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Geny Piotti MEZZOGIORNO E GERMANIA EST: LA DIFFERENZIAZIONE TERRITORIALE DELLO SVILUPPO ALLINIZIO DEGLI ANNI ’90 DSS PAPERS SOC 5-01

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Geny Piotti

MEZZOGIORNO E GERMANIA EST:LA DIFFERENZIAZIONE TERRITORIALE

DELLO SVILUPPOALL’INIZIO DEGLI ANNI ’90

DSS PAPERS SOC 5-01

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INDICE

1. Approcci alla comparazione tra Mezzogiornoe Germania Est ..............................................................................Pag. 5

2. Unità di analisi territoriale e indicatori utilizzati ............................ 8

3. Le caratteristiche delle regioni forti e deboli in Germania Est ..................................................................................... 14

4. Il modello di sviluppo della Germania Est all’iniziodegli anni ’90 ...................................................................................... 25

5. Le caratteristiche dei sistemi locali forti e deboli nelMezzogiorno ...................................................................................... 30

6. Il modello di sviluppo del Mezzogiorno all’inizio deglianni ’90 ............................................................................................... 41

7. Mezzogiorno e Germania Est in prospettiva comparata .............. 46

Bibliografia ........................................................................................ 55

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Mezzogiorno e Germania Est 5

1. Approcci alla comparazione tra Mezzogiorno e Germania Est.

La questione che più o meno direttamente è stata posta quando si sono

accostati Germania Est e Mezzogiorno (Will East Germany become a new

Mezzogiorno?) era fortemente condizionata dalla preoccupazione che i

Laender orientali potessero seguire le sorti delle regioni meridionali italiane

perpetuando una situazione di generale arretratezza rispetto all’altra parte

del paese e fallendo nella realizzazione di uno sviluppo che si autosostiene.

Tali posizioni finivano anche per contrapporsi alle affermazioni

dell’economia mainstream di stampo neoclassico all’interno del dibattito

sulla durata e l’esito del processo di trasformazione in Germania Est.

Applicazioni al contesto tedesco-orientale di tale teoria ribadivano il ruolo

centrale e propulsivo della concorrenza, della mobilità dei fattori produttivi

e dello scambio nel superamento delle differenze in termini di produttività, e

sottolineavano la necessità di una rapida convergenza della quale gli elevati

ritmi di crescita iniziali rappresentavano l’indicatore più evidente. La

Germania Est si sarebbe dunque presto o tardi dotata dello stesso tipo di

strutture e di organizzazione produttiva dell’ovest (Fier e Woywode, 1994).

Ritardi nell’attuazione di questa “necessità” venivano attribuiti proprio ai

freni posti alla concorrenza stessa, in special modo attraverso politiche

salariali volte alla Lohnanglieichung (allineamento salariale) (Sinn/Sinn,

1991).

Il richiamo al Mezzogiorno funge dunque quasi da contrappeso

all’ottimismo sprigionato da questo genere di interpretazione sulla durata e

la problematicità dei processi di trasformazione. Pur ponendosi in

contrapposizione con l’economia neoclassica, i contributi che si richiamano

all’esperienza del Sud Italia si differenziano al proprio interno sia per gli

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6 Mezzogiorno e Germania Est

aspetti trattati che per i punti di riferimento teorici. Alcuni sottolineano

come il ruolo dello stato nel processo di sviluppo non possa essere escluso

dall’analisi. E’ vero dunque che la Germania Est ha raggiunto livelli di

crescita del PIL superiori a quelli dell’Ovest (mediamente il 7.3% tra il 1992

e il 1995) ma è altrettanto vero che la crescita è stata fortemente sostenuta

politicamente. Ed è proprio a questo punto che sorge la questione della

“sindrome del Mezzogiorno”, ovvero quella della dipendenza dall’intervento

statale e al contempo della difficoltà ad innescare un processo di sviluppo;

due aspetti che sembrano strettamente legati. Alcuni autori come Boltho,

Carlin e Scaramozzino (1996) sembrano ottimisti sulla capacità della

Germania Est di evitare la trappola-Mezzogiorno mettendo in evidenza, da

un lato, il diverso ruolo dell’intervento statale volto alla creazione di

infrastrutture piuttosto che ad un sostegno di carattere assistenziale, e

dall’altro differenze di carattere culturale, in generale, e nella pubblica

amministrazione in particolare. Altri (Hallet e Ma, 1993) ritengono la

dipendenza dai trasferimenti fiscali ineluttabile almeno fino a quando il gap

di produttività tra est e ovest non venga colmato.

Ma la sindrome del Mezzogiorno nasce anche da altri problemi, come

ad esempio il rapporto di dipendenza instaurato tra Germania Est ed Ovest

che rende nuovamente attuale il modello teorico del centro-periferia

(Brakman e Gerretsen. 1993), oppure quello dell’emigrazione che, privando

le aree più deboli di capitale umano qualificato, alla base dello sviluppo

locale, genera un circolo vizioso ed effetti cumulativi negativi che rendono

le disuguaglianze più profonde e difficili da colmare (Genosko, 1996).

Mentre gli altri approcci calano su tutta la Germania Est gli esiti di

riflessioni basate su questioni di natura essenzialmente macroeconomica,

quest’ultimo non esclude in linea di principio che i processi migratori siano

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Mezzogiorno e Germania Est 7

di fatto territorialmente differenziati. Considerandoli come indicatore

sintetico del grado di benessere relativo di un’area, questa teoria fornisce le

basi per andare ad indagare le diversità regionali e pone l’accento sulle

economie di luogo (Grundmann, 1997).

L’accostamento tra Germania Est e Mezzogiorno in questo lavoro è

dettato da altre considerazioni. Non si tenterà tanto di rispondere al quesito

se la Germania Est diventerà un nuovo Mezzogiorno quanto di focalizzare

l’attenzione su un aspetto non sufficientemente indagato, ovvero quello della

comparazione tra i modelli di sviluppo dei due contesti. Mezzogiorno e

Germania Est vengono infatti qui considerati come macro-regioni che, in

una situazione di relativa arretratezza, devono far conto anche sulle proprie

risorse per affrontare il problema dello sviluppo. Germania Est e

Mezzogiorno non sono però realtà omogenee come gli altri tipi di analisi,

focalizzate su aspetti macro, tendono a presentare. L’ottica in cui ci siamo

posti mira infatti in primo luogo ad evidenziare le differenze territoriali

nelle logiche di sviluppo. In particolar modo verranno qui ricostruiti in

ciascun caso dei modelli di sviluppo all’inizio degli anni novanta per

comprendere meglio quali siano state, negli anni successivi, le principali

trasformazioni e secondo quali modalità.

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8 Mezzogiorno e Germania Est

2. Unità di analisi territoriale e indicatori utilizzati.

Porsi l’obiettivo di rilevare diversi pattern di sviluppo all’interno di

un’area comporta delle scelte metodologiche precise circa l’unità di analisi e

l’utilizzo di indicatori che siano coerenti con tale obiettivo. E’ pertanto

opportuno utilizzare unità di analisi cosiddette di tipo funzionale, costruite

in modo tale da presentare caratteristiche di omogeneità interne dal punto di

vista socio-economico. Nel caso del Mezzogiorno sono dunque stati scelti i

cosiddetti sistemi locali del lavoro (SLL) mentre per la Germania Est le

regioni del mercato del lavoro (Arbeitsmarktregionen, AMR). Entrambi

vengono costruiti tenendo presente gli spostamenti giornalieri della

popolazione residente per motivi di lavoro e nel caso tedesco soprattutto

criteri di omogeneità delle condizioni del mercato del lavoro (ISTAT 1997;

Benterbusch 1996). I 365 sistemi locali del lavoro nel Mezzogiorno e le 67

regioni del lavoro tedesche orientali verranno utilizzati sia nella proiezione

spaziale delle variabili considerate, per valutare eventuali logiche di

localizzazione delle aree forti e di quelle deboli, sia come unità contabili per

definire relazioni tra variabili, misurare e comparare la concentrazione o la

diffusione di determinati fenomeni nei due contesti considerati.

Il ricorso ad aggregazioni di unità comunali, nel caso dei sistemi locali

italiani, limita fortemente la possibilità di accedere a gran parte delle

informazioni necessarie relative al reddito. I dati che utilizzeremo per

indicare il carattere più o meno consolidato delle singole aree sono quindi di

tipo occupazionale, in particolare il tasso di occupazione nell’industria e nei

servizi1 Un’ultima notazione riguarda la scelta dell’ambito temporale

1 Viene qui convenzionalmente chiamato tasso di occupazione nell’industria e nei

servizi il rapporto tra gli occupati nell’industria e nei servizi e il totale della

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Mezzogiorno e Germania Est 9

considerato. I dati del Mezzogiorno presi in esame sono quelli del

censimento ISTAT 1991, mentre i dati tedeschi sono forniti dal

Bundesanstalt fuer Arbeit (Istituto Federale del Lavoro) e sono relativi al

1993.

Per l’identificazione di modelli regionali di sviluppo i diversi sistemi

locali sono stati connotati dal punto di vista della struttura produttiva, del

grado di agglomerazione urbana, delle caratteristiche della popolazione

residente e del capitale umano a disposizione.

Per analizzare la specializzazione manifatturiera evitando di incorrere

in una eccessiva frammentazione settoriale è stata utilizzata come punto di

riferimento una classificazione fornita dall’ISTAT (1997) che suddivide le

attività manifatturiere in quattro categorie: industria leggera, industria

alimentare, industria meccanica e grande industria2. Per connotare

ulteriormente la struttura produttiva delle diverse regioni del mercato del

popolazione. Si differenzia rispetto al normale tasso di occupazione che è dato dalrapporto tra il totale degli occupati e la popolazione attiva. Nel caso del Mezzogiornoverranno utilizzati sia lavoratori dipendenti che indipendenti (OCCINDSERV), per laGermania Est soltanto i dipendenti (OCCDIPINDSERV). In entrambi i casi si èprovveduto a depurare i servizi da tutti quelli a carattere pubblico (sanità, istruzione,difesa, associazioni).

2 Sistemi locali specializzati in una determinata attività presentano un coefficiente dilocalizzazione LQ (Location Quotient) in quella attività maggiore o uguale a 1. Ilcoefficiente di localizzazione è dato dal rapporto tra la quota di addetti in quelladeterminata attività rispetto alla media nazionale. L’industria leggera comprende iltessile e l’abbigliamento, la pelletteria, i prodotti per l’arredamento (l’industria dellegno, l’industria dei mobili e la lavorazione di prodotti non metalliferi), l’oreficeria,gli strumenti musicali, gli articoli sportivi e i giocattoli. L’industria alimentare ècostituita da: industrie alimentari in senso stretto, bevande e tabacco. L’industriameccanica comprende la fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, compresal’installazione, la riparazione, il montaggio e la manutenzione; la fabbricazione dimacchine elettriche, elettroniche ed ottiche, la fabbricazione e la lavorazione deiprodotti in metallo ed infine la fusione di metalli, l’industria cantieristica edaeronautica. La “ grande industria” è costituita invece da industria metallurgica,petrolchimica e dei mezzi di trasporto compresa la produzione di componenti,

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10 Mezzogiorno e Germania Est

lavoro e dei sistemi locali verranno inoltre considerati il grado di diffusione

sul territorio e la dimensione delle unità locali manifatturiere. L’indicatore

scelto nel primo caso è rappresentato dal numero di imprese manifatturiere

ogni 1000 abitanti, nel secondo caso, dalla percentuale di piccole, medie e

grandi imprese3.

