MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA · 2017. 9. 14. · MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE...

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito ANNO XXVII APRILE 2013 4 DOSSIER Cultura missionaria Emi insider FOCUS Erri De Luca Operaio della scrittura Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 ATTUALITÀ Argentina Tra i poveri d Habemus Papam FRANCESCO Habemus Papam FRANCESCO el Chaco

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  • M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

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    ANNO XXVII

    APRILE2013 4

    DOSSIERCultura missionariaEmi insider

    FOCUSErri De LucaOperaio della scrittura

    Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

    ATTUALITÀArgentinaTra i poveri d

    Habemus Papam

    FRANCESCOHabemus Papam

    FRANCESCO

    el Chaco

  • MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): GIOVANNI ATTILIO CESENALa rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Mario Bandera,Roberto Bàrbera, Marco Benedettelli, Roberto Catalano, Francesco Ceriotti, Azia Ciairano Franz Coriasco, Francesca Lancini, Martina Luise, Luciana Maci, Paolo Manzo, Pier Maria Mazzola, Enzo Nucci, Cecilia Peduzzi, Alfonso Raimo,Fabio Riccardi, Filippo Rizzatello, Alex Zappalà, Raffaello Zordan. Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Afp Photo / Filippo Monteforte.Foto: Afp Photo / Str, Afp Photo / Phil Moore, Afp Photo / Marco Longari, Afp Photo /Gabriel Bouys, Afp Photo / Simon Maina, Afp Photo / Martin Bernetti, Afp Photo / PeterParchi, Afp Photo / Mustafa Abdi, Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Sia Kambou,Afp Photo / Giuseppe Cacace, Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Vincenzo Pinto,Afp Photo / Osservatore Romano", Giulio Albanese, Giuseppe Andreozzi, Ansesgob,Gianni Cesena, Paolo Manzo, Roberto Catalano, Ugo Pozzoli, PHplus, Archivio EMI, Erri De Luca, Fe Y Alegria, Archivio Missio, Amedeo Cristino, Cecilia Peduzzi, Carlo Montedoro, Filippo Rizzatello, Ed Insieme di Renato Brucoli, Eugenio Di Giovine.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato aPopoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e MissioneCod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT)Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

    Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 25-03-2013Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

    Fondazione MissioSezione Pontificie Opere Missionarie

    Via Aurelia, 796 - 00165 Roma

    Don Giovanni Attilio Cesena, DirettoreDr. Tommaso Galizia, Vice DirettoreDon Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazionedella Fede (C.C.P. 63062723)Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855)

    Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06 6650261Amministrazione 06 66502628/9P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6P. Unione Missionaria 06 66502674Missio Giovani 06 66502640Opera Apostolica 06 66502641Fax 06 66410314

    “Popoli e Missione”Centralino 06 6650261Direzione e Redazione 06 66502623/4Segreteria 06 66502678Settore abbonamenti 06 66502632Fax 06 66410314

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    PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESELa Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:

    PER UN LEGATO· di beni mobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzio-nali dell'Ente».

    · di beni immobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».

    Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])

    PER UNA EREDITÀ«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sedea Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specifi-care quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni miaprecedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione chesia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inol-tre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cogno-me del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamentoviene scritto.

    INTENZIONI SS. MESSE

    l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzionedelle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

    Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

  • 1P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    G razie al coraggio di BenedettoXVI, ora abbiamo Francesco,come 266esimo successore diPietro, primo papa non europeo dopo1272 anni (l’ultimo papa non europeoè stato Gregorio III, siriano, morto nel741). Appena uscito dalla clausura delConclave, Francesco ha fatto breccianel cuore della gente.Non solo dei fedeli convenuti sotto lapioggia a Piazza San Pietro, ma davverofino agli estremi confini. Infrangendole previsioni dei giornalisti vaticanisti,lo Spirito Santo ha fatto rivivere allaChiesa una nuova Pentecoste. In effetti,il mese scorso, in piena Quaresima,quasi contravvenendo al ritmo del-l’anno liturgico, siamo stati testimonidi un evento pasquale che segnerà, cer-tamente, l’agognato cambiamento.Quello che riguarda i nostri comporta-menti e, soprattutto, il nostro modo diessere seguaci di Cristo. Il cammino erastato indicato con umiltà da papa Rat-zinger, il quale passerà alla storia per ilsuo coraggio, non di “desacralizzare” ilministero petrino come qualcuno haerroneamente pensato e scritto, ma di“demitizzarlo”, restituendolo alla suaoriginale matrice, quella del suo pecu-liare servizio alla Chiesa di Cristo.Gesuita, argentino di origini italiane,Jorge Mario Bergoglio, la sera del 13marzo, indossava la talare bianca e una

