Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino · Favini e la supremazia del teatro...

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1 Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino di Giovanni Ghiselli Sommario Il metodo mitico è un metodo comparativo. Le rovine. La conoscenza della tradizione richiede fatica grande e l’acquisizione del senso storico. Lo studio della storia presenta varie possibilità di approccio: da quello antropologico a quello psicologico, alla ricerca di modelli e contromodelli. Alcuni personaggi sono polivalenti e appartengono tanto alla storia quanto alla letteratura. Tito Livio, Polibio ( diÒrqwsij) e Plutarco. Cicerone: è necessario allacciare le nostre vite a quelle precedenti attraverso la memoria storica. Tutta la letteratura europea da Omero in avanti ha un’esistenza simultanea. È una «catena di plagi»? Il greco e il latino come corrente sanguigna della letteratura europea. M. Cacciari e la topologia. È classico quanto non passa di moda e, anzi, conserva forza polemica verso le mode. I tÒpoi o loci come sedes argumentorum, miniere di argomenti. Cicerone nel De inventione definisce i loci communes « argumenta quae transferri in multas causas possunt », argomenti che si possono utilizzare per molte cause. Alcuni esempi di tÒpoi non solo retorici ma etici, storici, logici, politici, economici. Opportunità del gioco nella pratica dell’apprendimento. TÒpoi gestuali in letteratura e nelle arti figurative. Le parole chiave. L’ambiguità del linguaggio (Sofocle, Pirandello, Vernant) e la dimensione infinita della significazione (Frasnedi). Il lessico, la morfologia e la sintassi. Conviene partire dai testi degli ottimi autori. Cultura e tolleranza, idealismo e pragmatismo. I valori forti: pudore, rispetto, gratitudine, lealtà. I film tratti da opere letterarie costituiscono un valido sussidio didattico. Alcune riflessioni non banali di Pasolini sulla Medea di Euripide, alcune altre di Fellini sul Satyricon di Petronio. La letteratura e il cinema contribuiscono a formare La testa ben fatta . La nostra persona di insegnanti deve portare traccia delle conoscenze significative acquisite. Lo studente deve diventare kritikÒj, ossia capace di dare un giudizio autonomo. Paideia è ab origine connessa a parresia. Individuazione delle connessioni e organizzazione delle conoscenze in competenze. Montaigne, Pascal, Platone, Dostoevskij. Tutto è collegato con tutto. Il principio della responsabilità collettiva.

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Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino

di Giovanni Ghiselli

Sommario

Il metodo mitico è un metodo comparativo. Le rovine. La conoscenza della tradizione richiede

fatica grande e l’acquisizione del senso storico. Lo studio della storia presenta varie possibilità di

approccio: da quello antropologico a quello psicologico, alla ricerca di modelli e contromodelli.

Alcuni personaggi sono polivalenti e appartengono tanto alla storia quanto alla letteratura. Tito

Livio, Polibio (diÒrqwsij) e Plutarco. Cicerone: è necessario allacciare le nostre vite a quelle

precedenti attraverso la memoria storica.

Tutta la letteratura europea da Omero in avanti ha un’esistenza simultanea. È una «catena di plagi»?

Il greco e il latino come corrente sanguigna della letteratura europea. M. Cacciari e la topologia.

È classico quanto non passa di moda e, anzi, conserva forza polemica verso le mode.

I tÒpoi o loci come sedes argumentorum, miniere di argomenti. Cicerone nel De inventione

definisce i loci communes «argumenta quae transferri in multas causas possunt», argomenti che si

possono utilizzare per molte cause.

Alcuni esempi di tÒpoi non solo retorici ma etici, storici, logici, politici, economici. Opportunità

del gioco nella pratica dell’apprendimento. TÒpoi gestuali in letteratura e nelle arti figurative.

Le parole chiave. L’ambiguità del linguaggio (Sofocle, Pirandello, Vernant) e la dimensione infinita

della significazione (Frasnedi).

Il lessico, la morfologia e la sintassi. Conviene partire dai testi degli ottimi autori. Cultura e

tolleranza, idealismo e pragmatismo. I valori forti: pudore, rispetto, gratitudine, lealtà.

I film tratti da opere letterarie costituiscono un valido sussidio didattico. Alcune riflessioni non

banali di Pasolini sulla Medea di Euripide, alcune altre di Fellini sul Satyricon di Petronio. La

letteratura e il cinema contribuiscono a formare La testa ben fatta. La nostra persona di insegnanti

deve portare traccia delle conoscenze significative acquisite. Lo studente deve diventare kritikÒj,

ossia capace di dare un giudizio autonomo.

Paideia è ab origine connessa a parresia.

Individuazione delle connessioni e organizzazione delle conoscenze in competenze. Montaigne,

Pascal, Platone, Dostoevskij. Tutto è collegato con tutto. Il principio della responsabilità collettiva.

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Il capo è organicamente connesso con la comunità, come la testa con il corpo. Il capo malato rende

malati i sudditi e la terra a lui soggetta. L’Edipo di Sofocle, quello di Seneca, Macbeth. Il giovane

deve conoscere diverse teorie per giungere all’originalità. È produttiva non solo la traduzione ma

anche la critica contrastiva. I giudizi dissacranti di Des Esseintes su Virgilio, e quelli di Ovidio su

Enea.

Bisogna spiegare un poeta con lo stesso poeta (̀ /Omhron ™x `Om»rou safhn…zein) e con altri. Le

critiche anomale suscitano lo stupore che si addice all’apprendimento. Principio di ogni filosofia è il

meravigliarsi. L’attenzione deve essere reciproca. Il garrulus uccide. Lo studio va messo in

relazione con il vissuto. Attualizzazioni del mito. I pubblicitari sono degli Aconzi. Pindaro, le

magliette «firmate» e i telefonini. La pubblicità va smontata: Epicuro e don Milani.

Il greco salva la vita: Plutarco e Canetti.

L’educatore non può essere un erudito senza anima. L’umbraticus doctor di Petronio, Seneca e

Goethe. Annoiare è il crimine degli imbecilli. Nietzsche contro l’erudizione micrologica e arida.

Seneca rifiuta alcuni aspetti, secondo lui mortificanti, della questione omerica. Unum studium vere

liberale est quod liberum facit.

Il Fedone e l’attuale entropia linguistica. Il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma

mette anche del male nelle anime.

Il valore pratico della parola. La mentalità greca arcaica- scrive Canfora - pone sullo stesso piano la

parola e l’azione: t¦ œrga tîn pracqšntwn (Tucidide, I, 22, 2).

Ivano Dionigi, il poema di Lucrezio e l’inversione del detto catoniano che comporta la priorità della

parola: da «rem tene, verba sequentur» a «verba tene, res sequetur». Infatti la terminologia

atomistica è probabilmente mutuata da quella grammaticale: elementum (stoice‹on) è inteso come

costituente originario sia dell’essere sia dell’alfabeto.

In ogni caso il potenziamento dei lÒgoi è pure rafforzamento degli œrga. L’Ulisse di Ovidio, di

Omero, di Sofocle.

La Persuasione era una dea e la capacità persuasiva di chi sa parlare è utile in tutti i campi. Chi non

è padrone della parola è un bambino, o un folle, oppure un uomo sottoposto alla tirannide.

Il valore estetico della parola. La bellezza giustifica l’esistenza umana e ribalta la triste sapienza

silenica. La nascita della tragedia di Nietzsche. I Greci e l’eroismo. La bellezza è difficile: va

coniugata con la semplicità. Sofocle, Euripide e Tucidide: amiamo il bello con semplicità. Pirra è

simplex munditiis, semplice nell’eleganza. La semplicità è complessità risolta e fa parte della

bellezza. La sui neglegentia di Petronio ha un lungo seguito nella letteratura europea. Il culto del

bello in Foscolo e Keats. La rinascita del «classico» è la forma ritmica della storia culturale

europea. La bellezza si coniuga anche con l’antichità. Di nuovo Fellini, Borges e Tolstoj. Frasnedi:

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la didattica «di lusso» è una didattica delle pari opportunità. Un esempio, solo schematico, di

lezione (su Medea). Il sapere non è sapienza: questa comprende la vita. La cultura quale

potenziamento della fÚsij, come actio benefica, e quale coscienza della dialettica disordine-ordine.

Giganti e Titani sono gli eterni nemici della cultura la quale del resto necessita di un rapporto

dialettico con la natura, anche con quella selvaggia. La letteratura deve educare le emozioni. I

crimini degli adolescenti. Ottavia e Nerone. Homines dum docent discunt. Il potere della televisione

se non è controllabile è criticabile. Primeggiare senza fatica oppure con fatica e rischio. L’uomo

come problema.

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Prefazione

Perché studiare il greco e il latino, potrebbe chiederci un giovane. A che cosa servono? Alcuni

rispondono: «...a niente; non sono servi di nessuno; per questo sono belli». Non è questa la nostra

risposta. Se è vero che le culture classiche non si asserviscono alla volgarità delle mode, infatti non

passano mai di moda, è pure certo che la loro forza è impiegabile in qualsiasi campo. La

conoscenza del classico potenzia la natura peculiare dell’uomo che è animale linguistico. Il greco e

il latino servono all’umanità: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e

di ogni lavoro non esclusivamente meccanico. Parlare male, affermava Socrate nel Fedone

platonico, non solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime. Don Milani

insegnava che «bisogna sfiorare tutte le materie un po’alla meglio per arricchire la parola. Essere

dilettanti in tutto e specialisti nell’arte della parola».

Il sicuro possesso della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico: «Non

formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas», bello non era, ma

era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d’amore le dee del mare, scrive Ovidio nell’Ars

amatoria. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore. Ebbene non si può

essere veramente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini, se non si conoscono le

lingue e le civiltà classiche, ossia quelle dei primi della classe. Noi vorremmo che le conoscessero

tutti attraverso una scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.

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Indice 1. Il metodo mitico di T. S. Eliot . La conoscenza della tradizione richiede il senso storico. La storia presenta gallerie di modelli e contromodelli. Tito Livio e Plutarco. 1. 1 Tutta la letteratura europea da Omero in avanti ha un’esistenza simultanea. È una «catena di plagi»? Il greco e il latino come corrente «sanguigna» della letteratura europea. 2. M. Cacciari e la topologia. I tÒpoi o loci come sedes argumentorum, miniere di argomenti. 2. 1 Alcuni esempi di tÒpoi non solo retorici ma etici, intellettuali, politici, economici. 3. Le parole chiave (A. Giordano Rampioni). L’ambiguità del linguaggio (Sofocle, Pirandello, Vernant) e la dimensione infinita della significazione (F. Frasnedi). 3. 1 Il lessico, la morfologia e la sintassi. Conviene partire dai testi degli ottimi autori. 4. Cultura e tolleranza, idealismo e pragmatismo. Rispetto e pudore. H. Hesse. 4. 1. P.P. Pasolini, Euripide, F. Grillparzer. 5. I film tratti da opere letterarie come valido sussidio didattico. Alcune riflessioni di Pasolini sulla Medea di Euripide, alcune altre di Fellini sul Satyricon di Petronio. La letteratura e il cinema contribuiscono a formare La testa ben fatta (E. Morin). 6. Paideia e parresia. È bene che lo studente divenga kritikÒj, ossia capace di dare un giudizio autonomo. Paideia è ab origine connessa a parresia (M. Cacciari). L’ortodossia è non conoscenza (G. Orwell). 6. 1. Individuazione delle connessioni e organizzazione delle conoscenze . Montaigne, Pascal, Platone, Dostoevskij. Tutto è collegato con tutto. Il principio della responsabilità collettiva. L’Edipo di Sofocle e quello di Seneca. Macbeth, la Medea di Christa Wolf. 6. 2. L’originalità secondo Leopardi. Il giovane deve conoscere diverse teorie per giungere all’originalità (G. Leopardi). È produttiva non solo la traduzione ma anche la critica contrastiva. La biblioteca e i gusti di Des Esseintes. Bisogna spiegare un poeta con lo stesso poeta (`/Omhron ™x `Om»rou safhn…zein) e con altri. Le critiche anomale suscitano lo stupore che si addice all’apprendimento. Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi (Platone). 7. Lo studio e il vissuto. Lo studio va messo in relazione con il vissuto. Attualizzazioni del mito. I pubblicitari sono degli Aconzi (Bettini). Pindaro, le magliette «firmate» e i telefonini. 8. Il greco salva la vita. Plutarco, Euripide, Canetti. 9. Erudizione o cultura? L’educatore non può essere un erudito senza anima. L’umbraticus doctor di Petronio. Seneca e Goethe. Annoiare è il crimine degli imbecilli. 9. 1. Nietzsche contro l’erudizione micrologica e arida. Lo studio liberale rende liberi. Seneca rifiuta di affrontare alcuni aspetti, secondo lui mortificanti, della questione omerica. 10. Il valore pratico della parola. La mentalità greca arcaica - scrive Canfora - pone sullo stesso piano la parola e l’azione: t¦ œrga tîn pracqšntwn (Tucidide, I, 22, 2). Ivano Dionigi, il poema di Lucrezio e l’inversione del detto catoniano che comporta la priorità della parola: da «rem tene, verba sequentur» a «verba tene, res sequetur». 10. 1. In ogni caso il potenziamento dei lÒgoi è pure rafforzamento degli œrga. 10. 2. L’uso efficace della parola. La Persuasione era una dea e la capacità persuasiva di chi sa parlare è utile in tutti i campi. Nuova raccomandazione per la lettura dei testi. Alcuni esempi di ottimi autori.

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11. La componente estetica della civiltà ellenica. La bellezza giustifica l’esistenza umana e ribalta la triste sapienza silenica. La nascita della tragedia di Nietzsche. 11. 1. I Greci e l’eroismo. Sofocle, Euripide e Tucidide: amiamo il bello con semplicità. La sui neglegentia di Petronio. Il culto della bellezza in Foscolo e Keats. 11. 2 Di nuovo Fellini, J.L. Borges e Tolstoj. Frasnedi: la didattica «di lusso» è una didattica delle pari opportunità. 12. Schema di una lezione su Medea. Favini e la supremazia del teatro ateniese. Il sapere non è sapienza. Euripide, Nietzsche, T. Mann, M. Cacciari. 12. 1. La cultura quale potenziamento della fÚsij, come visione e coscienza della dialettica disordine-ordine. La letteratura deve educare le emozioni. I crimini degli adolescenti e U. Galimberti. Ottavia e Nerone. 12. 2. Homines dum docent discunt. Il potere della televisione se non è controllabile è criticabile. Primeggiare senza fatica oppure con fatica e rischio. L’uomo come problema.

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1. Il metodo mitico di T. S. Eliot.

La conoscenza della tradizione richiede il senso storico. La storia presenta gallerie di modelli e

contromodelli. Tito Livio e Plutarco.

1. Nel preparare queste pagine metodologiche mi sono avvalso della conoscenza degli autori,

antichi e moderni, che ho maggiormente approfondito, e della esperienza di insegnamento:

insomma ho utilizzato «una lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle

antique»1.

La ricerca di congrui e frequenti parallelismi tra la modernità e l’antichità, affinché questa non

appaia come un mondo separato dal nostro, mi ha portato all’adozione del metodo «mitico».

In una famosa recensione 2 all’Ulisse di Joyce, T.S. Eliot definiva il metodo mitico, in opposizione

a quello narrativo, come il modo di controllare, di dare una forma e un significato all’immenso

panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. «Instead of narrative method, we may

now use the mythical method», invece del metodo narrativo possiamo ora avvalerci del metodo

«mitico».