Come per l’analisi della specializzazione manifatturiera, i diversi tipi di

servizi sono stati aggregati in categorie relativamente omogenee al proprio

interno. Vengono dunque distinti in servizi distributivi (trasporti e

commercio), servizi sociali e al consumatore (hotel, ristoranti, spettacolo

etc) e servizi alle imprese (banche e servizi finanziari, informatica etc..)4.

Anche questo tipo di distinzione permette di connotare meglio il tipo di

logica esistente. I servizi distributivi ad esempio, come trasporti e

commercio, sono a carattere tendenzialmente più tradizionale e diffuso e

connotano particolarmente aree non specializzate in altri tipi di servizio più

complessi o che fanno leva su particolari risorse locali. I servizi sociali e al

consumatore sono connessi principalmente ad attività di tipo turistico; i

servizi alle imprese sono invece maggiormente legati all’industria. E’

opportuno non considerare i servizi indipendentemente da altri settori, in

l’industria cartotecnica e poligrafica (fabbricazione della pasta-carta, della carta e deiprodotti di carta, stampa ed editoria).

3 Sono state definite come imprese di piccole dimensioni quelle con un numero di addettiinferiore a 50; come medie imprese quelle con un numero di addetti tra 50 e 199;come grandi imprese quelle con 200 addetti e oltre.

4 I servizi distributivi sono costituiti da trasporti e commercio. Per servizi sociali e alconsumatore si intendono alberghi e ristoranti, attività immobiliari, noleggiomacchinari, attrezzi senza operatore, beni per uso personale e domestico, attivitàricreative, culturali e sportive, smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque di scarico esimili, altre attività di servizi. I servizi alle imprese comprendono intermediazionemonetaria e finanziaria, informatica e attività connesse, altre attività professionali eimprenditoriali. Si ricorda che non sono compresi, specie nei servizi sociali e alconsumatore tutti i servizi pubblici come sanità, istruzione.

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particolar modo dall’industria, e cercare di capire come essi si inseriscano

nelle logiche produttive locali.

Dopo aver definito le caratteristiche della struttura produttiva delle

regioni del mercato del lavoro più consolidate verrà preso in considerazione

il ruolo giocato da alcuni caratteri della popolazione residente. In particolar

modo verrà focalizzata l’attenzione sul grado di agglomerazione della

popolazione, sul tipo di urbanizzazione e sulla variazione percentuale della

popolazione stessa. Una perdita di popolazione dovuta in particolar modo a

processi migratori rappresenta una sorta di indicatore del benessere di una

regione valutato sulla base delle preferenze individuali. Tale perdita tende

infatti ad impoverire le aree sottraendo i soggetti più giovani, mobili e

qualificati (teoria dei circoli cumulativi negativi di Myrdal).

Considereremo infine alcuni indicatori relativi alla struttura della

popolazione e alle risorse da essa derivanti. L’indice di vecchiaia è dato dal

rapporto tra popolazione residente al di sopra dei 65 anni e quella dei

giovani al di sotto dei 15 anni, l’indice di dipendenza dei giovani rapporta

invece questi ultimi e la popolazione in età da lavoro (dai 15 ai 65 anni).

L’indice di lavoro potenziale indica invece la quota di popolazione residente

in età da lavoro rispetto al totale della popolazione. Il ruolo svolto dalla

struttura della popolazione nello sviluppo è però controverso. Una società

locale più vecchia e con scarse possibilità di ricambio inter-generazionale è

spesso la conseguenza del processo di sviluppo ma diventa problematica se

è accompagnata da scarsa presenza di popolazione in età da lavoro o da

processi migratori che tendono a ridurla ulteriormente. Dall’altro lato però la

presenza di una quota elevata di soggetti in età da lavoro può anche

appesantire il mercato del lavoro locale in aree molto deboli. In questo senso

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i processi migratori potrebbero anche rappresentare una efficace valvola di

scarico e ridurre eventuali forme di dipendenza dall’intervento statale.

Nella letteratura sullo sviluppo, anche a carattere economico, è stata

data sempre maggiore attenzione al ruolo svolto dal capitale umano che

generalmente viene operativizzato facendo riferimento al livello di

istruzione della popolazione residente. Operativamente è molto difficile

riuscire a quantificare il capitale umano non codificato; l’analisi si limiterà

dunque a considerare il livello di istruzione formale presente mediamente

nell’area. Nel caso del Mezzogiorno verranno utilizzati tre indicatori: la

percentuale di laureati e diplomati, di popolazione con titolo della scuola

dell’obbligo e senza titolo sul totale della popolazione residente al di sopra

dei sei anni di età. Il riferimento alla qualificazione della popolazione

residente anziché a quella dei soli occupati aiuta a tenere meglio conto anche

del capitale umano non utilizzato ma comunque presente nella regione.

In assenza di dati al livello territoriale delle regioni del mercato del

lavoro riguardo al livello di istruzione della popolazione residente in

Germania Est abbiamo considerato come indicatore di capitale umano la

quota di studenti iscritti alle scuole superiori sul totale della popolazione

residente compresa tra i 15 e i 25 anni5. Sia in Germania Est che nel

Mezzogiorno6 questo tipo di indicatore è stato ulteriormente qualificato

5 Diversamente dagli indicatori di capitale umano relativi alla popolazione residente

considerati per il Mezzogiorno, gli studenti non vengono attribuita alla circoscrizionedi residenza ma a quella della scuola frequentata. Questo implica una distorsione afavore delle circoscrizioni con una maggiore offerta di infrastrutture scolastiche.Tuttavia, il fatto di muoversi a livello di regione del mercato del lavoro e quindi suaree sufficientemente ampie riduce di fatto queste distorsioni. Così come per il flussodi pendolari per motivi di lavoro, gli spostamenti giornalieri per motivi di studiotenderanno a verificarsi all’interno della stessa circoscrizione o al massimo in quelleattigue.

6 I dati relativi a questo tipo di indicatore per il Mezzogiorno vengono ottenuti, perciascun sistema locale, a partire da stime dal livello provinciale. Ad ogni sistema

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distinguendo tra la percentuale di iscritti al Liceo come espressione della

propensione a proseguire negli studi universitari e alle scuole tecniche e

professionali, anche con esperienza nelle imprese (nel caso ad esempio del

sistema duale tedesco), come indicatore della propensione ad una

formazione di carattere più tecnico e specialistico orientato più direttamente

all’ingresso nella produzione.

Il rapporto tra grado di consolidamento (variabile dipendente) e gli altri

tipi di variabile relativi alla popolazione e al capitale umano verranno infine

indagati utilizzando diversi tipi di strumento. Il coefficiente di correlazione

indica come le variabili di volta in volta considerate si muovono l’una

rispetto all’altra. E’ dunque utile per capire se due fenomeni in qualche

modo sono legati. Non fornisce però indicazione alcuna su altri aspetti che

sono rilevanti per l’analisi regionale all’interno di ciascun caso e per la

comparazione. Non rileva infatti il livello attorno al quale ci si muove (se ad

esempio una elevata correlazione tra capitale umano e consolidamento

avviene nelle diverse regioni a livelli bassi od elevati di una o entrambe le

variabili), oppure eventuali fenomeni di concentrazione territoriale delle

variabili considerate. In qualche caso si è pertanto ritenuto opportuno

affiancare alla correlazione anche altri tipi di analisi come ad esempio il

confronto tra i valori medi della Germania Est e del Mezzogiorno per

ovviare al primo tipo di problema, e un’analisi cross tabs per ottenere una

descrizione più efficace delle caratteristiche delle aree forti, tout court e

rispetto a quelle deboli. La variabile dipendenti (il grado di forza) e

indipendenti di tipo cardinale sono state infatti dicotomizzate in base alla

locale è stato attribuito il valore della provincia della quale fa parte. In caso di sistemilocali pluriprovianciali il valore del sistema locale è dato dalla media dei valori delleprovince sulle quali i sistemi locali insistono.

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14 Mezzogiorno e Germania Est

media della macro-area di riferimento, cioè rispetto al relativo valore di

Germania Est e Mezzogiorno, e incrociate tra loro. Specie per la definizione

del modello della struttura produttiva nelle sue declinazioni territoriali è

importante anche analizzare il livello di concentrazione e diffusione

territoriale delle attività manifatturiere e dei servizi analizzati che si ottiene

mettendo a confronto la percentuale di aree specializzate nell’attività

considerata, la percentuale di occupati in quella specializzazione “spiegata”

da quelle aree e quella della relativa popolazione7.

Effettuata in ciascun caso una analisi del rapporto tra consolidamento

ed altre variabili indipendenti si cercherà di effettuare una sintesi attraverso

una analisi di cluster tesa ad individuare e a fornire la geografia dei diversi

modelli di sviluppo nei due contesti.

3. Le caratteristiche delle regioni forti e deboli in Germania Est.

Le aree forti, ovvero quelle che nel 1993 possiedono un tasso di

occupazione nell’industria e nei servizi (OCCDIPINDSERV) superiore alla

media della Germania Est, rappresentano circa il 25,4% del totale; risultano

quindi territorialmente relativamente concentrate. Esse si concentrano in

parte nel sud, nell’area delle grandi città come Dresda, Chemnitz, Lipsia e

Halle, e nel Nord nelle città di Rostock e Schwerin. Aree forti sono inoltre

costituite dalla regione del lavoro di Berlino e da aree contigue verso il 7 Se in una quota ridotta di sistemi locali o di regioni del mercato del lavoro specializzate

in una determinata attività (LQ dell’attività > 1) si trova complessivamente unapercentuale considerevolmente più elevata di addetti in quel tipo di specializzazione,questa sarà territorialmente molto concentrata. Se in queste aree spiegano inoltre

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confine con la Polonia. Le regioni mediamente deboli si concentrano

prevalentemente nel Sud mentre quelle molto deboli nel Nord Est. E’

possibile dunque identificare nel 1993 una sorta di “divide” tra la parte

meridionale e al confine con la Polonia da un lato, a carattere mediamente

più industriale sin dai tempi della DDR, e un Nord dall’altro che mostra una

situazione di sostanziale debolezza. Si tratta infatti di regioni nelle quali del

resto prevalgono ancora attività di tipo agricolo.

Il primo aspetto che si vuole indagare riguardo alla struttura produttiva

è rappresentato dal carattere manifatturiero o meno dei diversi tipi di area e

dal tipo di specializzazione manifatturiera presente. Per fare questo le aree

forti e deboli sono state in primo luogo classificate in relazione alla presenza

di una tradizione manifatturiera durante il regime della DDR. Tale

tradizione discrimina fortemente tra i due tipi di area. Ben l’88,2% delle

regioni che nel 1993 hanno una percentuale di occupati dipendenti

nell’industria e nei servizi superiori alla media avevano infatti una tradizione

manifatturiera contro il 44% delle aree deboli.

Si può già anticipare come le aree consolidate più difficilmente

possiedano una specializzazione consistente nelle attività manifatturiere che

andiamo a considerare. Il tasso di occupazione nell’industria e nei servizi

(OCCDIPINDSERV) risulta infatti correlato negativamente con la

specializzazione nell’industria leggera e soprattutto con quella alimentare (r

= -.425) che sembrano di gran lunga tipiche delle aree più deboli (tabella 1).

