quantità domandata di un bene da un individuo in corrispondenza di diversi prezzi. Tale linea è inclinata verso il basso perché ciascun individuo risponde alle variazioni di prezzo obbedendo alla legge della domanda. Le preferenze personali, però, potrebbero violare tale legge, ma di solito non succede. Effetto di sostituzione: se il prezzo di un bene scende diventando meno costoso rispetto ad altri beni i cui prezzi non sono scesi, alcuni di essi sono sostituiti dal bene ora più economico. Quando un modo di

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soddisfare un desiderio diventa relativamente più economico, i consumatori ne acquisteranno di più e compreranno i sostituti in quantità minori. Tale impatto è detto effetto di sostituzione perché il consumatore è disposto a sostituire i beni i cui prezzi sono rimasti invariati con il bene il cui prezzo è diminuito. Tale effetto di sostituzione di una variazione di prezzo deriva da una variazione del prezzo relativo di un bene e provoca sempre una variazione della quantità domandata nella direzione opposta rispetto a quella del prezzo. Quando il prezzo scende, l’effetto di sostituzione causa un aumento della quantità domandata; quando il prezzo sale l’effetto causa una diminuzione della quantità domandata. Tale effetto rappresenta una forza importante del mercato ed è il principale fattore responsabile della legge della domanda. Se esso fosse l’unico effetto prodotto da una variazione di prezzo la legge della domanda diventerebbe necessità logica. Effetto di reddito: una diminuzione del prezzo per il consumatore è come un regalo simile ad un aumento del reddito. In effetti corrisponde ad un aumento del reddito disponibile. Tale effetto di reddito di una variazione di prezzo deriva da una variazione del potere d’acquisto rispetto a entrambi i beni. Una diminuzione del prezzo incrementa il potere d’acquisto, mentre un aumento del prezzo lo riduce. Tale effetto può portare sia a un aumento che a una riduzione della quantità domandata, a seconda che si tratti di un bene normale o inferiore. Una variazione del prezzo di un bene modifica sia il prezzo relativo del bene che il potere d’acquisto del consumatore. L’effetto finale dipende da entrambi questi effetti e dalla natura dei beni (normali o inferiori).

• Beni normali: quando il prezzo di un bene normale scende, l’effetto di sostituzione incrementa la quantità domandata; la diminuzione del prezzo aumenterà anche il potere d’acquisto e incrementerà ulteriormente la quantità domandata. L’opposto accade se il prezzo aumenta. Pertanto con i beni normali gli effetti di reddito e di sostituzione cooperano spostando la quantità domandata nella direzione opposta al prezzo. Di conseguenza tali beni obbediscono alla legge della domanda.

• Beni inferiori: se il prezzo scende, l’effetto di sostituzione aumenterà la quantità domandata e incrementerà il potere d’acquisto. Ma nei beni inferiori l’aumento del potere d’acquisto ridurrà la quantità domandata. Vi sono quindi due effetti che si contrastano. Ciascuno dei due potrebbe prevalere sull’altro quindi la quantità domandata potrebbe muoversi in entrambe le direzioni. Tuttavia l’effetto di sostituzione prevale quasi sempre perché consumiamo un numero talmente elevato di beni e servizi che una riduzione di prezzo di uno di essi cambierà il nostro potere d’acquisto solo in misura molto modesta.

La curva di domanda di mercato indica la quantità di un bene domandata da tutti i consumatori di un mercato; si ottiene sommando le curve di domanda individuali di ogni consumatore di quel mercato. Finché ogni curva di domanda individuale ha andamento decrescente, anche la curva di domanda di mercato avrà un andamento decrescente. Ossia, se un aumento del prezzo riduce il numero di unità acquistate da ogni consumatore, allora ridurrà anche la quantità acquistata da tutti i consumatori. Il modello di comportamento del consumatore è un modello molto semplice. Tale modello ignora, ad esempio, il problema dell’incertezza. Quando l’incertezza riveste un’importanza notevole per le scelte del consumatore, gli economisti utilizzano modelli più complessi. Altro problema è quello dell’informazione imperfetta. Nel nostro modello si ipotizza che tutti i consumatori sappiano esattamente quali beni acquistare e a quale prezzo. Tuttavia in realtà occorre a volte spendere denaro e tempo per ottenere informazioni. Inoltre gli individui possono spendere anche più del loro reddito (prestiti, fondi ecc.) o meno di esso. Il nostro modello consente di risolvere questo aspetto definendo, ad esempio, uno dei beni come “consumo futuro”. In molte aree della vita economica le persone non agiscono in modo egoistico ed anche tale aspetto è stato incorporato nel modello tradizionale. Il modello delle scelte del consumatore è piuttosto versatile ma alcuni tipi di comportamento non sono affatto coerenti con il modello. A volte, ad esempio, i consumatori valutano la qualità in base al presso. Il consumatore non può confrontare due beni senza conoscerne il prezzo e quando il prezzo cambia, cambiano anche le scelte dei consumatori, contraddicendo l’ipotesi della razionalità delle preferenze. Negli ultimi anni nasce una nuova branca dell’economia nota come economia comportamentale che cerca di integrare nei modelli economici quegli aspetti del comportamento umano che violano le ipotesi tradizionali di base. Tali modelli, pur includendo alcuni strumenti tradizionali dell’analisi economica, ne trascurano buona parte. Essi sostengono che alcuni comportamenti umani non sono coerenti con nessuna massimizzazione e spiegano tali esempi del comportamento economico che prescindono in parte o del tutto dal concetto della

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massimizzazione, prendendo in considerazione l’effettivo processo mentale messo in atto dalle persone che devono prendere delle decisioni. Tale economia è considerata come un’estensione del corpo della teoria economica tradizionale che consente di comprendere anche qualche comportamento anomalo. Migliorare l’istruzione: negli USA vengono spesi miliardi di dollari nell’intento di migliorare la qualità dell’istruzione. Nel 2003 il Dipartimento dell’istruzione statunitense ha speso circa 3 miliardi di dollari in progetti di ricerca per valutare nuove tecniche didattiche. Molte tecniche nuove e promettenti si rivelarono inefficaci: sembra che gli studenti ottengano risultati pressoché equivalenti, a prescindere dalla tecnica utilizzata. Negli esperimenti gli studenti vengono trattati come soggetti che rispondono passivamente a degli stimoli. Ipotizzando che esistano solo due tipi di attività, studiare economia o studiare francese, il problema che si pone è l’allocazione del tempo (grafico a pag. 144). Sull’asse verticale è misurato il punteggio ottenuto agli esami di economia e su quello orizzontale il punteggio ottenuto agli esami di francese. La linea retta è la linea di bilancio dello studente. Più tempo si dedica allo studio di una materia, migliore è il punteggio che si ottiene all’esame, ma minore è il tempo dedicabile all’altra materia, con relativo punteggio inferiore all’esame. Il costo opportunità di un punteggio migliore in economia è quindi un punteggio inferiore in francese e viceversa. Per questo la linea di bilancio ha pendenza negativa. La linea di bilancio tracciata ha pendenza -2 quindi per ogni punto aggiuntivo in francese lo studente deve sacrificare due punti in economia. La pendenza della linea di bilancio corrisponde al rapporto –Px/Py. Il prezzo, in questo caso, non è monetario. Se occorrono due ore di studio in più per ottenere un punto aggiuntivo in francese, allora il prezzo per punto in francese corrisponde a due ore. Egli trae utilità sia dal punteggio ottenuto in economia che da quello ottenuto in francese. Quale sarà, quindi, la scelta migliore? Dipende dalle preferenze dello studente. Supponiamo che inizialmente la miglior scelta dello studente corrisponda al punto C dove egli ottiene 80 punti in economia e 75 in francese. Introduciamo ora una nuova tecnica di insegnamento assistito dal computer per il corso di francese, che consente agli studenti di apprendere più francese studiando lo stesso numero ore o di studiare di meno ed apprendere la stessa quantità di nozioni. Questo cambiamento porta ad una diminuzione del prezzo dei punti in francese, poiché ora servono meno ore per ottenere un punto in francese. Dopo l’introduzione della nuova tecnica il nostro studente si situerà su un punto della sua nuova linea di bilancio sulla base delle sue preferenze. Nel punto D migliorerebbe il suo rendimento in francese, ma quello in economia rimarrebbe uguale. Se introduciamo una tecnica efficace nel corso di francese, dovremmo essere in grado di misurarne l’impatto con un esame di francese. Il punto F migliora solo il rendimento in economia, mentre quello in francese rimane invariato. Anche se la tecnica introdotta è realmente efficace, il suo successo non si manifesta con un punteggio più elevato in francese. La nuova tecnica riduce il costo, misurato in tempo, di ottenere punti aggiuntivi in francese. L’effetto di sostituzione (i punti in francese sono relativamente più economici) tenderà a migliorare il punteggio che lo studente ottiene in francese mano a mano che egli sottrae ore di studio all’economia per dedicarle al francese. Ma bisogna considerare anche l’effetto di reddito: il potere d’acquisto del tempo dello studente è aumentato poiché egli potrebbe utilizzare la quantità fissa di tempo dedicato allo studio per “acquistare” punteggi più elevati in ciascuna materia. Se il rendimento in francese è un “bene normale” l’aumento del potere d’acquisto porterà ad un incremento del punteggio in francese, se è un “bene inferiore” l’aumento del potere d’acquisto potrebbe portare ad una riduzione dei punti ottenuti in francese. Lo studente sceglierebbe il punto F se considerasse il rendimento in francese un bene cosi inferiore da far si che l’effetto di reddito negativo cancelli esattamente l’effetto di sostituzione positivo. In questo caso i ricercatori giudicherebbero erroneamente la nuova tecnica un fallimento totale, perché non avrebbe alcuna influenza sul punteggio in francese. Un approccio alternativo al processo decisionale del consumatore è quello delle curve d’indifferenza. Ipotizziamo che una persona:

1. possa confrontare qualsiasi coppia di opzioni e decidere quale sia la migliore o decidere che entrambe siano ugualmente desiderabili

2. compia delle scelte logicamente coerenti 3. preferisca per ogni cosa avere quantità maggiori anziché quantità minori.

Le prime due ipotesi sono riassunte nel concetto di razionalità, la terza indica che un consumatore sceglierà sempre un punto sulla sua linea di bilancio anziché uno al di sotto di essa. Su una linea di bilancio possiamo segnare una serie di punti che soddisfano nella stessa misura. Unendo questi punti con una linea otteniamo una delle curve di indifferenza, ossia una rappresentazione di tutte le combinazioni di due categorie di beni che soddisfano il consumatore nella stessa misura. Tale curva ha andamento decrescente conformemente all’ipotesi sulle preferenze secondo cui “più è meglio”. Mano a mano che scendiamo verso destra il valore assoluto della pendenza diminuisce (la curva diventa sempre più piatta).

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Il concetto di “disponibilità allo scambio” viene definito tasso marginale di sostituzione. Quando la quantità del bene y è misurata sull’asse verticale e quella del bene x sull’asse orizzontale, il tasso marginale di sostituzione del bene y con il bene x (MRS) per ogni segmento di una curva di indifferenza è il valore assoluto della pendenza della curva in quel segmento. Esso indica la quantità massima del bene y che il consumatore sarebbe disposto a scambiare per avere un’unità aggiuntiva del bene x. Man mano che scendiamo lungo la curva MRS diminuisce progressivamente. Consideriamo un punto G situato in una posizione alta sulla curva di indifferenza. In questo punto si ha una quantità maggiore del bene y ed una minore del bene x. Con un numero tanto basso del bene x, il consumatore ne apprezzerebbe molto un’unità aggiuntiva e con un numero tanto elevato del bene y la rinuncia a ciascuno di essi non lo danneggerebbe molto. Se però continuiamo a scendere lungo la curva la quantità del bene y diminuisce sempre più e la rinuncia a ciascuno di essi danneggia il consumatore in misura maggiore. Contemporaneamente egli ha un numero sempre maggiore del bene x pertanto un’unità aggiuntiva non lo rende tanto soddisfatto ed è pertanto più riluttante a scambiare i beni. Il risultato sarebbe una mappa d’indifferenza ossia un insieme di curve d’indifferenza che descrivono le preferenze del consumatore. Tutti i punti di una curva di indifferenza forniscono lo stesso livello di utilità mentre una curva d’indifferenza più alta fornisce più utilità rispetto a una curva di indifferenza più bassa, pertanto ogni punto di una curva di indifferenza più alta è preferito a un punto qualsiasi di una curva più bassa. La combinazione ottimale deve soddisfare due criteri:

1. deve essere un punto della linea di bilancio 2. deve appartenere alla curva di indifferenza più alta possibile.

Si può trovare questo punto scendendo lungo la propria linea di bilancio e passando per diverse curve d’indifferenza. All’inizio s’incontreranno curve d’indifferenza sempre più alte finché non si raggiunge la più alta in assoluto. Scendendo ulteriormente si incontrano curve d’indifferenza sempre più basse. In un punto D dove la curva d’indifferenza e la linea di bilancio sono tangenti, le loro pendenze sono uguali. Solo quando la curva d’indifferenza e la linea di bilancio hanno la stessa pendenza, quando si toccano ma non s’intersecano, si raggiunge il livello massimo di soddisfazione. In questo punto la curva è tangente alla linea di bilancio. La combinazione ottimale di beni per un consumatore, quindi, corrisponde al punto di tangenza di una curva di indifferenza sulla linea di bilancio. Se vi è un incremento del reddito aumenta la quantità domandata di un bene se il bene è normale. Un aumento del reddito che non sia accompagnato da variazioni dei prezzi porta a una nuova quantità domandata di ogni bene. Un bene è normale o inferiore sulla base delle preferenze individuali indicate dalla mappa di indifferenza. La diminuzione del prezzo provoca una rotazione della linea di bilancio. Sulla base delle curve di indifferenza si sceglierà una nuova combinazione di beni che porti la maggiore utilità possibile. Se il prezzo del bene diminuisse ulteriormente la linea di bilancio ruoterà ulteriormente verso destra e si dovrà nuovamente cercare il miglior punto possibile. Le preferenze individuali possono comportare reazioni diverse alle variazioni di prezzo. È teoricamente possibile ma di solito non succede.

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LA PRODUZIONE I COSTI Un’impresa è un organismo posseduto e gestito da privati che si specializza nella produzione. La produzione è il processo che combina gli input per ottenere beni e servizi. Sono i dirigenti a decidere cosa farà l’impresa sia nel breve che nel lungo periodo. Quando ci riferiamo all’impresa come soggetto economico, intendiamo il dirigente o i dirigenti che prendono effettivamente le decisioni. L’impresa deve trattare con diversi individui e organizzazioni. Vende i suoi prodotti ai clienti e ottiene in cambio un ricavo. Il ricavo è destinato in gran parte ai fornitori dei fattori produttivi. Il complesso di tutti questi pagamenti costituisce i costi di produzione dell’impresa. Una volta sottratti i costi al ricavo, ciò che rimane è il profitto. Profitto = ricavo – costi. Il profitto spetta ai proprietari che hanno fornito il finanziamento iniziale. Ogni impresa, inoltre, deve interagire con lo Stato versando le imposte ed obbedendo alle leggi e ricevendo servizi preziosi. Esistono tre categorie d’imprese:

1. imprese individuali: un singolo individuo possiede l’impresa, ne è responsabile e riceve tutto il profitto come parte del reddito personale (negozi posseduti da un’unica persona, attività di consulenti, scrittori ecc.)

2. società di persone: proprietà e responsabilità sono ripartite fra i diversi co-proprietari (piccoli studi professionali ecc.). Tutti i proprietari ricevono il proficuo come parte del loro reddito personale.

3. società per azioni: sono le imprese più grandi, la cui proprietà è suddivisa fra coloro che comprano le quote del capitale (azioni). Ogni azione da diritto a un voto per il consiglio di amministrazione (che a sua volta nomina i dirigenti) ed una quota del profitto. Il profitto rimane in gran parte della società ma può essere diviso periodicamente agli azionisti sotto forma di dividendi.

Pensando alla produzione vengono immediatamente in mente prodotti e input. Gli input comprendono le risorse e gli altri beni e servizi utilizzati nella produzione. Il modo in cui questi input possono essere combinati per realizzare i prodotti rappresenta la tecnologia dell’azienda. Per ogni diversa combinazione di input la funzione di produzione indica la quantità massima di prodotto che un’impresa può realizzare in un dato periodo. Tale funzione è una funzione matematica che mette in relazione fra loro input e prodotti. Quando si utilizzano diversi input, le funzioni di produzione possono essere molto complesse. Quando un’impresa modifica il suo livello di produzione, varia anche il suo fabbisogno di input. Alcuni possono essere adeguati in tempi relativamente brevi, altri con più difficoltà. Le decisioni delle imprese possono essere suddivise in due categorie:

1. decisioni di lungo periodo: intervallo di tempo sufficientemente lungo da permettere a un’impresa di adeguare tutti i suoi fattori di produzione. Ha durata differente.

2. decisioni di breve periodo: intervallo di tempo in cui almeno uno degli input di una impresa non può essere modificato.

Input fisso: fattore di produzione la cui quantità rimane costante a prescindere dalla quantità di prodotto realizzata. Input variabile: fattore di produzione il cui utilizzo varia al variare del livello di produzione. Quando le imprese prendono delle decisioni nel breve periodo, non possono variare i loro input fissi. Il prodotto totale è la quantità massima di prodotto che si può realizzare con una data combinazione di input. Si può rappresentare graficamente con la curva del prodotto totale (fig.3 pag. 165). Il prodotto marginale del lavoro (MPL) è il rapporto fra la variazione della quantità di prodotto totale e la variazione del numero dei dipendenti assunti MPL = ∆Q/∆L ed indica la quantità di prodotto aggiuntivo realizzato con l’assunzione di un ulteriore addetto.