Alla fine di The Waste Land3 Eliot afferma: «These fragments I have shored against my ruins» (v.

430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine4.

L’autore de La terra desolata in un precedente scritto di critica5 aveva pure affermato che la

tradizione non è un patrimonio che si eredita ma, «if you want it, you must obtain it by great

labour», se uno vuole impossessarsene, deve conquistarla con grande fatica.

Essa richiede il senso storico, e questo «involves a perception not only of the pastness of the past,

but of its presence», implica la percezione non solo della passatezza del passato ma anche della sua

presenza.

Già per Tito Livio6 la conoscenza della tradizione storica è necessaria: essa fornisce a chi la

possiede il grande strumento dei modelli positivi da imitare e di quelli negativi da respingere:

«Hoc illud est praecipue in cognitione rerum salubre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in

inlustri posita monumento intueri: inde tibi tuaeque rei publicae quod imitere capias, inde foedum

inceptu, foedum exitu quod vites»7.

1 N. Machiavelli, Il Principe (del 1513), Dedica al Magnifico Lorenzo DÈ Medici. 2 Ulysse, Order and Myth, «The Dial», nov. 1923 3 La terra desolata, del 1922. 4 Le quali del resto non significano solo decadenza: «Le rovine sono la cosa più viva della storia, perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione, ciò che è rimasto sotto forma di rovine», M. Zambrano, L’uomo e il divino, Edizioni Lavoro, Roma, 2001, p. 228. 5 Tradition and the Individual Talent del 1919. 6 59 a. C.-17 d. C.

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Questo soprattutto è salutare e produttivo nella conoscenza della storia, che tu consideri

attentamente esempi di ogni tipo situati in una tradizione illustre: di qui puoi prendere quanto c’è da

imitare per te e per il tuo Stato, di qui quello che c’è da evitare in quanto turpe nel movente, turpe

nel risultato.

Analogo frutto si può cogliere dalle biografie di Plutarco8 il quale suggerisce di utilizzare le sue Vite

parallele quali modelli positivi o negativi: infatti si dà catarsi non solo assimilando il valore, ma

anche respingendo i vizi; questo accade ponendosi di fronte alla storia come davanti a uno specchio

(ésper ™n ™sÒptrJ) sia imitando la virtù degli uomini grandi e buoni, il cui esempio aiuta a

respingere quella dose eventuale di pochezza («“e‡ ti faàlon») o malvagità («“À kakÒhqej») o

volgarità («À ¢gennšj»), che le compagnie di coloro con i quali si deve vivere vi insinuano («“aƒ

tîn sunÒntwn ™x ¢n£gkhj Ðmil…ai prosb£llousin»), sia prendendo quali contromodelli uomini

grandi e cattivi9.

1. 1 Tutta la letteratura europea da Omero in avanti ha un’esistenza simultanea. È una «catena di

plagi»? Il greco e il latino come corrente «sanguigna» della letteratura europea.

1. 1. Il senso storico e quello letterario di Eliot costringono a tener conto di molti modelli più o

meno buoni, e, quindi, a scrivere «with a feeling that the whole of the literature of Europe from

Homer and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and

composes a simultaneous order»10, con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero, e,

all’interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un’esistenza simultanea e compone un

ordine simultaneo.

Affermazioni analoghe si trovano già negli autori antichi: da Eschilo 11 che diceva di limitarsi a

raccogliere le briciole del banchetto omerico (A„scÚlou, Öj t¦j aØtoà tragJd…aj tem£ch e•nai

œlegen tîn `Om»rou meg£lwn de…pnwn12), a Callimaco13 che afferma «¢m£rturon oÙdln

¢e…dwj»14, non canto nulla che non sia testimoniato, a Terenzio 15 il quale nel Prologo16

7 Storie, Praefatio, 10. 8 50 d. C. ca-120 d. C. ca. 9 Prefazione alle Vite di Timoleonte ed Emilio Paolo 10 Tradition and the Individual Talent. 11 525-455 a. C. 12 Ateneo (II-III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39. 13 305 ca-240ca a. C. 14 Fr. 612 Pfeiffer. 15 190ca-159ca a. C. 16 «Luogo privilegiato della commedia dal punto di vista delle informazioni date, siano esse di trama o di poetica» (G. B. Conte, Scriptorium Classicum, Le Monnier, Firenze, 2001, 1, p. X9).

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dell’Eunuchus17 dichiara: «Denique/nullum est iam dictum quod non dictum sit prius» (vv. 40-41),

in fin dei conti, non c’è più nessuna battuta che non sia stata detta prima. Successivamente diversi

altri autori hanno riconosciuto il loro debito alla nobiltà, o per lo meno alla mole della tradizione.

Leopardi18 ebbe a scrivere «Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia»19.

Robert Musil20 attraverso il suo protagonista Ulrich, il quale gioca sempre al ribasso, parla

ironicamente di una «catena di plagi»21 che lega le grandi figure del mondo artistico l’una all’altra.

Naturalmente il greco e il latino sono le fondamenta di un lavoro comparativistico inteso a dare ai

giovani un’educazione nello stesso tempo classica ed europea. Per chiarire la necessità di queste

basi senza le quali c’è l’abisso del vuoto, posso citare un’altra «verità» di un saggio successivo 22 di

T.S. Eliot: «Il latino e il greco costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come

un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo

ritrovare la nostra parentela con la Grecia»23.

2. M. Cacciari e la topologia. I tÒpoi o loci come sedes argumentorum, miniere di argomenti.

2. Massimo Cacciari in un seminario tenuto a Bologna nel novembre del 2000 suggeriva di opporre

la topologia alla cronologia. Successivamente il filosofo veneziano ha scritto:»Impossibile

sistemare i classici secondo i rassicuranti metodi della cronologia. Soltanto una considerazione

topologica rende loro «giustizia». Come il loro Nunc non è il nunc del modo, ma il Nunc stans, così

il loro tempo non è quello della cronolatria storicistica, ma quello del «luogo», tutt’uno col «luogo».

Il classico è insieme di topoi; i classici sono questi «luoghi». È come se nel classico il tempo si

facesse «luogo». Perciò i classici in-sistono. Perciò i classici fanno epoca24. Classico, aggiunge

Traina, è «uno scrittore che ha parlato per noi»25.

In un intervento recente26 Cacciari ha ribadito che i classici si dispongono secondo topologie, non

secondo cronologie. Gli autori Greci e Latini hanno fondato luoghi privilegiati. La loro funzione sta

nell’avere la forza polemica nei confronti dell’ora, e tale dÚnamij devono trasmettere alla scuola

affinché questa non sia una fabbrica impiegatizia e i giovani che la frequentano non siano degli

«occupati», ossia degli invasi dalle mode del momento, ma sappiano reagire criticamente a queste.

17 Del 161 a. C. 18 1798-1837. 19 Zibaldone, 58. 20 1880-1942. 21 R. Musil , L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, 1972, p. 270. 22 T. S. Eliot, Che cos’è un classico?, 1944. 23 In T. S. Eliot, Opere, Bompiani, Milano, 1986, p. 975. 24 M. Cacciari, Brevi inattuali sullo studio dei classici in Di fronte ai classici, Rizzoli, Milano, 2002, p. 27. 25 Io e il latino in Di fronte ai classici, Rizzoli, 2002, p. 263. 26 Dell’8 ottobre 2002

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Infatti se lo studio è soltanto una rincorsa del nunc, allora davvero il classico è il supervacuum. La

cultura conquistata in una buona scuola potrà comunque aiutare i giovani a resistere alla macina

quotidiana delle mode, agli spacciatori della droga dei luoghi comuni, personaggi emblematici e

rappresentativi di questa età «vaga di ciance, e di virtù nemica»27.

Cerco di spiegare cosa sono i tÒpoi e come intendo usarli per l’educazione.

Curtius chiama la topica «deposito delle scorte» seguendo le indicazioni di Quintiliano 28: «in greco

si chiamano koino ̂ tÒpoi, in latino loci communes, originariamente mezzi ausiliari per

l’elaborazione di discorsi; essi sono, come dice Quintiliano (V, 10, 20), «miniere di argomenti per

l’elaborazione del pensiero» (argumentorum sedes) e sono quindi utilizzabili per un fine pratico»29.

Per quanto riguarda la retorica antica Curtius fa un paio di esempi: «topos diffusissimo è

‘l’accentuazione della propria incapacità di trattare degnamente un tema’; nel panegirico, ‘la lode

degli antenati e delle loro gesta’è un topos».

L’autore di Letteratura europea e Medio evo latino aggiunge che «Nell’Antichità si approntarono

intere raccolte di simili topoi. L’insegnamento dei topoi, chiamato topica, venne trattato in scritti

appositi». Insomma «ne ll’insegnamento della retorica, anticamente la topica costituiva il deposito

delle scorte» (p. 93).

Ma non solo nella retorica si danno i tÒpoi. Io li intendo come idee, frasi, versi belli e pieni di

forza, ricorrenti nella letteratura europea.

Quintiliano indica pure i loci dei poeti tra gli strumenti per educare i bambini, che per giunta li

gradiscono se vengono presentati loro giocosamente:

«Etiam dicta clarorum virorum et electos ex poetis maxime (namque eorum cognitio parvis gratior

est) locos ediscere inter lusum licet» (I, 1, 36), va bene che i bambini imparino a memoria,

giocando, anche le sentenze degli uomini famosi e soprattutto passi scelti dai poeti (infatti lo studio

di questi è molto gradito ai piccoli). Pure il gioco in effetti si addice alla paide…a.

2. 1. Alcuni esempi di tÒpoi non solo retorici ma etici, intellettuali, politici, economici.

2. 1.Anticipo alcuni dei tÒpoi che troveremo nel successivo percorso.

27 G. Leopardi, Il pensiero dominante (del 1831), v. 61- 28 Maestro di retorica, tenne la prima cattedra statale di eloquenza per volontà di Vespasiano. Visse fra il 35 e il 97 ca d. C. L’ Institutio oratoria in dodici libri uscì nel 96 d. C. 29 E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, Firenze, 1992, p. 81. Più precisamente Quintiliano definisce i loci «sedes argumentorum, in quibus latent, ex quibus sunt pretenda» (V, 10, 20), sedi di argomenti dove essi sono riposti e dai quali si devono ricavare.

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? Un topos intellettuale è quello che condanna la stupidità, connessa spesso all’empietà,

dall’Agamennone di Eschilo (del 458): «tÕ m¾ kakîj frone‹n qeoà mšgiston dîron»30

(vv. 927-928); all’Antigone di Sofocle (del 442) le cui parole conclusive contengono la morale

del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: «Il comprendere (tÕ frone‹n) è di

gran lunga il primo requisito/ della felicità, è necessario poi non essere empio/ in nessun modo

negli atti che riguardano gli dèi (cr¾ dl t£ g’™j qeoÝj mhdln ¢septe‹n)»31.

«La pietà suprema sarà per i Greci l’intelligenza»32.

Per il latino cito la Rhetorica ad Herennium33: «Omnium malorum stultitia est mater atque

praeceptrix»(II, 22), la stoltezza è madre e maestra di tutti i mali.

? Un tÒpoj etico e psicologico diffuso è quello del tù p£qei m£qoj34, attraverso la sofferenza si

giunge alla comprensione 35. Da Eschilo, a Menandro, a Hermann Hesse36.

? Un tÒpoj politico presente nella tragedia e nella storiografia greca e latina è quello che

condanna la tirannide37..

? Un altro è quello che afferma, o nega, il diritto del più forte38. Connesso a questo è il tema

dell’imperialismo39.

? Un altro locus politico ed etico maledice la guerra.

? Un tÒpoj economico è l’esecrazione del denaro e degli uomini avidi di denaro40.

? Un tÒpoj riguarda la religione che può essere intesa come strumento di regno (Crizia, Polibio,

Curzio Rufo, Machiavelli) 41 oppure come pietas salvifica. Con una bella sintesi T. Mann

definisce la religione: «il senso e il gusto dell’infinito»42. Viceversa nell’economia «che è il

carattere storico del nostro tempo…si vede sempre più la mancanza dell’infinito»43.

? Un altro locus concerne la bellezza che, vedremo, viene spesso coniugata con la semplicità. Al

culto del bello si può collegare il rovesciamento del cupio dissolvi della sapienza silenica, ossia

la giustificazione della vita soprattutto attraverso l’arte.

30 Il non capire male/ è il dono più grande di dio 31 Vv. 1347-1349. 32 M. Zambrano, L’uomo e il divino, Edizioni Lavoro, Roma, 2001, p. 194. 33 Trattato di retorica anonimo degli anni 80 a. C. 34 Eschilo, Agamennone, 177. 35 Si veda la massima beethoveniana «Durch Leiden Freude», attraverso la sofferenza la gioia. Ricavo il suggerimento da E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, p. 43 n. 7. 36 Per la presenza del tÒpoj in questi e altri autori vedi G:Ghiselli, Edipo re, Loffredo, Napoli, 2000, p. 168 ss. 37 Per un’ampia trattazione di questo tema vedi G:Ghiselli, Antigone, Loffredo, Napoli, 2001, pp. 121-127. 38 Per questo cfr. G.Ghiselli, Storiografi Greci, Loffredo, Napoli, 1999, pp. 174-178. 39 G. Ghiselli, Storiografi Greci, ib., pp. 363-364. 40 Cfr. G. Ghis elli, Antigone, ib., pp. 65, 73, 84. 41 Per questo argomento cfr. G. Ghiselli, Storiografi Greci, ib., pp.323-327. 42 T. Mann, Doctor Faustus, Mondadori, Milano,1980, p. 119. 43 T.Mann, op.cit., p. 164.

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Un tÒpoj può avere due aspetti: un esempio è quello della mutatio locorum che secondo Orazio e

Seneca è inutile, mentre per Ovidio e Properzio è uno dei Remedia amoris.

È possibile indicare pure dei tÒpoi gestuali come quello dell’ostensione del ventre da parte della

Giocasta di Seneca44 e delle imperatrici romane consorti di Claudio45, Messalina 46 e Agrippina47,

ciascuna per una sua ragione particolare.

Un ottimo esercizio sarà individuare alcuni tÒpoi in un autore e arricchirli attraverso la lettura di

diversi testi del medesimo autore e di altri.

3. Le parole chiave (A. Giordano Rampioni). L’ambiguità del linguaggio (Sofocle, Pirandello,

Vernant) e la dimensione infinita della significazione (F. Frasnedi).

3. Importante è anche la segnalazione delle parole chiave «che caratterizzano una società in

un’epoca data (es. mores maiorum in epoca augustea) o, aggiungiamo, un movimento letterario o un

autore (es. lepos in Catullo)». Tali parole, nota la Giordano, «servono per comprendere l’atmosfera

culturale e politica di quel tempo»48. In greco alcune di tali parole particolarmente significative

possono essere

qumÒj, nÒsoj, ¢ret», ¥th, Ûbrij, frone‹n, p£qoj, m£qoj, nÒmoj, a„dîj e così via.

In latino, oltre mos, segnalo fides, amor, foedus, amicitia, pietas, pudicitia, matrimonium, perfidus,

vitium, adulterium.

Ognuno di questi termini49 è suscettibile di spiegazioni ampie, e varie, secondo le loro collocazioni

in diversi contesti. C’è da aggiungere che proprio attraverso le parole chiave si può indicare

l’ambiguità del linguaggio, particolarmente di quello drammatico: Ûbrij per esempio per il Coro

dell’Edipo re, ossia per Sofocle stesso, è la madre dei tiranni (v. 872), per il Creonte dell’Antigone

(v. 309) è il misfatto di chi alla tirannide si oppone.