    croce di ferro. Affacciandosi dalla log-gia centrale della basilica, il suo sguardosprizzava sobrietà e pacatezza. Augu-rando ai presenti un conviviale e percerti versi disarmante “buona sera” atutti, ha parlato a braccio con sempli-cità e immediatezza, riuscendo col sor-riso ad andare al di là di ogni formali-smo. Il nome che ha scelto per il suopontificato la dice lunga, evocando lospirito del poverello d’Assisi, ma anchequello di Francesco Saverio, apostolodelle Indie. Invocando la comunionecon tutte le Chiese nel mondo, comevescovo dell’Urbe, ha chiesto la pre-ghiera del popolo, per essere fino infondo primus inter pares (primo tra ipari), all’insegna della fraternità uni-versale. C’era davvero bisogno di un pa-store come lui, in questo nostro tempo,segnato da una crescente crisi di valori,anche all’interno delle nostre comunità.L’abbiamo scritto tante volte nei nostrieditoriali: occorre voltare pagina esiamo certi che il rilancio della missione,di cui papa Francesco s’è già fatto in-terprete, sarà un compito condiviso, ri-volto alla periferia, dove i poveri vivonoimmersi nei bassifondi della Storia. Maora che habemus Papam, occorre pas-sare dalle parole ai fatti, mettendo inpratica la Parola di Dio e facendo tesorodel dettato conciliare, quello del Vati-cano II, che troppe volte, dobbiamo

    EDITORIALE

    Habemus Papam,

    di GIULIO [email protected]

    (Segue a pag. 2)

    »

    Deo gratiasDeo gratias

  • 8

    Indice

    EDITORIALE

    1 _ Habemus Papam, Deo gratiasdi Giulio Albanese

    PRIMO PIANO

    4 _ Don Tonino Bello a 20 anni dalla morteIn piedi costruttori di pace!di Chiara Pellicci

    ATTUALITÀ

    8 _ Guinea BissauTra narcos e malgovernodi Fabio Riccardi

    11 _ Viaggio in ArgentinaNel Chaco, tra i poveri di Resistenciadi Paolo Manzo

    FOCUS

    14 _ Erri De LucaOperaio della scritturadi Miela Fagiolo D’Attilia

    L’INCHIESTA

    18 _ Energie rinnovabili e businessPechino alla conquista del sole d’Africadi Ilaria De Bonis

    SCATTI DAL MONDO

    22 _ Benvenuto al nuovo vescovo di RomaA cura di Emanuela PicchieriniTesto di Pierluigi Natalia

    PANORAMA

    26 _ Incidenti d’auto, flagello d’Africa di Luciana Maci

    DOSSIER

    29 _ Quaranta anni di cultura missionariaEmi insiderdi Pier Maria Mazzola

    37 _ Filo diretto con l’economia“Secondo welfare” e lotta alla povertà di Ilaria De Bonis

    4

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    DON MICHELE AUTUORONUOVO DIRETTORE MISSIODon Michele Autuoro è stato nominatodirettore dell’Ufficio per la Cooperazionemissionaria tra le Chiese della Cei. È dun-que anche direttore generale di Missio, anorma dell’ar t.7 dello statuto internodella fondazione. Il sacerdote ha 47 annied è parroco di S. Maria della Mercede diSant’Orsola a Chiaia (diocesi di Napoli).Don Autuoro succede così a Don GianniCesena, direttore uscente di Missio.

    confessarlo, abbiamo lasciato nelcassetto. Siamo, dunque, orgo-gliosi di averlo come guida neldifficile cammino che la societàplanetaria sta attraversando. Lagente ha fame e sete di Dio echiede di essere confermata nel-la fede. Ma solo riacquistandocredibilità saremo in grado di cor-rispondere al Mandatum novumdi Nostro Signore, quel precettodell’amore di cui i nostri missio-nari sono testimoni, in giro per ilmondo. E guardando a papaFrancesco e a tutti loro, siamoconvinti che abbiamo ancoramolto da imparare. Si tratta so-prattutto di prendere coscienzadelle proprie responsabilità bat-tesimali, assumendo atteggia-menti protesi all’ascolto, al dia-logo e al servizio. Non dunque uncristianesimo algido e ingessato,arroccato solo e unicamente suposizioni dottrinali, ma inclusivo,capace di trasformare il mondocon la forza della testimonianza.Perciò dopo il tonante extra om-nes è il caso di augurarsi intraomnes, “tutti dentro”, spalancan-do le porte del proprio cuore alCristo risorto.