Il basso valore aggiunto che contraddistingue l’industria alimentare e il

carattere locale dei mercati di sbocco rendono infatti questo tipo di attività

maggiormente realizzabile anche in aree poco consolidate. Ciò non

anche una quota considerevole della popolazione significa che le aree nelle quali laspecializzazione si concentra sono tendenzialmente a carattere urbano.

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significa che anche le aree forti non presentino industria alimentare o che vi

sia una rigida divisione del lavoro tra centri e periferie rispetto a questo tipo

di attività. Le regioni del mercato del lavoro che possiedono una

specializzazione nell’industria alimentare rappresentano infatti il 56,7% del

totale delle aree , ma coprono soltanto il 41,4% del totale degli occupati in

questa attività e il 37,8% della popolazione. Questo significa infatti che ben

il 60% degli occupati in questo tipo di industria si colloca in aree non

specializzate e a carattere maggiormente urbano. Questo tipo di industria è

dunque presente complessivamente in misura anche maggiore nelle aree non

specializzate, tuttavia essa assume valori percentuali superiori alla media

della Germania Est tendenzialmente in quelle regioni del mercato del lavoro

nelle quali non sono presenti in misura consistente altre attività di tipo

manifatturiero. In questo senso la specializzazione alimentare può essere

considerata in parte espressione di debolezza.

Per quanto riguarda l’industria leggera è possibile effettuare

considerazioni analoghe. Le aree più forti non risultano specializzate mentre

quelle più deboli generalmente lo sono. Anche in questo casi si tratta di una

specializzazione diffusa, che tende però allo stesso modo ad emergere in

aree più deboli e meno popolate8.

Rispetto alle relazioni di segno negativo riscontrate tra il livello di

forza e la specializzazione alimentare e leggera, non sembra invece esservi

nel 1993 alcuna relazione tra la forza dell’area ed il grado di

specializzazione dell’industria meccanica e della grande industria (tabella

1). Anche la specializzazione meccanica è relativamente diffusa; nel 1993

8 Nel 1993 la specializzazione nell’industria leggera riguardava il 62,7% delle regioni

del lavoro. Essa copriva una quota pressoché analoga del totale degli occupati inquesta specializzazione (62,%) e soltanto il 41% del totale della popolazione.

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essa riguarda quasi il 50% del totale delle regioni del mercato del lavoro,

che “spiegano” però ben il 71,8% del totale degli occupati dipendenti in

questa attività e il 62% della popolazione. L’industria meccanica è dunque

in generale più tipica di aree forti e deboli tendenzialmente a più elevata

densità di popolazione. Essa è presente a Nord, lungo la costa a seguito

della concentrazione dell’industria cantieristica, nelle aree deboli al confine

meridionale con la Germania Ovest e nelle aree forti di Lipsia, Halle e

Naumburg. Regioni più consolidate specializzate nel 1993 in questo tipo di

attività sono Rostock per l’industria dei cantieri navali, Magdeburg, Berlino,

e nel sud Jena, per l’industria ottica, Zwickau e Chemnitz (per le industrie

che ruotano attorno a quella dei mezzi di trasporto) e Dresda.

La specializzazione della grande industria presenta delle caratteristiche

particolari rispetto alle attività produttive sin qui analizzate. Come per

l’industria meccanica non si è riscontrata alcuna correlazione tra il grado di

forza dell’area e di specializzazione (tabella 1). Diversamente da questa, la

specializzazione nella grande industria riguarda però una quota più ristretta

di regioni del mercato del lavoro (il 34,3%). Si tratta di un risultato

certamente controintuitivo se si tengono presenti l’elevato valore aggiunto

relativo a questo tipo di produzione, le grandi dimensioni aziendali che le

Tabella 1. Germania Est: tasso di occupazione(OCCDIPINDSERV) e specializzazione manifatturiera (1993)(coeff. Correlazione)

R industria leggera -0,299 industria alimentare -0,425 industria meccanica -0,020 grande industria 0,076

Fonte: Elaborazione su dati Bundesanstalt fuer Arbeit

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caratterizzano e dunque la grande capacità di assorbire forza lavoro. Ci si

aspetterebbe dunque che la grande industria dia un contributo significativo

allo sviluppo locale. In realtà questo risultato può essere in parte motivato

ma deve essere anche completato da altre analisi.

E’ certamente vero che le aree deboli in Germania Est siano

caratterizzate in modo più consistente dalla grande industria. Durante il

regime della DDR sono stati infatti effettuati investimenti in impianti di

grandi dimensioni, creati dal nulla come cattedrali nel deserto per poter far

fronte, da un lato, alle esigenze della propria economia che non poteva più

contare sulle industrie e le risorse energetiche e di materie prime presenti

nella parte occidentale, dall’altro per esigenze di riequilibrio interno, di

riduzione delle disuguaglianze economiche determinate dalla presenza di

aree a maggiore tradizione industriale nella parte meridionale del paese,

specie nelle agglomerazioni urbane di più grandi dimensioni. Si tratta

dunque in questo caso di aree deboli da un lato perché a partire dal 1990

hanno subito forti processi di razionalizzazione dovuti alla privatizzazione o

alla chiusura degli impianti di grosse dimensioni che le caratterizzavano, sia

perché si trattava di fatto di grandi imprese che, per le caratteristiche

settoriali, e per il fatto che durante la DDR operavano in presenza di un

mercato fittizio, non hanno subito processi di ristrutturazione determinando

spin-off sul territorio. Come sarà inoltre più chiaro in seguito, queste regioni

del lavoro presentavano una maggiore carenza di servizi.

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Tra le aree specializzate nella grande industria troviamo infatti, oltre a

regioni del mercato del lavoro forti come quelle di Senftenberg (sede della

Kombinat petrolchimica Schwartze Pumpe), di Bitterfeld e Naumburg per

l’industria chimica e di Zwickau (sede durante il regime della DDR della

produzione automobilistica del celebre Traband e attualmente di un

impianto Volkswagen), anche aree più deboli. Ad esempio, al confine con la

Polonia, Prenzlau (industria chimica), Francoforte sull’Oder (per la

produzione di microchips e la lavorazione del ferro nella celebre Kombinat

di Eisenhuettenstadt) e Goerlitz (produzione di vagoni ferroviari). Riesa e

Brandeburg sull’Havel sono sedi di impianti di produzione dell’acciao.

Dessau e Wittemberg formano insieme a Bitterfeld il triangolo della

chimica. Eisenach, al confine sud-occidentale con la Germania Ovest era

invece, prima della caduta del muro, sede dell’industria automobilistica

Wartburg e attualmente di un impianto OPEL.

E’ necessario però considerare che oltre che nelle regioni del lavoro

deboli e forti specializzate, la grande industria è presente nel 1993 in modo

consistente in termini assoluti anche in sistemi locali che risultano non

specializzati. Come infatti abbiamo potuto notare, soltanto il 34,3% delle

regioni del mercato del lavoro risultano specializzate nella grande industria,

Tabella 2. Germania Est: tasso di occupazione(OCCDIPINDSERV) diffusione(1993) e dimensione manifatturiera(1997) (coeff. Correlazione)

Rn. imprese/1000ab. 0,014 piccole imprese -0,465 medie imprese -0,371 grandi imprese 0,350

Fonte: Elaborazione su dati Bundesanstalt fuer Arbeit

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20 Mezzogiorno e Germania Est

hanno cioè con una percentuale di addetti in questo tipo di attività superiore

alla media della Germania Est. Tuttavia, queste aree spiegano soltanto il

40,5% del totale degli addetti nella grande industria e il 25,3% della

popolazione. Ciò significa, rovesciando il ragionamento, che quasi il 60%

degli occupati dipendenti nella grande industria, si colloca in altre aree

deboli, ma soprattutto in aree più consolidate, che risultano non specializzate

e caratterizzate da un maggior livello di urbanizzazione.

Verranno adesso considerati altri due elementi che contribuiscono a

connotare ulteriormente la struttura produttiva della Germania Est all’inizio

del periodo considerato: il grado di diffusione sul territorio e la dimensione

delle unità locali manifatturiere attraverso l’esame del numero di imprese

manifatturiere ogni 1000 abitanti, e la percentuale di piccole, medie e

grandi imprese.

Nel 1993 il grado di diffusione delle imprese manifatturiere non risulta

correlato con il grado di forza della regione rappresentata dal tasso di

occupazione nell’industria e nei servizi (tabella 2). Tuttavia, all’inizio del

periodo il 76,6% delle aree forti rispetto al 42% di quelle deboli ha una

bassa diffusione, inferiore cioè a 0,37 unità locali per 1000 abitanti, che

corrisponde alla media della Germania Est.

Tabella 3. Germania Est: tasso di occupazione (OCCDIPINDSERV) especializzazione nei servizi (1993) (coeff. Correlazione)

R servizi distributivi 0,102 servizi sociali e al consumatore 0,034 servizi alle imprese 0,529

Fonte: Elaborazione su dati Bundesanstalt fuer Arbeit

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Mezzogiorno e Germania Est 21

Nel 1997, il 18,2 % degli addetti alla manifattura in Germania Est si

trova in imprese di piccole dimensioni, il 35,2% in imprese di medie

dimensioni e il 44,4% in aziende di grandi dimensioni. Dalla nostra analisi

emerge a questo proposito come la forza di una regione sia correlata

negativamente con la presenza di piccole e medie imprese e positivamente

con la presenza di grandi imprese (tabella 2).

Come per l’analisi della specializzazione manifatturiera, i servizi sono

stati aggregati in categorie relativamente omogenee al proprio interno;

vengono dunque distinti in servizi distributivi, servizi sociali e al

consumatore e servizi alle imprese9. I primi rappresentano in Germania Est

nel 1993 circa il 53,5% del totale dei servizi in termini di occupazione

dipendente, i servizi sociali e al consumatore il 25,5% ed infine i servizi alle

imprese il 21%.

Né nel caso dei servizi distributivi, né in quello dei servizi sociali e al

consumatore abbiamo rintracciato una correlazione con il grado di

consolidamento (tabella 3). Tuttavia l’analisi cross-tabs sembra mettere in

evidenza in entrambi i casi una maggiore concentrazione di questi tipi di

servizi nelle aree forti. Il 58,8% delle aree forti è infatti specializzato nei

servizi distributivi a fronte del 34% di quelle deboli. Il 23,5% delle aree forti

risultano inoltre specializzate nei servizi sociali e al consumatore contro il

10% delle regioni del lavoro deboli. Nel 1993 risultavano specializzate in

questo tipo di servizio che ha a che fare con le attività di tipo turistico

soprattutto alcune aree costiere (Rostock, Bergen e Greifswald) e le grandi

città di Berlino, Lipsia e Dresda .

9 Per la definizione delle tre categorie si veda la nota 4 . Si ricorda che nei servizi sociali

sono esclusi tutti i servizi pubblici come sanità, difesa e istruzione.

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22 Mezzogiorno e Germania Est

Anche i servizi alle imprese, oltre a rappresentare in media una quota

relativamente bassa del totale dei servizi, risultano territorialmente molto

concentrati. Nel 1993 la quota di regioni del mercato del lavoro tedesche

orientali specializzate nei servizi alle imprese rappresenta il 13,4% del totale

delle aree. Esse coprono però ben il 61,5% del totale degli occupati

dipendenti in questo tipo di attività di servizio e il 41,8% della popolazione

tedesco-orientale. Una quota molto consistente di aree maggiormente

consolidate e popolate è dunque specializzata in questo tipo di servizio. La

relazione tra forza e grado di specializzazione nei servizi alle imprese è

anche testimoniato dall’elevato coefficiente di correlazione riscontrato tra le

due variabili.

