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n. 60 gennaio 2010 mensile di informazione in distribuzione gratuita Campo Sportivo Giammario Sgattoni Un varco alla barbarie pag. 25 pag. 8 pag. 5

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n. 60 • gennaio 2010

mensile di informazione in distribuzione gratuita

CampoSportivo

GiammarioSgattoni

Un varcoalla barbarie

pag. 25pag. 8pag. 5

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sommariopag

03gennaio 2010

3 Appello per Haiti 4 Piazza Dante 5 Il campo sportivo comunale 5 Dottor Roberto Di Benedetto 6 Bettino Craxi 7 Mela bacata 7 Note linguistiche 8 Giammario Sgattoni 10 La fi ne del mondo 11 Sogni nel cassonetto 11 Bruno Sabatini: chi l’ha visto? 12 Le mani sulla città 14 Annino 16 Berardo Rabbuffo 18 L’oggetto del desiderio 19 Servizio putrido 20 L’Istituto zooprofi lattico 21 Dura lex sed lex 22 Arsita 24 Oggi non si vola 25 Un varco alla barbarie 26 La pista ciclabile 28 Cinema 29 Coldiretti informa 30 Basket

“Teramani” peri bambini di Haiti

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di BiagioCoordinatore: Maria Grazia Frattaruolo

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Ivan Di Nino, Elvio Fortuna, Maria Grazia Frattaruolo, Carmine Goderecci,Nicola Lucci, Silvio Paolini Merlo, Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Carla Trippini.

Gli articoli fi rmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Ideazione grafi ca ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Carlo Forti, 41/43 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Uffi ciale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Carlo Forti, 41/43 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

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è possibile scaricare il pdfdi questo e degli altri numeri dal sito web

Teramani ha raccolto l’invito dell’UNICEFper la diffusione della locandina volta a sensibilizzare l’opinione pubblica per la raccolta di fondi a favore dei bambini di Haiti.

T ratto dal sito www.unicef.it“Essere bambini non è mai stato facile né sicuro ad Haiti, il paese con tassi record di

povertà e mortalità infantile. Il terremoto ha reso orfani tantissimi bambini, moltiplicando il rischio di traffici illeciti già in corso prima della tragedia. L’UNICEF segue una strategia precisa per rintracciare i minori soli e ricongiungerli alle famiglie 25 gennaio 2010 Erano già figli di un Dio minore i 50.000 bambini di Haiti che prima del terremoto vivevano in istituto e i 50.000 ragazzini orfani di entrambi i genitori (ma gli orfani di almeno un genitore sono parecchi di più), i 4.000 bambini di strada, i 200.000 disabili: un esercito di dimenticati. Molti di loro non ce l’hanno fatta. Per altri, in queste settimane, abbiamo gioito dei miracoli che li hanno riportati alla luce. A ricordarci forse che nella speranza c’è sempre spazio per una storia da ricomporre.Ma tutti sappiamo che non basta far sopravvivere i bambini di Haiti estratti dalle macerie. Molti hanno subito ferite profonde nel corpo e nell’anima, e tanti sono rimasti soli, se già non lo erano.

Come utilizziamo il tuo contributoL’UNICEF è in prima linea negli aiuti ai bambini di Haiti colpiti dal terremoto sin dalle primissime ore del disastro. I nostri operatori sul posto stanno distribuendo acqua, alimenti terapeutici, tende, materassini, utensili per cucinare, sapone e altri beni di prima necessità a centinaia di migliaia di sfollati. Inoltre, stiamo identificando e radunando in ambienti protetti i bambini rimasti privi o separati dai genitori. I fondi raccolti con questo appello sono destinati ai bambini di Haiti. Qualora i fondi raccolti fossero superiori a quelli necessari per questa emergenza, l’UNICEF li destinerà a interventi nelle emergenze sotto-finanziate.” u

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D opo il sisma che ha colpito L’Aquila il 6 aprile, “pre-venzione” e “sicurezza” sono rientrate magicamen-te a far parte del nostro dizionario. In ogni ufficio

pubblico, scuole comprese, sono riapparsi in bacheca quegli “oscuri” piani di evacuazione che i più tenevano al riparo dalle intemperie in qualche cassetto, magari dal lontano terremoto in Irpinia.Non saprei dare una cifra nemmeno appros-simativa su quanti hanno parlato di sicurezza. Su quanti hanno preteso una maggior prevenzione soprattutto nelle scuole. D’altra parte, ciò che è accaduto alla casa dello studente a L’Aquila ce lo ricordiamo tutti. Lì ci fu un cedimento strutturale dell’edificio che provocò la morte di sette ragazzi. Per questo motivo anche a Teramo iniziarono controlli a tappeto nelle scuole per verificare la “solidità” degli edifici. Ciò che doveva essere chiuso è stato chiuso, ciò che doveva essere riparato è stato aggiustato, insomma stiamo alla grande! O no? Qualche dub-bio lo avrei, ma lungi da me il voler fare polemica ma è tanto per farci due chiacchiere in compagnia. A quanto ho sentito dire, pare che i

piani di evacuazione si chiamino così proprio perché in caso di emergenza (vedi terremoti, incendi, allagamenti…)

piazza Dante di Maria Grazia Frattaruologennaio 2010

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Caos teramanoQuando l’esperienza insegna i più sono assenti

coloro che si trovano all’interno della scuola devono essere fatti evacuare in aree di raccolta esterne e sicure. Ecco cosa sono queste aree secondo un misterioso e sconosciuto decreto Ministeriale del lontano 1983.

“Le aree di raccolta esterne sono individuate e assegnate alle singole classi, in cortili o zone di pertinenza, in modo da permettere il coordinamento delle operazioni di evacua-zione e il controllo dell’effettiva presenza di tutti. Le aree di raccolta devono far capo “a luoghi sicuri” individuati tenendo conto delle diverse ipotesi di rischio.LUOGO SICURO: spazio scoperto ovvero compartimento

antincendio separato da altri compartimen-ti mediante spazio scoperto avente caratteristiche idonee a ricevere e contenere un predeterminato numero di persone (luogo sicuro statico) ovvero a consentirne

il movi-mento ordinato (luogo sicuro dinami-co).Ad esempio giardini protetti, cortili non chiu-si, piazze chiuse al traffico.”

A questo punto le domande sono: cosa ci fanno tutte quelle auto parcheggiate davanti all’ingresso del “Convitto Nazio-nale Melchiorre Delfico”?In caso di evacuazione i ragazzi riusciranno a dribblare le auto senza pestarsi a vicenda?Il cancello messo per recintare la zona di evacuazione perché è aperto? A chi spetta vigilare affinché nessuno ci entri? Alla scuola, alla ditta che sta compiendo i lavori o all’Amministrazione Comunale?Ma soprattutto perché io vedo il problema e gli altri no?Ah, già, il giorno in cui si teneva la lezione di “Sicurezza nelle scuole” tutti assenti ingiustificati!A proposito: quando verrà ripristinata la pensilina sulle scale di accesso alla scuola elementare S. Giorgio? u

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vicende teramanepag

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“A politician thinks about the next elections — the stateman thinks about the next generations”; un politico pensa alle prossime elezioni - uno statista

pensa alle prossime generazioni. (James Freeman Clarke, 1810 – 1888). Data la sua… diciamo pure, giovine età, crediamo improbabile che a un simpaticissimo assessore comunale sia potuto capitare la magia d’imbattersi a tu per tu con l’autore del celebre aforisma (uno scrittore e predicatore americano del XIX secolo), come invece confidato ai teramani, con fare ammiccante, dal palcoscenico del Teatro Comunale, il 17 dicembre dello scorso anno, durante un recital scolastico, a very musical performance, per favorirsi, probabilmente, anche le grazie di Santa Claus.Quello schioccare di dita interiore, il senso del ritmo che induce a volte anche a strafare, accende sempre i led dell’attenzione in chi ascolta dubbioso, con l’occhio semichiuso e le labbra serrate, dinanzi a cose dette così per dire che non suonano tanto bene. Comunque, si porta il tempo e non ci si annoia. Que-sta la musica preferita che i politici amano eseguire dalle tribune propagandistiche. Il leitmotiv sulle generazioni future funziona alla perfezione. Non si stecca mai. E lo sa bene Gianni Chiodi quando sfiora i tasti sensibili del vecchio Campo Sportivo e dichiara che bisogna pensare a chi verrà dopo di noi; a quelli che erediteranno ciò che noi abbiamo avuto in prestito, senza tuttavia cedere alle inquietudini emotive, a immobilizzanti rimpianti del passato, nel tempo in cui bisognereb-be invece decidere lucidamente dei destini di un monumento malinconico, di pregio genuinamente passionale, ma perturba-bile come tutti gli affetti legati a effimere pratiche nostalgiche. Quando i vecchi rimangono soli è grazie a un cane o a un cana-rino che possono ancora fare uso del plurale, raccontando ad altri di se stessi. Poi i vecchi se ne vanno. E con loro svaniscono le malinconie e i ricordi in biancorosso, sui gradoni di una curva di cemento armato che, negli anni 70, l’ingegner Castellucci fabbricò per le fantasie di tutti gli sportivi, come segno visivo di modernità e punto cardinale per ritrovarsi in un’unica appar-

tenenza calcistica, come si fa in tv, e gridare al vento di essere diventati ultras della curva est. Da Palucci a Castellucci. Dalla calata dello Spirito Santo a Piano d’Accio. Da qui fino alla fine del mondo. Basta sapere aspettare. I giovanissimi, che fra qualche tempo invaderanno gli spalti della Teramo Calcio, stanno ancora a latte & Mulino bianco e di certo non conserveranno ricordi di agonismi leggendari da appiccicare addosso al glorioso Campo Sportivo piuttosto che alla Casa dello Sport. Si affezioneranno ad altro… sic! Porca vacca! Ecco qua la dimostrazione di come sia facile smarrire il senso del ritmo nella narrazione dei fatti. Basta un leggero miscuglio di cuore & sentimento a buon mercato che cominciano le apparizioni di tramonti rosa e destrieri bianchi dalle folte criniere mosse dal vento che corrono a briglia sciolta sulla battigia di mari esotici. Non ci sono c…zzi! Via il campo sportivo, che non è buono più nemmeno per le patate. Così è stato deciso, punto e basta. Al suo posto, sarà edificato un imponente complesso commerciale residenziale, luccicante di fronzoli e belletti vari, con annesso angolino carino per il nuovo

teatro, di cui ormai si avverte un opprimente bisogno. Soprat-tutto per la tutela di tutti quei melomani e adoratori d’arti per-formative, che brulicano disorientati dalla sera alla mattina per le vie della città, come mandria allo sbando… aspettando Godot. Resta inteso che se durante il Grande Fratello o l’Isola dei famosi dovesse davvero farsi vivo quel rompic…glioni di Godot, sarà meglio che qualcuno corra subito ad aprirgli la porta, altrimenti poi il Sindaco si arrabbia, ne fa una tragedia e così finisce la sceneggiata.Buonanotte ai suonatori! u

gennaio 2010

Il Campo Sportivo

di Mimmo Attanasii

aspettando Godot …lo vogliono smantellare

› Avrà un senso il fatto che questa partita sia stata giocata da questi giocatori su “questo campo”?

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I grandi statisti non muoiono mai davanti a porte secondarie di hotel Raphael sotto una gragnola di spicci da 100 lire al coro “Bettino prendi pure queste”. Di grandi statisti

parla la storia e non la mentina lavorata metodicamente tra due guance bitorzolute che davanti ai microfoni e all’arresto di Mario Chiesa risponde placidamente: è solo un mariuolo. Di grandi statisti parlano i libri, le riviste, i grandi giornalisti, coloro che vivono una vita e pagano di persona fascismi ed editti bulgari, e non Minzolini, la spassosa figura che azzarda revisionismi storici solo perché quello dell’adulare è il suo mestiere. E gli viene così bene che nella sua stramba compitezza da primo della classe supera Fede per stramba irritualità. Di grandi statisti che invitano ad andare al mare non v’è traccia nella storia, se non in qualche repubblica delle banane. Pri-mum vivere, diceva Craxi, sì ma con la cassaforte del partito. È stato condannato per reati gravi in un periodo ad alta sensi-bilità tangentopolista quando la dazione ambientale nei primi anni ’90 andava a finire dritta dritta nei processi in tv rimar-cata dallo stesso vergineo stupore di chi osserva un panda accoppiarsi. Con la sua altezzosa spregiudicatezza, l’incallito giocatore di poker ha anticipato in politica i tempi del berlusco-nismo catodico, con una miscela altamente esplosiva di ram-pantismo e di idealismo libertario, puntando tutto su di un Psi (assieme a tutto il pentaschifìo) che volava dopato da pensioni baby, carrettate di dipendenti assunti ogni anno (che poi creerà il mostro Brunetta), debito pubblico alle stelle che condannò e continua a condannare i nostri padri e figli, e questo per decenni ancora. Enzo Biagi ogniqualvolta scriveva di Craxi (e accadeva spesso) ne parlava come “pregiudicato condannato a 10 anni di carcere con sentenza definitiva”. Tranchant. Le Monde ritorna sul vizietto italiano che si ripropone di tanto in tanto. Bettino è stato beccato con le mani nella marmellata ma Giorgio Napolitano, nella lettera indirizzata alla consorte, parla di accanimento giudiziario da parte dei giudici, di luci e di om-bre, e perfino di un personaggio che rafforzò la politica estera

