MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA · 2019-09-23 · Bello, grande pastore del Novecento,...

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PANORAMA Violenze contro i cristiani La Chiesa nel mirino FOCUS Mutamenti e tensioni in America Latina PRIMO PIANO La sfida della fame in Africa Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 7 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXIII LUGLIO AGOSTO 2019 AMAZZONIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito In attesa del Sinodo

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PANORAMAViolenze contro i cristianiLa Chiesa nel mirino

FOCUSMutamenti e tensioniin America Latina

PRIMO PIANOLa sfida della famein Africa

Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

7M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXIII

LUGLIOAGOSTO2019

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alla clandestinità. Non solo: di questitempi si ostenta un apparente rispettoper il crocefisso, senza tener conto delsuo vero significato. E qui sovviene laprovocazione del compianto don ToninoBello, grande pastore del Novecento, ilquale diceva che «la croce l’abbiamo at-taccata con riverenza alle pareti di casanostra, ma non ce la siamo piantata nelcuore. Pende dal nostro collo, ma nonpende sulle nostre scelte». Ecco cheallora si capisce bene perché i cosiddettinuovi crociati del Terzo Millennio storconoil naso quando leggono, ad esempio,nel recente Messaggio per la GiornataMissionaria Mondiale (GMM), a firma dipapa Francesco, pubblicato il giorno diPentecoste, che la Chiesa per sua voca-zione deve essere «in uscita fino agliestremi confini». Papa Bergoglio, nellatradizionale missiva per la GMM - chequest’anno si celebrerà il 20 ottobre sultema “Battezzati e inviati: la Chiesa diCristo in missione nel mondo” – non hadubbi nell’affermare la sacrosanta teologiadel Regno. «Noi non facciamo proseliti-smo», perché la fede cristiana «non è unprodotto da vendere, ma una ricchezzada donare». «Quanti santi, quante donnee uomini di fede ci testimoniano, ci mo-strano come possibile e praticabile questaapertura illimitata, questa uscita mise-ricordiosa come spinta urgente dell’amoree della sua logica intrinseca di dono, disacrificio e di gratuità», sottolinea papaFrancesco. È per questo che afferma

C ento anni fa, papa Benedetto XV,nell’enciclica missionaria Maxi-mum Illud, spiegava che la Storia

universale della salvezza non poteva as-solutamente essere richiamata a giusti-ficazione delle chiusure nazionalisticheed etnocentriche di questa o quella na-zione. Da attento osservatore, il ponteficegenovese che ebbe l’ardire di stigmatizzarela Prima guerra mondiale definendola«l’inutile strage», scrisse con chiarezza ecoraggio profetico per quei tempi, chel’annuncio del Vangelo non doveva essereconfuso con le strategie delle potenzecoloniali e con i loro interessi economicie militari. Oggi, nella vecchia Europa,dispiace doverne prendere atto, c’è pur-troppo ancora chi crede all’identificazionedel cristianesimo con l’Occidente, ne-gandone l’universalità e ritenendo chel’appartenenza alla Chiesa prescinda dauna conoscenza reale del dettato evan-gelico. In altre parole, certi signori chebrandiscono con disinvoltura il SantoRosario, dimenticano, ad esempio, cheGesù Cristo, Dio fatto uomo, era un me-diorientale e che, probabilmente, se oggigli apostoli, in quanto palestinesi, fosserovenuti in Europa, sarebbero stati consi-derati migranti economici, avendo giàin patria un mestiere dignitoso, quellodi pescatori, dunque irregolari per lenormative comunitarie, costretti pertanto

con grande convinzione: «Chi ama simette in movimento, è spinto fuori dasé stesso, è attratto e attrae, si dona al-l’altro e tesse relazioni che generanovita. Nessuno è inutile e insignificanteper l’amore di Dio».La domanda che dovremmo provare aporci è: se Cristo fosse oggi presentenella nostra società, fisicamente, comeduemila anni fa, dove andrebbe? NelVangelo di Marco (1,14ss.) leggiamo che«Gesù andò nella Galilea». Iniziò, quindi,ad evangelizzare in una regione lontanadall’istituzione religiosa giudaica, unaterra di confine, a diretto contatto con ipagani. E poi Marco aggiunge: «Procla-mando il Vangelo di Dio», cioè la BuonaNotizia di Dio. E qual era questo lietoannunzio? L’affermazione, potremmodire oggi, di un “mondo capovolto”,quello di un Dio radicalmente diversoda come i rabbini l’avevano presentato.Non più un Dio che chiede il conto, maun Dio che dà sé stesso. Non più un Dioche castiga, ma un Dio che perdona. Ecosa gridava a gran voce il Messia? «IlRegno di Dio è vicino». Nella nuova re-lazione con Dio che Gesù propone, quellacon il Padre, non c’è più una legge, uncodice esterno all’uomo che l’individuodeve osservare, ma c’è l’accoglienza e lapratica di un amore simile al suo. D’al-tronde, al centro dell’attività missionaria,che peraltro è connaturale alla Chiesa(senza Missione non c’è la Chiesa), sicolloca proprio il Regno di Dio.

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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A proposito di croci e rosari

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Indice

EDITORIALE

1 _ A proposito di croci e rosari di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Fame in Africa Una sfida che si potrebbe vincere se… di Giulio Albanese

ATTUALITÀ

8 _ Nel Paese del coltan Piccoli minatori muoiono di Miela Fagiolo D’Attilia11 _ Europa e Africa A Strasburgo si riapre il tema della cooperazione di Lucio D’Ubaldo

FOCUS14 _ Mutamenti e tensioni in America Latina Le speranze di un continente irrequieto di Paolo Manzo

STORIA DELLA MISSIONE18 _ Dagli apostoli ai testimoni di oggi

Nascita di Propaganda Fide di Ilaria De Bonis

MO(N)DI DI DIRE21 _ CORAZÓN

Col cuore in mano di Loredana Brigante

SCATTI DAL MONDO22 _ Sudan

Dove la speranza non muore A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulio Albanese

PANORAMA26 _ Violenze contro i cristiani La Chiesa nel mirino di Pierluigi Natalia

DOSSIER29 _ Sinodo sull’Amazzonia La foresta ferita aiuterà il mondo a guarire di Marco Ratti

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E sebbene, come leggiamo nell’enciclica disan Giovanni Paolo II Redemptoris Missio,«non si possa disgiungere il Regno dallaChiesa. Certo, questa non è fine a se stessa,essendo ordinata al Regno di Dio, di cui ègerme, segno e strumento» (18).Sta di fatto che questo Regno, che oggi simanifesta nella presenza di Cristo nellanostra Storia, è un qualcosa di straordina-riamente meraviglioso e avvincente per chiha avuto il dono di farne l’esperienza. UnRegno di cui i santi, che la Chiesa veneracon rigore, hanno annunciato e testimoniato.È chiaro che quando si realizzano nel mondosituazioni di Pace, di Giustizia, di Riconci-liazione, quando viene rispettata l’integritàdel Creato, tutte queste dimensioni riman-dano inevitabilmente al Regno. Ma «il ventosoffia dove vuole e ne senti la voce, manon sai di dove viene e dove va: così è dichiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Ariprova che noi cattolici non abbiamo ilmonopolio del bene, mentre per vocazionedovremmo essere servitori dei poveri. Unacosa è certa: «Siamo figli dei nostri genitorinaturali, ma nel battesimo ci è data l’origi-naria paternità e la vera maternità», ricordapapa Francesco, secondo il quale «non puòavere Dio come Padre chi non ha la Chiesacome madre».

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ La presenza del Corpo civile

Una Colomba in Colombia di Chiara Pellicci

40 _ Preti stranieri in Italia

Tutti i volti della Chiesa italiana di Annarita Turi

42 _ Nuovi stili di missione La Tenda della Casa Comune Per la partecipazione attiva al Sinodo sull’Amazzonia di Paolo Scarafoni e Filomena Rizzo

43 _ Testimoni della Chiesa in uscita Luisa, la dottoressa sorridente di Stefano Femminis

44 _ L’altra edicola Hong Kong si ribella No all’estradizione in Cina di Ilaria De Bonis

47 _ Posta dei missionari Prima di tutto, l’annuncio a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE50 _ Ciak dal mondo MOTHER FORTRESS

Madre Agnes nel deserto della Siria di Miela Fagiolo D’Attilia52 _ Libri

Un sogno chiamato Europa di Chiara Anguissola La dittatura del denaro di Maria Lucia Panucci

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OSSERVATORIDONNE IN FRONTIERA PAG. 6

Cambio d’abito per Ileniadi Miela Fagiolo D’Attilia

GOOD NEWS PAG. 7

Autista di risciò e finanziatoredi scuoledi Chiara Pellicci

BALCANI PAG. 16

Carbone killer in Bosniadi Roberto Bàrbera

MEDIO ORIENTE PAG. 17

La discoteca può attenderedi Ilaria De Bonis

TUTELA DEL CREATO PAG. 19

Nuova vita per la scuola di Cafaldi Felice Tenero

53 _ Musica Romano Drom Ho visto anche zingari felici di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

54 _ Giornate nazionali di spiritualità missionaria Battezzati e pronti all’ad gentes

di M.F.D’A.

55 _ Missione andata e ritorno Don Luigi Gibellini C’è sempre da fare per un missionario doc di Miela Fagiolo D’Attilia

56 _ La scomparsa di Maria Teresa Vaccari Figlia delle speranze del Concilio di Gaetano Borgo

58 _ Don Salis, segretario regionaleUfficio per la Cooperazione

missionaria tra le Chiese Gente di Sardegna, con la missione dentro di Loredana Brigante

60 _ Missio Giovani L’Epicentro dei ragazzi di San Severo di Loredana Brigante

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzioni di preghiera La famiglia umana deve salvare la sua casa di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM Ogni missionario è patrimonio dell’umanità di Gaetano Borgo

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PRIMO PIANO Fame in Africa

L a nostra civiltà occidentale ha ilmerito di aver favorito il progressodal punto di vista della ricerca e

dello sviluppo tecnologico, promuovendoperaltro una cultura tendenzialmentelegalitaria, incentrata sul rispetto deidiritti inalienabili della persona. Al con-tempo, però, l’indirizzo impresso dal co-siddetto “Primo Mondo” è, paradossal-mente, sempre più segnato da incoerenzee contraddizioni. Col risultato che quei

di GIULIO [email protected]

Una sfida chesi potrebbevincere se…

Una sfida chesi potrebbevincere se…

Un quinto della popolazione del continenteafricano, cioè 237 milioni di persone, soffre didenutrizione cronica e la lotta alla fame èsempre un obiettivo che non si riesce araggiungere. Carestie cicliche, guerre, land

grabbing e sfruttamento selvaggio della fertileterra d’Africa lasciano aperto il problema di unosviluppo sostenibile che possa trasformare gliscenari di tanti Paesi della fascia subsaharianae del Corno d’Africa.

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principi e valori universali rimangononormalmente circoscritti al nostro be-nessere e ai nostri interessi di parte, adifesa delle nostre chiusure culturali epaure di cambiamento, piegando perfinoil Diritto internazionale alle convenienzedel momento, coprendo e sostenendodittature sulla base della loro utilità po-litica. Non vi è più alcun dubbio chemolte correzioni di rotta andrebberofatte se non vogliamo continuare ad as-sistere passivamente ad una gradualeimplosione della nostra civiltà. Non èammissibile, ad esempio, che ogni annola fascia saheliana e il Corno d’Africavengano colpite da gravissime carestieche penalizzano milioni di persone, so-prattutto donne, vecchi e bambini. Eppure,nel nostro pianeta, da quando esiste,non c’è mai stato così tanto cibo. In ter-mini strettamente quantitativi, vi sonoderrate alimentari per sfamare a suffi-cienza l’intera popolazione mondiale dioltre sette miliardi di persone. Non solo.Se le materie prime alimentari fosseromesse sul mercato rispettando il principiodell’equità, si potrebbero sfamare circa14 miliardi di persone, pertanto vi sarebbedoppia razione per tutti. Eppure, unapersona su otto è affamata.Le ragioni che determinano questo aber-rante scenario sono molteplici. Com’ènoto, si registra ogni anno un aumentodei disastri naturali, come le inondazioni,le tempeste tropicali e i lunghi periodi disiccità, con gravissime conseguenze perla sicurezza alimentare di vasti settoridella popolazione mondiale. La siccità èoggi la causa più comune della mancanzadi cibo nel mondo. Come se non bastasse,dal 1992, la percentuale delle crisi ali-mentari causate dall’uomo, di breve olunga durata, è più che raddoppiata,passando dal 15 al 35% e molto spessosono i conflitti ad esserne la causa sca-tenante. Si tratta di guerre, tra l’altro,molto spesso generate da interessi stranieri

sotto l’influenza della colonizzazione). Ealla fine degli anni Settanta René Dumont,agronomo di fama mondiale, rincaravala dose stigmatizzando il cronico drammadei Paesi del Sahel, la cui ciclica carestiaprovocava già allora «dei sussulti d’inte-resse, fortemente equivoci». E sì, perché40 anni fa come oggi si versavano fiumid’inchiostro per denunciare le soliteemergenze alimentari che, com’è noto,determinano un numero indicibile di vit-time a causa anche di responsabilitàumane. Sempre Dumont, in un saggiopubblicato nel 1980 dal titolo più cheemblematico, L’Afrique étranglée (L’Africastrangolata), scriveva: «Mentre il Saharaavanza dappertutto, al Nord e al Sud, iPaesi ricchi continuano ad importarel’arachide e il cotone grezzo, le cui colti-vazioni rovinano i terreni, e ad esportareprodotti industriali, macchine e surplusdi cereali. E affluiscono con tutte lespese relative, tutti gli esperti, commissioni,agenzie internazionali, con le valigiecolme di talismani, gadget... e altro fumonegli occhi». Dumont puntava il dito siacontro le burocrazie della fame che «vi-vono alle spalle del Terzo Mondo e peresse la fine del sottosviluppo significhe-rebbe disoccupazione», sia nei confrontidelle borghesie africane che «hanno presogusto al potere e vi si aggrappano pre-occupate solamente di garantire la loropermanenza».

LA MALEDIZIONE DELLE CARESTIEViene spontaneo chiedersi come potesseronel passato sopravvivere le popolazioni

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per il controllo delle commodity, vale adire le materie prime presenti nei Paesiin via di sviluppo, fonti energetiche inprimis.

LO SCANDALO AFRICANOL’emergenza alimentare rappresenta lavexata quaestio dell’Africa subsaharianada molti anni. Il recente rapporto con-giunto sulla sicurezza alimentare e lanutrizione in Africa, pubblicato lo scorsofebbraio dalla Fao e dall’Economic Com-mission for Africa (Eca), rileva che nellafascia subsahariana vi sono 237 milionidi persone — circa un quinto della po-polazione del continente — che soffronodi denutrizione cronica. Si tratta di unsegnale negativo che mette gravementein dubbio la possibilità di sradicare lafame, conseguendo gli Obiettivi di Malabo2025 e l’Agenda 2030 per lo svilupposostenibile, in particolare il secondoObiettivo di sviluppo sostenibile (SDG2).Il deterioramento della situazione èdovuto a diversi fattori che spesso sisommano tra loro: dalla difficile situazioneeconomica globale, al peggioramentodelle condizioni ambientali; dai conflittiche insanguinano numerosi Paesi, allavariabilità climatica e agli eventi estremi.Da rilevare che già nel lontano 1944Jean-Paul Harroy, prima ancora d’esserenominato governatore belga in terraruandese, scrisse la sua tesi di laurea sultema: Afrique, terre qui meurt, la dé-gradation des sols africains sous l’in-fluence de la colonisation (Africa, terrache muore: il degrado dei suoli africani »

Zona desertica in prossimitàdi Sebba, Burkina Faso.

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PRIMO PIANO

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I lenia ha 26 anni, è una bella ragazzadal viso pulito che indossa la divisa da

carabiniere. È originaria di Roccasecca nelFrusinate, lavora a Caltanissetta e fin dabambina sognava di vestire la divisa del-l’Arma per mettersi a servizio della gentee difendere la giustizia e la legalità. Ragazzasolare, amante delle moto e delle maratone,Ilenia Siciliani ha un carattere serio e ri-servato, è un “carabiniere scelto” per averdato prova di un profondo senso deldovere. Nell’agosto dello scorso anno, du-rante un viaggio in Bosnia Erzegovina, aMedjugorie incontra le missionarie dellaDivina Rivelazione, un ordine fondato damadre Prisca, siciliana vissuta a Bengasifino al 1941 e poi rientrata come profugain Italia dove si è impegnata per i malatied è entrata nel Movimento Pro Sanctitate.L’incontro con le suore dall’abito verde èdeterminante per Ilenia che inizia un cam-mino di discernimento con il suo padrespirituale, padre Enzo Genova. In occasionedella festa d’addio dall’Arma nel maggioscorso il sacerdote ha dichiarato: «È statauna celebrazione di ringraziamento a cuiha preso parte anche la madre superioradel convento dove lei andrà a Roma. Ileniaè una ragazza “tosta”. Basti pensare cheda sola, in sella alla sua moto, ha fatto ungiro della Sicilia per visitare le chiese piùbelle. Io l’ho conosciuta pochi mesi fa,quando si è subito inserita nel gruppo deigiovani in parrocchia».Nessun commento da parte di Ileniaimpegnata a vivere nel riserbo la sua scel-ta di una vita nuova dedicata a Gesù.Come è nel suo carattere riservato, lasciache a parlare di lei siano i fatti e padreGenova: «Penso che a 26 anni si tratti diuna scelta forte. Ilenia è una ragazza cheaveva raggiunto tutto quello che potevadesiderare: un posto sicuro, lo stipendiofisso, indossare la divisa che ama. Ma ilSignore ha voluto chiamarla e io speroche lei possa realizzare pienamente quel-lo che è il progetto di Dio. In fondo conti-nuerà a servire il prossimo, come ha fattofinora, sia pure con un’altra “divisa”».

di Miela Fagiolo D’Attilia

CAMBIO D’ABITOPER ILENIA

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA poranea, all’unico scopo di consentire a

una popolazione di sopravvivere a unadeterminata situazione di crisi; invecequasi sempre si traducono in una sortad’espediente per rinviare la soluzionestrutturale del problema. Se da una parteoccorre vigilare sulle deviazioni — comel’arrivo spesso tardivo o non confacentedegli aiuti ai bisognosi, la loro distribuzionemal organizzata o distorta dall’interventodi fattori politici, etnici o dal clientelismo,furti e corruzione, che impediscono agliaiuti di giungere ai più indigenti — dal-l’altra s’impone un salto di qualità nelleforme d’intervento, investendo risorsenella prevenzione di queste calamità.Solo così gli aiuti di emergenza potrannoconsiderarsi alla stregua di una incisivaazione di solidarietà internazionale, po-tenziando soprattutto la concertazionetra i vari partner della catena: Stati, au-torità locali, organismi non governativie realtà ecclesiali.

del Sahel visto che, stando agli esperti,fenomeni meteorologici avversi come leprolungate siccità affondano le radici intempi immemorabili. «Lo si sapeva —scrive Dumont — quindi lo si prevedevae, nelle buone annate, si riempivano igranai di piccolo miglio e più a Sud, interre argillose, di grosso miglio, il sorgo».Ecco perché, suggeriva l’agronomo fran-cese, «occorre ricominciare come neitempi antichi, prima della colonizzazione,a formare delle scorte alimentari oppuredei granai collettivi, al posto delle coo-perative imposte e controllate dalle au-torità, e da cui traggono vantaggio so-prattutto i loro dirigenti». Insomma, Du-mont suggeriva saggiamente di ricreareraggruppamenti economici, sociali e po-litici, diretti dalle classi rurali, capaci diopporsi in modo non violento all’ingordigiadei potenti.Una cosa è certa: gli aiuti d’emergenzadovrebbero rimanere una soluzione tem-

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IL MERCATO DEGLI OGMDa rilevare che nell’ambito della sicurezzaalimentare, destano grande apprensionele speculazioni finanziarie legate allacompravendita di fondi di investimento.Si tratta di futures sui prodotti agricoliche non vengono più solo acquistatida chi ha un interesse diretto in queldeterminato mercato, seguendo le tra-dizionali leggi della domanda e del-l’offerta, ma anche da parte di soggettifinanziari come i fondi pensione, cheinvestono grandi somme di denaro conl’obiettivo esclusivo di ottenere il migliorrendimento. Ecco che allora, alla co-siddetta batosta climatica, si aggiungonoi meccanismi di un sistema finanziarioche sta avendo ricadute drammatichesulle popolazioni africane. Parliamo diPaesi in cui la gente destina più dell’80%del proprio reddito al fabbisogno ali-mentare e che nell’attuale congiunturanon sono assolutamente in grado di

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far fronte all’aumento dei prezzi delcibo. Un’altra risposta, davvero fuor-viante al problema della fame è quelladell’utilizzo degli organismi genetica-mente modificati (ogm), un indirizzosostenuto a spada tratta da alcuni go-verni come quello di Washington. Questiprodotti hanno trovato un loro fiorentemercato in Africa ed hanno causato leproteste di vasti settori della societàcivile. Al di là del pur lecito principiocautelativo - che, se applicato, dovrebbevalere per tutti, ricchi e poveri – gliogm sono espressione di una culturamercantile che guarda solo e unicamenteal guadagno. Il vero problema è rap-presentato dal diritto di proprietà sullesementi ogm, che indiscutibilmente,anche alla luce dei principi dell’eticasociale della Chiesa, acuisce a dismisurala dipendenza dei Paesi poveri da quelliricchi. La distribuzione di sementi ogm,nelle aree di emergenza, determina in-fatti la mercificazione della solidarietà,trattandosi di prodotti brevettati, peraltronon riproducibili. In altre parole, il verorischio, spesso sottaciuto dalla grandestampa, è che i prodotti ogm determi-nano paradossalmente una maggioreinsicurezza alimentare, essendo brevettatiai sensi delle leggi sui diritti di proprietàintellettuale. I contadini, così, sono co-stretti a comprare sementi ogni anno,al punto tale che è reato ripiantarle.Insomma, sugli ogm è in atto uno scon-tro commerciale di proporzioni gigan-tesche, con forti risvolti politici. Daquesto punto vista, allora, occorre dav-vero andare al di là della solita diatribatra ambientalisti e paladini del biotech,tenendo presente che il cibo è innanzi-tutto e soprattutto un diritto tantoquanto l’acqua, la salute o la fissadimora. Tutti argomenti, questi, impor-tantissimi che non possono lasciarciindifferenti rispetto alle istanze delbene comune. A questo punto, vienespontaneo chiedersi: sarà mai possibiletrovare una soluzione?

Fame in Africa

C oloro che in India guidano i risciò sono, ingenere, uomini di umili origini, che hanno

una grande forza e altrettanta resistenza fisicaai lavori pesanti. Che un autista di risciò abbiala disponibilità economica per poter costruireben nove scuole è fantascienza. Eppure, nelloStato indiano di Assam, è accaduto.Il protagonista di questa “buona notizia” sichiama Ahmed Ali e non è certamente un na-babbo. È, però, un padre intelligente, che hasofferto moltissimo per non aver potuto studiarequando era bambino: per questo, ha giurato ase stesso di fare tutto il possibile per non con-dannare alla medesima sorte suo figlio. E così,quando sua moglie gli ha confidato di aspettareun bambino, Ahmed non ci ha pensato duevolte: ha cominciato ad accantonare una partedi guadagno da ogni corsa di risciò, rinunciandoquotidianamente ad una piccola somma perpoterla destinare al sogno della costruzione diuna scuola. Che presto si è trasformato inrealtà. Infatti, oltre alla cifra messa da parte,per finanziare il primo istituto scolastico delsuo villaggio, l’autista ha venduto un pezzo delterreno di sua proprietà, permettendo poi chesull’altra parte venisse costruita la scuola. Lesuccessive otto – perché, sì, in tutto ne ha co-struite nove – sono state sovvenzionate con isuoi risparmi ed il sostegno di alcune organiz-zazioni benefiche. AsiaNews, che riporta la no-tizia lanciata dall’Agenzia di stampa indianaIANS, specifica che «per assicurarsi che le strut-ture avessero i fondi adeguati per garantirel’insegnamento, per anni Ali ha lavorato comeautista di giorno e tagliando la legna di notte».Insomma, un lavoratore infaticabile – addoloratoper non aver potuto studiare – è diventato il fi-nanziatore di tre scuole primarie, cinque inter-medie e un liceo a Madhurband e nei villaggivicini. Mantenendo, però, l’umiltà di sempre eil desiderio di fare ancora di più: il suo prossimosogno, infatti, è portare l’università nel suo vil-laggio abitato da poveri, perché i ragazziabbiano la certezza di poter studiare.

di Chiara Pellicci

AUTISTA DIRISCIÒ EFINANZIATOREDI SCUOLE

OSSERVATORIO

GOODNEWS

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ATTUALITÀ

di MIELA FAGIOLO D’[email protected]

N ella provincia del Nord Kivu nella Repubblica Democraticadel Congo (RDC), la terra nasconde straordinarie ricchezzema i suoi abitanti sono poveri. Così poveri da essere costretti

a lavori disumani a rischio della vita per recuperare i preziosi“minerali insanguinati” estratti dalle fangose cave a cielo aperto odalle numerose miniere nelle montagne di maestosa bellezza dellaregione. Ore ed ore a scavare per trovare i piccoli sassi neri dicoltan, il composto di columbite e tantalite con cui sono realizzaticellulari, computer, console dei videogame, tablet, centraline delleauto elettriche e molti altri oggetti tecnologici. Circa l’80% delcoltan del pianeta proviene da questa regione dell’ex coloniabelga, insanguinata da quasi 30 anni da violenze e conflitti causati

Sono un piccolo esercito quasiinvisibile: 40mila ragazzini con lebraccia nel fango delle cave acielo aperto o nelle gallerieanguste delle miniere dellaRepubblica Democratica delCongo. Cercano instancabilmenteil coltan e altri metalli preziosiper le industrie tecnologiche, aprezzo della salute e non di radoanche della vita.