    (Segue a pag. 2)

  • VITA DI MISSIO

    58 _ Missio RagazziTutti a convegnoa cura di Chiara Pellicci

    61 _ Missio GiovaniChiamati a seguirlo di Alex Zappalà

    62 _ Intenzione missionariaLa speranza che non deludedi Francesco Ceriotti

    63 _ Inserto PUMMissione nella gioiadi Alfonso Raimo

    MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

    38 _ Vita di slumThai e baraccopoli a Bangkokdi Roberto Catalano

    41 _ Educazione dei giovani in America LatinaFe y Alegriaun’onda di energiadi Paolo Manzo

    44 _ MutamentiMedioevo digitaleUn futuro senza memoria?di Luciana Maci

    46 _ L’altra edicolaTensioni interreligioseZanzibar, paradiso amarodi Ilaria De Bonis

    49 _ Posta dei missionariDa Milano al Niger e viceversaa cura di Chiara Pellicci

    RUBRICHE

    52 _ ControcorrenteI missionari e la cannada pescadi Mario Bandera

    53 _ MusicaUn uragano di musicadi Franz Coriasco

    54 _ LibriIl flauto del pastoredi Chiara Anguissola

    54 _ La fede passa da internetdi Martina Luise

    55 _ Riflessioni sull’esistenzadi Martina Luise

    55 _ Storia di un leaderdi Marco Benedettelli

    56 _ Ciak dal mondoRe della terra selvaggiaLa legge della sopravvivenzadi Miela Fagiolo D’Attilia

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    OSSERVATORI

    AMERICA LATINA PAG. 6L’insostenibile peso del petroliodi Paolo Manzo

    MEDIO ORIENTE PAG. 17Il terrore di Re Abdallahdi Ilaria De Bonis

    GOOD NEWS PAG. 19I frutti cinesi dell’Anno della Fededi Chiara Pellicci

    AFRICA PAG. 21Pirati della Somaliadi Enzo Nucci

    BALCANI PAG. 28Atene dissanguatadi Roberto Bàrbera

    ASIA PAG. 39Perseguitatidi Francesca Lancini

  • 4 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    PRIMO PIANO Don Tonino Bello a 20 anni dalla morte

    «P iù che un film su don Tonino,questo è un film da don Toni-no» parola di Carlo Montedoro,referente regionale della Puglia per PaxChristi, e collaboratore alla produzionedel docufilm appena uscito su monsignorBello, vescovo di Molfetta. In occasionedel 20esimo anniversario del suo diesnatalis – era il 20 aprile 1993 – il movi-mento cattolico internazionale per lapace, di cui don Tonino Bello è stato

    presidente nazionale dal novembre 1985alla morte, ha voluto realizzare un me-diometraggio per divulgare pensiero eopera di un vescovo che ha semprevoluto essere chiamato “don”, anziché“monsignore” (per rinunciare ai «segnidel potere» e far parlare il «potere deisegni», come lui stesso amava dire); hascelto la croce vescovile in legno d’olivoe per anello la fede di sua madre; non hamai avuto persone al suo servizio; hadato ospitalità in episcopio agli sfrattati;ha aperto un centro di accoglienza perimmigrati con una piccola moschea per

    i fratelli musulmani… e tanto altro. Sudon Tonino Bello la bibliografia contagià centinaia e centinaia di opere; la fil-mografia molte meno. Quello che “L’animaattesa” ha appena regalato al pubblico -il medio metraggio è stato presentato loscorso 19 marzo in prima visione alBif&st, il Bari International Film Festival,terza vetrina italiana del cinema, dopoVenezia e Roma - è un “film di finzione”(chiamato più comunemente fiction) cheparte dalle suggestioni di don Tonino ele attualizza ai nostri giorni, in una storiascritta dal regista salentino Edoardo Win-speare e interpretata da attori profes-sionisti come Carlo Bruni e Nunzia An-tonino. Non si tratta di un lavoro a ca-rattere biografico, ma di un’opera sulpensiero e l’azione di don Tonino, sia sulpiano della denuncia nei confronti di unmodello economico ingiusto e fuori con-trollo «che – usando parole da lui pro-nunciate a Verona il 30 aprile 1989 -produce dipendenza, fame, miseria neiSud del mondo e la distruzione dell’am-biente naturale», sia sul piano dell’an-

    All’ingresso dell’emiciclo che abbraccia la tomba di don Tonino Bello campeggia

    la scritta con l’esortazione che era solito ripeterespesso: “In piedi costruttori di pace!”.