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Quando il prodotto marginale cresce all’aumentare del personale, diciamo che ci sono dei rendimenti marginali crescenti del fattore lavoro. Ogni volta che un addetto viene assunto l’incremento del prodotto totale è maggiore rispetto a quello realizzato con l’assunzione del lavoratore precedente. Il lavoratore aggiuntivo rende più produttivi anche gli altri. L’aggiunta di un secondo lavoratore rende possibile la specializzazione, la produzione sale ed aumenta la produttività di entrambi. Quando il prodotto marginale del lavoro diminuisce, diciamo che ci sono dei rendimenti marginali decrescenti del fattore lavoro. L’incremento diminuisce sempre più mano a mano che viene assunto un lavoratore aggiuntivo perché continuando ad assumere dipendenti sarà sempre più difficile ottenere ulteriori vantaggi dalla specializzazione. Inoltre ogni lavoratore dovrà lavorare con una porzione sempre più piccola degli input fissi. Legge dei rendimenti (marginali) decrescenti: aumentando sempre di più la quantità di un input (mantenendo gli altri costanti), il prodotto marginale di questo input finirà per diminuire. È una legge di tipo fisico, non economico, poiché è basata sulla natura fisica della produzione. Le imprese si preoccupano di misurare, controllare e ridurre i costi. I proprietari vogliono che le loro imprese realizzino il maggior profitto possibile. Il costo totale di produzione di un’impresa corrisponde al costo opportunità sostenuto dai proprietari: tutto ciò che essi devono sacrificare per realizzare una determinata quantità di prodotto. Un sunk cost (costo irrecuperabile) è un costo che è già stato sostenuto in passato o che si deve comunque sostenere, a prescindere da qualsiasi azione futura si consideri. Quando si prende una decisione questi costi dovrebbero essere ignorati. Esistono due tipi di costi:

- costi espliciti: denaro effettivamente pagato per l’impiego dei fattori di produzione - coti impliciti: costo dei fattori di produzione per i quali non avviene un pagamento monetario diretto.

Gli economisti misurano il costo opportunità dei fondi investiti in un’impresa in termini di reddito che avreste potuto guadagnare da quei fondi investendoli altrove. Il reddito da investimento sacrificato è un costo implicito dell’impresa. Il reddito da lavoro sacrificato è un costo implicito della vostra impresa. I dirigenti devono risolvere le questioni relative ai costi considerando diversi orizzonti temporali. A prescindere dalla quantità del prodotto realizzato, la quantità di input fisso deve rimanere costante. I costi per gli input fissi di un’impresa sono detti costi fissi e rimangono costanti a prescindere dal livello di produzione. I costi per ottenere gli input variabili di un’impresa costituiscono i costi variabili ed aumenteranno al crescere della quantità prodotta. In che modo una variazione della quantità di prodotto modifica gli input dell’impresa? Bisogna analizzare i costi di tali input. Esistono tre diversi tipi di costi totali:

1. costo fisso totale (TFC): costo di tutti i fattori di produzione che sono fissi nel breve periodo 2. costo variabile totale (TVC): costo di tutti gli input variabili. 3. costo totale (TC): è la somma di tutti i costi, fissi e variabili.

• costo fisso medio (AFC): si ottiene dividendo il costo fisso totale per la quantità di prodotto.

AFC = TFC/Q AFC diminuirà sempre all’aumentare della quantità prodotte.

• costo variabile medio (AVC) che corrisponde al costo degli input variabili per unità di prodotto AFC = TFC/Q

All’aumentare della produzione, è possibile che AVC cresca o diminuisca a seconda che sia Q o TVC a subire un aumento percentuale maggiore.

• costo totale medio (ATC): è il rapporto fra il costo totale e le unità di prodotto.

ATC = TC/Q All’aumentare della quantità prodotta ATC cresce o diminuisce perché nella frazione aumentano sia il denominatore. Di solito ci si aspetta. Però. Che ATC prima aumenti e poi diminuisce, quindi la sua curva avrà forma ad U.

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Costo marginale (MC): rapporto tra la variazione del costo totale e la variazione della quantità prodotta. MC = ∆TC/∆Q Il costo marginale di ogni variazione della quantità prodotta è pari alla pendenza della

curva del costo totale in tale intervallo di produzione. La pendenza di tale curva, pur essendo sempre positiva, prima diminuisce e poi aumenta. Ai livelli inferiori della

quantità di personale e di prodotto, i rendimenti marginali del lavoro aumentano (MPL = ∆Q/∆L cresce). Il che significa che ogni lavoratore assunto aumenta la produzione in misura maggiore rispetto al lavoratore precedente. Ma ciò significa anche che è necessario un numero inferiore di lavoratori aggiuntivi per realizzare un’unità aggiuntiva di prodotto. Finché MPL aumenta, MC deve diminuire.

Quindi, quando il prodotto marginale del lavoro (MPL) cresce, il costo marginale (MC) diminuisce; quando MPL scende, MC aumenta. Poiché di solito MPL prima aumenta e poi diminuisce, MC seguirà l’andamento opposto: prima diminuirà e poi crescerà. Cosi si spiega la forma ad U della curva MC. Quando il costo marginale è inferiore al costo medio, sappiamo che il costo di produrre una unità aggiuntiva è inferiore al costo medio sostenuto per tutte le unità prodotte finora. Quindi la produzione di un’unità aggiuntiva abbasserà la media. Quando il costo marginale è inferiore al costo medio, questo diminuirà. Questa considerazione vale sia per il costo variabile medio che per quello totale medio. A livelli bassi di produzione la curva MC si trova sotto le curve AVC e ATC, quindi queste decresceranno. A livelli alti di produzione la curva MC supera le curve AVC e ATC, quindi queste saliranno. Cosi all’aumentare della produzione le curve dei costi medi avranno prima andamento decrescente, poi crescente (forma ad U). La curva MC interseca le curve ATC e AVC nei loro punti minimi. La maggior parte delle imprese hanno un orizzonte di programmazione di lungo periodo. Nel lungo periodo i costi si comportano in maniera diversa perché l’impresa può aggiustare tutti i suoi fattori di produzione come vuole: nel lungo periodo non ci sono né input fissi né costi fissi, tutti gli input e tutti i costi sono variabile e l’impresa decide quale combinazione di input utilizzare in corrispondenza di ogni livello di produzione. L’obiettivo delle imprese è realizzare il maggior profitto possibile e per fare ciò segue la regola del costo minimo: per realizzare un qualsiasi livello di produzione, l’impresa sceglierà la combinazione di input a più basso costo. Il costo totale di lungo periodo (LRTC) indica il costo di produzione per ogni data quantità di prodotto, se si sceglie la combinazione di input a minor costo. Il costo totale medio di lungo periodo (LRATC) è il costo per unità di prodotto nel lungo periodo LRATC = LRTC/Q. Per alcuni livelli di produzione LRTC è inferiore a TC. In molti casi la libertà di scegliere fra diversi metodi di produzione consente a una impresa di scegliere nel lungo periodo una combinazione più economica di quanto non potrebbe nel breve periodo. Quindi nel lungo periodo l’impresa può anche risparmiare denaro. Il costo totale di lungo periodo di realizzare un dato livello di produzione può essere inferiore o pari, ma mai superiore al costo totale di breve periodo (LRTC ≤ TC). Il costo medio di lungo periodo di realizzare un dato livello di produzione può essere inferiore o uguale, ma mai superiore, al costo totale medio di breve periodo (LRTC ≤ ATC). L’insieme di input fissi a disposizione di un’impresa è definito impianti. Nel lungo periodo l’impresa può variare le dimensioni del suo impianto; nel breve periodo no. La curva ARC ci informa sul comportamento del costo medio nel breve periodo quando l’impresa utilizza un impianto di dimensioni date. Nel lungo periodo, quindi, l’impresa può scegliere su quale curva ATC operare e sceglierà sempre la curva che le consente il costo totale medio più basso possibile. La curva LRATC di un’impresa combina parti di ogni curva ATC disponibile nel lungo periodo. Nel breve periodo un’impresa può spostarsi solo lungo la sua curva ATC, nel lungo periodo invece può passare da una curva all’altra variando le dimensioni dell’impianto. Cosi facendo si muove anche lungo la sua LRATC.

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All’aumentare della quantità prodotta, il costo medio prima diminuisce, poi rimane costante e infine cresce. Non c’è una legge o regola logica da seguire, ma questo è ciò che si verifica in molte industrie. Quando un incremento della produzione fa diminuire LRATC, l’impresa realizza delle economie di scala: più unità si producono, minore è il costo unitario. Quando il costo totale di lungo periodo cresce in proporzione inferiore rispetto alla quantità di prodotto, la produzione è caratterizzata da economie di scala e la curva LRATC ha andamento decrescente. I costi totali aumentano con una proporzione minore rispetto alla quantità prodotta, per vari motivi:

• Specializzazione: con l’aumento della quantità prodotta e del numero di addetti, si creano più possibilità per specializzarsi. Poiché ogni lavoratore diventa più produttivo, la produzione aumenterà in proporzione maggiore rispetto ai costi.

• Utilizzo degli input “in blocco”: alcuni fattori di produzione non si possono aumentare in piccole quantità ma solo in “blocchi”. Riscontriamo questo fenomeno in molti tipi di impreso dove impianto e attrezzatura devono essere acquistati con costi enormi e si riesce ad ottenere un basso costo unitario solo per i livelli di produzione elevati. Un aumento di produzione consente all’impresa di suddividere il costo degli input su una maggiore quantità di prodotto, abbassando il costo per unità di prodotto. Un uso più efficiente degli input “in blocco” avrà un maggior impatto su LRATC ai livelli bassi di produzione, quando questi input costituiscono una parte notevole dei costi totali dell’impresa. Ai livelli superiori di produzione, l’impatto è minore.

Se le imprese continuano a incrementare la produzione, generalmente raggiungeranno un punto in cui le grandi dimensioni cominceranno a creare dei problemi. Questo ragionamento vale anche per il lungo periodo. Questi problemi contribuiscono ad aumentare LRATC al crescere della produzione. Quando il costo totale di lungo periodo cresce in proporzione maggiore rispetto alla produzione, si realizzano delle diseconomie di scala e la curva LRATC ha andamento crescente. Le diseconomie di scala si hanno di solito a livelli di produzione più alti. Quando la quantità prodotta e il costo totale di lungo periodo crescono con la stessa proporzione, la produzione è caratterizzata da rendimenti costanti di scala e la curva LRATC è piatta. I rendimenti costanti di scala, se hanno luogo, sono più probabili nell’intervallo dei valori intermedi della quantità prodotta. Quando osserviamo il comportamento del costo totale medio di lungo periodo ci aspettiamo in genere un andamento di questo genere:

- economie di scala (LRATC decrescente) a bassi livelli di produzione - rendimenti costanti (LRATC costante) nell’intervallo dei valori intermedi della quantità prodotta - diseconomie di scala (LRATC crescente) ad alti livelli di produzione.

Per questo le curve LRATC hanno tipicamente forma ad U. Costi di lungo periodo, struttura di mercato e fusioni: per alcuni acquisti possiamo scegliere fra una varietà di fornitori, per altri si ha una scelta limitata e, a volte, un’unica scelta. Il numeri delle imprese operanti in un mercato è un aspetto importante della struttura di mercato, termine generale che indica l’ambiente in cui si verifica il commercio. Il livello di produzione in cui la curva LRATC raggiunge il suo punto minimo, è definito scala efficiente minima (MES) dell’impresa, ed è il livello più basso di produzione per il quale l’impresa può sostenere il costo unitario minimo. Se immaginiamo una curva LRATC tipica di tutte le imprese di mercato, in cui 80€ è il prezzo minimo, se il prezzo fosse anche solo leggermente inferiore l’impresa dovrebbe cessare l’attività. Possiamo anche determinare la quantità domandata potenziale totale massima, utilizzando la curva di domanda del mercato. Se tale curva indicasse che quando il prezzo è pari a 80 la quantità domandata ammonta a 100.000 unità, se il prezzo non può essere inferiore a 80€, la quantità domandata non può essere maggiore di 100.000 unità. Quando la MES è piccola relativamente al mercato potenziale massimo, le imprese relativamente piccole avranno un vantaggio di costo rispetto alle imprese di dimensioni relativamente grandi. Ci aspetteremo che un mercato in cui operano imprese caratterizzate da questo tipo di curva LRATC sia affollato da molte piccole imprese. Le economie di scala aumentano con il prodotto persino quando l’impresa fornisce la massima quantità domandata possibile. In tale mercato un unica grande impresa ha un vantaggio di costo rispetto a una più piccola. Quando, infatti, entra nel mercato ed espande la produzione sino a soddisfare gran parte della quantità domandata potenziale, ha già raggiunto un costo unitario inferiore a quello che qualsiasi nuovo concorrente potrebbe sperare di raggiungere. Poiché questo mercato graviterà naturalmente verso una condizione di monopolio, viene definito monopolio naturale. Se la MES si verifica al 25% del mercato potenziale massimo, ci aspetteremo pochi grandi concorrenti ciascuno dei quali avrà un vantaggio di costo rispetto a qualsiasi unica impresa che cercasse di soddisfare autonomamente l’intero mercato, ma anche rispetto a imprese piccole. La presenza massiccia di input “in

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blocco” determina delle economiche di scala che si esauriscono solo quando ogni impresa ha espanso la produzione sino a soddisfare una quota relativamente grande del mercato. In questo caso la MES corrisponde al livello di produzione minimo al quale l’impresa raggiunge il costo unitario minimo. Le piccole imprese talvolta si rendono conto che, fondendosi per formare un’unica azienda più grande con una produzione doppia, potrebbero avere un notevole vantaggio di costo rispetto alle altre imprese più piccole. Quando le condizioni di un mercato rimangono stabili per un lungo periodo di tempo, siamo propensi a credere che le imprese si siano già espanse per sfruttare le economie di scala tramite fusioni o altri mezzi. Un’ondata di fusioni è innescata da qualche cambiamento del mercato (come ampiamente dimostrato dalla storia recente). La struttura di mercato in generale, e le fusioni e acquisizioni in particolare, sollevano importanti questioni di politica pubblica. Quando la riduzione dei costi deriva dalle fusioni, è possibile che i prezzi aumentino anche se i costi diminuiscono. Spesso in alcuni mercati le fusioni provocano controversie particolari.

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LA MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Consideriamo l’impresa come un unico soggetto economico il cui obbiettivo consista nel massimizzare il profitto dei proprietari. Profitto: differenza tra il ricavo dalle vendite dell’impresa e i suoi costi di produzione. Possiamo dare due diverse definizioni di profitto:

1. Profitto contabile: vengono considerati solo i costi espliciti Profitto contabile = ricavo totale – costi contabili. 2. Profitto economico: considera anche i costi impliciti.

Profitto economico = ricavo totale – (costi impliciti + costi espliciti). La misura corretta del profitto, è quella del profitto economico. Gli economisti considerano il profitto come una forma di retribuzione per due tipi di contributi:

1. assunzione del rischio: qualcuno ha dovuto prendere l’iniziativa di organizzare l’attività assumendosi i rischi di un eventuale fallimento. Poiché le conseguenze di una perdita sono molto gravi il compenso del successo deve essere considerevole.

2. innovazione: in quasi tutte le imprese per avviare un’attività serve un’innovazione. L’impresa è soggetta a dei vincoli sia in materia di ricavo sia per quanto riguarda i costi.

• Vincolo della domanda: le curve di domanda di mercato indicano la quantità domandata da tutti i consumatori, mentre la curva di domanda individuale indica la quantità domandata da un solo consumatore. La curva di domanda per un’impresa, invece, indica in corrispondenza di diversi prezzi, la quantità di prodotto che i clienti sceglieranno di acquistare da quell’impresa. Tale curva si riferisce solo a una impresa e a tutti gli acquirenti. Indica il prezzo massimo che l’impresa può fissare per vendere ogni data quantità di prodotto. Tale curva costituisce un vincolo per l’impresa in quanto l’azienda può liberamente decidere il prezzo O il livello di produzione ma, una volta compiuta la scelta, l’altra variabile è data automaticamente dalla curva. Pertanto l’impresa può compiere solo una scelta.

• Ricavo totale: è il flusso totale di entrate derivate dalla vendita del prodotto. Ogni volta che si sceglie un livello di produzione si determina anche il ricavo totale. Una volta noto il livello di produzione conosciamo anche il prezzo più elevato che l’impresa può fissare. Il ricavo totale ne deriva automaticamente. Aumentando il numero delle unità di prodotto ma riducendone il prezzo, il ricavo totale può crescere o diminuire.

• Vincolo del costo: ogni impresa cerca in tutti i modi di ridurrei suoi costi che tuttavia non possono scendere oltre un certo limite. L’impresa ha una data funzione di produzione, che è determinata dalla sua tecnologia di produzione, indicante tutti i diversi modi in cui si può produrre un determinato livello di output. Nel lungo periodo l’impresa può utilizzare qualsiasi metodo contemplato dalla sua funzione di produzione. Nel breve periodo i vincoli sono più stretti poiché uno o più input sono fissi. L’impresa inoltre deve pagare dei prezzi per ognuno degli input che utilizza. Insieme, la funzione di produzione e i prezzi degli input determinano quanto costa produrre ogni dato livello di output. Una volta scelto il metodo disponibile che comporta il costo più basso, l’impresa ha ridotto al minimo il costo di produrre la quantità scelta.