Nel Paese del coltan

Piccoli minatori muPiccoli minatori mu

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Banyungu, di Lukweti,di Bashali, di Sasha, diMupfuni-Shanga, diLukweti e altri delleprovince del Nord e delSud Kivu e del NordKatanga, la vita è simile.Gli uomini escono al-l’alba e passano tuttala giornata a cercare iminerali, 11-12 ore dilavoro ininterrotto cheli sfianca al punto chea volte non riescononemmeno a tornare acasa la sera, e si ad-dormentano in unospiazzo poco distantedalla miniera.La cittadina di Numbiè uno degli agglomeratiumani più grandi: con-ta 22mila abitanti chesopravvivono grazie allavoro nelle miniere cherigurgitano di coltan,morganite, stagno, co-balto, oro, manganesee di pietre preziosecome le tormaline. La

ricchezza del sottosuolo più che unarisorsa per la popolazione è una male-dizione a causa degli appetiti di industriestraniere che speculano sulle miserecondizioni di vita di migliaia di personeche nel lavoro estrattivo consumano leloro vite a rischio di morire per lafatica, per le malattie o per le frane.Nei cunicoli che si addentrano nellamontagna si scava per ore ed ore nellaparete rocciosa fino a trovare ciottolidi coltan, che vengono frantumati peruna paga irrisoria ai minatori (circa 15dollari al mese) e una resa giornalieraper la miniera di un chilo di materiale,equivalente a 400 dollari circa. Con la

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Bambini impiegati nel trasportodel rame nella miniera a cieloaperto di Katanga, nella RepubblicaDemocratica del Congo.

dalla contesa per l’accaparramento diquesto e altri minerali preziosi. Propriointorno alle miniere si è concentratal’attività di buona parte della popola-zione locale che ha abbandonato altreattività tradizionali come l’agricolturao l’allevamento del bestiame.

SPECULAZIONI STRANIERELe miniere si trovano in zone moltoisolate e anche i villaggi limitrofi sonodifficilmente accessibili (agli estranei,ma non alle camionette dei militariche ne controllano gli accessi). Nei vil-laggi di Mupfuni-Matanda, in quellodi Bukala, di Bashali, di Nyabiondo, di

vanga e i picconi si fanno buchi nelterreno alla ricerca della polvere delminerale, mescolata alla sabbia. Interegiornate a respirare l’aria polverosa deicunicoli illuminati dalle torce elettriche:un vero girone infernale che rimandaalle schiavitù dei secoli passati. Sembraimpossibile che la componente più co-mune delle tecnologie più avanzate siafrutto delle braccia di uomini costrettia lavorare come nel Medioevo, senzanessuna forma di meccanizzazione econ altissimi rischi per la vita umana.Soprattutto quando si tratta di bambiniche crescono in condizioni disumane erischiano di essere sepolti da una franache in qualunque momento può farcedere le rocce.

PICCOLI MINATORI SENZA NOMESecondo un recente rapporto di AmnestyInternational anche giganti dell’IT comeApple, Sony e Samsung non rispettanosicurezza e controllo contro lo sfrutta-mento minorile nelle miniere di coltanin RdC dove lavorano almeno 40milaminori, una buona parte dei quali acontatto con un minerale radioattivocome il cobalto, con tutti i rischi con-seguenti all’esposizione prolungata amateriali radioattivi. Eppure questo pic-colo esercito di ubbidienti minatori èinvisibile. Il lavoro dei bambini è nascostoagli occhi di giornalisti e ispettori dellavoro, poiché anche nella RDC il lavorominorile è illegale. Non si vedono maci sono, perché sono particolarmenteutili nelle miniere proprio per la »

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spazi angusti deicunicoli delle mi-niere. Secondo il re-port, i bambini gua-dagnano mille-duemila franchicongolesi al giorno(l’equivalente diuno o due euro)dopo avere «raccol-to, ordinato, lavato,frantumato e tra-sportato minerali,vengono pagati perogni sacco di mi-nerali dai commer-cianti. Non hannomodo di verificareindipendentementeil peso dei sacchi oil grado del mine-rale e, quindi, de-vono accettare ciòche gli viene dato».I bambini che van-no a scuola, non siriposano mai per-ché vanno in mi-niera dopo la finedelle lezioni, du-rante le vacanze enei fine settimana.Altri invece hannogenitori che nonpossono lavorare equindi pagare le tasse scolastiche e leattrezzature scolastiche: per loro la mi-niera è l’unica via possibile per portarequalche soldo a casa e aiutare la famiglia.E questo malgrado, come spiega ancoraAmnesty International, «il codice diprotezione dei minori della RDC del2009 preveda la gratuità e l’obbligo dieducazione primaria per tutti i bambini.Tuttavia, a causa della mancanza di fi-nanziamenti adeguati da parte delloStato, la maggior parte delle scuolecarica ancora i genitori di un importomensile per coprire i costi, come glistipendi degli insegnanti, le divise e il

piccola statura, agilità e capacità diinoltrarsi in tunnel strettissimi. Lavoranosotto il controllo delle forze di sicurezzadella miniera o dei militari e la loropaga è inferiore a quella degli adulti.Privati del diritto allo studio, al gioco ealla salute, i piccoli minatori vivonocon pesanti ipoteche sul loro futuro acausa delle frane nelle gallerie. E spessoi loro corpi restano sepolti nel terrenoa decine di metri di profondità senzache nessuno possa nemmeno recuperareciò che resta delle piccole vittime diquesta infame schiavitù.Di loro nessuno saprà mai niente: chicerca una strada sul suo smartphone,chi gioca alla console o prenota unviaggio in internet da casa non potràmai conoscere il prezzo di sangue chel’assemblaggio di queste tecnologie ècostato in termini di vite umane.

A SCUOLA, NON IN MINIERAIl report di Amnesty International de-nuncia che «questi bambini lavoranoin condizioni estreme, alcuni di loropiù di 12 ore al giorno, senza alcunaprotezione e percependo salari da fame.Si ammalano prima e più dei loro coe-tanei. Rischiano ogni giorno incidentisul lavoro a causa di carichi troppo pe-santi, spesso sono picchiati e maltrattatidalle guardie della sicurezza se oltre-passano i confini della miniera. Alcunidi loro lavorano dopo aver frequentatola scuola, altri hanno per necessità ab-bandonato i libri». I bambini intercettatidagli operatori di varie ong umanitariehanno raccontato di passare interegiornate a scavare la terra a mani nude,a trascinare sacchi di 20-40 chili, pra-ticamente più pesanti dei loro piccolicorpi. L’abitudine ad affrontare sforzitroppo grandi per organismi in crescitapuò determinare danni permanenti sul-l’ossatura e la muscolatura dei minatoriin erba. Se il lavoro si svolge a cieloaperto le piogge o le temperature troppoalte possono essere dannose quanto lapolvere respirata troppo a lungo negli

ATTUALITÀ Nel Paese del coltan

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Una miniera a Goma,Repubblica Democraticadel Congo.

materiale didattico».Il problema dei bambini nelle miniere èall’attenzione di organizzazioni dellasocietà civile congolese che hanno lan-ciato il 18 marzo scorso una Campagnacontro lo sfruttamento minorile. Hannoaderito la Società delle miniere di Bi-sunzu e la Cooperativa dei minatori(Coperama) per denunciare la presenzadi bambini di meno di dieci anni nelleminiere di Bibatama, nel territorio diMasisi, a una cinquantina di chilometria Est di Goma. Lo slogan della Campagnaè “Il posto di un bambino è a scuola,non in miniera”.

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Europa e Africa

È tempo di sintesi dopo il profluviodi valutazioni a caldo, chiuse leurne, attorno ai vinti e ai vincitori

dello scorso maggio. Dalle elezioni l’Europaesce rafforzata nel suo faticoso percorsoverso una crescente ed equilibrata inte-grazione. Intelligenza vuole che il modellodi convivenza e collaborazione acquisiscacaratteri più armonici, soprattutto graziea un rinnovato primato della politica,per staccare dall’economicismo e dal

di LUCIO D’[email protected]

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Dopo le elezioni e il nuovo volto che gli elettorihanno dato al Parlamento europeo, molti temigeopolitici aspettano un equilibrato esame sia perquanto riguarda la situazione interna all’Unione,sia per i rapporti con il continente africano. Inquesto articolo il senatore Lucio D’Ubaldo ci aiutaa leggere i nuovi e vecchi orizzonti su cui siaffaccia il neoeletto Parlamento. »

Il Parlamentoeuropeo aStrasburgo.

A Strasburgo siriapre il tema dellacooperazione

A Strasburgo siriapre il tema della

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equilibrio da inventare, immaginandoche abbia comunque l’energia capaced’imprimere la necessaria spinta allafutura attività dell’Assemblea di Stra-sburgo.

EUROPA, SOGGETTO POLITICOLa fiducia deriva da semplici constatazioni.A parte il dato dell’Italia e della GranBretagna - alle prese, quest’ultima, conl’infinita e tormentata vicenda dellaBrexit - la partecipazione elettorale hatoccato mediamente percentuali superiorial passato: un buon segnale a favoredello sviluppo di una democrazia radicatanella dimensione continentale. Vuol direche la legittimazione dell’Europa, a livellodi pubblica opinione e corpo elettorale,avanza e progredisce nonostante tutto.La propaganda avversa, condensata nelleparole d’ordine di un nuovo nazionalismo,non ha raggiunto i suoi obiettivi. L’Europadeve tornare a incidere sulle vicende delmondo. La pace e il progresso come beniuniversali dipendono in gran parte dalrecupero di un ideale storico concreto,ovvero di una civiltà pluriforme e com-plessa, che si è sedimentata per secoli esecoli, entrando in crisi con la fine dello“ius publicum europaeum”. La guerrafredda ha reso subalterna l’Europa. Tut-tavia, senza il contributo che essa puòoffrire, specialmente nell’attuale confrontomultipolare, con l’emersione prepotentedella Cina e l’instabilità della funzioneimperiale degli Stati Uniti, il nostropianeta è destinato a misurarsi con ilproliferare di logiche di scontro, ancorpiù pericolose per mancanza di quel bi-lanciamento che il confronto USA-URSSa suo modo garantiva.

IL PONTE CON L’AFRICALa geopolitica, intanto, porta a ricostruireil ponte tra Europa e Africa. Sulle ceneridel colonialismo, dopo il lungo processodi conquista dell’indipendenza nazionale,i popoli e gli Stati africani possono riporrefiducia nei rapporti con il Vecchio Con-tinente. L’Unione Europea, d’altronde,guadagna credito proprio nella prospettiva

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ATTUALITÀ

burocratismo l’esperimento ultradecennaledell’Unione. In questa competizione èemerso con chiarezza un dato macro-scopico: il progetto audace, nient’affattoscontato, di cui furono interpreti i Padrifondatori all’indomani della Secondaguerra mondiale, malgrado tutto resistee va avanti. L’implosione dell’Europa èstata scongiurata. I sondaggi, in realtà,fotografavano da mesi l’arresto dell’ondataanti-europeista. A conti fatti, pur dovendoregistrare il declino dei gruppi storicidell’Europarlamento, prende forma unassetto più articolato ma pur sempresaldo, quindi coerente e affidabile, comeieri o più di ieri, con l’ambizioso disegnodi un potere sovranazionale a misura delruolo di un’Europa ancora protagonistanel concerto della grande politica inter-nazionale. Se Popolari e Socialisti orasono più deboli, Verdi e Liberali esconoinvece irrobustiti dalle urne. C’è un nuovo

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nomica europea «in modo da condurli»,così recita l’articolo 131, «allo sviluppoeconomico, sociale e culturale che essiattendono». È stato solo il primo mattonedi una costruzione che ha visto sviluppisempre più articolati e impegnativi, spe-cialmente dopo l’istituzione nel 2000dell’Unione Africana.Altre tappe andrebbero ricordate, masarebbe troppo lungo soffermarsi su diesse. L’attenzione piuttosto va ripostasulla dichiarazione di volontà in ordineal rafforzamento del partenariato traEuropa e Africa. Gli scambi commercialisono molto intensi. Il 36% delle merciprodotte in Africa finisce sui mercati delVecchio Continente. Lo sviluppo dei popoliafricani costituisce un grande obiettivostrategico dei vertici europei. Sono statiadottati, fino al 2020, piani d’investimenticomunitari pari a 32,5 miliardi. Nei do-cumenti della Commissione di Bruxellescampeggia la definizione di “regioneprioritaria” proprio a riguardo dello spaziogeopolitico africano. A dicembre scorso,infine, si è tenuto a Vienna un verticebilaterale che ha fornito ulteriori indi-cazioni sulle prospettive di sviluppo. L’Eu-ropa, con il suo retaggio culturale e ilsuo potenziale economico, possiede glistrumenti per agganciare l’Africa al pro-gresso del mondo. È nel suo interessefarlo.

scenari evocativi di possibili turbolenze.Senza una correzione della curva demo-grafica, a rischio è la tenuta sociale edeconomica dell’Europa; senza un adeguatomodello di sviluppo economico, in Africaè invece a rischio la stessa condizione divita, già precaria e difficile oggi, disempre più ampie masse di popolazione.In questa cornice si colloca, per quantoci riguarda, l’indebita e sconsiderata ma-nipolazione in chiave xenofoba dei temidell’accoglienza e dell’aiuto, nel presup-posto che la salvezza consista nel chiuderele frontiere, erigere muri, respingere imigranti. Irrazionalità e disumanità avan-zano di pari passo nella illusione che ilbenessere si conservi tale e quale, doveattualmente alligna, supponendo di tro-vare rifugio nell’improbabile paradisodell’autarchia (di tutti contro tutti).Non dobbiamo cadere nel pessimismo.In effetti, dalla nostra abbiamo un de-posito di sensibilità politica e culturale,che nutre fin dalle origini il progettoeuropeista. Quando nasce infatti la Co-munità, nel secondo dopoguerra, ben50 Paesi africani su 53 erano sotto unregime di tipo coloniale. Si volle imboccare,per consapevolezza e responsabilità, un’al-tra strada. Per questo la quarta parte delTrattato di Roma (1957) individuò laformula dell’associazione «dei Paesi eterritori d’oltremare» alla Comunità eco-

di questa feconda ipotesi di collaborazione.Non bisogna dimenticare che la presenzadella Cina, oggi vista come una minaccia,è anch’essa un prodotto della Guerrafredda. Molti regimi africani ebbero giocofacile a motivare l’apertura nei riguardidi Pechino con l’esigenza di una “terzavia” tra America e Unione Sovietica.Anche l’ideologia dette man forte aquesta strategia dei “non allineati”: ilcapitalismo si poteva combattere megliocon il Libretto rosso di Mao. L’intrecciodi marxismo e confucianesimo conferivaalla formula del comunismo cinese unfascino particolare. Il maoismo ebbe for-tuna nelle università europee e trovòaccoglienza nei nuovi Stati indipendentidel Continente nero.Altra si dimostra la condizione odierna.Quello che doveva essere un aiuto, nellarealtà si è trasformato in un vincolo pe-sante. Gli investimenti cinesi hanno avutoricadute impreviste, più che sgradevoli,sui bilanci degli Stati beneficiari. Il costodelle infrastrutture - porti, ferrovie, retistradali - ha spinto in alto il debito dimolti Paesi. Lo sviluppo locale è strangolatonella morsa di enormi problemi finanziari.Anche la qualità delle opere pubblichelascia molto a desiderare. Si è assistito aun rapido deterioramento di struttureevidentemente costruite con materialidi scarsa qualità. Il mito della Cina ap-partiene ormai al passato. Da ciò derival’urgenza di rinsaldare la politica di coo-perazione tra i due continenti affacciatisul Mar Mediterraneo.

SCOMMESSA DEMOGRAFICAUn tempo l’Africa era vuota, il suo deficitdemografico cozzava con l’aumento mas-siccio tra Ottocento e Novecento dellapopolazione europea. Le previsioni diconoviceversa che nel giro di qualche decenniole parti si saranno abbondantemente ro-vesciate: per ogni cittadino europeo, neavremo cinque africani. Con due miliardie mezzo di abitanti, prevedibilmente nel2050, l’Africa si accinge ad essere il con-tinente più popoloso della Terra. Si trattadi una vera e propria rivoluzione, con

Europa e Africa

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FOCUS Mutamenti e tensioni in America Latina

Tra inflazione, dittatori, corruzioni e tensionisociali, l’America Latina è contesa dallestrategie economiche e politiche dellesuperpotenze. Cina, Usa e Russia sembranogiocare “fuori casa” partite di potere che nontengono in nessun conto il futuro e lo sviluppodi alcuni Paesi latinoamericani.

Le speranzedi un continenteirrequieto

È difficile trovare un Paese del-l’America Latina che, in questomomento storico, possa dire di

vivere un periodo felice.Nell’Argentina di papa Francesco, chenel prossimo ottobre andrà alle urne, ilpresidente Mauricio Macri (centro-destra) non ha mantenuto le promesse.

di PAOLO [email protected]

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ci sarebbe da scrivere un libro. Cosìcome sul Nicaragua del “sandinista”Daniel Ortega ma, di certo, in entrambii Paesi le cose vanno malissimo, comead Haiti del resto, la nazione più poveradella regione.

POPULISMO, CORRUZIONE E POVERTÀA prescindere dall’ideologia – non ètanto una questione di sinistra vs destra,ma di “mondo di sopra” e “mondo disotto” (per usare il gergo romano diMafia Capitale) – oggi il filo conduttoreche attraversa l’America Latina ed i Ca-raibi sembra poggiare su tre elementi,strettamente interconnessi tra loro: ilpopulismo imperante, la corruzione en-demica e la povertà in crescita. Perl’ong Trasparenza Internazionale (TI) cheda 25 anni pubblica l’Indice di Percezionedella Corruzione, i Paesi dell’AmericaLatina «continuano a fallire nella lottacontro il malaffare». I principali motivisono la debolezza delle istituzioni, ilpopulismo imperante di gran parte deiloro leader che usano il potere comeuna clava per mettere a tacere stampaed ong scomode e per indebolire leistituzioni. Ma anche la possibilità pres-soché illimitata con le nuove tecnologie(si pensi alle criptomonete, ad esempio)di riciclare il denaro, frutto di malver-sazioni. Le conseguenze della corruzionesono altrettanto disastrose per granparte della popolazione perché ogni ri-sorsa sottratta al circolo virtuoso dellepolitiche sociali e del welfare non faaltro che alimentare il dramma dellapovertà ed il divario tra la parte piùricca e quella più misera della popola-zione.I tre Paesi più corrotti della regione se-condo Trasparenza Internazionale a fine2018 sono risultati essere il Venezuela,Haiti e il Nicaragua, non a caso anche itre Paesi più autoritari e/o più poveridella regione. Seguono Guatemala, Mes-sico, Paraguay, Honduras, Bolivia, Re-pubblica Dominicana, Ecuador e

L’inflazione è salita al 60%, BuenosAires è ripiombata nella morsa del Fondomonetario internazionale con un megaprestito che rischia di non poter restituire,e la povertà è salita al 32%, il maggiorlivello dal default di fine 2001.In Brasile la presidenza del populista didestra Jair Bolsonaro si sta rivelandoun disastro anche se limitato perché,per fortuna, alle parole l’ex militare nonfa quasi mai seguire i fatti, bloccato dai

Proteste a San Paolo,contro i tagli allapubblica istruzionedecisi da Bolsonaro.

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contrappesi di società civile, media eistituzioni verde-oro. Di certo c’è chel’economia ristagna ed i poveri, secondogli ultimi dati della Banca mondiale,sono oramai oltre 43 milioni, in crescitadi sette milioni rispetto al 2014.Nel Messico del populista di sinistraAndrés Manuel López Obrador, che avevapromesso una pacificazione, la violenzadei narcos continua invece ad aumentarein modo esponenziale con una mediadi quasi tremila omicidi al mese (+10%rispetto al 2018), e regioni come Chi-huahua, Baja California, Quintana Roo,Guerrero e Colima si sono trasformatein veri e propri macelli.Nella Colombia di Iván Duque (centro-destra), la Croce Rossa Internazionale(CRI) ha denunciato in un rapporto pre-sentato a fine marzo scorso che, nono-stante l’accordo di pace con le Farc, ilnumero delle vittime da mine antiuomoè triplicato, i rifugiati interni sono au-mentati del 90% ed ogni quattro giorniscompare una persona. Il motivo? Laguerra che purtroppo non è finita perché– denuncia sempre la CRI - sono ancoraalmeno cinque i gruppi armati che oggisi contrappongono allo Stato: l’Esercitodi Liberazione Nazionale (ELN), l’Esercitodi Liberazione Popolare (EPL), i Gaitanistidella Colombia (AGC), le milizie di au-todifesa (paramilitari) ed il blocco orien-tale delle Farc, che non ha accettato lapace del 2016.In Perù tutti gli ultimi presidenti sonostati coinvolti nello scandalo delle tan-genti erogate dalla multinazionale bra-siliana Odebrecht, chi finendo in carcere(Ollanta Humala e Pedro Pablo Kuczyn-ski), chi in latitanza (Alejandro Toledo)e chi, come Alan García, addirittura to-gliendosi la vita.Sul Venezuela chavista, dove la crisiumanitaria sta raggiungendo livelli davera tragedia con oltre quattro milionidi persone costrette ad andarsene negliultimi tre anni per evitare la morte perfame o per la carenza di farmaci salvavita,

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FOCUSFOCUS

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M entre i mutamenti climatici sono sem-pre più evidenti e l’inquinamento del-

l’atmosfera diventa il principale imputato,per l’Europa balcanica suona l’allarme.Secondo il rapporto Chronic coal pollutionrealizzato dalla Health and EnvironmentAlliance (HEAL), una serissima organizza-zione no profit che si occupa di monitorarel’influenza dell’ambiente sulla salute dei cit-tadini dell’Unione Europea, le centrali acarbone sono veri e propri killer a piedelibero. Lo studio ha calcolato che nelVecchio Continente le vittime dei fumi noci-vi emessi dagli impianti nel 2016, ultimoanno di cui si possiedono dati, sarebberostate 2.013. Di queste, oltre la metà neiBalcani occidentali. Ai morti vanno aggiuntidecine di pazienti affetti da patologie del-l’apparato respiratorio. Le sostanze al cen-tro dell’attenzione dei ricercatori sono ildiossido di zolfo (SO2) e gli ossidi di azoto(NO2). Da soli gli stabilimenti di Kostolac inSerbia e di Ugljevik in Bosnia produrrebbe-ro oltre il 50% di tutto il diossido di zolfodell’intera regione dei Balcani occidentali(il 25%, se misurati sull’estensione dell’in-tero territorio europeo). I danni causati dairesidui della combustione non sono con-centrati solo sulla salute dei cittadini, macolpiscono anche le economie dei Paesicoinvolti dal problema. I sistemi sanitaripressati dalle richieste di cure, sempre nel2016, hanno registrato costi tra i due e iquattro miliardi di euro.Il rapporto ha infine affrontato il tema delrinnovamento. In opposizione alle politichenazionali in tema di energia sono natinumerosi gruppi ambientalisti, come ClearAir Movement in Bosnia. Le diverse orga-nizzazioni chiedono maggiore democraziapartecipativa e l’utilizzo di fonti energetichenon inquinanti. In Serbia si è rafforzato ilfronte a sostegno del gruppo di medici chegià nel 2015 aveva lanciato una petizionenella quale si chiedeva al governo diBelgrado di intervenire sull’inquinamento,responsabile dell’aumento dei casi dimalattie dell’apparato cardiocircolatorio edei polmoni.

di Roberto Bàrbera

CARBONE KILLERIN BOSNIA

OSSERVATORIO

BALCANI

Perù. I meno corrotti risultano essereUruguay e Cile.

