MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA Bugie … · Roberto Bàrbera, Leonardo Becchetti,...

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito ANNO XXVI GIUGNO 2012 6 L’INCHIESTA Diritti da difendere Acqua preziosa FOCUS San Paolo Tra i dannati della droga Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46), art. 1, comma 2, DCB Roma • Euro 2,50 PRIMO PIANO Sudan Linea di contesa tra Nord e Sud Bugie Bugie in pillole in pillole

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M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

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ANNO XXVI

GIUGNO2012 6

L’INCHIESTADiritti da difendereAcqua preziosa

FOCUSSan Paolo Tra i dannati della droga

Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46), art. 1, comma 2, DCB Roma • Euro 2,50

PRIMO PIANOSudanLinea di contesa tra Nord e Sud

Bugie

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENALa rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Mario Bandera,Roberto Bàrbera, Leonardo Becchetti, Francesco Ceriotti, Franz Coriasco,Riccardo Cristiano, Ludovico D’Attilia, Francesca Lancini, Martina Luise,Luciana Maci, Davide Maggiore, Paolo Manzo, Enzo Nucci, Angelo Paoluzi,Alfonso Raimo, Massimo Ruggero, Cesare Sangalli, Alex Zappalà.Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Afp Photo Jean-Pierre MullerFoto: Afp Photo / Georges Gobet, Afp Photo / Lionel Guarigio, Phto Afp / Pio UtomiEkpei, Afp Photo / Tony Karumba, Afp Photo / Stephane De Sakutin, Afp Photo / RizwanTabassum, Afp Photo / Hassan Asif, Afp Photo / Pedro Armestre, Afp Photo / Str, Afp/Evaristo Sa, Afp Photo / Saeed Khan, Afp Photo / Jonathan Nackstrand, Afp Photo / MikeClarke, Afp Photo / Christophe Archambault, Afp Photo / Soe Than Win, Afp Photo /Louai Beshara, Afp Photo / Ashraf Shazly, Afp Photo / Adriane Ohanesian, Arab News(SANA), Archivio Missio, Sebastian Balansuah, Antonella Bertolotti, Hemis.Fr, PaoloManzo, Issouf Sanogo, Alex Zappalà.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato aPopoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e MissioneCod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT)Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 23-05-2012Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioSezione Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 Roma

Don Giovanni Attilio Cesena, DirettoreDr. Tommaso Galizia, Vice DirettoreDon Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazionedella Fede (C.C.P. 63062723)Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855)

Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06 6650261Amministrazione 06 66502628/9P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6P. Unione Missionaria 06 66502674Missio Giovani 06 66502640Opera Apostolica 06 66502641Fax 06 66410314

“Popoli e Missione”Centralino 06 6650261Direzione e Redazione 06 66502623/4Segreteria 06 66502678Settore abbonamenti 06 66502632Fax 06 66410314

Indirizzi e-mailPresidente Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Missio [email protected] Propagaz. della Fede [email protected]. Pietro Apostolo [email protected] Infanzia Missionaria [email protected] Unione Missionaria Clero [email protected] Opera Apostolica [email protected] Missio Giovani [email protected] e Missione (Redazione) [email protected] Popoli e Missione (Direttore) [email protected] [email protected] Amministrazione [email protected]

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESELa Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:

PER UN LEGATO· di beni mobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istitu-zionali dell'Ente».

· di beni immobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».

Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])

PER UNA EREDITÀ«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sedea Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specifi-care quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni miaprecedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nella forma di scrittura privata a condizione chesia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inol-tre che la sottoscrizione autografa posta alla fine delle disposizioni contenga nome e cogno-me del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamen-to viene scritto.

INTENZIONI SS. MESSE

l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzionedelle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

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1P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 2

Molte volte, in questi anni, ab-biamo dato spazio sulle paginedi Popoli e Missione ad una

serie di riflessioni sui temi dell’economiae della finanza. Come redazione, siamoconvinti che le ragioni siano ormai chiareai nostri lettori, non foss’altro perchéparlare di solidarietà evangelica, pre-scindendo dal quadro internazionale deimercati, significa ridurre ogni buona in-tenzione a bolle di sapone. Peraltro inagguato vi è sempre più il rischio di se-parare la riflessione missionaria dai pro-blemi reali della gente in carne ed ossa,poco importa che si tratti dell’artigianodi Poggibonsi o del pastore masai. Pren-dendo allora lo spunto dalla cronaca, èbene ricordare che recentemente il go-vernatore della Banca d’Inghilterra, Mer-vyn King, ha chiesto la riorganizzazionedel sistema bancario. Durante una con-ferenza promossa dalla nota emittentebritannica BBC (Today Programme Lec-ture), King ha avuto il coraggio di rico-noscere che bisogna separare le cosiddette“banche essenziali”, meglio note come“banche commerciali”, dalle “banche fi-nanziarie”, coinvolte molto spesso intransazioni rischiose che hanno conta-minato i mercati con i tristemente famosi“prodotti tossici”, i derivati, sul circuitoOtc, ovvero, al di fuori di ogni regola-

mentazione e controllo pubblico indi-pendente. Naturalmente l’Alta finanzaguarda King come il fumo negli occhiper questo suo tentativo di voler separarele attività commerciali dal trading fi-nanziario. Ma non c’è via di uscita perridare stabilità, se non vogliamo che apagare siano sempre i ceti meno abbienti.La separazione è essenziale, ha affermatoperentoriamente King «per rendere piùsicura la nostra economia». Qualcuno,anche qui in Italia, vorrebbe che lafinanza nel suo complesso fosse sempree comunque un cane sciolto, ma conquali risultati? Ecco allora che, comecredenti, dovremmo saper leggere e in-terpretare i fenomeni sociali determinatidalla globalizzazione dei mercati «conintelligenza e amore della verità – propriocome si legge nel Compendio della Dot-trina sociale della Chiesa - senza preoc-cupazioni dettate da interessi di gruppoo personali» per un agire corretto dellepolitiche economiche (cfr Cds §320).Proprio perché per molti governi si stagiocando una partita difficile, è indi-spensabile garantire l’esistenza delle per-sone umane, create a immagine e somi-glianza di Dio e dunque dotate di diritti,attraverso regole condivise, che possanoridistribuire il potere nel villaggio globaletra chi lo esercita e chi può controllarlo.

EDITORIALE

Peccatifinanziari

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

»

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Indice

EDITORIALE

1 _ Peccatifinanziaridi Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ SudanSulla linea di contesa tra Nord e Suddi Davide Maggiore

7 _ Intervista a padre Paolo Dall’OglioSiriaRivolta popolare o guerra civile?di Riccardo Cristiano

ATTUALITÀ

10 _ BrasileTra i dannati della drogadi Paolo Manzo

FOCUS

14 _ MalawiL’Africa è sempre più donnadi Luciana Maci

16 _ PakistanUomini di fede, profili di coraggioCesare Sangalli

L’INCHIESTA

19 _ Diritti da difendereAcqua preziosadi Chiara Pellicci

SCATTI DAL MONDO

22 _ Foreste in pericolo ebuone pratiche localiA cura di Emanuela Picchierini

PANORAMA

26 _ MyanmarLa lunga marcia verso la democrazia di Miela Fagiolo D’Attilia

DOSSIER

29 _ Salute in pericoloFarmaci fasulli per il Sud del mondodi Massimo Ruggero

37 _ L’altra economiaQuando il consumo etico fa la differenzadi Leonardo Becchetti

4

29P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 22

(Segue da pag. 1)

Se il profitto è l’unica bussola, rischia-mo di sciupare malamente lo straordi-nario dono della creazione. Ecco per-ché, oggi più che mai, le questioni eco-nomico-finanziarie, per noi cristiani,sono davvero “terra di missione!”.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38 _ SussidiarietàAl di là del Welfaredi Ilaria De Bonis

41 _ Intermed onlusLe piaghe del corpo e quelle dell’animadi Miela Fagiolo D’Attilia

44 _ MutamentiRivoluzioni demograficheDai figli unici cinesi alla fertilità in declinodegli arabidi Luciana Maci

46 _ L’altra edicolaDisinformazione SiriaDamasco, regime a rischiodi Francesca Lancini

49 _ Posta dei missionariLà non celebra nessunoa cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

52 _ ControcorrentePrendere ai poveri perdare ai ricchidi Mario Bandera

53 _ MusicaChe fine ha fatto la world music?di Franz Coriasco

54 _ LibriStorie di Vangelo dapunti di vista singolaridi Giulio Albanese

54 _ I cristiani del futurodi Chiara Anguissola

55 _ Immigrazione, una sfidaper l’informazionedi Martina Luise

3P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 2

1455 _ Istantanee dalla Tanzania

di L.D.A.

56 _ Ciak dal mondoMucche volantidi Miela Fagiolo D’Attilia

FONDAZIONE MISSIO

58 _ Missio GiovaniEstate in movimentodi Alex Zappalà

60 _ PumConvegno seminaristidi Alfonso Raimo

61 _ Spazio GiovaniAl CoMiGi insieme con Pietrodi Alex Zappalà

62 _ Intenzione missionariaLe radici d’Europadi Francesco Ceriotti

63 _ Inserto PUMIntervista a don Alfonso RaimoMissione, la primavocazioneA cura di Miela Fagiolo D’Attilia

GLI O

SSER

VATO

RI

BALCANI PAG. 8

Kosovo, pasticcio giuridicodi Roberto Bàrbera

AFRICA PAG. 15

Somalia in modulazione di frequenzadi Enzo Nucci

AMERICA LATINA PAG. 40

La via crucis di Haitidi Paolo Manzo

FEDI A CONFRONTO PAG. 43

I cristiani tedeschi e l’ecumenismodi Angelo Paoluzi

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PRIMO PIANO Sudan

È un conflitto permanente, quellotra il Nord e il Sud del Sudan.Dalla prima ribellione denomi-

nata Anya Nya I, (1955-1973), alla

2005), cui si è aggiunta la guerra delDarfur del febbraio 2003, la contrap-posizione prosegue ininterrotta. Tanto

di DAVIDE [email protected]

da essere sopravvissuta al referendumche nel gennaio 2011 ha sancito l’indi-pendenza del Sud e anche alla nascitaufficiale del nuovo Stato, il successivo9 luglio, con l’ascesa al potere nella gio-vane capitale Juba dello SPLM (il brac-cio politico dello SPLA), guidato daSalva Kiir.È stato l’omologo nordista di Kiir, Omaral-Bashir, a dichiarare che questa storiapluridecennale di contrapposizioni «fi-

nirà solo a Khartoum o Juba», al mas-simo livello. La minaccia di Bashir algoverno rivale arrivava negli stessigiorni di aprile in cui il Parlamento diKhartoum dichiarava all’unanimità ilSud Sudan «un nemico che va trattatocome tale» e i due eserciti si confron-tavano nella zona petrolifera di Heglig,rivendicata da entrambi. Una crisi cheil nunzio apostolico monsignor Leo Boc-cardi, definiva alla Radio Vaticana come

Sulla linea di contesa tra Nord e Sud

seconda edizione del conflitto (1983-

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parallelo a quello di Juba), e quei terri-tori le cui popolazioni – di origine afri-cana - avevano parteggiato per il Suddurante la guerra civile, ma restano sot-toposte all’autorità di Khartoum, nellaparte “arabizzata” del Paese. Si trattadello stesso Kordofan meridionale, maanche del Blue Nile, Stati in cui operanole forze ribelli del cosiddetto SPLA-North. Finanziate e supportate, accusail governo nordista, da Juba. Che nega

«lo scontro militare più grave» dopol’indipendenza Sud-sudanese.Heglig (con l’intero Stato “nordista” delKordofan meridionale), però, è solo unadelle zone di tensione a cavallo dellafrontiera tra i due Paesi, lunga oltre1800 chilometri e contestata da en-trambe le parti: altre sono Abyei (an-ch’essa zona petrolifera, che avrebbedovuto decidere se aderire al Nord o alSud con un referendum – mai svolto -

e ritorce contro Khartoum l’accusa diaver fornito armi a gruppi combattentianti-governativi nel Sud.

RISORSE PREZIOSESi tratta di regioni disputate quantoricche di risorse: la terra, da pascolo ecoltivabile, ma anche il petrolio. Questocostituisce la prima fonte di entrate siaper il Nord che per il Sud (che dal-l’esportazione di greggio trae ad- »

Nella foto:

Soldati sudanesi in posa con le armi aHeglig, zona petrolifera a cavallo dellafrontiera tra il Sudan e il Sud Sudan.

A quasi un anno dall’indipendenza del SudSudan, Juba e Khartoum si contendono alcunezone del confine tra i due Stati, lungo oltre 1800chilometri e contestato da entrambe le parti. Il riaccendersi dei focolai di violenza risveglia i fantasmi della guerra civile, che a fasi alterne,dal 1955 al 2005 ha causato milioni di morti. Ma sono ormai tre decenni che l’area ricca dipetrolio attira interessi economici internazionaliche costringono la popolazione civile a vivere incondizioni di continua precarietà e paura.

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PRIMO PIANO Sudan

zione generale di molti sfollati e rifu-giati era già precaria».In più occasioni – ricordava Watson -la Croce Rossa aveva «donato materialechirurgico, medicine e altri articoli es-senziali all’ospedale civile di Bentiu»,capitale dello Unity State in Sud Sudan,dove all’inizio dello scorso aprile avevaoperato anche «un’équipe chirurgicad’emergenza» per prestare cure ad al-cuni combattenti feriti. E quelle medi-che sono solo alcune delle necessità dichi subisce le conseguenze del con-flitto: molti – compresi i prigionieri diguerra – hanno perso contatto con ipropri familiari, mentre la difficoltà nel-l’approvvigionamento d’acqua ha ri-guardato sia alcuni campi di rifugiati(come Jamam, nello Upper Nile sud-sudanese) che le comunità rurali colpitedal conflitto. Ventimila Sud-sudanesisolo tra marzo e aprile scorsi hannoinoltre ricevuto semi e attrezzi agricoliutili a garantire raccolti sufficienti.Nello scontro dei due Sudan – silen-zioso o aperto – i cittadini sono i primisconfitti.

sudanese anche per l’impatto che puòavere sul problema della ripartizionedelle acque del Nilo, ancora una dellechiavi per lo sviluppo economico dellaregione.

I CIVILI, PRIME VITTIMEÈ sotto questi sguardi che il contrastotra i due Sudan continua. E a pagarneil prezzo sono soprattutto i civili, in uncontesto compromesso ben da primadella crisi di Heglig. In quelle settimaneerano oltre 110mila (ma il numero ènel frattempo cresciuto) i rifugiati pro-venienti dall’intero Kordofan e dal NiloBlu, ospitati in campi nel territorioSud-sudanese e, per quanto riguardaquelli del Blue Nile, etiopico: dati con-fermati da Fatoumata Lejeune-Kaba,portavoce dell’Alto Commissariatodelle Nazioni Unite per i Rifugiati(Unhcr). Simile il quadro tracciato neglistessi giorni da Ewan Watson, della de-legazione della Croce Rossa Interna-zionale a Juba, secondo cui, pur in as-senza di «grandi movimenti di persone»nelle settimane precedenti, «la situa-

dirittura il 98% del suo Prodotto in-terno lordo). Proprio a causa della se-cessione, Khartoum ha invece perso itre quarti del suo export petrolifero,perché la maggior parte dei pozzi sitrova al Sud.Juba, dal canto suo, può esportare greg-gio solo utilizzando un oleodotto cheattraversa il territorio Nord-sudanese,almeno fino alla realizzazione di un col-legamento col porto kenyano di Lamu,e i due Sudan sono divisi anche sui pe-daggi da pagare per il transito. Ed è an-che (se non soprattutto) il petrolio afar convergere sui due Paesi molti occhi.Innanzitutto quelli delle potenze glo-bali: Stati Uniti in testa, che sono statitra i più grandi sponsor internazionalidi Juba (ma nell’aprile scorso hanno an-che condannato duramente l’occupa-zione di Heglig), e, inversamente, forticritici di Khartoum, che rischiò di com-parire nella lista dei cosiddetti “Staticanaglia” (negli anni Novanta il Sudanfu usato come base anche da Osamabin Laden).Una complessa posizione di equilibriodeve tenere invece la Cina, sto-rica alleata del governo di Ba-shir, e coinvolta nella gestionedell’oleodotto tra i due Paesi.Ma che compra greggio tantoda Khartoum quanto da Juba,e sfrutta pozzi petroliferi sia aNord che a Sud del confine.Attente all’evolversi del con-flitto sono anche le nazioni vi-cine: come l’Uganda, il cuicapo dell’esercito, generaleNyakairima, aveva dichiaratonell’aprile scorso che il suoPaese, in caso di guerra tra idue Sudan, sarebbe stato co-stretto a intervenire. O l’Etio-pia, coinvolta nel progetto dicostruzione di un ulterioreoleodotto tra il Sud Sudan eGibuti. O, ancora, l’Egitto, direcente protagonista di untentativo di mediazione diplo-matica e attento alla questione

6 P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 2

Nella foto:

Una madre col suo bambino rifugiata in unagrotta al di fuori di Tess, in Sud Kordofan,Sudan. Migliaia di persone provenienti dai

Monti Nuba vivono nelle caverne persfuggire agli attacchi aerei da parte delle

Forze Armate di Khartoum.

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Intervista a padre Paolo Dall’Oglio

P adre Paolo Dall’Oglio, gesuita,animatore da decenni della co-munità monastica di Mar Musa,

ha rischiato più volte l’espulsione dallasua amata Siria. Ma è riuscito a rimanerein quello che ormai considera il suoPaese senza rinunciare a dare anche unatestimonianza su quella che è una dellepagine più agghiaccianti, sanguinose,della storia araba contemporanea. Giàdiversi giorni fa le statistiche ci hannodetto che è stata superata la soglia delle11mila vittime, che è il numero dellepersone che persero la vita a Sarajevo

non si è ancora schierato. Come nonaiuta il fatto che per gli Stati Uniti que-sti siano i mesi della campagna eletto-rale e che le preoccupazioni di Obamasiano ovviamente concentrate su que-sto appuntamento. La questione ira-niana poi è ancora tutta aperta e latensione tra sunniti e sciiti è altissima,si sta radicalizzando, nel senso che pre-valgono le posizioni dei radicali. Israele,poi, a mio avviso, non ha interesse aun mutamento, questa radicalizzazionenon la vede male perché sposta l’at-tenzione, occupa i radicali e consentedi procedere con minori tensioni allacolonizzazione della Cisgiordania.Quindi come si potrebbe essere

durante gli anni del tragico assedio cet-nico della città. E questo dato non tieneconto, ovviamente, di feriti, deportati,internati, torturati. Questa storia è parsaper un momento incamminarsi verso uncessate il fuoco. Nel quale però, sin dal-l’inizio - va detto - hanno creduto inpochissimi.

Perché tanto pessimismo?«Perché un cessate il fuoco ha bisognodi un orizzonte comune per reggere. Efrancamente oggi è difficile vederlo.Anche per numerosi fattori esterni chenon concorrono a determinarlo. Pos-sono essere facilmente enumerati. Pu-tin, nuovamente alla testa della Russia,

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SiriaSiriaRivolta popolareo guerra civile?

»

di RICCARDO [email protected]

Nella foto:

Padre Paolo Dall’Oglio,gesuita, da anni sioccupa della comunitàmonastica cattolica dirito siriaco di Mar Musa,nei pressi della cittadinadi Nabk, a nord diDamasco, in Siria

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PRIMO PIANO

ottimisti? L’ottimismo dovrebbero cre-arlo i siriani, ma una discussione apertaall’interno della Siria è impossibile, per-ché gli spazi di discussione in questoPaese sono più angusti di quello chequalche osservatore italiano può im-maginare o ritenere. E allora mi sonopermesso di proporre che questa di-scussione avvenga all’estero. I media,dovunque siano presenti cittadini si-riani, dovrebbero offrire loro lo spazioper un libero confronto, ponendo lorosemplici domande: siete contenti? Vipiace la guerra civile? A chi può farpiacere la prospettiva di arrivare a cen-tinaia di migliaia di morti ammazzati?Ecco, allora, prima di arrivare a questo,discutete, cercate di inventarvi unnuovo accordo nazionale».

Lei parla di guerra civile. Ma in Siriac'è la guerra civile o una sollevazionepopolare?«Parlo di guerra civile da giugno 2011.Perché se c'è una sollevazione popolarenon si può non dire che c'è anche unaparte importante della società che èsolidale con il governo del presidenteBashar al-Assad. Stiamo assistendo aun parto difficile in un momento moltocomplesso da parte di una società divisae ormai armata. Quindi parlo di guerracivile. Eppure questa insurrezione hagià prodotto delle novità. Mentre il Ba-ath, il partito-Stato, offriva una societàstrutturata verticalmente, i famosi co-mitati di coordinamento degli insortici dicono che è nata una società conlegami orizzontali».

Una novità di grandissimo rilievo, chefinalmente fa pensare a una societàcivile in divenire…«Su questo non c'è dubbio. Anche noiabbiamo lavorato, abbiamo fatto ditutto per dare il nostro contributo allanascita, alla creazione di una societàcivile. Devo dire che anche l'Europa hafatto molto, svolgendo un ruolo posi-tivo. Soprattutto tra le giovani gene-razioni arabe oggi constatiamo il dif-

fondersi di una apertura, di un cre-scente interesse per la democrazia. Sitratta di un fiore delicato, da curare.Ma questo riguarda anche i settori disocietà filo-governativi che hannodetto "sì" alle riforme e quindi "no" alpartito-Stato. Anche loro hanno sceltoil cambiamento».