la storia oggi mistificata

(sich). E, come scrive la Mafai, “attraverso un disegno diabolico tendeva a collocarsi come un ragno al centro della tela del finanziamento pubblico, ampliandolo a proprio favore più rapidamente degli altri, in modo da farsene addirittura regista e distributore”. In quel periodo gli Italiani pagavano un conto salato: 10 mila miliardi di lire per le tangenti ogni anno, questo quando l’uomo che bloccò gli americani a Sigonella e che fece entrare Yasser Arafat in Parlamento con la sua fidata pistola nel cinturone, avrebbe messo al sicuro il suo bottino tra cui 15 chili di lingotti d’oro. Fu preso in castagna e non c’erano cristi che potettero salvarlo, se non lo starnazzare insistente del suo solito codazzo di valletti ancora annidati tra le pieghe di un servizio pubblico televisivo genuflesso e di un mondo politico gattopardesco. Erano quelli i tempi dei nani e delle ballerine. Bettino Craxi sia chiaro non è satana, c’è stato forse anche di peggio nella nostra vita repubblicana, esempi illuminanti da questo punto di vista, ma cercare di beatificarlo a botta di fondi giornalistici e di assorbirlo nella nuova toponomastica romana e milanese, inscenando una canea insopportabile, questo no. “Accanimento giudiziario” scrive il Presidente. Nessuno come lui poteva meglio incarnare le vesti del corruttore maximo di quegli anni ’80 da bere; l’epigono del malaffare politico è lui,

non si discute, e ciò potrebbe giustificare per certi versi il livore giudiziario. “Qui osan-niamo un latitante delinquente” chiarisce a suo modo Antonio Di Pietro. D’altronde a Hammamet per la ricorrenza della sua mor-te, chi c’era? Un Sacconi con un viso lungo così, un Frattini scontato nel suo ruolo di globletrotters attorno al mondo, un Brunetta in pieno delirio di onnipotenza (darebbe pure dello scansafatiche a Nostro Signore), tutti esclusivamente boys scout socialisti e, a

quei tempi, nemmeno di primo piano. Stendiamo un velo pie-toso su De Michelis e Formica, amaramente retrocessi tra la folla di figuranti perché oggi contano solo i berluscones. C’era perfino un politico teramano tirato per la giacca sul jet all’ul-timo minuto, tanto per far numero e per far bella figura al tg delle venti. L’uomo dalla sahariana nelle dune di Hammamet è stato dunque un latitante: si è sottratto alla giustizia italiana, come un qualsiasi furfante che ha premura solo di pararsi il culo, brandendo un cuba libre, un ombrellino sul bicchiere, e la fila dei nostalgici dietro la porta. Tra cui il nostro premier. E sebbene il presidente Napolitano avrà avuto pure le sue ragioni a definire i nostri giudici particolarmente ostili verso il suo arrogante gigioneggiare, ciò non toglie che uno statista che si rispetti doveva farsi giudicare da un tribunale italiano. Ricordiamocelo: la latitanza non è esilio, la fuga non è martirio. Indro Montanelli spiegò una volta ad un giornalista italiano che, se fosse dipeso da lui, Craxi sarebbe potuto rientrare in Italia anche subito senza transitare da San Vittore. A una condizione però: “Che se ne stia zitto e si faccia dimenticare”. Bettino commentò così: “Non mi metto nelle mani della giustizia politi-ca. Neanche morto”. Ricorda qualcuno. u

gennaio 2010

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La “via”di Bettino Craxi

di Maurizio Di Biagio

“Così fan tutti!”ci disse e noice lo prendemmo nel…

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a Teramopag

07gennaio 2010

di odio ed efferatezze politiche di moda, invece di prendere sonoramente per il culo una scorta di body gard che di tutto sa

fare tranne che il proprio lavoro. Questi non sarebbero buoni neanche per Bo, il cagnolino americano di casa Obama. Non c’è nulla da fare, ai signorotti vari, pro-prietari di banche in province bigotte e timorose o ai

potenti delle nazioni, conviene sempre non dare fastidio. Ma neanche di striscio. Nella Notte dei Tempi, una coppia

di giovani per prima ci ha provato a contrariare il Potentis-simo, assaporando dell’epico frutto proibito. Hanno scatenato

uno spietato dibattito tra religione e scienza che ancora oggi, nei Reparti Maternità, ne sanno qualcosa: “Tu, donna, partorirai con dolore”. E pensare… che una mela bacata avrebbe potuto salvare il mondo. u

S ono le restrizioni morali, le paure sociali, i tabù religiosi e, soprattutto, i mutui fondiari prima casa a tenerla coesa questa società, così come la conosciamo, dalla rivoluzione

industriale ai giorni nostri. Già sottili prerogative, strumenti delle classi sociali superiori per esercitare il controllo su quelle inferio-ri, questi affilati congegni di prevenzione sulla comunità, attraver-sano la strada a fari spenti; pipistrelli indiavolati che giostrano di notte per restare appesi di giorno come salami innocui sopra le teste di gente incapace di comprendere e discernere fatti e cose che accadono e cambiano la vita. C’è chi, più cosciente, sa di essere un privilegiato per aver avuto possibilità e capacità di accettare

queste limitazioni, un confine indecifrabile. E se per ogni sorriso ci vuole una lacrima (Walt Disney), se il potenziale paranoico convi-ve da sempre con il pensiero ragionevole a tenere sotto controllo le fissazioni; se a è prubbie lu vare che dope lu ride ve lu piagne, se n’n i mai cunusciute lu corre e lu scappà, e che se quande te pizzeche la cocce ‘nde live lu cappelle peccà se te piz-zeche lu cule ‘nde chile li cazzune… allora sì che si è sulla buona strada. Afferrare il senso di cose sconosciute che si impadro-

niscono subdolamente della mente; messaggi subliminali che si insinuano simpaticamente come i vermi dalle antenne colorate, nelle mele lucide dei cartoon. E dopo queste sconclusionate righe lette quasi per intere, qualche malcapitato probabilmente adesso si starà domandando: “…ma che c…zza va truvenne custù?!”.Non lo so. Però è sabato. Un fine settimana non proprio come altri: siamo alla fine, nell’attesa della Befana, che tutte le feste porta via! C’è tristezza in giro, ma il sorriso sulle labbra ce lo rende ina-spettato una pubblicazione mensile farcita di pubblicità natalizie di ristoranti, bar ed esercenti vari a promuovere i propri menù per la Vigilia di Natale… solo che la rivista è stata distribuita dopo il 28 dicembre. Al vento, tutti i buoni propositi per gli affari. Fatti loro! Certo, ma se non si hanno notizie di insurrezioni ed assalti all’editore del giornale in questione, da parte di chi ci ha rimesso un bel po’ di soldini, questo potrebbe anche voler dire che sotto sotto, forse, c’è dell’altro. Uno svitato fa roteare con il braccio un Souvenir d’Italie prendendo la mira sul muso di un Primo Ministro europeo che si sta facendo un bagno di folla in piazza, circondato da gorilla con auricolari Amplifon Style, e lo prende pure in pieno. I media, i giorni appresso, cominciano a sparlare di clima impazzito

Una mela bacatadi tutto, di più

Le parole variabili possono contenere, oltre alla radice (la parte che non si modifica mai e contiene il

significato di base della parola) e alla desinenza (la parte che si modifica e contiene le informazioni grammaticali, ossia genere, numero, modo, tempo e persona), anche altri elementi, detti suffissi e prefissi. Essi non variano mai la forma e sono dotati di un proprio significato che aggiun-gono a quello della radice, modificandolo; vengono perciò chiamati ”morfemi modificanti”.I Suffissi, (dal latino suffigere - appendere sotto) sono posti tra la radice e la desinenza:mur - ator (suffisso) e salt - erell (suffisso) - iamoIl suffisso - ator - significa “che costruisce” infatti murato-re è colui che “costruisce muri”)Il suffisso - erell – indica che l’azione è ripetuta e ha mino-re intensità rispetto al semplice “saltare”I Prefissi (dal latino praefigere – porre davanti o in cima) precedono la radice e si trovano, quindi, a inizio di parola:dis (prefisso) - attent - o e ri (prefisso) - ved - ereIl prefisso dis indica “negazione”; il prefisso - ri – indica “ripetizione”Esistono anche parole che presentano contemporanea-mente prefisso e suffisso;s (prefisso) - content ( radice) - ezz (suffisso) - a (desinenza)la parte della parola costituita da radice + prefisso e/o suffisso viene detta “tema”; esso non varia mai e racchiude il significato della parola nelle sue varie sfumature:

in (prefisso) - ossid (radice) - abil (suffisso) e (desinenza) Tema (parte invariabile) (parte variabile)

Suffi ssie Prefi ssi

di Maria GabriellaDi Flaviano

note linguistiche

di Mimmo Attanasii

di odio ed sonoramente per

fare tranne che il proprio lavoro. Questi non sarebbero

potenti delle nazioniMa neanche di striscio. Nella

di giovani per prima ci ha provato a contrariare simo, assaporando dell’epico simo, assaporando dell’epico simo

Una mela

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“S on vissuto abbastanza”. Questo scriveva il professor Giammario Sgattoni pochi mesi prima della scom-parsa, citando la “truce ora dei lupi” di Pascoli, in una

lettera che è certamente fra le più belle che abbia mai ricevu-to, e nella quale mi accennava al male che gli stava minando l’esistenza. Egli sentiva dunque di aver vissuto, non solo abitato questo mondo, e ne era soddisfatto, persuaso di aver dato e avuto abbastanza. Sempre entusiasta, sempre assetato di tutto ciò che gli veniva dalla vita, con ostinazione ma senza ingenuità, con una certa grazia sorniona e un’amarezza carsica, che riemergeva di tanto in tanto dietro il volto e i gesti amichevoli. Assieme alla lettera, e alle due precedenti che ho avute da lui, aggiungeva quelle che oggi scopro essere le sue plaquettes, copie o estratti di sue composizioni poetiche. Questo perché le parole, l’inchio-stro rimasto fermo sulla carta, da soli non erano sufficienti a dire quello che c’era da dire.Il suo desiderio di sapere, di conoscere, di divulgare, era in lui sempre anzitutto un desiderio espressivo, aulico, evocativo di qualcosa di più grande. Il suo celebre argomentare per infinite digressioni, la disinvoltura con la quale poteva intrattenerti per ore a descriverti un quadro di casa, denotavano in lui la presen-za di un interesse primario e incontenibile, che era quello del racconto, del canto, dell’infinita affabulazione. Che si sia trattato non solo di uno studioso e di un promotore culturale d’eccezione ma anche di uno tra i maggiori intellettuali teramani del secondo Novecento è credo già possibile sostenerlo a priori. Ma dopo le prime iniziative sorte in città per ricordarlo mi sembra necessario, al di là dell’incredibile spettro di attività e di competenze, porre al centro di tutto, appunto, la sua opera poetica. Da questa dimen-sione, più che da quelle del critico letterario, del cultore d’arte e di archeologia, del fondatore di premi e di riviste, dell’editorialista, del testimone partecipe di tutti i protagonisti dell’abruzzesità, da D’Annunzio a Silone, credo si diparta la natura profonda dell’uo-mo e dello scrittore. In un volumetto apparso nel 2008, e succes-sivamente in un convegno svoltosi lo scorso gennaio a Teramo, la poesia di Giammario Sgattoni è stata ripresa e ripensata nel suo insieme. Merito non solo del libro, curato da Dalila Curiazi e prefato da Valerio Casadio ma editorialmente modesto, o del convegno, in definitiva poco più che propedeutico alla conoscenza di un insigne sconosciuto della nostra storia culturale cittadina, ma anzitutto della scelta del tema. Rino Caputo, preside della fa-coltà di lettere dell’Università Tor Vergata di Roma, ha rimarcato anzitutto l’estrazione colta dei versi di Sgattoni, ricchi di rimandi, di allusioni, di citazioni e parafrasi, e dove, come prescriveva Boccaccio circa gli ingredienti del fare poesia rettamente, l’inven-

Teramo culturale di Silvio Paolini Merlogennaio 2010

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Il Canto di Giammario

zione si unisce alla forma, per fecondarla ed esserne fecondata, forma che può provenire solo dal dialogo con altri poeti. Ma vi ha poi rilevato anche l’originalità e l’ampiezza di orizzonti. Pur senza trascurare le tracce dell’eredità dannunziana, del tutto evidenti, il relatore ha indicato specie in Eugenio Montale e nella neo-avanguardia del Gruppo 63, in particolare in Manganelli, Porta e Pagliarini, un’appartenenza non passiva né pedissequa, specie nell’uso dei termini e di certe sonorità, che pongono Sgattoni su di un piano incomparabilmente più vasto di quello del territorialismo colto. Anche nell’arricchimento dato da certo uso del dialetto, finissimo anche questo, Caputo ha visto un “senso del suono” e un “suono del senso” che appartengono già alla dimensione oggi detta “glocale”, locale e globale insieme.Degli altri due relatori, Franco Forlizzi e Luigi Ianni, in particolare il primo ha sottolineato come già nella prima raccolta di poesie Le terre del verde, che uno Sgattoni ventiduenne dava alle stampe a Firenze nel 1953, i riferimenti alla sua terra e alla sua cultura siano quasi del tutto assenti. Anche le “foci del Tronto”, nella sua visione poetica, diventano luoghi dell’anima, geograficamente indeterminati. Ianni ha invece richiamato l’attenzione su come nel riferimento al mondo vegetale, che egli ha chiamato “arboreità”, ossia ciò che dà frutto e vivifica, e nel parallelismo sottilmente ovidiano, quasi una fratellanza, tra l’uomo e le piante, vi sia il ri-mando non solo a ciò che è bello o a ciò che è caro ma anche a ciò che è utile per tutti, e che per questo va custodito e lasciato in ere-dità a tutti. Se insomma la sfera della conoscenza, la dimensione scientifica ed esplorativa di Sgattoni si sono rivolte di preferen-za alla sua terra, alla cultura locale, la prospettiva aperta dalla sua scrittura poetica appare invece attratta da esigenze di altra natura, alte ma non disattente, nobili ma non lontane dalla sua gente, alla quale ha fornito sotto molteplici aspetti il volto migliore di ciò che essa è e resterà. Come solo ai poeti autentici è dato di fare. Questo perché, come già Carmine Chiodo ha ricordato, il poeta ha con la realtà un rapporto esclusivo: se “lo studioso la indaga, il poeta la vede”. u

e le sue prime riletture

che è utile per tutti, e che per questo va custodito e lasciato in ere-dità a tutti. Se insomma la sfera della conoscenza, la dimensione scientifica ed esplorativa di Sgattoni si sono rivolte di preferen-za alla sua terra, alla cultura locale, la prospettiva aperta dalla sua scrittura poetica appare invece attratta da esigenze di altra natura, alte ma non disattente, nobili ma non lontane dalla sua gente, alla quale ha fornito sotto molteplici aspetti il volto migliore di ciò che essa è e resterà. Come solo ai poeti autentici è dato di fare. Questo perché, come già Carmine Chiodo ha ricordato, il poeta ha con la realtà un rapporto esclusivo: se “lo studioso la indaga, il poeta la vede”. u