Similmente per quanto riguarda nÒmoj. «Può trattarsi di un’ambiguità nel vocabolario,

corrispondente a ciò che Aristotele chiama homonymia (ambiguità lessicale); questo tipo di

ambiguità è reso possibile dalle oscillazioni o dalle contraddizioni della lingua 50. Il drammaturgo

gioca su queste per esprimere la sua visione tragica di un mondo in urto con se stesso, lacerato dalle

contraddizioni. In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od 44 Phoenissae, v. 447. 45 Che a sua volta può impersonare aspetti topici dell’eterno marito. 46 Giovenale, Satira VI, v. 124. 47 Tacito, Annales, XIV, 8. 48 A. Giordano Rampioni, Manuale per l’insegnamento del latino nella scuola del 2000, Dalla didattica alla didassi, Patron, Bologna, 1999, p. 95. 49 Che incontreremo più volte e chiariremo durante il nostro percorso. 50 «I nomi sono in numero finito, mentre le cose sono infinite. Quindi è inevitabile che un nome unico abbia più sensi»: Aristotele, Confutazione dei sofisti I, 165a 11.

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opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica,

comune 51. Così, per Antigone, nÒmoj designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui

è posto, chiama anche lui nÒmoj52. Per la fanciulla il termine significa «norma religiosa»; per

Creonte, «editto promulgato dal capo dello Stato». E in realtà il campo semantico di nÒmoj è

sufficientemente esteso per comprendere, con altri, ambedue i sensi. L’ambiguità traduce allora la

tensione fra certi valori avvertiti come inconciliabili nonostante la loro omonimia. Le parole

scambiate sullo spazio scenico, anziché stabilire la comunicazione e l’accordo fra i personaggi,

sottolineano viceversa l’impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che

separano i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali. Ciascun eroe, chiuso nell’universo che

gli è proprio, dà alla parola un senso ed uno solo. Contro questa unilateralità urta violentemente

un’altra unilateralità»53.

L’ambiguità del linguaggio e l’impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei

personaggi:

«Ma se è tutto qui il male! Nelle parole!…come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io

dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta,

inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro!

Crediamo d’intenderci; non ci intendiamo mai!»54.

Luogo simile si trova nell’ultimo romanzo dell’Agrigentino, Uno, nessuno e centomila55:

«il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me

quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le

stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E

voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del

senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto» (p. 39).

La polivalenza delle parole può ostacolare la comunicazione eppure offrire opportunità didattiche

preziose. Sentiamo F. Frasnedi: «La dimensione infinita della significazione, l’impossibilità, cioè,

di catturare tutti gli echi e i rinvii che il dettato può suscitare, se da una parte costituisce la

disperazione dei teorici, dall’altra è esperienza insostituibile e basilare per chi apprende, e si pone

51 Cfr. Eu ripide, Fenicie, 409 sgg.:» Se la stessa cosa fosse ugualmente per tutti bella e saggia, gli umani non conoscerebbero la controversia delle contese. Ma per i mortali non esiste nulla di simile o di uguale, salvo nelle parole; la realtà è tutta diversa». 52 La stessa ambiguità appare negli altri termini che occupano un posto di rilievo nella trama dell’opera: d…kh, f…loj e fil…a, kšrdoj, tim», Ñrg», deinÒj. 53 J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell’antica Grecia, Einaudi, Torino, 1976, p. 89. L’interpretazione della tragedia come collisione tra due unilateralità risale, lo vedremo, all’Estetica di Hegel la quale fu pubblicata nel 1836-1838, dopo la sua morte (1831) dai discepoli sugli appunti delle lezioni tenute dal maestro tra il 1817 e il 1829. 54 Sei personaggi in cerca d’autore (parte prima). Parla il personaggio del Padre. La commedia andò in scena la prima volta il 10 maggio 1921 al teatro Valle di Roma. 55 Pubblicato a puntate sul settimanale La fiera letteraria nel 1926.

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sul cammino di chi farà della lingua l’orizzonte della sua capacità interpretativa e creativa… le

parole sono, insomma, terribilmente pesanti, poiché, come la punta di un iceberg, nascondono

grappoli di ramificazioni, e ciascun ramo di ogni grappolo può portare molto lontano… Quando si

costruiscono percorsi dentro la ramificata complessità dell’interpretazione, si compie un’altra

scoperta fondamentale: quella della non automaticità della significazione. I lettori scopriranno con

meraviglia che i loro viaggi, compiuti per dettare di senso il dettato linguistico del testo, non sono

uguali. Le parole del testo erano uguali per tutti, eppure… Ecco una finestra fondamentale per poi,

nella grammatica del significato»56.

3. 1. Il lessico, la morfologia e la sintassi. Conviene partire dai testi degli ottimi autori.

3. 1. Il nostro lavoro porta a dare grande importanza al lessico che deve venire prima delle regole

grammaticali e comunque non rimanerne soffocato.

Delle parole più frequenti e delle più significative è indispensabile segnalare tutte le parentele

possibili . L’affinità deve essere indicata sulla base dell’etimo: per esempio la parola greca ™sq…w57,

«mangio», è etimologicamente imparentata con la latina edo, la tedesca essen, l’inglese to eat.

L’insegnamento del lessico viene reso più interessante da comparazioni tra la lingua greca, quella

latina e magari anche altre lingue indoeuropee: alcune parole topiche, ricche di valenza storico-

letteraria, vanno trattate in maniera comparativa illustrandone la presenza nei testi di due o tre

letterature. Per esempio

? l’¢nakÚklwsij di Polibio58,

? l’orbis di Tacito59,

? il «cerchio» di Machiavelli60,

? il «circuito» di Leopardi61 mutuato dal circuitus di Cicerone 62. Si potrebbe tradurre con «ritorno

ciclico» o perfino con «l’eterno ritorno»63.

La morfologia sarà comunque uno dei gradini sui quali procedere in vista dell’apprendimento della

lingua e della letteratura. Il successivo sarà la sintassi, una sezione logica necessaria, che però va

«condita» fin dall’inizio64 «in molli versi», ossia con il sapore più gradevole della poesia. «Così a

56 F. Frasnedi, La lingua, le pratiche, la teoria, Clueb, Bologna, 1999, pp. 29 e 30. 57 Deriva dalla radice *ed; e anche queste indagini possono diventare interessanti per gli studenti liceali. 58 Storie, VI, 9, 10. Ho sviluppato il tema del ritorno ciclico delle costituzioni nel mio Storiografi Greci, Loffredo, Napoli, 1999, pp. 387. 59 Annales, III, 55. 60 Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 2. 61 Zibaldone 3518. 62 De Republica, I, 45. 63 Cfr. F. Nietzsche, Crepuscolo degli idol, p. 128. 64 Fin dalla IV ginnasio.

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l’egro fanciul porgiamo aspersi/di soavi licor gli orli del vaso»65. Le parti tecniche non possono

essere le mete dello studio del greco e del latino. Lo skopÒj, il bersaglio, cui mira il ragazzo è altro.

«Si deve vedere il fine al di là», mi disse una volta un allievo. Aveva ragione. Il fine è aprire la

mente, arricchirla, quindi comunicare con il maggior numero possibile di persone in maniera

significativa.

Il fatto è che talora i tecnicismi sono stati impiegati da insegnanti spiritualmente distorti in maniera

mortificante, come «una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze»66. «Pascoli, invitato a

stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale,

così si esprimeva: «Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto

la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la

grammatica si stende come un’ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane

esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! dÈ quali ogni linea, si può

dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio»67.

Strumento privilegiato per insegnare tutti gli aspetti delle lingue che non si parlano più devono

essere comunque i testi degli ottimi autori.

Il congiuntivo esortativo della terza e della prima coniugazione si rendono memorabili ai ragazzi

leggendo: Vivamus mea Lesbia atque amemus, prendiamoci la vita, mia Lesbia, e facciamo l’amore,

di Catullo (5, 1) e facendo conoscere questo poeta. Due forme delle subordinate finali si possono

esemplificare con Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae68, vengono (le donne al circo) per

osservare, vengono per essere osservate loro stesse, un poliptoto con due costruzioni: il supino

indica uno scopo più generico; ut con il congiuntivo è maggiormente connotato dalla volontà. Il

verso naturalmente va anche contestualizzato.

4. Cultura e tolleranza. Idealismo e Pragmatismo. Rispetto e pudore. H. Hesse.

4. Da qualche tempo c’è chi sostiene che bisogna dare valore prima di tutto alla cultura tecnico-

professionale ma, a mio parere, senza un poco di idealismo arriveremo a farci del male l’un l’altro.

Qui a Bologna una studentessa di liceo ha fatto un intervento significativo in una riunione

insignificante di burocrati pragmatici. La ragazza ha chiesto che la scuola vada incontro ai bisogni

di tutti, e alla domanda: «quali sono i bisogni di tutti?», ha risposto: «la cultura e la tolleranza».

Ebbene la cultura non può essere priva di idee, ideali, idealità.

65 T. Tasso, Gerusalemme liberata, I, 3, 5-6. Sono versi di derivazione lucreziana (De rerum natura , I, 935 ss.) 66 Sono parole dello studente Kolia ne I fratelli Karamazov, Bietti, Milano, 1968, p. 661. 67 A. Giordano Ra mpioni, op. cit., p. 49. 68 Ovidio, Ars amatoria, I, 99.

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«La cultura umana nasce da una nobilitazione di istinti belluini in altri più elevati attraverso il

pudore, la fantasia, la conoscenza»69. Il rispetto e il pudore sono valori che devono essere affermati

da una scuola che deve non solo incrementare le conoscenze ma anche moralizzare attraverso

l’educazione. Il Coro della Medea70 di Euripide, che rappresenta un mondo in sfacelo morale, nel

primo Stasimo lamenta: «bšbake d/ Órkwn c£rij, oÙd/ œt/ a„dëj `Ell£di t´ meg£la mšnei» (vv.

439-440), se n’è andato il rispetto dei giuramenti né più rimane il pudore nell’Ellade grande.

«Io, che in genere amo così fervidamente tutto ciò che è nuovo e rivoluzionario, in questo sono

senz’altro retrivo, e dai ceti colti pretendo un certo idealismo, una certa disposizione a discutere e a

capire del tutto indipendentemente da ogni vantaggio materiale, insomma un resto di umanesimo,

anche se so che quest’umanesimo, in realtà, ha cessato di esistere e che tra poco anche la sua

apparenza esterna non si troverà più se non nei musei delle figure di cera»71. Bisogna invece lottare

perché la sostanza dell’umanesimo rimanga nella scuola italiana. E non solo nella scuola: «Si sa o si

intuisce che quando il pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione dello spirito non è più

valida, anche le navi e le automobili incominciano presto a non funzionare, anche il regolo

calcolatore dell’ingegnere e la matematica delle banche e della borsa vacillano per mancanza di

valore e di autorità, e si cade nel caos… Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei

quali popoli e partiti, vecchi e giovani, rossi e bianchi non s’intendevano più. Andò a finire che,

dopo sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il desiderio di

rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine, di costumatezza, di misure

valide, di un alfabeto e di un abbaco che non fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero

modificati a ogni piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di

superamento del caos»72. La scuola può aiutare i giovani a trovare la strada per questo superamento.

4. 1 P.P. Pasolini, Euripide, F. Grillparzer

4. 1. P.P. Pasolini parlava di vuoto di Carità dell’Italia degli anni Settanta. Riferiamolo alla Medea

di Euripide che più avanti commenterò mettendo in pratica la metodologia. Da questa tragedia,

com’è noto, lo stesso Pasolini ha tratto un film73 nel quale ha voluto mettere in evidenza «il

confronto dell’universo arcaico, ieratico, clericale 74, con il mondo di Giasone, mondo invece

69 H. Hesse, Scritti autobiografici, Mondatori, Milano, 1980, p. 196. 70 Del 431 a. C. 71 H. Hesse, La Cura (del 1925), Adelphi, Milano, 1981, p. 27. 72 H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, Mondatori, Milano, 1981, p. 33 e p. 368. 73 Medea, 1970. 74 quello della barbara Medea.

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razionale e pragmatico»75. Queste affermazioni, utilissime a capire il testo di Euripide, vanno però

prima chiarite e autorizzate76 attraverso un confronto con alcune parole del dramma antico.

Il pragmatismo dell’uomo greco si manifesta chiaramente quando il seduttore dichiara a Medea di

avere voluto cambiare donna, prendendo la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei

suoi figli, o perché ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la famiglia (o

le famiglie) e senza restrizioni77, sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono, anche se

amico. Egli insomma «dr´ t¦ sumforètata»78 (v. 876) fa quello che è più utile, come riconosce

la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Bisogna pure chiarire che la

Medea di Euripide impiega, strumentalmente, questa cultura dell’utile che la rende infelice, quando

adula Creonte per ottenere un giorno di permanenza a Corinto onde compiere la sua terribile

vendetta: «credi che avrei blandito costui - chiede alla corifea - se non per guadagnarci qualcosa o

per tramare?» (vv. 368-369). In questa categoria dell’utile non onesto può essere inserita anche la

Poppea Sabina di Tacito79 la quale: unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat (Annales,

XIII, 45), dove si presentasse l’utile, là volgeva la libidine.

A proposito della diversità delle culture si può ricordare che pure Franz Grillparzer nella sua

Medea80 mette in rilievo «la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di intendersi fra civiltà

diverse, un monito tragicamente attuale su come sia difficile, per uno straniero, cessare veramente

di esserlo per gli altri»81.

5. I film d’autore tratti dalle opere letterarie d’autore come ottimo sussidio didattico.

5. Federico Fellini, che ha tratto un film (1969) dal Satyricon di Petronio, indica in un suo scritto la

motivazione che può avere avuto per questo lavoro, un’indicazione utile per l’insegnante che deve

motivare lo studente: «Potrei dire che la Roma della decadenza rassomiglia molto al nostro mondo

d’oggi, con questa smania buia di godere la vita, la stessa violenza, la stessa vacanza di princìpi, la

stessa disperazione, la stessa fatuità. Potrei dire che gli eroi del Satyricon, Encolpio e Ascilto,

rassomigliano molto agli hippies, come loro ubbidiscono unicamente al proprio corpo, cercano una

75 J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro , Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , Einaudi, Torino, 1989, p. 81. 76 Sebbene io sia un estimatore di Pasolini voglio chiarire che la facoltà di nobilitare e autorizzare viene comunque da Euripide. 77 ¢ll’æj, tÕ m? n mšgiston, o„ko‹ men kalîj ka ̂m¾ spanizo…mesqa» (vv. 559-560). 78 Si può notare che il sÚmforon , l’utile, il vantaggioso, è etimologicamente connesso a fèr (lat. fur), ladro. Chi guarda solo all’utile insomma non può essere onesto. 79 55 ca.-120 ca d. C. 80 Che compone e conclude la trilogia Il vello d’oro con L’ospite e Gli argonauti del 1821. 81 C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito, a cura di M. G. Ciani, Marsilio, Venezia, 1999, p. 17.

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nuova dimensione nella droga, rifiutano i problemi. Potrei dirlo, e magari rischierei di avere

ragione. Ma tutte queste spiegazioni più o meno convincenti, in fondo contano poco. L’importante è

che nel fare questo film mi riscopro dentro un piacere, un fervore gioioso che temevo perduti. Mi

pare di sentire che la mia voglia di fare cinema non si è esaurita»82.