Veniamo ai cristiani. Perché i verticiecclesiastici, i vescovi, i patriarchi sonocosì contrari al cambiamento? Sem-brano quasi nostalgici di quel sistemadi minoranza "protetta" che condan-nano dalla fine dell'Impero Ottomano…«Guardiamo la realtà che circonda i cri-

E

KOSOVO, PASTICCIO GIURIDICO

di Roberto Barbera

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Intervista a padre Paolo Dall’Oglio

stiani di Siria. A Oriente abbiamo l’Iraq,dove i cristiani sono stati triturati dauna guerra civile che si è svolta du-rante l'occupazione del Paese. Dall'altraparte, a Occidente, abbiamo il Libano,dove la guerra civile è durata 18 anni.A Sud ci sono Israele e i Territori Pale-stinesi, da dove i cristiani fuggonoschiacciati dall'attrito. E infine a Nordc’è la Turchia, dove i cristiani sono ri-dotti a una reliquia. Dunque la Siriasembrava “l’ultimo paradiso”, per cosìdire. Ma il passato è passato per tutti,lo dice anche il governo del presidenteAssad. I cristiani dovrebbero ascoltarequanto dice il Papa, che per tre volte

crazia, per il cambiamento: noi spe-riamo che ci sia ancora spazio per uncambiamento diverso da quello pro-vocato dalla guerra civile e dalla divi-sione del Paese. Infatti quel fiore deli-cato di cui parlavamo poco fa c’è eriguarda tutti. Giorni fa a Damasco ungruppo di ragazze ha messo in attouna manifestazione pacifista. Per dire“no” alla guerra civile, alla violenza eallo spargimento di sangue, si sonostese per terra in un centro commer-ciale. Cristiane e musulmane sono ri-maste così, tenendo alti i loro cartellicontro la violenza, finché non le hannoportate via di peso».

ha ricordato come in Siria ci siano dellelegittime aspettative della popolazionesiriana che devono essere raccolte.Vede, come dubitare che la storia valgaper tutti? Anche i cristiani qui nonhanno una grande esperienza della de-mocrazia, visto che prima c'è statol’Impero ottomano, poi il mandato co-loniale francese, poi una breve e fragileesperienza democratica e dopo questifamosi 40 anni. Quindi la democraziaè una dimensione da scoprire ed è nor-male che, in una situazione del genere,provochi più preoccupazioni che spe-ranza e serenità. Molti cristiani, so-prattutto i giovani, sono per la demo-

Nella foto:

Uno degli affreschi all’interno della chiesadel monastero di Mar Musa, per estesoin arabo Mâr Mûsa al-Habashî, ossiaMonastero di San Mosè l’Abissino.

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ATTUALITÀ Brasile

Tra i dannatidella droga

Nella foto:

San Paolo - la band dei Jesustransforma si esibisce alla festa

inaugurale del Prates, la megastrutturanata per accogliere e offrire cure a

1200 tossicodipendenti, costruita nelcosiddetto ex quartiere “Cracolandia”.

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J oão si muove come un burattinoscoordinato a cui qualcuno ha ta-gliato senza pietà i fili. Mentre l’or-

chestra dei Jesus transforma (in italianoli chiameremmo i “Gesù ti trasforma”)suona l’ennesima samba, João Pedro Silvade Morães ride da solo, mostrando i pochidenti che gli sono rimasti in bocca. «Identi che cadono sono la prima manife-stazione concreta del corpo che si sfaldaquando fumi il crack. Io me li son dovutirifare tutti», mi spiega mentre si toccagli incisivi Sérgio, uno della band tuttacomposta da ex tossicodipendenti che èuscito dal tunnel a «forza di farmaci» edi «tanta fede in Dio». A debita distanzaun gruppo di poliziotti in tenuta anti-sommossa osservano incuriositi la scena:sullo sfondo gli ex fumatori di crack chesuonano, tutti vestiti con magliette diun giallo sgargiante, davanti al palco,mentre João si attorciglia nella sua folledanza. Se non fosse per la sua cartad’identità che sventola davanti ad un ce-lerino, gli daremmo 60 anni invece dei28 che ha.Siamo nel centro di San Paolo, la capitalefinanziaria del Brasile che cresce sempre

Sotto:

Maria, un tempo reporter, divenutaconsumatrice di crack nel 2008. A distanza di anni afferma: «È stato il sìche mi ha rovinato la vita».

di PAOLO [email protected]

Nel centro di San Paolo, la capitale finanziaria delBrasile, chi non riesce a seguire i ritmi frenetici dispread e indici di borsa, corre il rischio di perdersi,magari anche nella droga. Come è successo acentinaia di uomini e donne che vivono aCracolandia, letteralmente “la terra del crack”. Qui èstato recentemente inaugurato il Prates, unamegastruttura che si estende su 11mila metriquadrati, in grado di ospitare ed offrire trattamentigratuiti sino a 1200 tossicodipendenticontemporaneamente. Per sconfiggere il crack conun mix di prevenzione, educazione all’interno dellasocietà, cure e accoglienza, ma anche con una forterepressione del narcotraffico e dei narcos.

di più. Qui se non riesci a seguire i ritmifrenetici di spread e indici di borsa corriil rischio di perderti, magari nella droga.Succede ai poveri ma, ultimamente, sem-pre di più anche ai ricchi, figli di unaélite vecchia di almeno quattro secoli.Per questo tutti li chiamano quatrocen-toes, ovvero i boss dei 400 anni. Semprequi sino a qualche mese fa, tra le tantecontraddizioni di un boom economicoancora troppo disomogeneo, la megalo-poli più grande del Sudamerica con isuoi 20 milioni di abitanti ospitavanel cuore del suo centro storicoun vero e proprio inferno dan-tesco. Di giorno come di notte,a farla da padrone, accampatisu marciapiedi e in mezzo allastrada rendendo impossibileil transito di auto e pas-santi, stazionavano in-fatti centinaia di uo-mini e donne, tremilain tutto secondo lestime della polizia. Es-seri umani trasformatiin zombi incapacid’intendere e di volere.Tutti rovinati dalcrack, la droga più mi-cidiale che in un at-

timo ti rovina il cervello e il corpo, underivato della cocaina con l’aggiunta disostanze chimiche che crea un’assuefa-zione immediata grazie ad una sensa-zione che, assicura Maria «è meglio di unorgasmo, ma solo la prima volta. Durapochi secondi. Poi non si ripete più matu, oramai, sei schiavo. Continui a fumare,io sono arrivata a fumare sino a 30 pietredi crack al giorno, sempre alla ricercainutile di quella prima sensazione».Maria prima di cadere nel tunnel delladroga faceva la reporter, era bella edaveva un fidanzato con cui voleva spo-sarsi. Poi, un giorno di primavera del2008, il direttore del giornale per cui scri-veva le assegnò un servizio forse troppodifficile per lei: descrivere gli effetti »

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lico praticante vicinoall’Opus Dei, ed il mi-nistro della Sanità delgoverno della presi-dente Dilma Rousseff,Alexandre Padilha.

«Sono orgoglioso di essere qui – dice -oggi è l’inizio di una fase storica nellalotta al crack per San Paolo e per tutto ilBrasile». Il complesso Prates è infatti «ilprimo centro integrato di tutto il Brasileper la cura dalle tossicodipendenze, com-preso l’alcolismo», aggiunge Padilha conmalcelato orgoglio mentre distribuiscesorrisi. Poi torna serio e spiega la strategiadella sua azione di governo: «Per scon-figgere il crack abbiamo bisogno di unmix di azioni di prevenzione, di educa-zione all’interno della società, di cure edi accoglienza ma anche di una forte re-pressione del narcotraffico e dei narcos».

devastanti del crack che cominciavaa prendere sempre più piede a SanPaolo. Era il 2008. Cominciò a fareinterviste. Poi, forse per cercare discrivere non un pezzo ma “il pezzo”,quando un tossicodipendente le pro-pose di dare un tiro dalla sua pipapiena di crack, lei disse di sì. «E’ statoil sì che mi ha rovinato la vita», rac-conta lei mentre mi abbraccia chie-dendomi se sono sposato. Da alloravive in strada e, per procurarsi ilcrack, ha rubato, è finita in carcere,si è prostituita. Adesso è qui perchévuole smettere. «O smetto o muoio».La band di Jesus transforma hacambiato ritmo e adesso suona forró,una musica popolare molto amata daigiovani, mentre João si è finalmente se-duto, sfinito, anche se continua a ridere.Forse sogghigna sdentato perché stannoper arrivare le massime autorità di SanPaolo ad inaugurare il Prates, una me-gastruttura che si estende su 11mila me-tri quadrati ed è in grado di ospitare edoffrire trattamenti gratuiti sino a 1200tossicodipendenti contemporaneamente.João e Maria sono in prima fila, alla ri-cerca disperata di aiuto. Arriva il cardi-nale Odilo Scherer, l’arcivescovo di questaimmensa diocesi, la terza più grande al

mondo. Con la Bibbia in mano benedicela struttura e prega affinché «tutti voipossiate uscire dal tunnel della drogagrazie alle cure mediche e alla fede inDio». Si rivolge ai drogati accorsi per farsidisintossicare: «Il crack rappresenta il de-monio, siate forti ed abbiate fiducia per-ché nostro Signore offre a tutti una se-conda chance per ripartire». Dopo “dom”Odilo, come lo chiamano tutti affettuo-samente da queste parti, interviene ilsindaco Gilberto Kassab, con poche pa-role di circostanza. Se la cavano megliodi lui il governatore socialdemocraticoGerardo Alkmin, origini arabe ma catto-

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ATTUALITÀ

A fianco:

João Pedro Silva de Morães, fumatore dicrack. Dimostra moltopiù della sua età e lasua vita è ormaibruciata dalla droga.

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Certo, è paradossale che il motivo dellapresenza di tante autorità in questopezzo di città che stupisce i turisti perla sua modernità lo si debba ad unapiccola pietra, a pedra come tutti quichiamano il crack, la droga che più diogni altra si sta diffondendo nel Paese.Una dose costa due reais, meno di uneuro, e viene assunta inalando il fumodopo aver surriscaldato la pietra in pipericavate spesso da bottiglie di plasticao da lattine. Anche per questo costo ir-risorio si sta diffondendo a macchiad’olio, ovunque e senza distinzioni diclasse sociale.Il quartiere degli zombi di San Paolo sichiamava Cracolandia, letteralmente “laterra del crack”. Il passato è d’obbligoperché lo scorso gennaio il Comune haliberato l’area con le forze dell’ordine.Manganelli e gas lacrimogeni per rifareil look di una città che si appresta adospitare il prossimo Mondiale di calcionel 2014. Polemiche a non finire e criti-che feroci arrivate soprattutto dai mediavicini al governo nazionale del PT, il Par-tido dos Trabalhadores di Lula e di DilmaRousseff dal momento che, in contro-tendenza rispetto al resto del Paese, loStato di San Paolo (in Brasile quelle chenoi chiamiamo regioni sono estados) re-sta da un decennio saldo nelle mani del-l’opposizione. Stato di polizia, violenzegratuite, vergogna, persino “manovra condietro fini speculativi edilizi” dal mo-mento che le vie “liberate” dai circa tre-mila fumatori di crack vedranno aumen-tare il prezzo degli appartamenti. Questele accuse del PT contro l’azione delle

forze dell’ordine pauliste anche se, defacto, il vero problema era un altro: almomento dello sgombero del gennaioscorso non vi erano strutture sufficientied adatte ad ospitare i tossicodipendentidi Cracolandia disposti a farsi curare.Già, perché in Brasile, pure quando chi sifa di crack è un bambino di nove anni,una donna incinta al settimo mese o unuomo con un coltello in mano che dà inescandescenze mettendo a repentagliola sicurezza sua e degli altri, «la leggenon consente quello che in Italia sichiama TSO, ovvero Trattamento Sani-tario Obbligatorio». A spiegarcelo è Ma-riana, psicologa di San Paolo, che mostramolta invidia per le norme del nostroPaese. «All’inizio dell’anno, un mio pa-ziente, cui avevo consigliato il ricoverochiamando anche i suoi familiari al te-lefono, si è gettato dal 13esimo piano.Aveva smesso con il crack ma la psicosi,conseguenza dell’uso prolungato didroga, l’ha portato al suicidio. Una tra-gedia evitabile se da noi ci fosse il vostroricovero obbligatorio». Si emoziona Ma-riana, le cade una lacrima. Cerco di ripe-terle l’ovvio, ovvero che non è colpa sua.Per le statistiche ufficiali, i brasiliani chefumano crack sono circa 1,2 milioni, ilche significa che oltre un cittadinoverde-oro ogni 200 è dipendente daquesta droga. Una vera e propria piagache non a caso ha portato la presidentedel Brasile Dilma Rousseff a promettereall’inizio del suo mandato di «lottare con-tro il crack con ogni forza come fosseuna guerra». Una promessa che, almenodal punto di vista delle risorse, sinora èstata mantenuta se è vero che all’iniziodell’aprile scorso la prima donna allaguida del Paese del samba ha annunciatoun finanziamento di ben quattro miliardidi reais, circa 1,8 miliardi di euro. In pro-gramma c’è la costruzione di oltre 300complessi di cura come il Prates in tuttoil Brasile. Anche in quello più perifericodell’Acre, lo Stato ai confini con la Boli-via, o del Nord-est, dove il crack si stadiffondendo a macchia d’olio, portandosivia un’intera generazione.

Brasile

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A sinistra:

Il cardinale Odilo Scherer, il governatoreGerardo Alckmin e il sindaco Gilberto

Kassab inaugurano il centro di recupero.A destra

Le statistiche ufficiali dicono che i brasilianidrogati da crack sono circa 1,2 milioni. Per

questo Dilma Rousseff, presidente delBrasile, all’inizio del suo mandato ha

affermato: «lottare contro il crack con ogniforza come fosse una guerra».

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FOCUS Malawi

di LUCIANA [email protected]

P ochi avrebbero scommesso sullapossibilità che questa signorariuscisse a diventare il secondo

capo di Stato donna in Africa dopoEllen Johnson Sirleaf in Liberia. A man-carle non erano certo le doti umane epolitiche; piuttosto Banda, scelta comevicepresidente nel 2009 dall’allora capodi Stato Bingu wa Mutharika, era suc-cessivamente caduta in disgrazia edera stata estromessa dal governo, purconservando la propria carica formale.A scalzarla era stato il fratello del pre-sidente, Peter Mutharika, diventatoministro degli Esteri e “numero due”preferito. Pur priva di tutti i benefit,lei non si era scoraggiata e nel 2011

aveva fondato un nuovo partito, ilPeople’s Party.L’improvvisa morte per arresto cardiaco,ai primi di aprile, del 78enne capo delloStato ha rovesciato la sua sorte. Per laverità il decesso è stato tenuto nascostoper qualche giorno mentre sui medianazionali e internazionali si rincorrevanole voci più disparate. Tutte mosse, com-preso il trasferimento del cadavere inSudafrica, per cercare di prendere tempoe consentire allo stretto entourage deldefunto di evitare l’ascesa al poteredella nemica. Ma la Costituzione, cheprevede il passaggio obbligato dei poterial vicepresidente in caso di morte delpresidente, le ha dato ragione e Bandaè stata nominata alla guida del Malawi.Nata in un villaggio 62 anni fa e figliadi un musicista che suonava nella

banda della polizia, Joyce ha studiatoa Cambridge e anche in Italia prima ditrasferirsi a Nairobi (Kenya) per sposarsied avere tre figli. Unendosi al crescentemovimento femminile keniano, ha tro-vato il coraggio di denunciare gli abusisubiti dal marito e di lasciarlo per tor-nare in Malawi, portandosi dietro ifigli. Tra il 1985 e il 1997 ha fondatoalcune imprese e creato e diretto, tral’altro, la National Business WomenAssociation. Anche sua sorella Anjimileè imprenditrice: è stata assunta dallapopstar Madonna per dirigere alcunescuole femminili in Malawi, progettopoi naufragato. Oggi Banda è sposatacon il procuratore della Repubblica.Deputata dal 1999, è leader di unanazione che negli ultimi anni ha speri-mentato un grave declino.

L’Africa èsempre più

donnaJoyce Banda, la nuova presidente del piccolo Paesedell’Africa meridionale, si è data subito da fare conpragmatismo tipicamente femminile.Ha ripreso i contatti con i donors per salvare un Malawiestremamente impoverito, ha formato il nuovo governodando lo stesso peso a opposizione e maggioranza, ha licenziato il potente capo della polizia per non aver saputo gestire le passate proteste di piazza: tutto questo nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla sua designazione dello scorso 7 aprile.

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Il primo mandato di Mutharika (2004-2009) era stato sostanzialmente positivo:grazie a un piano di sussidi all’agricol-tura, il Malawi aveva incrementato leesportazioni e l’economia cresceva aun ritmo di oltre il 6% l’anno. Ricon-fermato dagli elettori nel 2009, il pre-sidente era cambiato, secondo alcuniper problemi personali e di salute, di-ventando sempre più arrogante e im-prevedibile e soprattutto non riuscendoa gestire i problemi economici. Comeconseguenza, nel giugno 2011 il Fondomonetario internazionale (Fmi) avevacongelato un prestito promesso di 79milioni di dollari, gettando il Paesenella disperazione.Adesso Joyce Banda, con tre suoi par-lamentari nell’aula composta da 193deputati, ha convinto la Banca di Svi-

È

del Puntland, a fianco del Mini-

La Farnesina ha finanziato il progetto

(emittente ufficiale del Tfg) e da

del confinante Kenya che però la ri-

tentazione difficile da dribblare.

SOMALIA IN MODULAZIONEDI FREQUENZA

di Enzo Nucci

AFRI

CAOS

SERV

ATOR

IO

luppo Africana ad erogare 45 milionidi dollari di sostegno al suo governo eZambia e Sudafrica a donare carbu-rante, di cui il Malawi è privo. Ha poiripreso i colloqui con l’Fmi, ha assicuratoche svaluterà la moneta locale del40%, ha riavviato piene relazioni di-plomatiche con la Gran Bretagna, expotenza coloniale ma anche principaledonor del Malawi. Ha quindi ordinatoun’inchiesta ufficiale sul suicidio so-spetto di un attivista democratico eha licenziato, oltre al capo della polizia,il governatore della Banca centrale eil capo dell’emittente televisiva na-zionale. Sta facendo molto, ma moltoresta ancora da fare in una nazionedove il 39% dei 13 milioni di abitantiè costretto a vivere con meno di undollaro al giorno.

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FOCUSFOCUS

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Pakistan

Uomini di fede, p

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«V oglio solo un posto ai piedidi Gesù». Parola di ministro,nonché leader politico. Una

semplicità sconcertante, quella diShahbaz Batthi, davvero inimmagina-bile nell’odierno contesto politico ita-liano, ma anche nell’intero scenarioeuropeo. Non c’è da dolersene, per certiaspetti, perché sappiamo - ce lo haricordato Brecht - cheè «sfortunato il Paeseche ha bisogno dieroi». Anzi, di martiri,persone disposte asacrificare la vita pertestimoniare la forzae la coerenza dei loroprincipi morali, dellaloro fede, del loroamore per il prossimo.Il Paese sfortunato inquesto caso è il Paki-stan, sospeso negli ul-timi 20 anni, o da sem-pre, fra l’avanzamentoe la regressione, fra la pace e i conflitti.E l’apparente paradosso è quello di unfervente religioso che si batte per il piùlaico dei principi democratici: la libertàdi religione. Per i cristiani, per gli indù,per i sikh, per tutte le minoranze oppresse;ma alla fine anche e soprattutto per imusulmani, la stragrande maggioranzadei circa 180 milioni di pakistani. Avendoben chiaro che il vero nemico è lamiseria, l’ingiustizia sociale, la mancanzadi istruzione che riguardano un interopopolo, perché «i poveri non hanno re-ligione».Purtroppo il Pakistan è nato proprio dauna drammatica separazione su base

religiosa, quella fra musulmani e indù,del 1947. Il perenne clima di guerra in-staurato con l’India non ha certo aiutatola crescita democratica interna: dopo ilconflitto armato seguito alla divisione(1947-1948), ci fu quello in Kashmir del1965, e quello più sanguinoso del 1971che portò al distacco del Pakistan orien-tale, diventato indipendente col nomedi Bangladesh.Le due ultime guerre indo-pakistanevidero le imprese militari del pilota Cecil

Chaudhry, capitanodell’aeronautica e fer-vente cattolico, ca-pace di incursioni co-raggiose (e vittoriose,in guerre sostanzial-mente perse dal Pa-kistan) da cui tornamiracolosamente vivo.Chaudhry, diventatoeroe nazionale, saràl’insegnante e il men-tore di Batthi, i duelavoreranno insiemenella All Pakistan Mi-norities Association

(APMA). Ma l’esercito pakistano, sempresostenuto dagli Stati Uniti continuò adesercitare un ruolo ambiguo, per nondire del tutto negativo, sul Paese.Il Pakistan si è sempre trovato in mezzoad uno scacchiere molto più grande dilui: prima quello della Guerra Fredda,poi quello della lotta per il petrolio econtro il terrorismo islamico. È importantetenere presente il quadro geopoliticoper capire le evoluzioni e soprattutto leinvoluzioni del Pakistan: i fattori esternifiniscono infatti per pesare quanto quelliinterni.Il Pakistan non è una nazione di musul-mani fanatici, violenti e retrogradi.

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di CESARE [email protected]

»

profili di coraggioI cristiani del Pakistansono gli ultimi delVangelo che diventano i primi, anche attraverso il martirio. Gli esempi di CecilChaudhry, morto lo scorso 15 aprile, e del suo straordinario allievo,Shahbaz Batti, ucciso unanno fa, rimarrannopietre miliari nel difficilecammino verso la libertàdi un’intera nazione.