FIDUCIA NELLA CHIESAConforta che per Latinobarómetro, altraautorevole ong che da anni osserva losviluppo delle società della regione consondaggi di opinione su un campionemolto ampio – sono 20mila gli intervistatinei 18 principali Paesi della regione -l’istituzione in cui la popolazione riponepiù fiducia sia la Chiesa cattolica (vediInfografica 3). Il 63% dei latinoamericaniconfida, infatti, molto più nei preti chenei giudici (24%), nei parlamentari(21%), nei governanti (22%) o nei partitipolitici (13%). Chiesa che è in primalinea tanto nel difendere i più deboli,quanto nel segnalare con forza, comesempre, ogni abuso dei regimi autoritari.Basti pensare, ad esempio, alle denuncedel regime di Ortega fatte dal vescovoausiliare di Managua, José Silvio Báez,che papa Francesco ha dovuto richiamarea Roma per garantirne l’incolumità, arischio se fosse rimasto in Nicaragua.

Oppure al caso di maggiore attualità, ilVenezuela, dove sembra essere ritornatala guerra fredda tra Russia e Stati Unitiper contendersi le maggiori riserve pe-trolifere mondiali. Oltre a facilitare undialogo tra il governo e l’opposizione,la Santa Sede sta infatti da anni cercandoin ogni modo di alleviare leimmani sofferenze del popolovenezuelano. Come? Facendopressione perché possano en-trare al più presto a Caracasgli aiuti umanitari che do-vrebbero essere distribuiti daCaritas e Croce Rossa, dueattori super partes non ac-cusabili di partigianeria.

LA VOCE DEI VESCOVI«In tutta l’America Latina enei Caraibi abbiamo assistitoalla crescita di una crisi etica,politica, economica e cultu-rale, alla base della quale ab-biamo scoperto una fratturaantropologica manifestata in

Una delle tremilavittime del crimineorganizzato e deinarcos in Messico.

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Nello sforzo di trasformarsi in un regnomoderno, l’Arabia Saudita tenta la

strada della discomusic. È notizia recenteche si sta cercando di aprire il primo nightclub (rigorosamente halal) nella città ma-rittima di Jeddah. Se mai la cosa andassein porto, si tratterebbe della prima discotecadella storia saudita, che segue all’aperturadel primo cinema mai visto in 35 anni, av-venuta nel 2018. Ma non sarà comunqueun’impresa semplice: ci si mette di traversoil Ministero degli emiri che controlla i di-vertimenti dei suoi sudditi. La Gea, l’Autoritàgenerale per l’intrattenimento (una sortadi ministero addetto a concedere i nullaosta sugli svaghi del popolo), ha negatodi aver mai dato luce verde al primo nightclub saudita. Eppure circolano foto ine-quivocabili, tanto che si parla oramai datempo dell’opportunità di permettere allegiovani generazioni (chissà se solo maschili)alcuni divertimenti notturni finora ritenutiequivoci. La Gea, spiega il sito di Al Jazeera,ha affidato ad un post su Twitter la suareazione piccata: aprirà un’inchiesta percapire chi abbia fatto circolare foto e videoche mostrano gli interni del locale sottoscacco. «L’evento – chiamato Project X –viola le procedure locali e i regolamentiinterni e non può essere stato autorizzatodal corpo di controllo addetto all’intratte-nimento», tuona la Gea.Questa querelle in realtà mostra ancorauna volta quanto l’Arabia Saudita sia unregno liberticida e fobico, nonostante itentativi di apparire aperto e tutto som-mato tollerante. Basti ricordare che nelregno di Mohammed Bin Salman ledonne non hanno piena libertà nellospazio pubblico, non possono guidare néandare allo stadio, la pena di morte èancora in vigore e nel 2019 sono stategiustiziate 37 persone, due delle qualiper crocifissione. I diritti umani rimango-no un optional e L’Arabia Saudita è unadittatura. La discoteca può attendere.

di Ilaria De Bonis

LA DISCOTECAPUÒ ATTENDERE

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTE

Mutamenti e tensioni in America Latina

molti modi». Si esprimeva così, con ilsolito acume, il Consiglio episcopale la-tinoamericano nella sua 37esima riunionenella capitale dell’Honduras, Tegucigalpa.Era metà maggio scorso. Un’analisi lucidain cui i vescovi hanno ribadito il loroimpegno ad accogliere i migranti, sot-tolineando la necessità «di resistere alleideologie disumanizzanti che impedi-scono il perseguimento del bene comune,l’esercizio delle libertà e il riconoscimentodei diritti umani». Ideologie che spesso«sacrificano i più poveri, favorendo unaumento delle disuguaglianze, che sonoinaccettabili». Poi hanno abbracciato«le sofferenze dei popoli e delle Chieseche soffrono maggiormente oggi: Ve-nezuela, Nicaragua e Haiti», rinnovandol’impegno a combattere la corruzione ea prendersi cura dell’ambiente.Parole impeccabili quelle dei vescovima che devono fare i conti con uncontesto, quello latinoamericano, in-garbugliato anche dal punto di vistageopolitico con il confronto in atto suscala globale tra le due maggiori eco-nomie del mondo, quella cinese e lastatunitense. La “Via della seta” chetanto ha fatto discutere in Italia, infatti,ormai da quasi un decennio anchel’America Latina entrando in conflitto

con la diplomazia bipolare di DonaldTrump che considera Messico, Centro eSud America alla stregua di un backyard,un “giardino dietro casa” di Washington.Tutto ruota intorno alla cosiddetta “dot-trina Monroe”, enunciata nel lontano1823 dall’allora presidente degli StatiUniti per dichiarare con lo slogan “L’Ame-rica agli americani” che, in sostanza,nessuno doveva intromettersi nella re-gione senza il placet della Casa Bianca.Barack Obama aveva disconosciuto ladottrina Monroe, ma Trump l’ha rispol-verata. Il risultato? Lo scontro inevitabilecon Pechino che, nell’ultimo decennio,non solo ha superato proprio Washingtonnegli scambi commerciali con la stra-grande maggioranza dei Paesi latinoa-mericani, ma ha iniziato a costruire una“Via della seta” ad hoc nel settore delleinfrastrutture (ponti, dighe, ferrovie,ecc.) e della tecnologia con il suo colossoHuawei. Panama è stato il primo Paeselatinoamericano ad aderire al progettocinese, seguito a stretto giro di postada Uruguay, Ecuador, Venezuela, Cile,Bolivia, Costa Rica, Cuba e Perù. Ilrischio? L’introduzione di dazi che ri-schiano di impoverire ulteriormente lepopolazioni dell’America Latina, quelledel “mondo di sotto”.

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Venezuelani fuggiti dal proprio Paesescavano nella spazzatura in unadiscarica a Pacaraima in Brasile.

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con il Concilio VaticanoII. Il compendio di storiadella sacra Congrega-zione per l’evangeliz-zazione dei popoli cidice che il dicastero aquell’epoca «aveva ilduplice compito di mi-rare all’unione delle Chieseortodosse e protestanti e dipromuovere ed organizzare le mis-sioni tra i pagani». I suoi obiettivi erano

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STORIA DELLA MISSIONE 7

di ILARIA DE [email protected]

tanti e capillari e fin dall’inizio si occupòdi «dare direttive per le missioni, pro-muovere la formazione del clero e dellegerarchie locali, di incoraggiare la fon-dazione di nuovi Istituti missionari edinfine di provvedere agli aiuti materiali

per le attività missionarie». Dal testo“Sacrae Congregationis De Pro-

paganda Fide Memoria Re-rum, 350 anni al serviziodelle Missioni”, edito dallaPontificia Università Ur-baniana, apprendiamoche Gregorio XV volle as-sicurare a Propaganda

Fide «una solida organiz-zazione interna, sufficienti

mezzi finanziari e regolare in-troito; gli fece dono, inoltre, di consi-

derevoli somme di denaro per sopperirealle necessità delle missioni e alsostentamento dei missionari».Tra i risultati più importanti chehanno segnato la vita della Con-gregazione in questi quattro secolidi storia, va segnalata la MagnaCharta di Propaganda del 1659indirizzata ai vicari apostolici inCina e Indocina, che contiene di-rettive per tutti i missionari. For-malizza anche l’impegno per una

I n questa nuova puntata della nostrastoria missionaria ci occuperemo dellanascita di un organismo della Santa

Sede molto importante per l’evangeliz-zazione: si tratta della CongregazioneDe Propaganda Fide, oggi conosciutacome Congregazione per l’evangelizza-zione dei popoli. È con la Bolla papaleInscrutabili Divinae del 22 giugno 1622,emanata da papa Gregorio XV, chevenne fondata la Congregazioneche allora esercitava anche le fun-zioni oggi attribuite alla Congre-gazione per le Chiese Orientali.Nella Bolla vi fu un esplicito rico-noscimento al successore di Pietronella responsabilità missionaria adgentes, un impegno e una respon-sabilità condivisi con il collegio deivescovi, a livello universale, solo

La biblioteca del palazzoDe Propaganda Fide. Con la Bolla papale

Inscrutabili Divinae del 22giugno 1622, GregorioXV diede vita allaCongregazione De

Propaganda Fide. Daquesto momento in poil’evangelizzazione, dasempre missionefondante della Chiesa,ha uno specificodicastero competentedella Santa Sede.

Nascita diPropaganda FideNascita di

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sionari dipendenti da essa,occorreva una esplorazioneretrospettiva delle facoltà edei privilegi già in possessodegli Ordini religiosi attivinelle missioni e gelosi dei pro-pri diritti, talvolta in conflittocon quelli dei vescovi». In bre-ve, Propaganda divenne il Di-castero romano più informatosulle reali condizioni dellaChiesa in terra di missionedove tutto era così lontano.Chiese l’invio di rapporti det-tagliati che giungevano di-rettamente dalle Indie Orien-tali e Occidentali, nonché dalMedio Oriente e che servivanoad accrescere la consapevo-lezza di quanto accadeva. Lemissive e i documenti che ve-nivano scambiati con i territorilontani sono ancora oggi in

gran parte conservati nella Bibliotecadel palazzo romano della Congregazionee rappresentano una insostituibile me-moria storica della prima evangelizzazionenei continenti. Grazie a questi reportcompilati dalla “fine del mondo”, dovela Chiesa fino a quel momento nonaveva avuto grande accesso, è possibileperaltro oggi ricostruire l’affascinantestoria dei primi secoli missionari e delletante esplorazioni in territori del tuttoignoti sia per le condizioni ambientaliche per quelle culturali e storiche.

Ma non furono quelli, ovviamente,solo anni di grande fervore

ed entusiasmo, ci furonopure difficoltà legatealla politica: era dav-vero molto difficileper il papa gestire il

rapporto con le duegrandi nazioni cat-

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»

L eggiamo nella Laudato Sì che «una buonaeducazione scolastica nell'infanzia e nel-

l'adolescenza pone semi che possono produrreeffetti lungo tutta la vita». Ne troviamo unesempio a Cafal è un piccolo villaggio immersonella foresta di Cantanhez nella penisola delCubucarè nel sud della Giunea Bissau. Per 20anni, dal 1982 al 2002, il Centro MissionarioDiocesano di Verona ha sviluppato un progettodi cooperazione tra le Chiese di Verona e Bissaucon l'invio, per periodi di due-quattro anni, dicirca 30 volontari laici. Essi hanno sviluppatoiniziative di animazione sociale, nell'ambito sa-nitario, nell'orticoltura e pesca, nella promozionefemminile e nell'educazione. Importante è statala loro testimonianza di fede attraverso l'esempio,il dialogo e la celebrazione della Liturgia dellaParola.Tchuda Na 'Ncussa, l'anziano più autorevole diCafal, all'atto della chiusura del progetto, nel2002, ha detto: «Comunque vada, quanto èstato fatto a Cafal non potrà essere dimenticatoe la corda che unisce Cafal con Verona, costruitada tanti volontari, non potrà spezzarsi». Oggiquella corda è più forte che mai: la situazione digrande povertà di risorse e di mezzi della gentedi Cafal, che è però ricca di umanità, ha fattonascere un nuovo progetto. Quegli stessi volontari,da anni rientrati in Italia, oggi cresciuti in età econ figli già adulti, hanno dato vita al 'Progettoscuola Cafal'. La scuola di Cafal,cuore del villaggio,offre l'insegnamento primario a circa 200 ragazzie ragazze della regione, il cui futuro è segnatoda povertà e miseria. Questo progetto si proponedi sostenere nel biennio 2019/2021 le attivitàscolastiche, garantendo il materiale didattico eil pasto giornaliero dei bambini, integrando ilmisero stipendio dei professori, accompagnandola loro formazione e il loro aggiornamento. «Ildesiderio - dicono i promotori dell'iniziativa- èdimostrare vicinanza alla gente di Cafal che ciaccolse nei decenni di presenza e che molto ciinsegnò, nel dialogo, nelle scelte di vita, nelrispetto e nella salvaguardia del Creato».

di Felice Tenero

NUOVA VITAPER LA SCUOLADI CAFAL

OSSERVATORIO

TUTELADEL CREATO

Dagli apostoli ai testimoni di oggi

prima inculturazione, con la proibizionedi combattere i costumi e le tradizionilocali del Paese di invio, eccetto quelli incontrasto con la fede e la morale. Ilnuovo Dicastero per le missioni godevadi ben precisi diritti e doveri che ne ga-rantivano la vitalità, una posizione giu-ridica adeguata e una identità incon-fondibile di fronte agli altri dicasteridella Curia romana e un ruolo di riferi-mento se non di controllo, delle varieorganizzazioni missionarie formate daOrdini e Istituti religiosi.Effettivamente, dice ancora il testodell’Urbaniana, la nuova Con-gregazione «trattava conautorità non pochi af-fari, generalmente dicompetenza di altreCongregaz ion i » ;quanto invece alle «fa-coltà concesse ai mis-

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Congregazione dei Seminari e delle Uni-versità degli Studi, qualche secolo dopo,ed esattamente nel settembre 1933,eresse il Pontificio Istituto MissionarioScientifico, con diritto di conferire i gradiaccademici nelle discipline missiologichee giuridiche.In quei secoli la Chiesa era attentissimaalla comunicazione e alla divulgazionedel pensiero, tanto che la stampa di librie giornali risultò fondamentale ancheper le missioni. Nel 1626 Urbano VIIIfondò la Tipografia Poliglotta della SacraCongregazione De Propaganda Fide chepossedeva 23 alfabeti per poter stamparein tutte le lingue ed idiomi con lo scopodi fornire le pubblicazioni necessarie allemissioni. Grazie all’introduzione dei ca-ratteri orientali ceduti dalla StamperiaVaticana e dalla Tipografia MediceaOrientale, la tipografia poliglotta si avvalsedella collaborazione dell’incisore Paoliniche produsse principalmente libri religiosi,grammatiche e lessici.Quelle appena descritte sono pagine vi-branti della storia della missione, perchéci raccontano gli albori di un progettopontificio sconfinato e molto ambizioso,animato non solo dalla fede ma dallacertezza che vi fosse un bene superioreda affermare, e che la divulgazione delVangelo dovesse arrivare davvero finoagli estremi confini della terra. Ma perfarlo servivano mezzi, progetti, uomini estudi. Una grande macchina ben conge-gnata iniziava nel XVII secolo a muoverei suoi ingranaggi nella direzione del-l’espansione e dell’affermazione dellaChiesa universale in tutto il mondo.

7 Dagli apostoli ai testimoni di oggi

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STORIA DELLA MISSIONE

nei primi anni dei martiri cri-stiani. Il controllo diretto di Propagandasulla Città santa dava una “protezione”particolare ai vari frati che vivevano lìper evangelizzare e custodire i luoghisacri.Agli inizi del XVII secolo alcuni promotoridella propagazione della fede cattolicasentirono la necessità di avere a Romaun centro per la formazione dei missionarisotto il diretto controllo del pontefice enon sotto quello degli ordini religiosi.Per cui monsignor Gian Battista Vives,spagnolo, fondò un collegio missionarionell’ex Palazzo Ferratini con 12 studenti,che si strutturò subito dopo. Papa UrbanoVIII, con la Bolla Immortalis Dei Filiusdell’agosto 1627 fondò il PontificioAteneo De Propaganda Fide o CollegioUrbano, dove era possibile frequentarela Facoltà di Teologia e di Filosofia.Studiare in questo Collegio era davveromolto duro: il suo primo regolamento

era severissimo e prevedeva ilgiuramento finale dopo cinquemesi di residenza durante i qualigli studenti dovevano dimostraredi non essere indisciplinati o «di-sturbatori della pace del Collegio– si legge nel compendio distoria della Congregazione - madovevano dare prova di modestianel parlare, nel comportamentoe di puntualità. I pigri nell’alzarsidovevano esser privati del vinoa pranzo; le mancanze di sinceritàcoi superiori erano passibili diprigione o di licenziamento».Sempre nello stesso luogo la

toliche del tempo, “conquistatrici e mis-sionarie” per eccellenza, la Spagna e ilPortogallo. La linea d’azione di Propagandala pose spesso in aperto contrasto con lacorona portoghese che rivendicava unpatronato assoluto su tutti i territori chesi trovavano ad Est della famosa linea didemarcazione di papa Alessandro VI chedi fatto consegnava alla Spagna le Ame-riche e al Portogallo l’Africa.C’era poi la questione della Terra Santada rinsaldare e rinvigorire: all’epoca dellasua fondazione Propaganda trovò nelMedio Oriente una situazione molto de-solata con poche sedi vescovili e pochissimimissionari. Per cui istituì in Oriente unagerarchia latina ed appoggiò i francescanidi Terra Santa, soprattutto in relazionealla questione spinosa dei Luoghi Sacri,inviando anche missionari di altri ordini,dai carmelitani ai cappuccini francescaniai gesuiti. Fu così che la Terra di Gesùtornò a splendere di evangelizzatori come

Il palazzo De Propaganda Fide in un’antica stampa.

Gregorio XV con l’emanazione della Bolla papaleInscrutabili Divinae diede vita, nel 1622,alla Congregazione De Propaganda Fide.

Il Collegio Urbano.

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MO(n)DI DI DIRE

Col cuorein manoI ndividuare una parola per lʼAmerica Latina non è sem-

plice. «Tante etnie e culture diverse, in base ai vari mo-vimenti migratori», spiega suor Editte Cobalchini, reli-giosa brasiliana delle Missionarie della Consolata.“Corazón” (o coração), invece, unisce e rappresenta tuttiperché appartiene a un modo di sentire comune. Ce loracconta padre Angelo Esposito, fidei donum della diocesidi Napoli in Guatemala: «Vivo tra gente che fa e pensa colcuore, e sa portare sempre nel cuore». Anche per lui, cheha lasciato San Sebastiano al Vesuvio per la missione aTacanà ormai da dieci anni, “il cuore prima di tutto” è unostile di vita «difficile da spiegare a parole. Cʼè una mise-ria di cui spesso è insopportabile anche la vista che, tut-tavia, si ferma al solo stato materiale, proprio in virtù del“corazón”. Gente che non ha, ma condivide; persone po-vere di tutto, ma che sperano, pregano, si fidano delprossimo».Anche «il popolo messicano ti fa sentire lʼaffetto e la fa-miliarità», dice Teresa Fernández, missionaria consa-crata della Comunità di Villaregia. Peruviana, da tre anni

a Texcoco, lo ha sperimentato da subito: «Quando ti in-vitano a mangiare un taquito, specie nelle zone più po-vere, senti che ti stanno dando un pezzetto del loro cuore,oltre che la ricchezza di una cultura millenaria».Per alcuni giovani universitari di Puebla, Oaxaca e Vera-cruz, questo termine è un richiamo «alla civiltà dei Toto-nacas che, nella lingua nāhuatl (tuʼtuʼ=tre; nacuʼ=corazón)si traduce con “tre cuori” (le antiche città Cempoala, Pa-pantla e El Tajín)».Andando a Sud, in Cile, suor Donata Cairo, delle PiccoleSorelle di Gesù di Charles de Foucauld, definisce la cul-tura latinoamericana “emotiva”: «Qui è molto forte parlaredel cuore, soprattutto negli ambienti popolari». Per 30anni, prima a Copiapó nella regione di Atacama e, poi, allaperiferia di Santiago, la missionaria ugentina ha vissutodove «si sentono le cose con la pelle, non con la testa, eda lì si prendono decisioni... Altrimenti, non si capirebbeperché una donna si fa carico di un bambino rimasto or-fano quando ha già nove figli. Unʼaltra, a cui dico “brava”perché ha accolto in casa sua la vicina morta per il fune-rale, mi risponde: “No, è che bisogna metterci corazón”».Così si svolge la vita reale in America Latina, e non sonocanzoni o telenovelas. Anche se Izabella De Castro, bra-siliana di Rio, in Italia dal 1991, ci dice che «as persoasde coração estão em toda parte». Ovvero: le persone dicuore sono ovunque.

CORAZÓN

Ci sono parole oespressioni che apronomondi: di valori,atteggiamenti, approccialla vita. In ogni numeroapprofondiremo modi didire diversi, attraversandopopoli e culture dei cinque continenti eattingendo allʼesperienzadiretta di persone del luogo, missionari,volontari, migranti.

Di Loredana BriganteFoto: Alessio Allegrucci

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Manifestanti sudanesinella città di Omdurman.

S C A T T I D A L M O N D O

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIO [email protected]

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Dove lasperanzanon muoreM entre scriviamo, la situazione in Su-

dan è sempre molto fluida e dunqueè difficile rincorrere la cronaca. C’è, co-munque, un particolare degno di menzioneche non andrebbe sottovalutato dal puntodi vista dell’analisi geopolitica. La violentarepressione delle manifestazioni di protesta- che ha causato nel giugno scorso, se-condo fonti civili, 118 vittime, mentre lestime delle autorità militari parlano di 61 -è avvenuta pochi giorni dopo la visita diStato resa da una delegazione del Consigliomilitare di transizione (Tmc), insediato aKhartoum, ai governi di Egitto, ArabiaSaudita ed Emirati Arabi Uniti. È evidenteche la giunta militare sudanese è preoc-cupata di trovare consensi che possano,comunque, garantire il mantenimento diun assetto conforme agli interessi delmondo arabo. Da rilevare, in particolare,che sia l’Arabia Saudita sia gli EmiratiArabi Uniti, sin dall’inizio della transizionesudanese avvenuta a seguito della depo-sizione dell’ex presidente Omar Hassanal Bashir, hanno sostenuto finanziariamenteKhartoum, assicurando l’erogazione totaledi tre miliardi di dollari. La contropartitadel Tmc è stata, naturalmente, la confermadell’impegno militare sudanese nello Ye-men, al fianco della coalizione arabo-sun-nita. La variabile, guardando al futuro, ècomunque rappresentata dalla crescentedialettica interna al Tmc che vede con-trapposti i vertici militari sudanesi alleforze di sicurezza (Rapid Support Forces)sotto il comando di Mohamed HamdanDagalo ‘Hemedti’, vicepresidente del Tmc.Stando a fonti diplomatiche ben ac-

SUDAN

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creditate nella capitale sudanese, l’alamoderata dei militari si opporrebbe all’in-fluenza esercitata da quest’ultimo, leader

indiscusso delle milizie Janjaweed, tri-stemente note per i crimini commessi nelDarfur. Sono stati proprio questi repartiparamilitari che nei giorni scorsi, secondoautorevoli fonti della società civile, hannoaperto il fuoco contro i civili a Khartoum,Omdurman, Port Sudan e in altre cittàsudanesi.Nel frattempo, bisogna riconoscere chesono stati registrati segnali positivi chelasciano ancora sperare guardando alfuturo del Paese. Anzitutto il fatto che ilConsiglio di sicurezza delle Nazioni Uniteabbia finalmente condannato le violenzein Sudan, invitando i militari al potere e ilmovimento di protesta a lavorare pertrovare una via d’uscita dalla crisi. Unapresa di posizione che ha indotto i mani-festanti a sospendere la campagna di di-sobbedienza civile e a riprendere i negoziaticon il Tmc, che a sua volta ha acconsentitoa rilasciare i prigionieri politici. Da rilevare,infine, l’atteggiamento responsabile delConsiglio per la pace e la sicurezza del-l’Unione Africana (Ua) che, nei giorniscorsi, ha ritenuto opportuno sospenderela partecipazione del Sudan da tutte lesue attività. L’organismo della Ua ha af-fermato in particolare la necessità di«un’autorità di transizione guidata da civili»come «unico modo per consentire alSudan di uscire dall’attuale crisi». In questocontesto è fondamentale l’impegno delprimo ministro etiope Abiy Ahmed che hagià visitato Khartoum, dimostrando grandedisponibilità ed interesse nella soluzionedella crisi sudanese. Una crisi che, qualoranon fosse risolta, influirebbe negativamentesull’intero Corno d’Africa.