    In piediIn piedicostruttori

    di pace!di CHIARA PELLICCI

    [email protected]

  • 5P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Sopra:

    La campagna “Adotta un fotogramma per don Tonino Bello” ha permesso la realizzazionedel medio metraggio coinvolgendo centinaia ecentinaia di persone che hanno contribuitoeconomicamente a quest’opera.

    Il 20 aprile 1993, a soli 58 anni, gli occhi di donTonino Bello, vescovo di Molfetta, si chiudonoalla terra e si aprono al cielo. Con la suascomparsa, però, non esce di scena una figura di fede,attenta ai bisognosi, innamorata della pace, appassionatadi umanità. Piuttosto prende ancora più forza il suo mottoepiscopale: “Ascoltino gli umili e si rallegrino”. Lo dimostrano la fama di santità che si è diffusa tra i fedeli(è in corso la causa di beatificazione) e il successo dellacampagna “Adotta un fotogramma per don Tonino Bello”che ha permesso la realizzazione del film “L’anima attesa”.

    don Bello e nella singolare parte di unangelo. L’emiciclo che sembra abbracciarele spoglie di don Tonino svela la chiavedi lettura e le modalità attuate per laproduzione del medio metraggio: centinaiae centinaia di persone hanno contribuitoalle spese, adottando un fotogramma.Un modo per far sì che non solo i conte-nuti, ma anche la produzione dell’operaparlasse di lui, inducendo a fare rete,condividendo un sogno.Il primo soggetto ad entrare in questaavventura è stata Banca Etica: «Ci piacericordarlo – spiega Carlo Montedoro -perché una banca che sostiene un progettoche parte dal basso, dal sano principioche l’economia deve essere al serviziodell’uomo, ci sembra una delle tantetessere che compongono il mosaico

    Quello che “L’animaattesa” ha appenaregalato al pubblico è un “film di finzione”che parte dallesuggestioni di donTonino e le attualizzaai nostri giorni.

    nuncio per favorire un radicale cambia-mento dei modelli di sviluppo e riportarel’uomo al centro di ogni scelta. Il filmsottolinea anche il particolare legametra don Tonino e la terra di Puglia, madree nutrice della sua poesia e della suaforza di cambiamento,con le tante contrad-dizioni e le ineguaglia-bili ricchezze.

    UN PICCOLO GRANDEMIRACOLOIl “vescovo dei poverie dei giovani” è sepoltonella sua terra natale,ad Alessano, un paesedel Salento meridio-nale. Lo ha desideratolui stesso, scegliendo«la nuda terra, comegli antichi patriarchi»– diceva – e accantoalla sua mamma. Per isalentini il legame conla terra d’origine è mol-to forte e lo è ancoradi più per chi vive nellazona del Capo di Leuca,luogo del “finis terrae”,dove finisce l’Italia epoi c’è solo il mare. Latomba si trova al centro di un piccoloanfiteatro per ricordare che don Toninoera ed è sempre “in mezzo” alla gente,non semplicemente “con” o “tra” la gente,

    »

    impastato e profumato di umanità.Il luogo della sepoltura di don Toninocompare anche nel film, accanto ad unbambino con la fisarmonica (strumentoche il vescovo non ha mai smesso disuonare), dalle sembianze identiche a

  • PRIMO PIANO

    ha permesso che l’opera si realizzassepartendo davvero dal nulla».