Cecil Chaudhry

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FOCUSFOCUS

Paese. Il governo dei militari non muoveun dito per cambiare la situazione.Gli estremisti islamici agiscono quasisempre nell’impunità. In certi casi laconnivenza con polizia e militari è pla-teale. Per aver preso le parti di Asia Bibi,il governatore (musulmano) del Punjab,Salman Taseer, viene ucciso.Batthi sa che presto verrà il suo turno,anche se nel frattempo è diventato mi-nistro per le minoranze religiose (uno deifrutti del ritorno del governo civile, nel2008). Minacciato un’infinità di volte, vaincontro alla morte da uomo di fede.Il 2 marzo 2011, sotto la pioggia, uncommando si affianca alla sua macchinae apre il fuoco con i mitra. Batthi nonaveva una famiglia, si era dedicato com-pletamente alla sua causa. Gli altri familiarivivevano fuori dal Pakistan per ragioni disicurezza. Ma il fratello Paul, medico, cheviveva in Italia, è tornato in Pakistan eha preso il posto di Shahbaz, comeministro per le minoranze religiose. Lalotta di questi due devoti cattolici aiuteràtutto il Paese, e libererà gli stessi musulmanidall’incubo del fanatismo, dall’oppressionedell’intolleranza. Ci vorrà un miracolo,d’accordo. Ma è un miracolo possibile, ein quanto tale la politica ha il dovere diprovare a realizzarlo. Per il resto, Batthiinvocava l’aiuto di Maria: «Madre delcielo, nostra Madonna dei miracoli, Reginadel Pakistan, prega per noi».

punito con l’ergastolo; chi offende Mao-metto è punito con la morte.La legge sulla blasfemia è lo strumentoperverso per regolare conti personali,tenere sotto scacco le minoranze (inparticolare quella cristiana, che verràcoinvolta nel 51% dei casi di blasfemia,una percentuale enorme rispetto allaconsistenza numerica), mantenere unclima di esasperazione religiosa che siinstaura nel Paese attraverso l’opera in-cessante delle madrase, le scuole cora-niche, fucine di estremisti.Shahbaz Batthi, classe 1968, inizia lasua attività in questi anni. Difende lepersone colpite ingiustamente dall’accusadi blasfemia (l’ultima e più famosa èstata la contadina analfabeta Asia Bibi,condannata a morte per aver osato so-stenere che Gesù non avrebbe mai ri-fiutato un po’ d’acqua a chi aveva sete,come era stato rifiutato a lei), si batteper abolire la “legge nera” e allo stessotempo cerca di aiutare i bisognosi, aprescindere dalla loro religione.Tutti rimarranno impressionati dagli aiutiche Batthi e la sua APMA, collegata alleassociazioni cattoliche fra cui la Comunitàdi Sant’Egidio e la Caritas di Venezia,porteranno alle vittime del terremotonel 2005. Ma il clima del Paese è peg-giorato ulteriormente dopo l’11 settembre2001 e l’intervento americano in Af-ghanistan. I cristiani vengono dipinticome potenziali collaborazionisti deinuovi crociati. Ma gli stessi musulmani,e tutte le donne, sono vittime di questoclima di intolleranza che avvelena il

Ma è un Paese che non riesce a fare ilsalto in avanti verso la democrazia, losviluppo e la giustizia sociale.Alì Bhutto se l’era posto come traguardo,agli inizi degli anni Settanta. Almenocosì sosteneva davanti a Oriana Fallaci,che non gli dava troppo credito. Ma perquanto il personaggio resti molto con-troverso, di certo le cose peggioraronocon il dittatore militare Zia (molto vicinoa Washington) che fece impiccare Bhuttonel 1979 e che condusse il Paese conpugno di ferro fino al 1988, quandolasciò il potere ai civili (cioè a BenazirBhutto).Attenzione alle date: 1979-1988. Nonsono casuali. Sono gli anni della guerranel vicino Afghanistan, la vittoriosaguerra dei mujahiddin contro l’ArmataRossa, preludio del crollo dell’UnioneSovietica.I servizi segreti pakistani, che operanoper conto della Cia, sono gli “apprendististregoni” dei talebani, e tutto il Paese siinclina pericolosamente verso l’integra-lismo islamico. L’esercito in pratica daun lato attizza il fuoco (quello dellafede musulmana) e dall’altro lo reprime.L’integralismo diventa un utile strumento,in una sorta di strategia delle tensionepermanente.È in questo contesto che nel 1986 nascela “legge nera”, tecnicamente l’articolo295 del codice penale ovvero: della bla-sfemia. L’offesa alla religione (a qualsiasireligione) era già punita con il carcerefino a sette anni. I due commi aggiuntirecitano: chi offende il Corano viene

Pakistan

Sopra:

Shahbaz Bhatti, fondatore e presidente dell’AllPakistan Minorities Alliance (Apma), ministroper le minoranze nel governo Asif Ali Zardari,assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad.

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L’INCHIESTA

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Nella foto:

Le acque del fiume São Francisco,destinate, secondo il Piano di accelerazionedella crescita del Brasile, ad essere deviateverso i corsi d’acqua nord-orientali.

Gli Enawene Nawe vivono nell’area delfiume Juruena, in Brasile, ed hanno tra-dizioni di pesca così consolidate daessere state dichiarate «patrimonio sto-rico e culturale» dal Ministero della »

Mentre 783 milioni di persone al mondo non hannoaccesso all’acqua potabile, come denunciato dalquarto Rapporto sullo stato dell’acqua delle NazioniUnite, in tanti angoli della Terra l’oro blu, fonte di vitae bene comune, diventa causa di guerre e ingiustizieper molti popoli. E così, dalla Patagonia alla Malesia,dal Brasile all’Etiopia, intorno all’acqua nasconosempre nuove controversie tra popolazioni indigene,governi locali e società che ricercano profitti.

di CHIARA [email protected]

C osa c’entra con il diritto all’ac-qua il rituale di pesca degliEnawene Nawe in Brasile o la

lettera pastorale di monsignor LuisInfanti de la Mora, vescovo di Aysen inCile? La risposta potrebbe sembrareostica, ma non lo è affatto: in entrambii casi – e in moltissimi altri, sparsi per ilmondo – si tratta di denunciare l’usoprivato dell’acqua per la realizzazione diprofitti da parte di società a scapitodella sopravvivenza di popolazioni indi-gene. Causa del contendere sono i fiumilungo i quali da millenni si svolge la vitaquotidiana di interi gruppi etnici: oggile acque dei vari corsi d’acqua sono

entrate nel mirino di investitori e socie-tà che spesso, con l’appoggio dei gover-ni locali, progettano imponenti impian-ti idrici dalle conseguenze devastantiper la realtà socio-ambientale locale.

Diritti da difendere

Acqua a

Acqua preziosaprezios

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disposizione della tribù, la compagniacostruttrice dell’impianto idroelettrico èstata costretta dal governo dello Statobrasiliano del Mato Grosso a provvedereall’acquisto di tremila chili di pesce d’al-levamento da distribuire agli EnaweneNawe. Ma questa è solo una magra con-solazione: «Non vogliamo le dighe cheinquinano la nostra acqua, uccidono ilpesce e invadono le nostre terre» recitauna lettera inviata alle Nazioni Unite dairappresentanti indigeni. Tra le organiz-zazioni che hanno fatto da eco allacausa degli Enawene Nawe c’è SurvivalInternational, il cui direttore generale,Stephen Corry, ha commentato: «Èun’amara ironia che lo Yãkwa sia statoriconosciuto come patrimonio culturalequando potrebbe cessare di esisteremolto presto».La violazione dei diritti degli EnaweneNawe non è certamente l’unica nell’uti-lizzo delle risorse idriche da parte dellepopolazioni indigene. Rimanendo in ter-ritorio brasiliano c’è anche quella delfiume São Francisco, la cui trasposizionedelle acque verso Nord-est fa parte delPiano di accelerazione della crescita(Pac) lanciato dal governo Lula nel 2009e riconfermato dall’attuale presidente

Dilma Rousseff. L’obiettivo è quello difar deviare l’imponente afflusso idricodel São Francisco verso i fiumi brasilianinord-orientali attraverso la costruzionedi due canali di 2.200 chilometri di lun-ghezza complessiva: grazie ad essi,secondo il governo, si garantirà la forni-tura d’acqua a 12 milioni di abitanti del-l’arido Nord-est. Ma le popolazioni indi-gene che vivono lungo il letto del fiumeSão Francisco (insieme a un movimentodi scienziati, ambientalisti, associazionilocali, comunità afrodiscendenti e Ong)si oppongono alla grande opera, appel-landosi al testo del progetto elaboratodallo stesso Ministero dell’Integrazionenazionale che presenta i dati di chi usu-fruirà dell’acqua trasposta: il 4% saràdestinata alla popolazione rurale, il 26%ad uso urbano e industriale, il 70% airrigazione di monocolture. Proprio daquest’ultimo dato, secondo il movimen-to che si oppone al progetto, affioral’obiettivo del profitto economico afavore dei grandi proprietari terrieri chepossiedono le coltivazioni di monocol-ture. Ancora una volta l’uso privato del-l’acqua per la realizzazione di ingentiguadagni va a scapito della sopravvi-venza di popolazioni indigene, che vivo-no solo di ciò che la foresta e i corsid’acqua offrono. C’è da sottolineare,inoltre, che l’articolo 231 dellaCostituzione federale brasiliana stabili-sce che lo sfruttamento delle risorseidriche all’interno delle terre indigenepossa essere reso effettivo solo con l’au-

torizzazione del Congresso naziona-

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Cultura brasiliano, e «patrimonio cultu-rale che necessita di tutela urgente»dall’Organizzazione delle Nazioni Uniteper l’educazione, la scienza e la cultura(Unesco). Il rituale per la cattura dipesci, chiamato Yãkwa, dura quattromesi e prevede la costruzione di digheartigianali lungo gli affluenti del fiumeJuruena utilizzando legname della fore-sta. Gli uomini e i giovani dei vari inse-diamenti si accampano in prossimitàdelle barriere realizzate artigianalmen-te, affumicano il pesce catturato e poilo portano nei villaggi con le canoe. Quiil cibo viene scambiato in modo ritualecol mondo degli spiriti nel corso di par-ticolari cerimonie. Da oltre un anno,però, lo Yãkwa è minacciato da 77dighe artificiali in costruzione sul fiumeJuruena, responsabili della drasticariduzione della quantità di pesce adisposizione nell’intero bacino idrico.Un rappresentante degli Enawene Naweha affermato: «Se il pesce si ammala emuore, la stessa fine toccherà a noi». Edeffettivamente c’è da crederci, in quan-to il pesce occupa un ruolo centralenella dieta di questa popolazione chenon si ciba di carne rossa. A causa dellascarsa quantità di risorse ittiche a

L’INCHIESTA

A fianco:

La tribù dei Surma vive nella valle dell’Olmo in Etiopia.

In alto:

Alcuni componenti della tribùPenan, in Malesia, sbarranola strada ai camion arrivatiper disboscare la zona lungoil fiume Murum, dove vivono.

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periodicamente il fertile limo indispen-sabile per le coltivazioni delle etnie Bodie Mursi. A queste popolazioni è statodetto che riceveranno in risarcimentodegli aiuti alimentari, ma ciò significaperdere la propria autonomia di sussi-stenza e dipendere dall’assistenza di altrio essere costretti ad emigrare abbando-nando i luoghi abitati da sempre.Problemi analoghi si riscontrano inMalesia. Qui la diga lungo il fiumeMurum mette in pericolo la vita deiPenan, popolazioni tribali di circa millepersone che sopravvivono grazie allacaccia e alla raccolta di prodotti dellaforesta. Sono stati costretti a lasciare ilproprio habitat, per permettere lacostruzione di centrali idroelettriche cheprodurranno una quantità di energiamolto maggiore rispetto a quanto laregione del Sarawak necessiti; il restoverrà esportato in Malesia. Di fronte allosviluppo economico, costretti ad andar-sene a tutti i costi, i Penan avevanochiesto di essere almeno trasferiti inun’altra zona della loro terra ancestrale.Invece sono stati destinati ad un’area

recentemente venduta ad una compa-gnia malese che commercia in palme daolio: il disboscamento dell’area sta periniziare e presto la zona diventerà unagrande coltivazione agricola. In unrecente appello al governo malese iPenan denunciano: «Se verrà permessoalla compagnia di disboscare e abbatte-re la foresta, non ne rimarrà più per ilsostentamento della nostra comunità».Ogni anno viene reso noto il Rapportodelle Nazioni Unite sullo stato dell’ac-qua: nell’ultimo si legge che 783 milionidi persone al mondo non hanno accessoall’acqua potabile, che miliardi di perso-ne non possono usufruire dei serviziigienico-sanitari, che ogni 17 secondi unbambino muore per le conseguenzedovute alla mancanza di acqua pulita.Eppure, in tutti questi numeri, seppurdrammatici, non si leggono le storiedegli Enawene Nawe, né dei Bodi o deiMursi, né di qualunque altra popolazio-ne a cui vengono negati il diritto all’ac-qua e la preservazione della propriaetnia in nome di prevaricazioni econo-miche e sviluppo industriale.

le, ascoltate le comunità coinvolte. Neicasi in esame, però, non è stata effet-tuata nessuna consultazione dellapopolazione locale.Sono molte altre le realtà in cui di fattoviene negato il diritto all’acqua ad inte-re popolazioni: del caso della regione diAysen, nel Sud del Cile, dove è coinvol-to il vescovo, monsignor Luis Infanti dela Mora, si è parlato nel numero del feb-braio scorso di Popoli e Missione; ma c’èanche il caso della diga Gibe III sulfiume Omo, in Etiopia, che – una voltaultimata – sarà la più alta di tutto ilcontinente africano. Anche qui ci sonoin gioco grandi interessi per la produ-zione di energia idroelettrica. La contro-partita, però, è il prosciugamento dellabassa valle dell’Omo, dichiarataPatrimonio mondiale dell’Umanitàdall’Unesco e abitata da 100mila indi-geni che vivono grazie al corso d’acqua.L’impianto idrico in costruzione già daquest’anno bloccherà il flusso naturaledel fiume interrompendo il ciclo delleesondazioni annuali del corso d’acqua,grazie alle quali nella valle si depositava

Diritti da difendere

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S C A T T I D A L M O N D O

Alcune immagini esposte all’interno dell’al-lestimento Se non la pianti… finisce!: ras-segna multimediale e interattiva presenta-ta lo scorso 16 maggio al Perugia GreenDays e realizzata dall’Ong di cooperazio-ne internazionale CISV con il patrocinio delPefc Italia (lo schema che certifica la ge-stione forestale sostenibile più diffuso almondo). Tramite foto, audio e video-docu-mentari girati in Brasile, Burkina Faso, Ca-merun e Cile e mediante attività ludico-di-dattiche, la mostra suggeriva comporta-menti più equi e sostenibili nell’uso, rici-clo e acquisto di prodotti derivati dal legno(mobili, parquet, carta, imballaggi, carpen-teria, edilizia, giochi, cancelleria), insegnan-do a trasformare i boschi in una risorsa perle comunità locali e per le future genera-zioni.In Camerun (foto N. 01/02 di AlessandroRocca) la foresta è seconda per estensio-

A cura di EMANUELA PICCHIERINI - [email protected]

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FORESTE IN PERICOLO E BUONE PRATICHE LOCALI

ne solo a quella amazzonica. Qui negli ul-timi 40 anni è molto aumentato il taglio dellegname, praticato al 50% fuori dalle areeconsentite dalla legge. Tra i principali im-portatori di legno troviamo proprio l’Italia.In Brasile (foto N.03/04 di Alessandro Roc-ca) negli ultimi 10 anni sono stati distrut-ti in media 2,6 milioni di ettari di foresta l’an-no: un diboscamento selvaggio destinato,se non sarà fermato, a provocare l’aumen-to delle temperature e la conseguente tra-sformazione della foresta in savana. NelBurkina Faso (foto 05/06 di Marco Bello)la presenza delle foreste è indispensabileper la sopravvivenza delle popolazioni ru-rali, che ne ricavano alimenti, terre per il pa-scolo, combustibile domestico, materiali dacostruzione e utensili, erbe ed essenze me-dicinali. Oltre a fornire servizi preziosicome l’acqua potabile, la terra fertile o unabarriera all’avanzata del deserto.

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In Cile (foto n 07/08) lo sfruttamento delleforeste da parte delle imprese straniere durada decenni. Oltre ai tagli per l’esportazione,include la sostituzione dei boschi con pian-tagioni di monocolture a rapida crescita(come il pino o l’eucalipto), mentre le fore-ste native muoiono a poco a poco, avvele-nate dagli scarichi chimici delle cartiere.«Oggi nel mondo le foreste scompaiono alritmo di 13 milioni di ettari l’anno (dati Faondr.) un’area grande quanto la Grecia: ritmoinsostenibile per l’equilibrio del pianeta» haspiegato Piera Gioda, presidente del CISV.«Per questo è fondamentale informare i cit-tadini sul valore ambientale, sociale edeconomico delle foreste e sui modi concre-ti per tutelarle, a partire dal proprio quotidia-no». La mostra, che intende promuovere

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l’uso corretto delle risorse forestali, è natanell’ambito di un progetto europeo realizza-to in Italia dalle Ong COSPE, CISV e GVC chelavorano in collaborazione con associazio-ni ambientaliste di Spagna, Polonia, Roma-nia e Malta. «L’impoverimento ecologico causato dalladeforestazione ci riguarda tutti, perciò è im-portante far capire, soprattutto ai giovani,cosa fare nella vita di tutti i giorni per argi-nare il fenomeno» ha spiegato il curatore del-la mostra Giordano Golinelli, esperto di Edu-cazione allo sviluppo e Comunicazione so-ciale. «Le attività di laboratorio e l’ausilio dimateriali audiovisivi favoriscono una presadi coscienza più forte, che va oltre il meronozionismo per far leva sull’intelligenza e leemozioni dei partecipanti».

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R ispetto al confinante gigante-Cina,il Myanmar, Paese cuscinetto, ricco

di risorse naturali ma privo di servizi e in-frastrutture, sembra socchiudere solooggi le porte alla globalizzazione con unenorme ritardo rispetto alle grandi poten-ze economiche d’Oriente. Protagonista delcambiamento è la figlia del generale AungSan, eroe nazionale, amata dal suo po-polo per il coraggio dimostrato negli ul-timi 20 anni passati tra arresti domicilia-ri e controlli di ogni genere, con una sof-ferenza civile e personale che ha mostra-

Aung San Suu Kyi non è più prigioniera. Con il suo ingresso in parlamento, dopo la

vittoria elettorale dell’aprile scorso, l’attenzioneinternazionale è puntata sul futuro del Myanmar,un Paese con 60 milioni di abitanti, in condizioni

di pesante isolamento, dopo mezzo secolo di regimi militari, di sanzioni internazionali

e pressioni sulle etnie minoritarie.

La lunga marcia verso

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to il suo carattere di “orchidea d’accia-io”: così il Times definì Aung San Suu Kyinella copertina che le dedicò nel 1991 inoccasione dell’assegnazione del Nobel perla Pace ad Oslo. Ventuno anni dopo, laLady sceglie come meta del suo primoviaggio all’estero proprio la Norvegia,dove fu assente dalla cerimonia del No-bel per il veto delle autorità birmane. Fusuo marito, Michael Aris, docente diorientalistica all’Università di Oxford, a ri-tirare il prestigioso riconoscimento e dicerto per amore del marito, morto nel

1999 di cancro senza che lei potesse as-sisterlo, Aung San Suu Kyi ha in program-ma come seconda tappa del suo viaggioin Europa, la Gran Bretagna, dove è sta-ta invitata dal premier David Cameron.Aung San Suu Kyi è una parlamentare suigeneris: dopo la vittoria della Lega na-zionale per la democrazia del 1990, ver-detto elettorale subito annullato daimilitari, è stata costretta agli arresti do-miciliari. Il coraggio e la fermezza dimo-strati da questa donna le hanno valso unagrande autorità morale nel suo Paese che

o la democrazia

la rispetta come unavera leader. E la con-sidera come l’unicamoneta spendibile alivello mondiale perdare ossigeno ad unPaese fuori dal tempo,oggetto degli inte-ressi dei vicini del-l’area orientale – inparticolare della Cinae dell’India – e di mol-te nazioni tra cui gliStati Uniti e l’Italia.Proprio il nostro mini-stro degli Esteri, Giu-lio Terzi, è stato unodei primi visitatori oc-

cidentali a recarsi in Myanmar per get-tare le basi di nuovi accordi commercia-li, accolto dal presidente dell’attualegoverno militare, l’ex generale TheinSein, e successivamente dalla stessaAung San Suu Kyi. E mentre l’Unione Eu-ropea ha già sospeso la maggior parte del-le sanzioni (senza toccare però l’embar-go alla vendita di armi) invitando il go-verno al rilascio dei prigionieri politici ealla democratizzazione del Paese, la Ladye gli altri eletti del suo partito, la Lega Na-zionale per la democrazia, hanno diser-tato le prime riunioni del parlamento perevitare il giuramento sulla Costituzione,varata nel 2008 proprio da una giunta mi-litare.Alunna di Gandhi e Mandela, icona del-la lotta politica non violenta, il manife-sto politico di “madre Suu” come la gen-te chiama questa donna minuta - 66 anni,50 chili, i capelli raccolti sulla nucasempre adorni di fiori – si riassume nel-le parole di uno dei suoi libri più famo-si “Liberi dalla paura”: «L’autentica rivo-luzione è quella dello spirito… Non è suf-ficiente limitarsi a invocare libertà, de-mocrazia e diritti umani. »

A fianco:

Aung San Suu Kyi e il ministro degli esteriitaliano Giulio Terzi incontrano la stampa dopo i colloqui dello scorso aprile a Yangon.

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«Quando sono entrato per la prima volta in Myanmar nel 1985, ebbi il permesso direstare solo una settimana perché la burocrazia del governo militare chiedeva decine didocumenti. Ero responsabile del progetto di contribuire alla formazione dei seminaristi,per continuare l’impegno del Pime che con padre Vismara, beatificato lo scorso anno,ha lasciato un prezioso segno di fede, come mi raccontarono tutti i vecchi missionariche incontrai uno per uno. In quegli anni ho conosciuto tutto il clero e i problemi dellaminoranza cattolica. Da quegli anni ad oggi la percentuale di cristiani è salita perché laChiesa, anche se non ha mai assunto posizioni politiche, ha sempre dato una testimo-nianza di vita molto forte».

In che modo?«Stando vicino agli ultimi e ai perseguitati, alle etnie minoritarie tribali (che in Myanmarsono il 30% della popolazione), gente senza i diritti di coloro che appartengono all’etniabirmana predominante. Per questo c’è stata una guerra interna che va avanti dagli anniSessanta e oggi non è ancora terminata».

Per molti decenni il Paese è rimasto chiuso nei suoi confini. Agli stranieri venivanonegati i visti d’ingresso, mentre ai birmani venivano negati quelli d’uscita. Cosasignificava essere cattolici in una società così repressiva?«I cristiani in questo Paese sono sempre stati perseguitati. Arrivavano i militari, aveva-no bisogno di un terreno per le loro postazioni e costringevano tutti i cristiani dei vil-laggi ad andare altrove, erano different people mandati in esilio in altre zone del Paese. Glianni più duri sono stati quelli della dittatura socialista di un gruppo di militari al pote-re. I militari erano la classe più privilegiata del Paese: a loro erano riconosciuti tutti idiritti, avevano la licenza di fare scomparire le persone, di impadronirsi di ogni cosa, diandare al di là di qualunque legge, non solo morale ma anche semplicemente umana. Lagente era enormemente impoverita, malgrado il Myanmar sia una terra ricca di minie-re, petrolio, gas, acqua, vegetazione. La maggior parte della popolazione non era alfa-betizzata. Appena gli studenti hanno cercato di farsi sentire con qualche dimostrazio-ne, nella prima metà degli anni ‘80 sono stati uccisi presso l’Università di Yangoon amigliaia. Fino al 2002 l’Università era spesso chiusa per le manifestazioni studente-sche. È per questa mancanza di formazione che è venuta meno la classe media: profes-sionisti, dottori, esperti di economia, architetti».

Ha avuto modo di incontrare Aung San Suu Kyi?«Non si poteva andare da lei; nemmeno agli ambasciatori era consentito avvicinarla.Erano i lunghi anni in cui era ridotta agli arresti domiciliari. Stavo predicando un corsodi esercizi al clero di Yangoon e “la prigioniera” come la chiamavano tutti, ogni giorno cimandava un camioncino di soft drinks, aranciate, bevande varie, pagate da lei per tutti ipreti e diceva: “Pregate per me”. Con quel caldo che faceva era un pensiero molto gra-dito».

M.F.D’A.