SUDAN

25

Il primo ministro etiope Abiy Ahmedcon il capo del consiglio militaredel Sudan, il generale Abdel Fattahal-Burhan durante la sua visita aKhartoum nel giugno scorso.

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Basta il Vangelo per sapere che i cristiani dovranno sempre affrontareostilità fino alla persecuzione («Beati voi quando vi insulteranno, vi per-

seguiteranno e diranno, mentendo, ogni sorta di male contro di voi per cau-sa mia», Mt 5,11). Oggi in sostanza le cause sono due: il fondamentali-smo di matrice pseudo-religiosa e l’uso strumentale della religione. En-trambi sono riscontrabili, ma il secondo è preponderante, nonostante lacrescita dei pregiudizi, compresa l’islamofobia sempre più diffusa. Da de-cenni il magistero papale ribadisce inammissibile attribuire colpe a chic-chessia in ragione della sua religione, ma è sempre più arduo lo sforzo dicontrastare questo strabismo etico e culturale, soprattutto in quei Paesi dovea chiacchiere si rivendicano radici cristiane, democrazia e tutela dei dirit-ti umani, ma si dà credito a chi considera armi i vangeli e i rosari e, comealtre armi, li brandisce.

La Chiesa nel mMolte delle violenze compiute contro

i cristiani in vari Paesi del mondo,più che a motivazioni religiose, sonolegate a interessi politici, economici,

strategici. E spesso le stragi nellechiese servono a dare il massimo

della visibilità a gruppi terroristici incerca di leadership.

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La maggior parte delle vittime del terrori-smo islamista non erano cristiane o ebreeo buddiste o induiste: erano musulmane,cosa che la dice lunga sulla pretestuosi-tà di tale matrice. Le violenze sistematichenon sono figlie del credo religioso, ma dinazionalismi e tribalismi. E di ingiustizia escompensi sociali. Non a caso, soprattut-to nell’Africa subsahariana e in AmericaLatina, l’azione della Chiesa è da decen-ni considerata di opposizione agli interes-si di governanti corrotti e dei loro malle-vatori internazionali. Va aggiunto che

quest’epoca di pensiero debole e di comu-nicazione drogata dà facile gioco al diffon-dersi dell’odio. Una strage in una chiesa,il sequestro o l’uccisione di un prete, me-glio se occidentale – rivendicata da qua-lunque sigla locale o da network più ca-paci di penetrazione mediatica, come AlQaeda nel primo decennio di questo se-colo e l’Isis nel secondo - trovano risonan-za ben maggiore di violenze anche più ef-ferate contro intere popolazioni.

LA STRAGE DI PASQUA IN SRI LANKANei primi mesi del 2019 questo schemaè cresciuto ulteriormente. A Pasqua nel-lo Sri Lanka c’è stato l’episodio più san-guinoso di sempre, con quasi 300 mor-ti, soprattutto in chiese cattoliche. Eranostati 147 il Giovedì Santo del 2015, nella

strage in una scuola salesiana del Kenya.Né sono le sole festività pasquali ad es-sere state funestate dal terrorismo. Accad-de nel 2018 in due contemporanei atten-tati in Egitto, l’anno prima a Lahore, in Pa-kistan, e nel 2012 nel Nord della Nigeria.Qui opera il gruppo islamista Boko Haram,che ha la sua ispirazione originale nell’odioper ciò che ritiene espressione occiden-tale, compreso ovviamente il cristianesi-mo (e questa identificazione propaganda-ta da molti gruppi terroristi è palese anchenella strage di Pasqua nello Sri Lanka, per-petrata oltre che in chiese cattoliche in al-berghi frequentati da occidentali).Secondo l’ultima World Watch List, il rap-porto sulla persecuzione anticristiana nelmondo pubblicato nel gennaio scorso dal-l’organizzazione non governativa PorteAperte, nel 2018 i morti sono stati 4.305,rispetto ai 3.066 del 2017, e sono 245 mi-lioni i cristiani perseguitati in diversa mi-sura, dalla discriminazione, al disconosci-mento familiare, alla privazione di lavoro,alla distruzione di proprietà, fino a impri-gionamenti, torture e uccisioni. Sui 150Paesi monitorati, in 73 la persecuzione èalta o estrema, mentre nel 2017 erano 58.In Asia, incluso il Medio Oriente, ne è col-pito un cristiano su tre. Il maggior nume-ro di vittime c’è stato in Nigeria, non soloper mano di Boko Haram, ma anche ne-gli scontri tra pastori Fulan e agricoltori, neiquali peraltro il fatto che i primi siano mu-sulmani e gli altri cristiani sembra avere unvalore relativo.

PERSECUZIONI E DISCRIMINAZIONIDati simili, anche se basati su parametridiversi, contiene l’ultimo rapporto di Aiu-to alla Chiesa che Soffre (Acs), che foto-grafa la situazione al giugno 2018 e iden-tifica 38 Stati teatro di «gravi o estreme vio-lazioni» contro i cristiani, classificandone21 come Paesi di persecuzione e gli altri17 di discriminazione. Si nota subito chenell’elenco non figurano Paesi americanie tra gli europei solo la Federazione Rus-sa, l’Azerbaigian e l’Ucraina, tutti nel »

mirino

L’interno della chiesa di San Sebastiano a Negombo,Sri Lanka, devastata da una bomba lo scorso aprile.

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Asecondo gruppo. E questo riporta al prio-ritario motivo della condizione di svantag-gio dei cristiani (almeno di quelli che il Van-gelo lo prendono sul serio). Nelle Ameri-che e in Europa, non si può certo sven-tolare la bandiera della “lotta all’imperia-lismo crociato”, semmai si sventola quel-la opposta. Ma in quest’ottica la Chiesa,con la sua scelta valoriale universale e conla sua opzione privilegiata per i poveri, èun nemico per quel nazionalismo, o sovra-nismo come si dice oggi, che trova pur-troppo sempre più consenso alle sue ideediscriminatorie quando non apertamenterazziste.Lo schema è sempre alimentare e caval-care la paura e indirizzare le tensionicontro un presunto nemico esterno e con-tro le minoranze interne considerate estra-nee. Acs lo certifica, tra gli altri, nei duepiù popolosi Paesi del mondo. Secondo ilrapporto (stilato prima della ripresa di dia-logo tra il Governo di Pechino e la SantaSede, dalla quale si attendono sviluppi po-

sitivi per la libertà di culto), in Cina il na-zionalismo si manifesta come «generaleostilità dello Stato nei confronti di tutte lefedi». Di qui le misure restrittive, per nonparlare delle chiese distrutte o danneggia-te, da 1.500 a 1.700 tra il 2014 e il 2016.In India, tra il 2016 e il 2017 gli attacchianticristiani, principalmente di estremistihindu, sono stati 736, il doppio del bien-nio precedente. E sono in aumento. Ma an-che qui il fattore religioso appare pretestuo-so, grazie anche a una sorta di complici-tà delle autorità, se è vero che membri delParlamento nazionale – nel subcontinen-te indiano delle mille etnie – ancora di re-cente hanno dichiarato che le minoranze«nuocciono all’unità del Paese». E vale an-che per il Paese asiatico più cattolico, leFilippine, non solo per la situazione nel Min-danao, dove la violenza islamista è lega-ta a fenomeni di indipendentismo, ma an-che per l’opposizione ecclesiale alla dra-stica e feroce applicazione della cosiddet-ta tolleranza zero.

STRUMENTALIZZAZIONI DELLA RELIGIONENeppure dove per Acs la persecuzione «ma-nifesta il suo volto più crudele» - Corea delNord, Arabia Saudita, Nigeria, Afghanistaned Eritrea – si può parlare di motivi confes-sionali, a meno di non sostenere che an-che in Corea del Nord sempre di guerra direligione si tratti, perché la presenza di cri-stiani, decine di migliaia dei quali si stima-no detenuti in campi di lavoro forzato, mi-naccia il “culto di Stato”, quello dei Kim, pa-dre, figlio e ora nipote. Secondo Porte Aper-te, invece, la persecuzione più violenta è inPakistan. Ma anche qui alcuni dei commen-tatori più attenti attribuiscono più a questio-ni di potere nazionalistico interno che a ra-dicalismo islamico tout court l’abolizionedel Ministero per le minoranze religiose el’opposizione a ogni modifica della contro-versa legge sulla blasfemia. Così come nel-la Turchia di Erdogan l’islamismo è un mododi declinare soprattutto la violenta contrap-posizione con altre popolazioni che abita-

no gli stessi territori.Né c’entra molto la religione inquella che l’Onu giudica una pu-lizia etnica da manuale contro imusulmani Rohingya in Myanmar.E qui ci sarebbe da dire molto sucome esponenti ecclesiali abbia-no contestato papa Francescoper la vicinanza mostrata ai Rohin-gya durante la sua visita nel Pae-se, sostenendo che avrebbe do-vuto occuparsi prima dei cattoli-ci discriminati.Se Francesco non piace a moltibattezzati è soprattutto perché ri-fiuta l’idea di un “mondo cristia-no” contrapposto ad altri mondi.Rifiuta ogni collateralismo con iconflitti. Né ammette gerarchie tra“valori non negoziabili” (che pe-raltro non ha mai chiamato così).Il cattolico non può difendere il fetoe non lo straniero in fuga da vio-lenza o fame, non può affermarela sacralità della vita del malato ter-minale e flirtare con quanti a ogninotizia di crimine invocano lapena di morte.

Il massacro degli studenti nelcollege universitario di Garissain Kenya, nell’aprile 2015.

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SINODO SULL’AMAZZONIA

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La forestaferita aiuteràil mondoa guarire

La forestaferita aiuteràil mondoa guarire

di Marco [email protected]

È LA LINEA CHE EMERGERÀ DAI LAVORI DEL SINODO SPECIALE DELPROSSIMO OTTOBRE DEDICATO A “AMAZZONIA: NUOVI CAMMINI PER LACHIESA E UNA ECOLOGIA INTEGRALE” IN CUI SI PARLERÀ DEI DIRITTI DEIPOPOLI ORIGINARI, DELLE POLITICHE E DELLE SPECULAZIONI CHESTANNO DISTRUGGENDO IL POLMONE VERDE DEL MONDO. MASOPRATTUTTO LA CHIESA SI METTERÀ AL FIANCO DEGLI ULTIMI E DEGLIOPPRESSI PER CONDIVIDERE UN CAMMINO DI SPERANZA E GIUSTIZIA.

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Lʼassemblea speciale del Sinodo dei vescoviper la regione panamazzonica è unʼopportunità

da tanti punti di vista. Per la Chiesa, chiamata aconfrontarsi apertamente con elementi di trasfor-mazione e richieste dʼapertura sollevati dai popoliche abitano quella parte del mondo. Per lʼambienteche ci circonda, che potrebbe trovare un alleatopiù convinto e nuove forze che spingono per la suadifesa. Per la società nel suo complesso, che dovràfare i conti con gli esiti di una discussione che – al-meno sulla carta – promette di occuparsi delleradici profonde delle storture che caratterizzano inostri tempi. Una proposta che interessa in modotrasversale chiunque, tanto da essere stato presentatocome «un grande progetto ecclesiale, civile edecologico». L i̓ncontro su “Amazzonia: nuovi camminiper la Chiesa e per una ecologia integrale” èprevisto a Roma dal 6 al 27 ottobre prossimi. Ma lamacchina dei preparativi si è messa in moto datempo. Convocato da papa Francesco il 15 ottobre

2017, il processo sinodale ha già coinvolto più di87mila persone tra Bolivia, Brasile, Colombia, Ecua-dor, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyanafrancese, i Paesi che compongono la Panamazzonia.Nel corso di 260 eventi tra assemblee locali, forumtematici e riunioni informali, infatti, sono stateascoltate le popolazioni locali. Secondo il documentopreparatorio del Sinodo «lʼAssemblea speciale perla Panamazzonia è chiamata a individuare nuovicammini per far crescere il volto amazzonico dellaChiesa e anche per rispondere alle situazioni di in-giustizia della regione» (n.12).

Amazzonia simbolo della Chiesa universaleMettere al centro del confronto lʼAmazzonia ha unsignificato che va al di là dei suoi confini geografici.Si tratta di una regione che ospita oltre un terzodelle riserve forestali primarie del mondo e unaenorme riserva di biodiversità. Al suo interno sitrova un quinto dellʼacqua dolce non congelata di-

Il parco nazionale Serranía de Chiribiquete, nel cuore dell'Amazzonia colombiana.

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sponibile. E nellʼarea vivono circa 34 milioni di per-sone, di cui il 70% in contesti urbani. Si incontranoafrodiscendenti, pescatori, agricoltori. E più di tremilioni fanno parte di popoli indigeni di oltre 390gruppi etnici. Una popolazione a rischio, come sot-tolineato da papa Francesco il 19 gennaio 2018 invisita in Perù: «Probabilmente i popoli originari del-lʼAmazzonia non sono mai stati così minacciaticome adesso. LʼAmazzonia è una terra contesa dapiù fronti».Per Sandro Gallazzi, biblista italiano in Brasile daglianni Settanta, «il Sinodo è dellʼAmazzonia, ma èun simbolo della Chiesa universale. Una Chiesache finalmente si mette a parlare di sestessa e della società e del mondo apartire dai più deboli, dai più piccoli. Emette in crisi la Chiesa del mondointero, perché al rapporto uomo-creatocorrisponde il rapporto uomo-mercato».Sul piatto, insomma, ci sono contrad-dizioni che sono evidenti in quella partedel mondo, ma che hanno origini piùlontane. Lo spiega bene ancora Gallazzi,che non a caso collabora da una vitacon la Commissione pastorale dellaterra. «Sia per i capitalisti come per isocialisti, la natura è materia primache acquista valore solo quando diventamerce da vendere. E se lʼAmazzoniaha tanta merce da vendere, dobbiamopensare a quelli che la comprano.Cosa vuol dire difendere lʼAmazzoniaper la Chiesa italiana, tedesca o sta-tunitense, la Chiesa di chi compra queste merci? IlSinodo dovrà impegnare tutta la Chiesa: cosa diràla Cei dei prodotti che vengono dallʼAmazzonia?».Insomma, la questione riguarda tutti. Perché, rias-sume Gallazzi, «comʼè che salviamo lʼAmazzoniase continuiamo a comprare e consumare?».

Un modello economico da rivedereSulla stessa linea il commento di padre DarioBossi, che ha partecipato nel processo sinodale adiversi incontri dʼascolto della popolazione localeamazzonica, è consulente della Rete ecclesialepanamazzonica Brasile (Repam) e membro delgruppo tematico sui diritti umani a livello panamaz-zonico. Secondo il missionario comboniano, «ilnostro modello economico non si sorregge più. Stamorendo e provocando la morte di molte persone

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da esso escluse, contaminando come un tumorele viscere della Madre Terra. Nella sua agonia,questo sistema sta investendo tutte le sue energiee risorse finanziarie per sopravvivere, difendersi,non crollare».Il conflitto è tra due modelli alternativi tra loro: dauna parte lʼestrattivismo, che concepisce lʼinteraregione come uno spazio ricco di materie prime erisorse naturali ancora poco sfruttate; dallʼaltra laconvivenza con il bioma, che valorizza ritmi di rela-zione con lʼambiente circostante che garantisconola convivenza tra insediamenti umani e altri sistemidi vita. Tra i compiti del Sinodo, il documento pre-

paratorio indica quello di «risponderealle situazioni di ingiustizia della re-gione, come il neocolonialismo delleindustrie estrattive, i progetti infra-strutturali che danneggiano la bio-diversità e lʼimposizione di modelliculturali ed economici estranei allavita dei popoli».Per padre Dario «è urgente un mo-dello radicalmente nuovo: non ser-vono tentativi innocui, carichi dʼin-teressi nascosti, di correggere il si-stema mantenendo le stesse regolee gli stessi padroni». Cosa cʼentratutto questo col Sinodo? «Ecco, ipopoli indigeni racchiudono nelleloro pratiche ancestrali, nella lororelazione con la Creazione, intuizioniprofonde su questo nuovo che si èfatto urgente. La tecnologia più raffi-

nata, efficace e lungimirante è la loro: ci insegnanocome convivere con la Terra integrandosi in modocompleto nel suo sistema. Ci insegnano il valoredel limite, della gestione comunitaria dei benicomuni. Insegnano che non si può calcolare ilvalore economico di un fiume, un albero o una vitaumana. E che questo valore dipende dalle relazioniche ha generato e genererà».

Una Chiesa in cammino verso il rispetto delladiversitàOltre ad essere un Sinodo «per la Chiesa delmondo intero», padre Dario sottolinea che si muove«in un territorio specifico, ed è quindi lʼopportunitàper approfondire il tema del rispetto della diversità».Il missionario parte da quel che ha detto pocotempo fa il cardinale Cláudio Hummes, relatore »

Il cardinale Cláudio Hummes,relatore generale del Sinodosull’Amazzonia.

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di vista dellʼorganiz-zazione della Chie-sa, padre Dario èconvinto che unadelle sfide sia «ri-pensare la forma-zione del laicato, deimembri di congre-gazioni religiose edei sacerdoti in chia-ve locale. Il modelloformativo, i criteri ele strutture della fedee della religione, inAmazzonia hannoancora forti influssicoloniali, eurocen-trici. Occorrono pas-si coraggiosi, in cuiè necessario decen-tralizzare funzioni,

garantire maggior protagonismo a laici e laiche,dare loro più responsabilità e, con ciò, autorità».Del resto, dice Gallazzi, «parlare di ecologia integralevuol dire anche mettere in discussione la Chiesa inquanto tale, che fa parte di questa integralità. Nonè solo lʼambiente, non è solo la società, è la nostraChiesa». E ancora, sempre sul tema delle comunitàraggiunte raramente dai preti, dice: «È questo iltipo di Chiesa che Gesù ha voluto? Come maiquesta Chiesa fa sì che i più poveri tra i poverisono quelli che meno hanno accesso alla presenzasantificatrice dello Spirito attraverso i sacramenti e

la Parola di Dio? Con che di-ritto noi permettiamo che interecomunità – che vivono pro-babilmente i valori evangelicipiù che le nostre comunitàeuropee – siano prive di questigesti, segni, sacramenti? Di-scutere lʼAmazzonia vuol diremettere in discussione la strut-tura della Chiesa».Qualche esempio? «Bisognaridiscutere tutto: il ruolo delprete, il ruolo del prete spo-sato, il ruolo della donna nellaChiesa. Non so se il Sinodoarriverà a questo, ma se siparla di ecologia integrale bi-sogna mettere in discussione

generale del Sinodo: «Lʼunità della Chiesa è fon-damentale, importante, ma occorre evidenziareche lʼunità non può in nessun caso dispensare ladiversità, se no diventa unʼideologia di potere econtrollo. Il Sinodo dovrà accentuare la diversitàdentro questa grande unità». Parole «coraggiose»,secondo il collaboratore di Repam Brasile. Che so-stiene che «è su questa cresta che camminerà ilSinodo: da un lato, garantendo il vincolo e lʼunionecon la Chiesa universale; dallʼaltro, dando voce eprotagonismo a un modo nuovo di essere Chiesadelle popolazioni amazzoniche». Un pensiero,quello di valorizzare la diver-sità, che dovrebbe implicarecambiamenti radicali. Si pensi,per esempio, alle comunitàcristiane che restano per mesisenza Eucarestia. «Uno deipassi che ci aspettiamo dallaChiesa universale - proseguepadre Dario - è autorizzare,per la Chiesa locale amaz-zonica, esperienze che rico-noscano ministri ordinati nelcuore di queste comunità.Persone mature, riconosciutedalle altre famiglie, sarebberoordinate per la celebrazionedel mistero eucaristico».E ancora, sempre dal punto

Villaggio di minatori clandestini nella regione Madre de Diosnella giungla amazzonica peruviana.

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il funzionamento della nostra casa come Chiesa».Per il biblista, il tema del ruolo della donna nellaChiesa merita una grande attenzione. «Se nellecomunità dellʼAmazzonia non ci fossero loro, nonci sarebbe più niente. Chi è che conduce, che co-ordina? Il ministero sacerdotale è il ministero disantificare, annunciare, governare. Chi santifica eannuncia nellʼAmazzonia sono le donne, ma chigoverna sono i preti, sono i maschi. Comʼè chefunziona questo schema? Come sovvertirlo?».

Tra ecologia integrale ed economiaTutto questo è strettamente legato alla “ecologiaintegrale”, di cui il Sinodo si occuperà. E su cui sipossono cogliere insegnamenti nella Bibbia. Chenon parla mai di “ecologia”, un termine piuttostorecente. Ma che si occupa a più riprese dellaCasa Comune, a cui il termine ecologia fa riferi-mento. Commenta Gallazzi: «Cosʼè lʼecologia in-tegrale lʼha colto molto bene papa Francescoquando ha detto che la crisi dellʼambiente è lastessa crisi dei poveri. Non ci sono due crisi, unaambientale e una sociale: le due crisi sono la

stessa crisi. La Bibbia lo dice chiaramente: dobbiamopensare a ricostruire la nostra casa con i rapportiche Dio vuole tra di noi. Poi discuteremo delgiardino. Perché altrimenti il giardino, salvo o nonsalvo, servirà solo ai Paesi più ricchi».Non prendersi cura della Casa Comune, ricordavadel resto il Documento di Aparecida già nel 2007,«è unʼoffesa al Creatore, un attentato contro labiodiversità e, in definitiva, contro la vita».Il biblista, infine, fa un passo avanti nel ragionamento.Perché dallʼecologia, dal tipo di Casa Comuneche vogliamo costruire, «dipende lʼeconomia, ossiale leggi della casa». Per questo, «discutere diecologia senza discutere di economia è un con-trosenso molto forte: le leggi della Casa dipendonodal progetto di casa che noi abbiamo. Questo laBibbia ce lo insegna. Qual è il progetto di Casache Dio vuole per noi? Che tutti siano uno, chenoi siamo fratelli, che il pane sia condiviso, che ipoveri siano al centro. La casa come un insieme,come giardino, ma anche come residenza, cucina,camera da letto, stanza, corridoio. La nostra so-cietà».

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Papa Francesco con una rappresentantedelle comunità indigene durante la visitanella città peruviana di Puerto Maldonatodello scorso gennaio.

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Nord-est del Brasile ed è circondata da molti corsidʼacqua, ndr). Cʼè la marea, che ogni sei ore si alzae si abbassa. E ho dovuto imparare a lasciarmicondurre dal ritmo della natura. Il rapporto con le

persone - soprattutto quilombola(discendenti degli schiavi africani,ndr), ribeirinho (coloro che vivonolungo i corsi dʼacqua, ndr), piccoliagricoltori, donne - mi ha trasfor-mato. Il loro contatto con la natura,col trascendente, è molto più fortee immediato del mio. E la relazione,la simbiosi, tra fede e vita è statamolto importante per me. Nel frat-tempo, mi hanno chiesto di inserirminellʼéquipe delle Comunità di basee da lì in poi tutta la mia storia dimissionaria è stata quella di formareanimatori».