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di Carla Trippini

di possedere una casa sempre più grande o il telefonino all’ulti-mo grido, o ancora il televisore al plasma che, piuttosto che farti vedere meglio i programmi, te lo toglie... il plasma.E poi c’è la mancanza oggettiva di un lavoro stabile che crea un’assoluta insoddisfazione e che, purtroppo, accomuna gran parte della popolazione umana. Il precariato si sposta dal lavoro agli affetti che diventano così sempre più precari. Questo males-sere generale ci porta a sottovalutare o ignorare le persone che ci sono accanto e che ci amano, ci spinge a cercare nuove emozioni, bombardati come siamo su tutti i fronti da stimoli esterni che promettono relazioni apparentemente soddisfacenti ma che sono effimere, evanescenti. Delle meteore, per l’appunto.Ne consegue che, per non prendere atto del nostro disagio, per non assumerci le responsabilità dei nostri errori, proiettiamo all’esterno il pericolo, impegnati come siamo ad inseguire chime-re che, anche se ci appagano temporaneamente, non riempiono il nostro vuoto interiore. Tutto ciò porta a credere all’ipotesi che stia per accadere qualcosa di brutto, come se il Pianeta fosse quella bottiglia di spumante agitata e dimenticata sul tavolo del ristoran-te l’ultimo dell’anno e che, ad un certo punto, decide di esplodere facendo il botto.È come se il medico ci avesse ordinato di correre senza dirci per-ché e dove dobbiamo andare così di corsa. In fondo, in qualunque

posto siamo diretti, qualunque traguardo vogliamo inseguire, lo potremmo fare anche con un po’ più di calma, non credete?Siamo troppo impegnati a guardare altrove che stiamo perdendo di vista i valori importanti. Per stupidità o per distra-zione non ci accorgiamo che la fine del mondo

c’è già. È davanti a noi. Basterebbe fermarsi un attimo, respirare profondamente, chiudere gli occhi e mettere a fuoco ciò che ci sfugge. Mettere a fuoco le cose che contano davvero.Se anche tu ci provassi potresti accorgerti che quel tramonto di ieri sera che ti ha lasciato senza fiato è... la fine del mondo. Il primo sorriso di tuo figlio appena nato, o tua figlia adolescente che ti guarda negli occhi e ti racconta la sua vita è... la fine del mondo. Tuo marito (o tua moglie) che ti ama nonostante i tuoi lati oscuri e ti sostiene anche nei momenti di difficoltà è... la fine del mondo. Una cioccolata calda e fumante con il camino acceso quando fuori c’è la neve è... la fine del mondo.Chissà, potrebbe essere un modo per scampare il pericolo di una catastrofe an-nunciata.In ogni caso, per sicurezza, segniamo una data sull’agenda.Venerdì 20 dicembre 2012... tutti a mangiare la pizza.Non si sa mai!

“C’è chi non sa dove andare ma corre per arrivarci presto.”Tonino Guerra

Meno due...

la fine del mondo gennaio 2010

. . . alla fine del mondo.Navigando pigramente su Internet durante le festività natalizie sono stata colpita dai vari siti che argomenta-

no sull’ipotetica fine del mondo.“Secondo il calendario Maya, l’attuale Età dell’Oro, terminerà sa-bato 21 dicembre 2012. Le precedenti quattro Ere (dell’Acqua, Aria, Fuoco e Terra) sarebbero tutte terminate con degli immani scon-volgimenti ambientali. La Terra subirebbe periodicamente (ogni 25.625 anni) una variazione dell’inclinazione assiale rispetto al piano dell’ellittica del sistema solare. In questo ultimo tempo (chiamato «il tempo del non tempo» perché è il periodo in cui non è giorno ma nemmeno notte, cioè prima dell’alba), partito dal 1999 e della durata di 13 anni, apparirà una cometa o asteroide che sarà molto dannosa per l’umanità.”Da scettica che sono la prima impressio-ne che ho avuto è stata quella di avere di fronte un popolo delirante e farneticante ma poi, riflettendo, mi sono chiesta: «Ma è davvero improbabile la fine del nostro mondo?». Mi sono sofferma-ta sull’argomento e, leggendo attentamente tra le righe, mi sono accorta che è solo la mia ignoranza in materia di fisica che mi porta a sorridere quando si parla di catastrofi da film.Ripensandoci bene basterebbe che un asteroide di grosse dimen-sioni colpisse il nostro pianeta per evocare scenari apocalittici, ipo-tesi che non è completamente da scartare, a meno che noi terrestri non abbiamo talmente tanto... fattore C da riuscire ad evitare una tale sfiga. D’altronde non ci siamo solo noi che galleggiamo nello spazio e, prima o poi, può accadere che qualche meteora vagante ci colpisca.D’altra parte le previsioni leggendarie sono supportate dalle ricer-che scientifiche degli ultimi anni che hanno portato ad affermare che “una fascia di asteroidi si sta avvicinando pericolosamente e, con molta probabilità, una di queste asteroidi potrebbe impattare sulla Terra.”Per tornare con i piedi per terra e volendo usare queste pillole di informazioni come metafore, mi viene da fare un ragionamento apparentemente contorto ma che in realtà non è poi così assurdo come potrebbe sembrare.Da qualche anno aleggia in tutti noi un profondo disagio interio-re, una sorta di inquietudine generata dalla ricerca della felicità, dalla brama del denaro. Non a caso è stata definita Età dell’Oro. Io aggiungerei... l’Oro degli Altri che, tradotto in parole povere, diventa: l’erba del vicino è sempre più verde. A ciò si aggiunge il desiderio

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ma speriamo bene

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dal mondo gennaio 2010

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11di Yury Tomassini

I l “Kennedy nero” giocava a basket, ingurgitava cheese-burger, si godeva la brezza hawaiiana. Scott Brown, assessore belloccio in una cittadina del Massachusetss,

aveva pensato anni addietro che posando in veste adamitica su una rivista per donne avrebbe rimpinguato le finanze personali in vista degli studi universi-tari. “Sono abbastanza patriota e ho ambizioni politiche” dichiarò solennemente alla rivista, quasi presago, “Ed amo il nuoto, la bicicletta, la corsa e il triathlon”. Oggi il primo ha riposto il pallone nello sgabuzzino per leccarsi le ferite, l’altro, alla telefonata di congratulazioni del Presidente, si è auto invitato al campetto della Casabianca per una sfida con Michael “Obama” Jordan. L’uomo più sexy del Nord America nel 1982 (almeno per il suddetto tabloid), adesso sena-tore con il cognome “abbronzato”, da questo momento rischia di far perdere il sonno al Presidente dei sogni. E’ diventato suo il seggio rimasto vacante nello stato della Est Coast dopo la scomparsa di Ted Kennedy, per quasi cinquant’anni bunker dei Democratici americani. E, cosa imprevista fino ad un mese fa, con lui, l’uomo con la pettinatura alla Richard Gere, il potere

I sogni nel cassonetto

ostruzionistico dei Repubblicani al Congresso statunitense è diventato adesso preoccupante. Sono lontani i tempi tristi e solitari del ragazzo figlio di genitori separati. Adesso ha una moglie ex attrice e sua figlia è stata semifinalista nello show “American Idol” (Idolo americano). Come ha convinto il popolo del Massachusetss a preferire il suo giaccone da caccia e gli scarponi con cui ha girato in campagna elettorale ai com-pletini della rivale democratica? Facile, dicendo chiaramente che lui, come loro, non ha intenzione di versare un cent per l’assistenza sanitaria gratuita a beneficio di milioni di sfigati che non se la sono mai potuta pagare o che, avendola sempre pagata (ad una assicurazione privata), adesso che il lavoro

l’hanno perso non se la possono permettere più. Affari loro. E’ la vita bellezza, oggi ti dà, domani ti prende. Che farà ora “No drama Obama” dopo essersi congratulato con chi starà lì a segargli le gambe della seggiola per i prossimi tre anni? Dicono che sia dotato di una pazienza naturale straordinaria, attacchi di panico e colpi di testa non appartengono al suo repertorio. Probabilmente prenderà atto che la “madre” di tutte le riforme partorirà alla fine dei figli nani. Sognare in pubblico

e lanciare palloni in una retina, stranamente sono stati una strategia vincente quando una intera nazione si vedeva sul limite del baratro. Aver continuato davanti alle tv - tra un canestro e l’altro - con le abbuffate di hamburger grondanti maionese quando un mucchio di gente non stava più dietro alle rate del mutuo della casa forse, ad un certo punto, avrà fatto però girare i cosiddetti.. anche ai più bendisposti. u

[email protected]

Da un anno ormai, praticamente dalle Elezioni Re-gionali del novembre 2008, cerchiamo senza alcun

risultato il dottor Bruno Sabatini del quale mostriamo una immagine a nostra disposizio-ne. Trattasi dell’ex Assessore Regio-nale alla Cultura nella giunta Pace. Si, proprio quello che apparve con il suo volto sui gonfaloni attaccati su quel Palazzo Ada-moli che sovrasta il Teatro Romano di Teramo dai quali egli ricordava il suo fattivo impegno per l’abbattimento

dello stesso. Trattasi dello stesso Bruno Sabatini che ha ricoperto in un recente passato la carica di Presidente del Giulianova Calcio. Abbiamo urgente necessità di contattarlo per consegnargli un plico raccomandato a mano personale della massima importanza e delicatezza. Il motivo della no-

stra ricerca trae ragione dal fatto che, più volte chiamato sul suo numero di cellulare, al momento di iniziare la conversazione per comu-nicargli la ragione della stessa, caso curioso ed incomprensibile, è sempre

caduta la linea. Forse perché, proprio in quel momento, si trovava in autostrada e aveva magari appena imboccato una interminabile galleria. Preghiamo vivamente chi l’avesse visto di recente, di comu-nicargli che lo stiamo cercando e abbiamo urgente bisogno, anche nel suo interesse, di incontrarlo. Oppure chi cono-scesse la sua residenza ultima certa, voglia cortesemente informarci della stessa, chiamando il numero della nostra redazione (0861.250930), o inviando una mail al nostro indi-rizzo di posta elettronica [email protected] u

Bruno SabatiniA.A.A. cercasi

chi l’ha visto?

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D ove sta andando la nostra città? In quale direzione? In quella indicata dal piano regolatore (Prg), una sorta di dna che stabilisce come saremo, oppure in un’altra, a

colpi di varianti e di project financing fin troppo sbilanciati verso gli interessi del privato? Che Teramo consegneremo ai nostri figli, e ai figli dei nostri figli? Come ci raccapezzeremo nel pros-simo futuro tra una sovrintendenza che “fa quello che vuole”, come riporta Daniele Portella, “ex amante della politica”, come lui stesso ama definirsi, e lo sbal-lottio di mire privatistiche di mece-nati che scimmiottano un Lorenzo il Magnifico? Come potremo evitare altri scenari archeo-inquietanti come quelli di Porta Madonna o di Piazza Verdi? Ma soprattutto in che mani è la città? “Teramo è in mani dei costruttori” taglia corto Siriano Cordoni (Idv) “senza un piano stra-tegico, d’altronde mai approdato in consiglio, rimasto solo nelle buone intenzioni di qualcuno: tutte le iniziative in essere programmate dalla giunta Chiodi, e da Brucchi poi, sono state finalizzate alla distruzione del territorio e delle caratteristiche architettoniche di una città Ottocentesca”. Si propongono svincoli stradali più costosi alla Gammarana mi-stificando la realtà “senza chiarire espressamente che quell’ope-ra è necessaria a servire una zona in via di urbanizzazione ed antropizzazione con una stazione che s’appresta ad essere inter-rata. Non c’è nulla di male nel farlo – precisa Portella - ma che lo dicano però” senza tanti giri di parole. Lo svincolo andrà a morire proprio sotto le vagheggiate “twin tower” che qualcuno vuol far sorgere sopra le aree private di Di Teodoro, Adone o della Villeroy & Boch. E morirà anche nei pressi del prossimo polo scola-stico, un project financing proposto da due ditte teramane che “realizzeranno l’opera su di un’area su cui il Prg ha già previsto il verde attrezzato. Perché non si rispettano le regole?” sussulta stizzito Cordoni. “Ciò significa porre la programmazione della città in mano ai privati: costruire su un’area classificata g7 è paz-zesco!”. “Va bene che il Prg è un elemento dinamico – chiarisce Portella – ma tale concetto deve essere perseguito allorquando c’è da fare una correzione al Prg, questo invece è brutalizzare il Piano, perché non è giusto che venga rivisitato nuovamente con