Per ogni dato livello di produzione conosciamo l’ammontare del ricavo che l’impresa guadagnerà e i costi di produzione che essa deve sostenere. Possiamo allora calcolare il profitto come Profitto = TR – TC. Con questo approccio è semplicissimo trovare il livello di produzione che consente una massimizzazione del profitto: basta scorrere i valori della colonna del profitto fino a trovare quello maggiore con il relativo livello di produzione. La massimizzazione del profitto si può anche trovare facendo riferimento all’approccio del ricavo marginale. Con questo metodo il profitto è definito come MR = ∆TR/∆Q. MR indica la misura dell’aumento del ricavo per incremento unitario della quantità prodotta. I valori marginali indicano cosa succede quando la quantità prodotta varia da un livello a un altro.

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Quando MR è positivo un incremento della produzione fa crescere il ricavo totale. Quando MR è negativo un incremento della produzione fa diminuire il ricavo totale. A ogni aumento della produzione MR è inferiore al prezzo che l’impresa chiede per il nuovo livello di produzione. La risposta è da cercarsi nell’andamento decrescente della curva di domanda per l’impresa, che significa che un incremento delle vendite richiede una riduzione del prezzo. Se la curva di domanda per un impresa è inclinata verso il basso, ogni incremento della produzione porta ad un incremento di ricavi (derivante dalla vendita della quantità di prodotto aggiuntiva al nuovo prezzo) e a una perdita di ricavi (derivante dall’abbassamento del prezzo per tutte le unità di prodotto precedenti). Il ricavo marginale è quindi inferiore al prezzo dell’ultima unità di prodotto. Un incremento della quantità prodotta fa sempre crescere il profitto quando il ricavo marginale è superiore al costo marginale (MR > MC). Un incremento della quantità prodotta fa sempre diminuire il profitto quando il ricavo marginale è inferiore al costo marginale (MR < MC). Per trovare il livello di produzione che massimizza il profitto, l’impresa dovrebbe espandere la produzione quando MR > MC e ridurla quando MR < MC. A volte capita che in corrispondenza di alcune variazioni della produzione, MR è esattamente pari a MC. In questi casi l’incremento della produzione aumenterebbe sia il costo sia il ricavo della stessa quantità, per cui il profitto non subirebbe alcuna variazione. L’impresa non dovrebbe preoccuparsi per tali variazioni della produzione. Il ricavo marginale corrispondente a qualsiasi variazione della quantità prodotta è pari alla pendenza della curva del ricavo totale in tale intervallo. Finché la curva MR si trova sopra l’asse orizzontale (MR > 0), TR deve aumentare e la sua curva deve avere andamento crescente. Quando la curva MR scende sotto l’asse orizzontale TR diminuisce e la sua curva inizia a scendere. La quantità del profitto è graficamente rappresentata dalla distanza verticale tra le curve TR e TC, nell’intervallo in cui la prima si trova sopra la seconda. L’impresa deve scegliere dei numeri interi per la sua quantità prodotta, quindi il livello di produzione che massimizza il profitto è semplicemente la quantità identificata da un numero intero per cui la suddetta distanza verticale è maggiore. Per massimizzare il suo profitto l’impresa dovrebbe realizzare la quantità di prodotto in corrispondenza della quale la distanza verticale tra le curve TR e TC è maggiore e la curva TR si trova sopra la TC. Nel grafico i dati marginali sono posti fra i livelli di produzione. Se la curva MR si trova sopra la MC (MR > MC) l’impresa dovrebbe produrre di più. Per ogni produzione che aumenti il profitto la curva MR si trova sopra la MC. Non appena una variazione della quantità prodotta riduce il profitto, la curva MR interseca la MC e passa sotto di essa. Per massimizzare il suo profitto l’impresa dovrebbe realizzare il livello di produzione più vicino al valore per cui MC = MR, ossia il livello di produzione in corrispondenza del quale le curve MC ed MR si intersecano. Un errore comune è ritenere che l’impresa debba realizzare il livello di produzione per cui la differenza fra MR e MC è la più grande possibile. Finché MR è maggiore di MC anche solo di un po’ conviene incrementare la produzione perché in questo modo si aumenterà il ricavo più dei costi. L’impresa dovrebbe essere soddisfatta solo quando la differenza fra MC e MR è la più piccola possibile. A volte le curve MC ed MR si intersecano in due punti distinti. In questi casi il livello di produzione che massimizza il profitto è quello per cui la curva MC interseca la curva MR da sotto. Per i livelli di produzione inferiori il profitto scende mano a mano che incrementiamo la produzione verso il livello Q1. il profitto cresce quando aumentiamo la quantità prodotta oltre. Un errore comune è quello di utilizzare il costo medio al posto del costo marginale, nel processo decisionale. L’approccio corretto consiste nell’utilizzare il costo marginale e nel considerare gli incrementi della produzione di un’unità alla volta. L’impresa dovrebbe produrre la quantità per cui la curva del suo MC interseca quella del suo MR da sotto. Il costo medio non da alcun contributo, confonde solo le idee. In base all’approccio marginalista al profitto l’impresa dovrebbe intraprendere ogni azione che aumenti il suo ricavo più del suo costo. Nel breve periodo l’impresa deve pagare i suoi input fissi ma può ancora prendere decisioni di produzione, e una delle opzioni disponibili è la cessazione dell’attività, ossia l’interruzione, anche temporanea, della produzione.

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In alcuni casi anche a un’impresa che realizza una perdita conviene continuare l’attività. L’obiettivo rimane comunque la massimizzazione del profitto ma ora il maggior profitto sarà quello con il minor valore negativo. In altre parole ma massimizzazione del profitto diventa la minimizzazione delle perdite. L’impresa deve continuare a produrre se le perdite sarebbero maggiori interrompendo la produzione e cessando l’attività. Nel breve periodo un’impresa deve continuare a sostenere il costo fisso a prescindere dal livello di produzione (ossia anche se non produce niente). Se l’impresa cessa l’attività subirà una perdita pari al suo TFC, non realizzando alcun ricavo. Se però può ridurre la perdita ad un valore inferiore a TFC, allora dovrebbe continuare a produrre. I dirigenti d’azienda spesso chiamano TVC il costo d’esercizio dell’impresa, poiché l’impresa sostiene tale costo solo se continua ad operare. Se, rimanendo aperta, può ottenere un ricavo più che sufficiente a coprire i suoi costi di esercizio, allora l’impresa realizza un profitto di esercizio (TR > TVC). Non dovrebbe chiudere perché può utilizzare il profitto di esercizio per sostenere parte dei costi fissi. Ma se una impresa, continuando la produzione, non riesce a coprire nemmeno il suo costo di esercizio, allora dovrebbe cessare definitivamente l’attività poiché continuando ad operare aumenterebbe solo la sua perdita. Con queste considerazioni si può formulare una regola della cessazione dell’attività: essendo Q* il livello di produzione per cui MC = MR, allora nel breve periodo

• se TR > TVC per Q*, l’impresa dovrebbe continuare a produrre • se TR < TVC per Q*, l’impresa dovrebbe cessare l’attività • se TR = TVC per Q*, per l’impresa è equivalente cessare l’attività o meno.

Tale regola vale solo nel breve periodo. Un’impresa può anche decidere di interrompere la produzione nel lungo periodo e in questo caso diciamo che ha deciso di uscire dall’industria. Si tratta di una decisione diversa: nel lungo periodo, infatti, non ci sono costi fissi dato che tutti gli input possono essere modificati, quindi un’impresa che decidesse di uscire, riducendo tutti gli input a zero, avrà costi nulli e non realizzerà profitti. Un’impresa dovrebbe prendere tale decisione quando l’unica alternativa prevede di realizzare un profitto negativo.

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LA CONCORRENZA PERFETTA Per struttura di mercato, intendiamo tutte le caratteristiche di un mercato che influenzano il comportamento degli acquirenti e de venditori quando si riuniscono per commerciare. Per definire tale struttura ci poniamo 3 domande:

1. quanti acquirenti e venditori sono presenti nel mercato? 2. i venditori offrono un prodotto standardizzato o ci sono differenze significative fra i prodotti? 3. vi sono barriere all’entrata e all’uscita, o meno?

Le risposte a tali domande ci consentono di classificare i mercati nei quattro tipi fondamentali: - concorrenza perfetta - monopolio - concorrenza monopolistica - oligopolio.

In economia il termine “concorrenza” è usato indicando una situazione di concorrenza diffusa e impersonale in un ambiente molto popolato. La concorrenza perfetta è una struttura di mercato in cui

- è presente un elevato numero di acquirenti e venditori - i venditori offrono un prodotto standardizzato - i venditori possono facilmente entrare e uscire dal mercato.

Quello che si definisce un numero elevato di acquirenti e venditori può variare al variare delle condizioni ciò che importa è che sia un numero talmente elevato che nessun singolo soggetto possa influenzare in maniera significativa il prezzo del prodotto modificando la quantità che acquista o vende. I consumatori non percepiscono differenze significative tra i prodotti di venditori diversi. In caso contrario, il mercato non è perfettamente concorrenziale. L’entrata in un mercato è difficilmente gratuita. In un mercato perfettamente concorrenziale, però, non ci sono barriere significative per scoraggiare i nuovi entranti. Molti mercati invece presentano notevoli barriere all’entrata, note come barriere legali (es. leggi sulla zonizzazione). Le barriere all’entrata possono sorgere anche senza alcun intervento statale perché i venditori già presenti nel mercato hanno un vantaggio notevole che i nuovi entranti non possono riprodurre. Oltre alla facile entrata la concorrenza perfetta richiede anche una facile uscita, le barriere all’uscita non sono conformi alle ipotesi della concorrenza perfetta. Le condizioni che un mercato di concorrenza perfetta deve soddisfare sono piuttosto restrittive. La concorrenza perfetta è un modello che non può cogliere tutti i dettagli del mondo reale ma risulta particolarmente adatto all’analisi di alcuni casi. Nella stragrande maggioranza dei casi i mercati non soddisfano una o più delle condizioni della concorrenza perfetta. Eppure tale modello ci consente di utilizzare tecniche semplici per fare valide previsioni sulla riposta di un mercato a variazioni dei gusti dei consumatori. Gli economisti ritengono che molti mercati si avvicinino parecchio a questa condizione. Pertanto il modello della concorrenza perfetta può approssimare le condizioni e produrre delle previsioni sufficientemente precise in una gran varietà di mercati. In un mercato perfettamente concorrenziale imprese, consumatori e mercato si influenzano reciprocamente con una serie di meccanismi di feedback. Per questo nello studio dell’impresa concorrenziale dobbiamo analizzare anche il mercato concorrenziale in cui essa opera. Un’impresa perfettamente concorrenziale è soggetta a un vincolo di costo come ogni altra impresa. Il costo di produrre dipende dalla tecnologia di produzione e dai prezzi dei suoi input. La curva di domanda di un’impresa perfettamente concorrenziale è una linea retta orizzontale indicante un’elasticità infinita rispetto al prezzo. A prescindere dalla quantità prodotta, il bene verrà venduto sempre allo stesso prezzo? Nella concorrenza perfetta il bene è standardizzato quindi gli acquirenti non distinguono fra il bene di un’impresa e quello di un’altra. Pertanto, se un’impresa alza il suo prezzo non venderà semplicemente di meno, ma non venderà affatto.

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La curva di domanda orizzontale descrive anche che l’impresa, essendo solo un piccolo produttore impossibilitato a variare percettibilmente la quantità di mercato e ad influenzare il prezzo di un bene, può espandere la sua produzione senza dover abbassare il prezzo. Nella concorrenza perfetta l’impresa è un price taker, ossia considera il presso del suo prodotto come dato. La curva di domanda orizzontale e il conseguente comportamento delle imprese, sono caratteristiche tipiche della concorrenza perfetta. Un’impresa concorrenziale considera il prezzo di mercato come dato, quindi la sua unica decisione riguarda la quantità di prodotto da realizzare e produrre. Per una impresa concorrenziale il ricavo marginale in corrispondenza di ogni quantità è pari al prezzo di mercato. Per questo la curva del ricavo marginale e quella della domanda per l’impresa coincidono e sono rappresentate da una retta orizzontale a livello del prezzo di mercato. Per ogni livello di produzione (per calcolare il profitto totale) si sottrae il costo totale dal ricavo totale. Profitto totale = TR – TC. Poi si può passare alla colonna dei livelli di produzione per trovare quello corrispondente al profitto più elevato. Graficamente il profitto totale per ogni livello di produzione corrisponde alla distanza fra le curve TR e TC. Tuttavia questo approccio porta a trascurare la relazione tra le variazioni della quantità prodotta e le variazione del ricavo totale e del costo totale. In base all’approccio MR e MC l’impresa dovrebbe continuare a espandere la produzione fintanto che il ricavo marginale è superiore al costo marginale. Graficamente i valori del prodotto per cui le curve MR e MC si intersecano sono due, ma va escluso il punto in cui la curva MC interseca la curva MR da sopra. Altro metodo grafico per misurare il profitto si ha calcolando inizialmente il profitto unitario, ossia il ricavo che l’impresa realizza per ogni unità, meno il costo per unità. Il ricavo unitario è il prezzo del prodotto meno ATC (ossia il costo unitario) Profitto unitario: P – ATC. L’obiettivo dell’impresa, però, è massimizzare il profitto totale, non quello unitario. Un’impresa realizza un profitto quando P > ATC. Il profitto totale in corrispondenza del livello di produzione ottimale è pari all’area del rettangolo con altezza uguale alla distanza fra P e ATC e larghezza uguale al livello di produzione. Un’impresa subisce una perdita quando P < ATC in corrispondenza del livello di produzione ottimale. La perdita totale è pari all’area del rettangolo con altezza uguale alla distanza tra P e ATC e larghezza uguale al livello di produzione. Un’impresa concorrenziale è un price taker che accetta il prezzo di mercato come dato e decide la quantità di prodotto da realizzare in corrispondenza di quel prezzo. Se il prezzo di mercato varia, il prezzo preso come dato varierà di conseguenza. L’impresa allora dovrà trovare un nuovo livello di produzione che massimizzi il profitto. Tale livello di produzione si trova sempre muovendosi lungo il livello del prezzo intersecando la curva MC dell’impresa e scendendo poi sull’asse orizzontale. Se l’impresa subisce una perdita sufficientemente grande da giustificare la cessazione dell’attività, allora non produrrà lungo la sua curva MC ma produrrà zero unità. Un’impresa non dovrebbe mai cessare l’attività quando TR > TVC, mentre dovrebbe farlo sempre quanto TR < TVC. Se TR = TVC per l’impresa sarà indifferente continuare a produrre o cessare l’attività. Questo livello prende il nome di prezzo di cessazione dell’attività poiché l’impresa cesserà per ogni prezzo inferiore e continuerà a produrre per ogni prezzo superiore. Il livello di produzione per cui l’impresa deve chiudere deve trovarsi nel punto minimo della curva AVC. Quando il prezzo del prodotto diminuisce il livello di produzione ottimale si trova muovendosi lungo la curva MC fino a trovare il punto di intersezione con AVC. L’impresa cesserà l’attività in questo punto e MC intersecherà sempre AVC nel suo punto minimo. Tutte queste informazioni possono essere riassunte in un’unica curva: curva di offerta dell’impresa. Che indica la quantità di prodotto che l’impresa realizzerà in corrispondenza di ogni prezzo-. La curva di offerta di un’impresa concorrenziale è costituita da due parti: per tutti i prezzi superiori al punto minimo della curva AVC, la curva di offerta coincide con la curva MC; per tutti i prezzi inferiori al punto minimo della curva AVC, l’impresa cesserà l’attività quindi la sua curva di offerta diventa una linea retta verticale in corrispondenza di zero unità del prodotto.

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Il breve periodo è un intervallo di tempo insufficiente perché una nuova impresa acquisti gli input fissi per entrare nel mercato ed è allo stesso modo insufficiente perché un’impresa riduca i suoi input fissi a zero ed esca dal mercato. Pertanto nel breve periodo il numero delle imprese di un’industria è fisso. Per ottenere la curva di offerta di mercato basta sommare le quantità di prodotto offerte da tutte le imprese del mercato in corrispondenza di ogni dato prezzo. Muovendoci lungo questa curva, manteniamo costanti i valori di

1. input fissi di ogni impresa 2. numero di imprese nel breve periodo.

Allo stesso modo, per ottenere la curva di domanda del mercato, sommiamo le quantità domandate da tutti i consumatori. Queste curve di domanda e offerta indicano delle relazioni ipotetiche. Mettendole insieme troviamo il loro punto d’intersezione e conosciamo il prezzo di equilibrio, ossia il prezzo a cui avverrà lo scambio nella realtà. Poniamo poi ogni impresa e ogni consumatore davanti al prezzo di equilibrio per trovare la quantità effettiva che ogni consumatore acquisterà e che ogni impresa produrrà. Nell’equilibrio di breve periodo le imprese concorrenziali possono realizzare un profitto economico oppure subire una perdita economica. Nella concorrenza perfetta il mercato riassume le preferenze di acquisto e vendita dei singoli consumatori e produttori, e determina il prezzo di mercato. Ogni acquirente e venditore prende poi il prezzo di mercato come dato ed è in grado di acquistare o vendere la quantità che desidera. La forza che spinge un’impresa ad entrare nel mercato, è il profitto. Quella che la spinge ad uscire è la perdita economica. Quando un’impresa realizza un profitto economico, sappiamo che i proprietari guadagnano più di quanto non potrebbero dedicando il loro tempo e denaro ad altro. Un profitto temporaneo non avrà un grosso impatto su un’industria concorrenziale ma darà solo una soddisfazione temporanea ai proprietari. Quando invece il profitto positivo si prevede che perduri, sono in procinto di avvenire entrate nel mercato. Il contrario si verifica per un profitto negativo. Nel mondo reale le imprese entrano ed escono dal mercato ogni giorno. Un’impresa può uscire dal mercato vendendo il suo patrimonio e liberandosi, cosi, dai costi. Ma l’uscita può avvenire anche quando un’impresa abbandona una determinata linea di prodotti, continuando a produrre altro. Supponiamo che un mercato si trovi inizialmente in una situazione di equilibrio nel breve periodo. Passando nel lungo periodo avverranno dei cambiamenti con il variare del numero dei venditori del mercato. Se tale numero aumenta la curva di offerta del mercato si sposta verso destra e verrà quindi offerta una quantità maggiore in corrispondenza di ogni prezzo, e pertanto

1. il prezzo di mercato comincia a scendere 2. man mano che il prezzo scende, comincia a scendere la curva di domanda per ogni impresa 3. ogni impresa scenderà lungo la sua curva del costo marginale, riducendo la propria produzione.