Comʼè cambiato nel tempo iltuo modo di affrontare l̓ impegnodella formazione?«Ricordo un episodio con una si-gnora, a volte sento ancora il tocco

INTERVISTA A SUOR TEA FRIGERIO

La Bibbia,le donne eil giardino deiquilombolaI l racconto di Tea Frigerio, pur nella sua unicità, è

una storia talmente “ordinaria” da affascinare perla sua semplicità. Unʼesperienza ricca soprattuttodi incontri. Marcata dalla convivenza con i popolidellʼAmazzonia. Ha conosciuto donne, afrodiscen-denti, agricoltori e pescatori che vivono immersinella natura, diventando in qualche caso loro amicae imparando un modo diverso di guardarsi intorno.E di sognare la Chiesa. Unʼesperienza umana cheè maturata insieme al suo impegno nella formazionedelle Comunità ecclesiali di base e dei futuri sacerdotidestinati a quelle aree (è stata anchedirettrice dellʼIstituto di pastorale re-gionale, Ipar, di Belém). Saveriana,missionaria di Maria, 77 anni, con-siderata oggi una sorta di “matriarca”della lettura popolare della Bibbia(è stata una delle direttrici nazionalidel Cebi, Centro di studi biblici),Tea è partita per la prima volta peril Brasile nel 1974.

Cominciamo dallʼarrivo nelParà, 45 anni fa. Comʼè statolʼinserimento?«Sono arrivata ad Abaetetuba, inAmazzonia, dove la diocesi era af-fidata ai missionari saveriani. Ho ri-cevuto subito un importante inse-gnamento, perché lì l̓ acqua marcavail tempo (la città si trova davanti auna lingua dellʼOceano Atlantico nel

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della sua mano sulla spalla. Parlavo a un corso elei ha preso la parola: «Questa sorella quante cosebelle che dice! Peccato che io non capisca niente».Mi ha fatto riflettere. E mi ha aiutato a cambiaremetodologia: non dovevo piùdire cose belle, ma cose chearrivano al cuore e fanno cam-biare la vita. Che rendono piùforte la fede. Da quel momento,inoltre, ho cominciato ad avereuna particolare attenzione al-lʼinsegnamento delle donne».

Che cosa, nello specifico, tihanno insegnato le donne?«È legato alla loro saggezza, apartire dal quotidiano. Ho dedi-cato i miei studi biblici avendocome riferimento le donne. Eho cominciato con loro a chie-derci quali fossero le figure fem-minili importanti nella Bibbia.Per riscoprire il ruolo della donnanella comunità cristiana. Il loroapporto, il loro coraggio, del re-

sto, è sempre stato molto importante. Riflettendosu come la Parola illumina la nostra vita e come ciimpegna a trasformarla, ho visto donne che erano“schiave in casa” che poco alla volta hanno saputofare un cammino di liberazione, arrivando a impe-gnarsi in attività pastorali e per il cambiamento so-ciale».

Nellʼarea del Brasile in cui risiedi, molti vivonodei frutti della terra. Cʼè qualcuno che è statoun esempio per te in questo senso?«Quando ero ad Abaetetuba cʼera un uomo dinome Benè, un agricoltore, sposato. Lo avevo co-nosciuto perché partecipava alle settimane di for-mazione sociale della diocesi. Era più o meno il1978-79. Di lui mi aveva colpito il forte legame congli altri agricoltori, oltre al suo impegno contro lamonocultura che impoverisce il terreno. Volevamantenere viva, invece, la coltura dei loro prodotti,come la manioca, il riso, i fagioli. Benè è statoucciso perché lottava per un sindacato libero degliagricoltori».

Oltre a chi lavora la terra, chi ti ha trasmesso illegame col Creato?«I quilombola mi hanno mostrato lʼamore per lanatura, lʼattenzione al “giardino”. Mi hanno fatto »

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L a storia del Sinodo dei vescovi è lunga 54 anni, anche se lasua forma attuale è stata rimodellata molto più di recente. La

sua apparizione risale al 15 settembre 1965, quando Paolo VI loistituì attraverso il Motu Proprio Apostolica Sollicitudo. Si respiraval’aria del Concilio Vaticano II, che spingeva affinché i vescovi allar-gassero i propri orizzonti, occupandosi della Chiesa universale.L’istituto, con la relativa normativa, ha preso forma con il passaredel tempo. E solo nella seconda metà dello scorso anno haassunto la sua fisionomia attuale, quella con cui lo si vedrà ilprossimo ottobre. Risale al 15 settembre 2018, infatti, la CostituzioneApostolica Episcopalis communio, con cui papa Francesco hacambiato radicalmente il Sinodo. Il Sinodo dei vescovi è oggi con-cepito come uno schema costruito su tre tappe. In cui la fase ce-

lebrativa, ossia quella centrale in cui i vescovi si riuniscono, è pre-ceduta e seguita da momenti più collegiali. La fase preparatoria,innanzitutto, nel corso della quale viene consultato il “Popolo diDio”, a cui viene chiesto di esprimersi sui temi individuati dalpapa. E la fase attuativa, quella finale, in cui le Chiese sonochiamate a mettere in pratica le conclusioni approvate dal papa.Il Sinodo si riunisce normalmente in una di queste forme di as-semblea: quella speciale (come il Sinodo sull’Amazzonia), che sioccupa soprattutto di specifiche regioni; quella “generale ordinaria”,che mette al centro della discussione il bene della Chiesauniversale; quella “generale straordinaria”, per questioni di “urgenteconsiderazione”.

M.R.

Sinodo dei vescovi, una storia lunga mezzo secolo

vedere che si può vivere senza violentare la natura,difendendo le sorgenti native dei luoghi in cuistanno. E poi cʼè il loro orgoglio di mantenere vivala cultura, il legame che li unisce e quello con gliorixà».

A questo proposito: comʼè il rapporto con lealtre fedi?«A Belém sto facendo unʼesperienza molto bellanel comitato interreligioso e faccio parte del Consiglioamazzonico delle Chiese cristiane. Nel comitato,

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per esempio, cʼè la Wicca, unanuova religione “pagana”, nelsenso di un risveglio di religionilegate alla natura. Una volta hochiesto a una sacerdotessa qualefosse la sintesi del loro credere.Mi ha risposto: “Fare il bene atutti gli esseri viventi”. Questanon è una parola vuota, perchépoi nel convivere significa rispettoper la natura, per l̓ altro, impegnocontro lʼintolleranza. Mi ha fattocapire che fare il bene a ogniessere vivente corrisponde aquello che Gesù ha detto: “Iosono venuto a dare la vita e adarla in abbondanza”».

Cosa ti aspetti dal Sinodo?«Spero che i vescovi abbiano il

coraggio di aprire cammini per la Chiesa, accettandola diversità dei suoi popoli. E quindi che i vescovipossano accogliere questa diversità e permetterecammini per una Chiesa diversa, decolonizzata,amazzonica. Non ci può essere un unico modellodi Chiesa occidentale. La vera inculturazione devenascere dalla cultura del popolo, mettersi in ascolto,permettere che si esprima. Inoltre, il Sinodo dovrebberispondere alle esigenze di comunità disperse,difficili da raggiungere».

Marco Ratti

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presenti h24 in loco, che possono de-nunciare al mondo ciò che accade in unluogo dell’America Latina ritenuto stra-tegico per la sua posizione a cavallo trai due oceani.La firma degli Accordi di Pace nel 2016tra il governo colombiano e le Forze ar-mate rivoluzionarie della Colombia (Farc),che ufficialmente ha segnato la fine di50 anni di conflitto, non ha portatopace vera nel Paese. Gran parte dellapopolazione civile, soprattutto nelle zonerurali, vive ancora quotidianamente sottola costante minaccia della violenza acausa della presenza di gruppi neopara-militari e della guerriglia dell’Esercito diLiberazione Nazionale (ELN). Sotto tirorimangono soprattutto quegli esponentidella società civile che si impegnano perla difesa dei diritti umani, per la costru-

zione effettiva della pace attraverso per-corsi comunitari e per il rispetto del-l’ambiente. Così qui risulta pericolosoanche svolgere il mestiere di contadino,che raccoglie le cabosse (frutti dell’alberodel cacao) estraendone i semi per poipiantarli di nuovo. Solo per un’azionesemplice come questa, nella Comunitàdi Pace di San José de Apartadó si vieneminacciati di morte, in quanto la presenzadi civili che lavorano la terra e vivono

S embra assurdo, ma in alcuni luoghidel mondo si può essere in pericolodi vita anche per il solo fatto di

aver scelto la nonviolenza. Accade – peresempio - in Colombia. E precisamentenella Comunità di Pace di San José deApartadó, dove da dieci anni i volontaridi Operazione Colomba, Corpo civile dipace dell’Associazione Comunità PapaGiovanni XXIII (vedi box a pagina 39),vivono a fianco degli abitanti del luogoper accompagnarli e proteggerli, moni-torando il rispetto dei diritti umani erappresentando - di fatto - un deterrentecontro la violenza. Sì, perché questo è ilrisultato della presenza di occhi stranieri,come quelli dei volontari internazionali » Fo

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di CHIARA [email protected]

A San José de Apartadó, inColombia, si rischia la vitaanche solo nell’attraversarela selva per andare araccogliere i frutti degli alberidel cacao. A minacciare icontadini e gli abitanti chehanno scelto la pace e lanonviolenza come stile divita, sono gruppi paramilitariche sequestrano, usanoviolenza, arrivano persino aduccidere: l’obiettivoprincipale è quello dispopolare l’area econsegnarla così nelle manidi specifici interessieconomici, ora di impreseestrattive o agroalimentarisia nazionali cheinternazionali, ora di attivitàcriminali legate alnarcotraffico. In questasituazione, a fianco dellaComunità di Pace di SanJosé de Apartadó, vivono ivolontari di OperazioneColomba, Corpo civile enonviolento di pace.

La presenza del Corpo civile

Una Colombain Colombia

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giro di tre anni daranno nuovi frutti.Quest’uomo è un umile contadino. Que-st’uomo è stato più volte minacciato dimorte. È quindi necessaria una presenzainternazionale che lo accompagni pergarantirgli la sicurezza di non essereucciso durante il suo lavoro nei campi oi suoi spostamenti. […] Io, noi, i volontaridi Operazione Colomba siamo qui comescorta civile non armata e nonviolentadella Comunità di Pace, il nostro ruolo èanche quello di osservatori internazionaliche denunciano le violazioni dei dirittiumani». I volontari internazionali sannobene di non essere eroi e di non averenessun’arma vincente in mano, se nonquella della presenza condivisa che diventaresistenza nonviolenta. Nel descrivere lascorta al raccoglitore di cabosse, D. rac-conta: «Oggi noi abbiamo accompagnatolui, ma anche lui ha accompagnato noi.Abbiamo camminato insieme per circamezz’ora. Noi attenti a garantire la nostrae la sua sicurezza, lui attento alla nostra

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

incolumità perché la selva colombiana èpiena di sorprese e una distrazione po-trebbe costare caro. […] Il fatto che luisia minacciato di morte mi fa sentire ir-requieto, non riesco ad accettare che,avendo lui fatto una scelta di pace, lovogliano eliminare a tutti i costi».La presenza dei volontari di OperazioneColomba nella Comunità di Pace di SanJosé de Apartadó risponde al bisognoprimario della popolazione colombianadi vivere in sicurezza e svolgere le proprieattività quotidiane. Più volte i leader e imembri della Comunità di Pace hannoaffermato pubblicamente che, senzaquesto accompagnamento e la rete in-ternazionale che li sostiene, sarebbero

in comunità impedisce che la zona cadanelle mani di specifici interessi economici,ora di imprese estrattive o agroalimentarisia nazionali che internazionali, ora diattività criminali legate al narcotraffico.Tutti questi soggetti hanno un unicoobiettivo: indurre la popolazione ad ab-bandonare il luogo, così da ottenere ilcontrollo della zona e un totale campolibero nel realizzare i propri interessi. Espesso il coinvolgimento di gruppi para-militari, che minacciano, sequestrano,uccidono civili, serve proprio per perse-guire questi risultati. La semplice presenzadi villaggi e comunità, che persistononel vivere in queste zone nonostantepericoli e minacce, ostinati nel voler col-tivare la terra e vivere felicemente nelproprio Paese, è un granellino di sabbianel perverso ingranaggio di interessi eco-nomici da rincorrere a qualunque costo.Ecco perché gli occhi di Operazione Co-lomba sono indispensabili.D., un volontario italiano che vuole man-tenere l’anonimato, racconta quanto siaimportante scortare i contadini neglispostamenti quotidiani: «Insieme adun’altra volontaria, oggi abbiamo ac-compagnato un uomo a svolgere il suolavoro nel campo: raccogliere delle ca-bosse, il frutto dell’albero di cacao. Unavolta aperte le cabosse, l’uomo ne haestratto i semi, che ha poi conservatoper poterli seminare, dando così vita adelle nuove piantine di cacao, che nel

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già stati uccisi. Ecco che risultano indi-spensabili: l’accompagnamento degliesponenti della comunità negli sposta-menti quotidiani, sia nelle città che neivillaggi; la protezione e il monitoraggiodegli sfollati intenzionati a rientrare neipropri luoghi di origine; la raccolta diinformazioni sulle violazioni subite dagliabitanti dell’area; l’attività di denunciadelle violazioni dei diritti e le iniziativedi advocacy sia a livello nazionale cheinternazionale.Purtroppo gli attacchi sono molto fre-quenti: secondo l’Istituto internazionaleper lo sviluppo e la pace (Indepaz) nel2016 in Colombia sono stati 117 i leadere i difensori dei diritti umani uccisi. Di

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questi il 75% erano impegnati su temilegati al processo di pace, alla restituzionedelle terre e alle politiche di partecipazionenelle zone rurali. Per il Programma SomosDefensores, che ha denunciato 52 omicidisolo nei primi sei mesi del 2017, il 68%delle violenze ai danni dei difensori deidiritti umani è da attribuirsi a gruppiparamilitari. Tra le categorie più a rischio,secondo quanto conferma l’Alto Com-missariato delle Nazioni Unite, ci sonoin particolare gli attivisti ambientalisti.Inoltre, a partire dal 2016, si sono mol-tiplicati anche gli attacchi nei confrontidelle organizzazioni internazionali cheaccompagnano sul campo le comunitàrurali.La violenza brutale perpetrata il 21 feb-braio 2005 contro la Comunità di Pacedi San Josè de Apartadò è ancora vivanegli occhi e nel cuore di tutti: quelgiorno vennero assassinati barbaramenteLuis Eduardo Guerra, all’epoca rappre-sentante legale della Comunità, suo figlioDeiner di 11 anni e la compagna Bellanira.Poco dopo, altri quattro membri dellaComunità (tra cui due bambini) e un la-voratore furono massacrati. Solo lo scorso12 maggio la Corte Suprema di Giustizia

ha condannato sei membri dell’esercitocolombiano a 34 anni di carcere per lapartecipazione a questa carneficina. Unasentenza che dimostra il coinvolgimentodei gruppi paramilitari nei crimini locali.Eppure, nonostante tutto, la scelta dellanonviolenza continua ad essere un mustper la Comunità di Pace: «Resistere agliattacchi ingiuriosi, dopo aver visto icorpi dei propri padri, fratelli, sorelle,figli, amici e compagni di resistenza fattia pezzi e nonostante ciò non caderenella tentazione di “farsi giustizia dasé”, ma battersi giorno dopo giornoperché la verità venga a galla, scritta,testimoniata, anche dopo ben 14 anni,è un gran valore», si legge in un reportdi un altro volontario italiano in Colombia,che dà conto della notizia della sentenzagiudiziaria. Certamente nessuno restituiràall’affetto dei propri cari le otto vittimedi San Josè de Apartadò, ma la vittoriadi questi contadini è quella di saper tra-sformare il dolore delle ingiustizie subite,nella speranza di chi non si stanca divivere la perseverante normalità del quo-tidiano. Anche, semplicemente, nell’at-traversare la selva per andare a raccoglierele cabosse.

La presenza del Corpo civile

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D ove c’è un conflitto armato o sociale acuto, Operazione Colomba vuole esserci,come “modello significativo ed efficace di Corpo civile e nonviolento di Pace”, si

legge sul sito www.operazionecolomba.it. Per questo attualmente è presente in variluoghi “caldi” del mondo: in Albania, impegnata contro le “vendette di sangue”; neiTerritori palestinesi, ad At-Tuwani, villaggio a Sud di Hebron, a fianco dei pastorivittime delle vessazioni dei coloni israeliani; in Libano, in un campo che accoglie iprofughi siriani vicino al villaggio di Tel Abbas; in Colombia, nella Comunità di Pace diSan Josè de Apartadò.Operazione Colomba nasce nel 1992 dal desiderio di alcuni volontari e obiettori dicoscienza dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (ente ecclesiastico didiritto pontificio, civilmente riconosciuto, fondato nel 1968 da don Oreste Benzi):l’obiettivo del Corpo civile di pace è quello di vivere concretamente la nonviolenza inzone di guerra. Negli anni Operazione Colomba ha avuto presenze stabili in numerosiconflitti, dai Balcani all’America Latina, dal Caucaso all’Africa, dal Medio all’EstremoOriente coinvolgendo, tra volontari e obiettori di coscienza, oltre duemila persone. Difatto è aperta a chiunque voglia sperimentare con la propria vita che la nonviolenza èl’unica via per ottenere una pace vera, fondata su verità, giustizia, perdono e riconci-liazione. C . P.

COS’È OPERAZIONE COLOMBA

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di ANNARITA [email protected]

Quanti sono i presbiteristranieri nella ChiesaItaliana? Come e da chi sonoaccolti? Fanno esperienzepastorali costruttive per laloro vita di fede, oppure siritrovano a vivere in luoghiattraenti dai quali poi èdifficile allontanarsi?Facciamo il punto partendodai dati dell’Ufficio dicooperazione missionaria trale Chiese della Conferenzaepiscopale italiana.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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stranieri presenti in Italia con accordi trale proprie Congregazioni o Istituti e lediocesi italiane.I sacerdoti stranieri in servizio pastoraleprovengono per la maggior parte dalcontinente africano, ma anche dall’Europa;nello specifico la Polonia, l’Ucraina e laRomania sono i Paesi di maggiore pro-venienza, mentre per il continente asiaticoi sacerdoti indiani sono i più numerosi.Dall’anno 2003, quando sono entrate invigore le Convenzioni, circa 230 sacerdotistranieri sono stati incardinati in Italia aseguito dell’esperienza vissuta. Il Lazio èla regione ecclesiastica italiana che ac-coglie più presbiteri stranieri, soprattuttoper la presenza delle università pontificie;seguono Toscana, Emilia Romagna e Tri-veneto. Le diocesi che invece ne hannodi meno sono la Puglia, la Basilicata e laSicilia.I sacerdoti italiani fidei donum sono 420

e i laici italiani che partono in missione,sempre con la Convenzione della Cei,sono 200.Il criterio base di questa esperienza è lacooperazione missionaria, ma il ventodella missione, come si evince dai numeri,sta cambiando direzione, spinge dal Sudverso il Nord, per cui i missionari partonosempre di meno dal nostro Paese e nearrivano sempre più.Al di là dei presbiteri stranieri che vengonoin Italia per studiare, ciò che merita unariflessione, sulla quale sono anche inter-venuti i vescovi italiani riunitisi nell’As-semblea Generale dello scorso maggio, èla modalità e il tempo di presenza nellediocesi italiane dei presbiteri che prestanoun servizio esclusivamente pastorale.Un’esperienza pastorale che ha molteplicivalenze o resta a senso unico?Chi decide in quale diocesi italiana an-dranno a prestare servizio i sacerdotistranieri sono i rispettivi vescovi, in basea conoscenze personali e non, passa-parola tra presbiteri che sono già in Italiao anche gemellaggi. Ci si interroga sequesto servizio che si andrà a svolgeresarà un arricchimento vero da un puntodi vista pastorale e personale, oppure

L a forma più appropriata per ri-spondere al mandato missionariooggi è ritenuta quella della coo-

perazione tra le Chiese. Tale cooperazioneviene dalla comunione tra le Chiese ecoinvolge tutti i membri del popolo diDio. È certo per questo che sempre piùfrequentemente si accolgono nelle co-munità cristiane d’Italia presbiteri di altreChiese che collaborano alla pastorale or-dinaria.La Conferenza episcopale italiana (Cei),attraverso lo strumento normativo delleConvenzioni, disciplina e regola la presenzadel clero straniero in Italia. Attualmentesono “in Convenzione” 810 sacerdoti dio-cesani stranieri in servizio pastorale e620 sacerdoti stranieri studenti. Circa1.178 sono invece i sacerdoti religiosi

Tutti i volti dellaChiesa italiana

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Preti stranieri in Italia

servirà a coprire dei buchi laddove inalcune diocesi c’è carenza di clero. E lecomunità parrocchiali italiane godrannodi un arricchimento pastorale e missio-nario da queste esperienze? O resterà il

REGIONI ECCLESIASTICHE CHE ACCOLGONO PRESBITERI STUDENTI

MarchePuglia

SiciliaPiemonteAbruzzo - Molise

Emilia Romagna

Umbria

Campania

Lombardia

Toscana

Triveneto

Lazio

REGIONI ECCLESIASTICHE CHE ACCOLGONO PRESBITERI STRANIERI IN SERVIZIO PASTORALE

Marche

PugliaBasilicata

Sicilia

Piemonte

Abruzzo - Molise

Emilia Romagna

Umbria

Campania

Lombardia

SardegnaCalabria

Liguria

Triveneto

Lazio

Toscana

italiana che li accoglie: la Convenzionestabilisce un tempo di tre anni, rinno-vabile fino a un massimo di nove. Main più occasioni i presbiteri decidono dicambiare diocesi, chiedono di restareoltre il tempo stabilito e non sempre inaccordo con i loro vescovi. Accompa-gnarli, aiutarli a motivare la loro presenzada un punto di vista pastorale e missio-nario, cogliendo anche la ricchezza delleloro culture e tradizioni, può essere unmodo per far vivere al meglio l’esperienzaa loro e alle comunità che li accolgono.In ogni caso, è sempre una grande op-portunità di annuncio e di testimonianza,una occasione per lasciarsi trasportareda quello Spirito missionario che pervasela vita della Chiesa degli Atti degli Apo-stoli: una Chiesa che vive una situazionedi freschezza, novità, incomprensione,minoranza e opportunità, sa anche in-dividuare lo spiraglio dentro il qualefare breccia per entrare nel cuore diun’umanità sempre in ricerca.

sacerdote straniero, il cui italiano - nonparlato ancora bene - non consentiràdi capire fino in fondo il suo messaggioche invece potrebbe avere dei contenutipastorali arricchenti per la comunità?Le testimonianze di missionari e mis-sionarie lasciano sempre nel cuore dichi ascolta un messaggio di speranza,di bene e di solidarietà, oltre ad essereuno sprone per rinvigorire la propriafede. La decisione dell’accoglienza deipresbiteri stranieri, secondo quantoindica la normativa delle stesse Con-venzioni, sulla base di chiare motivazionidi carattere pastorale e di valutazione,spetta unicamente al vescovo, così cometutte le determinazioni successive ri-guardanti il ministero affidato, l’ac-compagnamento da parte di altri pre-sbiteri, l’integrazione nel presbiteriodiocesano, la vigilanza e la verifica sulministero svolto.I vescovi sono chiamati a vigilare anchesul tempo di permanenza nella diocesi

CONTINENTI DI PROVENIENZA PRESBITERI STRANIERI IN SERVIZIO PASTORALESACERDOTI STUDENTI: PROVENIENZE DAI CONTINENTI

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LA TENDA DELLA CASA COMUNE

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raggiungibili. «Dove non vanno i “forti”uomini, vanno le “deboli” donne» dicesorridendo. Molte comunità cristianesono animate da donne laiche o religiose.«I nostri vescovi hanno una grande fi-ducia e stima del loro lavoro».Il Sinodo sull’Amazzonia sarà moltoimportante: «Un momento di ascolto.Per far partecipare attivamente tuttoil popolo di Dio cercheremo di ripro-durre la bella esperienza della Tiendade los mártires durante la Conferenzadi Aparecida nel 2007: uno spazio dipreghiera, riflessione teologica e pa-storale, dibattiti, momenti conviviali,occasioni di incontro tra i padri sinodalie il popolo. Si chiamerà Tienda de laCasa Común, cioè della Terra che Dioha donato a tutti gli uomini e si terràa Santa Maria in Traspontina, vicinoSan Pietro». L’Amazzonia rappresenta«tanto il grido della terra quanto ilgrido dei poveri» (LG 49), che nondeve rimanere inascoltato.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Nuovi stili di missione

mi ha detto: “Ringraziali!”, e ha sorrisoper essere stato chiamato nonno».«Non si conosce la realtà amazzonica.Molti pensano che sia scarsamente po-polata da indigeni sottosviluppati, cit-tadini di seconda categoria. Ma questoè falso. L’Amazzonia è molto popolatae c’è una grande ricchezza di etnie,culture, lingue e tradizioni. Loro sonostati scelti da Dio per custodire la fore-sta». Padre Roberto ci ha spiegato ancheche la distruzione della foresta Amaz-zonica è stata sempre accompagnatadalle violenze. «Nessuno vuole ascoltarela verità. Nessuno parla del genocidiocauchero, all’inizio del 1900, che soltantoin Perù ha eliminato quasi 300 etniesulle 500 presenti allora e causato100mila morti. La grande minaccia vienedalle multinazionali del petrolio ap-poggiate dai politici locali corrotti». Lasituazione è grave e pericolosa per tutti.Molti sacerdoti non se la sentono diandare in comunità isolate difficilmente

L o scorso 16 maggio all’UniversitàGregoriana di Roma si è tenutoun convegno di preparazione al

Sinodo sull’Amazzonia. Degno d’atten-zione l’intervento di padre RobertoCarrasco Rojas, peruviano, missionarioOMI, attivamente impegnato per il Si-nodo. Come sacerdote ha sempre ac-compagnato il popolo amazzonico nel-l’amore di Cristo, là dove nessuno vuoleandare. Nel 2015 è venuto a Roma perstudiare alla Pontificia Università Sa-lesiana. Alla partenza, la sua comunitàKichwa del Napo gli ha chiesto di sa-lutare il papa: «Saluta il Ruku (el abuelo,il nonno, il saggio) e digli che preghiamoper lui. Lui è la nostra voce». Maiavrebbe pensato di incontrare il papa,ma è successo durante il Capitolo ge-nerale della sua congregazione: «Hoparlato a nome del mio popolo. Il papa

di PAOLO SCARAFONIE FILOMENA RIZZO

Per la partecipazioneattiva al Sinodosull’Amazzonia

Papa Francescoe padre RobertoCarasco Rojas.