la nostra Teramo

osservazioni su delle aree destinati al verde”. “In questo caso la programmazione urbanistica – insiste Cordoni - non è più demandata al pubblico bensì al privato che fa i propri interessi”. Ma addirittura per la presidente regionale del Pd, Manola Di Pa-squale, il progetto del polo scolastico nemmeno esisterebbe: “Ci sono solo due foglietti con le proposte delle imprese; la giunta si limita ad accettare tutto quello che le viene presentato in forma di speculazione edilizia”. Altro significativo esempio di sbilanciamento, è rappresentato dal project del nuovo teatro, “un’altra enorme speculazione” per Cordoni. “Un progetto che nasce già vecchio” per Portella: l’architetto tira in ballo l’altro progetto concorrente: “il famoso formicaio” dal profilo più avventato che, alla stessa stregua del tribunale, avrebbe lasciato un segno architettonico. Le mani del privato ghermiranno come un falco la gestione del teatro per 30 anni, la realizzazione di 5 palazzine, 3 sale multifun-zionali, 1 ristorante sopra il teatro, più un’area di 20 mila mq messa a disposizione dall’amministrazione a Porta Madonna, “non rispettando nemmeno il vincolo della contiguità” assicura Cordoni (discarica docet). “Ciò significa legare Teramo a scelte non strategiche solo per avere alla fine un teatro di 850 posti che quando sarà riconsegnato alla collettività sarà pure fatiscente, da rifare”. Sul vecchio Comunale dove insisterà l’opera, interven-

gono a gamba tesa anche gli ultrà biancorossi ritenendo che ci sia stato “sciacallaggio e forte specu-lazione” nelle decisioni adottate profilando il “tornaconto per-sonale all’interesse pubblico”. I Devil’s Korps invaderanno perfino il campo del Parco della Scienza, in pieno consiglio comunale, e sfi-deranno Brucchi chiedendo lumi sulla fine dell’ex tempio del calcio teramano. “Affaristi, arroganti, palazzinari senza scrupoli” sono stati gli epiteti lanciati verso tutta l’amministrazione. L’invasione di campo era stata anticipata dall’in-

tervento di Sandro Santacroce di Rifondazione Comunista che nel question time voleva saperne di più. I Per Davvero suggeriscono addirittura la terza via (ma anche la quarta, la quinta) al project financing che lascerebbe intatto il vecchio Comunale: “La speculazione non deve andare avanti, quella speculazione che ha creato un clima di tensione in città”L’Hospice, che svetterà sulla collina dell’ospedale Mazzini per curare i malati terminali nell’area Casalena, “vedrà le proprie cu-bature aumentate – continua Cordoni - la struttura occuperà più spazio di quanto doveva essere originariamente”, a scapito quindi del verde, dei pini, di un polmone verde cittadino che si va atrofiz-zando sempre più: “I nostri vecchi amministratori, quando realiz-zarono l’ospedale previdero di lasciarlo in mezzo ad una collina alberata”. E non nel brulichio di cemento e balconcini come si sta prospettando: “Originariamente i patti erano che si costruisse su un 40% dell’area, ora invece la percentuale palazzinara è passata

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Le mani sulla città

di Maurizio Di Biagio

Teramo… nostra!

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al 60; è giusto che in questi accordi non debba essere il pubblico a decidere, altri-menti ognuno è demandato a fare ciò che vuole”. Una logica che sconfina in scenari da western, del più forte che mette i piedi sopra la testa del più debole. Nella vicen-da hospice pesa anche la vecchia vicenda del proprietario (Casalena) che non venne pagato al momento dell’esproprio, fino a giungere nel 1995 alla restituzione dei ter-reni perché l’amministrazione non aveva una lira in cassa. Per la verità nemmeno ora si naviga nell’oro…anzi. Solo qualche tempo prima dell’aureo abbandono di Palazzo Orsini da parte del suo inquilino Gianni Chiodi, lo stesso mi raccontava come purtroppo (al-meno questo era il senso da me attribuito alla smorfia) dovesse ricorrere ai project, “unica arma a disposizione per poter co-struire qualcosa in città: non abbiamo più un cent” disse. Ma come ha suggerito lo stesso Antonio Topitti, nella sua caleido-scopica visione della politica, ancorata tra il ghe pens mi del premier e l’”ottimismo della ragione” di natura gramsciana, “c’è project e project”.Nello skyline che - sempre per l’attuale governatore – “con l’avvento del nuovo teatro sarebbe cambiato”, ancora un po’ più verso il centro, a due passi dal duomo, nel cuore della città, si decide di abbattere un palazzo che per qualcuno sta come il giovedì in mezzo alla settimana, tanto per non ricorrere a volgarità. Si acquisiscono finanziamenti, si muove un’intellighen-zia, ma l’opera si ferma comicamente a metà, anzi si capovolgono gli intenti e il

palazzaccio viene rafforzato con dei larghi contrafforti bianchi da fortezza Bastiani. “Ci si accorge che abbattendolo verreb-be giù anche il palazzo attiguo, palazzo Salvoni: ma dico io – si stupisce Cordoni – non lo sapevamo prima? perché non si fornisce un progetto alla cittadinanza? La colpa è senza dubbio degli amministratori locali miopi”.”Su Palazzo Adamoli con-vergono interessi molto privati” precisa Daniele Portella, che ricorda come il Teatro antico sia figlio di un rifacimento degli anni ’30: “Si intervenga seriamente senza commettere gli errori già fatti dalla sovrintendenza a Piazza S. Anna e Porta Madonna, due esempi in cui si sono spesi soldi pubblici senza ottenere nulla”. I Chiarini boys di Teramo Nostra dicono di essere vigili contro il “malaffare” invitando gli enti a comportarsi di conseguenza: un avviso a chi ha delle mire sull’emiciclo. Si teme che dall’ultima strada battuta dall’amministrazione Brucchi circa il pro-tocollo d’intesa siglato recentemente con Regione, Sovrintendenza, Tercas e Provin-cia, possa venir fuori un nuovo progetto che in buona sostanza stravolga quello già esistente “in parte abbondantemente finanziato”. “Dagli atti enunciati – dichiara Teramo Nostra – emerge una volontà che va in altra direzione”: la diversa destina-zione dei fondi Cipe di 1,6 mln di euro “ne è una prova”. Si ha timore infatti che tale somma venga utilizzata per operazioni di ripulitura e sistemazione, atti che svilireb-bero il progetto originario che per Sandro Melarangelo insiste su tre fasi: abbatti-mento del caseggiato Adamoli; acquisto

o esproprio di “casa Salvoni” (entrambi gli edifici insistono tuttora sulla cavea romana del teatro); e recupero integrale delle cavee.“L’amministrazione sta mettendo le mani sulla città pensando che il mattone sia l’unico volano che faccia girare l’econo-mia di questa città” gorgoglia il consiglie-re Sandro Santacroce.E meno male che per l’opposizione citta-dina è giunta anche qualche vittoria, come nel caso della scheda di S.Giuseppe, lo spiazzo verde sotto i gradoni della Curva Est che rotola giù verso il parco fluviale. “Quando in Regione sovrapposero le car-tografie – rammenta Cordoni – s’accorse-ro che risultava essere zona alluvionale, tanto che si stralciò l’area: sì, quella fu una vittoria morale!”. In definitiva si può affermare che manca ai politici teramani una strategia di svi-luppo condiviso per la città, manca l’unità d’intenti, i rematori vogano in direzione opposte, e l’amministrazione appare fin troppo schiava dei pruriti di qualcu-no. Manca anche il romanticismo di un campo da rugby in piena città, perché no. Manca il sogno, la visione di un sogno. E per concludere questa mezza panora-mica all’insegna dei laterizi ci spostiamo un po’ più a Nord, su verso dove una volta zampillava dell’acqua: “L’Ipogeo? – si chiede sarcasticamente Portella – una puttanata…una puttanata”, ripete senza tema di smentita. u

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Apprendiamo con grande piacere che il nostro concit-tadino Dottor Roberto Di Benedetto è stato nominato

responsabile dell’Ufficio di Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Teramo. Dopo aver maturato grandi esperienze nella Polizia Postale e delle Comunicazioni a Milano ed Ancona, individuando i responsabili di innumerevoli truffe telematiche a danno dei cittadini, si è poi distinto nell’in-dagine che ha smantellato una organizzazione criminale e conclusa con l’arresto del responsabile sicurezza di Telecom Italia, nell’operazione denominata “Salto nel Buio”. Succes-sivamente, dal 2008, ha fatto parte del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Pescara dirigendo, tra le altre cose, l’operazione che portò all’arresto dell’ex sindaco di

Pescara Luciano D’Alfonso. Noi di “Teramani” abbiamo avuto il piacere di conoscerlo e di apprezzarne le grandi qualità umane e profes-sionali quando è intervenuto come relatore, su incarico del Dottor Domenico Vulpiani del Ministero dell’Interno, al Convegno “ i Giovani, la Scuola, la Famiglia tra Internet e Tv”, organizzato dalla nostra Associazione Culturale di riferimento “Project San Gabriele”, con un chiaro e dotto intervento sui pericoli in cui si imbattono i giovani navigando in Internet. Al Dottor Roberto Di Benedetto va il nostro più vivo e sincero apprezzamento e tutti i nostri più cari auguri di Buon Lavoro, sapendo che siamo veramente in buone mani. u

Il Dottor Di Benedettonuovo responsabile dell’Uffi cioPrevenzione e Soccorso Pubblico della Questura di Teramo

› Roberto Di Benedetto con a sinistraAntonio Marziale, Presidente Osservatorio sui diritti dei minori

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D opo la fulminea, crudele scomparsa di Annino Di Giacinto, un anno fa, Teramo e i teramani hanno voluto ricordarlo in vario modo. Nei giornali come sulla rete,

informalmente come anche in occasioni ufficiali. Vorrei perciò lasciare anch’io una mia testimonianza, e tentare di fornire, dal mio punto di vista, un ritratto fedele della sua complessa figura.I miei primi ricordi di lui sono, per ragioni cronolo-giche, successivi al suo al-lontanamento dal corpo di ballo del Teatro dell’Opera, avvenuto nel 1980, come è noto, per via del suo con-vinto attivismo sindacale. Ero molto giovane allora, per cui compresi poco questo episodio, quanto emblematico di tutta una vita fosse per lui. Ricordo la forte impressione che mi procurava sapere dei suoi studi universitari, ai quali si applicava sempre di notte per poter trovare la massima concentrazione. Ricordo quando, salendo a giocare nella soffitta della sua abitazione, in una delle case popolari di via Po dove Annino viveva insieme ai genitori adottivi, mi capitò di leggere una lettera alla madre Paolina, scritta durante il servizio militare. Una lettera amara, disillusa, nella quale dichiarava tutto il suo rancore per un certo tipo di società e di autorità. Lo ricordo quando tentò incautamente la carriera politica, faccenda troppo poco idealista per un fiero idealista come lui, e in tante altre circostanze, sempre sagace, pungente, spiazzante. Mi feci presto di lui l’idea che è poi rimasta quella prevalente, e di cui sono ancora oggi convinto: quella di una fortissima personalità, di una non comune intelligenza, che nello studio e nella cultura, come egli stesso dichiarerà in varie occasioni, aveva trovato uno strumento di emancipazione sociale e di lotta civile. Certo, Annino è stato anche un artista, ma credo non per propria scelta. Nell’intimo è sempre rimasto anzitutto un intellettuale e un uomo di studio, con la duplice fortuna di essere nato con

Teramo culturale di Silvio Paolini Merlogennaio 2010

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Il mioricordo di Annino

un grande talento atletico, e di aver incontrato sulla sua strada una delle più straordinarie insegnanti di danza che l’Italia del dopoguerra abbia avuto. Entrambe le cose sono state determi-nanti, ma entrambe hanno poco a che fare col merito. Il fisico ci è dato dalla natura, l’incontro con la persona giusta dal fatum. Invece i meriti di Annino sono stati altri. La sua attività di docente pubblico, di sociologo e di giornalista, di scrittore e poeta, gli approfondimenti per “Interamnia” e per “La Città”, con le cui conclusioni per la verità non mi sono sempre trovato d’accordo, sono da vedere come i maggiori esiti della sua vita di uomo e di professionista. Negli ultimi anni, tornò più volte a chiedermi un’opportunità per tornare a occuparsi di danza, aggiungendo che in città non ne aveva più avute. È stato per me sempre un piacere coinvolgerlo, e sono consapevole che la mancanza di una persona come lui peserà non poco nella vita culturale cittadina. Io stesso sarò tra i primi ad avvertirne e rimpiangerne l’assenza. Ma resta il fatto che, dopo l’esperienza romana, l’at-tività artistica di Annino è stata tutta in discesa. Le sue scuole, prima a Teramo e poi a Pescara, hanno avuto vita limitata e in qualche caso non priva di vicissitudini. Cosa poi mia madre abbia sempre pensato della sua decisione di darsi all’insegnamento della danza, in aperta competizione con lei, credo sia noto e non

starò qui a rimarcarlo. Posso solo aggiungere che, quando mi capitò di fargli notare l’implicito riferimento a lui in un mio pezzo per la Rivista Abruzzese, nel quale affronto il tema della “diaspora” avvenuta negli anni Ottanta fra Liliana Merlo e alcuni dei suoi ex allievi, contrariamente a quella che era la sua indole, non replicò nulla.Un ultimo ricordo che voglio trascri-vere, significativo per più ragioni, è la cena alla quale Annino venne invitato con la sorella Angela, non appena mia madre venne a sapere del suo problema di salute. Ricordo che Annino, molto affabile e cordiale ma visibilmente provato per via delle cure, rimase per tutto il tempo con un cappuccio di lana in testa. Discor-remmo a lungo, del suo concorso

a cattedra, del progressivo sfaldamento della scuola italiana, e di tante altre cose. Quasi nulla, invece, sul tema danza. Fu un momento di palpabile commozione, perché non era solo il segno dell’affetto profondo di una maestra mai venuto meno nei confronti dell’allievo, ma anche l’occasione per una definitiva conciliazione fra i due personaggi, tanto legati e distanti, alla cui vicenda privata io ho avuto il privilegio di prendere parte.Conserverò sempre questi ricordi di Annino, spirito ribelle, bat-tagliero e anticonformista, acuto osservatore della società, forse un po’ vittima della sua natura libertaria, ballerino per sua - e nostra - fortuna. u