In un mercato concorrenziale il profitto economico positivo continua ad attrarre nuove imprese finché diventa nullo. Se una barriera permanente impedisse alle nuove imprese di entrare nel mercato questo meccanismo non si avvierebbe e sarebbe possibile realizzare un profitto economico nel lungo periodo. Partendo da una situazione di perdita vi è lo stesso processo ma in direzione opposta. In un mercato concorrenziale la perdita economica continua a provocare l’uscita delle imprese finché non si riduce a zero. Quando non sussistono barriere significative all’uscita possiamo essere sicuri che la perdita porterà le imprese ad uscire dal mercato facendo salire il prezzo fino a quando la singola industria non chiuderà nuovamente in pareggio. Barriere all’uscita significative impedirebbero questo meccanismo e le perdite persisterebbero nel lungo periodo. La distinzione fra l’equilibrio di breve periodo e quello di lungo periodo è importante ed a questo fa riferimento il settimo principio fondamentale dell’economia.

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Un profitto economico nullo non equivale a un profitto contabile nullo. Nel primo caso l’impresa realizza un profitto contabile appena sufficiente a coprire tutti i costi impliciti del proprietario. Gli economisti, per sottolineare che un profitto economico nullo non è un risultato spiacevole, vi si riferiscono spesso chiamandolo profitto normale. Nel lungo periodo ogni impresa concorrenziale realizzerà un profitto normale, ossia un profitto economico nullo. Nell’equilibrio d lungo periodo ogni impresa concorrenziale sceglierà le dimensioni dell’impianto e il livello di produzione che le consentono di operare sul punto minimo della sua curva LRATC. Riepilogo: l’impresa pendendo come dato il prezzo di mercato P* realizza il livello di produzione che massimizza il profitto q* per cui MR = MC. Poiché consideriamo il lungo periodo, ogni impresa realizzerà un profitto economico nullo quindi sappiamo anche che P*=ATC. Dato che P*=MC e P*=ATC deve essere anche vera l’equivalenza MC = ATC. MC e ATC hanno lo stesso valore in corrispondenza del punto minimo della curva ATC. Ogni impresa quindi deve operare sul punto più basso possibile della curva ATC relativa alle dimensioni del suo impianto. Ogni impresa sceglie l’impianto che rende il suo LRATC il più basso possibile, quindi ognuna opera sul punto minimo della sua curva LRATC. Quindi per ogni impresa concorrenziale, nell’equilibrio di lungo periodo P = MC = ATCminimo = LRATCminimo. Nel lungo periodo ogni impresa è mossa verso le dimensioni dell’impianto e il livello di produzione in corrispondenza dei quali il suo costo unitario è il più basso possibile; quest’ultimo è anche il prezzo unitario che i consumatori pagheranno. L’impatto, nel breve periodo, di un incremento della domanda consiste in

- un aumento del prezzo di mercato - una crescita della quantità di mercato - un profitto economico.

Se consideriamo il lungo periodo sappiamo che si verificherà l’entrata di nuove impresa che sposta la curva di domanda verso destra riducendo il prezzo finché ogni impresa non realizza un profitto economico nullo. Quando delle nuove imprese entrano in un’industria la quantità prodotta aumenta e l’industria domanderà più input facendone crescere i prezzi. Tale aumento dei prezzi degli input eserciterà un effetto sulla curva ATC di un’impresa. Ogni impresa dovrà sostenere dei costi più elevati per realizzare qualsiasi livello di produzione e la curva ATC si sposterà verso l’alto. Dopo tale spostamento si arriva a un punto di equilibrio in cui il prezzo è più alto e l’impresa realizza un profitto economico. Tale profitto porta l’entrata di nuove impresa e la curva di offerta comincia a spostarsi verso destra facendo scendere il prezzo. L’espansione della produzione dell’industria aumenta i prezzi degli input e fa spostare la curva ATC verso l’alto. Pertanto l’impresa realizzerà un profitto nullo a un prezzo superiore al livello iniziale. L’entrata delle nuove concorrenti, quindi, cesserà. Nel lungo periodo dopo che la curva di domanda si sposta verso destra, si raggiunge un nuovo equilibrio di mercato. Tracciando, graficamente, una linea passante per i due punti del nuovo e del precedente equilibrio, sappiamo che prezzo di mercato dobbiamo aspettarci nel lungo periodo per ogni quantità di prodotto che offre il mercato.

• Curva di offerta nel lungo periodo: relazione esistente fra il prezzo di mercato e la quantità prodotta al termine di tutti gli aggiustamenti del lungo periodo.

Esistono tre tipi di industria:

• Industria a costi crescenti: l’entrata provoca un aumento dei prezzi degli input, spostando verso l’alto la curva ATC dell’impresa tipica e aumentando il prezzo di mercato al quale le imprese realizzano un profitto economico nullo. Di conseguenza, la curva di offerta nel lungo periodo è inclinata verso il basso.

• Industria a costi costanti: l’entrata non provoca alcun impatto sui prezzi degli input, pertanto la curva ATC dell’impresa tipica non si sposta e il prezzo di mercato che consente di realizzare un profitto economico nullo non varia. Di conseguenza la curva di offerta di lungo periodo è orizzontale.

• Industria a costi decrescenti: l’entrata provoca una diminuzione dei prezzi degli input, spostando verso il basso la curva ATC dell’impresa tipica e riducendo il prezzo di mercato che consente di realizzare un profitto economico nullo. Di conseguenza la curva di offerta di lungo periodo è inclinata verso il basso.

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Nel mondo reale le curve di domanda dei diversi beni e servizi si spostano in continuazione. Al crescere o al diminuire della domanda di un mercato, i prezzi variano. Le variazioni dei prezzi agiscono come dei segnali per le imprese perché entrino o escano da un’industria. Quando la domanda aumenta il prezzo tende inizialmente a superare il suo valore di equilibrio di lungo periodo durante il processo di aggiustamento, creando dei considerevoli profitti temporanei per le imprese esistenti. Quando la domanda diminuisce il prezzo scende sotto il suo valore di equilibrio di lungo periodo, provocando delle considerevoli perdite per le imprese esistenti. Cosi il sistema economico è portato a produrre qualsiasi insieme di beni preferiscano i consumatori. Per la maggior parte, queste risorse sono state liberate dalle industrie che hanno subito una riduzione della domanda. Non esiste alcun singolo individuo o organismo governativo che controlla questo processo. Le innovazioni tecnologiche: i mercati perfettamente concorrenziali offrono i beni ce i consumatori desiderano acquistare al più basso prezzo possibile. In questi mercati la produzione segue l’andamento della domanda dei consumatori. Ma i mercati concorrenziali tengono in considerazione anche altri tipi di variazioni che assicurano ai consumatori i benefici delle innovazioni tecnologiche. Quando viene introdotta una nuova tecnologia a maggior rendimento, all’inizio supponiamo che solo un’impresa si avvalga di questa innovazione e la sua curva ATC si sposterà verso il basso. In questo modo può produrre quanto vuole continuando a vendere il grano allo stesso prezzo e può scegliere fra diversi livelli di produzione per il quali P>ATC, realizzando un profitto economico. Nel lungo periodo, però, si verificheranno due eventi:

- le altre imprese saranno incentivate ad adottare la nuova tecnica (non ci sono barriere) - altre imprese saranno incentivate ad entrare nell’industria con impianti che utilizzino questa

tecnologia, spostando la curva di offerta di mercato verso destra e facendo scendere il prezzo. Tale processo si fermerà solo quando il prezzo di mercato avrà raggiunto il livello per cui le imprese che utilizzano la nuova tecnologia realizzano un profitto economico nullo. Un’impresa non disposta a cambiare la sua tecnologia, mentre gli altri introducono l’innovazione e il prezzo scende, finirà per subire una perdita economica poiché il suo costo medio rimarrà più alto. I suoi concorrenti non se ne preoccuperanno e tale impresa sarà obbligata a uscire dal mercato. Alla fine tutte le imprese devono disporre della stessa tecnologia. Nel lungo periodo tutti i produttori si ritroveranno al punto di partenza con un profitto economico nullo e saranno avvantaggiati i consumatori che acquisteranno il bene a un prezzo inferiore.

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MONOPOLIO Molte piccole imprese e alcune grandi imprese realizzano profitti elevati per i loro proprietari anno dopo anno. Per analizzare questi casi il modello della concorrenza perfetta non è utile, perché le imprese perfettamente concorrenziali realizzano sempre un profitto economico nullo nel lungo periodo. Allo stesso modo tale modello non ci aiuta a comprendere decisioni di politica di prezzo, poiché l’impresa perfettamente concorrenziale è un price taker. Ci sono poi mercati per cui tale modello è totalmente inappropriato, per questo gli economisti hanno individuato altre strutture di mercato e hanno elaborato dei modelli per poterle analizzare. I monopoli rappresentano un problema che tutte le nazioni del mondo tentano di risolvere con l’intervento dello Stato. Il potere di monopolio può essere considerevole ma non sarà mai illimitato. Sebbene nella maggior parte dei casi i monopoli dovrebbero essere evitati, a volte costituiscono il metodo migliore con cui organizzare la produzione. In tali contesti vanno gestiti e non distrutti! Impresa monopolistica: l’unico venditore di un bene o servizio senza validi sostituti. Il mercato in cui tale

impresa opera è detto mercato monopolistico. l’esistenza di un monopolio è indizio della presenza di fattori che costringono altre imprese a rimanere fuori dal mercato senza potervi entrare per concorrere con l’impresa operante: vi sono delle barriere all’entrata. I tipi più diffusi sono 3:

1. Economie di scala: se le economie di scala persistono anche quando un’unica impresa produce per l’intero mercato, tale mercato è definito un monopolio naturale. In questo mercato un’impresa può produrre con un costo unitario inferiore a quanto non possano due o più imprese. A meno che lo Stato non intervenga, solo un venditore sopravvivrebbe nel mercato che si evolverebbe naturalmente in un monopolio.

Es. una impresa di pulitura a secco utilizza degli input in blocco che devono essere acquistati in date quantità minime per ampi intervalli dei livelli di produzione. Per tutti i livelli di produzione compresi tra 0 e 300 essa necessita della stessa quantità di macchinari. Più abiti vengono puliti più si riduce il costo per capo e si creano economie di scala (la curva LRATC è inclinata verso il basso). Un unico negozio sarà in grado di sostenere un costo unitario inferiore rispetto a due o più negozi. La curva di domanda di mercato interseca la curva LRATC in corrispondenza di 300 unità e poi scende sotto di essa. Tale andamento indica che il mercato potenziale massimo del servizio è pari a 300 unità alla settimana. Affinché la quantità data di mercato superi le 300 unità il prezzo dovrebbe scendere, ma perché si possa offrire tale quantità il costo per unità dovrebbe salire. Se un’impresa chiedesse la cifra più elevata di quella che il mercato è disposto a pagare, essa dovrebbe uscire dal mercato. Se più imprese si suddividessero il mercato sarebbe ancora peggio perché il loro costo unitario sarebbe maggiore. Se in una città vi fosse già un’impresa dello stesso tipo un’altra persona non dovrebbe avviarne una simile. Per attrarre i clienti, infatti, dovrebbe fissare un prezzo pari o inferiore all’impresa concorrente. Ma l’impresa operante è già avvantaggiata in quanto il suo costo unitario è già inferiore a quello che la nuova impresa potrebbe sperare di raggiungere. Sotto la minaccia dell’entrata l’impresa esistente potrebbe abbassare il suo prezzo continuando a realizzare un modesto profitto, mentre la nuova impresa chiedendo lo stesso prezzo subirebbe una perdita.

2. barriere legali: molti monopoli nascono grazie alla presenza di barriere legali. Ve ne sono due tipi principali:

a) proprietà intellettuale: comprende le opere letterarie, artistiche, musicali, invenzioni e scoperte scientifiche. Gran parte di tali mercati sono monopoli. Lo stato concede il monopolio ai creatori della proprietà intellettuale ma sono per un periodo di tempo limitato che, una volta scaduto, autorizza l’entrata nel mercato sperando che la concorrenza abbassi i prezzi. I principali tipi di protezione sono diritti d’autore (opere letterarie musicali e artistiche) e brevetto (scoperte scientifiche e nuovi prodotti).

b) Licenze: le grandi imprese generalmente sono create tramite licenze che garantiscono l’esclusività dei diritti su un prodotto. Ogni altra impresa che entra nel mercato viene perseguita. Gli Stati assicurano una licenza quando ritengono il mercato un monopolio naturale e cerca di tenere i costi e i prezzi bassi assicurando l’assenza di concorrenti. In cambio il venditore deve sottomettersi alla proprietà e al controllo statale completi, oppure alla regolamentazione statale sui suoi prezzi e profitti.

3. Esternalità di rete: si verificano quando un aumento del numero di membri della rete (utenti del

prodotto) incrementa il valore assunto dalla rete per i suoi membri attuali e potenziali. Situazione in

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cui il valore di un bene o servizio per ogni singolo utente aumenta con l’aumentare del numero degli utenti.

L’obiettivo di un monopolista è realizzare il maggior profitto possibile, ma come ogni altra impresa è soggetto a vincoli:

o Dei costi: per ogni possibile livello di produzione l’impresa deve pagare un dato costo totale di produzione. Tale vincolo è determinato dalla tecnologia di produzione del monopolista, che indica il livello di prodotto realizzabile con le diverse combinazioni di input, e anche dai prezzi che si devono pagare per tali input. Tale vincolo è uguale a quello di ogni altra impresa.

o Della domanda: la curva di domanda del monopolista indica il prezzo massimo che può chiedere per vendere ogni data quantità di prodotto.

I monopolisti possono decidere il prezzo o il livello di produzione. Una volta stabilito uno dei due, l’impresa può determinare anche l’altro. Qualsiasi variazione del livello di produzione implica una variazione di prezzo e viceversa. Nel caso in cui un monopolista voglia espandere la sua produzione, in quanto è soggetto a una curva di domanda, dovrà ridurre il prezzo. Questo nuovo prezzo vale anche per le unità che precedentemente vendeva a un prezzo superiore. La diminuzione del prezzo e l’incremento della produzione causano due effetti contrastanti sul ricavo totale:

- viene venduta una maggior quantità di prodotto (aumenta il ricavo) - tutte le unità sono vendute a un prezzo inferiore (diminuisce il ricavo).

L’effetto finale può essere un aumento o una diminuzione del ricavo totale e il ricavo marginale dell’impresa può essere positivo o negativo. Abbassando i prezzi si passa dal punto A al punto B (fig.2 pag.276) e il ricavo totale aumenta. Il ricavo marginale si calcola MR = ∆TR/∆Q. Tale valore si trova in corrispondenza del punto C (metà fra A e B). MR è inferiore al nuovo prezzo del prodotto a causa dei due effetti contrastanti. Quando una qualsiasi impresa è soggetta a una curva di domanda inclinata verso il basso, il ricavo marginale sarà inferiore al prezzo del prodotto perciò la curva del ricavo marginale si troverà sotto la curva di domanda. In corrispondenza di altri spostamenti lungo la curva di domanda il ricavo totale può diminuire e il ricavo marginale sarà negativo. In questi casi la curva del ricavo marginale si trova sotto l’asse orizzontale. Il monopolio realizza un livello di produzione in corrispondenza di un ricavo marginale positivo, pertanto l’impresa produrrà sempre in un punto in cui MR è positivo. Per massimizzare il profitto il monopolista dovrebbe realizzare un livello di produzione in cui MC=MR e la curva MC interseca MR dal basso. Per il monopolio la decisione del prezzo e quella del livello di produzione sono due modi diversi di prendere la stessa decisione. Aggiungendo al grafico la curva del costo medio ATC, e ricordando che Profitto unitario = P – ATC, sappiamo che il prezzo P in corrispondenza di ogni livello è dato dalla curva di domanda. Il profitto unitario, quindi, è dato dalla distanza fra la curva di domanda e la curva ATC. Un monopolio realizza un profitto ogniqualvolta P>ATC. Il profitto totale in corrispondenza del livello di produzione ottimale equivale all’area del rettangolo con altezza pari alla differenza fra P e ATC e larghezza pari alla quantità prodotta. Un monopolista però può anche realizzare delle perdite, ogniqualvolta P < ATC. La curva ATC in questo caso si trova sempre sopra la curva di domanda, quindi vi sarà una perdita qualsiasi quantità l’impresa produca. La perdita totale in corrispondenza del livello di produzione ottimale equivale all’area del rettangolo con altezza pari alla differenza tra ATC e P e larghezza pari alla quantità prodotta. La curva di offerta ha senso per un impresa che accetta il prezzo di mercato come dato e risponde decidendo la quantità da produrre. Un monopolista sceglie il suo prezzo quindi il concetto di curva di offerta non ha senso. La curva di offerta del monopolio non esiste. Se un monopolista nel breve periodo subisce una perdita, deve decidere se cessare l’attività o meno. Qualsiasi impresa dovrebbe cessare l’attività se P < AVC in corrispondenza del livello per cui MR = MC. Se il prezzo unitario dell’impresa non è in grado di coprire i costi unitari variabili o di esercizio in corrispondenza del livello ottimale di produzione, allora dovrebbe cessare l’attività.