Per quanto riguarda la connessione tra la letteratura e il cinema sentiamo E. Morin: «anche il

romanzo così come il cinema ci offrono ciò che è invisibile alle scienze umane. Esse occultano o

dissolvono i caratteri esistenziali, soggettivi, affettivi, dell’essere umano, che vive le sue passioni, i

suoi amori, i suoi odii, i suoi coinvolgimenti, i suoi deliri, le sue gioie, le sue infelicità, con fortuna,

sfortuna, imbrogli, tradimenti, casi, destino, fatalità. Sono il romanzo e il cinema a farci vedere la

relazione dell’essere umano con gli altri, con la società, con il mondo… E il miracolo di un grande

romanzo, come di un grande film, è che immergendosi nella singolarità dei destini, localizzati nel

tempo e nello spazio, rivela l’universalità della condizione umana. Così, il ritratto di un uomo di

mondo, nel ristretto perimetro del quartiere Saint-Germain, diviene, nel romanzo À la recherche du

temps perdu, un microcosmo della profondità della condizione umana…La complessità delle

relazioni del soggetto con gli altri, le instabilità dell’‘io’sono state mostrate con forza da

Dostoevskij»83. Attraverso questi autori, sui quali torneremo più volte, l’adolescente acquista

strumenti per scandagliare le profondità della sua anima: «Scuola della scoperta di sé, in cui

l’adolescente può riconoscere la sua vita soggettiva attraverso quella dei personaggi di romanzi o di

film… È spesso caratteristico di queste opere…ciò che con parole straordinarie Eraclito dice della

Pizia di Delfi: ‘Non afferma, non nasconde, ma suggeriscÈ. Com’è bello favorire tali scoperte!»84.

Se si fa questa citazione, anche in un ginnasio, è possibile, ed è meglio, usare direttamente il testo

greco: «Ð ¥nax,oá tÕ mante‹Òn ™sti tÕ ™n Delfo‹j, oÜte lšgei oÜte krÚptei ¢ll¦ shma…nei», il

signore di cui c’è l’oracolo a Delfi, non dice e non nasconde ma significa. Con questo frammento85

si possono indicare parole chiave, un concetto chiave, e si può parlare dell’ombelico del mondo.

Questo shma…nei eracliteo dà occasione per aprire un discorso sulla «dimensione infinita della

significazione»86 con riguardo agli innumerevoli echi e ai rinvii che un testo può suscitare. Del

resto, per quanto riguarda la scoperta di sé, c’è un altro frammento di Eraclito che ne ricorda il

procedimento: «™dizhs£mhn ™mewutÒn» (126 Diano), ho indagato me stesso.

82 F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino, 1980, p. 105. 83 E. Morin La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 41. 84 E. Morin, op. cit., p. 47. 85 120 Diano. 86 Già citata da F. Frasnedi, op.cit., p. 29.

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6. Paideia e parresia. È bene che lo studente divenga kritikÒj, ossia capace di dare un giudizio

autonomo. Paideia è ab origine connessa a parresia (M. Cacciari). L’ortodossia è non conoscenza

(G. Orwell).

6. Il docente deve procurare al giovane il possesso degli strumenti che lo mettano nella condizione

del kritikÒj, ossia del lettore capace di dare un giudizio (kr…sij) autonomo, cioè di giudicare

(kr…nein) con un criterio suo, eppure non arbitrario, l’opera in questione.

Su ciascun autore non è mai stata detta l’ultima parola e lo studioso non deve essere solo il

ripetitore pedissequo di teorie altrui. «La scuola, i luoghi della formazione, della Bildung, hanno

continuato malgrado tut to a essere centri di critica, di discussione, di confronto tra tendenze diverse,

di interrogazione»87. La critica dei ragazzi deve avere la possibilità di colpire anche i docenti:

all’allievo va lasciata piena libertà di parola. Sentiamo ancora Cacciari: «Paideia è ab origine

connessa a parresia. Se viene meno la parola libera - e la parola può cessare di essere libera soltanto

per ‘autocensura’-, la parola che intende discutere ogni presupposto e ogni ‘stato’, non vi è più

scuola, ma, per dirla con Nietzsche, «produzione di impiegati», se va bene di «impiegati

intelligenti»88. Parrhs…a potrebbe essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo

Ione di Euripide (del 410 a. C.) dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre

ateniese questo privilegio recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche

se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola («tÒ ge stÒma doàlon

pšpatai89koÙk œcei parrhs…an», vv. 674-675).

Tanto meglio se l’atteggiamento critico viene guardato con sospetto siccome «è diventato

l’atteggiamento eretico quando la Chiesa poteva bruciare i dissenzienti. Ed è diventato

atteggiamento da guardare con sospetto quando si assume un atteggiamento critico nei confront i di

quello che è l’assestamento del sapere e della verità»90. Senza la capacità critica il pensiero si

impoverisce: «perché pensare non significa trasmettere velocemente dei dati ma significa elaborare

dei dati»91. Il giovane non va costretto ad alcun pensiero politico, scorretto o corretto che sia, né

deve essere tenuto ad abbracciare alcuna ortodossia.

«Ortodossia significa non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è non conoscenza»92.

L’ortodossia è non conoscenza. anche a livello culturale: «La storia è mescolanza. Lo stoicismo è

presente nel buddismo del re indiano Asoka allo stesso modo che giudaismo e pensiero greco sono

87 M. Cacciari in AA.VV., Di fronte ai classici,l a cura di I.Dionigi, Rizzoli, Milano, 2002, p. 22. 88 M. Cacciari, op. cit., p. 22. 89 Forma poetica equivalente a kškthtai. 90 U. Galimbert i, La lampada di Psiche, Casagrande, Bellinzona, 2001, p. 25. 91 U. Galimberti, op. cit., p. 70. 92 G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 1989, p. 57.

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nel cristianesimo, e il cristianesimo è ben piantato dentro il cosiddetto pensiero laico, e il

liberalismo dentro il marxismo… Poveri ortodossi: la loro scelta di tutori della ‘purezza’di un

qualunque pensiero entrato nel grande e lutulento fiume della storia è una fatica di Sisifo. Sono

tanto patetici quanto i tutori della ‘purezza della razza’«93.

6. 1. Individuazione delle connessioni e organizzazione delle conoscenze . Montaigne, Pascal,

Platone, Dostoevskij. Tutto è collegato con tutto. Il principio della responsabilità collettiva.

L’Edipo di Sofocle e quello di Seneca. Macbeth, la Medea di Christa Wolf.

6. 1. «La prima finalità dell’insegnamento è stata formulata da Montaigne: è meglio una testa ben

fatta che una testa ben piena…una testa ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così

da evitare la loro sterile accumulazione»94. Viceversa quella che non sa connettere nulla con nulla (I

can connect/Nothing with nothing95) è una testa intronata tra spazi ventosi: «A dull head among

windy spaces»96. Morin cita Pascal a proposito del connettere: «Pascal aveva già formulato

l’imperativo dell’interconnessione che si tratta oggi d’introdurre in tutto il nostro insegnamento, a

cominciare dalle scuole elementari: ‘Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e

adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le

più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto,

così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere le parti’»97. Molto prima di Pascal

(1623-1662) Platone (427-347 a. C.) aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (tÁj

fÚsewj ¡p£shj suggenoàj oÜshj, Menone, 81d) e Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che

«il mondo è come l’oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un

punto, il tuo contatto si ripercuote magari all’altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere

perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche

soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore»98.

Secondo il principio dell’unità del tutto, e il principio della responsabilità collettiva, nel prologo

dell’Edipo re di Sofocle viene descritta la sterilità della terra tebana sconciata e resa malata dai

delitti di Edipo, mentre nell’Oedipus di Seneca il protagonista si accusa dicendo «fecimus coelum

nocens» (v.36), abbiamo reso colpevole il cielo, e nel Macbeth un nobile scozzese, Ross, fuori dal

93 L. Canfora, Noi e gli antichi , Rizzoli, Milano, 2002, p. 98. 94 E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina, Milano, 2000, pp. 15 e 18. 95 T. S. Eliot, La terra desolata, vv. 301-302 96 T. S. Eliot, Gerontion, v. 16. 97 B. Pascal, Pensieri, Mondadori, Milano, 1994, p. 143. 98 F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, del 1880, Bietti, Milano, 1968, p.402.

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castello del delitto, fa notare a un vecchio che il cielo, quasi sconvolto dal misfatto umano (as

troubled with man’s act) minaccia la sua scena sanguinosa, e il giorno è buio come la notte. Infatti,

risponde l’old man: «‘Tis unnatural, Even like the deed that’s done» (II, 4), è innaturale, come

l’azione che è stata perpetrata. Questo tÒpoj si trova anche nella Medea reinterpretata da Christa

Wolf quale capro espiatorio dell’Ûbrij di un popolo dominato e manipolato da assassini: «Lissa si

rendeva conto come me che una specie di malattia cronica aveva colpito Corinto e che quasi

nessuno aveva l’intenzione di andare a fondo di quella malattia… La risposta per lei era evidente.

Nella vostra presunzione, disse. Vi sollevate sopra tutto e tutti, ciò altera il vostro giudizio sul reale,

e anche su come siete realmente… Ma insieme al peso impostomi dal destino di Medea, provai

pietà per i Corinzi, popolo di miseri traviati che sapevano liberarsi dalla paura della peste e della

minaccia dei moti celesti e della fame e dei soprusi del palazzo solo scaricando ogni responsabilità

su quella donna»99.

6. 2. L’originalità secondo Leopardi. Il ragazzo, per giungere all’originalità, deve conoscere

diverse teorie. Il giovane deve conoscere diverse teorie per giungere all’originalità (G. Leopardi).

È produttiva non solo la traduzione ma anche la critica contrastiva. La biblioteca e i gusti di Des

Esseintes. Bisogna spiegare un poeta con lo stesso poeta (̀ /Omhron ™x `Om»rou safhn…zein) e con

altri. Le critiche anomale suscitano lo stupore che si addice all’apprendimento. Principio di ogni

filosofia è il meravigliarsi (Platone).

6. 2. Il ragazzo, per giungere all’originalità, deve conoscere diverse teorie. Posso «autorizzare»

questa mia convinzione con una riflessione di Leopardi, il quale dichiara di «aver contratta, a forza

di moltiplicare i modelli, le riflessioni ec. quella specie di maniera o di facoltà, che si chiama

originalità. (Originalità quella che si contrae? e che infatti non si possiede mai se non s’è

acquistata? Anche Mad. di Staël dice che bisogna leggere più che si possa per divenire originale.

Che cosa è dunque l’originalità? facoltà acquisita, come tutte le altre, benché questo aggiunto di

acquisita ripugna dirittamente al significato e valore del suo nome.)»100. Qualche cosa di simile nel

saggio già citato101 di Eliot: «Se noi ci accostassimo a un poeta senza alcun pregiudizio, spesso ci

accorgeremmo che le parti non solo migliori ma anche le più personali della sua opera sono forse

99 Medea, pp. 168 e 213. Queste parole fanno parte di due degli undici monologhi che costituiscono il romanzo, quelli di Leuco, il secondo astronomo del re di Corinto. 100 Zibaldone, 2185-2186. 101 T.S. Eliot, Tradizione e talento individuale, in Il bosco sacro, Bompiani, Milano, 1967.

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quelle in cui i poeti scomparsi, i suoi antenati, dimostrano con maggior vigore la loro immortale

maturità».

Poco tempo fa era di moda la traduzione contrastiva; ebbene io credo che anche la critica

contrastiva abbia la funzione di sviluppare l’intelligenza dei giovani. Si può dare un esempio102

indicando la biblioteca di Des Esseintes il quale su alcuni classici, usualmente celebrati come

sommi, dà giudizi dissacratori, tanto da ribaltare quelli canonici, che il giovane può così vedere

capovolti, trovando magari autorizzata la sua antipatia per questo o quell’altro autore

universalmente consacrato.

Vediamone alcuni. «Virgilio…gli appariva non solo uno dei più esosi pedanti, ma anche uno dei più

sinistri rompiscatole che l’antichità abbia mai prodotto. I suoi pastori, usciti pur mo’dal bagno e

azzimati di tutto punto, che si scaricano a vicenda sul capo filastrocche di versi sentenziosi e gelati;

il suo Orfeo ch’egli paragona a un usignolo in lacrime103; il suo Aristeo che piagnucola per delle

api; il suo Enea, questo personaggio indeciso e ondeggiante che si muove come un’ombra cinese,

con mosse da marionetta»104. Virgilio avrebbe per giunta compiuto «impudenti plagi di cui fan le

spese Omero, Teocrito, Ennio, Lucrezio»; la metrica sarebbe stata «tolta in prestito alla perfezionata

officina di Catullo». In conclusione: «quella miseria dell’epiteto omerico che torna ogni momento e

non dice nulla, non evoca nulla; tutto quell’indigente vocabolario sordo e piatto, lo mettevano alla

tortura». Ovidio non è trattato meglio: le sue «cacate» esercitavano sullo schifiltoso anacoreta un

fascino «dei più modesti e sordi». «Una sconfinata avversione provava per le grazie elefantesche di

Orazio, per il balbettio di questo insopportabile centochili che fa lo smorfioso con lazzi di vecchio

saltimbanco infarinato»105.

Cicerone, «il Cece», lo annoiava per «la greve compattezza del suo stile carnoso, ben nutrito ma

degenerato in grasso, privo d’osso e di midolla…né molto più di Cicerone lo entusiasmava Cesare,

famoso pel suo laconismo; perché l’eccesso contrario diventava in questo aridità da

caporalmaggiore, secchezza da appunto, stitichezza incredibile e sconveniente». Sallustio, pur

sopravvalutato dai «falsi letterati» era «meno sbiadito degli altri; Tito Livio, patetico e pomposo;

Seneca, turgido e scialbo; Svetonio, linfatico ed embrionale»106.

Buona norma è commentare i poeti con i poeti: il testo di un autore innanzitutto con altri testi dello

stesso autore, secondo il criterio del filologo Aristarco di Samotracia (215 ca - 144 ca a. C.) per il

102 Almeno di un esempio ha bisogno chi vuole imparare concretamente. 103 T.S. Eliot lo valuta il «classico supremo» (Che cos’è un classico? in Eliot, Opere, Bompiani, Milano, 1986, p. 973). 104 Cfr. Georgica IV: «qualis populea maerens philomela sub umbra/amissos queritur fetus… « (vv. 511-512), quale l’usignolo addolorato, sotto l’ombra del pioppo, lamenta le creature perdute…Sul paragone tra la donna abbandonata, o l’uomo lasciato, e l’uccello dolente, torneremo nel prossimo intervento. 105 T.S. Eliot, op.cit. 106 J.K. Huysmans, Controcorrente, Garzanti, Milano, 1975, p. 42 ss.

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quale bisogna spiegare Omero con Omero : «`/Omhron ™x `Om»rou safhn…zein»107; poi vanno

considerati i commenti degli autori agli autori precedenti. Lo faremo spesso utilizzando, per

esempio, Quintiliano 108 e Leopardi109 come critici.

Le critiche anomale vanno evidenziate in quanto possono suscitare lo stupore dei giovani, un effetto

che favorisce l’apprendimento, in quanto tiene desta l’attenzione 110, ossia «la pietà naturale

dell’anima»111.

Lo stupore si confà all’attenzione e all’apprendimento, e dal meravigliarsi nasce la filosofia:

«Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi», dice Platone e deduce dal fatto che il giovane Teeteto

si meraviglia la sua attitudine al filosofare»112. Quindi Aristotele afferma che gli uomini hanno

cominciato a fare filosofia, ora e in origine, a causa della meraviglia: «di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ

¥nqrwpoi ka ̂nàn ka ̂tÕ prîton ½rxanto filosofe‹n»113.