INTERVISTA A PADRE VITO DEL PRETE

Gli anni più duriUna piccola Chiesa, coraggiosa, sopravvissuta al nascondimento.Sono solo 700mila i cristiani presenti in Myanmar secondo i datidella Catholic Directory of Burma nel 2010, poco più dell’1% dellapopolazione del Paese. Negli ultimi anni il loro numero è aumen-tato anche grazie alla diminuzione della pressione del governo ealle visite che rappresentanti della giunta militare hanno effet-tuato alle Chiese cristiane. Della situazione della Chiesa birmanain un momento di grandi cambiamenti politici, abbiamo parlatocon padre Vito Del Prete, Segretario internazionale dellaPontificia Unione Missionaria del Clero, che tra gli anni Novantae il primo quinquennio del Duemila si è recato frequentemente nelPaese per insegnare nel Seminario di Yangoon.

Deve esistere la determinazione compat-ta di perseverare nella lotta, di sopporta-re sacrifici in nome di verità imperiture,per resistere alle influenze corruttrici deldesiderio, della malevolenza, dell’ignoran-za e della paura». Era il 2001 quando, nel-la solitudine degli arresti domiciliari,scriveva queste parole che 11 anni dopol’hanno portata ad una importante vit-toria della sua lunga battaglia politica. Innome di questa fedeltà al suo Paese, AungSan Suu Kyi chiede ora di modificare lavecchia costituzione (che prevede che imaggiori ministeri siano sotto il control-lo dei militari, che essi siano presenti inogni organismo legislativo e che abbia-no il diritto di dichiarare lo stato di emer-genza e di riprendere il potere in qualsia-si momento) perché «alcune leggi sonodegli ostacoli alla libertà e noi ci batte-remo perché siano abrogate tramite la vialegislativa… Dobbiamo modificare alcu-ne sezioni del testo costituzionale» auspi-cando la disponibilità dell’Occidente a so-stenere il Myanmar non appena sarannoattuate riforme democratiche. Riformeche toccano tutta la popolazione, indi-pendentemente dall’appartenenza agruppi etnici diversi, poiché «non dobbia-mo aver paura della diversità, dobbiamogioirne». Ora per Aung San Suu Kyi co-mincia una nuova strada da percorrere apiccoli passi su una linea definita, secon-do il suo stile di vita. E c’è da giurare sulfatto che non si fermerà.

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di Massimo [email protected] 29P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 2

SALUTE IN PERICOLO

Farmaci fasulliper il Sud del mondo

RACCOGLIERE MEDICINALI PER IL SUD DEL MONDO PUÒ ESSERE PERICOLOSO PER MOLTI MALATI CHE RICEVONO IN DONOFARMACI APPARENTEMENTE UTILI MAINEFFICACI. GRANDI QUANTITÀ REGALATEDAGLI STUDI MEDICI, PER LO PIÙ CAMPIONIPUBBLICITARI DI CASE FARMACEUTICHE.RIMANENZE DI FARMACIE O DI OSPEDALI, MA ANCHE DONAZIONI DI PRIVATI. E MOLTE MEDICINE SPEDITE SENZA DOVUTICONTROLLI E CAUTELE SONO FARMACISCADUTI. INUTILI PER ALCUNE PATOLOGIE,SPESSO PERICOLOSAMENTE SOTTODOSATI.POSSONO PROVOCARE PIÙ DANNI CHEBENEFICI ANCHE E SOLO SE MANCAUN’ADEGUATA INFORMAZIONE. MA INTANTOL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLASANITÀ (OMS) RICHIEDE PIÙ CONTROLLI PER L’INVIO DI MEDICINALI OMAGGIO NELLE AREE DEL SUD DEL MONDO.

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L assativi, antidepressivi, farmaci antidiabetici o pillo-le dimagranti nei campi profughi dell’Africa. Luoghi

di sofferenza, dove si muore di fame e dissenteria. Èquesta l’assurda realtà che molti operatori sanitari inmissione nel Sud del mondo sono ormai soliti riscon-trare sempre più frequentemente. Ma con quale crite-rio vengono raccolte e selezionate queste medicine? Ladomanda non è affatto scontata se si pensa che solonegli ultimi anni la comunità scientifica internazionaleha preso coscienza che molti farmaci spediti nel Suddel mondo sono risultati del tutto inutili. Se non addi-rittura dannosi alla salute. Secondo i dati forniti

dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) nelrecente The World Health Report 2011, oltre il 60%dei medicinali inviati in Africa per le emergenze sanita-rie non serve sostanzialmente a nulla o quasi. Si trattaper la maggior parte di farmaci adatti alla cura di pato-logie tipiche dei Paesi occidentali, del tutto assenti inmolte regioni sudmondiste. Inoltre, come si evince dalreport stesso, il 20% degli altri medicinali è utilizzabilecon enorme difficoltà. Gran parte dei preparati, infatti,sono prossimi alla scadenza, oppure non sufficienti aconfezionare dosi terapeutiche complete per le quan-tità disponibili. D’altro canto, il corretto utilizzo dei far-

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mente adatti a curare con lo stesso buon esito lemalattie in ogni angolo della Terra?

Regolamentare l’offerta dei farmaciDa oltre 30 anni l’Oms disciplina la necessità di unachiara regolamentazione all’uso dei farmaci tramite unapproccio globale che si pone l’obiettivo di dotare la po-polazione mondiale dei farmaci essenziali. E con essi lasperanza di poter curare le principali patologie classificatedalla comunità scientifica internazionale. D’altro canto,senza l’adozione di una pianificazione in materia si rischiadi creare più danni che benefici. Oltre ad alimentareogni forma di donazione pericolosa e non controllata.Ma la situazione oggi è doppiamente grave. Da unaparte, secondo l’Oms, farmaci inutili, inefficaci e pericolosi:un problema riconducibile soprattutto alla scadenza deimedicinali e agli elevati costi di smaltimento a cui si legal’interesse di alcune case farmaceutiche di sbarazzarsidella merce ingombrante, inviandola direttamente neiPaesi dove i controlli sono spesso meno severi. D’altraparte, cresce in maniera esponenziale il fenomeno delletruffe, che può assumere varie forme. Il Center for Me-dicine in the Public Interest (Cmpi), un’organizzazioneindipendente di ricercatori con sede a New York, stimache globalmente il giro d’affari della contraffazione difarmaci arriverà alla cifra di 78 miliardi di dollari nel 2012,il doppio rispetto a quello del 2005. C’è chi producefalse medicine con acqua, zucchero e amido, quandonon con sostanze tossiche. Ci sono industrie e laboratoriartigianali che, per risparmiare, riducono la quantità diprincipio attivo o “limano” le dosi. Ma c’è anche chi ac-quista partite in scadenza e ne cambia abilmente le eti-chette. Secondo Albert Wertheimer, Staff Expertise delDipartimento di Farmacia presso la Temple University diPhiladelphia, «i contraffattori sono diventati abilissimi aimitare le confezioni originali». In Africa, ad esempio,sono già state trovate perfette imitazioni dei prodottidella Holleypharm, che produce antimalarici nella suafabbrica di Chongqing, nella Cina centrale. Per MichelKoutouzis, dell’Osservatorio geopolitico sulle droghe diParigi, invece, ci sono trafficanti che utilizzano mezzimeno pericolosi per realizzare profitti sostanziosi. Adesempio, acquistano a bassissimo prezzo degli stock dimedicinali in scadenza, e poi, in una zona franca, incol-lano le nuove false etichette. Modificano abilmente ladata di scadenza così che i medicinali possano esseretranquillamente smerciati nei circuiti della dispera-

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A FIANCO: Venditrice cinese di medicine al mercato di Kamsar, Guinea Conakry.

maci richiede competenze specifiche di non facileacquisizione. E che non sempre fanno parte del baga-glio di conoscenza dei destinatari delle donazioni.Medicine di difficile utilizzo anche per i medici localiche non riescono a decifrare le istruzioni e le etichettescritte in lingue a loro sconosciute. Solo il 10%, per lopiù farmaci salvavita, troppo costosi e difficili da reperi-re in loco, risultano provvidenziali negli interventi sani-tari. Un’analisi che fotografa una realtà pericolosa, cherischia di vanificare gli sforzi degli operatori. Oltre alrischio che questi farmaci non abbiano neppure unaloro efficacia “universale”. Ma, soprattutto, sono real-

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zione nel Sud del Mondo. Questi politrafficanti – aggiungeKoutouzis – sono molto difficili da incastrare, perchénon sono più specializzati in un solo settore. E gli indottidel criminoso business sono da capogiro. Dall’Asia, dacui erano partiti i primi drammatici allarmi, questo feno-meno si è trasferito in gran parte dei Paesi del Sud delmondo, e soprattutto in Africa, dove la popolazione hadisperato bisogno di medicine. Aggravato dal fatto chela scarsità di risorse spinge molte persone a rivolgersi almercato nero, dove i rischi di imbattersi in prodotti nonsicuri è altissimo.

Riconoscere il falsoLa contraffazione è un fenomeno allarmante che riguardasu scala globale indifferentemente sia farmaci genericiche di marca (vedi box). Così per molti governi è arrivatoil momento di dimostrare la loro capacità e l’impegno acombattere il traffico illecito. Ecco dunque nuove tecno-logie per smascherare la composizione dei farmaci. El’Africa si pone, sorprendentemente, in prima linea. Ma

anche ricerche per verificare la reale efficacia dei supportitecnici utilizzati nella lotta alla contraffazione. È quantoemerso da un recente studio pubblicato sulla rivistascientifica African Journal of Pharmacy and Pharmaco-logy, che ha reso noto i risultati dei ricercatori dell’asso-ciazione no profit Africa Fighting Malaria. La ricerca hatestato l’efficacia di alcune tecnologie usate per rilevarela corretta concentrazione degli eccipienti dei medicinalivenduti nel mercato illegale del Continente nero. La spe-rimentazione è stata estesa a un campione di farmaciprovenienti da cinque Paesi dell’Africa: Kenya, Uganda,Ghana, Nigeria e Tanzania. L’utilizzo di un kit portatile, ilMinilab, si è mostrato lo strumento essenziale e più ef-ficace in questo tipo di operazione. Semplici test per-mettono di individuare i prodotti di qualità peggiore, cioèquelli contenenti meno dell’80% di principi attivi e diverificare altresì la veridicità dei principi attivi, riportatinella posologia. Un sistema facile da usare e poco co-

L’Unione Europea e l’Africa hanno deciso di lavorareinsieme per trovare possibili soluzioni a questo pro-

blema comune. Da oltre un anno l’UE ha adottato un’im-portante direttiva (2011/7/UE) finalizzata ad impedire l’in-gresso e la vendita di farmaci contraffatti nella filiera farma-ceutica legale. Anche e soprattutto via internet, frontieraillegale del commercio organizzato, per regolamentare unmercato in cui non esistono ancora esplicite limitazioni.Secondo i dati della recente indagine Fake medicines: aglobal issue, condotta dal gruppo socialdemocratico delParlamento europeo, il 62% dei farmaci globali acquistatiin rete è falso; il 95,6% delle farmacie on line è illegale; nel94% dei siti web l’identità del farmacista non è verificabile.Oltre il 90% dei siti web in questione vende senza ricettamedicinali soggetti invece a prescrizione. Ma mentrel’Unione Europea è preoccupata per i prodotti contraffattisu internet, l’Africa lo è per la vendita sulle strade. IlContinente rappresenta una fetta importante di un merca-to nero che vale almeno dieci miliardi di euro di perdite. Eil valore del mercato globale dei falsi potrebbe crescereancora, oltre i 200 miliardi di dollari all’anno. Cifre che difatto contribuiscono a spiegare il proliferare delle tecnolo-gie e delle aziende hi tech che si offrono di aiutare il set-tore farmaceutico per proteggerne la sua catena di distri-buzione globale.

UNA TASK FORCEGLOBALE PER FERMARE LA CONTRAFFAZIONE

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SOPRA: Una donna sieropositiva ritira farmaci anti-retro virali presso uncentro specializzato di Kisangani, Repubblica Democratica del Congo.

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stoso (meno di 10mila dollari), compresi strumentazione,materiali e formazione del personale. Tuttavia, per poterutilizzare il kit, ogni struttura di controllo deve disporre diun laboratorio dotato di acqua potabile, impianto elettricoe aria condizionata. Forniture non sempre disponibili inmolte aree, soprattutto rurali, del Continente. Eppure,negli ultimi anni il governo americano e alcune fondazioniprivate internazionali hanno distribuito più di 400 Minilabin oltre 40 Paesi africani. La Tanzania, ad esempio, nepossiede una trentina sparsi su tutto il territorio. E irisultati raccolti dalle verifiche effettuate sui farmaci ge-nerici testati sono davvero allarmanti: in molte regioniun farmaco su tre è falso. Numeri che coincidono soloin parte con quanto reso noto dall’Organizzazione mon-diale della Sanità. D’altro canto, troppo spesso le statisti-che non tengono debitamente conto del dato sommerso.Secondo l’Osservatore Romano (in un articolo pubblicatoil 14 settembre 2010), «fonti non ufficiali annotano che

almeno il 50% degli antimalarici venduti in Africa sonocontraffatti». In alcuni Stati africani (Togo, Nigeria, Costad’Avorio e Kenya), il 60% dei farmaci sarebbe totalmentealterato «percentuale che - per l’organo della Santa Sede- salirebbe di altri dieci punti in riferimento agli antimala-rici». La causa? Soltanto una questione economica. Maper chi? Offrire medicine a buon mercato è garanziasolo di lauti guadagni per le organizzazioni criminali; eun’occasione di reddito per una pletora di disperati chesi improvvisano operatori sanitari. I rischi sono elevati.

Tecnologia africana fai da teUna recente ricerca, realizzata in dieci località del Benindalle Università di Abomey-Calavi e di Benin City, hacensito 6mila venditori di medicine (di cui un quartosono donne), che lavorano nei mercati; mentre altri4mila operatori praticano la vendita ambulante. L’85%degli abitanti del piccolo Paese africano compra le me-dicine sul mercato illecito. E l’impiego dei farmaci con-traffatti si traduce in almeno 5 miliardi di franchi CFA(oltre 4,5 milioni di euro) di entrate fiscali sottratte allegià deficitarie casse dello Stato. Oltre a 30 miliardi dimancati profitti per le farmacie. Come rendere il »

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secondo gli esperti, potrebbe dimezzare, nei prossimianni, il numero dei decessi causati in Africa dall’inefficaciachimica dei falsi medicinali.

Contraffazione e associazionismo umanitarioSecondo Howard Zucker della direzione generale dell’Oms«fino a un passato recente il business delle contraffazioniriguardava i cosiddetti farmaci life-style, prodotti costosifatti soprattutto per soddisfare i bisogni dei Paesi ricchi».Ora però è esploso un nuovo fenomeno. «La pirateria –avverte Zucker - dilaga anche nei Paesi in via di sviluppo.E una delle cause che alimentano questo traffico sud-mondista è paradossalmente l’attivismo umanitario». Direcente una Ong inglese, la Burma Campaign UK, dopo

mercato della salute più sicuro? Per aiutare i Paesi africania migliorare la qualità dei farmaci, alcuni strumenti sonogià disponibili. Tra questi, mPedigree, un sistema impie-gato finora per gli antimalarici. È stato sperimentato findal 2008 in Ghana, Kenya, Rwanda e Nigeria, dove leautorità sanitarie hanno deciso che lo estenderanno pre-sto a tutti i medicinali in commercio. Il suo funzionamentoè davvero semplice. Prevede la stampa di un codice diautenticità su ciascuna confezione, ricoperta da una pel-licola removibile simile a quella dei biglietti della lotteria“gratta e vinci”. Per il paziente basta grattare e comunicareil codice tramite sms gratuito a una centrale operativa.Verificata l’autenticità della confezione, un semplice “ok”metterà al riparo dai falsi. Un efficace accorgimento che,

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aver acquistato in Thailandia oltre100mila confezioni di artemisiada distribuire nel Myanmar, hascoperto che l’intera partita pro-veniente dalla Cina era falsa. Svi-sta o reale minaccia per gli ope-ratori sanitari sul campo?Secondo Fabio Manenti, respon-sabile del settore Progetti di Me-

dici con l’Africa - Cuamm «è unrischio che corrono i grandi organismi sovrannazionaliquando acquistano ingenti stock di farmaci per far frontead un’esigenza umanitaria». Un pericolo sempre più fre-quente «ma per le Ong, spesso partner governativi neiprogetti sanitari – precisa Manenti - lavorare a stretto con-tatto con le istituzioni locali garantisce controlli e maggioresicurezza nella distribuzione dei farmaci stessi». Quali altrepossibili soluzioni? L’organizzazione ginevrina FarmacistiSenza Frontiere (FSF) punta il dito sull’etica dell’aiuto uma-nitario nel settore farmaceutico per limitare il mercatonero. Basta solo qualche semplice accorgimento. Non ri-ciclare, ad esempio, i farmaci inutilizzati nelle precedentimissioni umanitarie. Oppure distruggere quelli scaduti.

Conseguenze pericoloseSecondo gli esperti della comunità scientifica internazionale,le conseguenze che possono derivare dall’utilizzo scelleratoe poco etico dei preparati chimici sono molteplici. Innan-zitutto c’è il rischio di creare resistenze a certe patologieendemiche in vaste aree del Sud. Ma soprattutto agli an-tibiotici, i farmaci più copiati e peggio utilizzati. Troppospesso fabbricati con materie prime costose; cosa che in-duce certi produttori a ridurne le dosi. Da qui la comparsadi ceppi batterici sempre più resistenti ai trattamenti anti-microbici. Tuttavia, in molti Paesi in via di sviluppo è ancorapossibile usare, con ottimi risultati e bassi costi, antibioticidi prima generazione. Farmaci per lo più abbandonati neiPaesi occidentali per l’insorta resistenza dei nostri micror-ganismi a difendersi da essi. Ne consegue che l’utilizzo diquesti ritrovati più moderni rischia di generare anche inquesti Paesi una situazione analoga. E il risultato è di ren-dere difficile la cura di infezioni e patologie oggi »

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A FIANCO: Funzionari della Nafdac (National Agencyfor Food and Drug Administration andControl) l’agenzia nazionale nigeriana chesi occupa del controllo sui farmaci e lanutrizione nel Paese, durante un’ispezione.

NELLA FOTO: Bambino affetto da malaria ricoveratopresso l’ospedale di Juba, capitale delSudan del Sud. Coloro che non riescono,per vari motivi, a curarsi pressostrutture adeguate, finiscono troppospesso nell’assumere farmaci alterati.

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facilmente risolvibili. O per lo meno trattabili, come - adesempio - la malaria.Paul Newton, a capo di un gruppo di ricerca medica ope-rante presso l’ospedale Maohosot in Laos, ha pubblicatorecentemente sulla rivista Malaria Journal un lavoro chedenuncia il traffico illecito di farmaci antimalarici contraffattie di scarsa qualità, distribuiti in Africa dal 2002 al 2010.Secondo l’articolo, le conseguenze di questo traffico sonodrammatiche: le morti sarebbero aumentate del 30%.Sia a causa della malaria non adeguatamente curata, siaperché i farmaci contraffatti hanno aumentato la resistenzadel parassita.

Come operare nel Sud del mondoScoperti i rischi, si sta cercando di trovare i rimedi. Negliultimi anni, a livello ufficiale, l’Oms ha classificato ben 120farmaci ritenuti essenziali alla cura del 95% delle malattie.Alle strutture ospedaliere più specializzate vengono invecelasciati gli altri 1.200 principi attivi per la cura del restante5% delle patologie. Tuttavia, nello stilare questa lista, l’Omsha stabilito alcuni parametri rigorosi da rispettare. Dall’effi-cacia rispetto alle specifiche patologie, ai più rigidi criteri disicurezza, ai costi e all’adeguatezza dei medicinali stessi.Naturalmente non esiste una lista unica di farmaci essen-

ziali valida per tutti i Paesi in via di sviluppo. Ma per ognunodi essi vengono individuate specifiche priorità derivantidalle diverse forme di patologie presenti. A livello pratico,una corretta raccolta dei medicinali significa innanzituttoconoscere queste liste per inviare i farmaci giusti nel postogiusto. E ciò comporta un accurato lavoro di scelta deimedicinali e la suddivisione per grandi tipologie farmaco-logiche. Per evitare così, come accade ancora troppo fre-quentemente, di spedire provvigioni di medicinali per lacura di malattie in contesti sudmondisti, dove certe pato-logie non sono ancora esigenze sanitarie. Nuove interes-santi alternative praticabili sembrano, però, nascere proprionei Paesi in via di sviluppo. Bisogna tenere presente cheoggi si è aperto un nuovo canale, quello di alcune asso-ciazioni no profit, come la tedesca Medeor, che in accordocon le linee guida dell’Oms producono farmaci a bassocosto e di sicura qualità riservati ai mercati più svantaggiati.Un canale, quest’ultimo, in forte crescita, che presentamolti vantaggi: una garanzia di qualità, che la raccolta tra-dizionale non è certo in grado di garantire, oltre all’abbat-timento dei costi. Un sistema di produzione che facilital’approvvigionamento in loco e l’effettiva corrispondenzafra le reali richieste dei Paesi in via di sviluppo e le effettivespedizioni.

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P uò il commercio equosolidale non essere più fenome-no di nicchia e diventare mainstream (pratica dell’uo-mo comune), estendendo alle grandi masse la pratica

del “valore aggiunto etico”? In che modo e con quali conse-guenze?Mentre in Italia lo scetticismo sulla sua diffusione tra la gen-te aumenta e sembra che non esista altro che il prezzo nellatesta dei consumatori nel Regno Unito, anch’esso investito dal-la crisi finanziaria globale, questo processo è ormai in fase avan-zata. Tutto è iniziato quando il marchio equosolidale FLO hadeciso di apporre il logo garanzia di eticità sui prodotti di al-cune multinazionali.Quello che è accaduto è noto da tempo. Un piccolo gruppo dipionieri ha creato “imprese etiche” che, invece dello scopo delprofitto, si sono proposte l’obiettivo di vendere prodotti con iquali promuovere inclusione e accesso al mercato di produt-tori poveri marginalizzati nel Sud del mondo. Scandalizzandoi benpensanti, ma di fatto facendo segnare la distinzione traun’economia statica di relazioni anonime ed impietose che difatto promuove la divisione in caste tra i produttivi e gli im-produttivi, ed un’economia dinamica dove attraverso la curae la relazione si intende dare un’opportunità di auto-svilup-po a chi parte da condizioni di svantaggio.La reazione ottimale delle imprese tradizionali (massimizzatri-ci di profitto) a questa strana alleanza è stata quella dell’imi-tazione parziale: scegliere alcuni prodotti simbolo all’internodella propria gamma, sui quali applicare le regole equosolida-li per poter riconquistare i consumatori perduti e dire che infondo non c’è nessuna differenza tra imitatori e pionieri. Gliaddetti ai lavori sanno, però, che i pionieri hanno un vantag-

gio competitivo inimitabile (la loro dedizione al 100% alla cau-sa equosolidale) perché gli imitatori non potranno mai conci-liare una sequela totale con la massimizzazione del profitto.Proprio in questo snodo dell’imitazione parziale si pone l’ar-dua scelta dei marchi che devono decidere se apporre il logoetico sui prodotti degli imitatori oppure no. In Inghilterra que-sto avviene e il commercio equosolidale diventa mainstream.La quota dei cittadini che lo conoscono balza in 10 anni dal10 all’80% e le vendite esplodono. Il motivo è ben noto: esi-ste circa un terzo di cittadini socialmente responsabili prontia pagare di più per questo prodotto e una massa di ignavi chenon si pone il problema. Chi arriva in Inghilterra oggi trova dunque il logo del commer-cio equo su un quarto delle banane vendute, su tutti i prodot-ti delle cooperative di consumo, sui gelati di Ben&Jerry e per-sino sulle barrette di KiteKat. L’idea diventa popolare e i pio-nieri rilanciano proponendo loghi alternativi che certificanoil loro vantaggio competitivo non imitabile, e promettono - unavolta cresciuti grazie ai consumatori - di poter avere un im-patto molto maggiore degli imitatori parziali. Nel frattempola competizione tra i loghi etici diventa high tech grazie allenuove tecnologie, che consentono di localizzare la provenien-za dei prodotti, e alle applicazioni per smartphones che con-sentono ai consumatori di puntare il loro cellulare contro il co-dice a barre dei prodotti per scoprirne la loro storia.Ci sembrano cose strane? Se vogliamo veramente risolvere ildramma del 30-200-1000 (rispettivamente i redditi di chi vivein uno slum di Nairobi, di un operaio specializzato in Roma-nia e di chi è appena sopra la soglia della povertà da noi), dob-biamo capire che l’unica strada è promuovere una rapida cre-scita del 30 verso il 1000. E l’idea del voto con il portafoglioe del commercio equosolidale è quella meno protezionista epiù rispettosa delle relazioni Nord - Sud.