› Annino con Liliana Merlo nel 1972

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R ecentemente si è scoperta una diversa versione dell’ex assessore al traffico Berardo Rabbuffo. Una più consona ai tempi, più verde, più attenta agli scenari mozzafiato di

panorami incontaminati. “L’ambiente è una cosa seria” ci riporta. Nella nuova veste di consigliere regionale, il teramano si è prodi-gato in diversi ambiti: la sua attività si è rivolta prevalentemente a tematiche difficili come il piano case, il commercio, il Borsacchio e altro ancora. “Anche se l’opposizione in consi-glio – sostiene Rabbuffo – ce l’ha messa tutta per vanificare gli interventi”. E cita l’esempio dell’utilizzo dei sottotetti che riteneva qualificanti “dando la possibilità di utilizzarli a fini abitativi”. Era un ampliamento del Piano case?“Sì, Berlusconi col Piano intendeva dare la possibilità di ampliare una camera, di demolire e ricostruire migliorando anche la qualità sismica, smuovendo l’economia di chi ha piccole somme da parte. Con un mio piccolo contributo - sono stato il relatore in aula - la legge è stata approvata: ho portato avanti gli emendamenti mediando sul piano, malgrado le incursioni dell’opposizione abbiano depotenziato l’atto”. Dal governo centrale ci sono state delle indicazioni?“Ha fornito le linee guida e noi le abbiamo estese con argomenti qualificanti, aggiungendo ad esempio un articolo secondo il quale una persona o una ditta che ha la proprietà di un immobile fatiscen-te o non utilizzato può, sotto l’ombrello dell’utilità pubblica, cederla gratuitamente al Comune che in quella zona realizzerà parcheggi oppure verde. Chi lo fa ottiene il 65% di volumetria da costruire in un’altra parte: ci guadagnano tutti”. Qual è lo spirito di questo Piano casa?“L’importante è smuovere l’edilizia che è il motore trainante dell’economia. Avevo anche proposto un emendamento, che è una vecchia legge della Regione Abruzzo, per riutilizzare i sottotetti, poi purtroppo caduto in consiglio perché le opposizioni hanno fatto fuoco di sbarramento. Avrebbe portato un utile stimato l’anno scor-so di 2.750.000 euro da smistare alla cooperazione per il comitato che presiedo che si occupa di problemi di sviluppo dei paesi più poveri. Ho presentato anche un altro emendamento sulle strutture ricettive turistiche che utilizza nuove volumetrie per migliorare l’offerta turistica in Abruzzo: abbiamo le strutture obsolete, inferiori per qualità, servizi e numero di stanze, a molte regioni limitrofe.

L’Intervista

Se a questi alberghi si dà la possibilità di ampliare si fa un buon servizio: queste sono attività che producono posti di lavoro. Esisteva un corollario di emendamenti che purtroppo è stato falcidiato e la conseguente mediazione ha snaturato l’azione governativa e la finanziaria”. Si è salvato qualcosa?“Si sono salvati alcuni emendamenti qualificanti nel settore com-mercio, come due mie proposte che anticipano la legge sul settore. Uno molto importante, poi approvato, prevede a Teramo ed in altri comuni la possibilità di affittare i pubblici esercizi, ristoranti e bar, e non soltanto la cessione d’azienda. Chi opera nel settore sa quanto è importante: ho ricevuto molte telefonate di diverse aziende che stavano aspettando la misura”.Spesso lei è nelle pagine dei quotidiani per le vicende del Borsac-chio.“Ho difatti presentato un disegno di legge per la riperimetrazione del Parco naturale del Borsacchio, questo serve a togliere dall’am-bito alcune aree che con la riserva non avevano nulla a che fare”.Ai confini del perimetro, esistono delle costruzioni?“I progetti di costruzione purtroppo insistono al suo interno: si parla di realizzare 50 mila mq, e questo è uno scempio da evitare,

ci sono dei diritti acquisiti dai proprietari prima che si formasse il Parco che si sono mantenuti anche dopo, perché il Pan (Piano di Assetto Naturalisti-co) dettaglia gli usi delle aree prevede e conserva addirittura queste costruzioni: è vergognoso. E difatti il Pan ancora non si riesce ad approvare per queste contraddizioni: la mia idea è quella di togliere ciò che non c’entra nulla con il parco, con la riserva natura-le, cioè il quartiere dell’Annunziata, alcuni parcheggi, e altro ancora”.Chi lo vuole un parco così allargato?“Forse chi vuole fare i carrozzoni per gestirli e nomi-nare i presidenti, creando un altro livello decisionale

tra il cittadino, gli imprenditori e gli altri organi. Il parco va fatto dove serve: questo è l’unico tratto di zona della costa teramana dove non ci sono case né in pianura né in collina. Non dobbiamo permettere la speculazione: io credo di fare gli interessi ambien-talistici veri, perché questa è una zona molto importante e devono essere rispettate alcune imprese come i campeggi che hanno 300 dipendenti. L’ambiente è una cosa seria”.Della passata esperienza in Comune cosa ha serbato?Non voglio etichettarmi come assessore al traffico, però un’espe-rienza l’ho maturata. In città non c’è tanto altro da inventare perché un solco è già stato tracciato. Se si va in maniera euristica alla ricer-ca di qualcos’altro si perde la meta iniziale. A Teramo mancano le infrastrutture: io lavorerei sul parcheggio a pagamento in centro storico, gratuito per la prima auto dei residenti; questa sarebbe una conquista ed una cosa nuova, perché andare ad esasperare l’area pedonale? Così si ottiene un centro storico più ordinato perché vi circolano meno auto: una risposta per chi ci abita, perché al’interno ci sono famiglie che non possono permettersi di pagare il garage o il parcheggio tutti i giorni”. La doppia corsia?Il problema a Teramo è entrare non uscire. u

gennaio 2010

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Berardo Rabbuffo

di Maurizio Di Biagio

Dopo le rotonde …il Borsacchio, il Commercio e il Piano case

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l’oggetto del desiderio di Carmine Godereccigennaio 2010

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A mor Mio, ricevi questo anello...

Sono andato al mercato degli uccellie ho comprato uccelli

Per te amor mio

Sono andato al mercato dei fiori e ho comprato fiori

Per te amor mio

Sono andato al mercato di ferraglia e ho comprato catene

pesanti catene Per te

amor mio E poi sono andato al mercato degli schiavi

e t’ho cercata ma non ti ho travata

amor mio.

Che peccato! Se l’innamorato nella poesia di Prevert fosse andato in gioielleria a comprare delle pesanti catene d’oro lei probabilmente si sarebbe fatta trovare. Ironia a parte ho scelto “per te amor mio” bellissima poesia fra le più note di Jacques Prevert per introdurre il nostro “oggetto del desiderio” L’ anello nuziale Gli anelli nuziali hanno origini molto antiche. L’anello comprare infatti già in epoca barbarica, dove per suggellare la promessa d’unione le coppie si scambiavano un anello in segno di fedeltà. Nell’epoca Romana si distinse L’anello di fidanzamento, detto “anulus pronubus”, che serviva a suggellare la promessa di matrimonio, dall’anello nuziale, detto invece “vinculum”. EI vinculum romano, fatto di ferro (raramente d’oro o d’argento) inizialmente veniva indossato solo dai maschi, ma presto venne esteso anche alle donne. Le matrone romane sfoggiavano fedi nuziali cui era talvolta applicata una piccola chiave, segno della loro autorità nella famiglia La consuetudine, sia maschile che femminile, di indossare un anello dopo il matrimonio si affermò del tutto solo a partire dal XVI secolo, mentre l’abitudine di inci-dere i nomi degli sposi e la data delle nozze all’interno di questo risale al Settecento. L’uso dell’oro come materiale, al posto del ferro, per la fabbricazione delle fedi, si deve all’influenza cristiana, per cui l’oro è da sempre simbolo di eternità. La parola anello deriva dal termine latino “anellus” diminutivo di “anus” che vuol dire, appunto cerchio: un cerchio che viene usato per adornare le dita delle mani e, in alcune culture, anche quelle dei piedi. Nel corso dei secoli il suo significato simbolico e gli usi che

ne sono derivati sono stati molteplici ma tutti accomunati da una funzione decorativa o come emblema di uno stato sociale. La forma sferica rappresenta la perfezione di una unione, l’unione delle vite di due persone innamorate in una sola, men-tre il materiale, solitamente l’oro, rappresenta l’eternità. Nella religione cristiana, infatti, l’oro giallo è da sempre simbolo di eterno: non a caso d’oro sono gli sfondi delle icone e delle decorazioni di molte chiese, e d’oro sono le aureole dei santi. Data la loro importanza, la scelta delle fedi nuziali deve essere metodica e soprattutto fatta in due. Anche se ad oggi c’è chi le sceglie in platino, la tradizione vuole che le fedi siano in oro. Sono molte le varianti tra cui scegliere: esistono diversi model-li e sempre più si diffonde l’abitudine di usare l’oro bianco o un intreccio di entrambi, oppure si usa adornare l’anello con pietre preziose. E’ consuetudine incidere all’interno degli anelli la data delle nozze e i nomi degli sposi (il nome di lei nella fede

di lui e viceversa). Di solito questo servizio è compreso nel prezzo. Per la fattura e l’incisione delle fedi il gioiellie-re impiega media-mente un mese: è bene però iniziare a pensare alla scelta degli anelli nuziali

alcuni mesi prima della data del matrimonio, cosi da avere tutta la calma per. scegliere, ricordate che le fedi sono un simbolo importante della cerimonia e sotto l’attenzione di tutti! Il galateo non prevede obblighi particolari in merito alla scelta delle fedi, se non che siano pagate dallo sposo: come sempre è consigliabile seguire il proprio gusto personale e ricordarsi che gli anelli nuziali devono durare tutta la vita, per cui le pie-tre potrebbero staccarsi e materiali non ottimi potrebbero ri-chiedere spese extra in futuro per la pulitura. Le fedi non sono tutte uguali: quando vi recherete in gioielleria a sceglierle, il negoziante vi offrirà infatti una vasta gamma di alternative. Potrete scegliere la classica in oro giallo o la più “moderna” in oro bianco; potrete scegliere di intrecciare diverse tipologie di oro o potrete decidere di aggiungere una pietra. Alcune coppie scelgono infine di mettere la pietra all’interno delle fedi, come simbolo di un amore intimo che solo loro sentono.Se agli sposi è concesso di scegliere il tipo di fede, lo stesso non si può dire in merito al “dove indossarla”: la fede va messa all’anulare della mano sinistra. L’usanza dell’anulare ha due diverse origini: la prima deriva probabilmente da un antico rito della Liturgia Cattolica, quando il celebrante, toccate le prime tre dita della mano sinistra dice: “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo...” mettendo, poi, l’anello, così benedetto, nel quarto dito della mano degli sposi. La seconda spiegazione è più romantica, dall’anulare pas-serebbe la “vena amoris” (vena dell’amore) che da lì porta direttamente al cuore. u

L’anellonuziale

di Oro e Argento

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la Raipag

19gennaio 2010

ServizioPutrido

di Ivan Di Nino

Qualcuno ci spieghi…

L a RAI fa servizio pubblico. Quante volte abbiamo sentito questa litania! Quando la classe che frequentavo al Liceo andò in gita a Saxa Rubra, il nostro “Cicerone” disse che “la gente non capisce

che la RAI fa servizio pubblico ma deve competere sul mercato”. In parecchi ci guardammo un po’ basiti. In una trasmissione di La 7, alla domanda di Antonello Piroso sul perché si dovesse pagare il cano-ne per vedere più o meno gli stessi TG ed approfondimenti di altre reti commerciali, si sentirono le unghie del nostro Bruno Vespa che scivolavano malamente aggrappandosi allo specchio. Quando Claudio Cecchetto osannò i ragazzini che nella scorsa stagione cantarono sul palco dell’Ariston di Sanremo nella trasmissione condotta da Antonella Clerici, disse che tale spettacolo era “del tutto gratuito”. Altro che gratis, quest’anno costa centonove euro! In realtà sono pochi i pro-grammi che davvero coinvolgono e gl’italiani non capiscono l’utilità di una tassa simile. Stipendi d’oro a presentatori, giornalisti, soubrettine

di quart’ordine, gente che vuole cambiar vita aprendo un pacco e se gli va male… s’incazzano pure! I dirigenti RAI sono persone come Cappon il quale, alla domanda del buon Luciano Rispoli su quante volte avesse visto “Parola mia”, rispose: “Per carità, non mi parli di queste cose, io mi sono sempre occupato di siderurgia”. Per dirla con Marge Simpson, caspiterina… Fermo restando che il canone RAI è una tassa erariale, quindi finché c’è la norma va pagato, è però da scrivere che sarebbe al-tresì facile eliminarlo e con l’avvento del digitale terrestre ancor di più: chi vuole vederla paghi e gli verrà consegnata una tessera, altrimenti, niente pagare niente guardare. Se la RAI facesse veramente servizio pubblico, direbbe a che ora ci sono le partite su SKY e su Premium Calcio, ma non può farlo perché è in competizione sul mercato! L’unico vero “servizio” che questa azienda mangiasoldi fa, è ricordare ad ogni piè sospinto nel mese di gennaio che “Il 31 scade il termine per il pa-gamento del canone RAI…” ma non fa altrettanto con scadenze fiscali, non informa i cittadini sui propri diritti, i pochissimi servizi di denuncia sullo stato delle nostre strade, carceri ecc. vanno in onda da mezzanot-te in poi, senza dire dei migliori film, a volte anche alle 3 di notte. Tutto questo, è bene dirlo, è visibile anche sulle altre reti. Il canone RAI, viene sempre sbandierato, è il più basso d’Europa: si capisce anche il perché. P.S. Al solito, dimentico sempre qualcosa: Sarkozy ha eliminato dalle reti pubbliche francesi la pubblicità. Allora sì che avrebbe un senso pagare: da noi l’ex ministro Gasparri non è riuscito nemmeno a far met-tere un bollino di colore diverso a seconda se quel programma fosse finanziato dalla pubblicità o dal canone!!! u