7. Lo studio e il vissuto. Lo studio va messo in relazione con il vissuto. Attualizzazioni del mito. I

pubblicitari sono degli Aconzi (Bettini). Pindaro, le magliette «firmate» e i telefonini.

7. Altra raccomandazione didattica: lo studiato va messo in relazione con il vissuto114, anche a costo

di cadere nell’aneddotico, poiché dobbiamo svelare ai giovani che la cultura classica è comunque

presente e viva e ci riguarda tutti. A questo scopo sono utili le attualizzazioni del mito, come quella,

per esempio, che fa Bettini quando afferma che «anche i pubblicitari sono degli Aconzi»115. Il

giovane Aconzio obbligò Cidippe, promessa a un altro, a sposare lui scrivendo delle parole: «La

scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l’unico modo per sottrarsi alla sua

trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?»116.

107 Schol. B a Z 201. 108 35 ca - 95 ca d. C. 109 1798-1837./ 110 L’attenzione deve essere reciproca e da parte nostra anche premurosa, incoraggiante, affettuosa. A proposito di questo principio possiamo ascoltare Svevo sul fallimento pedagogico di Alfonso Nitti:»Quello che ad Alfonso mancava per essere un buon insegnante era la capacità di apprezzare come meritavano i piccoli sforzi della sua scolara. Lodava di rado e soltanto quando, pentitosi di una parola brutale, voleva risparmiarsi le lacrime che la fanciulla a stento tratteneva, ma mai per una risposta quasi giusta. S’era fatto illusioni sulla sua vocazione all’insegnamento e se gli piaceva d’insegnare non era per affetto allo scolaro. I progressi di Lucia poco o nulla gli importavano. Si sentiva offeso che ella non imparasse di più coi suoi insegnamenti e diveniva violento a sfogo di giornate uggiose nelle quali aveva dovuto subire lui le ire altrui». I. Svevo, Una vita (del 1892), Dall’Oglio, Milano, 1938, p. 71. 111 G. Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano, 1999, p. 151. 112 Sono le prime parole de La Stoa di Pohlenz (La Nuova Italia, Firenze, 1978); cfr. Teeteto, 155d. 113 Metafisica, 982b. 114 «Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca o un di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordonmi dÈ mia; godomi un pezzo in questo pensiero». Lettera di Niccolò Machiavelli a Francesco Vettori. 115 M. Bettini, Con i libri, Einaudi, Torino, 1998, p. 9. 116 M. Bettini, op. cit., p. 10.

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La pubblicità in effetti recupera e utilizza tutto, non solo il metodo di Aconzio, personaggio degli

Aitia di Callimaco (305 ca-240 ca a. C), ma anche le parole di Pindaro (518-438 a. C.): ho visto una

réclame di magliette che traduce in francese la somma del pensiero educativo del vate tebano:

«gšnoio oŒoj ™ss…» (Pitica, II, v. 72), diventa quello che sei.

La pubblicità allora deve essere usata a sua volta e demistificata.

Questo collegamento incongruo della réclame con la nobiltà del mito può essere completato e

controbilanciato con quanto scrive Don Milani: «la pubblicità si chiama persuasione occulta quando

convince i poveri che cose non necessarie sono necessarie»117. Se ci sarà un conflitto armato con

vittime, ed esso porterà ad una ripresa dell’economia, bisognerà piangere la perdita delle vite umane

piuttosto che gioire per la rinnovata possibilità di comprare le cose, poiché, come afferma Pericle

pure in procinto di intraprendere la guerra del Peloponneso, non sono le cose che acquistano gli

uomini ma gli uomini le cose: «oÙ g¦r t£de toÝj ¥ndraj, ¢ll/oƒ ¥ndrej taàta ktîntai»

(Tucidide, I, 143, 5).

È questa una splendida dichiarazione di umanesimo che potrebbe essere impiegata come slogan

anticonsumistico contro gli astuti consiglieri di acquisti che in realtà spingono gli uomini a vendersi

alle cose.

Nei classici insomma sono presenti problematiche e situazioni eterne, e la cultura greco- latina, che

diviene un potenziamento della fÚsij, ci aiuta a comprenderle.

8. Il greco salva la vita. Plutarco, Euripide, Canetti.

8. Per invogliare i giovani allo studio degli antichi si può raccontare un episodio dal quale risulta

che la conoscenza della lingua e della letteratura greca salvano la vita. Nella Vita di Nicia Plutarco

narra che alcuni Ateniesi finiti nelle Latomie di Siracusa «ka ̂di/ EÙrip…dhn ™sèqhsan» (29, 2), si

salvarono anche grazie ad Euripide. Infatti i Greci di Sicilia amavano il tragediografo e lo citavano.

Alcuni dei superstiti da quella catastrofe dunque, tornati a casa, andarono ad abbracciare

affettuosamente Euripide e raccontarono che erano stati affrancati dalla loro schiavitù

«™kdid£xantej Ðsa tîn ™ke…nou poihm£twn ™mšmnhnto»118 (29, 4) poiché avevano insegnato

quanto ricordavano dei suoi drammi.

Elias Canetti racconta che il nonno di sua madre una volta «mentre era a dormire in coperta» in un

battello sul Danubio «aveva udito due uomini che, parlottando tra loro in greco, stavano

progettando un omicidio». Ebbene, grazie alla conoscenza di questa nostra amatissima lingua

l’uomo poté denunciare la trama assassina «e quando i due delinquenti arrivarono per compiere la 117 Don Milani, Lettera a una professoressa , Morcelliana, Brescia, 1967, nota 56 di p. 69. 118 Piuccheperfetto di mimn»skomai, con senso di imperfetto.

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loro impresa, subito furono agguantati». Sicché l’autore comprese subito quanto fosse importante

padroneggiare le lingue: «con la conoscenza delle lingue si poteva salvare la propria esistenza e

anche quella altrui»119.

9. Erudizione o cultura? L’educatore non può essere un erudito senza anima. L’umbraticus doctor

di Petronio. Seneca e Goethe. Annoiare è il crimine degli imbecilli. 9. 1. Nietzsche contro

l’erudizione micrologica e arida. Lo studio liberale rende liberi. Seneca rifiuta di affrontare alcuni

aspetti, secondo lui mortificanti, della questione omerica.

9. «La cultura, secondo noi, rappresenta l’insieme di tutti gli elementi che contribuiscono alla

crescita dell’individuo, che gli forniscono una più ampia concezione del mondo, che gli danno

nuove conoscenze. Tutto produce cultura: i giochi infantili, le sofferenze, le punizioni dei genitori, i

libri, il lavoro, lo studio libero e lo studio imposto, l’arte, la scienza, la vita»120.

«La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo»121.

Noi insegnanti dobbiamo prendere le distanze dal pedante estraneo al mito e alla vita, quello che

Nietzsche definisce «l’eterno affamato, il ‘critico’senza piacere e senza forza, l’uomo alessandrino,

che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si acceca miseramente sulla polvere dei libri e

degli errori di stampa»122.

A costui alludeva già Petronio contrapponendolo proprio ai grandi tragici: «cum Sophocles aut

Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat»123

quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c’era ancora un

erudito cresciuto nell’ombra a scempiare gli ingegni.

Anche Seneca disapprova un approccio devitalizzante ai testi classici: nel De brevitate vitae124 il

filosofo sconsiglia di accorciare la vita perdendo tempo in occupazioni che non giovano allo spirito:

«Graecorum iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta

esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, quae sive

contineas nihil tacitam conscientiam iuvant, sive proferas non doctior videaris sed molestior» (13)

questa fu una malattia dei Greci, cercare quale numero di rematori avesse avuto Ulisse, se sia stata

scritta prima l’ Iliade o l’Odissea, inoltre se siano del medesimo autore, e successivamente altre 119 E. Canetti, La lingua salvata (del 1977), Adelphi, Milano, 1997, p. 46. 120 L. Tolstoj, Educazione e formazione culturale in Lev Tolstoj, Quale scuola? , Mondatori, Milano, 1978, p. 77. 121 F. Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole , Adelphi, Milano, 1975, p. 43. 122 F.Nietzsche, La nascita della tragedia , Adelphi, Milano, 1977, p. 123. 123 Satyricon, 2. 124 Del 49 ca d. C. La brevità della vita umana ha dato parecchio da dire agli scrittori e ai loro personaggi:»Scostatevi, vacche, che la vita è breve», gridava Aureliano Secondo in Cent’anni di solitudine di G. G. Marquez, Mondadori, Milano, 1967, (p. 202).

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notizie di questo tipo, nozioni che se le tieni per te non giovano per niente al puro fatto di saperle,

se le tiri fuori, non sembri più dotto ma più pedante.

Di certo gli studenti proveranno simpatia per tali parole che possono essere rafforzate con queste di

Mefistofele a Faust : «E che vita è questa che consiste nell’annoiare sé e i giovani?»125. Quanti di

noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli. Sentiamo i ricordi

di Fellini studente: «La scoperta, la conoscenza del mondo pagano che si acquisisce a scuola, ad

esempio, è di tipo catastale, nomenclativo, favorisce con quel mondo un rapporto fatto di diffidenza,

di noia, di disinteresse, al massimo di una curiosità casermesca, abietta, un po’razzistica, comunque

di cosa che non ti riguarda»126. In un recente127 intervento nell’Aula Magna dell’Università di

Bologna Umberto Eco ha affermato che ogni lezione deve essere un’avventura appassionante, ricca

di nessi con l’attualità.

La chiave è proprio questa: far capire e sentire ai giovani che quel «mondo pagano» li riguarda.

Certamente l’attenzione degli studenti ha un prezzo molto alto, quello della nostra preparazione, e il

loro consenso non va cercato a tutti i costi. Josef Knecht durante il suo apprendistato nel mondo

spirituale della Castalia «imparò che un po’di questa capacità di attirare e d’influenzare gli altri è

parte essenziale delle doti di un insegnante e di un educatore, e che nasconde pericoli e impone

certe responsabilità»128.

Quando il livello culturale dei giovani era meno basso i docenti ignoranti suscitavano prima ilarità

poi repulsione.

In un altro libro il regista riminese racconta di un insegnante impreparato che si riempiva di

ridicolo: «Il professore era comicissimo quando pretendeva che dei mascalzoni di sedici anni

fossero presi da entusiasmo perché lui declamava con la sua vocina l’unico verso rimasto di un

poeta: «Bevo appoggiato sulla lancia»129; e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate

inventando tutta una serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli»130.

Tolstoj definiva simili insegnanti «una di quelle creature spiritualmente distorte»131 che vengono

adoperati, e si adoperano, per l’abbrutimento dei ragazzi. «Quello strano stato psicologico che io

chiamo stato scolastico dell’anima, che tutti noi purtroppo conosciamo così bene, consiste nel fatto

che tutte le facoltà più elevate - immaginazione, creatività, comprensione - lasciano il posto ad altre

facoltà semi-animalesche: il pronunciare i suoni indipendentemente dall’immaginazione, il contare i

125 J. W. Goethe, Faust, Prima parte (del 1808), in Goethe, Opere, Sansoni, Firenze, 1970, p. 22. 126 F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino, 1980, p. 101. 127 8 ottobre 2002 128 H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro , Mondadori, Milano, 1981, p. 155. 129 Si tratta di una parte del pentametro del fr. 2D. di Archiloco costituito da un distico elegiaco. Non è «l’unico verso rimasto» del poeta vissuto nel VII secolo a. C. 130 F. Fellini, Intervista sul cinema , Laterza, Bari, 1983, p. 136. 131 Educazione e formazione culturale in L. Tolstoj, Quale scuola?,Mondadori, Milano, 1978, p. 85.

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numeri in fila, 1, 2, 3, 4, 5…, il percepire le parole senza permettere alla fantasia di arricchirle con

immagini; in una parola, la facoltà di reprimere in sé tutte le facoltà più elevate per sviluppare solo

quelle che coincidono con l’ordine scolastico, il terrore, lo sforzo della memoria e l’attenzione»132.

9. 1. Nietzsche contro l’erudizione micrologica e arida. Lo studio liberale rende liberi. Seneca

rifiuta di affrontare alcuni aspetti, secondo lui mortificanti, della questione omerica.

9. 1. La scuola tende a reprimere l’originalità per privilegiare la mediocrità anche secondo

Nietzsche: «L’aspetto veramente autonomo…ossia appunto l’aspetto individuale, viene biasimato,

ed è respinto dall’insegnante a favore di un contegno dignitoso, mediocre e privo di originalità. La

piatta mediocrità, per contro, ottiene lodi, elargite a malincuore: la mediocrità infatti suole annoiare

parecchio l’insegnante, e con buone ragioni»133. Procedo rimanendo su queste conferenze tenute dal

giovane 134 professore dell’Università di Basilea che polemizza contro i filologi freddi, senza anima:

«Può accadere che uno di questi filologi scriva versi, sapendo consultare il Lessico135 di Esichio. Vi

sono infine coloro che promettono di risolvere una questione come quella omerica, prendendo lo

spunto dalle preposizioni, e credono di tirar su la verità dal pozzo, servendosi di ¢n£ e di kat£.

Tutti poi, secondo le più diverse tendenze, scavano e frugano il terreno greco con una tale

irrequietezza, con una tale imperizia sgraziata, che un serio amico dell’antichità deve davvero

impensierirsene»136.

I giovani devono sentire le loro energie incoraggiate dallo studio dei classici: «unum studium vere

liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime, forte, magnanimum: cetera pusilla et

puerilia sunt «137 un solo studio è davvero liberale, quello che rende libero, cioè lo studio della

sapienza, sublime, forte, magnanimo. Gli altri sono piccini e puerili. La liberalitas, la generosità di

chi è davvero libero, con il pudor, il rispetto di chi sa essere uomo, sono i valori che trattengono i

giovani dal fare il male, dal farsi del male, in modo più efficace del metus secondo Terenzio:

«Pudore et liberalitate liberos/retinere satius esse credo quam metu» (Adelphoe138, vv. 57-58),

credo che sia meglio tenere a freno i figli con il rispetto e con la generosità che con la paura.

I testi degli ottimi autori greci e latini comunque non possono essere ridotti a raccolte di formule o

di ricette: «come se l’Odissea fosse un libro di cucina»139 .

132 Sull’istruzione popolare (del 1862), in L.Tolstoj, op.cit.,, p. 57. 133 F. Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole , Adelphi, Milano, 1975, p. 46. 134 Nietzsche le scrisse all’inizio del 1872, quando aveva compiuto ventisette anni da pochi mesi. 135 Del V secolo d. C., pervenutoci parzialmente. 136 F.Nietzsche, op.cit., p. 71. 137 Seneca, Epist., 88, 2 138 Del 160 a.C. 139 Cfr. H. Hesse, Sotto la ruota, (del 1906), Mondatori, Milano, 1997, p. 90.

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Sempre Seneca, nella medesima lettera a Lucilio citata sopra, mostra di non apprezzare la questione

omerica e l’attività filologica di Aristarco: «quantum temporis inter Orphea intersit et Homerum,

cum fastos non habeam, computabo? Et Aristarchi notas quibus aliena carmina compunxit

recognoscam, et aetatem in syllabis conteram?» (88, 39), conterò quanto tempo ci corra tra Orfeo e

Omero pur essendo privo di documenti? Ed esaminerò i segni diacritici di Aristarco con cui egli

infilzò i versi interpolati e consumerò la vita a contare le sillabe?