QUANDO IL CONSUMO ETICO FA LA DIFFERENZA

di LEONARDO BECCHETTI*[email protected]

L’altraeconomia

* Professore Ordinario di Economia Politica presso la Facoltàdi Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

«Il modello di Welfare che cono-sciamo, così come ha funzio-nato dalla seconda metà del

‘900 in poi, non è più sostenibile né daun punto di vista economico né socia-le». Spiega il professor Gregorio Arena,docente di diritto, già presidente di Cit-tadinanzattiva.Lungi dal volere smantellare diritti fati-cosamente acquisiti nel corso degli anni,si pensa piuttosto ad un loro completa-mento. Un’opportunità per la democrazia

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Al di là delWelfareWelfare

di ILARIA DE [email protected]

Mentre in Europa si fa sempre più accesa la diatribatra i sostenitori dell’austerity e quelli della crescitaeconomica, prosegue in Italia un dibattito di piùampio respiro. Si parla dell’ampliamento del modellotradizionale di Stato sociale. La tensione bipolare tra pubblico e privato già da un pezzo va stretta aicittadini europei: il futuro è la democraziapartecipativa. Che fa perno su una nuova concezionedi “cittadinanza attiva” e sul principio di sussidiarietà.Ne parliamo con Gregorio Arena, docente di Dirittoamministrativo all’Università degli Studi di Trento.

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Sussidiarietà

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di rendere protagonisti i cittadini. Se loStato sociale ha sempre agito entro glistretti confini di un paradigma bipolare,per cui il “pubblico” si occupava dell’in-teresse pubblico e il privato risultavamero destinatario dei suoi provvedimenti,il superamento di questa dicotomia con-sentirà di arricchirne la portata.«Con l’attuale crisi del debito in Europaè oramai del tutto evidente che le risorsenon bastano a sostenere una macchinatanto costosa. Che peraltro tende a pas-sivizzare le persone e a deresponsabiliz-zarle anziché a sollecitarle» dice ancorail docente, che è anche autore del saggio

Il valore aggiunto, edito da Carocci. Sifa strada allora un’alternativa che trovail suo fondamento nella Costituzioneitaliana e nei documenti pontifici.

Professor Arena, parliamo del principiodi sussidiarietà. Che cos’è?«È ciò che integra la sfera del settorepubblico. Cittadini e amministrazionipossono lavorare insieme. La Costituzioneall’articolo 3 dice: “È compito della Re-pubblica rimuovere gli ostacoli di ordineeconomico e sociale che impediscono ilpieno sviluppo della persona umana”.Ma non dice che è compito esclusivodella Repubblica. Grazie all’articolo 118aggiunge: “Stato, Regioni, Città metro-politane, Province e Comuni favorisconol’autonoma iniziativa dei cittadini, perlo svolgimento di attività di interessegenerale, sulla base del principio di sus-

sidiarietà”. Ecco allora che la rimozionedegli ostacoli può avvenire con i cittadini,grazie ad essi, assieme ad essi. Ce loindica il principio di sussidiarietà».

Come avviene questo, concretamente?«Si tratta di far partire un meccanismo,non di tappare i buchi dell’inefficienza.Parliamo di amministrazione “condivisa”.Nel modello tradizionale di Welfare laprestazione veniva fornita dallo Statoe grazie a questo le persone realizzavanose stesse. L’idea che c’è dietro la “Citta-dinanza attiva” è invece che si puòagire in prima persona e chi agisce stasviluppando le proprie capacità, perdirla con Amartya Sen. In questo con-cetto di cittadinanza, lo sviluppo èdentro il processo, perché le personevengono coinvolte nella soluzione deiproblemi. »

Oltre il pubblico e il privato«Oggi sono soprattutto i beni comuni – dall’acqua all’aria,alla conoscenza – al centro di un conflitto davvero planeta-rio, confermando la natura direttamente politica che non silascia racchiudere nello schema tradizionale del rapportotra proprietà pubblica e privata». Stefano Rodotà, nellapostfazione alla raccolta di saggi Oltre il pubblico e il priva-to, per un diritto dei beni comuni, a cura di Maria RosariaMarella (Ombre corte editore), si interroga sulla peculiarenatura giuridica dei beni comuni, concetto ancora in fieri. Questa classe di beni rela-tivamente “nuovi” sfugge agli schemi binari. Incarna i mutamenti profondi in corsonelle nostre società e nella storia. Si colloca oltre la logica pubblico-privato e al di làdell’idea di proprietà. I beni comuni possono appartenere tanto a soggetti pubbliciquanto a soggetti privati, «ferma restando in ogni caso la loro fruizione collettiva»,dice Rodotà. Interessante è il concetto di “accesso”: il link che consente di passaredalla categoria dei diritti (fondamentali) a quella dei beni (comuni) non è la loro pro-prietà ma il loro accesso, che dovrebbe essere il più possibile inclusivo. Affascinantela previsione del giurista: se il conflitto tradizionale si giocava un tempo sul terrenodella proprietà terriera, quelli del futuro si giocheranno sempre più sul terreno dellibero accesso a beni di continuo minacciati. Oltre il pubblico e il privato raccogliedecine di saggi di notevole spessore, come quello di Lorenza Paolini su “LandGrabbing e beni comuni” o quello di Lorenzo Coccoli, “Idee del comune”. Infine ilsaggio che lancia un interrogativo quanto mai attuale: “Il lavoro è un bene comune?”di Adalgiso Amendola. Ognuno traccia una possibile via, a livello giuridico e storico,per iniziare a collocare i nostri interessi generali oltre le abituali categorie. I.D.B.

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dono, ci limitiamo a quelle poche enco-miabili persone che lo fanno per amore.Prendersi cura del bene comune inveceè interesse di tutti. Nella cura dei benicomuni c’è un vantaggio materiale reci-proco. Una componente significativa diinteresse del singolo ma non tale da so-vrastare l’interesse generale».

Non stiamo parlando né di bene pub-blico né di bene privato. Di che bene sitratta?«Dei beni comuni, come l’acqua o la co-noscenza, che sono diversi da quelli pub-blici e che secondo la CommissioneRodotà sono “funzionali all’esercizio dei

diritti fondamentalinonché al libero svi-luppo della persona”.Significativa è la de-finizione di bene co-mune contenuta nellaGaudium et Spes:“L’insieme di quellecondizioni della vitasociale che permet-tono, tanto ai gruppiquanto ai singolimembri, di raggiun-gere la propria perfe-zione più pienamentee più speditamente”.In una prospettiva lai-

ca si può notare una certa assonanza fraquesta definizione di bene comune equella dell’articolo 3 della Costituzione».

E la sussidiarietà della Caritas in veritate?«Nella Caritas in veritate, emanata daBenedetto XVI nel 2009, c’è un’interpre-tazione completamente nuova della sus-sidiarietà rispetto alla Quadragesimoanno. È una visione personalista e rela-zionale: “La sussidiarietà è l’antidoto piùefficace contro ogni forma di assisten-zialismo paternalista”. Non solo: “Implicasempre finalità emancipatrici” ed è“espressione dell’inalienabile libertà uma-na” laddove credenti e non credenti col-laborano».

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Ad esempio?«L’amministrazione condivisa di vie, piazzee parchi. La riappropriazione dello spaziourbano in cui viviamo, a cominciare dalnostro quartiere. O anche esempi diterapie di mutuo aiuto per il disagiomentale e l’assistenza medica ai migranti.Se tutto questo si potesse estendere inaltri campi, ci consentirebbe non solo disupplire alle carenze dello Stato socialecome lo abbiamo immaginato finora,ma di sviluppare appieno noi stessi. Ilsenso è: “Me ne occupo non perché loronon sono capaci ma perché me ne vogliooccupare!”».

Non è il classico vo-lontariato? E non ri-schia di creare unalibi alla responsa-bilità statale?«Prima di dire il vo-lontariato si limita asostituire lo Stato incose che dovrebbefare lo Stato, chie-diamoci: davvero loStato deve fare tuttoquesto? Bisognerebbeusare un’altra cate-goria rispetto a quellatradizionalmente at-tribuita al volonta-riato: non il dono ma il disinteresse. Sesi usa la categoria del dono diventaqualcosa per pochi. Se invece parliamoin termini più laici di disinteresse tuttocambia: le persone si prendono cura dichi non fa parte della propria cerchiafamigliare. I cittadini attivi sono volontarima si prendono cura di beni che nonsono loro. Gente che sistema piazze,giardini, ecc. Si va oltre il diritto di pro-prietà».

Se la categoria è il disinteresse, diquale interesse si prendono cura i cit-tadini attivi?«Dell’interesse generale. Se rimaniamofermi sul terreno della gratuità e del

È di nuovo allar-me rosso ad

Haiti, la martoriataisola caraibica giàcolpita da un terremoto che uccise250mila persone nel gennaio 2010 epoi, a stretto giro di posta, fu messa inginocchio da una terribile epidemia dicolera che contagiò oltre il 5% della suapopolazione causando 7.060 morti. Alanciare l’SOS per Haiti, qualche settimanafa il coordinatore delle Nazioni Uniteper le questioni umanitarie Nigel Fisher,secondo il quale «per garantire la conti-nuità delle operazioni umanitarie nel2012 è necessario un contributo di 231milioni di dollari da parte della comunitàinternazionale mentre, sinora, abbiamo rac-colto appena l’8,5% della somma». Delresto, già lo scorso anno, dei 328 milioni didollari chiesti per Haiti, i donatori hannoversato poco più della metà, appena il 55%.Risultati molto scarsi, vuoi per la crisi eco-nomica che ha colpito i Paesi tradizional-mente più generosi in quanto alle donazioni,a cominciare dalla “vecchia” Europa e dagliStati Uniti, vuoi per la mancanza di infor-mazioni da parte dei grandi giornali e tv. InItalia, ad esempio, l’appello di Fisher èstato raccolto solamente dalla Misna, daRadio Vaticana e dal settimanale del noprofit Vita; per il resto silenzio tombale.Popoli e Missione invece lo rilancia perchéoggi ad Haiti è a rischio la vita stessa deiterremotati ed il timore è che possa esserciun ritorno ancora più micidiale del focolaioepidemico di colera. Se infatti dovesseessere smantellata la struttura di aiuti in-ternazionali, l’ex perla dei Caraibi, che daoramai decenni guida la classifica della po-vertà delle Americhe e del mondo, ricadrebbenel caos umanitario, ma anche politico dalmomento che il governo dell’ex cantante dimusica e - per sua stessa ammissione - extossicodipendente, Michel Martelly, prostratoda una serie di operazioni ai polmoni,appare sempre più debole ed incapace digestire l’emergenza.

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LA VIA CRUCIS DI HAITI

di Paolo Manzo

Il professor Gregorio Arena,docente di Diritto Amministrativo

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Nella foto:

Antonella Bertolotti (la prima a sinistra), medico, presidentedi Intermed onlus, con alcune collaboratrici in Africa.

Intermed onlus

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P ronti a partire per curare le vittime della guerra, dellecalamità naturali, delle epidemie. Sono i medici di In-termed onlus che con i loro progetti sanitari sono

attivi, spesso a fianco dei missionari in Eritrea, Rwanda,Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso e altri Paesidell’Africa. Ma sono stati presenti anche ad Haiti dopo il ter-remoto che ha devastato l’isola caraibica, in Abruzzo, inPakistan e in Kosovo dopo il conflitto etnico.«Mi considero una laica in missione» dice la presidente di In-termed, Antonella Bertolotti, che racconta la sua esperienzapersonale all’interno di un più vasto e organizzato impegnoper i Paesi del Sud del mondo. «Sono 25 anni che ho fattoquesta scelta. Ho studiato medicina perché volevo partire

Le piaghe delcorpo e quelledell’anima

Le piaghe delcorpo e quelledell’anima

di MIELA FAGIOLO D’[email protected]

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Quanto è importante lo spirito disussidiarietà nella gestione di progettisocio-sanitari? Ne parliamo conAntonella Bertolotti, presidente di unaassociazione che collabora con religiosee religiosi impegnati a risolvere ilproblema della mancanza di strutturesocio-sanitarie in diversi Paesi d’Africa.La onlus bresciana si occupa dinumerosi progetti, a partire dalleesigenze di autodeterminazione dellevarie realtà locali, curando laformazione degli operatori e istallandostrutture in grado di attuare interventidi medicina di base in zone sprovvistepersino della corrente elettrica.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

per l’Africa, era un mio progetto di vita.Dopo la specializzazione in psichiatriasono partita da Brescia con le suore ca-milliane con cui lavoro anche qui inItalia» continua Bertolotti, raccontandodella sua lunga amicizia e collaborazionecon i religiosi in frontiera. «Con loro holavorato in Burkina Faso, in Costa d’Avorioe in Benin, poi al tempo del genocidiosono stata in Rwanda, a lungo impegnatanell’assistenza ai profughi del campo diraccolta di Goma, traumatizzati dallaviolenza degli scontri etnici».Dopo l’esperienza in Mozambico, rac-contata nel suo ultimo libro “L’angelodella marea” (vedi box), la psichiatra diBrescia continua ad amare l’Africa, uncontinente ricco di emozioni e di piagheda curare. Per rispondere ai molti bisogniche incontra, inizia a lavorare a progettidi sanità di base creati su misura per lepopolazioni prive di servizi sanitari. «Ècome se mi fossi guadagnata una secondaspecializzazione sul campo» dice, spie-gando le particolarità dell’ozonoterapiada lei sperimentata per la prima volta aKonakrò in Costa d’Avorio e poi a Zinvièin Benin per curare non solo le piaghe,ma anche l’ulcera di Buruli. Una malattiache può essere definita “negletta” mache può avere sviluppi devastanti senon viene curata in tempo per debellareil micobatterio trasmesso da un insettoacquatico. Diffusa in Costa d’Avorio,Benin e Ghana, prende il nome da unazona dell’Uganda dove per la primavolta è stato isolato il micobacteriumulcerans.

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La bussola delle emozioni attraversa il lungo viaggio in Africa come medico edonna. Un viaggio accompagnato da “L’angelo della marea” (edizioni LaQuadra),

un originale “diario di bordo” scritto da Antonella Bertolotti che riporta i progetti sani-tari, ma soprattutto l’esperienza umana, vissuti nelle missioni in Africa, Haiti ePakistan come presidente dell’associazione Intermed onlus. «Avrei voluto che nessu-no potesse criticare quel mondo dove io ero entrata, spinta dall’angelo della marea mapoi abbandonata a gestire da sola un oceano troppo mosso». Fuori dalle metafore,l’oceano è il mare delle sofferenze che, ad onde altissime, si abbattono su popolazioniinermi provate dalle guerre, dalle calamità naturali, dalle epidemie, dalla povertà edalla denutrizione. Cosa può fare un essere umano di fronte a tanto dolore se non affi-darsi ad un “angelo” per seguire il fruscio delle sue ali? Abbracciare l’essere umanosofferente, ritrovandosi in questo atto d’accoglienza accanto a «straordinarie esisten-ze vocazionali di missionari, ecclesiastici e laici, di medici e volontari che, nonostantecarenze di farmaci e ambulatori, tessono reti interculturali con umiltà e passione»come scrive nella prefazione al volume Grazia Dormiente. In riva all’Oceano o ad Haitidopo il terremoto, l’autrice fissa attimi eterni con parole che escono velocementedall’anima. Quasi come in una poesia. O come in una foto in cui è fissata quella luceincredibile che dà umanità all’abisso del dolore umano. Anche grazie al corredo delleimmagini di Antonella Bertolotti, il libro regala le molte tappe di un viaggio dell’animache ancora continua. M.F.D’A.

IN MISSIONE COL CUORE

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Intermed onlus

Bertolotti racconta il suo primo incontrocon questo particolare tipo di ulcera:«Sette anni fa mi è capitato di curareun bambino con una piaga molto pro-fonda nel braccio, in stato talmenteavanzato che il braccio sembrava incancrena. La benda che lo fasciava da15 giorni si era insinuata nei tessuti etoglierla è stata una grande sofferenza.Il bambino urlava e l’abbiamo messosotto anestesia. Allora mi è venuto inmente di usare l’ozono, utilizzato abi-

tualmente per curare le ulcere diabetiche.La cura con l’ozono non è dolorosa e ibambini affrontano serenamente la te-rapia». Capita che una piccola punturadi insetto non desti sospetti ma quandoil nodulo si ulcera, l’infezione si propagarapidamente ai tessuti sottostanti, con-tagiando il muscolo fino all’osso. E cosìsi presentano al dispensario mamme conbambini piagati in braccio che hannofatto chilometri a piedi nella broussenella speranza di vedere guarito il figlio.Per questo Intermed sta da tempo se-guendo una nuova prassi sanitaria inBenin - dove la malattia è particolarmentediffusa - e i medici vanno a visitare imalati nei villaggi. «Il progetto dellanostra onlus è quello di portare l’ozonodirettamente nei dispensari della brousse.Dato che l’ozono si produce dall’ossigeno,c’è bisogno di un apparecchio che fun-ziona con la corrente elettrica. Abbiamo

avuto la fortuna di incontrare degli in-gegneri molto collaborativi che hannocreato una struttura di alimentazione apannelli solari, funzionanti anche neivillaggi decentrati».Dalle piaghe del corpo a quelle dell’anima,causate dallo choc di tragedie che se-gnano in profondità le persone e lastoria di un popolo, Intermed onlus,fondata 12 anni fa, è una organizzazioneinternazionale specializzata in attivitàdi cooperazione socio-sanitaria. È com-

posta da circa 40 tra medici, infermieri,tecnici di laboratorio che si impegnanoin progetti localmente mirati, fornendoapparecchiature e formando personalelocale. Aperta alla collaborazione conorganizzazioni internazionali e struttureospedaliere italiane, dalla sede brescianadella onlus c’è sempre qualcuno prontoa partire per un nuovo progetto inAfrica. I finanziamenti vengono da isti-tuzioni ecclesiali, come la Conferenzaepiscopale italiana, dal sostegno di privatie da iniziative promozionali, ma ancheda aziende che sponsorizzano progettimirati a risolvere i singoli problemi locali.Così, mentre alcuni progetti sono incorso, altri sono in programmazione.Puntando su vecchie e nuove mete incui mancano strutture socio-sanitarie.Dove non ci sono i mezzi di cura e dallarisposta alle emergenze si passa alla for-mazione della persona.

C on lo zainorosso in spal-

la: è il simbolo del98esimo Katholi-kentag (il “con-gresso” cattolico)svoltosi a Man-nheim, in Germania, dal 16 al 20 maggioscorsi, all’insegna del motto “Osare unanuova partenza”. L’aggettivo è “cattolico”ma la sostanza è ecumenica; all’orga-nizzazione del raduno biennale (che sialterna con il Kirchentag dei protestanti)è ormai consueta la piena partecipazionedei fratelli cristiani. E, altrettanto natu-

ralmente, il problema dell’auspicata unitàda raggiungere percorre i lavori delle assise.Degli uni e degli altri.L’incontro di Mannheim è stato definito una«punta di lancia ecumenica» di un movimentoche sente sempre più il soffio sul collo delsecolarismo: quasi la metà dei tedeschi nonappartiene a una confessione religiosa; pergli uni e per gli altri la frequenza va dal 16 al20%; nell’ex Germania comunista uno su seisi dichiara praticante. Quello che resta, incompenso, riflette seriamente sulla fede.Dialogo, incontro, colloquio sono pane quo-tidiano, anche se è chiaro ciò che è possibilee ciò che non lo è fra le due Chiese. La colla-borazione attiva nel sociale, in nome delCristo comune, si concretizza nelle tanteopere di carità, sia all’interno del Paese,perché la Germania stessa è terra di missione,sia all’estero. Contrariamente a quanto ac-cadeva nei primi decenni del Novecento,non c’è spirito competitivo fra le rispettiveistituzioni missionarie. Suona come unoschiaffo l’osservazione, frequente da parteislamica, che non può essere predicato uncristianesimo che vede divisi i suoi figli.Così, in patria e all’estero, le opere missionariecattoliche Adveniat, Misereor, Sternsinger,Missio, Bonifatiuswerk, e quelle protestantiDiakonische Werk, Brot fuer die Welt fannoa gara, in spirito evangelico, nella stima enell’aiuto reciproci. Non con le labbra, èstato scritto, ma con il cuore.