Le regioni del mercato del lavoro forti e deboli che sono state

identificate verranno adesso connotate dal punto di vista del livello di

agglomerazione urbana e in relazione ad alcune caratteristiche della struttura

della popolazione stessa.

Tra livello di occupazione nell’industria e nei servizi e densità della

popolazione si riscontra una forte correlazione positiva (tabella 4). Le aree

forti sono dunque in Germania Est anche le più densamente popolate. Il

Tabella 4. Germania Est: tasso di occupazione(OCCDIPINDSERV) e struttura della popolazione (1993) (coeff.Correlazione)

Rdensità popolazione 0,693variazione della popolazione -0,229indice di vecchiaia 0,332indice di dipendenza giovani -0,609indice di lavoro potenziale 0,263giovani< 15 anni /popolazione -0,533

Fonte: Elaborazione su dati Bundesanstalt fuer Arbeit

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Mezzogiorno e Germania Est 23

76,5% delle regioni del mercato del lavoro consolidate hanno infatti una

densità di popolazione superiore alla media. A maggiore densità sono inoltre

le aree deboli al confine meridionale con la Germania Ovest, all’altezza

della Sassonia, mentre sia le regioni del Nord che al confine sud-occidentale

con la Germania Ovest risultano meno abitate.

Oltre che attraverso la densità di popolazione, il tipo di agglomerazione

urbana è stato ricavato sulla base dell’analisi della popolazione del centro

più grande di ciascuna regione del mercato del lavoro10. A conferma di

quanto emerso dal rapporto tra forza e densità di popolazione l’analisi del

tipo di urbanizzazione mette in evidenza come, mentre tutte le aree deboli

sono associate a piccoli centri, tutti i medi centri e le metropoli risultano

occupazionalmente forti.

Ma se le aree maggiormente consolidate rappresentano in Germania Est

quelle ad elevato livello di agglomerazione urbana, se esse, in virtù della

propria condizione di partenza risultano avere maggiori chance di

miglioramento, e se la variazione della popolazione testimonia il grado di

soddisfazione individuale degli abitanti riguardo al luogo in cui vivono e a

quanto viene offerto, ci si aspetterebbe una aumento della popolazione

proprio nelle aree più consolidate.

Tra il grado di consolidamento e la variazione della popolazione tra il

1993 e il 1998 non è stata riscontrata una forte correlazione ma essa è di

segno negativo. Innanzitutto una quota molto elevata di aree (il 67,2%)

presenta una perdita della popolazione superiore alla media della Germania

Est che è pari all’1,5%. Esiste dunque un problema generalizzato che

10 Ricordiamo che sono state definite di piccolo centro quelle regioni del mercato del

lavoro il cui centro maggiore ha una popolazione compresa tra i 10.000 e i 100.000abitanti, di medio centro quelle il cui centro più grande risulta tra i 100.000 e i250.000 e come metropoli tutte le aree il cui maggior centro supera i 250.000 abitanti.

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24 Mezzogiorno e Germania Est

accomuna una parte consistente della Germania Est, derivante dai processi

migratori specialmente verso l’Ovest; tuttavia, se andiamo ad osservare

come questo problema si articola nei diversi tipi di area, emerge di fatto

come tra le forti ben il 76,5% vede una riduzione della popolazione

superiore alla media a fronte al 64% di quelle deboli. Si è potuto inoltre

osservare come specialmente nel sud si assiste ad uno svuotamento delle

città ma contemporaneamente ad un aumento della popolazione delle aree

immediatamente periferiche considerate più attraenti e meno costose. Fatto

che conferma quanto emerso in particolar modo da studi sui movimenti

migratori tra le diverse circoscrizioni (Kreise) della Germania Est che

mettevano in evidenza delle forti tendenze centrifughe (Barjak et al. 2000).

Come è strutturata la popolazione nelle aree forti? Presentano queste

delle caratteristiche che le distinguono da quelle deboli? Dall’analisi delle

correlazioni tra il grado di consolidamento e gli indici di vecchiaia, di

dipendenza dei giovani e di lavoro potenziale relativi al 1995 emerge il

carattere più anziano delle aree forti ma soprattutto quello più giovane della

popolazione residente nelle aree più deboli. Se da un lato le regioni più

consolidate risultano meno giovani, esse sembrano però essere

tendenzialmente più dotate rispetto a quelle deboli di soggetti residenti in età

da lavoro (tabella 4).

Tra il livello di consolidamento e la percentuale di studenti delle scuole

superiori è stato possibile rintracciare una forte correlazione. Ben il 70%

delle aree deboli presenta infatti una percentuale inferiore alla media della

Germania Est (il 51,6% della popolazione tra i 15 e i 25 anni).11 Le aree forti

11 Vengono qui compresi sia gli studenti del Ginnasio (Gymnasium) e delle scuole

tecniche (Realschule), sia quelli che sono inseriti in programmi di formazionericonducibili al sistema duale (Auszubildene). Soltanto i primi possono accederedirettamente all’Università.

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Mezzogiorno e Germania Est 25

si distinguono inoltre per la maggiore presenza di iscritti al Liceo rispetto

alle aree deboli, ma soprattutto per la maggiore diffusione di una

specializzazione in aree disciplinari di tipo tecnico. Si tratta di un risultato

congruente con alcune analisi effettuate sulla Germania Est che utilizzano il

livello di istruzione degli occupati, anziché della popolazione residente

(Sachverstaendigenrat 2000).

4. Il modello di sviluppo della Germania Est all’inizio degli anni ’90

Il modello che si rintraccia in Germania Est a qualche anno dalla

Riunificazione, ancora nel pieno dei processi di privatizzazione e

risanamento, rispecchia ancora sostanzialmente il tipo di logica produttiva

pre-esistente, anche se in alcune aree si notano dei segni di mutamento.

A conclusione dei ragionamenti sin qui svolti sul rapporto tra forza e

struttura produttiva e della popolazione preme qui cercare di mettere insieme

gli elementi singolarmente analizzati al fine di individuare logiche locali di

sviluppo. Esse verranno identificate attraverso una operazione di

clusterizzazione finalizzata a classificare le diverse regioni del mercato del

lavoro in relazione a variabili considerate rilevanti, in modo tale che i

membri di ciascun gruppo siano il più possibile simili tra loro e che

complessivamente ciascun cluster si distingua il più possibile dagli altri.

Sulla base di questo processo sono state individuati quattro gruppi di

regioni del mercato del lavoro cui corrispondono quattro logiche distinte di

sviluppo (tabella 5) rappresentate nella Figura 1.

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26 Mezzogiorno e Germania Est

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Mezzogiorno e Germania Est 27

La prima logica riscontrata, è quella dei poli metropolitani (CLUSTER

3) che corrispondono alle regioni del lavoro che sono state definite come

forti. Rispett altri gruppi di aree identificati, queste aree presentano un

maggior grado di consolidamento, una spiccata diversificazione produttiva

manifatturiera testimoniata dal basso grado di specializzazione in tutti i tipi

di attività manifatturiera considerati, ed un elevato grado di presenza dei

servizi in special modo distributivi e alle imprese. In queste aree

l’occupazione manifatturiera si concentra specialmente in imprese di grandi

dimensioni in un contesto di scarsa diffusione delle unità manifatturiere

rapportate alla popolazione. Come è stato già messo in evidenza, i poli

metropolitani sono inoltre caratterizzati da elevato capitale umano.

Il secondo tipo di logica individuato è quello dei poli industriali

tradizionali (CLUSTER 2) caratterizzati da un livello di occupazione

nell’industria e nei servizi medio-basso, in parte da specializzazione

Tabella 5. Germania Est: Final Cluster Centers

VARIABILI CLUSTER 1 CLUSTER 2 CLUSTER3

CLUSTER 4

OCCDIPINDSERV 1993 -0,306 0,001 1,550 -0,912specializ. industria alimentare 1993 0,063 -0,377 -0,487 1,109specializ. Industria leggera 1993 0,890 -0,425 -0,682 -0,328specializ. industria meccanica 1993 0,497 0,050 -0,072 -1,068specializ. grande industria 1993 0,029 0,547 -0,456 -0,698specializ. servizi distributivi 1993 -0,666 -0,199 0,909 0,881specializ. servizi sociali e al consumatore 1993 -0,310 -0,123 0,299 0,594specializ. servizi alle imprese 1993 -0,493 -0,272 1,439 0,134% addetti in piccole imprese 1997 0,688 -0,627 -0,617 0,432% addetti in medie imprese 1997 0,826 -0,859 -0,475 0,466% addetti in grandi imprese 1997 -0,767 0,866 0,329 -0,459n.imprese 1993/1000 ab. 0,958 -0,395 -0,335 -0,880densità della popolazione 1993 -0,129 -0,270 1,621 -0,813% studenti delle scuole superiori 1997 -0,436 0,043 1,061 -0,235

Fonte: Elaborazione su dati Bundesanstalt fuer Arbeit e Statistische Aemter

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28 Mezzogiorno e Germania Est

nell’industria meccanica ma soprattutto nella grande industria e in imprese

di grandi dimensioni. Oltre che per il ruolo rilevante dell’industria pesante,

queste aree si distinguono dai poli metropolitani per la bassa densità di

popolazione e per i bassi livelli di capitale umano presente nell’area. Fanno

infatti parte di questo cluster le regioni del mercato del lavoro protagoniste

di grandi investimenti in impianti effettuati durante il regime della DDR in

contesti di più scarsa urbanizzazione attorno ai quali si sono poi sviluppati

centri urbani a seguito di fenomeni migratori da altre regioni. Oltre ai poli

collocati nella parte meridionale e al confine con la Polonia, di cui si è

parlato in precedenza a proposito della specializzazione nella grande

industria, appartengono a questo cluster anche regioni del mercato del

lavoro situate lungo la costa. Esse presentano da un lato caratteristiche simili

alle altre regioni del gruppo nella misura in cui sono presenti attività legate

soprattutto all’industria cantieristica cui si collegano imprese di grandi

dimensioni, e per il loro carattere di medio centro in contesti di bassa densità

di popolazione. Dall’altro lato esse presentano caratteristiche simili anche

alle altre aree del nord nell’interno per il ruolo svolto dalla specializzazione

alimentare e leggera e dalla piccola impresa.

Il terzo tipo di logica è quello della periferia con tradizione industriale

(CLUSTER 1). Le regioni del mercato del lavoro appartenenti a questo

cluster sono generalmente deboli dal punto di vista della struttura

occupazionale ma si distinguono dagli altri gruppi proprio per la maggiore

specializzazione nell’industria leggera e meccanica, per l’assenza di servizi

e per la presenza più diffusa di piccole e medie imprese. Si tratta inoltre di

aree a densità di popolazione medio-bassa con scarse risorse in termini di

capitale umano a disposizione. Esse si collocano principalmente al confine

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Mezzogiorno e Germania Est 29

meridionale con la Germania ovest e in aree interstiziali e periferiche

rispetto alle regioni più forti.

L’ultimo tipo di logica è quello della periferia senza tradizioni

industriali (CLUSTER 4). Questo gruppo di regioni è caratterizzato infatti

da un elevato grado di debolezza in termini occupazionali, dall’assenza di

una tradizione industriale durante la DDR e dalla presenza di una

specializzazione manifatturiera più tradizionale come quella alimentare e di

piccole imprese in un contesto di bassissima diffusione delle unità locali

manifatturiere. Le aree periferiche senza tradizioni industriali risultano

relativamente più dotate di servizi distributivi e al consumatore, che nel

primo caso emergono in assenza di altri tipi di servizio ma che possono

essere anche il risultato di processi di crescita infrastrutturale e di

decentramento delle attività commerciali. Si tratta di aree periferiche,

scarsamente abitate, con forti tradizioni agricole e basso capitale umano.

