MERIDIANO 16 N.15deim/9/1998 · 2017-12-22 · 3 ha presiedu-ita monotema-, ma anche chi posto a...

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MERIDIANO 16 N.15deim/9/1998 i De Troia gli mti e amici. . jlito^Giseppe |||||||||gi Di, 3ÌTO ed efficiente 3 ha presiedu- ita monotema- , ma anche chi posto a quello salvare il sito idere la richie- Jia del sito di zata dai quasi ne fino ad oggi al Comita- di Beverino Carlucci TORREMAGGIORE. Una delle frasi ricorrenti profferite dai torremaggioresi di alcune gene- razioni trascorse era "ahi Caruso", avvolte trasformata in "ahi rasùlo",frase pronunciata da chi era costretto ad ingoiare il rospo per un torto subito medi- tando vendetta. Sia "ahi Caruso" che "ahi rasùlo" si riferivano alla strage compiuta dal brigante Michele Caruso ed al rasoio usato per compierla. Michele Caruso nac- que a Torremaggiore in Vico Storto San Nicola, nel 1837da Vincenzo e da Teresa Raténe entrambi provenienti da Bagnoli Irpino. Era una famiglia povera ma onesta. Il giovane Caruso crebbe la- vorando nei campi ma con l'Uni- d'Italia, per spirito di avventu- ra oppure per non prestare il servizio militare allora diventato obbligatorio, si diede al brigan- taggio. L'episodio più feroce e nel contempo il più eclatante fu quello compiuto dalla banda di Michele Caruso nella masseria "Monachella" situata una decina di chilometri da Torremaggiore sulla strada che la congiunge a Casalvecchio di Puglia. Questa masseria, all'epoca dei fatti,era gestita dall'agricol- tore torremaggiorese Alfredo Pensato e fu appunto ai lavora- tori di costui che Caruso intimò di riferire al loro padrone di sbor- sare una certa quantità di ducati. Il Pensato quando gli riferirono la notizia non si scompose ne ricorse alle forze antibrigantag- gio che pure stazionavano in paese ma comprò un fucile per ogni lavoratore dicendo loro "Mandate le donne in paese e sgrossate il terreno con lo schioppo a tracolla; state sem- pre insieme e i briganti non vi molesteranno". Una mattina del settembre 1862, mentre i lavoranti prepa- ravano il terreno per la semina arando con lo schioppo a tracol- la, Michele Caruso, appostato con la sua banda a cavallo sulle colline di Bucci, osservava ogni loro mossa con il cannocchiale consapevole anche di essere stata avvisato da loro i quali, anziché affrontare i briganti con le armi, poiché erano poco di- sposti a rischiare la pelle per un padrone che li trattava peggio di briganti; attuarono il suggeri- mento di uno di essi seppellen- do nei solchi fucili e cartuccen così quando sopraggiunse u banda si fecero trovare disarma- ti. Caruso impose loro di recupe- rare i fucili e rinchiuse tutti e diciassette i lavoranti in uno stanzone della masseria senza uscita esterna. Poi Caruso ucci- se ad uno ad uno i lavoratori recidendone con un la carotide con una rasoiata. Dopo il mas- sacro, contati i corpi degli uccisi, Caruso si accorse che ne man- cava uno. Si trattava di Arcange- lo Lamedica, un sordomuto che inerpicandosi nella ciminiera del cannino era riuscito a dileguarsi. Riacciuffato dai briganti il sordo- muto, fu riportato da Caruso che gli sferrò una rasoiata sotto il labbro inferiore intimandogli di correre in paese e dare notizia al padrone ed ai piemontesi che così lui trattava chi non metteva la propria saccoccia a sua di- sposizione. Ed il povero Arcan- gelo Lamedica portò la triste no- tizia in paese ma quando i sol- dati giunsero alla masseria tro- varono i corpi dei sedici lavoranti uccisi perché nel frattempo Ca- ruso e la sua banda si erano già dileguati portando con loro le armi tolte ai lavoranti. Michele Caruso continuò nel- la sua nefanda azione taglieg- giando pastori e padroni e vio- lentando donne ma alla fine, su denuncia della sua donna, Mari- annina Aligiera, venne catturato il giorno di Ognissanti del 1863 presso San Giorgio La Mofara e due giorni dopo, con i ferri ai polsi coperti dalle maniche della camicia, venne fotografato e fu- cilato presso Benevento due giorni dopo. E' fu proprio a causa delle malefatte di questo famigerato brigante che Torremmagiore», per un certo periodo storico, venne denominato "il paese di Caruso".

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MERIDIANO 16 N.15deim/9/1998

i De Troia glimti e amici.