I CRISTIANI TEDESCHI E L’ECUMENISMO

di Angelo Paoluzi

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Dai figli unici cinesi alla fertilità in declino de

MUTAMENTI Rivoluzioni demografiche

lare cinese sul problema degli scapoli,gruppo spaventosamente in crescitasoprattutto nei villaggi rurali per l’ef-fettiva mancanza di donne da sposare.È solo il più vistoso degli aberrantieffetti della politica del figlio unicointrodotta da Pechino nel 1978 per«cercare di risolvere problemi sociali,

economici e ambientali». La leggeimponeva a tutte le coppie (trannepoche eccezioni) di avere un solofiglio. È successo che molte donnehanno nascosto alle autorità le gravi-danze o, nei casi più estremi, hannoabortito figlie femmine finché nonnasceva un maschio o hanno commes-

«Per trovare moglie bisognaessere alti, istruiti e avereuna casa di proprietà: nes-

suna di queste tre cose può manca-re»: sono i versi di una canzone popo-

di LUCIANA [email protected]

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gli arabi

so infanticidio. Risultato: oggi in Cinaci sono 118 maschi nati ogni 100 bam-bine (contro una media mondiale di105 maschi ogni 100 femmine) perciò,in una popolazione di circa 1,34miliardi di persone, i cinesi uominisono tra i 30-40 milioni in più delledonne. Nel marzo 2011 le autorità

continente in cui, se continuerà il trendattuale, la popolazione raddoppierà en-tro il 2045, raggiungendo i 2 miliardi.Addirittura in Stati come Liberia e Ni-ger si prevede che il raddoppio arrivi pri-ma, in meno di 20 anni. A tutt’oggi ilcontinente africano ospita il 12% del-la popolazione mondiale. Eppure qual-cosa sta succedendo anche lì e stannoemergendo segnali che, almeno in cer-te zone, le famiglie cominciano a ridur-si di numero. Nel Maghreb i nuclei fa-miliari con due figli stanno diventandola norma. Anche nei grandi centri comeLusaka (Zambia) e Kinshasa (Repubbli-ca Democratica del Congo) non si supe-rano i quattro figli. Tuttavia, se un cer-to declino nella fertilità è iniziato, il pro-cesso è molto più lento che in altre par-ti del pianeta. In Camerun, negli ultimi20 anni, l’indice di fertilità è sceso di unsolo punto, da 5,7 a 4,7 figli per fami-glia. E in altri otto Paesi africani, tra cuiGhana e Kenya, ci si è attestati da tem-po su cinque figli per nucleo familiare,cifra che si avvicina alla media dell’in-tero continente (5,5).Se i dati sull’Africa sono in fondo abba-stanza prevedibili, colpisce lo stravolgi-mento demografico avvenuto negli ul-timi decenni nel mondo musulmano especialmente nei Paesi arabi del MedioOriente. Nel 1969 l’indice di fertilità de-gli arabo-israeliani (palestinesi rimastiin Israele dopo l’occupazione) era di seifigli per donna, nel 2012 è sceso a 3,75.Parallelamente è andata aumentando lafertilità delle madri ebree nate in Israe-le, che oggi hanno in media tre figli cia-scuna. In generale in tutti i Paesi arabi,tradizionalmente noti come particolar-mente prolifici per ragioni sociali e re-ligiose, c’è stato un declino nel nume-ro dei nati: secondo il Cia Factbook del2011, in Iran si fanno 1,87 figli per don-na, in Arabia Saudita 2,5, in Siria 3, inGiordania 3,4 e in Iraq 3,76. Numeri cheappaiono comunque alti rispetto a unPaese come l’Italia dove siamo scesi a1,45 figli per donna. Eppure, per gli ara-bi, è una rivoluzione.

hanno annunciato un ammorbidimen-to della legislazione e ammesso lapossibilità di avere un secondo figlio,ma resta il fatto che, a causa di questedirettive, gli ultra-sessantenni supere-ranno il 30% della popolazione entroil 2050, causando una serie di proble-mi legati alle politiche lavorative, alsistema pensionistico e al settore del-l’assistenza sociale.Uno sconvolgimento demografico simi-le a quello della vicina India. Anche qui,da tempo, molte bambine risultano“scomparse”. Dai dati ufficiali emerge checi sono solo 940 femmine ogni 1000 ma-schi tra i bimbi sotto i 6 anni, quandoil rapporto a livello mondiale è di 986a 1000. Un tempo il fenomeno era dif-fuso soprattutto in alcuni tra i più po-veri Stati del Nord, ma ultimamente siè diffuso a tutto il Paese. Secondo la tra-dizione indiana nascere femmina è unavera sfortuna, perciò in alcuni casi si ri-corre alla terribile pratica dell’aborto se-lettivo o dell’infanticidio, nonostante chedal 1994 la legge vieti gli esami prena-tali per conoscere il sesso del nascitu-ro. Secondo uno studio della rivista me-dica Lancet, in India l’aborto selettivoimpedirebbe ogni anno la nascita di cir-ca 500mila bambine: una grave perdi-ta per il Paese e per l’umanità.Anche nelle ex Repubbliche sovietichelo scenario demografico starebbe pro-gressivamente cambiando a causa di de-cisioni prese dall’alto. Secondo la Bbc,in Uzbekistan, grande Paese dell’Asiacentrale, da due anni le autorità stareb-bero silenziosamente portando avantiuna campagna di sterilizzazione delledonne che hanno già figli, in alcuni casiaddirittura senza il consenso delle inte-ressate. Fonti del Ministero della Salu-te spiegano che il programma punta amantenere la popolazione uzbeka sot-to i 28 milioni. Il governo ha vigorosa-mente smentito le accuse.Chi invece continua a riprodursi a rit-mi generalmente serrati è l’Africa, esem-pio unico a livello internazionale. Secon-do le previsioni degli esperti, è il solo

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L’altra

«L a tv di Stato dice che due attacchi kamikaze aIdlib hanno ucciso due persone, mentrel’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani dichia-

ra che i morti sono più di 20 in attentati contro le forze disicurezza» ha dichiarato BBC News il 29 aprile scorso.Ogni giorno, dal 18 marzo 2011, quando è cominciata la sol-

DAMASCO,REGIME ARISCHIO

DAMASCO,REGIME ARISCHIO

edicola

di FRANCESCA [email protected]

LA NOTIZIA

PER I MEDIA LA CRISI SIRIANA ÈMOLTO DIFFICILE DA RACCONTARE. I DIVIETI GOVERNATIVI E I GRANDIRISCHI HANNO OSTACOLATOL’ACCESSO DEI REPORTER. CIÒ RENDEANCOR PIÙ COMPLICATO SCALFIRE LAPROPAGANDA DI GUERRA CHE VIENEDA PIÙ PARTI ED È GUIDATA DAINTERESSI VARI, ECONOMICI EPOLITICI. OCCIDENTE E ALCUNIESPONENTI DELLA LEGA ARABAHANNO INVANO CHIESTO CHE ASSADLASCIASSE IL POTERE, MENTRE CINA E RUSSIA SI SONO OPPOSTE ALLEINTERFERENZE STRANIERE, TEMENDOUN NUOVO “INTERVENTOUMANITARIO”. RESTA SOLO UNADOMANDA: QUAL È LA VIA PIÙ GIUSTAPER PORRE FINE AI MASSACRI?

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levazione popolare siriana contro la dittatura di Bashar al-As-sad che ha risposto con una durissima repressione, ci imbattia-mo in notizie come questa. Fonti diverse, cifre e dinamiche di-verse. Incertezza, ambiguità, impossibilità di verifica. Da una par-te il governo, dall’altra l’Osservatorio, un gruppo basato a Lon-dra in sostegno dell’opposizione. O altre fonti mediatiche cherispondono a interessi differenti: l’Occidente e la Lega Araba sonoquasi completamente allineati nel diffondere il binomio «rivol-te filo democratiche + reazione sanguinaria delle autorità»; la

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Nella foto:

Morti, feriti e auto distruttenell’immagine scattata subito

dopo gli attentati che hannoscosso Damasco il 10

maggio scorso.

Cina, all’estremo oppo-sto, riporta soltanto levittime di regime, mentrela Russia si concentra suisuoi interessi militari estrategici.L’accesso al Paese medio-rientale è stato reso mol-to difficile sia ai giornali-sti che alle organizzazio-ni umanitarie. Di recente,colui che è considerato ilpiù grande fotoreporter diguerra, James Nachtwey,ha detto: «È sempre stato

difficile raccontare i conflitti. Alcuni, poi, sono più complessi dialtri. Molto dipende dall’accesso. Ad esempio, per i reporter stra-nieri, la guerra fra Iran e Iraq è stata praticamente impossibi-le da coprire, come del resto l’attuale crisi in Siria. Allo stessotempo, la guerra in Libia è stata completamente aperta a doz-zine di fotografi e giornalisti».L’ultimo rapporto Onu diffuso nell’aprile scorso parla di oltre9mila persone uccise dalle forze di sicurezza e di almeno altre14mila imprigionate. Sono in molti, però, a domandarsi quan-to siano attendibili queste cifre e se si metterà mai fine alla mat-tanza. C’è chi parla di rischio “balcanizzazione”, mentre si stacercando di applicare il piano congiunto di Nazioni Unite e LegaAraba sotto la guida del veterano Kofi Annan. Dopo la boccia-tura di due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, che mirava-no all’allontanamento di Assad, e due veti di Cina e Russia, l’uni-ca via da percorrere è sembrata quella diplomatico-politica. Ilpiano prevede una soluzione interna alle violenze, attraverso l’in-vio di 300 osservatori Onu per monitorare un cessate il fuocoda ambo le parti. Devono, inoltre, essere garantite l’assistenzaumanitaria, il rilascio dei civili detenuti in modo arbitrario, lalibertà di movimento dei reporter e quella di associazione e ma-nifestazione dei locali. Ma, al momento, essendo arrivati solo15 osservatori, scontri e uccisioni continuano. Nessuno può pre-vedere se il piano di Annan sarà già fallito o avrà dato buonifrutti quando questo articolo verrà pubblicato.Lo scorso 14 marzo la Radio Svizzera in lingua francese ha de-dicato la sua trasmissione Babylone a “Syrie: ce qu’on en sait,et comment?”, (Siria: cosa ne sappiamo e come?). Al dibattitohanno partecipato tre giornalisti: Gaëtan Vannay, capo della ru-brica internazionale della stessa emittente, lo storico Pierre Pic-cinin, e Alain Gresh, condirettore di Le Monde Diplomatique,grande esperto di Medio Oriente. Sono stati tutti in Siria dopol’inizio delle sommosse, ma hanno avuto esperienze di acces-so molto diverse. Vanny, entrato clandestinamente dalla Turchia,al seguito degli oppositori, ha parlato di grande chiusura

Disinformazione Siria

»

PRINCIPALI ALLEATI DEL REGIME SIRIANO:Russia, Cina, Iran, Hezbollah, Hamas.

PRINCIPALI SOSTENITORI DELL’OPPOSIZIONE SIRIANA:Turchia, Arabia Saudita, Qatar.

MEMBRI DELLA LEGA ARABA: Egitto, Iraq, Giordania, Libano, Arabia Saudita, Siria (sospesaa partire dal 16 novembre 2011), Yemen, Libia (sospesa dal22 febbraio 2011 al 27 agosto 2011), Sudan, Marocco,Tunisia, Kuwait, Algeria, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar,Oman, Mauritania, Somalia, OLP, Gibuti, Comore, Brasile(osservatore), Eritrea (osservatore), Venezuela (osservatore),India (osservatore).

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del Paese. Piccinin, invece, si è camuffato da turista e ha gira-to «piuttosto liberamente». Gresh, infine, è riuscito a ottenereun visto giornalistico: «La Siria non è completamente chiusa. Du-rante le elezioni c’erano giornalisti turchi. Si è diffusa l’idea chenon vale la pena recarsi a Damasco, ma la capitale non è cosìcontrollata».È noto che le violenze finora sono state localizzate in alcunecittà, tra cui Deraa (dove tutto è cominciato), Hama, Homs, Idlib,i sobborghi di Damasco, ma anche che alcuni esponenti dei me-dia hanno perso la vita: 19 uccisi e tra gli imprigionati 171 gior-nalisti e assistenti, e 121 netizens (attivisti di internet) secon-do Reporters Sans Frontières.Gresh ci tiene a specificare che quando parla di disinformazio-ne, intende che la situazione è molto più complessa di come vie-ne raccontata in Occidente. D’accordo con Piccinin, sostiene cheil potere, la popolazione e l’opposizione sono tutti molto divi-si al loro interno. La realtà siriana è costituita da diversi grup-pi confessionali. Assad è il supremo esponente della minoran-za musulmana alawita (16%), che detiene il potere in modo ac-centrato e corrotto. L’opposizione, con riferimento al ConsiglioNazionale Siriano e ai Fratelli Musulmani, rappresenta la mag-gioranza musulmana sunnita (74%). Essa comprende, però, an-che il Comitato di Coordinamento Nazionale, diffidente versogli estremisti islamici. Infine c’è l’Esercito Libero Siriano forma-to da soldati disertori che vogliono rimuovere Assad con la for-za. Si aggiunga un 10% di cristiani, che ha sempre goduto dilibertà di culto sotto il regime e che ha svolto un ruolo impor-tante nell’accoglienza di circa un milione di profughi irachenidopo la caduta di Saddam.Gresh aggiunge: «La maggiore responsabilità di ciò che sta ac-cadendo è del regime, che sta conducendo una repressione ter-ribile. Ma non dobbiamo farci condizionare dalla nostra sim-patia per il popolo finendo con l’aderire alla propaganda di guer-ra (di Occidente e Lega Araba, in primis Qatar e Arabia Saudi-ta, ndr) e giustificando un intervento mi-litare esterno». E ancora: «Al-Jazeera, cheper lungo tempo è stata un’emittente ec-cellente e professionale (del Qatar, ndr),ha assunto un ruolo catastrofico». Unacosa simile si potrebbe dire della tv Al-Arabiya degli Emirati Arabi, il cui re de-spota Abdullah ha dichiarato apertamen-te di sostenere i rivoltosi. Secondo alcu-ni analisti, avrebbe voluto condurre unaguerra per procura contro l’Iran, suo ne-mico e alleato siriano.Russia e Cina si sono fermamente oppo-ste a un nuovo “intervento umanitario”internazionale, come quello assai contro-

verso condotto in Libia. La loro copertura degli eventi siriani,però, è altrettanto parziale e dettata dai reciproci interessi. SulPeople’s Daily, il quotidiano ufficiale del partito comunista ci-nese, si è scritto: «Il motivo per cui gli Stati Uniti si propongo-no come protettore delle genti arabe non è difficile da imma-ginare. La questione è su quale base morale lo facciano e su qua-le egoistica arroganza e fiducia in se stessi. Persino adesso, leviolenze continuano senza sosta in Iraq e la gente comune nonè sicura. Solo questo è sufficiente per disegnare un enorme pun-to di domanda sulla sincerità e l’efficacia della politica Usa». Sesi può condividere questo pensiero, non si può accettare al con-trario che l’agenzia di Stato Xinhua riporti solo la versione diDamasco, ovvero i presunti crimini commessi dai “terroristi” si-riani. Ma la Cina è il maggior partner commerciale della Siria,soprattutto per quanto riguarda i beni che quest’ultima impor-ta da Pechino.La Russia, tradizionale alleato della Siria, che detiene una basenavale a Tartus (secondo porto siriano) e ha rifornito di armi ilregime, nel marzo scorso sul The St. Petersburg Times, per vocedel viceministro alla Difesa, Anatoly Antonov, ribadiva: «La coo-perazione militare russo-siriana è assolutamente legittima». Adaprile la sua posizione si è ammorbidita, ma si continua a te-mere una crescita dell’islamismo in Siria e una prosecuzione del-le violenze anche in caso di cambio di regime. Intanto i gior-nali critici del regime moscovita offrono altre analisi. «La poli-tica estera russa – si legge su gazeta.ru – dimostra che la pre-senza economica del nostro Paese nel mondo si sta restringen-do. Questo è il prezzo da pagare per aver puntato su partnerinaffidabili e non democratici, e anche per aver provato a con-durre guerre commerciali contro gli avversari politici».

L’altraedicola

Disinformazione Siria

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ERRATA CORRIGECi scusiamo con i nostri lettori per la pubblicazione nella rubrica delnumero dell’aprile scorso, dell’occhiello “Il dittatore boliviano” anzi-chè “Il presidente bolivariano”.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Là non celebra nessuno

La gente mi aveva detto che lungo ilfiume si trovano due - tre piccolecomunità, con poche persone, che par-tecipano poco alle attività della par-rocchia e che per questo sono pocovisitate.Nel lungo viaggio, sdraiata sulla miaamaca, unico posto per sedersi durantequesti spostamenti, rileggevo alcuni

S ono partita sul piccolo battellogremito di gente, oltre 30 perso-ne tra adulti e bambini, per rag-

giungere una regione brasiliana a me an-cora sconosciuta: il Rio Cuparí.

appunti dell’esperienza missionariavissuta qualche mese fa: «Puoi essereda sola nella tua evangelizzazione, mastai sempre facendo un atto missiona-rio ecclesiale!». Ricordandoci le paroledell’Evangelii Nuntiandi, dom Esmeraldoincoraggiava noi missionari, a voltecompletamente soli, ad affrontaresituazioni e realtà difficili con la cer-tezza che ogni atto e gesto di evange-lizzazione è vissuto con tutta la Chiesa.Così mentre il battello si inoltrava sem-pre più in quel lunghissimo fiume inmezzo alla foresta che mi faceva pen-sare al paradiso terrestre per l’origina-lità e la bellezza di quella naturaincontaminata, mi sentivo carica eforte della presenza e della comunionedi ogni missionario che era con me adAlmeirim nei mesi scorsi, con tutta ladiocesi di Ferrara – Comacchio cheaccompagna con tanto affetto noimissionari ferraresi, con tutti i fratellicon cui ho condiviso il corso al Centrounitario missionario l’estate scorsa, conquesta immensa diocesi di Santarém,con tutta la Chiesa e gli organismi mis-sionari.Dopo cinque ore e mezzo di navigazio-ne sono arrivata a destinazione: la pic-cola comunità di Assaituba, di circa 30famiglie, il cui responsabile è AntonioEligio, un ragazzo alto e forte di circa30 anni, insegnante, sposo e papà diquattro bei bambini.Subito mi ha portata a conoscere il vil-laggio, la chiesetta in costruzione, lascuola e alcune famiglie. Mi spiega larealtà della regione: quasi tutte lecomunità situate lungo il fiume sonoprive di catechisti, di ministridell’Eucaristia e della Parola; la mag-gior parte della popolazione non haricevuto nessuno dei sacramenti. Lecomunità presenti lungo il fiume sonoin realtà otto, per un totale di un cen-tinaio di famiglie. »

Nella foto:

Maria Giovanna Maran, missionaria in Brasile.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

arrivare la gente davanti alla casa diAntonio per la celebrazione! Si svolgenella scuola, perché la chiesetta èancora inagibile: una cinquantina dipersone riempiono l’aula. Un profondosilenzio accompagna tutta la Messa,interrotta solo di tanto in tanto dalpianto di qualche piccolo.Alla fine di tutto io preparo in frettatutte le mie cose per ripartire in canoae celebrare la liturgia della Parola, subi-to dopo pranzo, nella comunità diGoudinho.Qui la situazione si ripete: ci riuniamonell’unica aula della scuola, cantiamoun po’, poi scendiamo in processionefestosa fino alla chiesa, ai margini delfiume.Nella celebrazione incoraggio la comu-nità a continuare il suo cammino econdivido alcune notizie della parroc-chia, della diocesi e alcuni appunta-menti pensati per loro e le comunitàdel Cuparí.

Il sabato mattina Antonio mi porta conla sua canoa a motore a conoscere lacomunità vicina: Goudinho è compo-sta da otto famiglie, al nostro arrivosono quasi tutte riunite nel capannonea lato della chiesetta di legno, per svol-gere un lavoro comunitario (preparareuna casa in muratura per collocarvi ilmotore dell’energia elettrica dellacomunità, momentaneamente situatonello stesso capannone).Sono più di 30 persone tra bimbi eadulti, alcune signore preparano ilpranzo per tutti, mentre gli uominicaricano sabbia dalla riva del fiume. Unbel clima familiare e di unità animatutti i presenti. Con Antonio dopo ilpranzo ci rimettiamo in canoa, circa 40minuti per tornare ad Assaituba.La sera ci aspettano le prove dellaliturgia per l’indomani: nella piccolacasa in legno di Antonio, alla spicciola-ta, si raggruppano più di 20 persone.Che bello la domenica mattina vedere

Dopo il pernottamento nella casa diEloina, responsabile della comunità pursenza nessuna preparazione, riprendo ilbattello che approda davanti alla casaper farmi salire. Un fine settimanarealmente missionario.E nel mio viaggio penso a quei fratelli“missionari” lungo il fiume: Antonio ealcune giovani affrontano 4 - 5 ore dicanoa per andare a celebrare nellacomunità di San Raimundo: «Là nessu-no celebra se io non vado!».Sono questi i segni del Cristo Risorto evivo, di una Chiesa che giunge fino aiconfini della Terra per portare il lietoannuncio. Ringrazio il Signore, perchécon questi fratelli che affrontano tantedifficoltà per annunciare l’amore diDio e mantenere vive le comunità cri-stiane, imparo ogni giorno ad esserepiù missionaria.

Maria Giovanna MaranSan Paolo (Brasile)

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ché con le sue forze non ce la fa più amantenerli tutti. Ultimamente le auto-rità le hanno affidato dei terreni dapoter utilizzare, dove però non c’èniente, e le hanno concesso dei campida coltivare, ma si trovano a 30 Km daIsiro. Celestina deve andarci a piedi: lesue risorse sono talmente scarse chenon può permettersi un mezzo di tra-sporto.L’ultima volta che l’avevo incontrata, siera confidata con me ed ero rimastoimpressionato dalla sua storia vissutacon semplicità ed eroismo. Ne avevoquindi parlato con i miei confratelli edinsieme avevamo cercato di aiutarla.Eravamo riusciti a procurarle un con-tributo sostanzioso che, però, dati ibisogni sempre più impellenti, si èesaurito molto presto. Così era tornatada me per chiedere altro aiuto.L’economia della nostra casa non cipermette molto, ma abbiamo fattouno sforzo per racimolare qualcosa.Solo che non riuscivo a consegnarle ilnostro contributo, perché non laincontravo più. Finalmente si è presen-

S i chiama Mamma Celestina. Èuna signora congolese che vivequi ad Isiro (Repubblica Demo-

cratica del Congo) e negli anni è diven-tata madre di innumerevoli figli. Sonoorfanelli che ha accolto, nutrito, edu-cato, facendoli crescere in un ambientedi affetto, lavoro e impegno.Era una giovane donna, che potevasognare un grande avvenire, quando siè trovata a prendersi cura di due bam-bini che il padre, soldato, avevaabbandonato dopo la morte dellamadre. Non era sostenuta né aiutatada nessuno ma non si è mai lamenta-ta. Si è soltanto prodigata nel trovarele risorse necessarie per nutrirli tuttied educarli al meglio.Poi ecco la tragedia dei ribelli ugande-si dell’Esercito di Resistenza delSignore, arrivati anche dalle nostreparti qui in Congo. Hanno massacratointeri villaggi, rapito i bambini, semi-nato la disperazione. Così MammaCelestina si è trovata ad accoglierenuovi figli, tanto che ormai devericorrere alla generosità dei buoni per-

tata in chiesa dicendomi di esserestata a lungo fuori Isiro: era partitaper i campi coltivati, dove aveva cer-cato del cibo pei suoi figli ma non neaveva potuto raccogliere abbastanzaperché c’erano già passati i ladri.Quando le ho consegnato la busta conil nostro aiuto, si è commossa fino allelacrime. Mi ha confidato che un suobambino, al mattino, l’aveva svegliatapresto per raccontarle il sogno dellanotte: quel giorno avrebbero avuto indono del cibo. Mamma Celestina eravenuta alla messa per chiedere alSignore di esaudire il sogno del suobambino e il Signore l’aveva fattoprontamente. Mi sono commossoanch’io e ho pensato di condividerecon voi questa notizia, anche perchésappiate che siete voi, con le vostrepreghiere e offerte, che attraverso dinoi aiutate i più bisognosi. Sono que-ste le persone che con la loro vitadicono chiaramente che Gesù si èincarnato.