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In alcuni casi la regola di cessazione dell’attività non è molto precisa. Per esempio molti monopoli che producono un servizio essenziale, sono soggetti a regolamentazione governativa. Il governo non permetterà a tale monopolio di chiudere ma compenserà le sue perdite con il gettito fiscale riscosso dai contribuenti. In un mercato monopolistico le barriere impediscono l’entrata di altre imprese. Il mercato non fornisce alcun meccanismo per eliminare il profitto del monopolio: al contrario delle imprese concorrenziali, i monopoli possono realizzare un profitto economico nel lungo periodo. Un monopolio privato che subisce una perdita economica nel lungo periodo uscirà dall’industria, come farebbe ogni altre impresa. A parità di altre condizioni in un mercato monopolistico possiamo aspettarci prezzi superiori e una quantità prodotta inferiore rispetto a un mercato perfettamente concorrenziale. Se un mercato concorrenziale fosse acquisito da un’unica impresa, nel nuovo mercato la curva di domanda di mercato diventa una curva inclinata verso il basso e pertanto il ricavo marginale sarà inferiore al prezzo e la curva MR sarà sempre sotto la curva di domanda. Per massimizzare il profitto occorre trovare il livello di produzione per cui MC = MR. L’impianto di ogni ex impresa concorrenziale continuerà a produrre con la stessa tecnologia di prima ma opererà come uno dei tanti diversi stabilimenti. La curva del costo marginale del monopolio coinciderà con la curva di offerta di mercato delle imprese concorrenziali. Dopo il rilevamento il monopolista chiede un prezzo maggiore e produce di meno realizzando un profitto economico. I consumatori pagano di più e comprano di meno, pertanto tale passaggio è sfavorevole per i compratori. Tale risultato si ottiene solo se tutte le altre condizioni rimangono inalterate. Il monopolio, però, può essere in grado di innovare la tecnologia produttiva cosicché tutte le altre condizioni non rimarrebbero inalterate. Per esempio un monopolio può specializzare ogni suo stabilimento e se questi risparmi sui costi consentono al monopolio di utilizzare una combinazione di input meno costosa per ogni livello di produzione, la curva del costo marginale sarà più bassa della curva di offerta del mercato concorrenziale. La monopolizzazione dell’industria concorrenziale, quindi, porta a due effetti contrastanti:

- per ogni data tecnologia produttiva la monopolizzazione porta a un aumento dei prezzi e ad una riduzione della quantità prodotta.

- le innovazioni tecnologiche possono portare a una riduzione dei prezzi e a un incremento della produzione.

l’effetto finale sul prezzo e sulla quantità dipende dalle forze relative di questi due effetti. Nella prima metà del secolo una potente legislazione anti – trust negli USA ha smantellato molti monopoli. Nella seconda metà del secolo molti monopoli sono stati posti al vaglio delle regolamentazioni governative, e si è riscontrato che erano in grado di massimizzare il loro profitto. Oggi i monopoli affrontano una nuova minaccia: il progresso tecnologico. Tuttavia non tutti i monopoli stanno per scomparire; il progresso tecnologico, infatti, pur indebolendo alcuni monopoli, può anche contribuire a mantenerne in vita per lungo tempo degli altri o a crearne di nuovi.

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CONCORRENZA MONOPOLISTICA La maggior parte dei mercati di beni e servizi non sono né perfettamente concorrenziali né monopolistici, ma si trovano in una situazione intermedia. Tale condizione è detta concorrenza imperfetta. Nella concorrenza imperfetta è presente più di un venditore, ma troppo pochi per creare un mercato perfettamente concorrenziale, e spesso non sono soddisfatta altre condizioni come la standardizzazione del prodotto e la libertà di entrata e uscita. Ci sono due diversi tipi di concorrenza imperfetta:

1. concorrenza monopolistica 2. oligopolio.

La concorrenza monopolistica è una struttura di mercato caratterizzata da:

- un gran numero di acquirenti e venditori - un prodotto differenziato - l’assenza di barriere all’entrata e all’uscita.

Combina caratteristiche sia della concorrenza perfetta sia del monopolio. Un’impresa in concorrenza monopolistica può alzare il prezzo (fino a un certo punto) e perdere alcuni clienti, ma ve ne saranno di altri che apprezzano il suo prodotto anche se lo fa pagare a un prezzo superiore. Pertanto l’impresa in concorrenza monopolistica è soggetta a una curva di domanda decrescente. Un prodotto può differenziarsi per

- qualità - ubicazione - componente soggettiva e illusoria (i consumatori CREDONO che il prodotto sia migliore).

L’impresa in concorrenza monopolistica è un price setter perché sceglie il suo prezzo. Tale impresa si comporta in maniera simile a un monopolista. I suoi vincoli sono costituiti da:

a) una data tecnologia di produzione b) prezzi degli input c) curva di domanda inclinata negativamente.

L’obiettivo è sempre quello di massimizzare il profitto. Quando l’impresa in concorrenza monopolistica alza il prezzo, i suoi clienti hanno un’altra alternativa: acquistare un bene simile da un’altra impresa. Quindi, a parità di condizioni, la curva di domanda cui è soggetta l’impresa dovrebbe essere più piana nella concorrenza monopolistica rispetto al monopolio. Nel breve periodo l’impresa può realizzare un profitto economico o subire una perdita economica, oppure raggiungere un punto di pareggio. Nella concorrenza monopolistica non vi sono barriere, quindi l’impresa non può godere a lungo del profitto. Man mano che la curva di domanda si sposta verso sinistra, la curva MR si sposta verso sinistra, perché uno spostamento verso sinistra della domanda corrisponde a un abbassamento della domanda. In presenza di più concorrenti, l’impresa deve chiedere un prezzo inferiore per poter ogni data quantità. Se però il prezzo è inferiore, in corrispondenza di qualsiasi quantità la vendita di un’unità aggiuntiva aumenta il ricavo totale in misura minore rispetto a prima. Quindi per ogni livello di produzione MR è inferiore alla situazione precedente. La curva MR si sposta verso il basso e verso sinistra. Nell’equilibrio di lungo periodo il prezzo che massimizza il profitto sarà sempre uguale al costo totale medio di produzione. Vale anche il processo opposto. Se un’impresa in concorrenza monopolistica vuole espandere la produzione, può ridurre il prezzo, ma questa non è l’unica soluzione. Può vendere di più anche convincendo i consumatori che il suo prodotto è migliore. Ogni azione che un’impresa intraprende per incrementare la domanda del proprio prodotto (esclusa la riduzione di prezzo) è chiamata concorrenza non di prezzo. La concorrenza non di prezzo è un’altra ragione per cui le imprese in concorrenza monopolistica realizzano un profitto economico nullo nel lungo periodo. Se un’impresa innovativa scopre un modo per spostare la propria curva di domanda verso destra, allora è possibile che nel breve periodo realizzi un profitto. Di conseguenze altre imprese, meno innovative, subiranno uno spostamento verso sinistra nella propria curva di domanda, perdendo clienti a favore della concorrente più innovativa. Ma nel lungo periodo tutte le imprese offriranno delle garanzie. Tutta questa concorrenza non di prezzo è costosa e tali costi vengono inclusi nella curva ATC di ogni impresa, che si alza di conseguenza. A causa dei costi della concorrenza non di prezzo, la curva ATC di ogni impresa sarà più alta di quanto non sarebbe altrimenti. Ma toccherà ancora la curva di domanda senza intersecarla e l’impresa realizzerà un profitto economico nullo.

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OLIGOPOLIO In alcuni mercati una gran parte del prodotto è venduta da un numero ristretto di imprese. Le imprese sono così poche che le azioni intraprese da una di esse influenzeranno la altre in larga misura e molto probabilmente ne scateneranno una reazione. Quando solo poche imprese dominano un mercato non è saggio per ognuna di esse ignorare le reazioni dei suoi concorrenti. Ogni impresa riconosce la sua interdipendenza strategica con le altre. Tale struttura di mercato si chiama oligopolio . Ci sono diversi tipi di oligopolio. Il prodotto offerto dalle imprese può essere più o meno omogeneo o differenziato. Un mercato oligopolistico può essere internazionale, nazionale o locale. Ci può essere un’impresa la cui quota di mercato supera di gran lunga le altre o possono esserci diverse grandi imprese di dimensioni molto simili. Le imprese oligopolistiche non realizzano sempre un profitto economico nel lungo periodo. Anche quando lo realizzano, non si verifica l’entrata di nuovi concorrenti, a causa di barriere all’entrata, quali:

- oligopoli naturali: le economie di scala possono limitare il numero delle imprese in grado di sopravvivere in un mercato, che si trasforma in oligopolio. Viene definito oligopolio naturale.

- barriera della reputazione: gli oligopolisti affermati hanno in genere una buona reputazione ed in molti casi hanno considerevoli spese per la pubblicità che contribuiscono a sviluppare e mantenere fedeltà alla marca. Una nuova impresa potrebbe essere in grado di porsi al pari di quelle preesistenti ma solo dopo un lungo periodo di alti costi pubblicitari e bassi ricavi.

- barriere strategiche: le imprese spesso perseguono delle strategie volte ad escludere potenziali concorrenti. Ad esempio possono conservare un eccesso di capacità produttiva come segnale per un potenziale entrante a indicare che potrebbero facilmente saturare il mercato, concludere accordi speciali con i distributori per ottenere i posti migliori sugli scaffali o stringere accordi a lungo termine con i clienti per assicurare che i loro prodotti non vengano sostituiti rapidamente da quelli nuovi entranti.

- barriere legali: i brevetti e i diritti d’autore possono generare anche degli oligopoli. Fino a quando tali brevetti non scadranno o non si svilupperanno altri nuovi prodotti, il mercato continuerà ad essere costituito da poche grandi imprese. Gli oligopolisti esercitano spesso pressioni sul governo per conservare il proprio dominio nel mercato. Uno dei bersagli più facili è la concorrenza estera, ma le barriere legali possono agire anche contro imprese nazionali.

L’essenza dell’oligopolio è l’interdipendenza strategica. Non si possono analizzare le decisioni prese da un’impresa isolata dalle altre. Per studiare gli oligopoli gli economisti hanno dovuto modificare gli strumenti utilizzati nell’analisi delle strutture di mercato ed elaborarne di nuovi. È stato sviluppato un approccio chiamato “teoria dei giochi”. In tutti i giochi un partecipante deve prendere in considerazione anche la strategia seguita dagli altri, e lo stesso vale per l’oligopolista. Tale teoria analizza le decisioni prese negli oligopoli come se si trattasse di giochi, osservando le regole che i partecipanti devono seguire, le vincite che cercano di ottenere e le strategie che impiegano per raggiungerle. Immaginiamo una città con due sole stazioni di servizio (duopolio) di Gianni e Filippo. Essi sono considerati come partecipanti di un gioco nel quale devono prendere le loro decisioni indipendentemente. La matrice dei payoff è una tabella indicante i profitti rispettivi di due imprese per ogni combinazione di strategie che esse scelgono. Pag. 297 fig 8, le colonne rappresentano le strategie che potrebbe adottare Gianni, le righe quelle che potrebbe adottare Filippo. Ognuno dei 4 riquadri corrisponde ad una delle quattro possibili combinazioni di strategie che potrebbero essere scelte dai due partecipanti. Ogni partecipante deve decidere la propria strategia senza conoscere quella dell’altro. Una volta scelta la strategia il partecipante non può modificarla per un determinato tempo. Una strategia dominante è la miglior strategia per un partecipante a prescindere da quella adottata dagli altri. Se un partecipante ha una strategia dominante in un gioco, possiamo ipotizzare che la seguirà. Quando ogni soggetto economico fissa il prezzo più basso, sta facendo del suo meglio date le azioni degli altri. Nel mondo reale di solito esistono più di due strategie fra cui scegliere, e più di due partecipanti. Tuttavia finché ogni impresa ha una strategia dominante possiamo prevedere l’esito del gioco (equilibrio di mercato). In alcuni giochi è possibile che uno o più partecipanti non abbiano una strategia dominante. Quando un partecipante ha una strategia dominante possiamo prevedere l’esito del gioco anche se l’altro non ce l’ha. Se nessun partecipante ha una strategia dominante nessuno potrà prevedere come si comporterà l’altro e noi osservatori esterni avremo bisogno di un’analisi più approfondita per prevedere l’esito del gioco.

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Nel mondo reale si assiste spesso al c.d. gioco ripetuto per cui entrambi i partecipanti scelgono una strategia, osservano il risultato di tale tentativo e rigiocano in continuazione fintanto che restano rivali. Il gioco ripetuto può cambiare radicalmente la prospettiva dei partecipanti, portandoli a nuove strategie basate su considerazioni di lungo periodo. Un possibile esito dei tentativi ripetuti, è il comportamento cooperativo. Spesso le imprese sviluppano una forma di collaborazione nel lungo periodo. Ci sono diversi tipi di collaborazione:

- collusione esplicita: è la forma più semplice di collaborazione. I dirigenti si incontrano personalmente per decidere il metodo di determinazione del prezzo. La forma più estrema è il cartello ossia un gruppo di imprese che collaborano per massimizzare i profitti totali del gruppo nel suo complesso. Per raggiungere tale obiettivo il gruppo si comporta come se fosse un monopolio considerando la curva di domanda di mercato come la curva di domanda del monopolio e trovando su di essa il punto che massimizza il profitto totale. Ogni membro deve chiedere il prezzo concordato e a ciascuno è allocata una quota della produzione totale del cartello. Se un membro producesse e vendesse una quantità maggiore di quella assegnatagli, la produzione totale del gruppo aumenterebbe e il prezzo scenderebbe sotto il livello concordato che massimizza il profitto. Il cartello più famoso è l’OPEC che si riunisce periodicamente per influenzare il prezzo del petrolio fissando la quantità massima che ognuno dei suoi membri può produrre. La collusione esplicita è illegale in molti paesi; i cartelli violano la legge negli USA e UE e nella maggior parte delle nazioni sviluppate, pertanto tale forma di collaborazione si svolge nella massima segretezza.

- collusione tacita: si ha quando le imprese collaborano senza un accordo esplicito, adottando strategie di questo tipo “Chiederò un prezzo alto di norma; se il mio rivale fissa un prezzo alto, continuerò a fissarlo alto, se egli chiede un prezzo basso invece lo punirò fissando un prezzo basso la volta successiva”. Entrambi sceglieranno sempre il prezzo alto perché ognuno aspetta che sia l’altro il primo a fissare il prezzo basso. Questo tipo di strategia è detto tit for tat. Tale strategia però non è sempre sufficiente a mantenere la collusione tacita e un’impresa oligopolistica vorrà spingersi oltre cercando di “punire” l’impresa che minaccia di trasgredire l’accordo. Un’altra forma è la leadership di prezzo per cui un’impresa fissa il suo prezzo che viene copiato dalle altre. Il leader può essere l’impresa dominante dell’industria o ruotare da un’impresa all’altra. Non c’è un accordo formale. Per indurre le imprese che devono copiare il prezzo a non imbrogliare, il leader e le imprese che scelgono di seguirlo devono essere in grado di punire il trasgressore fissando anche loro un prezzo basso il più velocemente possibile. L’aspettativa di tale reazione può essere un deterrente sufficiente contro gli imbrogli.

Il potere degli oligopoli ha i suoi limiti:

- curva di domanda di mercato: un aumento del prezzo comporterà sempre una riduzione della quantità domandata complessivamente a tutte le imprese. Vi è un unico prezzo in grado di massimizzare i profitti totali di tutte le imprese del mercato, e al gruppo non converrà mai chiedere un prezzo superiore.

- legalità: la collusione può essere illegale anche quando è tacita e le imprese che anche apparentemente colludono possono essere sottoposte a un esame severo da parte dello Stato.

- incentivi: esistono forti incentivi a trasgredire l’accordo. Le trasgressioni sono un problema degli oligopoli collusivi che spesso porta al collasso degli accordi anche più formali.

Ci sono alcune forze responsabili del futuro degli oligopoli:

a. politiche antitrust: tali politiche sono volte a proteggere gli interessi dei consumatori assicurando una

concorrenza adeguata nel mercato. Gli interventi consistono in tre tipi di azioni 1. impedire gli accordi collusivi tra le imprese 2. interrompere o limitare l’attività delle grandi imprese il cui dominio

danneggia i consumatori 3. impedire le fusioni che portino ad un eccessivo potere di mercato.

Le leggi anti-trust e le altre politiche pubbliche fanno parte del nostro sistema politico. Sebbene lo scopo che perseguono sia sempre quello di mantenere la concorrenza, il tipo di concorrenza che finiscono per promuovere, può variare.

b. globalizzazione dei mercati: nel mondo reale è possibile che si creino degli oligopoli naturali. Ma se le dimensioni del mercato aumentano la MES risulta relativamente piccola rispetto al mercato, e possono sopravvivere molte imprese. Quando un mercato nazionale si espande su scala globale, il commercio internazionale può incrementare il numero delle imprese operanti, riducendo il dominio di mercato esercitato da poche imprese e promuovendo la concorrenza. Gli oligopolisti devono affrontare una concorrenza sempre più accanita da parte dei produttori esteri. La globalizzazione

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consente anche alle imprese che non hanno raggiunto la loro MES di diventare giocatori più grandi nel nuovo mercato globale.

c. progresso tecnologico: l’innovazione tecnologica può incrementare la concorrenza in diversi modi. 1. può creare nuovi beni sostituti 2. può ridurre le barriere all’entrata aumentando le dimensioni del mercato.