La Germania Est presenta dunque all’inizio degli anni novanta

caratteristiche di diversificazione della struttura produttiva e delle logiche di

sviluppo. Esse verranno nel corso del lavoro messe a confronto con quelle

identificate anche nel Mezzogiorno.

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30 Mezzogiorno e Germania Est

5. Le caratteristiche dei sistemi locali forti e deboli nel Mezzogiorno

I sistemi locali del lavoro forti rappresentano nel Mezzogiorno al 1991

circa il 26,3% del totale. Anche in questo caso, dunque, essi risultano

territorialmente abbastanza concentrati. Risultano principalmente forti i

sistemi locali del lavoro in Abruzzo Molise, Campania settentrionale e

Puglia con l’esclusione del Foggiano, di Brindisi e Lecce, i capoluoghi di

provincia siciliani e sardi, le aree costiere della Sardegna.

Nel descrivere la struttura produttiva ci soffermeremo, come nel caso

della Germania Est, sul ruolo svolto dalla manifattura e dalle diverse

specializzazioni manifatturiere nella connotazione dello sviluppo locale. La

manifattura rappresenta il 25,6% del totale degli addetti all’industria e ai

servizi (OCCINDSERV) ed emerge nel Mezzogiorno come un elemento

distintivo tra aree deboli e forti (tabella 6). La specializzazione

(diversamente dalla Germania Est) risulta però nel Mezzogiorno molto

concentrata; riguarda infatti nel 1991 soltanto il 26,6% del totale dei sistemi

locali del lavoro. Essi spiegano però ben il 66,3% degli occupati

manifatturieri e il 48,5% della popolazione.

La geografia delle aree manifatturiere mostra da un lato il carattere di

relativa contiguità territoriale della specializzazione manifatturiera nei

sistemi locali del lavoro abruzzesi, molisani e pugliesi - cioè lungo la

direttrice adriatica, ad eccezione del foggiano - e nell’area del napoletano e

del casertano. Accanto a queste aree che risultano più compatte si

aggiungono poi, relativamente isolati, i cosiddetti poli industriali: Taranto,

Pisticci, Matera, Crotone, Siracusa, Gela, Termini Imerese, Iglesias.

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Mezzogiorno e Germania Est 31

Se passiamo ad analizzare le diverse specializzazioni manifatturiere è

possibile connotare meglio il modello produttivo del Mezzogiorno tout court

e in relazione a quanto emerso nel caso della Germania Est. L’industria

leggera rappresenta infatti, nel 1991, una quota consistente – circa il 35,5% -

dell’occupazione nella manifattura nel Mezzogiorno e, seppure a diversi

livelli di strutturazione degli apparati produttivi, risulta molto diffusa sul

territorio. Ben il 65,8% dei SLL presenta infatti nel 1991 una percentuale di

addetti in questo genere di attività superiore alla media12. Dall’analisi svolta

si è notata in primo luogo una assenza di correlazione tra l’industria leggera

e il livello di forza di una regione. Sia le aree forti che quelle deboli, in

entrambi gli anni, sono per la maggior parte specializzate in questo tipo di

industria. La specializzazione nell’industria leggera riguarda nel 1991

alcune aree forti dell’Abruzzo del Molise e della Puglia (in special modo

Bari, Barletta e i sistemi nell’area di Casarano). La costa nord-orientale della

Sardegna, e in generale zone deboli e molto deboli nella Campania

meridionale, in Calabria e Sicilia. E’ necessario a questo proposito mettere

Tabella 6. Mezzogiorno: tasso di occupazione(OCCINDSERV) e specializzazione manifatturiera (1991)(coeff. Correlazione)

R manifattura 0,402 industria leggera 0,096 industria alimentare -0,422 industria meccanica 0,058 grande industria 0,264

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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32 Mezzogiorno e Germania Est

in evidenza come in queste aree la quota di manifattura sul totale degli

occupati nell’industria e nei servizi sia molto bassa e che si tratta in gran

parte di aree deboli o molto deboli. Tuttavia, è ugualmente da sottolineare

che in queste regioni tale tipo di attività, probabilmente svolta a livello più

artigianale, superi comunque la media del Mezzogiorno.

L’industria alimentare rappresenta nel 1991 nel Mezzogiorno circa il

15,4% del totale degli addetti alla manifattura (molto meno in Germania Est,

l’8,5%) e, rappresenta un tipo di specializzazione molto diffuso. Oltre il

70% delle aree nei due anni considerati risultano infatti specializzate in

questo tipo di attività13. Tuttavia, come dimostra la significativa correlazione

relativa tra questo tipo di industria e il grado di consolidamento (tabella 6),

diversamente dal caso dell’industria leggera, la specializzazione alimentare

è molto più presente nelle aree più deboli. Essa riguarda le regioni campane

di Salerno, Avellino e Benevento, alcune zone costiere turistiche come

Amalfi e Taormina e Ragusa così come le coste sarde. Non è presente nelle

aree pugliesi e abruzzesi, ma lo è in gran parte delle aree calabresi e

siciliane.

L’industria meccanica rappresenta nel Mezzogiorno nel 1991 circa il

26,4% del totale degli addetti alla manifattura, ma contrariamente al caso

dell’industria alimentare e leggera, è fortemente concentrata territorialmente

riguardando il 17,5% delle aree. Tuttavia, una quota così ridotta di sistemi

locali specializzati “spiega” già il 68,2% del totale degli occupati nella

12 Le aree specializzate nell’industria leggera rappresentano il 65,8% delle regioni del

lavoro del Mezzogiorno. In esse si trovano il 59,2% del totale degli occupati in questotipo di industria e circa il 40% della popolazione.

13 Nel 1993 sono specializzate nell’industria alimentare il 74,2% delle regioni del lavoro.Esse comprendono il56,6% del totale degli addetti in questo tipo di attivitàmanifatturiera e il 48,6% della popolazione.

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Mezzogiorno e Germania Est 33

meccanica in tutto il Mezzogiorno e contemporaneamente il 46% della

popolazione. L’industria meccanica è dunque presente in modo più

concentrato in aree a medio-elevato livello di urbanizzazione. Risultano

infatti specializzati i sistemi locali abruzzesi de L’Aquila, di Avezzano,

Pescara e Vasto, quelli campani di Caserta, Napoli, Salerno e Avellino.

Ancora Potenza, Taranto, Brindisi e Lecce, Vibo Valentia e alcune città

siciliane: Siracusa, Catania e Palermo. Infine, Cagliari Iglesias e Sassari in

Sardegna. Se da un lato non si riscontra una correlazione tra grado di

consolidamento e livello di specializzazione, tuttavia, nel 1991 la

percentuale di aree forti con una quota di addetti all’industria meccanica sul

totale della manifattura superiore alla media risulta più che doppia rispetto

alle regioni del lavoro deboli (il 28,1% contro il 13,8%).

La grande industria rappresenta invece, nel 1991, circa il 23% del totale

degli addetti alla manifattura e risulta territorialmente molto concentrata. Le

aree specializzate in questo tipo di attività sono infatti soltanto il 12,9% del

totale dei sistemi locali del lavoro nel 1991 e da sole comprendono ben il

72% del totale degli occupati nella grande industria e circa il 36% del totale

della popolazione. Sebbene questa specializzazione interessi una quota

esigua di aree sia forti che deboli, la percentuale di sistemi locali forti

specializzati in questo tipo di attività risulta più che tripla rispetto a quella

delle aree meno consolidate (il 26% contro l’8,2%). Se andiamo a

considerare la localizzazione delle aree specializzate, non si rintraccia

Tabella 7. Mezzogiorno: tasso di occupazione(OCCINDSERV) diffusione e dimensione manifatturiera(1991) (coeff. Correlazione)

Rn. imprese/1000ab. 0,493 piccole imprese -0,441 medie imprese 0,316 grandi imprese 0,384

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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34 Mezzogiorno e Germania Est

inoltre alcuna contiguità. I sistemi locali del lavoro di grande industria

risultano prevalentemente isolati, proprio perché, per i settori che essi

rappresentano (ad eccezione dell’industria dei mezzi di trasporto) più

difficilmente sono riusciti a creare un indotto sul territorio. Tra queste

troviamo ad esempio gli impianti FIAT di Termoli e Honda di Lanciano, i

sistemi locali di Manoppello e Sulmona in Abruzzo e Molise. Rientrano in

questo gruppo anche Napoli e Foggia, Melfi, l’industria siderurgica di

Taranto, il sistema locale di Matera, il petrolchimico di Pisticci e gli altri

poli tradizionali di Crotone, Catania, Siracusa e Termini Imerese, Gela e il

petrolchimico di Montebello Ionico e Iglesias.

Analizzati i diversi tipi di attività manifatturiere ne rileviamo adesso il

carattere più o meno diffuso sul territorio. Come mostra l’elevato

coefficiente di correlazione, il grado di consolidamento dei sistemi locali del

Mezzogiorno è strettamente legato ad una forte diffusione delle imprese nel

territorio (tabella 7). Ben il 70,8% delle aree forti presenta infatti una quota

di imprese manifatturiere per 1000 abitanti superiore alla media del

Mezzogiorno (6,22). Esse si collocano nei sistemi locali del lavoro più forti

di Abruzzo, Molise, Puglia e Sardegna e in quelli deboli nel foggiano, nel

leccese, nella Campania meridionale e nel trapanese.

Tabella 8. Mezzogiorno: Aree forti, deboli e % di piccole , medie e grandi imprese 1996 (%)

SLL (%) % piccole imprese % medie imprese % grandi imprese Totalebassa elevata bassa elevata bassa elevata

deboli 7,8 92,2 84,8 15,2 95,9 4,1 100 (269)forti 40,6 59,4 52,1 47,9 62,5 37,5 100 (96)

Totale 16,4(60)

83,6(305)

76,2(278)

23,8(87)

87,1(318)

12,9(47)

100 (365)

Piccole imprese: < 50 addetti. Medie imprese: >= 50 < 200 addetti. Grandi imprese: > 200 addetti% bassa ed elevata rispettivamente < e > della media del Mezzogiorno

Fonte: Elaborazione su datiSTAT

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Mezzogiorno e Germania Est 35

Il carattere relativamente diffuso delle imprese manifatturiere del

Mezzogiorno si accompagna ad una forte presenza di piccole imprese. Il

63,2% degli addetti alla manifattura opera nel Mezzogiorno in unità locali

con un numero di addetti inferiori a 50; il 15,4% in imprese di medie

dimensioni e il 21,4% in unità locali di dimensioni superiori ai 200 addetti.

Oltre a rappresentare una quota consistente del totale degli occupati, le

piccole imprese sono territorialmente diffuse. Ben l’83,4% dei sistemi locali

del Mezzogiorno ha infatti una percentuale di occupati nelle piccole imprese

superiore alla media, a fronte del 23,8% delle aree specializzate nelle medie

imprese e del 12,9% delle grandi imprese.

Tra la forza e la concentrazione di occupazione nelle piccole imprese

abbiamo però riscontrato una significativa correlazione negativa (tabella 7).