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E ra solo pochi anni fa, quando il direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale (Izs) di Teramo, Vin-cenzo Caporale, ricordava alla stampa che “come la

Juventus competiamo e vinciamo, sia in casa che fuori dalle mura amiche”. Una dichiarazione che seguiva il ricevimento di so-stanziosi finanziamenti per progetti di cooperazione ma che già da allora faceva intendere la caratura della struttura di Via Campo Boario, alla luce anche di bandi di gara a dispetto di paesi corazzata come la Francia e l’Olanda. Erano quelle vittorie che avrebbero ringalluzzito chiunque: “Anche il vituperato sistema pubblico italiano può battere organizzazioni forti come quelle”. E’ di qualche giorno fa, un’altra vittoria – per importanza conse-guita “fuori dalle mura amiche” – che ha risolto l’annoso problema del commis-sariamento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” che perdu-rava ormai da più di tre lustri: è in dirittura d’arrivo infatti la nomina di un nuovo cda assieme ad un ambito stato di eccellenza, una soluzione quest’ultima che farebbe giungere a Teramo consistenti finanziamenti. Con ciò, oltre alla governance, sarà possibile un’ulteriore crescita dal punto di vista dell’autorevolezza scientifica. “Un obiettivo esaltante” afferma Chiodi che, con l’aiuto di spin doctor come Mazzarelli, Gatti e Di Dalmazio, ha lavorato alacre-mente sul fascicolo, invitando il suo collega molisano Iorio a seguirlo, con la firma un mese fa a Roma di un protocollo d’intesa presso il tavolo del ministro Sacconi. Il nuovo Cda,

eccellenze teramane di Maurizio Di Biagiogennaio 2010

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LoZooprofilattico

che andrà a normalizzare una situazione che si stava facendo imbarazzante, sostituirà l’attuale azione del commissario Verticelli. “La nuova governance dovrà essere disciplinata entro due-tre mesi – chiarisce l’aspetto l’assessore regionale Paolo Gatti – in parole povere il cda dovrà essere nominato entro questo lasso di tempo, altrimenti salterà lo status di eccellenza”, diverrà in buona sostanza carta straccia. Un espediente, questo, per velocizzare la pratica, un vincolo per mettere le ali al dossier, per abbattere le ritrosie di anni e anni di inattività. Nel nuovo cda saranno presenti cinque membri: due nominati da Gianni Chiodi, due da Michele Iorio, ed un altro diret-tamente da Roma. Per Teramo è stato un passo decisivo, fondamentale e di notevoli auspici per il futuro dell’ente sanitario di diritto pubblico dotato di autonomia gestionale e amministrativa che opera come strumento tecnico-scien-tifico, garantendo servizi veterinari pubblici. Il governatore Chiodi, che a fine dicembre scorso avrebbe dovuto annuncia-re la notizia in una conferenza stampa al Parco della scienza, poi rimandata per la nota vicenda della proroga delle tasse sul cratere, è chiaramente molto soddisfatto: “Ora tocca al consiglio regionale legiferare in materia – commenta il

teramano - normalizzando una situazione decennale di commis-sariamento”. Il lavorio è stato incessante ed il protocollo proposto dall’Abruzzo è stato anticipato da frequenti briefing tra i due presi-denti, i politici teramani e i colleghi molisani. Non ci si poteva sottrarre alla congiuntura astrale dei nostri

ragazzi in Regione. L’Istituto, che oggi conta circa 500 unità, offre servizi ad alto valore aggiunto ed elevato contenuto di conoscenza e innovazione nei settori della sanità animale e della tutela dell’ambiente, per la salva-guardia della salute degli animali e dell’uomo. Orga-nizzazioni mondiali, come ad esempio l’Oms, hanno affidato

a Via Campo Boario il ruolo di centro di collaborazione e labo-ratorio di referenza in specifici ambiti di attività. Nel tempo il percorso intrapreso si è rivelato vincente al punto che non ha mai smesso di esportare know-how nel campo della ricerca, della formazione, dell’analisi del rischio, della sicurezza alimentare, del benessere animale, dell’organizzazione, implementazione e gestione di banche dati anagrafiche degli animali. Gli artefici teramani della soluzione hanno mani-festato vivo apprezzamento per questo protocollo e hanno ribadito il successo come frutto di un lavoro importante. Alla fine è stato più facile di quanto si poteva prevedere, viste le annose reticenze che da lustri si sono manifestate sull’Izs. u

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dura lex sed lexpag

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L’ obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore non può essere supplito dal versamento di somme di denaro erogate in occa-

sione del compleanno dei figli. Questo, in buona sostanza, è il principio affermato dalla sentenza della Cassazione penale del 3 dicembre 2009 n. 46506, che ha respinto il ricorso presentato da un padre condannato per aver violato l’art. 570 c.p. 2 comma. Detta norma sanziona colui che fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legal-mente separato per sua colpa. Questi i fatti salienti della vicenda. La prima condanna, alla pena di dieci mesi di reclusione e ottocento euro di multa, è stata inflitta dal Tribunale di Brindisi ad un padre che aveva fatto manca-re i mezzi di sussistenza alle figlie minori, oltre che alla moglie, (omettendo di versare l’asse-gno di tre milioni di lire fissato dal Presidente del Tribunale in sede di separazione) nonostante avesse rilevanti disponi-bilità economiche. E’ risultato dalla istruttoria dibattimen-tale che l’uomo, oltre a non versare il predetto assegno di mantenimento, provvide pure a disdettare la fornitura del gas, lasciando così le figlie e la moglie al freddo. Confermata in secondo grado la colpevolezza dell’imputato e ridotta la pena della reclusione da dieci a sette mesi, il reo ha inoltrato ricorso per Cassazione, tentando di sovver-tire il verdetto a lui sfavorevole, adducendo profili di con-traddittorietà della sentenza. In particolare, il ricorrente ha dedotto che lo stato di bisogno delle figlie era contraddetto dal fatto che queste ultime non hanno presentato istanza di ammissione al patrocinio gratuito nel corso del proce-dimento penale. Oltre a ciò, il ricorrente, ha insistito sulla circostanza aver provveduto in occasione dei compleanni delle figlie al versamento di somme di denaro.Tuttavia la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso rite-nendo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente,

esente da censure la decisione impugnata. Riguardo alla mancata istanza di patrocinio gratuito (oggi previsto dal DPR 115 30 maggio 2002 che assicura ai cittadini titolari di un reddito aggiornato di anno in anno e tenuto conto dei componenti del nucleo familiare, la difesa a spese dello Stato nei processi civili penali e amministrativi ndr) i giudici del Palazzaccio hanno ritenuto infatti, che la scelta di non avvalersi del patrocinio a spese dello Stato non può costitu-ire indice di reddito sufficiente, potendo tale scelta, peraltro insindacabile, dipendere da motivi del tutto personali. Oltre a ciò, la mancanza di reddito autonomo da parte delle figlie era emersa con chiarezza dalla istruttoria dibattimentale e in ogni caso il raggiungimento di una qualche capacità reddituale non può implicare automaticamente una situa-zione tale da escludere il dovere paterno di contribuire alla fornitura dei mezzi di sussistenza. Per quel che concerne l’obiezione fondata sulle donazioni

elargite in occasione dei comple-anni, argomento questo ritenuto idoneo dal padre per escludere l’elemento psicologico previ-sto dalla norma in questione, La Corte ha osservato quanto segue. I versamenti occasionali del padre non sono stati ritenuti idonei a supplire gli obblighi fami-liari specie nella condizione in cui si sono trovati i familiari che sono stati costretti a rivolgersi ai parenti materni per provvedere alle elementari esigenze quoti-diane. Il disinteresse del padre verso le figlie si è manifestato in maniera incontestabile in svariate

circostanze come: disinteressarsi della loro salute o negare i soldi per la iscrizione all’università. Le sporadiche occasio-ni in cui il padre ha versato dei soldi per il compleanno non hanno alcun effetto scriminante per il fatto – reato anche perché un regalo è un regalo e altra cosa è l’adempimento di un obbligo giuridico. u

gennaio 2010

Buoncompleanno!(peccato che ricorra una sola volta in un anno)

a cura diAmilcare Laurìa ed Elvio Fortuna

avvocati associati

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G iuseppe lavorava come arrotino. Girava con la sua mola l’Italia per diversi mesi l’anno. Poi in estate tornava nella vallata per dare una mano nel periodo della raccolta. Oggi

vive nella campagna tra Montefino e Bisenti. Il dolore di testa a novanta primavere, non sa cos’è. Ha soltanto un po’ di tiroide ballerina e la dentiera che fatica a stare al posto suo. Sul muro, incorniciato, c’è un vecchissimo depliant turistico di un’epoca che non c’è più. L’invito è singolare: ”visitate l’Aeropoli vallata del Fino attraverso il pianoro della città del silenzio”. Il vecchio mostra una pubblicazione del Touring di oltre cinquanta anni fa, dove si legge: “Scendendo da Bisenti verso Castiglione, sulla sinistra, come nido feudale, le povere case di Montefino…”. Il tempo pare essersi fermato in questo borgo immerso nel silen-zio quasi sacrale, rustico e compatto con le sue case addossate su di una collina di calanchi, in pietra grigia, molte prive d’intonaco, ma comunque affascinanti a vedersi. Sono aggrappate l’una all’altra e circondate da muraglioni di sostegno. Bella la storia del nome che dal lusinghiero Montefiore, era passato a un orribile Montesecco, in ossequio al fatto che i calanchi rendevano difficili le colture in mezzo a terre argillose e secche. Poi, nel 1865, in bar-ba alla fisionomia aspra dei grossi banconi di roccia arenaria sui quali sorge l’abitato, il nome divenne, definitivamente, Montefino

in giro

Le vecchie abitazioni, si legge ancora: “disegnano contro il cielo, un profilo piuttosto ingrato, ingentilito solo da un campanile qua-drato dalla punta assai svelta”.L’anziano uomo ha un fremito quando mostra la foto della sua Enrichetta. La donna è partita in cielo, quasi in silenzio, un paio di estati fa. La foto la ritrae con l’immancabile gonna lunga a fiori con sopra il golfino color del cielo, i capelli raggruppati dietro la nuca con la forcina. Curava l’orto, rammendava, cucinava manica-retti da Dio e a sera si godeva il tramonto seduta sulla sua amata sedia di vimini. Per anni la donna ha lavorato alla produzione artigianale dei cesti in vimini. Nella valle del Fino era una risorsa importante, insieme alla lavorazione dell’uncinetto e del ricamo in stoffa. Ancora oggi le anziane del paese non hanno nulla da impa-rare da altre realtà più pubblicizzate come i tomboli di Pescoco-stanzo e i ricami di Canzano. Manufatti di alto artigianato ormai introvabili o quasi. Un’altra attività femminile era l’allevamento del baco da seta. Una pratica questa che richiedeva manodopera esperta e assiduo lavoro di gruppo. Tutti ricordano la figura di donna Rachele che, giunta a Montefino per assistere il fratello

parroco, si mise all’opera insegnando i dettami di questa difficile arte a tutto il paese. Scappo alla scoperta di Bisenti.Nella Bibbia, amici miei, si legge che fu Noè, quello del Diluvio Universale e dell’arca, a inventare il vino e gli piacque a tal punto, che fu pro-tagonista della prima sbronza nella storia dell’uomo. Vallo a dire agli abitanti di Bi-senti. Da queste parti la produzione del vino Montonico è qualcosa di sacro, sin dai tempi più antichi.

Popolato già in età preromana, questo grande borgo alla destra del corso del fiume Fino, apparteneva nel XII secolo all’abbazia di Montecassino e per anni in questo territorio si sono succeduti gli Sforza, i Fallerio, gli Acquaviva, che hanno contribuito a rendere illustre la storia del paese. C’è da non perdere l’antica torre medioevale, la splendida Casa Badiale dell’anno del Signore 1474, la Fonte Vecchia, il Loggiato di chiaro impianto medioevale, ma, soprattutto, la stupenda Santa Maria degli Angeli, fastosa basilica con il suo campanile di 40 metri, ricca di affreschi artistici, che custodisce una statua della Madonna, definita dagli esperti uno dei capolavori dell’arte sacra in Italia. Bisenti ha anche il suo spicchio di mistero e leggenda.

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La valle del Fino

di Sergio ScacchiaFoto di Sergio Pancaldi

Storie di vita lungola valle sconosciuta Itinerario alla scopertadel territorio solcatodal fiume Fino

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Superato il ponte sul Fino, prima di giungere al centro, 50 metri dopo il bivio per Arsita, è visibile un’antica casa in pietra. Gli abitanti giurano che quella era l’abitazione di Ponzio Pilato, ricordate il procuratore romano della Giudea, che condannò a morte Gesù e che s’inabissò per fuggire dagli sgherri dell’imperatore Vespasiano nel piccolo lago incastonato nei monti Sibillini?Verità o leggenda? Fatto è che in paese un rione è ancora oggi dedicato a Pilato, che nella casa ci sono antichissime cister-ne romane con un pozzo che si dice sia collegato tramite una serie di cunicoli alla Fonte Vecchia e che anni addietro qual-cuno ha ritrovato antiche monete molto simili ai sesterzi usati dai romani e, dicono, dal centurione amico di Pilato, che trafisse il cuore di Gesù, proveniente da una ricca famiglia di Lanciano. Resta sempre difficile spiegare perché una valle tra le più affascinanti dell’entroterra teramano come quella solcata dal fiume Fino, sia così trascurata e sconosciuta. Il fiume omonimo attraversa questo tortuo-so pezzo d’Abruzzo, prima di unirsi all’ab-braccio gorgogliante delle acque del Tavo.