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3ÌTOed efficiente

3 ha presiedu-ita monotema-, ma anche chiposto a quellosalvare il sito

idere la richie-Jia del sito dizata dai quasine fino ad oggi

al Comita-

di Beverino CarlucciTORREMAGGIORE. Una

delle frasi ricorrenti profferite daitorremaggioresi di alcune gene-razioni t rascorse era "ahiCaruso", avvolte trasformata in"ahi rasùlo",frase pronunciatada chi era costretto ad ingoiareil rospo per un torto subito medi-tando vendetta.

Sia "ahi Caruso" che "ahirasùlo" si riferivano alla stragecompiuta dal brigante MicheleCaruso ed al rasoio usato percompierla. Michele Caruso nac-que a Torremaggiore in VicoStorto San Nicola, nel 1837 daVincenzo e da Teresa Raténeentrambi provenienti da BagnoliIrpino. Era una famiglia poverama onesta.

Il giovane Caruso crebbe la-vorando nei campi ma con l'Uni-tà d'Italia, per spirito di avventu-

• ra oppure per non prestare ilservizio militare allora diventatoobbligatorio, si diede al brigan-taggio.

L'episodio più feroce e nelcontempo il più eclatante fuquello compiuto dalla banda diMichele Caruso nella masseria"Monachella" situata una decinadi chilometri da Torremaggioresulla strada che la congiunge aCasalvecchio di Puglia.

Questa masseria, all'epocadei fatti,era gestita dall'agricol-tore torremaggiorese AlfredoPensato e fu appunto ai lavora-tori di costui che Caruso intimòdi riferire al loro padrone di sbor-sare una certa quantità di ducati.Il Pensato quando gli riferirono

la notizia non si scompose nericorse alle forze antibrigantag-gio che pure stazionavano inpaese ma comprò un fucile perogni lavoratore dicendo loro"Mandate le donne in paese esgrossate il terreno con loschioppo a tracolla; state sem-pre insieme e i briganti non vimolesteranno".

Una mattina del settembre1862, mentre i lavoranti prepa-ravano il terreno per la seminaarando con lo schioppo a tracol-la, Michele Caruso, appostatocon la sua banda a cavallo sullecolline di Bucci, osservava ogniloro mossa con il cannocchialeconsapevole anche di esserestata avvisato da loro i quali,anziché affrontare i briganti conle armi, poiché erano poco di-sposti a rischiare la pelle per unpadrone che li trattava peggio dibriganti; attuarono il suggeri-mento di uno di essi seppellen-do nei solchi fucili e cartuccencosì quando sopraggiunse ubanda si fecero trovare disarma-ti. Caruso impose loro di recupe-rare i fucili e rinchiuse tutti ediciassette i lavoranti in unostanzone della masseria senzauscita esterna. Poi Caruso ucci-se ad uno ad uno i lavoratorirecidendone con un la carotidecon una rasoiata. Dopo il mas-sacro, contati i corpi degli uccisi,Caruso si accorse che ne man-cava uno. Si trattava di Arcange-lo Lamedica, un sordomuto cheinerpicandosi nella ciminiera delcannino era riuscito a dileguarsi.Riacciuffato dai briganti il sordo-

muto, fu riportato da Caruso chegli sferrò una rasoiata sotto illabbro inferiore intimandogli dicorrere in paese e dare notiziaal padrone ed ai piemontesi checosì lui trattava chi non mettevala propria saccoccia a sua di-sposizione. Ed il povero Arcan-gelo Lamedica portò la triste no-tizia in paese ma quando i sol-dati giunsero alla masseria tro-varono i corpi dei sedici lavorantiuccisi perché nel frattempo Ca-ruso e la sua banda si erano giàdileguati portando con loro learmi tolte ai lavoranti.

Michele Caruso continuò nel-la sua nefanda azione taglieg-giando pastori e padroni e vio-lentando donne ma alla fine, sudenuncia della sua donna, Mari-annina Aligiera, venne catturatoil giorno di Ognissanti del 1863presso San Giorgio La Mofara edue giorni dopo, con i ferri aipolsi coperti dalle maniche dellacamicia, venne fotografato e fu-cilato presso Benevento duegiorni dopo.

E' fu proprio a causa dellemalefatte di questo famigeratobrigante che Torremmagiore»,per un certo periodo storico,venne denominato "il paese diCaruso".

N.3del 12/2/1999 MERIDIANO lò

di Severino CarlucciTorremaggiore. A Torremag-

giore la data del dodici febbraio1799 corrispondeva a quella delventiquattro "piovoso" del calen-dario rivoluzionario dell'annosettimo della Repubblica Fran-cese "Una e Indivisibile".