Questa tendenza può anche essere favorevole alla costituzione di oligopoli. 3. possono aumentare la MES dell’impresa tipica incoraggiando la formazione

di oligopoli. Le imprese che operano in concorrenza perfetta e oligopolio si pubblicizzano pochissimo.

- concorrenza perfetta: non ricorrono mai alla pubblicità in quanto sarebbe inutile poiché ogni impresa produce un bene identico a quello prodotto dalle altre. Inoltre ciascuna impresa può vendere la quantità che desidera al prezzo di mercato, la pubblicità incrementerebbe solo i costi dell’impresa.

- monopolio: a volte ricorrono alla pubblicità ma essendo gli unici venditori di un prodotto non ne sentono una forte esigenza.

La pubblicità proviene principalmente dalle imprese in concorrenza monopolistica e oligopoli in quanto i loro prodotti sono spesso, se non sempre, differenziati. Un’impresa, pertanto, conquista nuovi consumatori convincendoli che il suo prodotto è differente e migliore di quello dei concorrenti. La pubblicità consente di differenziare nettamente un prodotto nell’immaginario dei consumatori. Un’impresa che non lo farà non verrà notata. L’impresa in concorrenza monopolistica ricorre alla pubblicità per due motivi:

1. spostare la sua curva di domanda verso destra 2. ridurre l’elasticità della domanda del suo prodotto.

La pubblicità esercita un impatto anche sulla curva ATC dell’impresa. Supponiamo che un’impresa decida di avviare una campagna pubblicitaria e che nessun’altra impresa lo faccia per il momento. Il costo della pubblicità sposterà la curva ATC dell’impresa verso l’alto; il costo unitario cosi aumenta per ogni livello di produzione. L’aumento è minore per i livelli di produzione più elevati, per i quali il costo della pubblicità è suddiviso per un aumento maggiore di unità. La pubblicità sposta anche la curva di domanda verso destra e ne aumenta la pendenza. Essendo la nostra l’unica impresa a farsi pubblicità, la curva di domanda subirà un impatto notevole. Vi sono molti punti in cui l’impresa potrebbe realizzare un profitto ma l’impresa opera nel punto B dove si intersecano le curve MC e MR. Tuttavia l’impresa non rimarrà a lungo nel punto B infatti nel lungo periodo il suo profitto indurrà altre imprese ad avviare campagne pubblicitarie per conto loro. L’impresa alla fine si troverà nel punto C in cui P = ATC e il profitto economico è nullo. Quando anche le altre imprese pubblicizzano il loro prodotto, l’impresa deve ricorrere alla pubblicità: se scegliesse di rinunciarvi la sua curva ATC rimarrebbe ferma mentre la curva di domanda si sposterebbe verso sinistra. Venderebbe quindi una quantità minore per ogni prezzo e quindi subirebbe una perdita per ogni livello di produzione. La pubblicità costosa spesso alza il prezzo del prodotto. Tuttavia è possibile che la pubblicità porti a costi inferiori e, quindi, prezzi inferiori. L’impatto finale della pubblicità nel lungo periodo consiste in una riduzione sia del costo unitario sia del prezzo. Pubblicizzando il loro prodotto, infatti, le imprese possono produrre e vendere quantità maggiori del bene in quanto la domanda di mercato totale è aumentata. Ogni impresa si trova inizialmente sulla porzione decrescente dalla sua curva ATC, quindi i costi unitari non relativi alla pubblicità diminuiranno all’espandersi della produzione. Se questa diminuzione è sufficiente i costi unitari saranno inferiori alla situazione iniziale, anche considerando il costo della pubblicità. Nel lungo periodo l’entrata costringerà ogni impresa a trasferire tali risparmi sui costi ai consumatori. In alcuni casi è possibili dimostrare che si tratta di collusione, ricorrendo alla teoria dei giochi. Consideriamo ad esempio l’industria delle linee aeree: alcuni sondaggi hanno dimostrato che i passeggeri sono preoccupati della sicurezza in volo. Una compagnia aerea che riesca a convincere l’opinione pubblica di essere più sicura risulterà molto avvantaggiata. Qualsiasi linea potrebbe, in teoria, dichiarare di essere più sicura delle altre. I dati relativi alla sicurezza possono essere interpretati in diversi modi e tutte le compagne potrebbero trovare una misura in base alla quale apparirebbero “le più sicure”. Eppure nessuna compagnia aerea ha mai lanciato una campagna pubblicitaria fornendo informazioni sulle sue politiche di sicurezza né attaccando le politiche dei concorrenti. Esaminiamo i payoff di due compagnie (A e U). Se nessuna delle due imprese ricorre a spot pubblicitari sulla sicurezza A realizza un livello di profitto che definiamo medio. Se A pubblicizza la sua sicurezza e U no, il profitto di A aumenta. Se entrambe attaccando i metodi adottati dal rivale, la domanda di biglietti aerei diminuisce. Il profitto di A sarebbe inferiore alla situazione in assenza di pubblicità. Se U ricorre alla pubblicità e A no, A realizza un profitto molto basso.

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Se U decidesse di pubblicizzare la sua sicurezza anche ad A converrebbe farlo. Se U non lo facesse ad A converrebbe comunque farlo. Quindi A ha una strategia dominante. U si trova in una situazione assolutamente analoga e simmetrica ed ha la stessa strategia dominante di A. Se le due imprese agiscono indipendentemente il risultato è un profitto basso per entrambe. Le compagnie aeree giocano l’una contro l’altra in una serie di partite ripetute raggiungendo il tipo di equilibrio cooperativo. Ogni compagnia può punire il rivale nella partita successiva se questi precedentemente non ha collaborato. Pertanto ognuna gioca la strategia di non pubblicizzare la sicurezza finche non lo fa neanche il rivale. Se l’accordo fra le imprese prevedesse la pubblicità, sarebbe scoperto all’istante. Riepilogo Concorrenza

perfetta Concorrenza monopolistica

Oligopolio

Monopolio

Numero imprese moltissime molte poche una Prodotto identico differenziato identico o diff. - Determinazione P price taker price setter price setter price setter Barriere no no si si Interdipendenza no no si - Decisioni di P/prod. MC = MR MC = MR tramite interdip. MC = MR Profitto breve per. pos, neg o nullo pos, neg o nullo pos, neg o nullo pos, neg o nullo Profitto lungo per. Nullo nullo positivo o nullo positivo o nullo I mercati del mondo reale hanno in genere delle caratteristiche tipiche di più di una struttura di mercato. La scelta del modello, pertanto, dipende dalla questione che vogliamo risolvere. In alcuni casi la diversità dei prezzi è dovuta a differenze nei costi di produzione dell’impresa. In altri casi deriva dalla consapevolezza dell’impresa che alcuni clienti sono disposti a pagare più degli altri. Si ha la discriminazione di prezzo quando un’impresa chiede prezzi diversi a clienti diversi senza essere spinta da differenze nei costi di produzione. Un’impresa che pratica la discriminazione di prezzo divide i suoi clienti in diverse categorie a seconda della loro disponibilità a pagare il bene. Ogni impresa desidera praticare la discriminazione di prezzo, ma possono farlo solo le imprese che:

1. hanno curva di domanda decrescente. Un’impresa deve essere in grado di alzare il suo prezzo ad almeno alcuni dei suoi clienti senza perderli tutti. Un’impresa concorrenziale non può perché, se dovesse alzare il prezzo a qualche cliente, questi non farebbe altro che acquistare lo stesso prodotto da un’altra impresa. Il monopolio e la concorrenza monopolistica soddisfano sempre questa condizione.

2. possono identificare i clienti disposti a pagare di più: un’impresa deve identificare le somme che i diversi clienti sono disposti a pagare. Devono essere astute affidandosi a metodi indiretti per misurare la disponibilità a pagare.

3. devono essere in grado di impedire che i clienti che pagano un prezzo più basso non rivendano il prodotto a quelli che pagano il prezzo più alto: spesso è facile impedire la rivendita di un servizio poiché esso ha natura strettamente personale. Nel caso di beni è più difficile.

La discriminazione è sempre vantaggiosa per i proprietari di un’impresa, ma gli effetti sui consumatori possono variare. Supponiamo che esista una sola compagnia aerea N che offra voli diretti per una tratta specifica. Se non potesse operare discriminazione, poiché MC = MR per 30 biglietti al giorno, il P che massimizza il profitto sarebbe di 120€. Il costo medio totale è di 80€ quindi il suo profitto per biglietto sarebbe di €120 - €180 = €40. Il profitto totale è pari a €40 x 30 = €1200. Supponiamo che N scopra che 10 dei suoi 30 clienti siano uomini d’affari disposti a pagare di più e che possa riconoscerli dalla loro mancanza di disponibilità a prenotare in anticipo e pernottare il sabato, N potrebbe applicare per queste persone un prezzo di €160. Poiché continua a vendere gli stessi 30 biglietti non ci sono variazioni di costo mente il ricavo aumenterà. Il prezzo aumenta di €40 per 10 biglietti ed N realizza un profitto giornaliero aggiuntivo di €40 x 10 = €400. i consumatori perdono €400 pagando il prezzo più alto, mentre gli altri che continuano a pagare €120 non subiscono conseguenze. Quindi, quando la discriminazione di prezzo alza il prezzo ad alcuni consumatori ad un livello superiore al prezzo che avrebbero pagato con la politica del prezzo unico, essa è svantaggiosa per i consumatori. Il profitto aggiuntivo dell’impresa è pari alla perdita monetaria dei consumatori. Supponiamo che N voglia praticare la discriminazione di prezzo in maniera diversa. N scopre che gli studenti viaggiano in treno perché è più economico, pertanto potrebbe applicare un prezzo speciale di €100 per gli

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studenti che mostrino la carta d’identità. Tale decisione spinge N oltre il livello per cui MC = MR, ma questo non costituisce un problema: la curva MR era stata tracciata con l’ipotesi che N chiedesse un unico prezzo e dovesse ridurre il prezzo di tutti i biglietti per venderne di più. Ma in questo caso sono cambiate le condizioni:con la discriminazione la curva MR non indica più cosa accadrà al ricavo della compagnia aerea all’aumentare del prezzo. N vende ora 10 biglietti aggiuntivi, quindi varieranno sia il suo costo sia il suo ricavo. Ogni biglietto incrementa il ricavo di €100 (ricavo marginale) e i costi di una cifra data dalla curva MC. La distanza tra la retta corrispondente a €100 e la curva MC rappresenta il profitto aggiuntivo realizzato per ogni biglietto in più. I nuovi clienti risultano avvantaggiati. In questo caso la discriminazione è vantaggiosa sia per l’impresa che per un gruppo di consumatori. Poiché nessuno si vede aumentare il prezzo, nessuno è danneggiato da questa politica. Quando la discriminazione di prezzo riduce il prezzo di alcuni clienti a un livello inferiore a quello che avrebbero pagato con la politica del prezzo unico, essa è vantaggiosa sia per i clienti che per l’impresa. Un’impresa può combinare entrambi i tipi di discriminazione di prezzo alzando il prezzo sopra il livello della politica a prezzo unico ad alcuni clienti e riducendolo ad altri.

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IL MERCATO DEL LAVORO E I SALARI Le imprese, per realizzare i prodotti, hanno bisogno di risorse e li ottengono nei mercati delle risorse. Nei mercati di prodotti le famiglie domandano beni e servizi, le imprese li forniscono. Nei mercati del lavoro i ruoli sono invertiti. I mercati delle risorse possono essere catalogati in 3 categorie: 1. mercati del capitale (macchinari e impianti) 2. mercati della terra (terreni su cui si svolgono le attività) 3. mercati del lavoro (assunzione dei lavoratori). Il lavoro è diverso dalle altre cose che si commerciano. I venditori di lavoro sono interessati ad altre cose oltre al prezzo che ricevono per il loro tempo (condizioni di lavoro, distanza da casa ecc.). Il tasso salariale determina la qualità della vita di una persona pertanto le differenze salariali suscitano questioni di importanza cruciale come l’equità e la giustizia del sistema economico. Il grado di precisione che utilizziamo nel definire un mercato del lavoro dipende dalle domanda specifiche a cui vogliamo rispondere. Un mercato del lavoro perfettamente concorrenziale soddisfa 3 condizioni:

1) è presente un gran numero di acquirenti e venditori e ogni singola impresa o famiglia costituisce solo una piccolissima parte del mercato del lavoro

2) tutti i lavoratori sono uguali per le imprese 3) non ci sono barriere all’entrata o all’uscita.

Pochissimi mercati soddisfano rigorosamente tutti i requisiti della concorrenza perfetta, ma molti vi si avvicinano parecchio. Due lavoratori non saranno mai esattamente identici ma spesso è necessario ignorare le differenze e ipotizzare che i datori di lavoro considerino tutti i lavoratori del mercato come essenzialmente identici. Il tasso salariale viene determinato tramite le forze della domanda e dell’offerta. La curva di domanda di ogni mercato del lavoro è decrescente: un aumento del salario porta le imprese ad assumere meno lavoratori, per due ragioni:

1. un aumento del salario incrementa i costi marginali di produzione ed uno spostamento verso l’alto della curva MC porta a una diminuzione del livello di produzione che massimizza il profitto. Ne consegue una riduzione anche del numero di lavoratori di cui l’impresa necessita

2. un aumento del salario degli operai porterebbe a un incremento del prezzo di questo input in rapporto agli altri fattori produttivi. Probabilmente, poi, le imprese vorrebbero sostituire gli operai con altri input (es. macchine computerizzate).

La curva di offerta di lavoro è sempre inclinata verso l’alto: all’aumentare del salario cresce il numero delle persone che offriranno il proprio lavoro in tale mercato. Non è vero che chi potrebbe offrire il proprio lavoro lo farebbe per qualsiasi salario: molte persone scelgono di non lavorare a un salario basso ma potrebbero essere indotte a farlo se il salario fosse sufficientemente alto. Esiste un certo salario critico oltre il quale sceglierebbero di lavorare e sotto il quale non vorrebbero lavorare. Tale curva è inclinata positivamente per due ragioni:

1. induce qualcuno che attualmente non lavora a cercare occupazione (con un aumento del salario) 2. attrae qualcuno che al momento lavora in un altro mercato del lavoro.

Il salario di equilibrio sarà determinato dall’intersezione della curva di offerta di lavoro con la curva di domanda di lavoro. Per ogni altro livello di salario vi sarebbe eccesso di domanda o di offerta, che forzerebbe il salario a spostarsi al suo valore di equilibrio. Esiste una considerevole disuguaglianza dei tassi salariali tra le occupazioni. In molti casi si riscontrano disuguaglianze salariali notevoli anche all’interno della stessa occupazione. Tali dislivelli esistono da decenni. Nelle stime vengono inoltre ignorati bonus, benefit e altre agevolazioni per le occupazioni più remunerative. Immaginiamo un mondo in cui:

1. tutti i lavori attraggono allo stesso modo (eccetto che per differenze salariali) 2. tutti i lavoratori sono ugualmente capaci di svolgere qualsiasi lavoro 3. tutti i mercati del lavoro sono perfettamente concorrenziali.