La natura incontaminata, gli scorci incan-tevoli, la storia e tradizioni antichissime, le testimonianze di un passato glorioso, sono i valori aggiunti per una terra di colture e di vita contadina, zona di piccole proprietà e di onesto e quotidiano lavoro. La valle del Fino è un susseguirsi di dolci colline, boschi, campi coltivati, sempre do-minati dalla mole possente e aspra ma in qualche modo rassicurante, della dolomia del Gran Sasso. Ancora oggi questo spic-chio di provincia, è un mondo che ispira, spinge a confrontarsi con la grandiosità della natura e a interagire con essa. Arsita è a pochi chilometri di distanza. Pare vivere in una sorta di dolce arrende-volezza, popolata da gente tranquilla che sembra aver assimilato dentro la quiete dei vicoli. La vita qui ha un diverso valore di esistenze urlate e portate oltre ogni limite. Tutto intorno, le colline sono da quadro impressionista. Lo scatto dell’amico Sergio Pancaldi, fotografo di razza, rende mirabilmente la dolcezza d’insieme. Una descrizione del 1889 di Palmiro Pre-moli, recitava così:“le alture appaiono in tutta la loro maestosa imponenza. A sera, quando l’astro maggiore è sceso dietro

agli Abruzzi e sulle cime non isplende più che una fiamma porporina, sembra quasi di vedere i picchi delle rocce fondersi in un mare di fuoco” . E’ sera, infatti, ed è ora di intrattenerci piacevolmente in gastronomia: macche-roni alla molinara, mazzarelle, tagliatelle e fave, agnello alla brace, contorni di verdure dell’orto. Che bella la vita! u

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malcostume teramano gennaio 2010

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25di Maurizio Di Biagio

Z. T.L. ovvero: Zona Totalmente Libera, senso vietato al Senso Civico e una Teramo senza regole. Chi l’avrebbe mai detto che la nostra città risulta essere

una di quelle abusive, di quelle che la legge pare un optional, in cui si moltiplicano contrassegni, permessi facili, privilegi mandarinali, e autorizzazioni che riguardano addirittura gli estinti? Ad esem-pio chi l’avrebbe mai immaginato che in pieno centro vi fossero parcheggi privati gestiti da professionisti che destinano, dietro un compenso mensile di circa 50 euro mensili, o giù di lì, aree poco attrezzate ma molto redditizie ad altrettanti professionisti? L’ex comandante Adalberto Di Giustino era ad un passo dallo sgomina-re la malaparata, con il piantonamento dei siti da parte della sua intelligence, dei suoi uomini in barba e baffi finti, quando all’im-provviso s’è ritrovato in uno stanzino dietro una scrivania in Piazza Orsini, e il suo ufficio occupato da ufficiali “cum graduatoriae” (scusate il latinismo maccheronico) e “cum” nuovi numi tutelari. Chi avrebbe mai pensato che abusivi sono anche i tanti mezzi di enti pubblici (Comune, soprattutto, ma anche Provincia, Poste Italiane, e altri) parcheggiati nelle apposite soste del centro abitato teramano, addirittura nelle Ztl e isole pedonali? Un abusi-vismo che recentemente ha scatenato una ridda di polemi-che, soprattutto dopo che alcuni bobbies di casa nostra avevano sanzionato le Punto del Comune di Teramo che sostavano in questi stalli, già precedentemente dichiarati non conformi da un richiamo ufficiale di alcuni ispettori ministeriali che hanno lasciato a Piazza S. Francesco anche una nota scritta a tal proposito. L’art. 7 del Codice della strada parla chiaro: gli attuali parcheggi previsti per gli enti locali sono da ritenersi fuorilegge, malgrado l’ordinanza di Brucchi di novembre scorso che, derogando quella di Rabbuffo, esentava dal divieto di sosta l’auto del sindaco, quelle di alcuni settori comunali e del segretario generale. Frattanto però i vigili quando incrociano un’auto comunale sono soliti portare la penna su….la nuca e grattarsela: e ora che facciamo? questo è il leit motive. In attesa del Codice Brucchi, dell’ordinanza di marzo che dovrebbe far luce sulla questione, i vigili passano la mano. E poi. Chi l’avrebbe mai detto che con gli attuali varchi elettroni-ci che dovrebbero delimitare la Ztl e l’isola pedonale, furgoni e

Un varco alla barbarie

auto dei proprietari degli esercizi commerciali dei due corsi la facciano da padrone in qualsiasi orario, senza rispetto dei limiti e dei cittadini, senza farsi impietosire da bimbi in passeggino e mamme trafelate, delimitando il territorio con sbuffate di CO2 e violando una delle poche cose rimaste al cittadino: la libertà nel proprio giardino. Not in my back yard, please. Da palazzo, in questi anni sono usciti concorsi di idee per risolvere il caso che hanno fatto arrossire anche il creative più sfacciato della Coca Cola: si sono vagheggiati stalli a ridosso dei corsi, transpallet che avrebbero dovuto veicolare la merce, varchi elettronici con telecamere non funzionanti, cosicché all’automobilista bastava spingere il pulsante rosso che dalla centrale dei vigili urbani qualcuno – per non saper né leggere e scrivere – concedeva l’ac-cesso spalancando gli sportelli senza verificare nulla. Gli attuali limiti orari di carico e scarico merci non sono rispettati e c’è sem-pre qualche teramano che deve infrangere l’oasi. E’ abusivismo anche questo. Mentre ad un tiro di schioppo da qui, a S. Bene-detto del Tronto, solo per fare un esempio, l’isola pedonale è rigida, il commercio ne gode, la folla acquista, e la nave va. Però il rispetto dei limiti è pressoché teutonico. Colpa di Brucchi che non ha saputo imporsi in questo caso, colpa dei commercianti teramani che l’hanno ricattato ad aprire gli inutili varchi quando nelle altre città italiane ormai vigono telecamere e senso civico.Abusive sono anche le innumerevoli auto che stazionano negli stalli per gli invalidi civili senza possedere il relativo contras-segno, a scapito ovviamente di chi un deficit l’ha veramente. Ostinazione e cattive abitudini che, almeno nel secondo caso, il comandante Franco Zaina ha detto di voler continuare “a perse-guire con ferrea volontà e determinazione”. Certo rilevare il rea-to è oggettivamente difficile dal punto di vista procedurale, quindi ci si affida più a un altro tipo di trasgressione meno contorto: il possesso di contrassegni falsi o addirittura intestati a persone defunte, un reato facilmente identificabile attraverso l’avvenuta collaborazione con l’Asl. Il corpo della Polizia Municipale ha già denunciato alla Procura della Repubblica circa una ventina di automobilisti teramani che hanno commesso quest’antipatica infrazione: “E’ un tipo di abuso che non tolleriamo, deprecabile, – dichiara Zaina – che prevede reati come truffa e sostituzione di persona”. u

aspettando il codice Brucchi

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“T eramani”, ha sempre seguito le vicende della ciclo pedonale nel parco fluviale del Tordino, anche grazie alla collaborazione preziosa del professore Lucio De

Marcellis, autore del sito http://www.abruzzoinbici.it. L’assessore comunale Rudy Di Stefano, proprio mentre andavamo in stampa, ha informato sugli imminenti lavori per il ripristino del percorso che era stato interrotto in due punti dal cantiere del Lotto Zero. Nella mail l’amministratore comunica di aver ricevuto il nulla osta da parte della Regione Abruzzo e di essere in attesa del deposito dei calcoli strutturali presso gli Uffici del Genio Civile da parte del tecnico incaricato. Conferma inoltre la disponibilità economica per la realizzazione dell’opera e la manutenzione del Parco Fluviale, auspicando un incontro con le associazioni per parlare dell’esistente percorso da tabellare e valorizzare, dal Tiro a Segno, alla confluenza dei Parchi fluviali Tordino e Vezzola fino a Villa Pavone. Chi è interessato può visionare foto, mappa e informa-zioni su: http://www.abruzzoinbici.it/teramomare/foto0bis.htm. Abbiamo rimarcato diverse volte che la futura Teramo-mare ciclabile dovrebbe essere il naturale prolungamento verso valle, delle piste già realizzate nei parchi fluviali urbani del Tordino e del Vezzola. Il sistema integrato di questo polmone verde e gli impianti sportivi che vi sorgono (dal Palazzetto dello Sport di Scapriano, al campus spor-tivo universitario in corso di progettazione nei pressi della palestra S. Gabriele sotto Coste S. Agostino, ai numerosi impianti dell’Acquaviva fino allo stadio di Piano D’Accio), costituiscono un’autentica Valle dello Sport che bisogna dotare di un collegamento per mezzo di un percorso che consenta di passeggiare, fare footing, andare in bicicletta, pattinare. E’ un itinerario non solo sportivo, ma da utilizzare anche per muoversi, andare a lavoro, a scuola, ecc. Un collegamento alternativo per la città, non motorizzato, tra i suoi vari quartieri. Il per-corso che qui si propone unisce, per mezzo di una bella passeggiata, i quartieri della Cona-Piano Solare, del centro storico, della Stazione-Gammarana, di Cartecchio-Villa Pavone-Colleatterrato,di Piano d’Ac-cio e di San Nicolò. E poi più giù, fino al mare. La stazione di Teramo è a soli 200 metri dal punto di confluenza tra i due parchi fluviali. I turisti, per mezzo dei nuovi treni che consentono anche il trasporto

Teramo ecologica gennaio 2010

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La cittàdel pedone e della bici

delle bici, potranno recarsi dalle località costiere dell’Adriatico fino a Teramo e tornare indietro in bicicletta o viceversa. Il percorso che qui si espone inizia nei pressi della piscina olimpionica scoperta. La pista in pratica esiste già: è la stradina comunale inutilizzata al di là di un cancello grigio a fianco del ponte ciclo pedonale di legno sul Vezzola che collega il parco fluviale del Vezzola con quello del Tordino Sarebbe utilissimo rendere accessibile il percorso, aprendo un varco nel recinto dell’area comunale. La stradina già esistente co-steggia la parte posteriore sia della piscina scoperta che della piscina coperta, costeggia il campetto di calcio usato anche per il baseball. Si fiancheggia il lato corto dello stesso campetto. In questo tratto il per-corso andrà un poco allargato (basterà realizzare un piccolo muretto contro-terra di tufo). Lasciatasi alle spalle l’Acquaviva, si inizia a per-correre una stradina asfaltata per circa 400 m. La stessa più avanti diventa imbrecciata, costeggiando la superstrada Roma-Teramo-Giulianova. Il tracciato si snoda attraverso vari quartieri lungo la valle del Tordino, in sicurezza. Lasciata la stradina imbrecciata, si percorre un passaggio tra orti recintati. Qui si produce, fino a qualche anno, fa ottima frutta e verdura. Raggiunta la scarpata della superstrada si svolta a destra, passando sotto il ponte della superstrada, si gira a sinistra, costeggiandolo. In concomitanza con la sistemazione del percorso (con un’asfaltatura come lo sono le migliori piste ciclabili del mondo), questa zona potrebbe essere migliorata anche con la piantumazione di alberi, con la cura delle aree verdi adiacenti e con la messa in opera di eventuali attrezzature di legno per l’attività fisica. Si va sempre avanti percorrendo una piccola salita di circa di 150 metri, lasciando alle spalle il quartiere della Gammarana. Il tracciato

raggiunge la chiesa della Madonna di Cartecchio e poi via Luigi Maria Pirelli, proseguendo per Villa Pavone. Ai margini della carreggiata c’è lo spazio per creare una fascia ciclabile. Un’alternativa tranquilla e senza traffico è quella lungo il perimetro del cimitero

di Teramo. Occorrerebbe solo sistemare pochi metri di pista nella campagna. Si prosegue percorrendo il quartiere di Villa Pavone. In questo tratto si potrebbe creare una fascia ciclabile segnalata a terra con apposite strisce. All’incrocio con via Giuseppe Di Vittorio si va diritto, mentre a destra invece si può fare una visita al Museo della Cultura Popolare. S’inizia a percorrere via Martiri delle Foibe e poi via Bernardino Masci, proseguendo sempre in direzione del mare. Una possibile e interessante ipotesi è quella di poter continuare sempre diritto con un sentiero da realizzare, in quanto il percorso risulte-rebbe quasi pianeggiante e condurrebbe rapidamente nell’area dove oggi si trovano il Centro Commerciale Gran Sasso e lo stadio comunale. Ora si può scendere verso la piana fluviale nei pressi del depuratore di Teramo per poi risalire oppure, se si prosegue senza scendere al fiume, la futura pista ciclabile potrebbe costeggiare la ferrovia prevedendo un ponticello adiacente a quello ferroviario per poi sfruttare una stradina esistente che porta nei pressi dell’antica ed elegante villa Muzii. (continua) u

di Sergio Scacchia

parte seconda

Collaborazione e foto diLucio De Marcellis

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« I see you», ti vedo. Ancora una volta, nel cinema di Cameron eros è orasis (da cui etimologicamen-te deriva). La passione, necessariamente una

sofferenza (anche qui etimologicamente: patire), sorge dalla vista. «See you», ci vediamo. Il presente, se si toglie quell’I (io)/eye (occhio), è immediatamente il futuro. Vedo, mi appassiono, cambio me stesso, cambio il mondo. Guardo, cioè custodisco. L’interzona tra il pre e il post, splendore scuro della transitorietà che sfida l’invisibilità (in qualche modo rappresentata) che però approda di nuovo all’invisibilità. Come Titanic che (non) filmava l’in-teriorità della mistica Rose, adesso il nuovo film si chiude sull’occhio che si spalanca, ri-nato, in un altro mo(n)do, che va al di fuori del campo e del-la diegesi, direttamente all’interiorità dello spettatore. Al suo desiderio di cambiare le cose. Per il momento è tutto buio.Per fare di Avatar un grande film politico basterebbe l’immagine ra-dicalissima e umana, troppo umana del protagonista di Jake Sully spasti-co, sudato e ordinario che torna alla realtà di tutti i giorni dopo essersi “connesso” con il sogno di essere un altro corpo, ma soprattutto un’altra vita, un diverso essere (post) umano. Non marine mercenario, ma tradito-re della patria: eroe che passa dalla parte del torto. Quindi quella giusta. Senza altro accorgimento tecnico se non quello dello sguardo umano e umanista, la sequenza supera, in forza, drammaticità, incisività, l’omologa e pur bella del coevo Il mondo dei replicanti, quando il padre-surrogate e manichino giovane, che parla, impassibile e freddo come un anchor-man, del figlio morto, diventa, per virtù di spostamen-to di macchina e di dissoluzione di un artificio, un vecchio in lacrime con i denti gialli, ritorno choc alla realtà. Ma la vera realtà è il sogno, ci dice Cameron. Lo asseriva pure Gianni Rodari: «Se non c’è ci sarà, che differenza fa?» e Avatar

L’utopia now di “Avatar”

cinema di Leonardo Persiagennaio 2010

Ti Vedo, Ti (Ri)-Creo

è una grammatica della fantasia che ambisce, come ai tempi di Terminator 2, a reintegrare sulle scaglie metalliche del corpo cyborg il corpo umano. Ma shakerando i livelli, confon-dendoli. Mai manicheo Cameron, nonostante le apparenze. Ribaltamenti e tradimenti sono continui. Del protagonista che si racconta in uno schermo, come in una qualsiasi puntata del “Grande Fratello”, o si “masturba” connettendosi a Internet, finendo per trascurarsi, alienarsi, puzzare, non vivere più, Cameron non dice peste e corna, al pari di un qualsiasi intel-lettuale da salotto (televisivo). Lo com-prende, lo guida per mano. Diventa Jack con Rose sulla prua del Titanic. Lo vede. Lo ama. «I see you». Gli suggerisce il da farsi, gli insegna a vivere. Sapendo che sta vedendo e com-prendendo sé stesso. L’equiparazione regista/spettatore e spettatore/personaggio è completa. La Rose/film, testimone dell’oralità, per l’homo videns, consumista e insensibile, del monitor-dipendenza.