Non è questo, almeno non solo questo e non soprattutto questo, lo studio del greco. Il ragazzo deve

sentire, come Tonio Kröger di T. Mann, che si dedica alla «potenza dello spirito e della parola,

sorridente in trono sopra il mondo muto e inconsapevole»140.

Queste nostre materie dunque vanno vissute nel sole e calate nella prassi. «Dove afferrarti, infinita

natura? E voi, mammelle, dove? Voi fonti di ogni vita, da cui pendono il cielo e la terra, voi, cui

tende questo arido petto, sgorgate, dissetate, e io devo languire invano?» si domanda Faust in crisi

di identità: «Ho il titolo di Maestro, anzi di Dottore, e saran dieci anni che, con giri e rigiri, sto

menando per il naso i miei scolari e vedo che non ci è dato saper nulla «141.

Insomma il ragazzo deve trovare il riscontro delle lingue classiche in rebus ipsis.

10. Il valore pratico della parola. La mentalità greca arcaica - scrive Canfora - pone sullo stesso

piano la parola e l’azione: t¦ œrga tîn pracqšntwn (Tucidide, I, 22, 2). Ivano Dionigi, il poema

di Lucrezio e l’inversione del detto catoniano che comporta la priorità della parola: da «rem tene,

verba sequentur» a «verba tene, res sequetur»

10. Si può chiarire il valore pratico della parola attraverso l’espressione di Tucidide t¦ œrga tîn

pracqšntwn(I, 22, 2). «La mentalità greca arcaica - scrive Canfora - pone sullo stesso piano la

parola e l’azione. Tale modo di concepire la parola come ‘fatto’è vivo anche nella tradizione

storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di

Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera

un’espressione quasi intraducibile: t¦ œrga tîn pracqšntwn(I, 22, 2). Si dovrebbe tradurre ‘i fatti

dei fatti’, che in italiano non dà senso...Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli

‘eventi’(t¦ pracqšnta) comprende sia le ‘azioni’(œrga) che le ‘parolÈ (lÒgoi), delle quali si è

appena detto nel periodo precedente... La parola infatti - scriverà secoli dopo Diodoro - la parola,

140 T. Mann, Tonio Kröger, in La morte a Venezia, Tristano, Tonio Kröger, Mondadori, Milano, 1970, p. 229. 141 Goethe, Faust, Prima parte, Notte, p.8.

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retoricamente organizzata, è l’elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai

barbari»142.

Tucidide nel presentare Pericle che sta per pronunciare il primo dei suoi discorsi lo definisce uomo

che in quel tempo era il primo degli Ateniesi, il più capace di parlare e di agire («“prîtoj ín

‘Aqhna…wn, lšgein te ka ̂ pr£ssein dunatètatoj», I, 139). Per primeggiare dunque sono

necessarie la potenza (dÚnamij) della parola (lÒgoj) innanzitutto, poi quella dell’azione (pr©gma).

Ivano Dionigi nel De rerum natura di Lucrezio accerta una «coincidenza di terminologia

grammaticale e terminologia atomistica» e presume una «probabile mutuazione della seconda dalla

prima» per cui «i fatti verbali vanno ritenuti prioritari non solo nell’esegesi filologica ma anche

nella critica letteraria lucreziana a causa della omologia e connaturalità di lingua e realtà. È come se

il detto catoniano fosse invertito: verba tene, res sequetur»143. Ribaltare il motto di Catone Rem

tene, verba sequentur (fr. 15 Jordan), tieni in pugno l’argomento, le parole seguiranno, significa

affermare in qualche modo la priorità dei verba. Io sostengo che il sicuro possesso dei verba

potenzia l’azione. La parola comunque è più duratura dell’azione: «Da un punto di vista biosociale

l’uomo è davvero un mammifero dalla vita breve, programmato per l’estinzione come ogni altra

specie. Ma l’uomo è un animale linguistico, ed è questa singola caratteristica, più di ogni altra, a

rendere sopportabile e feconda la nostra condizione effimera»144. Ancora: «Come essere irripetibile

esisto anche nell’orizzonte del linguaggio. Sono un animale linguistico in quanto faccio mio lo

strumento della lingua, secondo le modalità individuate dal Devoto con chiarezza suprema: o

forzando la lingua, per costringerla a dire il mio mondo, o forzando il mio mondo, per costringerlo

dentro gli strumenti che la lingua mi offre (1950145: 32, 43, 48)»146. Di conseguenza, quanti più

strumenti verbali possiedo, tanto meno sono costretto a forzare il mio mondo, e tanto più sono

capace di ascoltare: «L’intero processo dell’educazione linguistica ha per fine il radicarsi di questa

coscienza, e, con essa, della consapevolezza che l’ascolto dell’altro non è mai un’operazione ovvia.

Che ascoltare davvero, come leggere davvero, è sempre incessantemente tradurre»147. P.P. Pasolini

aveva capito che la povertà del linguaggio è una forma di impotenza che prelude alla violenza:

«Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i

nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce

afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano le

142 L. Canfora, L’agorà: il discorso suasorio in Lo spazio letterario della Grecia antica, Salerno Editrice, Roma, 1993, I, 1, p. 385. 143 I. Dionigi, Lucrezio, Le parole e le cose, Patron, Bologna, 1992, p.37. 144 G. Steiner, Errata. Una vita sotto esame , Garzanti, Milano, 1998, p. 105. 145 G. Devoto, Studi di stilistica, Le Monnier, Firenze, 1950. 146 F. Frasnedi, op. cit., p. 112. 147 F. Frasnedi, op. cit., p. 112.

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forme tipiche delle SS: e vedo così stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce

uncinata»148.

10. 1 In ogni caso il potenziamento dei lÒgoi è pure rafforzamento degli œrga.

10. 1. Noi antichisti dobbiamo chiarire che la facoltà verbale, in lingua italiana, offerta dall’italiano

antico, ossia dal latino, e dal greco149, è superiore a quella che può provenire dallo studio di

qualsiasi altra disciplina e che il potenziamento dei lÒgoi è pure rafforzamento degli œrga. La

sapientia, sostiene Seneca, «res tradit, non verba»150, insegna ad agire, non solo a parlare. E in

un’altra Epistula: «Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera» (108, 35), cerchiamo di

apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni. Infatti «Soltanto il

pensiero vissuto ha valore»151. Le azioni si preparano con il pensiero e con la parola. Ciò che è

verbale deve diventare reale in termini di comunicazione: «aveva visto che la sua esperienza era

reale. Era irradiata da lui e l’aveva mutato, aveva attirato verso di lui un’altra creatura umana. Il suo

isolamento era infranto…»152.

Quando i giovani capiscono questo, e lo constatano, diventano più disponibili a faticare per

impossessarsi di tale forza. Noi, quarant’anni fa, nei licei ci impegnavamo a studiare per non essere

bocciati, se non per altro motivo; questi ragazzi, che non hanno quasi più lo spauracchio della

bocciatura contro l’infingardaggine, possono essere motivati a imparare le lettere con l’incentivo

della forza della parola, utile in tutti i campi, compreso quello centralissimo di Eros: «Non formosus

erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas «153. Nei versi precedenti

Ovidio154 consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare

l’inevitabile decadimento fisico della vecchiaia:»Iam molire animum qui duret, et adstrue

formae:/solus ad extremos permanet ille rogos./Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit

et linguas edidicisse duas» (Ars amatoria, II, vv. 119-122), oramai prepara il tuo spirito a durare e

aggiungilo all’aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l’impegno di

coltivare la mente attraverso le arti liberali e di imparare bene le due lingue. Il latino e il greco

ovviamente.

148 P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975, p. 187. 149 «In ogni caso, la cosiddetta cultura classica ha un unico punto di partenza sano e naturale, cioè l’assuefazione, artisticamente seria e rigorosa, a servirsi della lingua materna» Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano, 1975, p. 52. 150 Seneca, Epist. ad Luc. , 88, 32. 151 H. Hesse, Demian, Mondadori, Milano, 1981, p. 116. 152 H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920), Mondadori, Milano, 1980, p. 132. 153 Ovidio, Ars Amatoria, II, 123-124. Bello non era ma era bravo a parlare Ulisse e pure fece struggere d’amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati da S. Kierkegaard nel Diario del seduttore, Rizzoli, Milano, 1974 . 154 43a. C.-17/18 d. C. Le date delle opere saranno indicate durante il percorso.

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10. 2. L’uso efficace della parola. La Persuasione era una dea e la capacità persuasiva di chi sa

parlare è utile in tutti i campi. Nuova raccomandazione per la lettura dei testi. Alcuni esempi di

ottimi autori.

10. 2. «La nostra civiltà si è decisamente allontanata dal posto che la persuasione occupava nella

latinità. Suada infatti - come del resto Peitho («persuasione» in greco155) - era una Dea, e suadeo,

con la sua radice di suavis, ha a che fare con «il rendere dolce156, piacevole», come un tenero

amante che conosce l’arte delle dolci parole e sa come dare piacere per rendere la vita amabile,

gradevole. Nel mondo greco, Peitho compariva per lo più come una figura a sé stante o come un

attributo associato ad Atena e Afrodite. La persuasione è essenzialmente un potere di seduzione,

attraverso la parola intelligente e convincente (Atena) oppure attraverso il fascino dei modi e la

bellezza della figura (Afrodite). Il dono maggiore di Peitho è la retorica, il dono dell’eloquenza

convincente»157. La forza della persuasione continua comunque a essere uno strumento decisivo per

il successo.

Per persuadere bisogna piacere: persuadeo latino è etimologicamente imparentato con ¡nd£nw,

«piaccio». Peiqè (persuasione) e pe…qw (persuado) invece sono collegati a fides, fidelis, foedus:

dunque chi è capace di persuadere acquista credibilità e infonde fiducia.

Cicerone 158 fa notare l’equivalenza tra la Peiqè dei Greci e la Suada dei latini, la dea

dell’eloquenza, una dea che, a detta di Eupoli159, risiedeva sulle labbra di Pericle ed era la stessa

luce dell’ingegno sprigionata dall’oratore.

Dopo il magister dell’Ars Amatoria, e gli altri maestri più o meno pagani, sentiamo un prete, un

grandissimo prete cristiano: Don Milani insegnava che «bisogna sfiorare tutte le materie un po’alla

meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell’arte della parola «160.

Viene in mente un accostamento, pure un poco paradossale, con Isocrate, il principe della retorica

nell’Atene del IV secolo e l’educatore dei prìncipi: «scedÕn ¤panta t¦ di’¹mîn memhcanhmšna

lÒgoj ¹m‹n ™stin Ð sugkataskeu£saj»(Nicocle, 6), quasi tutto quanto è stato costruito da noi è

stata la parola a organizzarlo.

Qualche cosa del genere, in termini cosmici, troviamo nel Prologo del Vangelo di Giovanni: ‘En

¢rcÍ Ãn Ð lÒgoj, ka ̂Ð lÒgoj Ãn prÕj tÕn qeÒn, ka ̂qeÕj Ãn Ð lÒgoj. oátoj Ãn ™n ¢rcÍ prÕj tÕn

155 peiqè . 156 In inglese sweet, in tedesco süss. 157 J. Hillman, Il potere, Rizzoli, Milano, 2002, p. 194. 158 Brutus, 59. 159 Autore della commedia antica come Aristofane e Cratino. La commedia in questione dovrebbe essere I Demi. 160 Lettera a una professoressa , Morcelliana, Brescia, 1967, p. 95.

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qeÒn. p£nta di/ aÙtoà ™gšneto, ka ̂cwrˆj aÙtoà ™gšneto oÙdšn. In principio erat Verbum, et

Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum

facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c’era la Parola e la Parola era con Dio e

la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.

Torniamo a Isocrate: «tÕ g¦r lšgein æj de‹ toà frone‹n eá mšgiston shme‹on poioÚmeqa, ka ̂

lÒgoj ¢lhq¾j ka ̂nÒmimoj ka ̂d…kaioj yucÁj ¢gaqÁj ka ̂pistÁj e‡dwlÒn ™stin» (Nicocle, 7) il

parlare come si deve lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e un discorso veritiero,

legittimo e giusto, è l’immagine di un’anima buona e leale. «Sicché il Logos, nel suo doppio

significato di parola e di pensiero, diventa per Isocrate il ‘symbolon’, il contrassegno della

paideusis»161. Il ragazzo che ha studiato bene, con buoni insegnanti, possiede, prima di tutto, una

facoltà di eloquio superiore a chi non ha fatto studi altrettanto buoni e ben guidati. Quella del

linguaggio è la facoltà che ci qualifica come umani: siamo»animali politici, certo, ma proprio

perché e in quanto animali linguistici»162.

Insomma l’uso egregio della parola è il sapere più alto, il sapere che avvalora tutti gli altri, e questi,

senza tale sapienza suprema, sono come degli zero non preceduti da un numero: «il molto sapere è

un grave male, per chiunque non è padrone/della lingua (poluidre…h calepÕn kakÒn, Óstij

¢karte‹ glèsshj):è proprio come per un bambino avere un coltello»163.

In effetti la perdita della padronanza della lingua è uno dei sintomi della pazzia: così nell’ode di

Saffo164 tradotta da Catullo, così nel Prometeo incatenato dove la fanciulla-giovenca Io,

descrivendo un suo doloroso accesso di furore, dice di essere glèsshj ¢krat»j (v. 884), non più

padrona della sua lingua.

Il tiranno per imporre il proprio arbitrio taglia, e non solo metaforicamente, le teste165, o, quanto

meno, inceppa le lingue. Nell’Antigone la protagonista afferma che il suo gesto pietoso, trasgressivo

e glorioso è piaciuto ai Tebani i quali tacciono solo per paura: «Del resto da dove avrei potuto

ottenere una gloria/più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire

che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua166/ma la tirannide in molte altre

cose ha successo/e per giunta le è possibile sia dire sia fare ciò che vuole» (vv. 502- 507).

La facoltà verbale e la forza significativa si potenzia prima di tutto attraverso i testi. I ragazzi,

guidati bene, comprendono presto che gli auctores accrescono le loro vite. «I libri che leggiamo

161 W. Jaeger, Paideia 3, La Nuova Italia, Firenze, 1978, p.134. 162 F. Frasnedi, op. cit., p. 67. 163 Callimaco, Aitia, fr.75 Pf, vv. 8-9. 164 Fr.2 D., v 9, glîss£ <m/> œage, la lingua mi rimane spezzata; lingua sed torpet (51, 9), si paralizza la lingua. Più avanti vedremo entrambi i testi. 165 Cfr. Erodoto, Storie, V, 92, z, 2; Tito Livio, Storie, I, 54. 166 Eschilo nell’Agamennone fa dire alla guardia della rocca dove si prepara l’assassinio del re: t¦ d’¥lla sigî· boàj ™pˆ glèssV mšgaj bšbhken·(v. 36), il resto lo taccio: un grosso bue è venuto sulla lingua.

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sono i nostri auctores, e c’insegnano a riconoscere nuovi cieli e nuove terre, e ad alimentare

sempre, così, la nostra sete di significazione»167.

11. La componente estetica della civiltà ellenica. La bellezza giustifica l’esistenza umana e ribalta

la triste sapienza silenica. La nascita della tragedia di Nietzsche.

11. Non bisogna trascurare la componente estetica della civiltà ellenica che si distingue dalle altre

anche per il culto della bellezza; secondo Nietzsche i Greci hanno vinto l’orrore del caos e

rovesciato la triste sapienza silenica, la quale rifiuta la vita, attraverso la giustificazione estetica ed

eroica dell’esistenza umana: «Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter

comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici.