L’incontro con il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto Del DicasteroPer Il Servizio Dello Sviluppo Umano Integrale.

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Luisa,la dottoressasorridente

dopo le superiori Luisa sceglie gli stu-di in medicina, nonostante le pressioni

paterne per la matematica. «In missio-ne è più utile essere medici che professo-

ri di matematica», ripete, a dimostrazionedi una vocazione già chiara, confermata gra-

zie al cammino nell’Azione Cattolica e poi con-cretizzatasi nell’ingresso come laica nell’Associa-

zione Femminile Medico-Missionaria.Dopo la formazione e un primo breve periodo a Chirun-du, al confine tra Rhodesia (oggi Zimbabwe) e Zambia,nel 1967 la Guidotti si sposta nel principale ospedale del-la capitale Salisbury, la futura Harare. Da questo momen-to la sua vita si incrocia con il sanguinoso passaggio dalregime segregazionista di Ian Smith alla conquista delpotere da parte di Robert Mugabe. Alla fine del 1969 Lui-sa arriva alla All Souls Mission, dove l’ospedale, scrivenel diario, sono «sei capanne, muri scalcinati, tetti di pa-glia». Pochi mesi dopo, anche grazie ai benefattori ita-liani, il Centro accoglierà 5.600 malati. La generosità del-la “dottoressa sorridente”, come era soprannominata, laporta a collaborare anche con il lebbrosario di Mutoko.Il cappellano di All Souls la descrive così: «Una donnaprofondamente viva e felice, innamorata della sua gen-te, innamorata del suo lavoro missionario e disposta asopportare ogni difficoltà per servire la gente». Non sor-prende allora che, al processo diocesano di beatificazio-ne conclusosi nel 2013 a Modena, alcuni testimoni ab-biano raccontato che «la sua ambulanza si riconosce-va da lontano perché si sentivano i malati cantare».Nel 1977 viene arrestata con l’accusa di aver curato unpresunto guerrigliero. Rischia la condanna a morte, magrazie all’intervento del Vaticano viene rilasciata. Il climanel Paese è ormai incandescente anche per gli stranie-ri, come dimostra l’uccisione di sette missionari a Muto-ko. Ma nonostante gli appelli a rimpatriare, Luisa conti-nua la sua missione. Il 6 luglio 1979 porta in ospedaleuna partoriente con la sua jeep. Alla proposta di farsi ac-compagnare da un’infermiera risponde: «È meglio chemuoia solo io e le infermiere possano continuare a soc-correre i malati». Sulla via del ritorno viene colpita a mor-te a un posto di blocco, in circostanze che fanno sospet-tare un agguato premeditato.

D agli agi della nobiltà alla povertà estrema, dal castel-lo di famiglia alla prigione di un regime sanguinario

in Africa, da una probabile, tranquilla carriera di profes-sione medica al pieno di una guerra civile: è una storiada film quella di Luisa Guidotti Mistrali, nata nel 1932 dalmatrimonio tra una baronessa parmense e un facoltosoingegnere di Reggio Emilia. Carattere vivace e deciso,

Alcuni sono personagginoti, altri pressoché sconosciuti persino nel mondo ecclesiale.

Diversi hanno trascorso una vita inmissione, ma sono numerosi anche

quelli morti giovani, spesso in modoviolento. Forse, qualche anno fa,

non li avremmo nemmeno definiti“missionari” , ma oggi capiamo

meglio che la missione è un’immensa opera di misericordia a cui sono

chiamati tutti i cristiani.

TESTIMONIDELLA

CHIESAIN USCITA

di Stefano Femminis

[email protected]

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L’altra edicola

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LA NOTIZIA

IL 9 GIUGNO SCORSO AD HONG KONG È ESPLOSA UNA PROTESTA OCEANICACHE HA INVASOPACIFICAMENTE STRADE EPIAZZE DELLA REGIONECINESE A STATUTO SPECIALE.LA GENTE DICE NO AD UNALEGGE CHE SEGNEREBBEL’INGERENZA DI PECHINO SUI DIRITTI DI TUTTI. LA CINA FA PAURA PERCHÉNON È DEMOCRATICA. MA L’OCCIDENTE NON SE NE CURA.

NO ALL’ESTRADIZIdi ILARIA DE BONIS

[email protected]

L e manifestazioni di massa di Hong Kong, contro l’approvazione di unalegge liberticida, sembrano al momento riuscite. I giornali asiatici ela stampa internazionale hanno segnato un punto a favore del po-

polo di Hong Kong, sceso in piazza a partire dal 9 giugno scorso come nonfaceva da decenni, per dire no all’extradition bill, una legge sull’estradizio-ne in Cina. Si tratta di un provvedimento che potrebbe consegnare all’au-toritaria Pechino i cittadini di Hong Kong sospettati di aver commesso unqualche crimine, mettendo così a rischio i diritti di tutti. In particolar modo

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ZIONE IN CINA

na Morning Post all’Hong KongFree Press all’Oriental DailyNews, tutta la stampa locale hamostrato video e immagini di unfiume in piena: e la cosa incre-dibile è che il popolo non si èfermato neanche di fronte allepromesse della leader. QuandoCarrie Lam, il 16 giugno scorso,ha annunciato che avrebbebloccato l’extradition bill, i cit-

tadini sono scesi di nuovo in strada, in massa fino a raggiun-gere la cifra incredibile di due milioni di persone. Cosa chiedo-no e perché è così vitale per loro che sia stracciata una leggeapparentemente ininfluente sulla sorte individuale dei comu-ni cittadini?«Si tratta dell’ultima battaglia per Hong Kong: se la perdiamo,Hong Kong non è più Hong Kong, è solo un’altra città cinese»ha detto a The Guardian Martin Lee, ex parlamentare demo-cratico ed attivista. Le persone chiedono la soppressione tota-le della legge, non la sua temporanea sospensione, perché ap-provarla (sebbene emendata) significherebbe attivare una di-pendenza politica pericolosa da Pechino, e finire nelle strettemaglie del sistema giudiziario cinese. Temono molto per la pro-pria libertà di pensiero e di parola, sapendo bene che l’estradi-zione in Cina, per i sospettati di un qualsiasi reato, potrebbe si-gnificare la fine dei diritti umani. Non si può comprendere ap-pieno questa loro paura se non ricordando che Hong Kong è unaregione amministrativa speciale della Cina, autonoma dall’ex ma-dre patria inglese dal 1997, anno in cui tornò a Pechino ma conla formula “un Paese, due sistemi”, che le permette libertà e di-ritti impensabili nel resto della Cina. Pare che l’Occidente, as-sorbito dall’interesse del business per la Via della Seta (proget-to cinese di espansione commerciale), faccia poca attenzioneall’aspetto antidemocratico della Cina di Xi Jinping. Ma le re-altà legate a doppio filo col governo di Pechino – come per l’ap-punto Hong Kong – sanno bene cosa significa finire nel tun-nel della giustizia cinese, dove le garanzie sui diritti sono co-stantemente violate. L’Asia Time scrive che i cittadini di HongKong non si fidano affatto delle promesse di Lam che conside-rano troppo vincolata a Pechino; un gruppo di 500 studenti aTaipei ha rilasciato un comunicato, pubblicato da The News LensInternational, dove si dice che «il governo di Hong Kong è di-ventato la marionetta di quello di Pechino». Ma la loro scom-messa per ora non è né vinta né persa: si sposta nelle sedi »

Hong Kong si ribella

quelli di attivisti, dissidenti e giornalisti locali.Davvero degna di attenzione mediatica, sia in Asia che nel re-sto del mondo, è stata la portata oceanica di queste proteste:le strade e le piazze di Hong Kong per giorni e giorni sono sta-te invase dalle persone, soprattutto dai giovani. Oltre due mi-lioni di cittadini mobilitati dagli studenti e dai movimenti in di-fesa dei diritti umani, sono scesi nello spazio pubblico per dire“no” ad una decisione del governo di Carrie Lam, che alla fineha dovuto parzialmente arrendersi. Forse la leader non si aspet-tava una reazione così compatta e determinata da parte dellagente comune. Ma la questione non è chiusa. Dal South Chi-

Carrie Lam,Governatricedi Hong Kong.

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L’altra edicolaHong Kong si ribella

Pechino e prendere le difese dei manife-stanti di Hong Kong. Il suo intento, dico-no gli analisti politici, è quello di bacchet-tare la Cina per metterne in difficoltàl’espansione commerciale, soprattuttolegata al settore della telefonia e dell’hightech di dominio americano. Pang Zhon-gying, esperto di relazioni internazionalia Pechino, ha dichiarato al South ChinaMorning Post che questa querelle inter-na ha «complicato le già tese relazioni traWashington e Pechino».Per sapere come andrà a finire bisogne-rà rimanere sintonizzati con i media asia-tici: c’è da temere che la stampa europea,ed italiana in particolare, non si occupe-ranno più molto della questione nei pros-simi mesi, non appena i riflettori saran-no calati sulle proteste oceaniche. Ma ilproblema resta e riguarda una ben piùestesa dimensione: quella della scarsa di-mestichezza cinese con la libertà di pen-siero e la giustizia.

istituzionali dove la politica sta prenden-do tempo. Inoltre, le persone non hannoaffatto apprezzato la reazione violenta del-la polizia durante i primi moti di protesta,quando le forze dell’ordine hanno spara-to proiettili di gomma sulla folla armatasolo di ombrelli per la pioggia (a riecheg-giare la Rivoluzione del 2014 per il suffra-gio universale) e hanno riempito l’aria digas lacrimogeni e bombolette urtanti alpeperoncino. Lam aveva in effetti scredi-tato fin da subito la protesta, riducendo-la alla categoria di riot, che vuol dire “som-mossa” e prevede tutta una serie di mi-sure per arginarla. Ma quelle di giugno nonsono state semplici “sommosse”, né tan-to meno sono state violente. Erano ma-nifestazioni di popolo per dire no all’in-gerenza cinese. A manifestare c’era la metàdella cittadinanza di una regione a Sta-tuto speciale: «Vogliamo rassicurazioni sulfatto che il nostro popolo di Hong Kongnon verrà minacciato e processato poli-

ticamente da questo governo», ha dettoun’attivista ad Asia Times. Carrie Lam, daparte sua, ha provato ad argomentare chela legge sull’estradizione non riguarderàné i dissidenti né i casi politici, ma il rischioper la gente è troppo elevato. Questo ladice lunga sul timore che il popolo ha del-la Cina e del suo sistema, considerato cor-rotto e antidemocratico.Moltissimi intellettuali si sono schierati adifesa della libertà di Hong Kong: anchel’artista Ai Weiwei, una sorta di Banksy ci-nese che ha preso le difese di diversi hu-man rights defenders, ha dichiarato:«Abbiamo visto che i giovani difendono iloro diritti e questo perché nessuno si fidadel sistema giudiziario cinese». C’è poi ilrisvolto internazionale di tutta questa vi-cenda: la crisi interna ha riacceso la maisopita questione diplomatica (e com-merciale) tra la Cina e gli Stati Uniti. Perdirla meglio, Donald Trump ha preso la pal-la al balzo in questi mesi, per redarguire

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D a due anni vivo a Yaoundé, inCamerun. Abito con la mia co-munità a 11 chilometri dalla ca-

pitale, in un quartiere che si sta in-grandendo a “macchia d’olio”. Siamouna comunità di cinque suore, di cuidue studiano all’Università.La prima missione della nostra congre-gazione (Istituto delle suore Maestredi Santa Dorotea, ndr) è l’annunciodella Parola di Dio.Il nostro interesse è “prendersi cura”del fratello, soprattutto quello che vivesituazioni di disagio sia umano, chepsicologico e sociale. Già dal nostronome si intuisce che ci occupiamo del-l’aspetto educativo, nel quale cerchiamodi dare il meglio di noi stesse.Io, da quest’anno, seguo un gruppo diragazzi che si preparano a ricevere ilsacramento della Confermazione. Oltrea questo, seguo il progetto del sostegnoscolastico per i bambini poveri che nonpossono pagarsi lo studio; senza di-menticare altri problemi legati allasalute, all’alimentazione, alla mancanzadi lavoro dei genitori. Ci sono bambini

Posta dei missionari

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Prima di tutto,l’annuncioche vivono con le loro nonne o zie,perché abbandonati. A volte si presen-tano dei veri drammi, che sono piùgrandi delle nostre possibilità di inter-venire.Seguiamo anche un progetto che sichiama Bibliothèque Luciole e un’altrabiblioteca dedicata al nostro fondatore,don Luca Passi, per i bambini del quar-tiere. La biblioteca Luciole è a beneficiosoprattutto dei ragazzi di strada. Sonodue le suore che seguono questo pro-getto e vi dedicano quattro giorni allasettimana: due giorni stanno nella sededella biblioteca, un giorno vanno inuna casa-famiglia per ragazzi di stradae un altro vanno alla stazione ferroviariadove c’è una casa di accoglienza perragazzi gestita dai religiosi del Pontificio

Istituto Missioni Estere (Pime). Cosafanno? Seguono un programma checomprende la proposta di diverse attivitàcome lettura, insegnamenti su variaspetti e valori della vita, giochi, film,ma soprattutto assicurano ai ragazziuna presenza femminile che ama, ascol-ta, accompagna, consola. Tanti nonsanno né leggere né scrivere. Molti sisono affezionati alle suore e seguonovolentieri quanto viene proposto loro.Naturalmente la grinta imparata sulla“strada” e la violenza che li accompagnasono sempre con loro. È una bella sfida,ma nell’insieme c’è anche chi, sebbenecon difficoltà, riesce a ritornare a viverenella propria famiglia.Durante le vacanze estive organizziamoanche qualche attività per i bambini »

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Prima di tutto,l’accoglienzaLa missione scalabriniana in Cùcuta(Colombia) compie 40 anni da quandoil vescovo Rubiano Saenz ci invitò adirigere il Centro de Migraciones. Dal1996 abbiamo esteso la nostra missio-ne a comunità periferiche della città,zone con maggior flusso di sfollati emigranti.L’attività di questa missione si con-centra su tre aspetti complementari.Il primo è il Centro de Migracionesdove si offrono vitto, alloggio, assi-stenza legale e psicologica a 120 per-sone. Da più di un anno, però, datol’afflusso smisurato di venezuelani chelasciano il loro Paese, ospitiamo fino a175 persone.Il secondo impegno è la parrocchia di

e i giovani del quartiere, aiutate daanimatori locali.La nostra casa offre accoglienza allepersone che desiderano condividerecon noi un periodo o che vogliono riti-rarsi in preghiera.Come ci autososteniamo? Un po’ conl’accoglienza e poi con la vendita deiprodotti del campo e del pollaio. Nonabbiamo grandi cose, ma cerchiamo diessere autonome, almeno in parte.

Suor Clara Zanatta

Yaoundé (Camerun)

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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N u e s t r aSeñora delos Doloresche, con trechiese e unain costruzio-ne, è unavera e pro-pria missio-ne. Qui cer-chiamo diaccompagnare una dozzina di comu-nità, caratterizzate da marginalità,povertà, disoccupazione e fame.Come terzo impegno, dal lunedì alvenerdì, dirigiamo sette sedi scolasti-che con un totale di circa 4.800 alun-ni, dall’asilo al liceo. Questa è l’attivitàpiù complessa a causa del basso livellosocio-economico dei nuclei familiarida cui provengono gli studenti. Sitratta, infatti, di famiglie desplazadas,cioè di sfollati vittime del conflitto

Padre Francesco Bortignon

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Prima di tutto,l’acquaDa un paio d’anni i Peul di Wassarabovenivano regolarmente alla nostra mis-sione a chiedere un pozzo e una pompaper estrarre l’acqua. Recentemente sipresentano di nuovo, stavolta con200mila franchi (circa 300 euro): è illoro contributo per i lavori. Con ildenaro portano anche una fa-raona.Dico loro di tenere il denaro: lodaranno a coloro che verrannoper costruire il pozzo. Presento ladomanda al Novara Center Onluse il progetto è accettato. Avvertola ditta che possono iniziare leprospezioni: andare sui luoghicon il geofisico per cercare ilpunto d’acqua. Però, prima di ar-rivare al villaggio dei Peul, do-vrebbero passare dal capo-villaggioper avvertirlo che sarà fatto unpozzo nel quartiere dei Peul. Iroko,il responsabile della ditta, passaa trovarlo per informarlo dei lavori.La sua risposta: «Non vi ringrazieròmai abbastanza di quello che statefacendo: i Peul devono fare quat-tro chilometri ogni volta che ven-gono a prendere acqua da noi,perché da loro non ce n’è».Viene deciso il giorno d’inizio deilavori e arrivano le macchine.Solo che nonerano stateconsiderate lepiogge: imezzi riman-gono impan-tanati. Il vil-laggio ne èinformato .Tutti, in bloc-co, escono e

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cominciano a tagliare rami, arbusti,foglie per deporli sulla pista. Dopo treore e mezza di lavoro, le macchine rie-scono a passare e finalmente arrivanoal villaggio. L’acqua si trova ad un cen-tinaio di metri e il lavoro dura a lungo.Finalmente riescono a perforare la rocciae arrivano alla vena d’acqua abbondantee pulita. Allora esplode la festa.

Padre Silvano Galli

Kolowaré (Togo)

Posta dei missionari

armato interno, colombiane o miste, oarrivate dal Venezuela.Il lavoro esige un vero spirito missio-nario: sposare la causa del migrante edel desplazado consiste nell’incon-trarsi giornalmente con una diversitàdi condizioni e traumi umani; abbia-mo l’ostinazione di offrire una rispo-sta umanizzante sia a bambini e gio-vani con un insanabile vuoto affetti-vo, sia a genitori con l’umiliazione dinon poter dare un tetto e un pezzo dipane ai propri figli, sia a famiglie chevivono alla giornata e con la memoriae il dolore delle violenze sofferte.Di fronte all’esodo che ha portato unmilione di migranti fuori dalVenezuela verso Brasile, Ecuador, Cilee Perù, più di un milione e mezzo nelleprincipali città della Colombia e500mila qui a Cùcuta, l’Europa nonpuò immaginare quello che sta succe-dendo in America Latina. Mi vergognoper l’Italia, quando si mostra sorda allevoci dei migranti, i cui numeri nonsono assolutamente paragonabili aquelli che si contano qui. Lo ha dettoesplicitamente l’ex presidentedell’Uruguay, José Pepe Mujica:Spagna e Italia «vomitarono milioni diemigranti e si sono dimenticate rapi-damente della loro storia».Le nostre risposte, come missione sca-labriniana, si riepilogano con questinumeri: l’educazione di 4.770 alunni(di cui 500 venezuelani), l’assistenzaintegrale nel Centro de Migraciones(con 150 ospiti, in media), duemilapranzi al giorno nella parrocchia (il70% di chi ne beneficia è venezuela-no), 150 corsi di avviamento al lavoro,tre chiese che funzionano a pienoregime e una quarta in costruzione(che speriamo di portare a compimen-to con l’aiuto delle Chiese europee).

Padre Francesco Bortignon

Cùcuta (Colombia)

Padre Galli

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sono religiosi provenienti da molti Paesidel mondo (Libano, Francia, Belgio, Por-togallo, Cile, Venezuela, Colorado, USA)che raccontano nelle loro lingue la pre-occupazione per quello che la missioneha trasformato nel loro Paese: la Siria.Parlano della situazione politica, della pre-carietà della vita di ogni giorno, di gruppidi cristiani rapiti nelle vicinanze, dell’im-potenza di sentirsi dei “privilegiati” e quasiprigionieri nel Monastero, obiettivo dellebombe dei fondamentalisti. Ogni mattina,dopo avere terminato le preghiere, la madrebadessa è pronta a salire su un camioncinoalla testa di un convoglio di ambulanze epick-up, per portare gli aiuti preparati dallacomunità religiosa e arrivati dalle ong uma-nitarie, per smistarli nei villaggi semidistruttidai bombardamenti. Percorrono strade inmezzo al deserto, con mezzi militari in-cendiati ai lati e posti di blocco. I militari

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fratricida, come racconta madre Agnes,badessa del Monastero e protagonista in-sieme alla comunità internazionale di car-melitani del film “Mother Fortress” (pro-dotto da Damascena Film in collaborazionecon Rai Cinema) della regista Maria LuisaForenza, che ha girato a rischio personale,spingendosi in zone di guerra assoluta-mente off limits per gli stranieri. Un’operaforte, diretta e asciutta che mostra la forzadei religiosi e delle religiose che dalla pre-ghiera sono capaci di passare all’azione

diretta per aiutare la popola-zione privata di tutto, con uncoraggio che non cessa di sor-prendere.Presentato in diverse vetrinecinematografiche tra cui l’ultimaedizione del Tertio Millennio

Film Festival, questo lungome-traggio, metà narrazione e metàdocumentario, è stato giratonell’arco di tre anni nel cuoreferito della Siria, e si proponecome un asciutto diario di guer-ra, scritto con i pensieri di uo-mini e donne di Dio che vivonocon angoscia e speranza latragedia del popolo siriano. Ireligiosi e le famiglie riunite(cristiane e sunnite, senza dif-ferenza) in una piccola comu-nità raccolta tra le mura dan-neggiate dalle bombe del Car-melo vivono, soffrono coltivanol’or to, studiano e pregano;

I colpi di mortaio arrivano da oltre il profilodelle montagne. Rimbombano improvvisi

e cupi tra le bianche mura del Monasterodi San Giacomo il Mutilato a Quarah, aNord di Damasco, dove i monaci si dedi-cano alla preghiera e le suore dipingonoicone dai tratti bizantini. Siamo nella Siriadel 2014, quando proprio in questa zonaal confine con il Libano esplode l’avanzatadell’Isis e la gente dei villaggi si illude chele violenze durino solo qualche giorno.Invece è l’inizio di una guerra lacerante e

MOTHER FORTRESSMADRE AGNESNEL DESERTODELLA SIRIA

La registaMaria LuisaForenza.