D’altra parte, è stato Cameron a inventare lo squid, nel film della sua ex Kathryn Bigelow, Stran-ge Days. L’aggeggio op-segno deleuziano scopritore della visione altrui. Entro nell’altro per scorgere dentro di me. E viceversa. Nessuna snoop vision, tanto cara ai ciechi vedenti di oggi. Solo deep core: immagine della verticalità (interna, esterna) fino al fondo dell’abyss. Il motivo dell’ombra appartiene alla psicologia junghiana. La luce appa-re proprio quando le cose si fanno buie. La bruttura di Jake Sully (cioè “sudicio”, “macchia”: il cuore di tenebra occidentale) è propedeutica alla sua rinascita. Lo stesso inferno in cielo di Sigourney Weaver in Alien(s), qui replicata come Grace, grazia. Ma soprattutto è parados-sale e ironico che i bisogni umani fondamentali (vivere in armonia, in pace, essere liberi) siano collocati al di fuori dell’orbita terrestre. In altri pianeti (Pandora), in altre epoche (2154). Realtà solamente virtuali. Cioè potenziali. «I have a dream». Politica del segno/sogno al di là del velo che sarebbe piaciuta

al povero Guy Debord: «Dato che la necessità reale finisce per essere sognata, il sogno diventa necessario». E questo sogno, prerogativa del nuovo vedere, concretizzato in iper-spettacolo, si raggiunge negando lo spettacolo, gli strumenti che mediano il visibile.Il Cameron-pensiero è totale, da sempre annette (e connette) a sé il contrario. Le creature del pianeta Pandora si collega-no con dei cavi all’anima e all’animale. L’organico si avvale dell’inorganico, l’umano del non umano. Così, l’orrore sposa la

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I n un territorio che offre produzioni da primato per il Made in Italy va garantita la legalità per combattere inquietanti

fenomeni malavitosi che umiliano gli uo-mini e il proprio lavoro e gettano un’ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell’attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, al servizio del bene comune. Va combattuta senza tregua ogni situazione di becera sofisticazione delle nostre più eccellenti produzioni che

coldiretti informa

sono componenti strutturali dell’agroali-mentare Made in Italy. Queste inopportune sofisticazioni, che mettono a rischio il futuro delle imprese agricole, colpiscono la componente più debole delle imprese produttrici di tanto buon latte di bufala, che operano nella legalità. La mozzarella di bufala, prodotto eccellente dell’agro-alimentare Italiano, molto apprezzata dal consumatore italiano e non, è stata consumata nel 2009 da quasi un italiano su due e si classifica tra i formaggi preferiti a livello nazionale e internazionale dove svolge un ruolo di traino del Made in Italy, alimentare e non. E’ quanto emerge da una analisi della Col-diretti in occasione del Commissariamento del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala da parte del Ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia. Una decisione questa che deve aiutare a fare chiarezza su un prodotto simbolo

dell’agroalimentare Made in Italy che è destinato per il 16 per cento all’esporta-zione e che offre opportunità di occupazio-ne a 20mila persone con una produzione annuale di circa 31 mila tonnellate per un valore di oltre a 300 milioni di Euro. Dal 12 giugno 1996, la Mozzarella di Bufala Campana ha ottenuto il riconoscimento del marchio a Denominazione di Origine

Protetta e ora è al quarto posto per produ-zione tra i formaggi DOP. Nella produzione di mozzarella di bufala sono impegnati oltre 3mila imprenditori e 370 caseifici, con intorno a 250.000 capi allevati, di cui circa 130 mila bufale in lattazione, distribuiti in 1850 allevamenti. L’80 per cento degli animali è distribuito nell’ambito del territorio campano, il restante 20 per cento è dislocato nel basso Lazio, in Puglia e in Molise, secondo la Regione Campania. Il Commissariamento del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala, alla cui presidenza c’era un industriale del settore e non un allevatore, deve essere l’occa-sione per riequilibrare la presenza degli allevatori nel Consorzio, dove fino ad ora ha prevalso la componente industriale, per realizzare un necessario e profondo cambiamento, a garanzia degli allevatori e dei consumatori. u

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29di Nicola LucciColdiretti Teramo

gennaio 2010

una sofisticazione industriale chesta mettendoin crisi un settore produttivodell’eccellenza agroalimentaredel made in italy.

bellezza. L’amore la morte. Il plot ripro-duce il passato storico (umano) e gli ar-chetipi narrativi già-visti, ma reinventati. Avatar potrebbe anche essere una parabola stereoscopica sull’uomo now che può solo immaginare, vedere, fantasticare senza mai fare. Ci riflettiamo meschini nel Jack back to the present di cui sopra. Immagine insostenibile. Visione lacaniana di (non) riconoscibilità. Allora tutto deve necessariamente tradursi nelle nozze sacre interiori, nella ri-comprensione dell’opposto. Uomini che diventano tali quando si femminilizzano e donne che ri-nascono mascolinizzandosi. Coincidenza yin e yang. Afrodite con la barba e Dio-niso che sculetta. L’avevamo visto già

con Jack di Titanic, che moriva come un’eroina, mentre la vera eroina, Rose, finiva per incarnare gesti, sguardo e

sputi del suo Jack. Trans-missione del vedere. Transcopia. Da Jack a Jake. Da Rose a Grace (alchemicamente è

lo stesso). E creazione di una nuova lingua: quella dei Na’Vi. Neytiri, bel-lezza e seduzione, sangue e sacrificio.

Rendere sacro. Il fiore di Venere diventa il sangue di Cristo. Una volta di più, una donna plero-ma su un corpo maschile privo di vita: passione e Passione. Contagio di identità. Incarnarsi. «Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi e per ristabilire i principi della Giusti-zia». Avatar cioè Dio ri-disceso in un altro corpo, un altro film, un altro sguardo. Abbiamo già (il vaso di) Pandora. Cioè tutti

i doni. Dobbiamo solo chiudere gli occhi wide. Riaprirli shut. Uscire dallo schermo. Ri-vedere tutto. u

Mozzarella di Bufala

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A ncora propizia l’11ª giornata di A di basket per Banca-Tercas che batte al PalaScapriano la Martos Napoli con il risultato di 85 a 71 aumentando, così, il suo

bottino di vittorie (sei contro le cinque perse) e migliorando decisamente la sua posizione, 7° posto in classifica prima della sosta natalizia, in compagnia di Biella, Treviso e Bolo-gna. E’ stata una settimana travagliata per la Martos Napoli, che subisce ancora punti di penalizzazione, per inadempienze amministrative, da parte degli organi disciplinari della F.I.P. Resta ultima in graduatoria con -8 punti e rende ancora più arduo il prosieguo del suo torneo. BancaTercas ha giocato la sua onesta partita senza forzare più di tanto. Alla fine ha avuto la meglio grazie alla migliore organizzazione di squadra e al maggiore tasso tecnico. Intanto la F.I.P. ha presentato il nuovo condottiero della Nazionale Italiana, Simone Pianigiani, allenatore del Montepaschi Siena. Il suo compito, non facile, è quello di riportare l’Italia a livello europeo e, fra tre anni, ai Giochi di Londra. L’ultimo impegno di questo meraviglioso 2009, per la BancaTercas, è stato svolto nella Città di Campli per il ”1° Memorial Enzo Borgognoni” a ricordo del dirigente farnese scomparso un anno fa. Il trofeo è stato vinto dalla BancaTercas che ha battuto la Fileni Aurora Iesi, compagine di LegaDue con il risultato di 89 a 74. L’incontro amichevole, disputato in un Palazzetto colmo d’appassionati, è emerso vivace ed interessante. Corsi e ricorsi storici, l’amatissimo Enzo è stato anche un buonissimo giocatore della Teramo Basket negli anni ‘60/ ‘70. La ripresa del campionato, la prima del nuovo anno 2010 e 12ª d’andata, ha visto la BancaTercas soccombere in quel di Pesaro, contro la Scavolini, con il risul-tato di 82 a 78: la squadra marchigiana è al quarto successo consecutivo in questo campionato. La gara, risultata com-battuta ed intensa fin dalle prime battute, ha avuto la svolta decisiva nel terzo quarto, quando l’asse Green, Williams e Hicks è riuscito ad imporsi sull’asse Poeta, Amoroso, Diener. Due sole le vittorie esterne in questa giornata e non poteva essere diversamente. Il solito Siena che vince anche a Treviso, Biella che sormonta Napoli strapazzando una squadra com-posta da giovanissimi e in un clima di contestazione contro la società partenopea. Da rilevare che Roma, dopo l’avvento di Boniciolli, infila il suo secondo risultato utile battendo Milano al PalaEur. Per la 13ª giornata, la BancaTercas, ritorna alla

basket di Bebè Martorelligennaio 2010

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BancaTercastra Campionatoe Eurocup

vittoria battendo al PalaScapriano la neo promossa Vanoli Cremona con il risultato di 85 a 74. Partita poco vivace ed interessante per i primi due quarti, il confronto dava l’impres-sione di un’amichevole, ritmo blando, manovre offensive lente e tanta imprecisione nelle conclusioni. In quest’inizio incerto di Teramo, Cremona ne approfittava cercando di fare sua la partita ma i suoi limiti venivano fuori tutti nel terzo e quarto tempo, non appena la BancaTercas, svegliandosi dal suo torpore, imprimeva più intensità e più concretezza alla sua prestazione. Non ha giocato Stanescu a causa di un leggero infortunio alla caviglia. Grande accoglienza è stata riservata a Brown Brandon, ora nelle fila del Cremona e premiato con una targa dal Presidente della Teramo Basket, Avv. Carlo Antonetti, per aver lasciato un ottimo ricordo, di atleta e di uomo, nei suoi tre anni di permanenza qui a Teramo. In questa giornata non si sono avute vittorie esterne e… seguita il calvario di Napoli. Si preannuncia un finale di girone d’andata molto interessante soprattutto per la BancaTercas, che ha l’opportunità di conquistare la 7ª posizione in classifica per il raggiungimento della Final Eight di Coppa Italia. Per il secon-do anno consecutivo, determinanti gli ultimi due confronti a Treviso contro la Benetton e al PalaScapriano contro la Sigma C. Montegranaro. A proposito di Finale di Coppa Italia sembra che la sededello svolgimento della manifestazione non sarà più Avellino ma Roma.

Eurocup Perde in Ucraina la BancaTercas Teramo nonostante uno strepitoso Diener. In questa 4ª giornata del girone di ritorno, l’Azovmash riesce ad avere una leggera supremazia nell’ul-timo quarto e vince la sua prima partita, con il risultato di 90 a 82. Nell’altro incontro si registra anche la prima sconfitta, per l’Alba Berlino, battuta in Turchia dal Galatasaray con il risultato di 93 a 79. Per la 5ª giornata di ritorno, BancaTercas ha ospitato al PalaScapriano una formazione di prestigio, l’Alba Berlino, capolista del girone A. La gara è stata giocata molto bene dalle due formazioni ma la squadra tedesca si mostrava più tattica, ha badato solamente a contenere la compagine teramana. Il punteggio finale di 65 a 66 a favore dell’Alba Berlino, conferma il predominio delle difese sugli attacchi ma, nello stesso tempo, premia più del necessario la formazione avversaria. Nell’altro incontro il BC Azovmash ha battuto il Galatasaray con il risultato di 96 a 85. A questo punto l’Alba Berlino ha già superato, con una giornata di anticipo, la qualificazione alla fase successiva. Per la 6ª e ultima giornata di questa fase, alla BancaTercas non riesce il colpo di vincere in Turchia contro il Galatasaray e perde con il punteggio di 87 a 80. Teramo esce con onore da quest’importante competizio-ne dopo aver giocato una partita intensa e combattuta. Tutti bravi i cestisti teramani ma Hoover è stato superlativo. Forse deleteria l’assenza di Amoroso. Sarà proprio il Galatasaray, che ha conquistato la piazza d’onore del girone, a seguire la formazione tedesca, tra i Last 16, in quanto la squadra Ucraina ha perso la concomitante gara in Germania contro l’Alba Berlino con il risultato finale di 82 a 78. u

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