Padre Elio FarronatoIsiro (Repubblica Democratica del Congo)

Posta dei missionari

Celestina,mamma di tuttiCelestina,mamma di tutti

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Q ualche settimana fa imezzi d’informazione

riportavano la notizia che il Fondomonetario internazionale (Fmi)lanciava l’allarme “longevità”,ovvero: l’allungamento della vitamedia su scala mondiale rischia difar saltare i conti del welfare dellesingole nazioni. È per questo chel’“associazione filantropica inter-nazionale”, nota a tutti per la capa-cità di prendere ai poveri per dareai ricchi, si è sentita in dovere dilanciare un vero e proprio allarme,specificando che «se la vita medianel 2050 si allungherà di tre anni inpiù di quanto previsto oggi, il giàampio costo dell’invecchiamentodella popolazione aumenterà ulte-riormente del 50%». Per questo ilFmi raccomanda a tutti gli Statiche subiranno questa “iattura” diaffrontare la questione su più ver-santi: innanzi tutto i governidovrebbero prendere atto di que-sto pericolo incombente, laddoveal momento solo pochi Paesi lo

stanno facendo con serietà. I rischi andrebbero equamente suddivisi tra persone e sistemi pensio-nistici statali, allo stesso tempo si potrebbero usare i mercati per trasferire questi rischi dai pianiprevidenziali delle singole nazioni a sistemi più idonei a gestirli, ovviamente la gestione sarà affidataa quella “mano invisibile” tanto cara al capitalismo rampante dei nostri giorni, che frugando nelletasche dei contribuenti cercherà di trovare adeguate soluzioni per arzilli pensionati che rimandanosempre la loro dipartita da questa valle di lacrime.Francamente non si sa se ridere o piangere a fronte di queste notizie, certo che l’umorismo noir dichi sta nei piani alti del potere lascia sconcertati. Del resto la lezione viene da lontano: la reginaAntonietta preoccupata dalle grida delle masse di sanculotti che chiedevano pane durante laRivoluzione Francese, rispondeva: «Che mangino brioches!»; più o meno lo stesso umorismo nerolo troviamo negli scritti di Jonathan Swift, l’autore de “I viaggi di Gulliver”, quando a fronte dellecarestie che si abbattevano ciclicamente sulla poverissima Irlanda del Settecento, suggeriva perfi-damente ai governanti inglesi di usare i bambini irlandesi come “portate principali” sulla tavola deiricchi, così da soddisfare il problema della loro alimentazione e risolvere il drammatico e annosoproblema della miseria della verde Irlanda. Chissà perché a questi geni della finanza internazionalenon passa mai per la testa di creare le condizioni per una più equa e migliore redistribuzione deibeni della terra, che - gioverà ricordare - sono riservati a tutti e non solo a loro.

Mario [email protected]

Prendere ai poveri perdare ai ricchi

Prendere ai poveri perdare ai ricchi

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influenzare centurie di musicisti occidentali(primo tra tutti, e vera forza trainante delfenomeno, fu Peter Gabriel). E se la Makebane fu l’anticipatrice più universale, e BobMarley la prima rockstar, di lì a poco fuuna vera e propria invasione: Cesaria Evorada Capoverde, Youssou Ndour dal Senegal,e poi il Terem Quartet da San Pietroburgo,Johnny Clegg dal Sud Africa, Goran Bre-govich dall’ex Jugoslavia… E la lista po-trebbe allungarsi all’infinito.Poi, poco a poco, quella che sembravauna svolta definitiva o perlomeno un’ondalunga, una benefica “contaminazione”, co-minciò a sfumare. Beninteso, alcuni deisuccitati vennero comunque inglobati neicircuiti dello show-business di “serie A”,ma da una decina d’anni ormai è semprepiù raro veder sbarcare sui nostri mercati

artisti terzomondialiin grado di lasciareil segno. O per lomeno si ha di nor-ma a che fare piùcon casi isolati checon trend dirom-penti come acca-deva in passato.

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Cos’è dunque successo? La cosiddetta“musica del mondo” era solo una moda ecome tale destinata a passare? O magariil post 11 settembre ha steso un ulteriorevelo d’inquietudine nel nostro subconscio?O, ancor peggio, l’Occidente è tornato arinchiudersi nelle sue turris eburnee di dif-fidenza, sospetto o autoreferenzialità? Forseun po’ di tutto questo, forse altri fattori an-cora. Certo è che perfino chi, come il sot-toscritto, s’occupa di musica quasi a tempopieno, ultimamente deve diventar mattoper scovare qualche nome nuovo extra-occidentale da proporre ai lettori.Poco male. Se non fosse che tutto questoha il sapore di una perdita. Perché da chemondo è mondo nessuna civiltà è mai riu-scita a sopravvivere senza aprirsi al difuori di sé. E senza far sì che questa circo-lazione di arti e di idee ne vivificasse lestrutture e i linguaggi. Ebbene, anche daqueste impalpabili latitanze e da questisottili ostruzionismi s’intuisce la crisi dicui tutti si dolgono.

Franz [email protected]

Che fine ha fatto la world music?

Che fine

C’ è stato un periodo, a partire daglianni Ottanta fin verso la fine del se-

colo scorso, in cui i mercati occidentalidella musica sembravano essersi final-mente accorti dei Paesi del Sud del mon-do. Etichette di catalogazione come worldmusic, crossover o etno-pop cominciaro-no a identificare una moltitudine di artisti edi scuole espressive capaci sempre piùspesso di far breccia sugli imbolsiti mer-cati del pop-rock europeo ed anglo-statu-nitense.Dall’Africa e dal Medio Oriente, dai Balcanio dalla Cina era tutto un fiorire di ritmi emelodie praticamente sconosciute alleorecchie occidentali. Artisti e scuole stili-stiche in grado non solo d’ammaliare imercati con il loro esotismo, ma anche di

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LIB

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Un libro ricco di spunti di riflessione,come sa proporre il teologo del dia-

logo e autore Brunetto Salvarani, che inquesto volume presenta in modo sinte-tico «il quadro attuale della riflessionesulle religioni» offrendo strumenti difacile lettura ai non addetti ai lavori. Ilpensiero religioso rappresenta unacostante nella storia dell’uomo credente,non credente o ateo. Da Plutarco aDurkheim si sostiene che «non esisteuna società conosciuta senza religione:la religione ha dato tutto ciò che è

essenziale allo sviluppo di una società». «La religione promuovedei valori senza tempo - sostiene Bauman - i valori della religioneci sono per restare, sono eterni». Con il 1968 la religione venne

ritenuta un relitto medioevale destinata a scomparire. Oggi«siamo in pieno rilancio del sacro – scrive l’autore - che rispon-de alla crescente confusione e solitudine dell’individuo nella vitacontemporanea». Crescono i milioni di utenti-fan di Dio attraver-so i social network, crescono i cristiani nel Sud del mondo. «Ilcristiano del futuro avrà la pelle scura, gli occhi a mandorla, itratti andini e sarà meticcio» scrive Jenkins. In Europa nel pros-simo quarto di secolo, vuoi per il declino della religione, vuoi perla sempre più netta differenziazione tra le sfere del sacro e delprofano, vuoi per la privatizzazione del rapporto con la fede, i cri-stiani diminuiranno di un 7%. «Gesù Cristo non sarà più euro-peo, non sarà più nostro». Per finire, in appendice, la propostadi Raimon Panikkar che chiede «la conversione delle religioni:quelle che hanno sempre pensato di convertire gli altri – dice -ora sono loro ad essere chiamate a convertirsi».

Chiara Anguissola

I cristiani del futuro

Brunetto SalvaraniIL FATTORE RLE RELIGIONI ALLA PROVA DELLA GLOBALIZZAZIONE

Edizioni EMI - € 12,00

no al libro un’aureaonirica o meglioancora di deja-vu.Un tentativo d’in-culturare il Vangelo nell’immaginario deigiovanissimi, senza minimamente scon-volgere i contenuti biblici. Ma non v’èdubbio che la prima cosa che salta agliocchi, oltre alla cura della rilegatura, è lacongiunzione tra il testo scritto e le illu-strazioni di Carla Manea che amplificanovisivamente ciò che le parole da solenon potrebbero rendere.Per la carica di vita che questo libro spri-giona, sarebbe cosa buona e giusta pro-porlo come testo di riferimento nei corsidi catechismo in vista dell’iniziazione cri-stiana. Oltre però ad essere un sussidio,andrebbe proposto anche per la letturapersonale. Non foss’altro perché, a partela fedeltà scontata al racconto evangelico,vi è il tentativo dell’autrice di risponderealla fame di spiritualità del nostro tempo.

“C’ero anch’io!” è un tutt’uno conl’autrice. Per chi ha avuto modo

di conoscere Chiara Pellicci, non soloprofessionalmente come giornalista diPopoli e Missione e de Il Ponte d’Oro, maanche in veste di educatrice e scout, il ri-sultato finale non sorprende. È un donoassai raro quello di saper comunicare aibambini, soprattutto quando si tratta dicontenuti che hanno a che fare con la fe-de. E Chiara ha fatto centro, raccontandoin modo avvincente alcuni episodi signifi-cativi del Vangelo, utilizzando la mediazio-ne del contesto. Accattivante per i conte-nuti e la capacità di rendere intelligibile ilmessaggio evangelico, con un linguaggioscorrevole e spigliato, il libro si legge dav-vero tutto d’un fiato. Servendosi di alcunemetafore simboliche che sortiscono uneffetto esplicativo prorompente, Chiara sifa leggere da piccoli e grandi. La presenzae il legame dei disegni al testo sono dav-vero originali e per certi versi conferisco-

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Chiara PellicciC’ERO ANCH’IO!ANIMALI, PIANTI, OGGETTIRACCONTANO EPISODI DEL VANGELO DAL LORO PUNTO DI VISTA

EDB Junior - € 13,50

Storie di Vangelo da punti divista singolari

Ciò che in fondo è avvenuto in Palestina,sul palcoscenico della Storia, 2000 annifa, coinvolse il destino dell’intera umanitàdi ieri, di oggi e di sempre. Pertanto,guai ad essere semplici comparse quandosono in gioco i valori del Regno di Dio.Ognuno di noi, a pensarci bene, dovrebbeprendere penna e calamaio per scrivereil Vangelo della propria esistenza, ispi-randosi a quello di Gesù. Un messaggio,questo di Chiara, che non può essere di-satteso, da ragazzi ed educatori.

Giulio Albanese

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«D al 1970 al 2010 i migranti in Italiasono aumentati di ben 35 volte e,

da presenza marginale, sono diventatiuno dei fenomeni sociali più rilevanti».Questo dato, assieme a molti altri, è ripor-tato nel volume “Comunicare l’immigra-zione. Guida pratica per gli operatori del-l’informazione”, realizzato dalla societàcooperativa Lai-momo e dal Centro Studie Ricerche Idos, nell’ambito del progetto“Co-in – Comunicare l’integrazione” pro-mosso dal Ministero del Lavoro e dellePolitiche sociali, Direzione dell’immigra-zione e delle politiche d’integrazione. Ilvolume ha lo scopo di promuovere inter-venti per incrementare la precisione e laricerca dell’imparzialità nell’informazionegiornalistica visto che, com’è scritto nel libro, «dagli anni No-vanta in poi in Italia i media hanno affrontato le migrazioni so-prattutto sotto il profilo dell’emergenza… La maggior parte del-l’informazione in Italia sui migranti è ancora viziata da allarmi-

Immigrazione, una sfida per l’informazione

smo, superficialità ed eccesso di ste-reotipi… e nel 52,8% dei casi si parla dimigranti in articoli legati alla cronaca ne-ra o giudiziaria».Il libro fornisce un quadro di riferimentosulle competenze istituzionali in materiadi immigrazione. Illustra inoltre datiquantitativi e indicatori territoriali sui be-nefici del fenomeno migratorio per la so-cietà che ospita gli stranieri. Proponeanche una sintesi comparativa, a livelloeuropeo, delle disposizioni normative

che regolano l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e dei prin-cipali indici di integrazione. Da leggere, infine, gli esempi dibuone prassi comunicative, nonché storie di migrazione disuccesso. Martina Luise

«I turisti si recano in Africa e guardanosenza vedere, intendono senza ascol-

tare, fotografano senza capire, sfiorano sen-za toccare. I protagonisti di questo libro, in-vece, sono viaggiatori, ossia persone alla ri-cerca, amanti dell’incontro e poeti dell’igno-to». Così scrive Jean Leonard Touadi, gior-nalista congolese e parlamentare italiano,nell’introduzione al libro “Terra rossa. Viag-gio nel cuore della Tanzania” del giornalistaGiampaolo Petrucci, edito dalla nuova casaeditrice “Cambia una virgola” che con que-sto titolo inizia una serie di pubblicazioni de-dicate a tematiche sociali e culturali lasciatein ombra dal grande mercato editoriale na-zionale. Storie e immagini delle Afriche co-sparse di quella terra rossa che si respira neivillaggi, sulle strade, tra la gente, fanno di

questo libro un viaggio che rimane nella me-moria. Accompagnato dal missionario stim-matino padre Mario Montolli, l’autore, insie-me ad un gruppo di giovani di Foligno, è sta-to in Tanzania per la Ong veronese Abcs (As-sociazione Bertoni cooperazione e sviluppo)e ha visitato scuole, Centri per bambiniemarginati, orfanotrofi, villaggi e mercati.Luoghi ricchi di voci, odori, colori, emozioniche dalle righe del libro rimandano alle foto-grafie ordinate nella parte finale del volume.La Tanzania di Petrucci è un luogo simbolico

di un dialogo possibile tra Europa e Africa,uno scambio di culture come può accaderesolo quando ci si pone da uomo davanti adun altro uomo. Per questo scrive che «la ter-ra rossa rappresenta la storia, il cammino apiedi nudi del popolo tanzaniano, il sangue ela vita dei popoli africani per la vita e il riscat-to, il lavoro nei campi, le mani operose,l’odore secco e pungente fin dentro i polmo-ni. Quel colore attaccato ai vestiti che adogni passo ti ricorda di essere immerso inuna diversità radicale». L.D.A.

LIB

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Istantanee dalla Tanzania

Giampaolo PetrucciTERRA ROSSA.VIAGGIO NEL CUORE DELLA TANZANIAEdizioni Cambia una virgola - € 15,00

COMUNICARE L’IMMIGRAZIONE.GUIDA PRATICA PER GLI OPERATORI DELL’INFORMAZIONE

Edizioni Lai-momo e Idos

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samente ritagliato da Roberto, un solita-rio negoziante di ferramenta di BuenosAires che colleziona improbabili casidella vita, accaduti in ogni par te delmondo. Forse un modo per uscire dalmonotono tran tran del quotidiano o, me-glio, la ricerca di conferme del protervopotere del destino sulle esistenze umane.

Fatto sta che il filmdi Sebastiàn Boren-sztein “Cosa piovedal cielo?” sembrauna commedia ma èuna storia che fa ri-flettere. Vincitore delMarc’Aurelio d’Orocome migliore pelli-cola presentata alFestival cinemato-grafico di Roma2011, Un cuentochino (questo il titolooriginale della copro-duzione argentino-spagnola del 2011)inizia con l’immagine

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A volte si leggono notizie sui giornaliche sembrano frutto della fantasia

impazzita di un cronista in vena discherzi. A volte, però, capita che la realtàsia più bizzarra dell’immaginazioneumana. «Cina, provincia di Fusheng. Unamucca cade dal cielo e provoca una tra-gedia» è il titolo di un articolo meticolo-

MuccheMucche

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anni prima a Buenos Aires, Roberto loospita provvisoriamente a casa sua. Conuna certa insofferenza per il fastidio divedere turbate le sue abitudini solitarie,l’argentino porta il ragazzo in giro per laChinatown della città, in cerca di qual-cuno che lo conosca o anche semplice-mente che glielo porti via di casa. InveceJun sembra proprio sfortunato: i suoiconnazionali non gli offrono aiuto e nem-meno all’ambasciata del suo Paese rie-sce ad avere informazione dei suoi pa-renti che sembrano scomparsi nel nulla.Così, in casa, ogni mattina si ripete lastessa scena, davanti alla tazza di caffèfumante. Seduti uno di fronte all’altronella cucina di Roberto, il cinese e l’ar-gentino cercano disperatamente di com-prendersi, senza parole utili per comuni-care. Qualcosa forse li unisce perchéanche Roberto è figlio di immigrati italianie, giovanissimo, ha combattuto la guerraper le isole Falkland, che lo ha segnatoper sempre. Entrambi sono figli di gene-razioni di migranti e rappresentano il me-ticciato che ne deriva. Sono uomini soli

di due promessi sposi cinesi in barcasul fiume, travolti da una mucca in ca-duta libera dal cielo. Lei muore ma lascena è talmente surreale da sembrarecomica. Ed eccoci, subito dopo, per ca-priccio della macchina da presa, pardondel fato, in una strada della periferia diBuenos Aires, davanti al negozietto diferramenta dove Roberto (Riccardo Da-rin, protagonista de “Il segreto dei suoiocchi” premio Oscar 2011 per il migliorefilm straniero) vende bulloni e viti, senzamai un sorriso. Single scontroso e abi-tudinario, l’uomo raccoglie dalla stradaun giovane cinese scaraventato giù daun taxi, dopo essere stato derubato epicchiato. Il ragazzo si chiama Jun (Igna-cio Huan) e lo travolge con un fiume diparole in mandarino che Roberto ovvia-mente non riesce a comprendere. Suquesto si gioca l’originalità dell’interofilm: due uomini con culture e storie di-verse, entrano in rappor to attraversol’esperienza comune del dolore, della so-litudine, dell’angoscia per il futuro.Visto che Jun non trova lo zio, emigrato

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con il loro bagaglio esistenziale. Uominie basta, vivi solo per la speranza e i sen-timenti, anche se soffocati dalla medio-crità del quotidiano: il lavoro, i paga-menti, il cibo, pochi amici, il sonno, perRoberto tutte le sere alla stessa precisaora. Una rigidità in cui nemmeno l’amoredi una donna riesce ad insinuarsi. Primadi dormire, però, l’argentino si dedica alsuo hobby preferito: collezionare ritaglidi giornali di tutto il mondo e incollarenotizie strane, fuori dall’ordinario, in li-broni conservati con cura maniacale.Quello che il film ci mostra non è fanta-sia, perché il regista si è ispirato a fattirealmente accaduti, e il tono dimesso, atratti ripetitivo, della narrazione nascondela speranza che appare come vera pro-tagonista nel finale. Inaspettata comequalcosa che piove dal cielo. Il giovaneJun si rivela essere la vittima in carneed ossa di quella strana notizia sulla ca-duta della mucca nella recondita, (manon poi così tanto), provincia cinese delFusheng. Niente nella vita accade percaso e nella filosofia confuciana - manon solo – ad ogni evento è sotteso unfilo invisibile che lega le esistenze degliuomini, in un cammino comune di provee rinascite.

Miela Fagiolo D’[email protected]

volantivolanti

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FONDAZIONE MISSIO Missio Giovani

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Estate inmovimentoEstate inmovimentoA nche quest’anno Missio Giovani

propone un’estate all’insegnadella formazione e dell’anima-

zione missionaria per tutti i giovani incammino, desiderosi di toccare la mis-sione con mano aperta e cuore sincero.Sono esperienze che mettono ognunodi noi a confronto con se stesso e inrelazione con altri giovani che condi-vidono i nostri stessi passi. Momentiper fare il carico di energie dopo unanno scolastico, universitario, lavora-tivo e pastorale che certamente haprovato duramente ognuno di noi eper poi ripartire con ancora più entu-

siasmo e ardore missionario.Sono tre le proposte di quest’anno,tutte diverse tra loro nelle modalità enel luogo ma con un unico denomina-tore: la missione di Gesù.La prima, in ordine cronologico, sarà inAlbania dal 23 al 29 luglio. Si trattadi un Pellegrinaggio Biblico sulle ormedei Martiri albanesi barbaramente tru-cidati durante la dittatura comunistadel Novecento. Insieme a Luca Mosca-telli, teologo della Fondazione Missio,spezzeremo la sconfinata Parola di Diodurante ogni tappa del viaggio e attra-verso le parole di uomini e donne, te-

stimoni del calvario del loro popolo,proveremo a sentire sulla nostra pellela fede che ha tenuto vive centinaia dicomunità che nel segreto e nel na-scondimento, nonostante le persecu-zioni, non hanno mai smesso di pre-gare. Ogni giorno il gruppetto di soli15 giovani partecipanti si sposterà invillaggi e città diverse per approfon-dire la lettura di un brano biblico e co-noscere un pezzetto di storia di marti-rio. Saremo ospiti in casa delle SuoreOperaie del Sacro Cuore e accompa-gnati costantemente dai missionari fi-dei donum della diocesi di Milano.

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gni di viaggio, sulle strade del mondo”che ci aiuterà a riflettere su argomentiquali la legalità e la giustizia, la crisiecologica e la salvaguardia del Creato,la tratta degli esseri umani. Il tuttoalla luce della Parola di Dio che saràspezzata da don Amedeo Cristino, di-rettore del Centro Unitario Missionariodi Verona. Interverranno inoltre Liberadi Napoli, Comunità Giovanni XXIII,padre Alex Zanotelli e tanti altri testi-moni impegnati su questi temi, che ciaiuteranno ad avvicinarci al meglioalla realtà. Ogni giorno sarà propostauna visita missionaria sul territorio,insieme a quanti vi operano quotidia-namente.Ultima proposta è l’ormai consueta vi-sita ai missionari italiani nelle terre dimissione e quest’anno abbiamo sceltol’Oriente: il Bangladesh. Dal 7 al 27agosto saremo ospiti nelle case deimissionari Saveriani, del PIME, delleSuore dell’Immacolata, delle Blue Si-ster. Saranno 20 giovani che dopo i

verranno smistati nei diversi villaggitra Nord-ovest e Sud-ovest per viverele successive settimane in compagniadelle comunità che li ospiteranno. Ol-tre che nella periferia della capitale,andremo a Kulnha e nei villaggi limi-trofi, e a Dijnaspur e dintorni. Si visi-teranno ospedali, lebbrosari, scuole,botteghe, pukur e risaie. Tutti luoghidove i nostri missionari e missionarietrascorrono le loro giornate e vivono ilVangelo. Le verdi foreste del Bengala,i sorrisi discreti della gente, la quietetipica dell’Oriente saranno gli ingre-dienti imprescindibili per vivere questaesperienza di ascolto, dialogo, con-fronto, preghiera. La proposta si ri-volge soprattutto ai giovani dai 18anni in su che abbiano già fatto uncammino di formazione missionarianella propria diocesi o parrocchia e atutti quei giovani che hanno desideriodi donare 20 giorni della propria vitaper ritrovare se stessi negli occhi dichi incontreranno durante il viaggio.