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condizione umana in tempo di guerra» at-traverso la testimonianza dei missionari.«Ho trovato – spiega - una forte resilienza,una grande vitalità e un amore per la vitache non immaginavo in tempi di guerra.In generale un senso di speranza sia tragli stessi siriani che tra i soccorritori, purdinanzi ad un vero e proprio disastro uma-nitario con un Paese dove le persone la-mentano carenza di cibo, mancanza dicasa e lavoro». Infatti la distribuzione deiviveri alla periferia di Aleppo, l’assalto dellafolla, l’impotenza dei militari che sparanoin aria colpi di fucile per spaventare glianimi scatenati, anziani e bambini travoltidalla marea umana, è un flash dal gironedantesco dei sopravvissuti al disastro.Madre Agnes si addentra tra le case inrovina del villaggio di Deir Ez Zoz, dovel’unica famiglia rimasta le dice: «Per carità,madre, non vada oltre. A 200 metri da qui

che controllano salutano con rispettomadre Agnes, una donna dagli occhi pienidi dolcezza e insieme di forza. Occhi scuria volte tristi, quando si trovano di frontela desolazione di villaggi ridotti a cumulidi macerie. Qui la speranza sembra unautopia, ma madre Agnes, con la sua ca-pacità di essere in mezzo alla folla urlantedi chi reclama il suo pacco di aiuti, è ladimostrazione vivente dell’amore di Diotra gli uomini. Un amore capace di rispon-dere all’hic et nunc e insieme di speraresenza mai stancarsi. Madre Agnes e i suoiconfratelli sono missionari sul fronte diuna guerra civile che ha piegato un Paesecome la Siria in un conflitto durato anni,sotto gli occhi del mondo. La regista MariaLuisa Forenza (autrice tra l’altro del film“Guatemala Nunca Mas” con RigobertaMenchù) dice di aver voluto realizzare«non un film sulla guerra in Siria ma sulla

c’è il quartier generale dell’Isis». Ma madreAgnes non conosce la paura, la sua vitaè in mano a Dio e da lui trae la forza diavere qualcosa da dare ad ognuno: unsorriso, un piatto di minestra, un vestitopulito, un tetto per ripararsi. È lei Mother

Fortress, non solo come persona fisica,ma anche come anima del Monastero chenel 1993 il vescovo di Homs le ha affidatoperché da quell’ammasso di rovine potesserinasce un luogo della fede aperto agli uo-mini e alle donne che vogliono incontrareDio. E l’antico Monastero rinato dalle ceneridelle violenze dell’Impero Ottomano è an-cora lì in mezzo al deserto siriano, perchéi canti dei monaci e delle monache ripetanoogni giorno che Dio è amore, pace, ar-monia.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

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È la mattina del 15 settembre 2008. La Lehman Brothers, unabanca d’affari d’oltreoceano, dichiara fallimento. Il suo compito

non era quello di raccogliere denaro o di erogare prestiti ma offrireconsulenze ad altre società sul come investire il proprio denaroper fare altro denaro. Il fallimento è dovuto soprattutto all’altalenadei tassi di interesse operata dalla Federal Reserve (Fed), la Bancacentrale degli USA. Da questo momento inizia la grande crisi eco-

nomica che in Europa colpisce prima laGran Bretagna e poi altri Paesi come ilPortogallo, la Spagna, l’Irlanda, la Greciae infine l’Italia. Per fronteggiare il problemavengono adottate delle politiche di bilancioche producono un aumento delle tasseed una riduzione della spesa pubblica.Ma facciamo un passo indietro per capirele ragioni che sono alla base di questoterremoto finanziario, lasciandoci aiutare

EurHope è una parola composta da Eu-

rope e Hope: racchiude in sé la speranzadella tenuta del progetto europeo per inco-raggiare soprattutto i giovani a nuove sfide.Un saggio sull’Europa concepito come stru-mento per riscoprire l’orgoglio di essereeuropei, nelle diversità, nella storia, nellecomuni radici cristiane. Papa Francescoparla di «sognare un’Europa capace di es-sere ancora madre», capace di rispettarela vita e offrire speranza di vita. Il volume“EurHope. Un sogno per l’Europa, un im-pegno per tutti” segue il senso tracciatodal Magistero del papa sull’Europa, avva-lendosi della collaborazione di Caritas,Focsiv, Missio ed Istituto Toniolo. Parlaredi Europa significa capire e comprenderele istituzioni europee; conoscerne i valori,analizzarne le politiche per disegnare insiemenuove vie. Nelle pagine si affrontano i pro-blemi e le questioni più urgenti, con intervistea personalità politiche e istituzionali, dandospazio a punti di vista differenti di cittadini

LIB

RI

spesso disorientati. Il vo-lume riporta l’esperienzadel laboratorio sull’inte-grazione europea EurHo-

pe-Lab e il Manifesto Our

EurHope frutto del lavorodella Summer School

“Acting EurHope” orga-nizzata dall’Istituto di Diritto Internazionaledella Pace Giuseppe Toniolo, per un’UnioneEuropea più giusta e democratica.Nella prefazione Beatrice Covassi, già capodella rappresentanza in Italia della Com-missione europea, pone l’accento sullasperanza e non sulla paura creata e urlatadai politici e ricorda i 60 anni in cui l’Europaha garantito la pace e la coesione socialetra diverse popolazioni. Padre Giulio Alba-nese, missionario comboniano, direttoredi Popoli e Missione, sottolinea che «sa-rebbe un imperdonabile errore tirarsi fuoridalla mischia ricusando l’apporto positivoche in forza della nostra fede possiamo

dal libro “Il rovescio della moneta. Per un’etica del denaro” diAlessandro Mazzullo (Edizioni Dehoniane Bologna).La banca è il tempio che rappresenta in tutte le culture il centroattorno al quale ruota l’economia: è qui che si svolgono le attivitàcommerciali e si depositano le proprie ricchezze custodite da Dioe dalle guardie. Intorno all’anno mille l’attività fulcro del tempiodiventa il mercato ed il principale protagonista è proprio il mercante.Il suo grande obiettivo è quello di ripopolare le città, avendo acuore il bene comune. Poi nel 1500 cambia tutto: scompare ilfine del bene comune e l’unica regola è quella del do ut des.Comincia così una lotta basata sulla concorrenza, sul guadagnoe l’arricchimento. Da una economia confinata alle città e poi agliStati, si passa nei secoli ad un’economia internazionale dovetutto, dalla materia prima alla forza lavoro, può essere reperito aldi fuori dei propri confini. La globalizzazione ed il progresso tec-nologico ormai la fanno da padrona al punto che con un click sipuò far cadere un governo. L’aver privato il mercato delle sueimplicazioni etiche, l’avere espulso dalla sfera dell’economico ladimensione della gratuità e del bene comune ci hanno portatoalla deriva al punto che oggi la guerra economica dei mercati èdiventata più temibile di quella militare.

Maria Lucia Panucci

Alessandro MazzulloIL ROVESCIO DELLA MONETA. PER UN’ETICA DEL DENAROEdizioni Dehoniane Bologna - € 9,00

La dittatura del denaro

A cura di Paolo Beccegato,Michele D’Avino,Laura Stopponi, Ugo VillaniEURHOPE.UN SOGNO PER L’EUROPA,UN IMPEGNO PER TUTTIEditrice Ave - € 12,00

Un sogno chiamato Europa

dare alla società europea con la testimo-nianza della vita buona del Vangelo». Oggi,di fronte all’incertezza politica e agli ostacoliche stiamo vivendo come le migrazioni dimassa, il cambiamento climatico, la glo-balizzazione economica, il terrorismo in-ternazionale, lo sviluppo sostenibile, è ar-rivato il tempo di agire per costruire un’Eu-ropa sociale più coesa e solidale; un’Europa“campionessa mondiale di sviluppo so-stenibile” e faro dei diritti umani e dellepari opportunità.

Chiara Anguissola

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“H o visto anche zingari felici” era iltitolo di una delle canzoni più note

del compianto Claudio Lolli, una delle vocipiù personali della prima generazione can-tautorale italiana. Lo abbiamo preso in pre-stito per introdurre questo articolo dedicatoa una delle formazioni più significative dellamusica legata alla cultura rom, la cosiddettagipsy music.Se la tradizione classica – da Dvorak aBartok fino a Stravinskj – ha attinto a pienemani da questa tradizione, e i famosissimiGipsy Kings e Goran Bregovich sono stati

taminata dal turco, dal rumeno, dall’un-gherese. E già questo sottolinea sia la vo-cazione nomade di questa cultura, sia quan-to essa sia portata all’inclusione e musi-calmente variegata nelle sue radici stilistiche:chitarre acustiche che ricordano molto ilflamenco, fisarmoniche, percussioni spessoimprovvisate e gli immancabili guizzantiviolini a sostenere melodie inconfondibil-mente balcaniche e di grande suggestio-ne.Qui in Italia l’Alexian Group di Santino Spinelliè probabilmente il gruppo più noto di que-st’ambito (si è esibito anche davanti a papaBenedetto XVI), ma i Romano Drom sonol’ensemble storicamente più noto in Europa,e questo loro recente ritorno discografico(il sesto della loro produzione) è l’occasioneperfetta per concedersi un’escursione nellaloro musica. Atmosfere inevitabilmentestradaiole che richiamano ora il kletzmer

ebraico ora il flamenco andaluso, e poimolto folk dell’area balcanica, e perfinoechi del nostro liscio. Un gran calderoneche si è soliti ricondurre al più ampio ambitodella world-music, pieno di aromi, di colorie di sapori pregnanti, ma che al di là delleconnotazioni stilistiche suggerisce quantocerte sonorità abbiano in sé una vocazionealla fratellanza e alla festa, e dunque possanoproporsi come uno strumento prezioso disostegno al dialogo e all’accoglienza in-terculturale, ovvero il primo passo per pro-vare a scardinare vergognosi pregiudizi se-colari, e sempre più anacronistici. Impos-sibile non restarne contagiati.

Franz Coriasco

[email protected]

i primi ad imporre ai mercati le spumeggiantisonorità di questo stile, i Romano Drom

ne rappresentano, da 20 anni, una delleespressioni più ispirate e rigorose. Il quintettoarriva dall’Ungheria, terra attualmente at-traversata da febbri sovraniste lontane anniluce da questa cultura, da secoli tantoemarginata e discriminata in Occidente,quanto pacifica; e con un’anima ora ma-linconica ora festosa, come ben dimostrala dozzina di nuove canzoni dell’ultima im-presa di questo ensemble, l’album Give

me wine, fresco di stampa per la Riverboat

Records.Antal Kovács e i suoi compari d’avventurahanno iniziato il loro cammino (a proposito:romani drom è traducibile con “strada gi-tana”) girando mezzo mondo con le lorocanzoni: pittoresche, iper-ritmiche, esoti-camente colorate, con una formula espres-siva che mette insieme tradizioni di antichedanze popolari e struggenti ballate d’amo-re, feste comunitarie e di matrimonio. Laloro madre lingua è il romaní, quella par-lata fin dal Medioevo dalle etnie rom esinti, a sua volta una miscela di remi-niscenze curde, pakistane, persiane earmene, e in epoche più recenti, con-

Antal Kovács

Romano Drom

HO VISTO ANCHEZINGARI FELICI

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VITA DI MISSIO

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Giornate nazionali dispiritualità missionaria

P er la 17esima edizione delle Gior-nate nazionali di formazione e spi-ritualità missionaria che si svolgo-

no ad Assisi dal 29 agosto al 1 settem-bre presso la Domus Pacis (Santa Mariadegli Angeli), è stato scelto il tema“Battezzati e inviati. Il fuoco dello Spi-rito e la Parola che salva” in relazione altema del Mese Missionario Straordina-rio, riprendendo lo slogan della Giorna-ta Missionaria Mondiale 2019. Il tradi-zionale appuntamento di Assisi, cheprecede l’Ottobre Missionario, ha loscopo di divulgare i contenuti pastora-li e formare i partecipanti: direttori deiCentri missionari diocesani, laici, anima-tori, membri di Istituti religiosi maschi-

li e femminili, fi-dei donum rien-trati, giovani le-gati ai Cmd. Letematiche chestrutturano ilprogramma del-le Giornate sonostate coordinatedal biblista LucaMoscatelli insieme all’équipe Decapoli, unlaboratorio pastorale della diocesi di Mi-lano impegnato nello studio del primoannuncio. Quest’anno sono state intro-dotte delle innovazioni a partire dai mo-menti creati ad hoc per far conoscere iconvegnisti tra loro e favorire relazioni

e scambi di esperienze.Ci sono quindi dei mo-menti social, durante ipasti, o momenti di ri-flessione e di spiritua-lità missionaria.Le tematiche e le lec-tio delle singole gior-nate sono così artico-late: giovedì 29 agostoè la giornata dedicata

a “Mettere a fuoco” il tema e, dopol’apertura di don Giuseppe Pizzoli, diret-tore di Missio, don Luciano Meddi, do-

cente della Pontificia Urbaniana diRoma, parla de “La missione delloSpirito, la missione nello Spirito”. Ve-nerdì 30 agosto è dedicato ai segnidell’ “Opera dello Spirito” con la re-lazione di don Roberto Repole, do-cente della Facoltà teologica di To-rino, che si soffermerà su “Il serviziodella Chiesa. La missione comedono”; seguono gli interventi di Mi-lena Santerini, docente dell’Univer-sità Cattolica di Milano su “Tessitu-re di fraternità, muoversi tra cultu-re e religioni diverse”; e di Marinel-la Perroni, docente presso la Ponti-

ficia Facoltà teologica Marianum diRoma che spiega come “Secondo Ruach(Spirito) di Dio, la sapienza battezza ilmondo”. Sabato 31 agosto è la giorna-ta in cui si parla di “Spirito e racconti”e si aprirà con la messa presso la Basili-ca di Santa Maria degli Angeli, presiedu-ta da monsignor Domenico Sorrentino,vescovo di Assisi, mentre la mattinata èdedicata alle “Narrazioni del paradigmamissionario”. Domenica 1 settembre,dopo il confronto dei gruppi di lavoro ei workshop, don Pizzoli presenta all’as-semblea le osservazioni conclusive: temie stimoli che ogni partecipante porteràcon sé come un dono di cui fare tesoronel Mese Straordinario della Missione.

M.F.D’A.

Battezzati e prontialla missione

Don RobertoRepole

MarinellaPerroni

MilenaSanteriniDon Luciano Meddi

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hia. Da allora in questa Chiesa sorella sonopassate più di 100 persone (29 sacerdo-ti, 13 suore, un consacrato e 57 laici) chehanno avuto un ruolo importante nellaformazione del clero locale e nell’aiutoalle persone più povere e bisognose. Reg-gio Emilia è una città speciale che ha mis-sioni in Albania, Rwanda, Madagascar, In-dia e naturalmente in Brasile con due sta-zioni: la prima nella regione di Bahia nelNord-est, in una delle zone più aride e po-vere, grande quanto la Francia e con solotre milioni di abitanti; l’altra a Jandira,nella periferia di San Paolo, dove vivo-no oltre 100mila abitanti.Al rientro in Italia, don Luigi è tornato afare il parroco presso l’unità pastorale diFontanaluccia che comprende numero-

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

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Missione andata e ritorno

H a il Brasile nel cuore e l’accentodella sua terra generosa, l’Emi-lia Romagna. Don Luigi Gibelli-

ni, 60 anni, Fratello della Carità, è un fi-dei donum della diocesi di Reggio Emi-lia-Guastalla, rientrato tre anni fa da Pin-tadas, nella diocesi di Ruy Barbosa in Bra-sile. Qui don Luigi è stato missionario perdieci anni dal 2006 al 2016, andando adallungare la lista dei missionari e dellemissionarie partiti dalla diocesi italianaper andare in America Latina, dove 53anni fa la Chiesa reggiana ha aperto leprime realtà missionarie nello Stato di Ba-

C’è sempre da fareper un missionario doc

DON LUIGI GIBELLINI se piccole comunità sparse su un «terri-torio grande come un fazzoletto con cir-ca mille anime – racconta -. Quando sonotornato mi sono sentito un po’ disorien-tato: il salto da quella realtà alla mia dio-cesi è stato come il passaggio da un mon-do all’altro. È chiaro che quando uno ar-riva in missione deve entrare in un con-testo che non conosce, c’è tutto da sco-prire e spesso non si comprende nemme-no la lingua della gente; quando rientrisai dove ti trovi, con le cose positive e nonche ti aspetti. Direi che alla fine è quasipiù complicato rientrare». La missione haprofondamente arricchito il ministero didon Luigi, che ora come parroco pensache «se come Chiesa non sentiamo il de-siderio di fare scelte differenti difrontealle sfide del tempo, rischiamo l’immo-bilismo. Mettere come priorità il fatto diavere disponibilità di preti qui, non fun-ziona più. La spinta missionaria è un pas-saggio oltre che può aprire nuovi oriz-zonti. Sono stato abituato a vivere in unadimensione in cui i laici avevano un ruo-lo importante, erano valorizzati e colla-boranti con il sacerdote nell’opera pasto-rale. Nella nostra diocesi abbiamo150/170 preti, c’è una sproporzione trail numero dei fedeli e il personale religio-so. Ora diamo molta importanza alla for-mazione dei laici attraverso la liturgia del-la Parola. Sempre più la presenza del pre-te deve servire alla formazione dei laicie alla crescita della comunità: anche pic-cole ma ricche di passato; la dimensio-ne del futuro va in questa direzione».

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Maria Teresa Vaccari nasce qui, in que-sto incrocio di bellezza naturale e la for-za di una storia cruenta d’inizio seco-lo che ha lasciato il suo segno. La suaesistenza prende il via nel Secondo do-poguerra, nella fase di ricostruzione diun semplice paese alle pendici delmonte sacro alla patria, in una famiglia

S alire sul massiccio Grappa, per chiabita nella zona pedemontana, èuna cosa naturale fin da bambi-

ni. Una montagna molto conosciuta,teatro di cruente battaglie durante laPrima guerra mondiale. Quando si sale,lo sguardo poggia ancora sui segni e sul-le ferite che l’uomo ha lasciato nella ter-ra, squarciandola con solchi e voraginiprofonde, che il tempo non ha ancorariempito. Tutto questo dentro ad unanatura ancora bellissima, aspra e dol-ce allo stesso tempo, dove la contem-plazione su questo rigoglioso angolodella Creazione si amalgama con il si-lenzio desolante dovuto ai caduti del-la Grande guerra.

umile dedita alla terra. Fin dalla giova-ne età ha una vita lineare, vissuta nel-la determinazione di volersela giocaretutta nell’amore di Gesù Cristo, nel-l’amore alla Chiesa e nel servizio dei fra-telli.Vicario parrocchiale di quel tempo èmonsignor Paolo Doni, che ha vissuto

CIia.it Figlia delle

speranzedel Concilio

VITA DI MISSIO

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Il 30 maggio scorso si è spenta a 70 anni, MariaTeresa Vaccari, delegata nazionale per glianimatori e le animatrici delle Pontificie OpereMissionarie dal 1986 al 2004. Già responsabilenazionale dei giovani di Azione Cattolica, MariaTeresa ha svolto impegni internazionali per lapromozione della donna e ha partecipato alleattività missionarie della diocesi di Padova.

Palazzo di Propaganda Fide in Piaz-za di Spagna a Roma, chiamata asvolgere il mio servizio di Segretariadel Movimento Giovanile Missionario.

Avevo 24 anni e in lei, che era “dele-gata nazionale”, ho subito trovato unaamica con un profondo senso mater-no, ma soprattutto un modello e unesempio. Di lei ci restano l’amore e lafede che ha seminato e queste paro-

le che ha vissuto sino in fondo e cheora più che mai rileggo come un te-stamento: «La spiritualità missiona-ria dei laici altro non è che la consue-tudine ad illuminare e interpretare lavita quotidiana con il Vangelo, la de-cisione personale e continua di farein modo che il Vangelo sia il dono piùgrande per tutti».

Loredana Brigante

ERA CALORE E COLORE, PREGHIERA E GIOIA

Maria Teresa è stata un dono perchi l’ha conosciuta e perderla in

questa vita ci lascia di fatto un gran-de vuoto e degli interrogativi. Ci fa sen-tire più soli. Perché lei era calore e co-lore, gioia autentica, intelligenza e cuo-re, presenza e testimonianza. Ri-cordo quando arrivai alle PontificieOpere Missionarie che allora erano nel

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Con Maria Teresa ho potuto condividere tanti momenti: alcuni più giova-nili, nell’apostolato dell’Azione Cattolica; altri più maturi, a servizio del-

la formazione di responsabilità femminili nella Chiesa; molti, e più decisivi, asostegno dell’evangelizzazione dei popoli con le Pontificie Opere Missionarie.Il filo rosso che ha tenuto unite così tante esperienze è sempre stato lo stes-so: il suo genuino e totale innamoramento per Gesù e l’altrettanto forte eleale amore per la Chiesa. Da lì attingeva entusiasmo e lì tornava quando do-veva superare avversità e fragilità.Intelligente e geniale, senza perdere i tratti tipici della terra e della Chiesa chel’hanno generata ed anzi attingendovi, ha svolto questi compiti maturandoovunque competenze specifiche. Di lei ho potuto apprezzare il buon umore, lapassione, la preparazione, il rispetto degli obiettivi, la creatività delle solu-zioni. Inoltre, si è distinta per il rapporto personale sereno e profondo con lepersone che di volta in volta Dio metteva sul suo cammino. A distanza di anni,i miei occhi ne conservano il luminoso sorriso e il cuore fa tesoro dell’affet-to e della fiducia con cui sapeva accogliere e collaborare.La promessa di Gesù ci assicura che non è la morte a chiudere la storia. Perquesto sono sicuro che queste belle qualità da lei maturate e vissute in ter-ra, siano ora quelle con cui è stata accolta in Cielo: Cristo Gesù Risorto, ilsuo Amore, ha illuminato per lei il suo volto e con un forte abbraccio l’ha resapartecipe di quella pienezza di Vita che con tanta generosità si è prodigataa realizzare sulla terra.«Riposa in pace Maria Teresa, e continua ad amarci e sostenerci dal Cielo!».

Monsignor Giuseppe Andreozzi,già direttore nazionale di Missio – Pontificie Opere Missionarie

INNAMORATA DI GESÙLa scomparsa di Maria Teresa Vaccari

1969, ma il suo ricordo è ancora vivo eindelebile, quasi scritto nel cuore di que-sta comunità, come si recita nella pre-ghiera dell’Alpino: «Su le nude rocce, suiperenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpiove la Provvidenza ci ha posto». A noioggi il compito di accogliere la sua te-stimonianza e viverla con speranza.

Gaetano Borgo

proprio qui i primi mesi post Concilio eintravede in Maria Teresa una giovaneche già intuiva per la Chiesa universa-le una splendida primavera: «La ricordogiovanissima nella comunità di Crespa-no del Grappa, laureanda e impegnataa trovarsi lavoro come insegnante, colsuo carattere forte ma gioioso; dispo-nibile ma determinato, con le sue risa-te sonore, le sue doti da leader, capacedi coinvolgere e trasmettere allegria maanche impegno serio; con una profon-da spiritualità che si nutriva di preghie-ra, di Eucaristia e di meditazione, e conaltrettanta attenzione e dedizione allepersone concrete».Della sua presenza negli ambiti della par-rocchia e non solo, raccolgo ricordi nelsottovoce ancora vivo della gente cheha vissuto in quel tempo. La ricordanocon la sua grande passione di voler co-noscere, capire, discutere, la sua intel-

ligenza acuta e talvolta libera. «Credo che- continua nel suo ricordo don Doni -non solo a me, ma anche a tutti gli ami-ci dell’allora Gruppo giovanile parroc-chiale e vicariale, sia rimasta una nostal-gia per quegli incontri serali e nottur-ni di discussione, di scambio, a partiredallo studio delle grandi Costituzioni delConcilio». Son passati 50 anni da quel

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che i suoi 56 anni di sacerdozio, di cui 15vissuti sul campo (dieci in Indonesia equattro nelle Filippine), «sono uno stimo-lo più che sufficiente per voler anima-

re tutta la Chiesa sarda».Ciascuna delle dieci diocesi, conun proprio tessuto sociale eculturale, compone il puzzle diuna comunità «viva e sinoda-le, con una forte sensibilitàper la missione» e attiva supiù fronti (Ottobre Missio-nario, Giornata dei Marti-

di LOREDANA [email protected]

VITA DI MISSIO

ri, Infanzia Missionaria, veglie di preghie-ra e campi scuola, sostegno a Istituti eprogetti, adozioni a distanza). La Sarde-gna, che «ha un legame profondo con isuoi missionari», conta sette Congrega-zioni sul territorio e tanti missionari sar-di nei vari Ordini.Sparsi per il mondo, ci sono 13 fidei do-num, 90 missionari/e ed una cinquanti-na di laici, senza contare giovani, adul-

Gente di Sardegna,con la missione dentro

Don Vincenzo Salis

Convegno Missionario Regionale a Tramatza

Seminaristi in Kenya, con il vescovo di Cagliari Arrigo Miglio

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I seminaristi sardi al Convegno di Firenze con padre Dino

Tessari (OMI) e don Carlo Rotondo, assistente spirituale

GAMIS e animatore PSRS

A pri una rivista a caso, d’estate, ela Sardegna c’è sempre. Panora-mi mozzafiato e locali mondani

sono la meta ideale dei vip e la corniceperfetta per le riviste di gossip. Lonta-ni dai resort e dagli yacht della CostaSmeralda, ci sono poi i pastori sardi, an-che loro sotto i riflettori, per la protestacontro il prezzo del latte. E c’è, infine, unavia di mezzo: «Un popolo laborioso e ac-cogliente, che sa adattarsi alle diverse si-tuazioni della vita, legato alle tradizio-ni e con una fede solida». Così descrivei sardi don Vincenzo Salis, 80 anni, no-minato segretario regionale dell’Ufficioper la Cooperazione missionaria tra leChiese della Sardegna nel dicembre2016. Un incarico che ha «accettato vo-lentieri» e che si sforza «di portareavanti nel migliore dei modi», tanto più

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A fianco:

Il vescovo delegato monsignorRoberto Carboni, dal 4 maggio 2019arcivescovo metropolita di Oristano.