L’enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su

tutte le conoscenze, l’avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del

saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma

tutta la filosofia del dio silvestre con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i melanconici

Etruschi, fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel

mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per

profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz’altro immaginarlo così,

che dall’originario ordinamento divino titanico del terrore fu sviluppato attraverso quell’impulso

apollineo di bellezza, in lenti passaggi, l’ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo

che le rose spuntano da spinosi cespugli… Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi

stessi - la sola teodicea soddisfacente! L’esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita

come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da

essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza

silenica, ‘la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di

morire comunque un giorno’. Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve

vita, per l’avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie168, per il tramonto dell’età

degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un

lavoratore a giornata169. Nello stadio apollineo la «volontà» desidera quest’esistenza così

167 F. Frasnedi, op. cit., p. 52. 168 Cfr. Iliade, VI, 146:»o†h per fÚllwn gene¾ to…h d• ka ̂¢ndrîn», proprio quale la stirpe delle foglie, tale è anche quella degli uomini. 169 Cfr. Odissea, XI, vv. 488-491.

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impetuosamente, l’uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si

trasforma in un inno in sua lode»170.

La volontà di vita è motivata e intensificata non solo dalla bellezza ma anche dall’eroismo, e se

Achille da morto vorrebbe essere vivo pure a costo di essere un servo di campagna (™p£rouroj,

Odissea, XI, 489) al soldo di un indigente, da vivo aveva recepito l’insegnamento che gli eroi

davano ai figli: «a„ln ¢risteÚein ka ̂Øpe…rocon œmmenai ¥llwn», primeggiare sempre ed essere

egregio tra gli altri171. Nell’eroe greco alla capacità dell’azione doveva unirsi quella della mente che

si esprime attraverso la parola. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli

insegni:»mÚqwn te ·htÁr/ œmenai prhktÁr£ te œrgwn»172, a essere dicitore di parole ed esecutore

di opere.

Il modello dell’uomo eroico avido di primato e di onore pervade tutta la cultura greca173 e il

prototipo è Achille. Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene

intesa da Aristotele «quale emanazione d’un amor di sé elettissimo, la filaut…aj». L’espressione si

trova nell’Etica Nicomachea che seguita con questo brano: «Invero vivere breve tempo in somma

gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete.

Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla.

Compirà piuttosto un’unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti»174. L’autore di

Paideia conclude così: «In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci,

nella quale ci sentiamo loro affini d’indole e di razza: l’eroismo»175.

11. 1. I Greci e l’eroismo. Sofocle, Euripide e Tucidide: amiamo il bello con semplicità. La sui

neglegentia di Petronio. Il culto della bellezza in Foscolo e Keats.

170 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1977, p. 33. 171 Lo raccomandano i padri ai figli: nel sesto canto dell’Iliade, v. 208, il licio Ippoloco a Glauco; nell’undicesimo, v.784, Peleo ad Achille. Nel Simposio Platone fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita, non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la fama della loro virtù («¢q£naton mn»mhn ¢retÁj pšri ˜autîn œsesqai», 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale fama gloriosa («Øp? r ¢retÁj ¢qan£tou ka ̂toiaÚthj dÒxhj eÙkleoàj»). In effetti il Coro dell’Alcesti di Euripide elogia l’eroina morente con queste parole: «‡stw nun eÙkle»j ge katqanoumšnh gun» t’¢r…sth tîn Øf’¹l…wi makrîi» (vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole. Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto («Ð fÚsaj cº tekoàsa», v. 290), poiché hanno lasciato perdere l’occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria («kalîj d? sîsai pa‹da keÙkleîj qane‹n», v. 292). 172 Iliade, IX, 443. 173 E non solo: Quinto Metello nella laudatio funebris tenuta nel 221 a. C. in memoria del padre Lucio mette in evidenza le dieci qualità più grandi e più belle del morto; ebbene le prime due ricordate sono che Lucio Metello fu primarium bellatorem e optimum oratorem, combattente di prim’ordine e ottimo oratore. Il testo scritto ci è stato tramandato da Plinio il Vecchio (24-79 d. C.) nella Naturalis historia (VII, 139). 174 IX, 8, 1169 a 18 sgg. 175 W.Jaeger, Paideia, La Nuova Italia, Firenze, 1978, I vol., pp. 46 e 47.

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11. 1. La bellezza e l’eroismo dunque giustificano e autorizzano la vita. Questo afferma l’Aiace di

Sofocle prima di suicidarsi per non sopravvivere alla degradazione : «¢ll’À kalîj zÁn À kalîj

teqnhkšnai tÕn eÙgenÁ cr»» ma il nobile deve vivere con stile, o con stile morire. (vv.479-480).

Quando si vive fuori dal bello insomma la morte può essere una liberazione. L’aspirazione a una

vita egregia fa parte del carattere nobile anche delle donne. Ho ricordato Alcesti, nel percorso

incontreremo l’Antigone di Sofocle, ora menziono la principessa troiana Polissena che nella nella

tragedia Ecuba di Euripide dice alla madre: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio

morire: «tÕ g¦r zÁn m¾ kalîj mšgaj pÒnoj» (v. 378), infatti vivere senza bellezza è una grande

fatica.

Può essere vero quello che afferma Pound: «Beauty is difficult «, la bellezza è difficile176, ma c’è un

mezzo per rendere percorribili le vie erte che ci portano alla vetta del Bello: questo va coniugato

con la semplicità, come dice in sintesi il Pericle di Tucidide: «Filokaloàmšn te g¦r

met’eÙtele…aj ka ̂ filosofoàmen ¥neu malak…aj» (II, 40, 1), in effetti amiamo il bello con

semplicità e amiamo la cultura senza mollezza. La semplicità però non è rozzezza, anzi va sempre

collegata alla nobiltà. Infatti la semplicità è una complessità risolta e non si deve confondere con la

facilità la quale «invece è una truffa che rischia di impoverire tragicamente i nostri giorni…La

nostra cultura ormai scansa ogni sentore di fatica, ogni peso, ogni difficoltà: abbiamo esaltato il

trash e il pulp…abbiamo accettato che le televisioni venissero invase da gente che imbarcava

applausi senza essere capace a fare nulla; abbiamo accolto con entusiasmo ogni sbraitante

analfabeta, ogni ridicolo chiacchierone, ogni comico da quattro soldi, ogni patetica ‘bonazza’… la

Facilità ormai ha dissolto tante capacità intellettuali e manuali, e si parla a vanvera perché così

abbiamo sentito fare ogni sera, si pensa e si vive a casaccio perché così fanno tutti»177.

Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell’anima nobile che venne negata

dalle guerre civili: a causa di queste («di¦ t¦j st£seij»), fu sancito ogni genere di malizia nel

mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:»ka ̂tÕ eÜhqej, oá tÕ

genna‹on ple‹ston metšcei, katagelasq? n ºfan…sqh» (III, 83, 1). Vedremo che la semplicità,

interpretata come sui neglegentia178, «noncuranza di sé», sprezzatura, apparente trascuratezza, o

signorile disinvoltura, è un aspetto principale del canone dello stile alto nella letteratura europea

fino ai nostri giorni. 176 Del resto esserne esclusi significa soffrirne la mancanza:»For I am homesick after mine own kind/And ordinary people touch me not/ And I am homesick/after mine own kind that know, and feel/And have some breath for beauty and the arts «, ho nostalgia di gente del mio stampo e la gente dozzinale non mi tocca. Ho nostalgia di gente del mio stampo che conosce e sente e respira il bello e l’arte (E. Pound, Prigioniero , da Personae del 1909). 177 I miei ragazzi insidiati dal demone della Facilità, Marco Lodoli, in La Repubblica, 6 novembre 2002, p. 14. 178 Così Petronio elegantiae arbiter, maestro di buon gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito : « Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur» (Annales, XVI, 18), le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità

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Il neoclassicismo ripropone questo culto della bellezza in generale, e umana - femminile in

particolare - quale antidoto al dolore e alle miserie della vita. Foscolo nell’Ode All’amica

risanata179, celebra la splendidissima donna nella quale, dopo la malattia «beltà rivive,/ l’aurea

beltate ond’ebbero/ristoro unico a’mali/le nate a vaneggiar menti mortali» (vv. 9-12). «Beauty is

truth, truth beauty «, bellezza è verità, verità bellezza, scrive John Keats180 nell’Ode on a grecian

urn. «L’attribuzione della bellezza alla verità e al significato deve essere o un vezzo retorico, o

un’affermazione teologica. Si tratta di una teologia, esplicita o soppressa, mascherata o dichiarata,

sostanziale o metaforica, che conferma il presupposto della creatività e della significazione nei

nostri incontri con i testi, con la musica e con l’arte»181.

11. 2. Di nuovo Fellini, J.L.Borges e Tolstoj. Frasnedi: la didattica «di lusso» è una didattica delle

pari opportunità.

11. 2.Vanno segnalate, possibilmente citandole a memoria, le frasi belle che sono la luce del

pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo la sfera emotiva, si presta a essere ricordata.

Sentiamo ancora Fellini: «Il bello sarebbe meno ingannevole e insidioso se cominciasse a venir

considerato bello tutto ciò che dà un’emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque

venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista

etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L’intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza:

l’una e l’altra comportano una liberazione dal carcere culturale»182. La bellezza dunque è spesso

anche morale e comunque quale strumento didattico serve a catturare l’attenzione degli studenti,

degli ascoltatori in genere; senza l’attenzione di chi ascolta il lÒgoj di chi parla si degrada a un

verso di papero.

I testi che scegliamo devono piacere innanzitutto a noi.

A questo proposito sentiamo J.L.Borges: «Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere,

consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori.

L’unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il

Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la

letteratura inglese, che ignoro, ma l’amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di

certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore»183.

179 Del 1802. 180 1795-1821. 181 G. Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano, 1999, p. 204. 182 F. Fellini, Intervista sul cinema , a cura di G. Grazzini, Laterza, Bari, 1983, p. 114. 183 Dall’articolo di P. Odifreddi, Se in cattedra sale un genio, in Il Sole-24 ore del 13 gennaio 2002, p. 33.

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Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: «Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua

materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il

primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione

educativa». Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell’educatore, l’unico

test per valutarlo: «E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non

ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono

decidere se il maestro conosce e ama la sua materia»184. L’educatore deve essere un poco come

l’artista e stimolare il pensiero: «Ogni parola, espressa da un talento artistico, si tratta di Goethe o di

Fed’ka, si differenzia dall’espressione non artistica per il fatto che essa suscita una quantità

innumerevole di pensieri, di immagini e di interpretazioni»185.

Le frasi belle assimilate insegnano a produrre frasi belle in proprio, a ricrearle, insomma a parlare e

a scrivere in maniera significativa: «Una buona scrittura è sempre un dettato che brilla, anche nei

contesti meno esigenti: dall’annuncio economico, al necrologio, alla comunicazione aziendale. Il

verbo brillare dice la presenza di un soggetto, e della sua irripetibile agilità linguistica. Dice il

guizzo creativo che può avere il proprio luogo quasi dovunque. L’obiezione che la scuola non può

avere come obiettivo la formazione di geni della scrittura, ma deve mirare a formare dei decenti

esecutori; e quella parallela che una didattica ‘di lusso’non sarebbe adatta alla modestia della

maggioranza delle menti non sono, mi sembra, frutto di un’argomentazione convincente… Una

didattica ‘di lusso’… non è affatto una didattica pensata per i meglio dotati, ma la scelta di offrire a

tutti gli strumenti adatti alla crescita intellettuale ed al perfezionamento delle abilità. È una didattica

- se si accetta la metafora politica - delle pari opportunità. Che pone la selezione non a priori: - a

tutti la giusta mediocrità e i migliori s’arrangino -, ma a posteriori. A tutti è stata offerta la

possibilità del meglio; per alcuni sarà la via della possibile eccellenza, per altri l’approdo ad una

decente mediocrità… io rivendico il diritto di tutti allo strumento raffinato; poiché esso non è

pretesto od ornamento, ma chiave autenticamente cognitiva. Per tutti. La via delle pari opportunità

non passa attraverso un riduzionismo semplificatore, ma attraverso la potenza della sollecitazione

cognitiva che ciascuno ha il diritto di ricevere. Io vorrei che la nostra scuola sapesse fare miracoli,

come li faceva quella di Barbiana»186.

Il fatto è che la bellezza, come l’amore, spaventa e si tende a negare il suo valore.

J. Hillman nota che Psiche «nella favola di Apuleio»187 fu scelta tra molte per la sua bellezza e che

«Afrodite, la Bella, l’anima dell’universo (psychè toû kósmou o anima mundi) - come dice Plotino

184 L.Tolstoj, Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola? , Mondadori, Milano, 1978, p. 116. 185 L. Tolstoj, I ragazzi di campagna devono imparare da noi (del 1862), in op. cit., p. 126. 186 F. Frasnedi, op. cit., p. 123. 187 Nelle Metamorfosi di Apuleio (125ca-170 d. C.), un romanzo in 11 libri, la Storia di Psiche occupa la parte centrale: da IV, 28 a VI, 24.

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(Enneadi, III, 5, 3-4), genera il mondo percettibile -, e insieme l’anima di ciascuno di noi». Quindi

il filosofo psicanalista di matrice junghiana pone una domanda retorica e la commenta: «Come è

possibile che la bellezza, che ha svolto un ruolo così centrale e così evidente nella storia dell’anima

e del suo pensiero, sia assente dalla psicologia moderna? Pensate: ottant’anni di psicologia del

profondo senza un pensiero dedicato alla bellezza!»188.

Non dobbiamo avere paura di avviare i giovani verso le cose belle, rare e grandi. «È questo il punto:

indirizzare l’attenzione dello studente verso quello che, all’inizio, egli non può capire, ma la cui

grandezza affascinante lo afferra. La semplificazione, il livellamento e l’annacquamento che

prevalgono oggi nell’educazione, tranne i rarissimi casi privilegiati, sono criminali. Si tratta di

disprezzo per le nostre capacità latenti. Le crociate contro il cosiddetto elitismo nascondono una

condiscendenza vo lgare: verso tutti coloro che vengono a priori giudicati incapaci di

miglioramento. Sia il pensiero…sia l’amore pretendono troppo da noi. Ci umiliano. Ma

l’umiliazione, persino la disperazione davanti alla difficoltà - abbiamo studiato tutta la notte eppure

l’equazione rimane irrisolta, la frase greca incompresa - possono trovare l’illuminazione

all’alba»189.

12. Schema di una lezione su Medea. Favini e la supremazia del teatro ateniese. Il sapere non è

sapienza. Euripide, Nietzsche, T. Mann, M. Cacciari.

12. Parto dal mito. Racconto la Medea di Euripide attraverso un riassunto. Ne indico le idee, i tÒpoi

e le parole chiave. La situo nell’opera dell’autore che poi colloco nella letteratura e nella storia

greca. Insomma fornisco una visione generale della cultura del periodo in cui il dramma è stato

composto. Quindi ne traduco delle parti190 commentandole dal punto di vista linguistico, metrico191,

letterario e storico.

Perché do tanta importanza a Medea e al teatro in questa introduzione? Lo posso chiarire attraverso

le parole pronunciate da Luciano Favini nella relazione tenuta nel 2001 a Palazzolo Acreide durante

il seminario sulle «Esperienze di teatro classico nella scuola». La Grecia non è solo l’Atene del V

secolo, ha ricordato Favini, eppure, ha aggiunto, nel profondo del nostro cuore noi sappiamo che il

classico, e specialmente il teatro antico, valgono di più, contano di più, sono più forti di ogni altra

esperienza culturale.