Già in seguito alla sconfittasubita dalle sue truppe da par-te dell'Armata Francese postaal comando del GeneraleChampionnet FerdinandolV diBorbone e sua moglie MariaCarolina e tuttala corte eranofuggiti a Palermo da più di un.mese mettendosi sotto la pro-tezione della flotta inglese co-mandata dall'Ammiraglio Ora-zio Nelson. Il 12 gennaio dellostesso anno, a Capua, viene.stipulato l'Armistiziotrail Gene-rale Championnet e i plenipo-tenzari del vicario generale delRegno, Pignatelli. Undici gior-ni dopo Championnet entratrionfante in Napoli ed all'om-bra delle sue baionette, i libe-rati di Napol^che nel frattem-po si erano impadroniti di tuttele fortificazioni della città, nellostessogiorno.con l'attestazio-ne giuridica e legale di dare ungoverno ad uno Stato abban-donato dal Sovrano, .procla-marono la "Repubblica Parte-nopea", anch'essa "Una e Indi-visibile"

I suoi promotori, in maggio-ranza appartenenti a quella par-te della piccola e media borghe-sia napoletana acculluratasi conI' "Illuminismo" francese e, ine-sperti com'erano nell'ammini-strare la cosa pubblica, commi-sero l'impertonabile errore dinon agganciare alle loro idee edalle loro azioni il popolo minutoche, ignorante com'era e pernulla allettato dalle idee, dalleazioni di chi "sapeva leggere escrivere", fu facile preda di chi,all'insegna della reazione sanfe-dista, mise in atto la controrivo-luzione.

Come simbolo della nuovaRepubblica, venne piantato inuna delle piazze principali diogni paese "l'albero della liber-tà" dal quale pendevano de,nastri colorati simboleggiantila libertà, legalità, fraternità. ATorremaggiore l'albero della li-bertà venne piantato dai gia-cobini, il 10 di febbraio moltopresumibilmente, nei pressidel "forno vecchio", attuale viaZuppetta.

Giovanni Checchia de Am-brosio, nel suo libro "Croci eTricolore in S. Severo nel1799" riporta che nella sua cit-tà, il 12 febbraio, il popolo mi-nuto di S. Severo, insorse con-tro i giacobini dopo aver spian-tato l'albero provocando così

la reazione delle divisioni fran-cesi comandate dal generaleDuhesne.

Nello stesso giorno, il popo-lo minuto di Torremaggiore,compi la stessa azione spian-tando l'albero e trucidandomolti fra cui Giambattista Fia-ni. Le sue idee giacobine era-no note a tutti.

Non sì trovava nei pressidell'albero della libertà quandola folla lo spiantò trucidando luie i suoi compagni perché, oper intuito o per avvertimentoaltrui, si nascose nella casarustica al centro della masse-ria di Gelso. E lì venne uccisoa colpi di schioppo e pugnala-te.

Questa casa di Celso esisteancora, anche se mezza diroc-cata. Della Masseria di Celsone parlano Dora Musto e Pa-squale Di Cicco nel loro libro"La Dogana del Tavoliere diPuglia".

Nell'anno 1811, in ricordodella "Casa di Celso" e diquanto di tragico in essa av-venne dodici anni prima, unatarga venne apposta sullastrada cittadina che immettevain quella di campagna che me-nava alla Casa di Celso e staancora al suo posto anche seil lapicida la riporta come unastrada di CelsgT. "„

La casetta rustica di proprietà della Famiglia Fiani dove il 12 febbraio

1799 venne trucidato il Dottore in Legge Giovanni Battista Fiani ad operadei sanfedisti controrivoluzionari.

B* ubicata a poco meno di duecento metri a S\.d del Ricotaccliio in locali-tà " Rena Cavata " sulla trasondola che da i ' Santàri ",intersecando ilCanale del Ferrante,mena sulla strada provine: ale per Casalvecchio.

Uno dei primi documenti torremaggioresi dell'Italia Unita.Per gentile concessione del carissimo Ugo Aaetta0

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La parte della ex " Bucceria " cBoe fa angolo tra via Francesco De Sanctis eCorso Giacomo Matteotti in cui si vede la targa apposta nel I8ll ricopertaal centro da una cazzuolata di malta cementizia che per tanti anni ne impe-dì la corretta lettura e ( foto sotto ) come essa appare dopo la ristruttupa-azione operatavi dall'Avvocato Guido Maiellaro.

la loro essiccazione emettevano una. sostanza biancastra dalla quale si ricavava il" Salnitro ",un ingrediente principale per la polvere da sparo.