Ci aspetteremmo che nel lungo periodo tutti i lavoratori percepiscano lo stesso salario. Immaginiamo due mercati del lavoro, il primo con un equilibrio iniziale in un punto A (20€ l’ora), e il secondo nel punto B (30€ l’ora). Nel lungo periodo i lavoratori del primo mercato vorranno passare al secondo (poiché meglio retribuito). Secondo le nostre ipotesi, ciascun lavoratore è in grado di svolgere tale mestiere e non ci sono barriere all’entrata. Cosi i lavoratori cominceranno a cercare lavoro nel secondo mercato, facendo spostare la curva di offerta di lavoro verso sinistra, mentre quella del secondo mercato si sposterà verso

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destra. Entrambi i salari, in questo modo, diminuiscono. L’entrata e l’uscita si fermeranno quando nessuno vorrà più passare all’altro mercato, cioè quando entrambi pagheranno lo stesso salario. Tali adeguamenti si verificano anche se nessun lavoratore cambia effettivamente occupazione, a causa dei nuovi entranti nella forza lavoro. Tali cambiamenti avverranno finché i salari di lungo periodo non saranno uguali. Questo ragionamento è valido per ogni coppia di mercati del lavoro. Le fonti delle disparità salariali, sono da ricercare nella violazione di una o più delle nostre ipotesi. Nel mondo reale, però, vi sono un’infinità di differenze importanti. I salari dei rispettivi lavori differiscono di un differenziale salariale compensativo, ossia la differenza di salario che rende due lavori ugualmente attraenti per un lavoratore. Esistono molte caratteristiche non monetarie ossia aspetti di un lavoro, positivi o negativi, che non si possono misurare con un metro monetario (es. rischio di morte o lesioni, pulizia dell’ambiente ecc.). Supponiamo che tutta la popolazione abbia gli stessi gusti nei confronti delle diverse occupazioni e che tutti preferiscano il mercato A. Inoltre supponiamo che occorra un differenziale salariale di 10€ a favore del mercato B per rendere entrambi i lavori ugualmente desiderabili. Le caratteristiche non monetarie dei diversi lavori danno origine a differenziali salariali compensativi. I lavori considerati meno attraenti, in genere offrono salari più elevati a parità di altre condizioni. Per i lavori eccezionalmente attraenti, invece, ci sono dei differenziali salariali negativi. Ovviamente però, gli individui hanno gusti diversi e quando i mercati del lavoro sono perfettamente concorrenziali, l’entrata e l’uscita dei lavoratori determina automaticamente i differenziali salariali compensativi in ognuno di essi. Per tale motivi gli economisti sono scettici riguardo la nozione di valore comparabile, in base alla quale i lavori che richiedono abilità simili dovrebbero offrire tassi salariali simili e lo Stato dovrebbe intervenire per assicurare questo risultato. Sebbene tale politica potrebbe correggere alcune ingiustizie, può anche essere essa stessa causa di ingiustizie in quanto nessuno può sapere come i diversi lavoratori valutino le innumerevoli caratteristiche non monetarie di ogni lavoro. Pertanto gli economisti preferiscono politiche che incrementano la concorrenza ed eliminano la discriminazione. Le differenze nel costo della vita possono portare a dei differenziali salariali compensativi. Le zone in cui la vita è più cara, avranno in genere salari più alti. A parità di condizioni i lavori che richiedono un percorso formativo più lungo offrono un compenso più elevato rispetto ad altri lavori simili che necessitano di un percorso di formazione minore (es. medico, ostetrica). Le differenze nei requisiti di capitale umano possono dare origine a differenziali salariali compensativi. La nozione dei differenziali salariali compensativi risale ad Adam Smith che per primo osservò che i lavori più spiacevoli sembrano essere più remunerativi di altri lavori che richiedono abilità e qualifiche simili. Un differenziale salariale tra due lavori altrimenti equivalenti potrebbe persistere se coloro che lavorano per i salari più bassi non possono entrare nel mercato con i salari più elevati perché, a prescindere dalla quantità di capitale umano che acquisiscono, non potranno mai essere abbastanza bravi. Le differenze di capacità rivestono importanza sempre maggiore nel mercato del lavoro. Se molti lavoratori non sono in possesso delle abilità richieste dalle occupazioni più remunerate, allora pochi potranno passare da un mercato del lavoro all’altro. Il risultato è la persistenza dei differenziali salariali tra i lavoratori altamente specializzati Esistono differenze salariali anche all’interno di ogni occupazione, ed anche in questo caso le capacità giocano un ruolo importante. In ogni mestiere il talento varia in misura considerevole, pertanto, in generale, coloro che hanno maggiori capacità di svolgere bene un dato lavoro saranno maggiormente apprezzati dalle imprese. Conseguentemente le imprese saranno disposte a retribuirli con un tasso salariale maggiore, oltre a qualsiasi differenziale compensativo dovuto al loro investimento di capitale umano. Le differenze di capacità possono contribuire a spiegare anche perché generalmente i salari dei lavoratori aumentino con l’età e con l’esperienza lavorativa. Le superstar sono persone universalmente considerate le migliori nella loro professione. Differenziali salariali tanto elevati sono riscontrabili in diverse professioni, soprattutto inerenti ai mass media. La spiegazione si basa sulle capacità, ma anche sui compensi esagerati con cui il mercato premia coloro che ritiene i migliori di un settore. In tutti questi casi, in cui i migliori possono vendere i propri servizi a milioni di individui e vi è ampio consenso su chi siano le primissime superstar, le differenze dei compensi possono essere nettamente spropositate rispetto alle differenze di abilità.

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In certi mercati del lavoro, invece, vi sono delle barriere. Poiché le barriere all’entrata contribuiscono a tenere alti i salari, in quasi tutti i casi sono coloro già impiegati ad essere responsabili dell’erezione di tali barriere. In molti mercati esse sono costituite da leggi di concessione di licenze professionali. I professionisti con dei compensi elevati devono ottenere una licenza per vendere i propri servizi. I sindacati perseguono gli interessi comuni dei propri iscritti. Essi hanno molte funzioni, ma l’obiettivo principale è quello di aumentare i salari dei propri iscritti. Per una impresa è illegale accordarsi per assumere solo membri dei sindacati, mentre è permesso di negoziare con le imprese per salari superiori a quelli concorrenziali. Ma a un salario più elevato l’impresa vorrà assumere meno lavoratori, quindi molti lavoratori potenziali non vengono inclusi nei posti sindacali perché l’impresa non li assumerà a un tale tasso sindacale. I datori di lavoro accordano salari più elevati perché il sindacato ha il potere di scioperare e durante uno sciopero l’impresa può subire una riduzione di profitto ancora più grave. I sindacati conservano una presenza significativa in molte industrie e i salari più elevati ottenuti in questi settori sono dovuti, almeno in parte, ad essi. L’impatto complessivo dei sindacati sui mercati del lavoro è molto più complesso. In Europa la contrattazione avviene a livello nazionale e/o settoriale. Tutto ciò può avere effetti rilevanti sul livello di occupazione aggregato. Anche se pochi lavoratori sono iscritti al sindacato, i contratti sottoscritti dai sindacati hanno valenza erga omnes; pertanto la distinzione non è più fra iscritti e non ma fra occupati e disoccupati. Poiché tutte le imprese del settore devono pagare salari più elevati, ognuna impiegherà un livello di occupazione minore e non sarà più possibile raggiungere il pieno impiego. Il sindacato è consapevole che riducendo il salario contrattato consentirebbe un aumento dell’occupazione e quindi l’impiego di altri disoccupati. Tuttavia cosi facendo scontenterebbero tutti i lavoratori già occupati. Si ha discriminazione quando i membri di un gruppo di individui hanno opportunità differenti a causa di caratteristiche che prescindono dalle loro capacità. Occorre distinguere fra:

- pregiudizio: avversione emozionale nei confronti dei membri di un determinato gruppo - discriminazione: opportunità limitate offerte a un tale gruppo.

Il pregiudizio non sempre porta alla discriminazione. Senza dubbio molti datori di lavoro assumono i lavoratori in base ai loro pregiudizi personali, ma tali pregiudizi sono economicamente considerati la fonte meno importante della discriminazione nel mercato del lavoro. Dividiamo il mercato del lavoro in due ampi settori A e B e ipotizziamo che le imprese del settore A decidano di non assumere più donne. Le donne comincerebbero a cercare lavoro nel settore B e farebbero spostare la curva di offerta del lavoro verso destra; l’equilibrio si sposterebbe e il salario diminuirebbe (W2). Nel settore A, contemporaneamente, la curva di offerta del lavoro si sposterebbe verso sinistra alzando il salario (W3). La discriminazione creerebbe un differenziale salariale pari a W3 – W2. Ma tale differenziale sarebbe solo temporaneo dato che i salari sarebbero più bassi ora nel settore B e gli uomini uscirebbero da questo mercato, per cercare impiego nel settore A, più remunerativo. Alla fine entrambi i settori offrirebbero lo stesso salario. Poiché i datori di lavoro con pregiudizi devono pagare salari più elevati, avranno dei costi medi superiori e quindi se vendono in un mercato concorrenziale, subiranno delle perdite e alla fine saranno costretti a uscire dall’industria. Nel lungo periodo, pertanto, i datori di lavoro con pregiudizi dovrebbero essere sostituiti da altri senza pregiudizi (le forze di mercato scoraggiano la discriminazione). Se al contrario sono i clienti ad avere pregiudizi? Ipotizziamo che molti proprietari automobili non si fidino dei meccanici donna, un’officina che le assumesse perderebbe clienti sacrificando parte del profitto. I clienti saranno disposti a pagare dei prezzi più elevati preferendo i meccanici uomini. Anche nel lungo periodo, quindi, le donne potrebbero essere escluse da tale mestiere (le forze di mercato incoraggiano la discriminazione). la discriminazione statistica, ossia l’esclusione di individui da un’attività a causa della probabilità statistica di comportamento del loro gruppo piuttosto che in base a caratteristiche personali, è un caso di discriminazione privo di pregiudizi. Può portare un datore di lavoro imparziale che massimizzi il profitto a discriminare un singolo membro di un gruppo anche se è possibile che questi non si comporti mai nel modo temuto. Finché i datori di lavoro non sono parziali, coloro che non lo sono avranno uno svantaggio concorrenziale. Nel lungo periodo il mercato contribuisce ad eliminare questo tipo di discriminazione. Per altri tipi di discriminazione gli incentivi di mercato operano in direzione opposta, portando a problemi permanenti che ritengono necessario un intervento dello Stato.

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Consideriamo il differenziale fra gli uomini bianchi e quelli neri: nel 2003 gli uomini neri hanno guadagnato in media il 24% in meno. Parte di questa differenza è dovuta a differenze di istruzione, lavorative ecc. Per esempio la proporzione di adulti neri laureati è poco più della metà di quella degli adulti bianchi. Anche se le imprese non guardassero assolutamente il colore della pelle, un numero sproporzionatamente inferiore di neri otterrebbe dei lavori meglio retribuiti, perché questi richiedono una laurea, il che porterebbe a un differenziale salariale a favore dei bianchi. Se limitiamo il confronto ai bianchi e ai neri con stessa istruzione ecc. scompare almeno il 50% della differenza salariale. Molte delle differenze osservabili nell’istruzione ecc. sono il risultato della discriminazione del mercato, che da origine a un circolo vizioso: la discriminazione provoca un differenziale salariale tra bianchi e neri con pari qualifiche; con un salario inferiore i neri sono meno incentivati a rimanere nella forza lavoro o a investire in capitale umano. Ne consegue che i neri in media hanno meno istruzione ed esperienza lavorativa e anche i datori di lavoro che non facciano differenze di colore, assumeranno un numero maggiore di bianchi ed inferiore di neri. Pertanto si può parlare di una discriminazione precedente al mercato. Misurando l’impatto della discriminazione del mercato del lavoro sui salari, la differenza di reddito tra due gruppi da un valore esagerato poiché non tiene conto delle differenze di abilità e di esperienza; tuttavia confrontando solo i lavoratori con abilità ed esperienze simili si giunge a valori troppo bassi poiché alcune differenze sono esse stesse causate dalla discriminazione, sia nel mercato del lavoro che al suo esterno.

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L’EFFICIENZA ECONOMICA E IL RUOLO DELLO STATO Nelle nazioni di tutto il mondo quasi tutti i disaccordi sulle questioni economiche portano, in ultima analisi, allo Stato. E proprio dallo Stato si originano altri disaccordi. Tali disaccordi tuttavia nascondono generalmente un elevato grado di consenso in merito alla tipologia del sistema economico da preferire e al ruolo spettante allo Stato all’interno di esso. Tale consenso si basa su concetti relativi all’efficienza economica. Tale concetto ci consente di comprendere perché i mercati ottengano spesso ottimi risultati, e risultati a volte scarsi, e ci aiuta a definire un ruolo dello Stato all’interno del sistema economico che sia ampiamente condiviso. Si raggiunge l’efficienza economica quando non vi è modo di riorganizzare la produzione o l’allocazione dei beni per aumentare la soddisfazione di qualcuno senza ridurre quella di qualcun altro. Questo concetto è in un certo senso limitato e, sebbene sia un obiettivo importante, non è l’unico. Un sistema economico efficiente, infatti, non necessariamente è equo. L’economia indicandoci i requisiti indispensabili dell’efficienza economica e il modo per realizzarli, può apportare un considerevole contributo al nostro benessere materiale. Vilfredo Pareto fu il primo ad esaminare in maniera sistematica la questione. Un miglioramento paretiano è un’azione che aumenta la soddisfazione di almeno una persona senza nuocere ad alcuno. In un’economia di mercato hanno luogo ogni giorno centinaia di milioni di miglioramenti paretiani. Si raggiunge l’efficienza economica quando hanno avuto luogo tutti i miglioramenti paretiani. Tale definizione può essere applicata a un singolo mercato o al sistema economico nel suo complesso. Nessun sistema economico può sfruttare ogni miglioramento paretiano, quindi nessuna società può raggiungere la piena efficienza economica, ma l’avvicinamento è comunque un obiettivo importante. I mercati perfettamente concorrenziali tendono ad essere economicamente efficienti. Ci sono però delle situazioni più complesse in cui si verificherà un miglioramento paretiano solo se una parte offrirà all’altra un tipo particolare di pagamento, che chiamiamo pagamento compensativo. In queste situazioni un’azione che non fosse accompagnata da un pagamento compensativo apporterebbe beneficio a una parte e un danno all’altra. Se un’azione apporta alla parte avvantaggiata un beneficio complessivo maggiore del danno complessivo provocato dalla parte svantaggiata, allora esiste un pagamento compensativo che, trasferito dalla parte avvantaggiata a quella svantaggiata, trasformerebbe l’azione n un miglioramento paretiano. Qualsiasi pagamento del valore compreso tra il beneficio complessivo della parte avvantaggiata e la perdita complessiva della parte svantaggiata è adeguato. L’adeguato pagamento compensativo non è sempre facile da organizzare e in molti casi comporta costi molto elevati. È infatti possibile che, dopo aver sottratto i costi organizzativi, rimanga un importo insufficiente a compensare la parte svantaggiata senza ridurre la soddisfazione della parte avvantaggiata, portandola ad un livello inferiore a quello iniziale. Quando il pagamento compensativo è impossibile da organizzare, l’azione potrebbe non essere considerata equa. In questi casi il raggiungimento dell’efficienza non è più l’unico obiettivo da considerare. La quantità acquistata e venduta nei mercati sfrutterà tutti i possibili miglioramenti paretiani a condizione che il commercio si svolga nei mercati perfettamente concorrenziali. La curva di domanda può anche essere considerata come indicante il prezzo massimo che una persona sarebbe disposta a pagare per ogni unità del bene, e quindi anche il valore che tale unità assume per la persona che l’acquista. Ogni bene ha un valore diverso, in parte tale differenza è dovuta alla diversità dei redditi e dei gusti, in parte alla diminuzione del valore che ogni individuo da a un’unità aggiuntiva del bene, quando ne possiede altre unità. L’altezza della curva di domanda in corrispondenza di qualsiasi quantità indica il valore dell’ultima unità del bene consumato, per un dato consumatore. La curva di offerta indica il prezzo minimo che un venditore deve ottenere per essere indotto a offrire. Offrire, infatti, è costoso ed il prezzo deve essere almeno pari ai costi aggiuntivi (= costi marginali) sostenuti per offrire. L’altezza della curva di offerta in corrispondenza di qualsiasi quantità indica il costo aggiuntivo, per un dato produttore, di ogni unità del bene offerto. Si può trovare la quantità efficiente applicando il criterio: ogni volta che la curva di domanda è più alta, in corrispondenza di una data quantità, della curva di offerta, il valore attribuito da un dato consumatore a un’unità aggiuntiva è maggiore del corrispettivo costo aggiuntivo sostenuto da un dato produttore. Ciò significa che quando la curva di domanda si trova sopra la curva di offerta possiamo sempre trovare un prezzo che renda più soddisfatte entrambe le parti. Avremo, quindi, un miglioramento paretiano. Se la curva di domanda è inferiore alla curva di offerta non esiste alcun prezzo in grado di offrire benefici a entrambe le parti. Produrre non costituirebbe un miglioramento paretiano a prescindere dal prezzo, in quanto il costo minimo per produrre è maggiore del valore massimo attribuito al bene da qualsiasi consumatore del mercato. La quantità efficiente si trova in corrispondenza dell’intersezione tra la curva di domanda e la curva di offerta. Per tale quantità il valore dell’ultima unità prodotta sarà pari (o poco superiore) al costo sostenuto per fornirla

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In un mercato perfettamente concorrenziale ben funzionante la quantità di equilibrio è anche la quantità efficiente. Se il mercato è ben funzionante, infatti, verrà sfruttata ogni opportunità di aumentare la soddisfazione di qualcuno senza danneggiare nessun altro. Non occorre organizzare alcun pagamento compensativo in quanto il prezzo pagato per il bene è esso stesso un pagamento compensativo. I tipi dei beni prodotti nei mercati concorrenziali riflettono le preferenze dei consumatori. I beni cui le persone attribuiscono un valore maggiore del costo aggiuntivo necessario per fornirli verranno effettivamente offerti nel mercato. Se invece un bene ha un valore talmente basso che la sua curva di domanda si trova in una posizione inferiore alla sua curva di offerta per tutte le quantità, esso non verrà fornito in quanto l’offerta di tale bene non consentirà agli acquirenti e ai venditori di trarre un vantaggio reciproco. La nozione che la concorrenza perfetta conduca effettivamente all’efficienza è una delle idee fondamentali dell’economia. Adam Smith coniò il termine “mano invisibile” per descrivere la forza che porta un sistema economico concorrenziale verso l’efficienza economica. Lo Stato può contribuire all’efficienza dei mercati e lo fa in due modi:

1. fornisce le infrastrutture che permettono ai mercati di funzionare (fisiche o istituzionali). Sebbene il mantenimento delle infrastrutture istituzionali incida modestamente sul bilancio pubblico, un’economia di mercato crollerebbe senza di esse.

2. interviene quando i mercati non funzionano più adeguatamente, ossia quando non sfruttano tutti i miglioramenti paretiani.

Negli Stati che presentano delle infrastrutture legali stabili e ben sviluppate, “incidenti” costituiscono l’eccezione anziché la regola. Dividendo i Paesi in tre gruppi a seconda della qualità delle loro infrastrutture istituzionali, si nota che sussiste una forte relazione tra infrastruttura e la quantità di prodotto per lavoratore. Il nerbo dell’infrastruttura istituzionale di un’economia di mercato è il sistema legale, che si divide in diverse categorie:

• legge penale: la principale funzione economica della legge penale, è quella di consentire solo gli scambi volontari. Quando entrambe le parti concordano uno scambio, devono entrambe beneficiarne e, finché nessun terzo viene danneggiato, uno scambio volontario sarà sempre un miglioramento paretiano. Uno scambio involontario, invece, provoca sempre danni a una parte. Il codice pensa deve anche essere applicato e devono essere previste sanzioni sufficientemente gravi e certe da dissuadere le persone dal commettere dei crimini.