Riconosciuta la supremazia del teatro attico procedo con la Medea di Euripide.

188 J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2002, p. 79. 189 G. Steiner, Errata. Una vita sotto esame , p. 57. 190 In un anno scolastico si possono leggere il Prologo, la Parodo, il primo Episodio e il primo Stasimo di seguito. 191 Solo per quanto riguarda il trimetro giambico.

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La paragono con le altre Medee che conosco: con quella di Apollonio Rodio, di Ovidio, di Seneca,

di Grillparzer, di Anouilh, e con quella di Pasolini, come dicevo. Aggiungo quella «anomala» di

Christa Wolf. Parlo della condizione della donna antica suggerendo analogie e differenze con la

moderna, anche con le femmine umane più rappresentative tra quelle conosciute personalmente.

L’educatore infatti non può scindere la teoria dalla prassi né prescindere dalla propria esperienza di

vita. Infine fornisco ai giovani strumenti bibliografici per arricchire la ricerca192 e verificare tanto il

loro interesse quanto le loro capacità.

Questo discorso metodologico prossimo alla conclusione può essere sintetizzato e autorizzato con

una bella espressione dello stesso Eurip ide: «tÕ sofÕn d’oÙ sof…a» (Baccanti, v. 395), il sapere

non è sapienza. La sof…a è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: «la sua

principale caratteristica consiste nell’elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza».

La sapienza si tuffa nel fiume della vita. La scienza al contrario è il fine dell’uomo teoretico il quale

«non osa più affidarsi al terribile fiume dell’esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la

riva»193. Vale la pena di riferirne anche l’esegesi di T. Mann: «A questa tragica saggezza, che

benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso»194.

Su questa opposizione sapere/sapienza cito Eliot, che pure è uno dei miei maestri, soltanto di

seconda mano: «Eliot affermava: «Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell’informazione e qual

è la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?»195.

La sapienza dei Greci insegna a vivere con coraggio, spinge il giovane a diventare quello che è. Il

ragazzo con il nostro aiuto può capire che la cultura deve essere «qualcos’altro che decorazione

della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame, poiché ogni ornamento nasconde la

cosa ornata. Così gli si svelerà il concetto greco della cultura (…) il concetto della cultura come una

nuova e migliore physis, senza interno ed esterno, senza dissimulazione e convenzione, della cultura

come unanimità fra vivere, pensare, apparire e volere»196.

Gli insegnanti di lettere antiche devono essere maestri di umanità e di umanesimo.

È quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus: «non posso far a meno

di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso

vivamente amoroso della bellezza e della dignità raziona le dell’uomo (...). Dalla cattedra ho

spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell’inserire con

192 «In una classe di liceo, con più tempo, scatenerei una ricerca di fonti e costruirei, con i miei allievi, un dossier, un concerto di voci sul problema che si sceglie come oggetto d’interesse», F. Frasnedi, op. cit., p. 114. 193 F.Nietzsche, La nascita della tragedia , Adelphi, Milano, 1977, pp. 122 e 123. 194 T. Mann, La filosofia di Nietzsche (del 1948), in Nobiltà dello Spirito , Mondadori, Milano, 1973, p. 814. 195 E. Morin, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000, p. 45. 196 F.Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, Einaudi, Torino, 1981, p. 160.

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devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel

culto degli dei»197.

Sulla filologia sentiamo anche una riflessione recente di Massimo Cacciari: «Sia chiaro: sedentaria

filologia…non è filologia. Filologia è amore per il logos, per l’inesauribile energia della parola

vivente, dei ritmi che assume, delle voci che la incarnano. Una ricerca interminabile del logos, così

come la filo-sofia lo è della sapienza. Filologia e filosofia sono assolutamente inseparabili - ed è per

questo che vanno insieme nella condanna che l’ora ha pronunciato nei loro confronti (…) Filologia

è rigorosa disciplina. Perché un testo ci parli, anzi: contra-dica l’ora, occorre saperlo intendere oltre

la sua lettera, ma dopo averla per intero attraversata! (…) L’insegnamento dei classici dovrebbe

indurci a un ‘salutare macro-terrore per la lingua’(Nietzsche) «198.

12. 1. La cultura quale potenziamento della fÚsij, come visione e coscienza della dialettica

disordine-ordine. La letteratura deve educare le emozioni. I crimini degli adolescenti e U.

Galimberti. Ottavia e Nerone.

12. 1. La Cultura del lÒgoj è volontà di cosmizzare il caos, tentativo di imporre l’ordine al

disordine. Attraverso gli autori greci e latini i giovani capiranno «quanta delicatezza d’animo sia

necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri»199, e forse la acquisiranno. C’è grande bisogno

di delicatezza: «œgw dl f…lhmm’¢brosÚnan»200, io amo la delicatezza. Questa non significa

acquiescenza o allineamento, tutt’altro: «Che i classici rappresentino qualcosa periculosum maxime

è stato splendidamente ricordato da Leopardi: «È un curioso andamento degli studi umani, che i

geni più sublimi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale, diventino classici,

cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano dÈ fanciulli, come i

trattati più secchi e regolari delle cognizioni esatte»201.

Il caos non viene mai vinto del tutto e torna, periodicamente, a sostenere una lotta incessante con

l’ordine: questa dialettica tra i vari aspetti della storia cosmica e umana possono essere, almeno in

parte, identificati con il barbarico primitivo generatore della sapienza silenica, quindi con

l’apollineo e con il dionisiaco202 di Nietzsche : «Fino a questo punto è stato svolto ciò che avevo

notato al principio di questa trattazione, ossia come il dionisiaco e l’apollineo, con creazioni sempre

nuove e successive, e rafforzandosi a vicenda, dominarono la natura ellenica; come dall’età ‘del

197 T. Mann, Doctor Faustus, Mondadori, Milano, 1980, pp. 12 e 14. 198 AA.VV., Di fronte ai classici, Rizzoli, Milano, 2002, p. 25. 199 I. Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 1993, p. 10. 200 Fa parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di Ossirinco 1787. 201 M. Cacciari, in AA.VV., op.cit., p. 23; Leopardi, Zibaldone, 307. 202 Un caos estetizzato e divenuto fenomeno artistico.

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bronzo’, con le sue titanomachie e la sua aspra filosofia popolare, si sviluppò, sotto il dominio

dell’istinto di bellezza apollineo, il mondo omerico; come questa magnificenza ‘ingenua’venne di

nuovo inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco, e come di fronte a questa nuova potenza

l’apollineo si elevò alla rigida maestà dell’arte dorica e della visione dorica del mondo. Se in questa

maniera la storia greca antica si suddivide, nella lotta di quei due princìpi avversi, in quattro grandi

periodi artistici, siamo ora spinti a ricercare inoltre il disegno supremo di questo divenire e di questo

operare, nel caso in cui il periodo raggiunto da ultimo, quello dell’arte dorica, non debba essere da

noi considerato come il vertice e il fine di quegli impulsi artistici: e qui si offre ai nostri sguardi

l’opera d’arte sublime e celebrata della tragedia attica e del ditirambo drammatico, come la meta

comune dei due istinti, il cui misterioso connubio si è glorificato, dopo una lunga lotta precedente,

in una tale creatura che è insieme Antigone e Cassandra»203.

Tale sintesi non si trova solo nella tragedia greca: «In effetti, il regno del paradigma d’ordine con

esclusione del disordine (che esprimeva la concezione deterministica-meccanicistica dell’Universo)

si è crepato in molti punti. In differenti domìni, la nozione d’ordine e la nozione di disordine

chiedono sempre più insistentemente, malgrado le difficoltà logiche, di essere concepite in modo

complementare e non più soltanto antagonista: il legame è apparso sul piano teorico nell’opera di

von Neuman (teoria degli atomi autoriproduttori) e di von Foerster (order from noise) e poi si è

imposto nella termodinamica di Prigogine, mostrando che fenomeni di organizzazione appaiono in

condizione di turbolenza; si introduce sotto il nome di caos in meteorologia, e l’idea di caos

organizzatore è divenuta fisicamente centrale a partire dai lavori e dalle riflessioni di David Ruelle.

Così da differenti orizzonti arriva l’idea che ordine, disordine e organizzazione devono essere

pensati insieme. La missione della scienza non è più di scacciare il disordine dalle sue teorie, ma di

prenderlo in considerazione»204.

Già Eraclito aveva visto che dai contrari deriva una bellissima armonia:»™k tîn diaferÒntwn

kall…sthn ¡rmon…an»205. «Non esiste…una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli

e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi»206. Se non è possibile, a volte neanche

opportuno, eliminare del tutto il disordine, esso va comunque reso quanto meno non deleterio.

Noi possiamo e dobbiamo aiutare i ragazzi a cosmizzare la loro turbolenza emotiva, a bonificare la

palude ribollente degli istinti giovanili con lo strumento delle materie che insegniamo e con il

grande rispetto per le loro persone: «maxima debetur puero reverentia»207, al fanciullo si deve il

massimo rispetto.

203 F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1977, p. 39. 204 E. Morin, op.cit., p. 122. 205 Fr. 24 Diano. 206 H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro , Mondadori, Milano, 1981, p. 293. 207 Giovenale, Satira 14, 47.

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In seguito a crimini brutali compiuti da adolescenti U. Galimberti ha scritto208: «Perché leggere

Petrarca e Leopardi, Pirandello o Primo Levi? A quell’età la letteratura o è educazione delle

emozioni, o altrimenti val la pena di gettarla, e piazzare tutti gli studenti davanti a un computer e

renderli efficienti in questa pratica visivo-manuale».

Ma come si educano le emozioni? Secondo me attraverso la bellezza del lÒgoj. Per intenderla e

appropriarsene è necessario uno studio rigoroso.

Galimberti torna sull’argomento dopo altri delitti domestici efferati: «Una madre mette in lavatrice

la sua bambina che aveva partorito sette mesi prima, un’altra mamma si accanisce con un coltello

da cucina sul corpo indifeso della sua bambina di sette anni per poi suicidarsi» è l’incipit del

pezzo209. Più avanti l’articolista pone una domanda che ci riguarda come insegnanti e suggerisce

una risposta: «la scuola a questo punto può fare qualcosa in quella stagione dell’adolescenza quando

i ragazzi sono parcheggiati in quella terra di nessuno dove la famiglia, per effetto delle carenze

comunicative accumulate, non svolge più alcuna funzione e la società alcun richiamo? Certamente.

A patto che i professori non si limitino a «istruire», ma incomincino a «educare», cioè a prendersi

cura della crescita emotiva dei loro studenti». Del resto «non si dà apprendimento senza

gratificazione emotiva, e l’incuria dell’emotività, o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere

controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente, andando a scuola, corre». Forse il

problema è ancora più grave di come lo pone Galimberti. I giovani spesso devono soffocare i

sentimenti per essere accettati. Ricorriamo al campo che è nostro, e vediamo il caso della povera

Ottavia, la giovinetta moglie e vittima di Nerone, giovinetto manovrato dalla madre e dai

pedagoghi210 in un ambiente dove c’erano pugnali perfino nei sorrisi:»Octavia quoque, quamvis

rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere didicerat « (Annales, XIII, 16), anche

Ottavia, sebbene non scaltrita dall’età, aveva imparato a nascondere la pena, l’amore e tutti i

sentimenti.

12. 2. Homines dum docent discunt. Il potere della televisione se non è controllabile è criticabile.

Primeggiare senza fatica oppure con fatica e rischio. L’uomo come problema.

12. 2. Non dobbiamo dimenticare che l’insegnamento e l’apprendimento sono interdipendenti:

«homines, dum docent discunt «211, mentre si insegna si impara. Dagli studenti ho imparato e

208 Nel quotidiano La Repubblica del 13 febbraio 2001. 209 La Repubblica, sabato 25 maggio 2002, p. 15 210 Soprattutto Seneca, di cui del resto mi sono servito in questa introduzione e di cui mi sono avvalso personalmente quale educatore, mio e dei miei studenti. 211 Seneca, Epist., 7, 8.

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imparerò sempre molto: «Quaeris quid doceam? etiam seni esse discendum»212, vuoi sapere che

cosa insegno? che anche un vecchio deve imparare. Tutti gli insegnanti, tutte le persone per bene

non dovrebbero mai smettere di imparare : «semper homo bonus tiro est «, l’uomo onesto fa

tirocinio per tutta la vita, ha scritto Marziale213 (XII, 51).

Il maestro che ha canonizzato se stesso ha firmato il proprio atto di morte.

Da loro noi possiamo imparare su noi stessi e dobbiamo imparare su di loro. «Gli insegnanti della

scuola secondaria hanno come compito di educarsi rispetto al mondo adolescenziale e alla sua

cultura. C’è sempre stata, di fatto, al di sotto della ‘collaborazione di classÈ, una lotta di quartiere

tra insegnanti, che detengono il potere, e la maggior parte degli studenti, che si crea il proprio

underground clandestino, che realizza le sue piccole trasgressioni…il corpo insegnante non dovrà

chiudersi in se stesso come una cittadella assediata dall’irruzione della cultura mediatica esterna alla

scuola, ignorata e disdegnata dal mondo intellettuale.»214. Anche la televisione va seguita

dall’insegnante secondo Morin. Per essere smascherata aggiungerei. Vero è che la televisione «è un

potere incontrollato e qualsiasi potere non controllato è in contraddizione con i princìpi della

democrazia»215, ma noi insegnanti possiamo comunque criticarlo. La televisione celebra «il trionfo

del facile, del dilettantesco, del volgare», sostiene G. Bocca che chiama tale baccanale corrotto «la

democrazia del mercato». Essa « è la ricchezza facile del quiz, è l’accoppiata della vanità e

dell’appetito del quiz: essere in mostra di fronte alla immensa platea e raccogliere i dobloni che

scendono dal cielo. La democrazia di mercato di massa è nata in America ma si trova benissimo in

Italia, asseconda la voglia universale di primeggiare senza far fatica, di fare musica, teatro,

letteratura senza studiare, senza crescere giorno dopo giorno»216.

A proposito del primeggiare con fatica e rischio si può ricordare che nell’Iliade Sarpedone, figlio di

Zeus e capo licio, dice a Glauco, altro comandante dello stesso popolo, che loro due, se vogliono

meritarsi i privilegi con i quali vengono onorati, devono combattere in prima fila (mšta prètoisin,

XII, 315) dando prova di coraggio e valore speciale.

Contro i luoghi comuni, la faciloneria e la volgarità dei media dobbiamo presentare l’uomo come

problema.

Ora devo concludere, ma per aprire il discorso sulla problematicità dell’essere umano si presta lo

squillo iniziale del Primo Stasimo dell’Antigone : «Poll¦ t¦ dein¦ koÙdln ¢nqrèpou deinÒteron

pšlei» (vv. 332-333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante dell’uomo. Sulla

tragedia greca tornerò comunque, e presto.

212 Seneca, Epist., 76, 3. 213 40ca - 104 d. C. 214 E. Morin, op. cit., pp. 82- 83. 215 K. R. Popper, J. Condry, Cattiva maestra televisione, Reset, Milano, 1994, p. 10. 216 G. Bocca, in Il Venerdì di Repubblica , 3 gennaio 2002, p. 11.

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«Alla luce di questa drammaturgia, l’uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere

che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume la forma di un’interrogazione,

di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e

agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare

l’universo e incapace di dominare se stesso, l’essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può

essere qualificato come un deinos, nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso»217.

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