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Sardegna, un cuore aperto al mondoTra i suoi punti di forza, la Chiesa missionaria sarda ha i seminaristi

del Gamis del Pontificio Seminario Regionale, giovani disponibili all’an-

nuncio e alla carità. Ecco qualche loro voce.

Convegno Missionario Nazionale dei Seminaristi(Firenze, 2-5 maggio 2019)«Grazie all’Ufficio missionario della diocesi di Ales-Terralba e a don Vin-

cenzo Salis, 16 chierici alaresi hanno partecipato ad un convegno che

ci fa aspirare a diventare, sospinti dallo Spirito Santo, sacerdoti con

la missione di essere dono completo per tutti». (Andrea Scanu)

Convegno Missionario Regionale (Tramatza, 18 settembre 2018)

«Vi ha partecipato tutto il Seminario: una bella occasione per lavora-

re insieme e inserirsi nel lavoro dei Cmd sardi, e per prepararci al MMS».

(Alessio Picconi, resp. Gamis PSRS)Viaggio missionario in Kenya (Estate 2017)

«Un’esperienza ricca che mi ha fatto assaporare la realtà missiona-

ria e respirare l’universalità della Chiesa. Vedere i missionari che si spen-

dono per il Vangelo mi ha permesso di valutare l’ipotesi di dare la mia

disponibilità al vescovo per partire come fidei donum».(Andrea Martis)

TESTIMONIANZE

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ti e seminaristi che partono per brevi pe-riodi.Sono operativi l’Organismo sardo di Vo-lontariato internazionale cristiano el’Associazione italiana Amici di Raoul Fol-lereau. A tanta vitalità, tuttavia, fa dacontraltare uno dei problemi che atta-naglia l’isola, che monsignor Roberto Car-boni, vescovo delegato, riassume così: «Ilpoco lavoro porta alla fuga dei giovani,alla riduzione sistematica della popola-zione e alla decadenza dei piccoli cen-tri che si trasformano in piazze, case,

chiese silenziose e disabitate». Continuadon Vincenzo: «Sempre più paesi divecchi. Molti funerali, pochi matrimonie natalità ridotta ai minimi storici, conripercussioni anche sul piano ecclesialee vocazionale». Anche alla luce di que-sta emergenza, «ci si propone di lavora-re per un risveglio della coscienza mis-sionaria», com’è emerso dal Convegnomissionario regionale “La missione rin-nova la Chiesa”, che si è tenuto il 30 set-tembre 2018 a Tramatza, nell’arcidioce-si di Oristano.Dopo una lunga fase preparatoria, «è sta-to uno dei più partecipati tra quelli or-ganizzati dalla Pastorale sarda, con 450presenze e il Seminario regionale alcompleto», racconta entusiasta don Sa-lis. E con proposte di équipe Cmd, gior-nate interdiocesane e Gam (Gruppi di

Don Salis, segretario regionale Ufficio per la Cooperazione missionaria tra le Chiese

grantes, i Centri di pastorale giovanile,ecc. Una particolare attenzione è rivol-ta, inoltre, al mondo giovanile. Si vorreb-be «far rinascere Missio Giovani, che inpassato andava forte, ed è in program-ma un Convegno missionario giovanileregionale per il 2020».Si passa dalle esperienze in missione agliincontri interculturali in loco, dove sonopresenti comunità straniere. Quando il se-gretario regionale era parroco a Sarda-ra, si proponevano un saggio di canti,danze e piatti etnici e una messa dome-nicale in inglese. «A volte i giovaniviaggiano, ma poi non guardano i lorocoetanei africani che vivono qui», notadon Vincenzo. Anche questa rientra trale sfide della Chiesa sarda, che fa suo loslogan: “Battezzati e inviati: la Chiesa diCristo in missione nel mondo”.

animazione missionaria).La formazione è la prima istanza dellaCommissione regionale, che si incontraquattro volte l’anno; monsignor Carbo-ni, francescano conventuale per 13 annia Cuba, è «sempre presente» e auspica piùsinergia tra le diocesi e con l’Ufficio Mi-

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N ell’enciclica Christus vivit, papa Francesco parla di “luo-ghi” dove i giovani «possano entrare e uscire liberamen-

te […] che li accolgano e dove possano recarsi spontanea-mente e con fiducia». Neanche il tempo di immaginarlo, unposto così, e si scopre che esiste già da 26 anni. È l’Epicen-tro giovanile di San Severo, in provincia di Foggia, sorto nel1993 per un’intuizione di monsignor Cesare Bonicelli. DonNico D’Amicis, a cui fu chiesto di crearlo, è tuttora il respon-sabile, «con quest’unica attività». Classe 1963, è stato ordi-nato presbitero nel 1988 in Svizzera, dove per cinque annisi è occupato dei figli di immigrati.Il Centro è aperto dalle 18.30 alle 22.30, ma lui, non essen-do parroco, «c’è sempre, in qualsiasi momento». «Tutto vie-ne proposto e niente imposto, come in un supermercato»,scherza don Nico, che ancora ricorda le parole “profetichee lungimiranti” di Bonicelli: «La Chiesa ama tutti i giovani, nonsolo quelli della parrocchia». Per questa ragione, un orato-rio non bastava. Perché «c’è chi cerca solo svago o compa-gnia». O chi è venuto a 14 anni per giocare a ping pong comeMauro Camillo e si è ritrovato, trentenne, laico fidei donumin Benin per due anni. «Ora, provo a spendere la mia vita nelservizio», racconta Mauro; rientrato nel 2015, ha ripreso il suolavoro in banca e aiuta don Nico, che sogna di «far prose-guire questa realtà sulle gambe dei laici che ne hanno com-preso lo spirito».

di Loredana Brigante

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Di fatto, però, manca la fa-scia giovanile perché,dopo le classi superiori, inmolti vanno via. Un centi-naio di adolescenti (40 ipiù assidui) con un calen-dario fitto di impegni:dalle pulizie del lunedì(«non si gioca finchénon si finisce») alle at-tività ricreative, dai la-boratori di cucina ai momenti forma-tivi e di preghiera, dai viaggi agli eventi diocesani. Fino al cam-po scuola. Si mettono in pratica le opere di misericordia conle visite alla casa di riposo e al carcere e i turni alla mensadella Caritas. Tra i volontari, c’è Chiara D’Amico, 19 anni:«Un’opportunità di riflessione, divertimento ed esperienzaper tante generazioni che ci sono passate. In paesi come ilmio, rappresenta un’alternativa alla strada».San Severo, in effetti, non è una città facile, con i suoi pro-blemi di devianza e criminalità organizzata. Così, i messag-gi di legalità passano attraverso l’ascolto diretto dei testimo-ni (don Ciotti, padre Albanese, don Patriciello, padre Zano-telli), le esperienze di volontariato a Scampia e i percorsi sul-le orme di don Tonino Bello, don Diana, ecc.Per il cammino di fede, «vado avanti a piccoli passi, seguen-do le loro richieste», prosegue don Nico, che celebra la mes-sa il sabato sera e ne spiega i passaggi: «Non capendo, cisi annoia». Il ritiro spirituale è mensile.Ogni 15 giorni, «senza fretta» l’Epicentro propone “Sulla TuaParola”. Si parte da un brano del Vangelo di Marco per ri-spondere all’esigenza di tanti ragazzi: «Tante cose non le sap-piamo perché, quando ce le dicono al Catechismo, siamopiccoli o “facciamo casino”».Insomma, una pastorale fatta a misura per loro, come solochi li ama e li conosce può fare. E che arriva dritta al cuorese Maria De Nisi, 16 anni, afferma con gratitudine: «Sentivoche nella mia vita mancava qualcosa, che non stavo facen-

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L’EPICENTRO DEIRAGAZZI DI SAN SEVEROL’EPICENTRO DEIRAGAZZI DI SAN SEVERO

Don Maurizio Patriciello, Parroco Di Caivano.

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VITA DI MISSIO

do tanto per il prossimo o per migliorare me stessa. Ora, que-sto “vuoto” l’ho riempito». C’è invece chi ancora cerca di col-marlo sui social. Per questo, ogni due giovedì, c’è il “No smar-tphone hour”: alle 20 in punto, via i telefonini per un’ora esi parla in gruppo.Un altro appuntamento è la “Serata con tè” in cui, tra una taz-za di tè ed un biscotto, si sceglie un argomento a turno. Unavolta, è andato anche il vescovo di San Severo, monsignorChecchinato, entusiasta come i suoi predecessori. Inoltre,

dal Comigi 2015, un bel gruppo partecipa costantemen-te e attivamente agli incon-tri di Missio Giovani Pugliadi cui don Nico è assisten-te spirituale. Dal 12 maggio,la nuova segreteria regiona-le è formata da MatteoFerrero e dal suo vice FabioDi Costanzo, entrambi pas-sati dalla diocesi di Natitin-

gou, nel Nord del Benin, meta missionaria dell’Epicentro dal1996.Fabio, 18 anni, è anche un alunno del professore di religio-ne D’Amicis, all’ITES “A. Fraccacreta”: «Da cinque anni, miha aperto gli occhi su una Chiesa giovane e non bigotta, fe-lice e propensa al prossimo, che esce fuori dagli schemi».Nel periodo natalizio, sono stati in Africa anche quattro mi-norenni del Centro. Per tre settimane, a 17 anni, Ciro Casso-ne, Nicola Cota, Simone Mitolo e Giuseppe Visconti hannocondiviso, nella missione di Cotiakou, un’esperienza che “la-scia il segno” (https://www.epicentrogiovanile.it/missio-ne-di-cotiakou-le-testimonianze-dei-ragazzi). C’è una fotodi don Nico davanti a un pozzo artesiano. Mentre spiegache «spingendo il pedale, l’acqua sale e si possono riem-pire i contenitori», il pensiero corre subito a lui, che all’Epi-centro “spinge” infaticabile sui cuori dei suoi ragazzi e li dis-seta. Per poi scoprire che sono loro stessi pozzi profondie pieni di acqua che dà vita.

Mauro Camillo,laico fidei domunin Benin.

Don Nico D’Amicis, creatoree responsabile dell’Epicentrogiovanile di San Severo.

Un momento di“Serata con tè”.

La tomba di don Giuseppe Diana.

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L U G L I O - A G O S T O

I N T E N Z I O N I D I P R E G H I E R AM

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di MARIO [email protected]

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La famiglia umanadeve salvarela sua casa

S acchetti di plastica, palloni, scarpe, materiali di im-ballaggio e tanto altro ancora: se non smaltiamo i ri-

fiuti a regola d'arte, prima o poi vanno a finire in mare.In particolare la plastica, materiale non biodegradabile,rischia di essere ingerita da balene, gabbiani, tartarughemarine e altri animali. Una volta in mare, però, i rifiu-ti possono anche tornare sulla terraferma sospinti dal mo-vimento delle onde, e inquinare così spiagge e altre zonecostiere.Ogni anno si stima che finiscano nelle acque marine dai4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Secon-do stime attendibili, nei mari sono finiti in questi ulti-mi anni almeno 86 milioni di tonnellate di plastica, dicui una buona parte si è depositata sui fondali. La respon-sabilità di proteggere gli oceani e i mari dall’incuria de-gli uomini non può essere delegata a un solo organismosia pur autorevole a livello mondiale. Occorre cambia-re strategia, ovvero sviluppare un gioco di squadra inter-nazionale, in cui politici, scienziati ed economisti di di-versi Paesi, animati dal trovare una soluzione al proble-ma, mettano insieme le loro competenze per garantireuno sbocco positivo ad una realtà sempre più difficile daaffrontare e risolvere. Un’urgenza da inserire negli appun-tamenti dei vari G7 o G8 previsti prossimamente.

D a sempre i cristiani hanno avuto un’attenzione tutta par-ticolare nei riguardi della famiglia e a cuore la sua im-

portanza per il mondo di oggi e per il futuro dell’umanità. Cista a cuore la famiglia come forza moltiplicatrice della gioia,perché la gioia vogliamo moltiplicarla. Ci sta a cuore la fami-glia come spazio di amore, di relazioni autentiche nel qualei dubbi e le paure più profonde possono trovare parola, dovele fatiche della vita possono essere comprese e accompagna-te. Ci sta a cuore la famiglia come luogo in cui si condivido-no le pesantezze e insieme si gustano le gioie più autentiche.Ci sta a cuore la famiglia, una strada che può essere percor-sa solo insieme, senza lasciare indietro nessuno, regolando ilpasso con quello di chi va più lento e di chi ha più pesi da por-tare. Ci sta a cuore una famiglia che faccia sentire tutti “a casa”.Che insegni l’arte di far sedere intorno alla tavola ogni per-sona perché ama condividere il pane. Una famiglia che vivel’intimità della casa non come una barriera nei confronti delmondo, ma come un cuore pulsante che genera relazioni, creasolidarietà, educa alla responsabilità. Grazie alla loro testimo-nianza di preghiera e d’amore, le famiglie cristiane sono sem-pre più nella nostra società autentici laboratori di umanizza-zione.

“““

“LUGLIOPERCHÉ I POLITICI, GLI SCIENZIATI E GLIECONOMISTI LAVORINO INSIEME PER LAPROTEZIONE DEI MARI E DEGLI OCEANI AGOSTO

PERCHÉ LE FAMIGLIE, GRAZIE AD UNA VITA DIPREGHIERA E D’AMORE, DIVENGANO SEMPRE PIÙLABORATORI DI UMANIZZAZIONE

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I N S E R T O P U M

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di GAETANO [email protected]

L e distanze da qui a New Yorkormai non ci sono più. Infat-ti incontro via web padre Pe-

ter Polo, mi metto in ascolto della suavita interamente dedicata alla missio-ne, che continua ancora in un modoparticolare, accanto a confratelli chehanno dedicato la vocazione all’acco-glienza e alla cura degli italiani emi-grati all’estero. Sembrano tempi lon-tani e andati, invece sono temi che ciriguardano ancora oggi.«Sono di razza contadina della Pede-montana veneta, sotto le pendici delMonte Grappa. Dopo l’ordinazionenel 1968, fui assegnato alla provinciaSan Carlo Borromeo che comprendela parte Est del Nord America e orainclude anche le Isole Caraibiche, ilVenezuela e la Colombia. Fui subitoassegnato alla comunità di emigran-ti italiani e italoamericani di Utica,nella parte centrale dello Stato di NewYork. Insegnai latino e italiano nel Se-minario minore della diocesi di Broo-klyn per alcuni anni e, per poter in-segnare validamente, dovetti fornir-mi di un master che presi presso ilQueens College. Fui poi assegnatoalla parrocchia di Pompei nel

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

Ogni missionarioè patrimoniodell’umanità

»

Padre Peter Polo con i confratelliscalabriniani ospiti nella casa di cura.

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Greenwich Village di Manhattan e poia Boston alla parrocchia del SacroCuore nel North End e alla parroc-chia dello Spirito Santo. Fui nomina-to parroco durante gli ultimi sei annidella mia permanenza e poi fui chia-mato a New York per far parte delladirezione provinciale come economo.Nel 1998 fui scelto come delegato alCapitolo generale a Roma e dallo stes-so Capitolo fui eletto alla dire-zione generale della Congrega-zione. Servii a Roma come se-gretario generale dal 1998 al2009, svolgendo anche altri in-carichi come l’animazione deilaici Scalabriniani nel mondo».Dentro a questo grande volumedi attività e impegni succedequalcosa di inaspettato; eppurepadre Polo ritrova forza e corag-gio per ripartire. «Purtroppoin agosto 2007, fui colpito da unictus. Dopo terapie e varie cure,fui inviato a Bassano del Grap-pa nel 2009 presso la Casa Sca-labrini per riposo e terapia. E nel2010 mi fu chiesto se fossi sta-to interessato a ritornare nellamia provincia di origine, cioè San Car-lo Borromeo nel Nord America. Orami trovo a Scalabrini Villa, cioè unacasa di cura per anziani, come cappel-lano e animatore pastorale. Sono an-che coinvolto con la comunità italia-na che già conoscevo e con la vita del-la diocesi di Providence. Qui operopastoralmente assieme a tre suore fi-lippine e con volontari laici. La casadi cura raccoglie 120 residenti con unnumero di circa 140 impiegati divi-si in tre turni. Oltre a questi impegni,coordino il Centro Scalabrini-Duk-cevich che offre assistenza a nuovi im-migrati e alle loro famiglie con variprogrammi e classi per favorire il loro

inserimento. La maggioranza è di lin-gua ispanica e proveniente dal Cen-tro e Sud America».La giornata di padre Peter è intensa,soprattutto per il contatto quotidia-no con i tanti missionari che hannoconcluso il ministero attivo.Comprendo che non c’è una “fine delservizio”, ma come vivere questo pas-saggio importante della propria vita

e come far sì che il proprio ministe-ro sia sempre fecondo?«La casa di cura dove mi trovo ospi-ta alcuni sacerdoti Scalabriniani di ori-gine italiana e una piccola comunitàdi religiose anziane. L’ambiente per-mette ai missionari di “riconsegnare”le loro memorie ai più giovani. Io stes-so molte volte mi sono seduto accan-to a loro, sono testimone di quantohanno imparato dalla vita e come an-cora hanno desiderio di comunicaread altri, come lezione importante diuna vita lunga e a volte dura e prova-ta dalle varie vicende dei Paesi in cuinoi Scalabriniani operiamo a favoredei migranti».

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Lei è in Nord America, una terra cheha una storia importante, fatta digente magnifica ma anche di tantesituazioni contraddittorie. Quantoè importante il rispetto delle cultu-re e della storia?«Sì, il Nord America è un pianeta di-versissimo. Si va dal Canada (metàfrancofono e metà anglofono) agliStati Uniti che sono la potenza pre-

dominante e infine al Messicoche ha una storia affascinante.Ci vuole poco a rendersi contoche il Canada e gli Stati Uniti,anche se per diverse ragionipolitiche e storiche, sono dueambienti sociali culturalmenteinterdipendenti. Il movimentofra Canada e Stati Uniti è rela-tivamente facile. Un temponon occorreva nemmeno il pas-saporto, bastava solo la patente.Ora il passaporto è richiesto. Ba-sta camminare per ogni città diquesta parte anglofona del NordAmerica per rendersi conto chegli individui che si incontranohanno un andamento general-mente rilassato e allegro, dove il

sorriso è naturale e dove gli incon-tri sono sempre cordiali ed espansi-vi. Si sentono varie lingue ma si pas-sa da una all’altra senza difficoltà.Questa è la cultura dove entrano inuovi migranti che vengono dalCentro e Sud America e anche alcu-ni nuovi che vengono dall’Italia e daaltre nazioni europee. Ultimamen-te (come in Europa) i conflitti ideo-logici fra sinistra e destra si sono ina-spriti a tal punto da rendere a voltedifficile anche il contatto umano fraamici e membri della stessa famiglia.L’avvento del presidente Trump hareso questo molto evidente e fino adoggi gran parte dei seguaci della si-

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Padre Peter con il vescovoausiliare di Providence.

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ed emigrazione (sono due secoliormai che gli italiani emigranodove trovano un approdo e un’op-portunità di sviluppo e di miglio-ramento personale o di aperturadi vedute). L’Italia è ricchissima diuna cultura che non può esserescalfita o danneggiata dai mi-granti ma è fatta per nutrire nuo-ve genti e nuovi popoli come è av-venuto da secoli. La cultura me-diterranea, che include piena-mente l’Italia, ha nutrito il mon-do intero da secoli e secoli fino adoggi. La Chiesa ha una missionesu questi campi così immensi. Sot-to la guida di papa Francesco sistanno compiendo passi profeti-ci per spianare il futuro e toglie-re le erbacce dell’odio e del pre-giudizio e permettere a questi nuo-vi semi che la Divina Provviden-za ci manda da fuori, di germo-

gliare e di creare nuovi campi. Que-sta era essenzialmente l’intuizioneprofetica di Scalabrini».

ma c’è dentro ciascuno lo spirito diScalabrini che ci rende fratelli e com-pagni di viaggio insieme ai migran-ti».

Con i suoi occhi da “emigrante”,come vede il boom migratorio versol’Italia? Quali suggerimenti nell’ac-coglienza, in un clima così spessoostile?«Soffro quando tanto dall’Italia edall’Europa come anche da questaparte dell’Oceano, sento ostilità e pre-giudizi nei riguardi dei migranti, so-prattutto conoscendo de visu glienormi sacrifici che devono affronta-re e i pericoli a cui si sottopongonopur di uscire da ambienti dove la vitaumana diventa impossibile. L’Italia, inparticolare, deve ricordare che è sta-ta per secoli un Paese di immigrazio-ne (le cosiddette invasioni barbariche)

nistra democratica non lo accet-tano».

Chissà quante persone ha in-contrato negli anni del suoministero. Come vede le nuo-ve generazioni?«Incontro persone meraviglioseche vengono da varie parti delmondo con storie forti e parti-colari, non sempre facili, il piùdelle volte di persecuzione, op-pressione e sofferenza. I figli deinuovi migranti danno un sensodi speranza che è quasi contagio-sa. Sognano e non hanno pau-ra. Lavorano e sono contenti diaverne l’opportunità. Li vedoimpegnati, sempre sotto pressio-ne e coinvolti non solo nel lorocampo di lavoro ma anche nel-la società per creare nuove aper-ture culturali ed educative».

Come si sono evoluti i flussi migra-tori in questi decenni? La sua con-gregazione come è riuscita a cambia-re pelle, mantenendo sempre intat-to il proprio carisma?«Il beato Scalabrini diceva: “La migra-zione umana è un fattore naturale estorico e non può essere né forzato néimpedito ma solo regolato per ilbene dei migranti. Se ben gestito puòportare grandi benefici ai Paesi ospi-tanti”. L’uomo non cesserà mai diemigrare perché ci saranno semprecause (guerre, violenze, catastrofi na-turali o semplicemente la volontà dimigliorarsi) e occasioni che attiranoun migrante verso un futuro miglio-re. Noi stiamo cambiando all’internodella nostra comunità con missiona-ri che vengono da etnie nuove. Noiitaliani siamo ormai pochi. Le fattez-ze e le fisionomie non sono europee

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I N S E R T O P U M

Con un gruppo di emigrati italiani.

Padre Polo con padre Leonir Chiarello, superioregenerale dei missionari scalabriniani.

La facciata del centro scalabriniano, dovevengono accolte famiglie ispano americaneprovenienti dal Centro e Sud America.

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17a EDIZIONE DELLEGIORNATE NAZIONALI DI

FORMAZIONE E SPIRITUALITÀ MISSIONARIA

Domus PacisSanta Maria degli Angeli - Assisi

29 agosto - 1 settembre 2019

IL FUOCO DELLO SPIRITOE LA PAROLA CHE SALVA

BATTEZZATIe INVIATI