Il 92,2% dei sistemi locali deboli presenta del resto una percentuale di

addetti alla piccola impresa superiore alla media del Mezzogiorno. Rispetto

proprio a queste ultime, quelle forti manifestano al contrario un maggior

livello di strutturazione e sono caratterizzate dalla presenza di unità locali di

medie e grandi dimensioni. Le prime connotano una buona parte delle aree

di Abruzzo e Molise, i sistemi locali campani di Caserta, Avellino,

Battipaglia e Salerno. Le seconde principalmente quelli che abbiamo già

definito come poli tradizionali oltre che in Abruzzo, Molise, a Napoli e

nell’interno della Campania verso la Puglia, a Iglesias e nel nuorese in

Sardegna. E’ tuttavia da notare come però la specializzazione nella piccola

Tabella 9. Mezzogiorno: tasso di occupazione (OCCDIPINDSERV) especializzazione nei servizi (1991) (coeff. Correlazione)

R servizi distributivi -0,549 servizi sociali e al consumatore 0,270 servizi alle imprese 0,276

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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36 Mezzogiorno e Germania Est

impresa, sebbene più tipica dei sistemi locali meno consolidati, connoti una

parte molto consistente anche delle aree forti (tabella 8).

Dopo aver considerato le caratteristiche della manifattura e la sua

distribuzione territoriale passiamo adesso ad analizzare il ruolo dei tre tipi di

servizi considerati. Nel 1991 una parte consistente – circa il 66% - del totale

dell’occupazione nei servizi nel modo da noi definito, è costituito dai

cosiddetti servizi distributivi: trasporti e soprattutto commercio.

Relativamente bassa è la quota dei servizi sociali e al consumatore (circa il

15,5%), così come del resto quello dei servizi alle imprese (18,5 %). La

forte correlazione negativa tra il grado di forza e quello di specializzazione

nei servizi distributivi mostra come questo tipo di servizio sia molto più

consistente nelle aree deboli (tabella 9). Nonostante il carattere diffuso sul

territorio di questo tipo di specializzazione - oltre il 60% delle aree risulta

infatti avere un’occupazione al di sopra della media – più del 70% dei

sistemi locali deboli, sia nel 1991 che nel 1996, possiede una percentuale di

occupati in questo tipo di servizio superiore alla media.

Anche la specializzazione dei servizi sociali e al consumatore è

territorialmente molto diffusa (essa riguarda infatti ben il 63% dei sistemi

locali del lavoro) ma diversamente dal caso dei servizi distributivi, non

rappresenta un elemento distintivo tra aree forti e deboli (tabella 9). Questo

tipo di servizio, che indica sostanzialmente il livello di attività turistiche, a

propria volta legate a bellezze artistiche e naturali, è infatti presente

comunque sia nei sistemi locali consolidati nell’interno e lungo la costa

abruzzese molisana e sarda, che in quelli più deboli della costa calabrese o

siciliana.

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Mezzogiorno e Germania Est 37

A differenza dei due casi visti precedentemente, nel Mezzogiorno i

servizi alle imprese sono molto concentrati territorialmente. Soltanto il 15%

dei sistemi locali nel 1991 presenta infatti una percentuale di occupati

superiore alla media, ma questa percentuale così esigua contribuisce a

spiegare ben il 68% del totale degli occupati in questo tipo di servizio e il

51% del totale della popolazione. Gli occupati si concentrano dunque

principalmente in aree a medio-elevato carattere urbano e specialmente nei

capoluoghi di provincia. Il loro livello sembra inoltre aumentare al crescere

del grado di consolidamento (tabella 9).

Osservando le caratteristiche della popolazione possiamo notare

innanzitutto come non sia possibile rintracciare una correlazione

significativa tra il grado di consolidamento di un’area e la densità di

popolazione (tabella 10). Considerando del resto i sistemi locali in relazione

al grado di agglomerazione urbana del centro più grande, è inoltre stato

possibile notare come le aree forti siano principalmente di piccolo-medio

centro e metropolitane. I sistemi locali deboli risultano, al contrario,

prevalentemente di piccolissimo centro. E’ tuttavia da notare che una quota

Tabella 10. Mezzogiorno: tasso di occupazione(OCCINDSERV) e struttura della popolazione (1991)(coeff. Correlazione)

Rdensità popolazione 0,164variazione della popolazione 0,242Indice di vecchiaia -0,049Indice di dipendenza giovani -0,293Indice di lavoro potenziale 0,466giovani< 15 anni /popolazione -0,174

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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38 Mezzogiorno e Germania Est

non trascurabile dei sistemi locali forti – il 34, 4% - sia comunque di

piccolissimo centro.

Nel caso del Mezzogiorno viene in parte ridimensionata l’idea che

l’elevata agglomerazione urbana faciliti il consolidamento. La relazione in

questione non è così chiara.

Vediamo adesso, in una prospettiva dinamica il rapporto tra variazione

della popolazione e grado di consolidamento. Come è stato messo in

evidenza, infatti, la variazione della popolazione può rappresentare un

indicatore della valutazione personale del grado di benessere presente

nell’area. Mentre nel caso della Germania Est la relazione tra le due variabili

risultava di segno negativo, l’analisi svolta nel caso del Mezzogiorno mette

in evidenza invece come la popolazione tenda a crescere nelle aree più

forti14.

Il carattere più anziano della popolazione (indice di vecchiaia), non

rappresenta un elemento di forte differenziazione tra le aree deboli e quelle

forti. Tuttavia sono le aree più deboli ad essere mediamente più giovani. Un

elemento maggiormente discriminante tra le aree maggiormente consolidate

14Tra il 1991 e il 1996 si registra in media nel Mezzogiorno una crescita della

popolazione dell’1,9%.Una riduzione si riscontra principalmente nelle aree peninsularie insulari interne. Essa cresce al contrario lungo le coste.

Tabella 11. Mezzogiorno: tasso di occupazione (OCCINDSERV) e capitaleumano (1991) (coeff. Correlazione)

R% laureati e diplomati 0,473% popolazione con diploma di scuola media 0,240% popolazione con titolo < alla scuola dell'obbligo -0,552

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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Mezzogiorno e Germania Est 39

e i sistemi locali più deboli è rappresentato anche dall’indice di lavoro

potenziale, ovvero dalla quota di popolazione in età da lavoro.

Particolarmente dotate risultano le regioni forti della Sardegna, Palermo,

Catania e Siracusa in Sicilia, parte della costa adriatica, il napoletano ed

alcune regioni deboli della Calabria. Abbastanza evidente risulta invece la

bassa presenza di popolazione in età da lavoro nelle aree centrali interne,

anche se forti.

Tra le caratteristiche della popolazione residente esaminiamo adesso il

livello di istruzione formale come indicatore di capitale umano a

disposizione nell’area e cerchiamo di capire se e in che misura esso si

accompagni ad un elevato grado di consolidamento. La tabella 11 mostra

chiaramente come in effetti, al crescere della forza dell'area cresca anche la

popolazione residente maggiore di sei anni in possesso di laurea e diploma.

Il consolidamento di un’area è invece correlata negativamente con l’assenza

di titolo di studio. Soltanto il 15,9% dei sistemi locali del Mezzogiorno

presenta però una percentuale di laureati e diplomati superiore alla media,

che sta ad indicare una forte concentrazione territoriale di capitale umano

medio alto. Questa quota ridotta di sistemi locali spiega infatti ben oltre il

60% del totale dei diplomati e laureati e il 51,4% della popolazione

dell’intero Mezzogiorno. Tenendo dunque presente anche il grado di

concentrazione territoriale dell’istruzione formale, è possibile notare come

senza dubbio la quota di sistemi locali forti con una percentuale di laureati e

diplomati superiore alla media del Mezzogiorno sia molto più consistente

rispetto a quella delle aree deboli (nel primo caso il 37,5%, l’8,2%) nel

secondo. Tuttavia, è necessario sottolineare che comunque, ben il 62,5%

delle aree più consolidate presenta una quota di popolazione residente con

laurea e diploma inferiore alla media del Mezzogiorno. Elevati livelli di

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40 Mezzogiorno e Germania Est

formazione si concentrano infatti soprattutto nei sistemi locali capoluogo di

provincia.

Nella stessa direzione vanno le considerazioni che si possono trarre

dall’analisi della distribuzione territoriale della popolazione residente senza

titolo di studio. Ben nell’82,7% dei sistemi locali la percentuale di

popolazione residente senza titolo di studio è superiore alla media, già molto

elevata; nel 1991 il 51,2% della popolazione nel Mezzogiorno non

possedeva infatti la licenza media. E’ vero dunque che la quasi totalità dei

sistemi locali deboli si trova in questa categoria, ma è altrettanto vero che

comunque la maggioranza dei sistemi locali forti, anche ad un più elevato

grado di urbanizzazione, presentano le stesse caratteristiche. Lo sviluppo,

soprattutto un certo tipo di sviluppo, basato prevalentemente su settori a

basso valore aggiunto, che necessitano di abilità pratiche e saper fare

contestuale, sembra dunque compatibile con la presenza di bassi livelli di

istruzione formale.

Se, come è stato fatto nel caso della Germania Est, osserviamo

l’orientamento scolastico dei giovani tra i 15 e i 25 anni nel 1995, è

possibile notare una correlazione di segno positivo anche se non molto forte

tra forza dell’area e iscritti alla scuola superiore. Nel 60,4% delle aree forti il

tasso di iscrizione risulta infatti superiore a 29,3% che corrisponde alla

media del Mezzogiorno, contro il 41,6% delle aree deboli. Mentre non

sembra esservi una grossa differenza tra i due tipi di area per quanto

riguarda l’iscrizione al liceo, la frequenza a scuole di carattere tecnico

rappresenta una variabile maggiormente discriminante. Il 57,3% dei sistemi

locali forti presenta infatti una quota di iscritti in quest’ultimo tipo di scuola

superiore alla media contro il 36,1% di quelli deboli. Mentre nel primo caso

in media la frequenza al liceo nel Mezzogiorno riguarda il 9,3% della

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Mezzogiorno e Germania Est 41

popolazione tra i 15 e i 25 anni, quella a istituti tecnici e professionali, circa

il 20%.

6. Il modello di sviluppo del Mezzogiorno all’inizio degli anni ’90

In questo paragrafo ci accingeremo a delineare i caratteri del modello

di sviluppo del Mezzogiorno nel 1991 cercando di sintetizzare quanto

emerso dall’analisi svolta in precedenza e di fornire al contempo una

interpretazione complessiva. Chiarificate le relazioni tra le singole variabili

prese in esame con il grado di consolidamento nei diversi sistemi locali , si

replicherà infatti per il Mezzogiorno lo stesso tipo di analisi di cluster

realizzata nel caso della ex DDR al fine di identificare le principali logiche

di sviluppo (tabella 12) e di rintracciarne i relativi pattern territoriali

(Figura 2).

Il primo tipo di logica è rappresentata dallo sviluppo a carattere

urbano-metropolitano di media e grande impresa (CLUSTER 1). Questo

gruppo comprende sistemi locali strutturalmente forti di tipo urbano e

metropolitano, specializzati nella manifattura, in special modo nell’industria

meccanica e nella grande industria. Essi sono inoltre caratterizzati da bassa

diffusione delle imprese manifatturiere e da una forte concentrazione degli

addetti in unità locali di medie e grandi dimensioni. Contribuiscono inoltre a

connotare questi sistemi la forte presenza di servizi alle imprese, di capitale

umano elevato e di popolazione residente in età da lavoro.