Di fronte alle Chianche c'era la " Bucceria ",un fabbricato destinato ad ospitarei mercanti di animali vivi o morti che fossero e lo spiazzo antistante la ChiesaParrocchiale di Santa Maria .della Strada era disseminato di " Scaraiazzi " ovverodei pagliaroni destinate al ricovero delle pecore zoppe o mortacine prima di esseremacellate ( 4 ).Con l'avvento dei Napoleonidi sul trono di Napoli — I806-I8I5 — la Dohana enapecudum " venne denominata " Dogana del Tavoliere di Puglia " che apportò delle modi-fiche sostanziali alla istituzione l'ondata da Demando d'Aragona nel 1447 ma riten-go utile ricordare che la tradizione delle Chianche restò nei torremaggioresi fino

a quando la parte della ex Bucceria che si affaccia su Corso Matteotti,sino alla fi-ne degli anni settanta,ospitò la " bassa macelleria "..

Fin qui la descrizione delle strade della Terra Vecchia limitata a quelle che dallord proseguono verso Sud. Per quelle,invece,che da Ovest vanno verso Est come la

Strada di San Nicola ( Nicola Fiani ), la Strada di Santa Maria ( parte iniziale diCorso Hatteotti ), Strada del Carmine ( via Cavour ) e via della Costituente fino a

Piazza dei Martiri,poiché proseguono nella Terra Nuova,la loro descrizione viene ri-mandata al capitolo seguente sulla TERRA NUOVA.

Le note,le fotografie e i disegni riguardanti la Terra Vecchia sono alla fine delcapitolo ad e.ssa dedicato.

La " Chiazza delle Chianche " come si presenta al giorno d'oggi.

L'albero che prospera al centro di essa è Astato messo a dimora nel

punto in cui esisteva il pozzo con l'artistico colonnato.

LA TERRA NUOVA

La descrizione delle strade della Terra Nuova,poiché tre di esse nella loro parte

iniziale sono comprese nella Terra Vecchia,inizia da Ovest verso Est.

Via Nicola Piani. In dialetto : " 'A Chiazz d Fiani ". Nella targa apposta neiI8II : " Strada di San Nicola ".

Questa strada inizia dalla Porta di " Uguccione"e termina a quella degli " Zinga-

ri " o " Arco Borrelli ".

Sicuramente questo Uguccione doveva essere uno dei portinai più importanti che a-

vevano in custodia questa Porta ( I ).Partendo da questa Porta e procedendo verso Est su via Fiani iniziano i cinque

vichi del Ricotacchio situati alla sua destra oltre alla scalinata di via JE Jachi-

no e la " trasenda " di via Pier delle Vigne mentre alla sua sinistra,nella parte

che riguarda la Terra Nuova,vi sboccano quelle anticamente chiamate " Rurave " o

" lurale " in dialetto e nella Terra Vecchia esiste ancora il fabbricato adibito

a " Seggio " riservato alla riunione del Consiglio dei " Decurioni " fino a quandola no Tfar"Cit¥à,aboÌiT;a lirTeudalità dal fie^GiuseppeT BonapixtéTcessò di essere chia-

mata " Università "e si chiamò " Comune ~7*~i^

Questo fabbricato juna_.yolta ospitante il Seggio,-fa-_angolo .con-jeta-Sant 'Antonio A-

bate-"ed era "affiancato "Ha 'iMa casa Hirutà":reci:ntà a ar:u i:jcarLcélÌo ""»~~ ~

La costruzione più importante di via Fiani è costituita dal Palazzo della Fami-

glia Fiani,ora della -famiglia Venetueci,sulla cui facciata due lapidi ricordano il

sacrificio dei Fratelli Giambattista,Nicola ed Onofrio Fiani durante la rivoluzio-

ne napoletana del 1799 e la controrivoluzione sanfedista che ne seguì.

Via Nicola Fiani. Siili o sfondo : il Seggio.

Un bassorilievo raffigurante San Giorcio che uccide il drago infisso sotto l'ArcoBorrelli. Ecco perché la Porta degli Zingari viene talvolta detta anche Porta

San Giorgio.

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Ì*aH~§ÌG'a sedè dèi" deve si

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Poto a fianco :Nello scantinato sottostante

la casa ubicata al numero 30

di via Nicola Fiani esisteuna cavità sotterranea cheimmette in una galleria cheserviva da scolo delle acque de-cantate dalla cisterna di rac- ;

colta dell'Acquedotto Teanense

ai piedi della Torre Maggiore

"fatta Tc'ostruiTPuMio; Tarsep.