• legge sulla proprietà: conferisce agli individui diritti applicabili e definiti in maniera precisa su ciò che essi possiedono. Senza tale legge spenderemmo gran parte del nostro tempo a trattare con gente che pretende di possedere ciò che è nostro. Quando i diritti di proprietà non sono ben definiti gli individui perdono tempo, invece di produrre beni e servizi pertanto non si realizza tanto prodotto quanto si potrebbe se tali diritti fossero ben definiti. Questo risultato è inefficiente.

• legge sui contratti: nei paesi in cui tali leggi non sono ben definite gli investitori si preoccuperebbero per non essere in grado di incassare la propria quota. Un contratto, infatti, è una promessa reciproca e spesso accade che una persona faccia qualcosa prima e l’altra prometta di fare qualcosa dopo. Finché non vengono danneggiati terzi lo scambio è sempre un miglioramento paretiano. Se i contratti non esistessero gli unici miglioramenti paretiani che potrebbero aver luogo sarebbero quelli comportanti lo scambio simultaneo.

• legge sulle responsabilità extra-contrattuali: si occupa delle interazioni tra estranei o tra persone che non sono legate da contratti. Si riferiscono ad atti illeciti che provocano danni a terzi. Tale legge definisce i tipi di danno per cui si può invocare un rimedio giuridico e stabilisce il risarcimento che ci si può aspettare.

• legge anti-trust: è volta a vietare ce le imprese concludano accordi o si comportino in modo da limitare la concorrenza e nuocere ai consumatori. Opera in 3 settori:

1. accordi fra concorrenti: vieta contratti, associazioni o cospirazioni fra imprese concorrenti che danneggerebbero i consumatori alzando i prezzi. Sono vietati anche gli accordi che alzano i prezzi in maniera indiretta limitando la concorrenza fra venditori.

2. monopolizzazione: è illegale la monopolizzazione o il tentativo di monopolizzare il mercato. È illegale che un venditore danneggi un rivale interferendo con la sua attività od ostacolandolo in qualche modo. È proibito compiere “certe manovre” per acquisire o mantenere un monopolio o danneggiare i concorrenti. Un’impresa che danneggi i suoi rivali vendendo un prodotto migliore, non viola la legge.

3. fusioni: due imprese che si uniscono per formarne una nuova possono portare a dei prezzi più elevati.

Nell’UE la Direzione Generale della Concorrenza ha il compito di assicurare l’omogeneità, la coerenza e l’effettiva applicazione delle politiche di regolazione della concorrenza da parte dei paesi membri. Nel 1990 è stata istituita l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che svolge in completa autonomia le sue funzioni e prende decisioni senza interferenze del potere politico. I suoi obiettivi sono:

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a. assicurare la libertà d’impresa e di accesso al mercato b. tutelare i consumatori attraverso l’abbassamento dei prezzi e il miglioramento della qualità dei beni c. tutelare la concorrenza e i consumatori dalle distorsioni indotte dalla pubblicità ingannevole.

I punti A e B sanzionano l’abuso di posizione dominante nel mercato, delle intese restrittive della concorrenza, delle concentrazioni lesive in modo durevole e sostanziale della concorrenza ecc. Per pubblicità ingannevole si intende qualunque forma di pubblicità che possa indurre in errore i soggetti cui si rivolge, pregiudicandone il comportamento, o che risulti lesiva degli interessi dei concorrenti a causa del proprio contenuto ingannevole. Esiste un ente governativo che ha il potere di imporre alle imprese degli interventi particolari, si parla in questi casi di regolamentazione. Essa è profondamente diversa dall’uso delle procedure legali perché raggiunge il cuore dell’attività delle imprese per indicare il comportamento da seguire. Quasi ogni miglioramento paretiano poggia sull’infrastruttura legale e regolamentativi. Tuttavia vi sono casi che dimostrano un cedimento della infrastruttura istituzionale. La nostra società, infatti, ha scelto di non eliminare completamente il fenomeno in quanto richiederebbe una spesa in applicazione delle leggi e regolamentazioni, troppo elevata. Il tenore di vita precipiterebbe e si potrebbe risollevare solo assumendo parte del rischio aggiuntivo di incidenti in modo da liberare delle risorse per aumentare la produzione. Lo Stato interviene nelle situazioni di fallimento del mercato, ossia ogniqualvolta un equilibrio di mercato è economicamente inefficiente. Esistono tre tipi di fallimenti di mercato: potere monopolistico: monopolisti, oligopolisti e imprese in concorrenza monopolistica detengono tutti del potere monopolistico in quanto fissano il prezzo per massimizzare il profitto. Un mercato che presenta un unico venditore o pochi oligopolisti rappresenta un caso più grave di fallimento del mercato. Immaginiamo che un mercato venga rilevato da un’unica impresa che può produrre ogni unità aggiuntiva di un bene al minor costo aggiuntivo. La curva del costo marginale del monopolio è identica alla curva di offerta di mercato iniziale. Anche la curva di domanda è identica a quella iniziale. Il monopolista massimizza il profitto scegliendo il numero in corrispondenza del quale il ricavo marginale e il costo marginale sono uguali. Per poter vendere un’unità aggiuntiva occorre ridurre il prezzo di tutte le altre unità, per questo la curva del ricavo marginale si trova sotto quella della domanda. Gli acquirenti compreranno solo le unità a cui attribuiscono un valore superiore al prezzo, ma il monopolista chiede un prezzo superiore al costo marginale. Di conseguenza, gli acquirenti scelgono di non acquistare alcuni beni nonostante il loro valore sia superiore al costo aggiuntivo di fornirli. I mercati monopolistici e in concorrenza imperfetta, ove le imprese chiedono un prezzo superiore al costo marginale, sono generalmente inefficienti. Il prezzo è troppo elevato e il livello di produzione è troppo basso per consentire di raggiungere il risultato efficiente. Lo Stato potrebbe applicare la legge anti-trust per frammentare il monopolio in più imprese concorrenziali. Tale rimedio, però, non sarebbe opportuno nei casi in cui il mercato produrrebbe un risultato ancora peggiore in presenza di una maggiore concorrenza. Il potere monopolistico derivante dalle esternalità di rete offre dei benefici che sarebbe difficile raggiungere in condizioni più concorrenziali. Nel caso di monopoli naturali il ricorso alla legge anti-trust sarebbe assolutamente inopportuno. Un monopolio naturale nasce quando, a causa delle economie di scala, un’unica impresa può produrre per l’intero mercato a un costo unitario inferiore a quello di due o più imprese. Se lo Stato non interviene tale mercato evolve naturalmente verso un monopolio. Il ricorso alla legge anti-trust porterebbe a una crescita del costo unitario e la concorrenza potrebbe portare a un prezzo superiore persino a quello del monopolio, aumentando l’inefficienza. Quindi lo Stato può o rilevare l’impresa e gestirla, ma è raro che accada, oppure ricorrere alla regolamentazione. I soggetti regolamentativi intervengono stabilendo il prezzo che l’impresa può scegliere ma la questione non è tanto semplice perché tali soggetti devono essere in grado di individuare la curva MC dell’impresa e la curva di domanda del mercato. I dirigenti sono incentivati a fornire dati contraffatti e anche qualora riuscissero a ottenere delle informazioni perfette su tali curve, dovrebbero comunque affrontare un problema piuttosto serio; la curva MC si trova sempre sotto la curva LRATC. Questa condizione deve verificarsi necessariamente nel caso di un monopolio naturale perché le economie di scala comportano una pendenza verso il basso della curva LRATC, il che a sua volta implica che il costo marginale sia inferiore al costo medio. Pertanto se i soggetti regolamentativi fissano il prezzo a un livello per cui gli acquirenti domanderanno la quantità efficiente, l’impresa subirà una perdita in quanto il costo unitario è maggiore. Nel lungo periodo l’impresa dovrà uscire dal mercato. Pertanto ci sono due soluzioni: 1. il prezzo viene fissato pari a MC e il monopolio viene sovvenzionato attingendo al gettito fiscale statale per compensare la perdita. 2. viene fissato il prezzo che consente ai proprietari di ottenere il “giusto rendimento” sui fondi monetari che hanno investito nel monopolio. Tale rendimento dovrebbe offrire al monopolio quello che gli economisti chiamano un “profitto normale”, ossia appena sufficiente a coprire i costi opportunità dei proprietari.

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Il giusto rendimento è gia incluso nella curva LRATC quindi se l’impresa chiede un prezzo pari al costo medio, coprirà tutti i costi dell’attività. Questa strategia è definita average cost pricing ed è la soluzione più utilizzata. Con questa strategia gli organi fissano il prezzo a livello del costo unitario in corrispondenza del quale la curva LRATC interseca la curva di domanda. Per questo prezzo il monopolio realizza un profitto economico nullo fornendo ai proprietari un giusto rendimento e consentendo al monopolio di rimanere in attività. Tale soluzione non è perfetta perché non garantisce l’assoluta efficienza del mercato. Esternalità: quando un’azione privata produce degli effetti collaterali che interessano in modo significativo altre persone si ha il problema delle esternalità, ossia un sottoprodotto di un bene o di un’attività che produce effetti su un individuo non direttamente interessato alla transazione. Se il sottoprodotto è dannoso si parla di esternalità negativa, altrimenti di esternalità positiva. In certe condizioni l’inefficienza che verrebbe causata da una esternalità negativa viene automaticamente risolta dalle parti coinvolte nella transazione, infatti

- entrambe le parti sono fortemente incentivate a raggiungere un accordo vantaggioso - essendo coinvolte solo due parti, i costi del pagamento compensativo sono probabilmente bassi.

Si raggiunge un risultato efficiente quando i benefici della parte avvantaggiata sono maggiori delle perdite della parte svantaggiata. Teorema di Coase: quando si possono negoziare e organizzare dei pagamenti compensativi in modo non costoso, il mercato privato risolverà il problema dell’esternalità negativa autonomamente giungendo sempre al risultato efficiente. L’assegnazione iniziale dei diritti legali determinerà la distribuzione dei benefici e delle perdite tra le parti, senza influenzare la decisione di intraprendere o meno l’azione considerata. È condizione necessaria che sia possibile organizzare i pagamenti compensativi in modo non costoso, e tale requisito viene soddisfatto quando 1. i diritti legali sono stabiliti in modo chiaro e preciso 2. i diritti legali possono essere trasferiti con facilità 3. il numero delle persone coinvolte è molto basso. Spesso nella realtà non si soddisfano tali condizioni. Si verifica il problema dei free rider quando il risultato efficiente richiede un pagamento compensativo ma le singole parti avvantaggiate (ciascuna obbligata a versare una piccola quota del pagamento) decidono di non contribuirvi. Se il problema si estende a un numero sufficiente di persone il pagamento può ridursi a tal punto da essere insufficiente a risarcire le parti svantaggiate e allo stesso tempo garantire un guadagno alle parti avvantaggiate. In tal caso l’accordo privato fallirà e il risultato efficiente non verrà raggiunto. Un mercato concorrenziale presenta un numero elevato di acquirenti e venditori, pertanto a volte la soluzione privata potrebbe non funzionare. Molte esternalità negative nei mercati sorgono da un tipo di inquinamento. Il mercato di un bene che crea inquinamento è inefficiente, infatti bisogna considerare il costo sociale marginale ossia il costo complessivo di produrre un’unità aggiuntiva di un bene, comprensiva sia del costo marginale sostenuto dal produttore, sia del danno causato da terze parti. Pertanto MSC include tutti i costi sostenuti per produrre un’unità e, quando si verifica un’esternalità negativa, MSC>MC per ogni livello di produzione. L’efficienza richiede che il mercato fornisca solo le unità a cui i consumatori attribuiscono un valore maggiore del costo necessario per produrle. Un mercato che presenti un’esternalità negativa derivante dalla produzione o dal consumo di un bene produrrà una quantità superiore al livello efficiente. Per raggiungere il livello efficiente si può

- spostare il livello di equilibrio, ma sarebbe troppo complicato e dispendioso - far intervenire lo Stato.

Lo Stato potrebbe imporre una tassa che porterebbe il mercato al raggiungimento di un nuovo equilibrio, producendo la quantità efficiente. Il pagamento della tassa sull’esternalità viene spartito tra i consumatori e i produttori. Tale metodo è piuttosto diffuso Lo Stato potrebbe anche servirsi della regolamentazione, ad esempio con il metodo dei permessi commerciabili ossia licenze che consentono a un’impresa di immettere nell’ambiente un’unità di inquinamento in un dato periodo di tempo. Rilasciando un determinato numero di permessi il governo stabilisce il livello complessivo di inquinamento che può essere emesso per legge in ogni dato periodo. Un’impresa può vendere ad altre imprese i permessi rilasciateli commerciando in un mercato organizzato. Un’impresa dotata di una tecnologia che comporta dei costi elevati per ridurre l’inquinamento, generalmente acquista i permessi a un prezzo inferiore al costo che dovrebbe sostenere e quindi ne risulta avvantaggiata. Un’impresa dotata di una tecnologia che le permette di ridurre l’inquinamento in modo piuttosto economico venderà i permessi assumendosi l’obbligo di ridurre ulteriormente l’inquinamento che produce. La collettività non risente di tale trasferimento in quanto il livello totale dell’inquinamento rimane invariato. Pertanto si generano dei miglioramenti paretiani. Per quanto riguarda le esternalità positive il mercato non raggiungerà il livello efficiente perché il prodotto sarà troppo poco. Bisogna infatti calcolare il Beneficio sociale marginale ossia il beneficio complessivo correlato alla produzione di un’unità aggiuntiva di un bene, che comprende sia il beneficio tratto dal consumatore sia qualsiasi beneficio ottenuto da terze parti. La curva MSB si trova sopra la curva di

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domanda di mercato e la distanza fra queste due curve è il valore dell’esternalità positiva. Tale curva indica il valore effettivo di ogni bene quando si considerano tutti i benefici. Un mercato che presenta una esternalità positiva legata alla produzione o al consumo di un bene produrrà una quantità inferiore al livello efficiente. Per raggiungere il risultato efficiente si potrebbe modificare la curva di domanda in modo da farla coincidere con la curva MSB, ad esempio, chiedendo alle persone che traggono beneficio dai beni altrui di versare un pagamento compensativo. Anche in questo caso è necessario l’intervento dello Stato. Un sussidio offerto per ogni unità di un bene, e pari a un beneficio esterno apportato dal bene può correggere una esternalità positiva e portare il mercato al livello di produzione efficiente. Beni pubblici: uno dei ruoli principali assunti dallo stato è quello di fornire beni pubblici ossia beni che il mercato, se lasciato agire autonomamente, non fornirà affatto o non fornirà nella misura efficiente anche in assenza di altri fallimenti del mercato. Un bene privato è caratterizzato dalla rivalità nel consumo: se una persona lo consuma, un’altra non può farlo. Se un bene è caratterizzato da rivalità nel consumo, l’efficienza richiede che le persone paghino un prezzo per usufruirne. In assenza di fallimenti del mercato l’offerta privata condurrà al livello di produzione efficiente. Seconda caratteristica è l’escludibilità: la capacità di escludere dal consumo coloro che non pagano il bene. La rivalità indica che è necessario chiedere un prezzo per raggiungere l’efficienza, e l’escludibilità indica che le imprese private possono produrre il bene. Se un bene presenta entrambe queste caratteristiche, è detto bene privato puro. Ma non tutti i beni presentano queste caratteristiche. Se un bene non è caratterizzato da escludibilità gli individui sono incentivati a diventare free rider lasciando che siano gli altri a pagare. Un’impresa privata non sarebbe in grado di fornire tale bene e sopravvivere. Nella maggior parte dei casi se vogliamo tale bene sarà il governo a fornirlo. Un’impresa, anche se potesse escludere dal consumo coloro che non pagano il bene, non dovrebbe farlo: se chiedesse un prezzo positivo il numero delle persone disposte a pagare sarebbe inferiore al livello economicamente efficiente. Un bene che non sia caratterizzato né da rivalità né da escludibilità è detto bene pubblico puro. Un bene pubblico puro che apporti dei benefici superiori al costo necessario per fornirlo costituisce un fallimento del mercato. Tale bene sarà ignorato dal mercato privato. L’escludibilità e la rivalità devono essere considerate categorie graduate e non assolute. Esistono poi dei beni che presentano caratteristiche sia dei beni pubblici sia dei beni privati, e sono detti beni misti.

- beni caratterizzati da escludibilità ma non da rivalità: il settore privato non può offrirne la quantità efficiente e l’efficienza può essere raggiunta solo quando le unità aggiuntive sono disponibili gratuitamente.

- beni caratterizzati da rivalità ma non da escludibilità: tali beni producono quella che è definita la tragedia dei common, ossia un uso eccessivo di tali beni, a scapito della collettività.

Un sistema economico che presenti dei mercati ben funzionanti e perfettamente concorrenziali tende ad essere economicamente efficiente. Sono necessari molti tipi di intervento statale per assicurare il buon funzionamento dei mercati e per ovviare ai fallimenti del mercato. Tali casi non sono esenti da controversi, infatti il compito dello Stato non sempre è facile. Vi sono innanzitutto problemi di informazione e precisione delle stime; poi vi sono problemi di incentivo per i funzionari delle amministrazioni pubbliche (possono avere incentivi privati e possono subire le pressioni di un gruppo di interesse specifico, ed essere cosi indotti a prendere decisioni poco obiettive). Inoltre lo Stato per disporre dei fondi necessari deve riscuotere una quantità sufficiente di tasse che, di per sé, possono provocare inefficienze. In più la fornitura di beni pubblici garantisce quasi sempre una insoddisfazione generale, in quanto tali beni vengono forniti in quantità stabilite a livello politico e tutti devono consumarne la stessa quantità. Il governo, inoltre, svolge altri ruoli importanti oltre allo sviluppo dell’efficienza, e su tali questioni non è facile trovare un accordo.