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42 Mezzogiorno e Germania Est

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Mezzogiorno e Germania Est 43

Il cluster identificato è costituito da sistemi locali del lavoro che si

distinguono tra loro da un lato per il proprio carattere urbano-metropolitano

– le grandi città del Mezzogiorno – dall’altro per quello più industriale nei

settori manifatturieri della meccanica e della grande industria. Rientrano in

quest’ultimo caso sia alcuni poli industriali tradizionali a minore assetto

urbano (ad esempio Crotone, Pisticci, Montebello Ionico, Gela, Iglesias) e a

maggiore carattere urbano (Taranto, Siracusa) così come sistemi locali

portuali ed infine aree fortemente caratterizzate da industria meccanica e

automobilistica (ad esempio Vasto, Termoli, Lanciano, L’Aquila, Pescara,

Chieti, Melfi, Termini Imerese, ma anche la zona attorno a Napoli, il

Casertano e l’Avellinese).

Il secondo tipo di logica individuato è quello relativo allo sviluppo

diffuso (CLUSTER 3). I sistemi locali appartenenti a questo cluster sono

Tabella 12. Mezzogiorno: Final Cluster Centers (dati1991)

CLUSTER 1 CLUSTER 2 CLUSTER 3 CLUSTER 4 OCCINDSERV 0,727 -0,541 0,839 1,192densità della popolazione 0,668 -0,217 -0,076 0,331special.manifattura 0,774 -0,412 1,267 -0,955special. industria leggera -1,031 -0,003 1,221 0,261special. industria alimentare -0,663 0,388 -0,835 -0,007special. industria meccanica 0,711 -0,085 -0,525 -0,053special. grande industria 1,462 -0,331 -0,327 -0,275n. imprese/ 1000 ab. -0,281 -0,254 1,343 0,269special. piccole imprese -1,447 0,491 -0,582 0,625special. medie imprese 0,870 -0,368 0,764 -0,568special. grandi imprese 1,417 -0,413 0,184 -0,433special. servizi distributivi -0,109 0,352 -0,271 -2,294special. servizi sociali e al consumatore -0,409 -0,195 0,029 2,756special. servizi alle imprese 0,854 -0,214 0,377 -1,117 % laureati e diplomati 1991/pop 0,974 -0,331 0,060 0,257 indice di vecchiaia -0,421 0,088 0,387 -0,460 indice di dipendenza giovani 0,113 0,121 -0,457 -0,439 indice di lavoro potenziale 0,617 -0,316 -0,072 1,334

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

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44 Mezzogiorno e Germania Est

molto più forti della media ma risultano caratterizzati da una densità di

popolazione medio-bassa. Essi possiedono, come nel caso dei gruppo

precedente, una elevata specializzazione nella manifattura, ma, spicca in

questo cluster il ruolo svolto dall’industria leggera, che raccoglie le attività

collegate alla produzione di beni per la casa e per la persona. Questo tipo di

produzione si affianca in tali sistemi ad una elevata diffusione di unità locali

manifatturiere e ad una forte concentrazione degli addetti in special modo

nelle medie imprese. Sebbene non si tratti di un elemento distintivo rispetto

agli altri gruppi, questi sistemi sono caratterizzati tuttavia anche da aziende

di piccole dimensioni. I servizi alle imprese risultano in questo gruppo

generalmente superiori alla media; bassi sono invece il livello di capitale

umano e le risorse in termini di popolazione in età da lavoro. I sistemi locali

appartenenti a questo gruppo risultano infine tendenzialmente più anziani.

Il terzo tipo di logica che incontriamo è rappresentata dallo sviluppo

basato sul turismo (CLUSTER 4). Vengono cioè rintracciati quei sistemi

locali del lavoro che fanno, appunto, del turismo la propria attività

principale. Anche in questo caso si tratta prevalentemente di aree forti con

una popolazione superiore alla media, che si distinguono non per l’elevata

concentrazione della manifattura quanto per la forte presenza di servizi

sociali e al consumatore. Seppure la specializzazione manifatturiera non

connota queste aree rispetto agli altri gruppi, i sistemi locali turistici

mostrano comunque una concentrazione di industria leggera superiore alla

media accompagnata da una significativa diffusione di unità locali

manifatturiere di piccole dimensioni. Questo gruppo di sistemi locali è

caratterizzato da un apprezzabile livello di istruzione e da elevate risorse in

termini di forza lavoro potenziale e di giovani tra la popolazione residente.

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Mezzogiorno e Germania Est 45

Infine, l’ultima logica identificata è rappresentata dalle aree a

debolezza strutturale (CLUSTER 2). Questo gruppo è molto consistente e

caratterizzato da livelli di molto bassi addetti all’industria e ai servizi

(OCCINDSERV), da una bassa densità di popolazione e dalla scarsissima

presenza di attività manifatturiere. L’unica specializzazione che si colloca al

di sopra della media è rappresentata dall’industria alimentare, in un contesto

di bassa diffusione delle imprese manifatturiere principalmente di piccole

dimensioni. Le aree appartenenti a questo cluster sono inoltre caratterizzate

da una concentrazione superiore alla media di servizi distributivi, da una

scarsa presenza di soggetti in età da lavoro sul totale della popolazione,

nonché da basse risorse in termini di capitale umano. Si tratta dunque di aree

fragili, che da un alto sembrano non possedere i presupposti né in termini

strutturali né di caratteristiche complessive della popolazione residente per

poter emergere da questa situazione di debolezza. Dall’altro esse presentano

anche alcuni elementi di contatto con altri modelli di aree forti. Sia

dall’analisi bivariata che da quella di cluster si è potuto infatti notare come il

modello dello sviluppo diffuso si distingua dagli altri gruppi per la presenza

di medie imprese; le relative aree vedono però, come abbiamo visto, una

concentrazione anche di imprese di piccole dimensioni. Allo stesso modo, se

le regioni strutturalmente deboli si distinguono per la presenza di industria

alimentare, è però altrettanto vero che gran parte di esse manifesta una

concentrazione anche nell’industria leggera. Si tratta di attività

probabilmente svolte a livello artigianale e che non sono neppure sufficienti

a connotare tali sistemi da un punto di vista manifatturiero, che tuttavia sono

presenti. Del resto, anche i sistemi locali basati sul turismo combinano

l’elevata presenza di servizi sociali e al consumatore con attività

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46 Mezzogiorno e Germania Est

manifatturiere, specie nell’industria leggera, seppur in un contesto di

maggiore diffusione delle unità locali manifatturiere stesse.

7. Mezzogiorno e Germania Est in prospettiva comparata

Rintracciati i tratti principali del modello di sviluppo della Germania

Est e del Mezzogiorno separatamente, focalizziamo adesso l’attenzione sugli

aspetti comparativamente rilevanti, sia a livello della relazione tra il grado di

sviluppo e le altre variabili prese singolarmente, sia considerando il modello

complessivo. Il primo livello di analisi permette di far emergere eventuali

elementi di somiglianza e differenza nelle caratteristiche delle aree più

sviluppate, il secondo livello consente di confrontare le logiche.

Il primo aspetto che deve essere tenuto presente riguarda la variabile

dipendente stessa, ovvero il grado di forza. Se da un lato infatti le aree forti

e deboli sono state definite ed identificate sulla base degli stessi criteri in

entrambi i contesti, è interessante vedere come le medie attorno alle quali le

variabili si muovono sono molto diverse. Con l’esclusione di tutti i servizi a

carattere pubblico, in Germania Est. Gli occupati in Germania Est

rappresentano infatti il 49,2% della popolazione residente contro il 26% del

Mezzogiorno. La Germania Est rappresenta infatti nel 1993 un contesto

problematico, in fase di trasformazione, ma sostanzialmente ancora un’area

a più elevato livello di occupazione rispetto al Mezzogiorno. Il carattere

problematico del contesto tedesco-orientale non è tanto legato al livello di

forza occupazionale del periodo iniziale quanto ai processi di trasformazione

stessi che nel 1993 sono già in corso ma che procederanno ulteriormente

negli anni successivi abbattendo in modo consistente l’occupazione

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Mezzogiorno e Germania Est 47

mantenuta durante il regime dalla presenza di un mercato fittizio. Tuttavia,

la tradizione industriale gioca un ruolo forte nella definizione delle

caratteristiche del sistema produttivo anche negli anni immediatamente

successivi alla Riunificazione.

Prevale infatti in Germania Est la quota di occupati nell’industria

meccanica e nella grande industria mentre nel caso del Mezzogiorno

l’industria leggera risulta maggiormente rilevante. Se andiamo inoltre ad

analizzare il rapporto tra queste specializzazioni e il grado di

consolidamento, in entrambi i casi è risultato evidente che l’industria

alimentare, presente in misura maggiore in termini di addetti nel

Mezzogiorno, connota essenzialmente le aree più deboli. Si tratta infatti di

un tipo di settore a basso valore aggiunto, che serve principalmente mercati

locali e che emerge dunque laddove non emergono altre attività. Essa è

inoltre tipica di aree non manifatturiere.

Il caso dell’industria leggera è invece motivo di differenziazione tra i

due casi regionali. Mentre in Germania Est essa connota, come l’industria

alimentare, principalmente le aree più deboli, nel Mezzogiorno in alcuni casi

è invece un punto di forza qualora si sia riusciti a far emergere competenze

diffuse e a superare la dimensione puramente artigianale della produzione.

Si tratta di un tipo di attività manifatturiera che si presta infatti, per il suo

carattere di divisibilità delle fasi produttive, a creare logiche di divisione del

lavoro sul territorio ed economie esterne qualora si riescano ad instaurare

forme di cooperazione tra imprenditori, che, come nel caso italiano, nel

Mezzogiorno sono prevalentemente a carattere locale.

Così come il caso precedente, anche quello dell’industria meccanica e

della grande industria risultano elementi contemporaneamente di

differenziazione e di somiglianza tra i due modelli; differenziazione non

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48 Mezzogiorno e Germania Est

soltanto per le diversità nel peso di queste attività che abbiamo ricordato e

che mostrano un maggiore tradizione nella Germania Est, quanto anche per

la loro diffusione. Mentre nel Mezzogiorno si tratta di attività la cui

specializzazione risulta molto concentrata territorialmente e prevalentemente

nelle aree forti, nel caso della Germania Est si riscontra sia in aree forti che

in aree meno consolidate. Mentre nel Mezzogiorno giocano in questo senso

un ruolo rilevante sia gli impianti esterni sia il ruolo degli imprenditori locali

– si pensi al caso dell’Abruzzo - le regioni della Germania Est caratterizzate

da questo tipo di industria comprendono al proprio interno i grandi impianti

industriali della chimica, della meccanica e dell’industria dell’auto attivi

durante la DDR e adesso in fase di forte ristrutturazione. E’ tuttavia

interessante notare come in entrambi i casi siano presenti elementi di

somiglianza proprio nella presenza di poli tradizionali a carattere pubblico in

Germania Est e a carattere sia pubblico che privato nel Mezzogiorno (si

pensi nel secondo caso agli impianti FIAT, Italtel, Texas etc..). Laddove nel

Mezzogiorno i poli industriali tradizionali e portuali possono contare su una

struttura urbano-metropolitano e dunque anche su maggiori attività di servizi

queste aree risultano forti (ad esempio Taranto, Siracusa, Matera, Messina,

Cagliari ). I grandi poli che al contrario si trovano in contesti di minore

densità di popolazione e isolamento risultano invece più deboli (ad esempio

Crotone, Gela, Vibo Valentia). In Germania Est, come abbiamo avuto modo

di vedere, i poli industriali tradizionali sembrano rispecchiare soprattutto

quest’ultimo modello: grandi impianti nell’industria meccanica e pesante in

un contesto di più scarsa urbanizzazione e minore presenza di servizi.