Alex Zappalà

59P O P O L I E M I S S I O N E - G I U G N O 2 0 1 2

descritte nei particolari Tutte le esperienze sono

sul nostro sito

www.giovani.missioitalia.it

che vi invitiamo a visitare.

Per maggiori info scrivere a

[email protected]

A seguire, per i giovani chehanno da poco iniziato un cam-mino in parrocchia, diocesi ogruppo missionario, proponiamouna Scuola di formazione missio-naria, il Missio Edu che volge allasua seconda edizione, dopo la prima edentusiasmante esperienza della scorsaestate a Genova. Quest’anno saremo alSud, in Campania, a Maiori (Sa) difronte all’incantevole Costiera amal-fitana e ci troveremo lì dal 31luglio al 5 agosto, ospiti nelConvento dei Frati Minori.Il tema scelto è “Compa-

primi due giorni nella capitale Dakka

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FONDAZIONE MISSIO Pum

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Si è svolto dal 19 al 22 aprilescorsi, presso la Casa Madre deiMissionari Saveriani a Parma, il

56esimo Convegno missionario naziona-le dei seminaristi, che ha avuto per tema“Vivere la Buona Vita del Vangelo: edu-care ai Nuovi Stili di Vita” e a cui han-no partecipato 139 seminaristi prove-nienti da tutta Italia e non solo, appar-tenenti ai Gruppi Gamis (Gruppi di ani-mazione missionaria) di 37 Seminarimaggiori. I Gruppi Gamis rappresenta-no la vera anima missionaria dei nostriseminari e sono stati accolti proprio nelluogo che è considerato il cuore della Fa-miglia Saveriana. Qui viene custodito ilcorpo di san Guido Maria Conforti, la cuipresenza ci ha accompagnato durante ilcorso dei lavori tenutisi nel santuario cheprende il nome dal santo fondatore del-l’Istituto; proprio da qui, dove ogni og-getto trasuda missione, egli inviava i suoimissionari in tutto il mondo.Il convegno si è aperto con la relazione

di don Gianni Cesena, diretto-re nazionale della FondazioneMissio “Rilettura in chiavemissionaria del documento:Educare alla Buona Vita delVangelo”. Attraverso una rapi-da rilettura dei documentidella Chiesa italiana, per co-glierne le evidenti implicazio-ni missionarie, si è arrivati poialla presentazione degli ulti-mi orientamenti pastorali delsecondo decennio di questosecolo per sottolineare la di-mensione missionaria diun’educazione capace di con-

frontarsi con le sfide culturali del nostrotempo e di annunciare il Vangelo in unmondo in rapida trasformazione.L’approfondimento del tema del conve-gno è stato affidato a don Adriano Sel-la, coordinatore della rete interdiocesa-na Nuovi Stili di Vita, poiché il mondomissionario e soprattutto gli Istitutimissionari hanno manifestato moltaattenzione nei confronti di questoaspetto, tanto da coinvolgere le comu-nità diocesane spingendole a costituire

Convegnoseminaristi

una rete; il motivo di tale scelta lo co-gliamo nelle parole del precedente Se-gretario nazionale della Pum, don Ame-deo Cristino, nella sua lettera ai respon-sabili dei Gruppi Gamis dei Seminarimaggiori d’Italia: «Il mondo missionariogià da alcuni anni sta accompagnandoin diverse diocesi italiane la riflessionesu questo tema. Molte sono le parroc-chie che stanno proponendo percorsi dianimazione su questo argomento. Inol-tre è nata tra le diocesi del Nord Italia,ma va progressivamente allargandosi,una rete per i Nuovi Stili di Vita. Credia-mo sia uno spazio di profezia che coa-bita serenamente con la pastorale ordi-naria delle nostre comunità. Pertanto ciè sembrato quanto mai opportuno pro-porlo alla conoscenza di tutti, illustran-done i fondamenti biblico-patristici e lericadute pastorali».Non sono mancati i momenti di gioia econdivisione, con l’autopresentazione deiGruppi Gamis e l’animazione della sera-ta offerta dallo studentato saveriano.L’intenso ritmo dei lavori ha lasciato co-munque spazio ad una visita guidata del-la città, conclusasi con la Messa presie-duta dal vescovo di Parma, monsignorEnrico Solmi, nella cripta della cattedra-le. La visita ha permesso ai partecipan-ti al convegno di cogliere gli aspetti ci-vili e religiosi di una città che, pur nel-le distrazioni e nelle contraddizioni, ri-vela la sua profonda anima cristiana.

Alfonso Raimo*

*Segretario nazionale Pontificia Unione Missionaria del Clero

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S ono stati giorni di preghiera, ascolto, formazione e ani-mazione, quelli che i 250 giovani di tutta Italia hannovissuto dal 28 aprile al 1° maggio scorsi al Convegno

Missionario Giovanile (CoMiGi) a Frascati. L’apostolo Pietro,il nostro testimone, ha ispirato le riflessioni dei relatori chesi sono succeduti, sgretolando l’immaginario comune chelo vede come un vecchietto con la barba riccia e lo sguar-do duro, rivolto sempre verso l’orizzonte, e presentando-si come un uomo che ha attraversato seri e lunghi momen-ti di discernimento, di preghiera, ma anche di confusionee paura. Tutti ingredienti che gli hanno permesso di diven-tare da un semplice discepolo ad autentico testimone delVangelo. “Amato, chiamato e inviato” sono state nello spe-cifico le tre parole chiave che hanno tessuto le tre giornatedi lavoro e che rappresentano tre momenti importanti del-la vita dell’apostolo-Papa: amato da Gesù dal primo momen-to in quel mattino di pesca andata male, chiamato a seguir-lo e a stare con Lui e, in ultimo, inviato alle genti a Roma dalRisorto, che scardinando porte e finestre durante la Pente-coste, “costringe” gli 11 apostoli ad uscire da se stessi e pro-clamare il Vangelo a tutti.Padre Claudio Monge, missionario domenicano, attraversoalcuni brani del Vangelo di Giovanni ha percorso i momen-ti più importanti della vita di Pietro spiegando a tutti i pre-senti come per l’apostolo la chiamata a seguire Gesù sia ar-rivata solo alla fine di tutto, non subito, non inquella mattina a Cafarnao, ma solo dopo larisurrezione. Prima Pietro ha dovuto cammi-nare, mettersi in ascolto, accettare di esse-re pietra; lui, che è uno specialista del gal-leggiamento, viene definito da Gesù pietrache affonda! Ma Kefa (la parola aramaica cheGesù dà a Simone) vuol dire anche caver-na, pietra scavata, grembo che genera vita,luogo che accoglie. Sono questi alcuni deitantissimi significati che Maria Soave Busce-

DIALEX ZAPPALÀ* - [email protected]

SPAZIOGIOVANIAL CoMiGi

INSIEME CON PIETROAL CoMiGiINSIEME CON PIETRO

mi, fidei donum in Brasile, ha spiegato durante il suo inter-vento. Ecco la Chiesa di Gesù: un grembo che accoglie, nonuna pietra algida e lontana dalla vita della gente, non istitu-zione di pochi, ma casa per tutti! Un bel da fare, insomma,per Pietro che dopo la morte e risurrezione del Maestro hadovuto ritrattare le sue dimissioni da leader e cingersi le ve-sti per fare la strada che Gesù ha preparato per lui. È stato questo il punto di partenza di don Amedeo Cristi-no, direttore del Centro unitario missionario, che ha raccon-tato la “versione” di Pietro quasi incarnandone il personag-gio. Un intervento che ha tenuto col fiato sospeso tutti i gio-vani e che ha suscitato parecchie domande alla fine… qua-si come se Pietro fosse davvero li e nessuno volesse lasciar-si scappare l’occasione di chiedergli qualcosa!Non sono mancate le testimonianze forti e provatorie di fa-miglie missionarie, laici impegnati, missionarie consacrate chepartendo dalla loro esperienza di chiamata hanno rilancia-to la palla ai ragazzi, facendoli mettere in gioco con pun-genti stimoli ed interrogativi.Mi auguro che questo CoMiGi sia stato occasione di ascol-to e preghiera, formazione e animazione, condivisione e cor-responsabilità, e possa aver messo un tassello in più nel no-stro discernimento vocazionale.Con la missione nel cuore…

*Segretario nazionale Missio Giovani

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FONDAZIONE MISSIO

L’ intenzione missionaria diquesto mese invita a pregareperché i cristiani che sono in

Europa riscoprano la propria identità epartecipino con maggior slancioall’annuncio del Vangelo; un annunciodi cui, non solo l’Europa, ma tutti icontinenti hanno grande bisogno.Un invito assai prezioso perché solleci-ta a prendere coscienza che, in virtù

del battesimo, si è diventati figli diDio, membri del Corpo di Cristo. Rivol-gendosi a Dio, il cui amore abbraccia ilmondo intero, l’orizzonte della pre-ghiera cristiana non può rinchiudersinell’io di chi la compie; deve andareoltre, ed estendersi all’intera umanità.Non va dimenticato il ruolo importan-te che ha avuto il cristianesimo nel-l’affrontare le varie situazioni chehanno caratterizzato lo sviluppo dellastoria umana e, in modo particolare, lastoria del continente europeo.

Intenzione missionaria

di FRANCESCO [email protected]

Giugno 2012

Le radicid’Europa

Benedetto XVI, nel discorso tenuto alParlamento tedesco nel settembre2011, parlando dell’Europa, affermavache questo continente «ha le radicidella sua identità dall’incontro fra lacultura greca, romana ed ebraica;…dall’incontro tra fede in Dio di Israe-le, la ragione filosofica dei greci e ilpensiero giuridico di Roma».La situazione in cui si trova oggi l’Eu-ropa, segnata da non pochi e non faci-li problemi, richiede che i cristiani sisentano ancora più impegnati nell’an-nuncio del Vangelo.È la parola del Figlio di Dio fatto uomoche può dare risposte funzionali aimolti problemi del continente europeoed impedire che l’Europa perda la suaidentità. Perché questo avvengaoccorre che i cristiani accolgano e fac-

ciano regola della propria vita laParola che «si è fatta carne e

venne ad abitare in mezzo anoi» (Giovanni 1, 14).

Perché i cristiani in Europariscoprano la propria identitàe partecipino con più slancioall’annuncio del Vangelo.

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di Sant’Eustachio ad Eboli. «Unterritorio - spiega il nuovo Segreta-rio nazionale Pum - in cui c’è un car-cere e quindi mi occupo di pastora-le carceraria, cosa che mi aiuta ad ap-profondire quella sensibilità missio-naria che in questi anni ho avutomodo di sviluppare soprattutto comeincaricato della Pastorale missiona-ria della regione Campania. Incari-co che ho ricoperto per 11 anni e chelascio ora che ho assunto questo nuo-vo impegno per la Pum a livello na-zionale».Un incarico di particolare spessore edelicatezza che lovede impegnato inuna progettazioneattenta alla forma-zione missionaria.Dice infatti: «Peruna mia particolaresensibilità persona-le, fin dai primianni di Seminariomi sono sempre oc-cupato di missio-ne, perché ritengofondamentale nel-

I l nuovo Segretario nazionaledella Pontificia Unione Missio-naria del clero e della Pontificia

Opera di san Pietro Apostolo, donAlfonso Raimo, della diocesi di Sa-lerno – Campagna – Acerno parla delsuo nuovo impegno nella Direzionedi Missio, organismo pastorale del-la Cei. Don Raimo, già impegnatonel Collegio dei revisori dei conti del-la Fondazione Missio, ha approfon-dito la sua passione e il suo impegnoper la missione anche attraverso glistudi in Missiologia presso la Ponti-ficia Università Urbaniana. Nato aCalabritto, un paese in provincia diAvellino completamente distruttodal terremoto del 1980, ha vissuto adEboli e frequentato l’università, stu-diando geologia. Ad un passo dallalaurea ha scelto di entrare in Semi-nario e ha vissuto 22 anni di sacer-dozio presso la parrocchia dei SantiMartino e Quirico di Lancusi e Bo-lano (Fisciano). Docente di Teologiamissionaria presso il Seminario mag-giore di Salerno, nel settembre del-lo scorso anno è stato nominato par-roco di Santa Maria del Carmine e

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Interv i s ta a don Al fonso Raimo

I N S E R T O P U M

Missione, la prima vocazione

l’esercizio del ministero sacerdotalela valorizzazione della dimensionemissionaria. Uno specifico che hocercato di portare avanti in questianni anche in Seminario. Proprio perdare corpo alla certezza che non sipuò vivere pienamente la dimensio-ne del servizio sacerdotale se non siè missionari. Ritengo che il proble-ma della formazione debba essere pre-so sul serio. Mancando qualsiasi di-mensione missionaria, penso chealla formazione sacerdotale manchiun perno importante. Diventa quin-di fondamentale una formazio- »

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ministero sacerdotale è privato di unasua fondamentale prerogativa, quel-la di non avere confini e di godere «diquella libertà di giudizio che Gesù ciha concesso e che penso sia una gran-de cosa. Nulla ferisce di più la dimen-sione sacerdotale della ristrettezza divedute e degli ambiti angusti. Un sa-cerdote è per la Chiesa locale nel ser-vizio concreto ma il suo ministero loporta al di là di questo. Anche il fi-dei donum non è una invenzione del-la Chiesa del Novecento: è la risco-perta di qualcosa che già gli aposto-li, i presbiteri delle origini dellaChiesa vivevano appieno».A partire dal mandato del battesimo,la missione è una forza dinamica chesi innerva nelle diverse vocazioni del-l’uomo e lo segue lungo l’arco di tut-ta la vita, gesto dopo gesto, giornodopo giorno. Si è missionari innan-

zitutto in virtù del dono battesima-le che poi si esercita con modalità di-verse a seconda della chiamata che ri-ceviamo.«Ricordo quello che hannoscritto i seminaristi brasiliani nel do-cumento conclusivo di un convegnodi alcuni anni fa in America Latina.Dicevano che la prima vocazione èquella missionaria e a questa si ag-giunge quella sacerdotale, per cui èimproprio dire sono un sacerdotemissionario o un laico missionario.Provocatoriamente quei seminaristierano arrivati alla conclusione che bi-sognerebbe mettere l’aggettivo avan-ti al sostantivo. Oggi sperimentiamoin Italia un vuoto, una carenza for-mativa che nei decenni scorsi han-no tentato di colmare i circoli Ga-mis. Anche nell’ultimo convegno deiseminaristi ho incontrato questigruppi di animazione missionaria nei

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ne che contempli fin dall’inizio la di-mensione missionaria. E non soltan-to sul piano accademico, ma anchesul piano della formazione globaletout court».Un modo per vivere la missione an-che quando si è parroci o si resta alservizio della propria diocesi. Una ric-chezza che apre alla visione del-l’universalità della Chiesa. Don Rai-mo spiega che c’è ancora «una visio-ne troppo “locale” almeno per quan-to riguarda il presbitero diocesano cherestringe anche gli orizzonti della suacomunità parrocchiale, rendendolachiusa in se stessa, incapace di dia-logare con le altre parrocchie, col ter-ritorio, con il mondo che oggi è en-trato nelle parrocchie». Invece ilmissionario è un sacerdote che ha sco-perto l’ampiezza della sua vocazionee senza la dimensione missionaria, il

La notizia dell’improvvisa morte del Sottosegretario di Propagan-da Fide, padre Massimo Cenci, Pime, è stata accolta l’11 maggioscorso con sorpresa e cordoglio in chiusura dell’AssembleaGenerale annuale delle Pontificie Opere Missionarie, in particola-re dal direttore di Missio, don Gianni Cesena. Padre Cenci era natoil 7 febbraio 1944 a Desio (MI), ed è diventato sacerdote nel 1975a Milano. Ha lavorato per tre anni presso il Centro missionariomilanese del Pime. Per molti anni missionario in Brasile, dove hainsegnato, ed è diventato Rettore del seminario di Manaus, è sta-to padre spirituale di diversi sacerdoti brasiliani fino al 1996 quan-do è stato chiamato ad assumere il ruolo di Segretario della Nun-ziatura apostolica a Brasilia, dove è rimasto fino al 2000.Nel 2001, l’allora Prefetto di Propaganda Fide, cardinale Crescen-zio Sepe, lo ha nominato Sottosegretario della Congregazione eha continuato a collaborare attivamente in questo ruolo con il car-dinale Ivan Dias prima e poi con l’attuale Prefetto, cardinale Fer-nando Filoni, che lo aveva appena riconfermato nella sua caricaper i prossimi cinque anni. Così lo ricorda monsignor LorenzoPiva, Ufficiale del dicastero di Propaganda Fide e compagno di

tanti giorni di lavoro: «Padre Massimonon riposava mai, era sempre in attivitàaveva una vita stressante. Con lui avevoun bel rapporto umano, una amicizia veraperché era un uomo fiducioso, semprepieno di speranza. Ci eravamo sentiti lasera prima della scomparsa. Lo avevo chiamato per felicitarmicon lui dei suoi 37 anni di sacerdozio. Mi aveva risposto con laconsueta cordialità dicendomi che ci saremmo incontrati al piùpresto». Invece purtroppo durante la notte seguente, padre Mas-simo Cenci è morto, per un infarto fulminante, nel suo apparta-mento nel palazzo di Propaganda Fide, lasciando a quanti lo han-no conosciuto un prezioso esempio di servizio alla Chiesa mis-sionaria universale. «Per la serietà e l’impegno con cui ha vissu-to i suoi incarichi pastorali e istituzionali, la morte di padre Cenciè una grande perdita, non solo per noi missionari del Pime ma perl’evangelizzazione in cammino nel mondo», ha detto il brasilianopadre Antonio Nunes- Consigliere generale del Pontificio IstitutoMissioni Estere.

Cordoglio per la morte di padre Massimo Cenci

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strutturale né programmatico madottrinale, ecclesiologico, teologi-co». Di fronte ai cambiamenti repen-tini con cui l’era della globalizzazio-ne ci mette a confronto, i documen-ti del Magistero della Chiesa - in par-ticolari quelli conciliari - sono anda-ti avanti, superando barriere ormaifuori dal tempo. «Sacerdoti e laici de-vono riscoprire perché fare missione.Fino a quando non riusciremo a ca-pire che la missione è parte dellaChiesa, del suo essere nel mondo,qualsiasi strategia metteremo in attosarà sempre un evento isolato, chenon ha continuità, che non ha pos-sibilità di successo. Penso che laPum debba affrontare il tema dellaformazione e per questo è importan-te lavorare molto con i Gamis e i se-minaristi, seguendo quanto diceva

Giovanni Paolo II nella RedemptorisMissio: ancora oggi lo strumentopiù efficace per l’azione missionariadella Chiesa resta il rapporto perso-nale, l’incontro con l’altro, con la suavita. Qualsiasi incontro personale nonpuò prescindere da questo scambio,come ha dimostrato Gesù stesso chepoteva guarire con la potenza dellasua Parola ma a volte si lanciava incontatti personali che non servivanoper creare le condizioni di una gua-rigione, ma per far sentire, attraver-so il contatto, una presenza che ac-compagnae sostiene. La missioneha bisogno di questo, vive ancora diquesto: l’evangelizzazione passa attra-verso il rapporto tra le persone, tra leculture, tra le fedi».

(a cura di Miela Fagiolo D’Attilia)

I N S E R T O P U M

seminari italiani: di fatto i Gamis na-scono come una esigenza della baseper colmare una lacuna, trovandospazi per una formazione integrati-va. L’impegno dei Gamis da una par-te testimonia la sensibilità e la ricchez-za di seminaristi che cercano di darecompletezza ad un cammino di cre-scita, dall’altra parte rivela il vuoto diun cammino. Ancora oggi la forma-zione missionaria non fa parte del pia-no di studi, ma un seminarista puòscegliere di auto-formarsi».Poiché la missione «non è opera dinavigatori solitari» come stigmatiz-zava il documento pastorale “Comu-nione e comunità missionarie” del-la Conferenza episcopale italiana del1986, la missione non è destinata adessere una scelta di pochi religiosi, re-ligiose, laici destinati a restare isola-ti per una scelta non totalmentecondivisa. Spiega il Segretario nazio-nale Pum: «Penso che la grande ur-genza oggi in ordine alla missione,non sia programmatica: il problemaoggi non è come fare missione, maperché fare missione. In ordine allamissione oggi il problema non è né

Il Gamis è il Gruppo di Animazione Missionaria in Seminario e va consideratocome un gruppo di formazione, non solo di interesse, inserito nella vita dellacomunità; attualmente è presente in quasi tutti i Seminari Maggiori d’Italia, chesono circa un centinaio.

LA PUM E IL GAMISLa Pontificia Unione Missionaria si avvale della collaborazione di alcuni animato-ri appartenenti agli Istituti Missionari che visitano ogni anno i Seminari di tutta Ita-lia; tale visita è come il dono di un tempo forte, una settimana missionaria annua-le nella quale gli animatori coinvolgono tutta la comunità del seminario con incon-tri in cui presentano e propongono le attività e il materiale prodotto dalle Pontifi-cie Opere Missionarie, con particolare attenzione alla dimensione spirituale nellecelebrazioni eucaristiche che i missionari sono invitati a presiedere.

IL CONVEGNO MISSIONARIOOgni anno la Pum propone un Convegno nazionale dei seminaristi che non è daconsiderarsi solo come un incontro di formazione, ma rappresenta il culmine del-l’attività di animazione missionaria annuale dei Seminari e offre l’opportunità disperimentare l’appartenenza alla Chiesa italiana che vive la sollecitudine per tuttele Chiese; è condivisione dei modi di vivere lo stesso spirito missionario che favedere ogni cosa in termini di cattolicità. Il Gamis ha un preciso ruolo nella pre-sentazione del convegno, nella partecipazione dei rappresentanti e nella condivi-sione con tutta la comunità dei frutti e dello spirito del convegno.

COS’E’ IL GAMIS

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