Per quanto riguarda invece la dimensione d’impresa e la diffusione

delle unità locali manifatturiere i due contesti differiscono

significativamente. Mentre in Germania Est piccola e media impresa

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Mezzogiorno e Germania Est 49

sembrano essere sinonimi di debolezza, nel Mezzogiorno le prime

connotano prevalentemente le aree deboli ma sono presenti anche nelle

regioni del lavoro più consolidate, le seconde caratterizzano soprattutto

queste ultime. In entrambi i casi impianti di grandi dimensioni si riscontrano

maggiormente nelle aree forti, ma nel caso della Germania Est anche nelle

deboli, soprattutto nei poli tradizionali. Se la dimensione aziendale

rappresenta un elemento di differenziazione rilevante, i due contesti

divergono soprattutto in relazione al livello di diffusione delle unità locali

manifatturiere: non soltanto nella relazione presente tra consolidamento e

diffusione manifatturiera, quanto anche nei valori medi attorno ai quali la

distribuzione stessa della variabile diffusione si muovono. Infatti mentre nel

Mezzogiorno abbiamo potuto constatare una correlazione forte tra grado di

forza e grado di diffusione, la Germania Est ha mostrato un’assenza di

correlazione tra le due variabili. Analizzando però la distribuzione delle aree

a maggiore diffusione tra regioni forti e deboli, queste ultime sono risultate

avere una quota di sistemi significativamente più elevata con una

proporzione di unità locali manifatturiere in rapporto alla popolazione

superiore alla media. La media del Mezzogiorno è risultata però, a propria

volta, molto più elevata rispetto a quella della Germania Est (6,2 unità locali

ogni 1000 abitanti rispetto alle 0,37 della Germania Est). E’ vero dunque che

le aree deboli, specie quelle meridionali, sono caratterizzate in Germania Est

da più elevata diffusione rispetto alle regioni forti ma, dato il basso livello di

diffusione tout court, non è possibile parlare di economia diffusa come nel

caso del Mezzogiorno.

Infine si sono riscontrati due aspetti di forte differenziazione riguardo

al rapporto tra carattere urbano e sviluppo da un lato e tra capitale umano e

sviluppo dall’altro, legati anche a fattori di tipo istituzionale. In primo luogo

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50 Mezzogiorno e Germania Est

è risultato chiaro come in Germania Est la forza di una regione è

strettamente connessa con il suo carattere urbano e soprattutto

metropolitano, mentre nel Mezzogiorno questo rappresenta soltanto un tipo

di sviluppo accanto a quello diffuso e quello turistico. Anche all’interno del

cluster relativo alle aree urbane-metropolitane di media e grande impresa,

non si riscontrano soltanto sistemi locali di grande città ma anche di medio e

piccolo centro. Presupposto di sviluppo è dunque nel Mezzogiorno non

soltanto la presenza di mercati del lavoro molto ampi come quelli urbani ma

anche di un tessuto di relazioni a livello locale che si intreccia con

competenze e saper fare radicati sul territorio e, in alcune regioni (Abruzzo,

Molise e Basilicata), anche con un significativo ruolo giocato dalle

istituzioni politiche ed economiche che, in modo simile a quanto la

letteratura riscontra nei distretti industriali in particolare del Centro Italia

hanno contribuito alla creazione di beni pubblici rilevanti per l’economia

locale (Viesti 2000a; 2000b). Questo aspetto, che invece in altri casi di

dinamismo non sembra essere rilevante, ma che in un certo senso ostacola

anche eventuali processi di emersione delle imprese e del lavoro nero, deve

però essere approfondito maggiormente sulla base di analisi qualitative e

studi di caso.

Aspetti istituzionali e contemporaneamente relativi al modello di

produzione stesso individuato nei due contesti condizionano entità e ruolo

svolto dal capitale umano nello sviluppo. In entrambi i casi considerati le

aree più forti sono certamente caratterizzate da una maggiore presenza di

capitale umano formale nei modi in cui esso è stato misurato. Tuttavia, nel

corso dell’analisi del Mezzogiorno è stato messo in evidenza come il

capitale umano fosse territorialmente molto concentrato e come invece aree

forti, specie quelle corrispondenti allo sviluppo diffuso, presentassero al

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Mezzogiorno e Germania Est 51

contrario livelli di istruzione formale più bassi della media. Quanto emerso

dalla letteratura sui distretti industriali del Centro-Nord-Est e recentemente

anche nel caso del Mezzogiorno, “Per la nascita di un distretto serve un

“saper fare”. Nei casi più fortunati è ereditato dalle tradizioni artigianali,

commerciali, culturali, che esistono in ogni regione. (…) In altri casi il saper

fare è acquisito attraverso l’osservazione e quindi l’imitazione di quanto

accade altrove” (Viesti 2000a, p. 164). Per capitale umano devono dunque

intendersi non soltanto i livelli di istruzione formale esistenti quanto anche

l’insieme delle competenze e del saper fare a disposizione della regione. La

sola presenza di livelli di istruzione elevata non connota tutti i tipi di

sviluppo nel Mezzogiorno. Nel caso della Germania Est, al contrario, le aree

più forti sono esclusivamente anche quelle con capitale umano di tipo

formale maggiore.

Se comunque la relazione tra capitale umano e consolidamento è di

segno positivo in entrambi i casi, va però rilevato che i livelli generali di

istruzione in Germania Est sono molto più elevati che nel Mezzogiorno. Nel

1995 più della metà della popolazione tra i 15 e i 25 anni è iscritta infatti al

ginnasio, alla Realschule o alle scuole professionali con tirocinio in azienda.

L’elevato livello medio di capitale umano a disposizione in Germania Est e

dunque la forte propensione ad investire in formazione riscontrata alla metà

degli anni ‘90 dai giovani tedesco-orientali può essere in parte ricondotta a

motivi di carattere culturale. La spinta ad una elevata qualificazione

Tabella 13 . Occupati con qualificazione professionale nell'industriadella Germania Est ed Ovest. 1991 (%)

Germania Est Germania OvestMeccanica 88 68Abbigliamento 97 48Alimentare 76 23altro 90 22Media 88 42

Fonte: Wagner, 1993

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52 Mezzogiorno e Germania Est

caratterizza anche la Germania dell’Ovest (si pensi alla rilevanza del sistema

di formazione duale), ma la regolazione politica del passaggio tra la scuola e

il lavoro operata dal regime della DDR stabiliva quasi l’obbligo di una

formazione professionale dopo la scuola. Si calcola infatti che al momento

della riunificazione complessivamente il 91% degli occupati possedesse un

titolo derivante da formazione professionale (Wagner, 1993), che questa

quota fosse molto superiore a quella presente nella Germania dell’Ovest15 e

che fosse relativamente indipendente dai settori di impiego (tabella 13).

Tuttavia, accanto al ruolo svolto dalla tradizione e dalla cultura non si

esclude che con la Riunificazione, in assenza dunque di una regolazione

politica dell’istruzione, la formazione venga vista come un mezzo per

aumentare le chance di entrare nel mercato del lavoro, sia orientale che

occidentale, in un contesto di crescente ruolo svolto dai servizi e di

ristrutturazione industriale che vede però un peso ancora rilevate di settori a

più elevato valore aggiunto, come la meccanica e la grande industria nelle

quali un elevato livello di formazione è più rilevante. Si può invece

ipotizzare che lo sviluppo diffuso nel Mezzogiorno, incentrato come

abbiamo visto sull’industria leggera da un lato non necessiti di grosse

competenze di tipo formale per decollare, ma allo stesso tempo non ne

stimoli la rapida acquisizione, come dimostra la più bassa quota di giovani

iscritti alle scuole superiori (attorno al 29%) rispetto alla Germania Est.

15 La formazione professionale in Germania Est aveva però una durata inferiore (due anni

anziché tre- tre e mezzo come in Germania ovest) era spesso politicamente aggiustataper motivi di prestigio, attraverso il riconoscimento del titolo anche a soggetti cheavevano abbandonato i corsi di formazione e risultava poi obsoleta rispetto alleesigenze della moderna industria occidentale al momento della Riunificazione(Wagner, 1993).

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Mezzogiorno e Germania Est 53

Risulta dunque chiaro che il livello di capitale umano formale rappresenta

un elemento di forte differenziazione tra i due contesti ma

contemporaneamente un fattore decisivo per il prosperare di altri settori e

attività legate alla produzione e connessi alle nuove tecnologie.

Nel complesso dunque Germania Est e Mezzogiorno presentano alcuni

tratti in comune ma anche elementi di differenziazione. Il tipo di sviluppo

presente nella Germania Est, agli inizi degli anni ’90 è caratterizzato ancora

da un divide evidente tra centro e periferia, tra la presenza di poli industriali

(le aree forti) da un lato, che mostrano, oltre a maggiori livelli di

occupazione, una più forte diversificazione produttiva, concentrazione della

grande impresa, livelli elevati di capitale umano, di lavoro potenziale, un

evidente accentramento dei diversi tipi di servizi, e quella dei poli più

tradizionali la cui economia è fortemente condizionata dal carattere

monostrutturale dell’industria dall’altro; infine, ancora più evidente, tra il

primo modello e la periferia, caratterizzata al contrario da tradizione

agricola, imprese di piccole dimensioni in settori più tradizionali,

dipendenza in termini di servizi, scarsità in termini di capitale umano e di

popolazione in età da lavoro. Se da un lato nel 1993 risultano già avviati i

processi di privatizzazione delle grandi Kombinate, la struttura produttiva

che complessivamente abbiamo riscontrato in Germania Est risente ancora

della locazione dei grandi investimenti del regime a carattere pubblico che

da un lato hanno fornito il paese di un struttura industriale, dall’altro lato lo

hanno privato di risorse in termini di imprenditorialità. Nuovi motori di

crescita rischiano di essere in buona parte investimenti esterni che più

difficilmente creano legami con il territorio e quindi processi di

radicamento.

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54 Mezzogiorno e Germania Est

Nel Mezzogiorno il grosso spartiacque è stato individuato tra le aree

cosiddette a debolezza strutturale, che per molti aspetti risultano simili alla

periferia senza tradizione industriale in Germania Est, che non si

identificano necessariamente in grossi centri cui viene delegato il ruolo di

forze motrici per il miglioramento delle condizione regionali. Accanto alla

logica del polo industriale calato dall’alto, per iniziativa pubblica e/o

privata, ne convive un’altra, di sviluppo più diffuso a carattere locale che è

presente in modo più marcato nel modello omonimo che abbiamo

rintracciato ma che taglia trasversalmente anche gli altri cluster individuati:

dalle regioni forti a specializzazione meccanica in Abruzzo e Molise e

Campania, e in parte in Puglia con il sistema locale di Bari, ai sistemi

turistici non manifatturieri ma comunque specializzati nell’industria leggera

e con una quota elevata di piccole imprese. La presenza di caratteristiche

simili in termini di struttura produttiva delle aree più deboli rispetto a quelle

più forti, anche se ad un basso livello di strutturazione, non preclude nel

Mezzogiorno la possibilità che alcune delle regioni meno consolidate

possano emergere. Per la natura del tipo di sviluppo, più di tipo bottom-up, i

tempi di maturazione e di emersione da una situazione di debolezza

rischiano però di essere molto lunghi.

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