    L’ONU DEI POPOLIIn Puglia non sono pochi coloro chehanno conosciuto personalmente donTonino Bello. Carlo e Gemma sono traquesti. Pur essendo oggi marito e moglie,lo hanno incontrato separatamente, daragazzi: lui durante il servizio civile inCaritas; lei in parrocchia. Momenti ordinari,ma riempiti dalla forza dirompente dellasemplicità di quel vescovo, che conqui-stava i cuori di chi lo incontrava.Il ricordo e gli insegnamenti di don Bellosono indelebili anche in chi ha vissutocon lui una delle esperienze più intensee difficili della sua vita: la “Marcia dei500” in una Sarajevo assediata dai serbinel dicembre 1992. Don Tonino era statooperato di tumore allo stomaco un annoprima e le sue condizioni di salute nonerano stabili. Quel giorno, però, sullabanchina del porto di Ancona dove si ri-trovarono i pacifisti in partenza, c’eraanche lui. Uomini e donne di ogni età,fede, credo politico, rimasero stupiti:«Sarei venuto anche con le flebo» dissecon gli occhi pieni di luce. Mario Cian-

    della pace». Poi moltissima altra genteha contribuito alla realizzazione dell’opera.«Ricordo una signora nei pressi di un su-permercato – continua Gemma D’Am-brosio, moglie di Carlo, anche lei delPunto Pace Pax Christi di Bari - cheaveva in tasca solo 10 euro per la spesa.Senza esitazione ci ha detto: “La spesala farò un’altra volta, ora è importantecontribuire per far conoscere il più pos-sibile don Tonino”. E poi i rappresentantidei genitori di una scuola primaria diBari, in prossimità del Natale scorso,hanno donato 124 euro, cifra non “ar-rotondata”: quei 4 euro danno la misuradi quanti hanno desiderato sentirsi pro-tagonisti di questa esperienza». Ma tragli adottanti dei fotogrammi ci sonoanche comunità parrocchiali, gruppi, as-sociazioni cattoliche e non. Persino artistiche hanno offerto una replica del lorospettacolo per raccogliere fondi. «Insomma– conclude Carlo - un piccolo “miracolo”

    6 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Sotto:

    Una scena del film “L’anima attesa” prodottoda Pax Christi Italia (con la regia di Edoardo

    Winspeare) in occasione del 20esimoanniversario della morte di don Tonino Bello.

    L’ economia verde? Potrebbe essere lasoluzione per uscire dalla crisi in unmondo sempre più inquinato se è veroche, nel solo Brasile, la green economycrea in media tre milioni di nuovi posti dilavoro l’anno. Questi e molti altri dati sonocontenuti nell’ultimo studio pubblicato dal-l’Organizzazione internazionale del lavoro(Oil), dal titolo “La sfida della promozionedelle imprese sostenibili in America Latinae nei Caraibi”.Secondo l’organizzazione dell’Onu trasfor-mare il sistema produttivo in modo soste-nibile servirebbe non solo a preservarel’ambiente ma, contrariamente a quantosostenuto sino ad oggi da molti analistilegati al “modello petrolifero”, aumenterebbeutili delle imprese ed occupazione. Per l’Oilil settore privato genera circa 200 milionidi posti di lavoro nella regione latinoame-ricana e caraibica, dando vita a 59 milionidi imprese, la maggior parte delle qualisono microimprese. E se i due giganti lati-noamericani, ossia il Messico ed il Brasile,potranno ridurre di un terzo le emissionidi anidride carbonica entro il 2030 conuna produzione sostenibile e creando nuoviposti di lavoro, lo studio dell’Oil lancia al-meno due allarmi urgenti. Il primo riguardale foreste dal momento che, tra il 2000 e il2010, l’America Latina ha letteralmente bru-ciato quattro milioni di ettari di boschil’anno: un rischio enorme non solo perl’ambiente ma anche per la futura crescitasostenibile di Paesi come Brasile, Messico,Guyana, Paraguay, Bolivia e Cile che, propriodalla green economy , traggono più vantaggi.Il secondo allarme, invece, è sullo smalti-mento dei rifiuti solidi. Fatta eccezione perla Colombia, infatti, dove chi ricicla l’im-mondizia è stato riconosciuto per leggecome imprenditore ottenendo una serie divantaggi, gli altri Paesi sono ancora indietroanni luce e rischiano di vedere le loro areeurbane periferiche sommerse da rifiuti.

    di Paolo Manzo

    L’INSOSTENIBILE PESO DEL PETROLIO

    OSSERVATORIO

    AMERICALATINA

  • masero un po’ perplessi del suo atteg-giamento – confessa Ciancarella – e luise ne accorse. Ma continuò imperterrito.Poi, durante l’omelia della Messa celebratasulla nave nel viaggio di ritorno, spiegò:“Il Natale non è quello che siamo soliti

    vivere noi cristiani, alzandocialle 10 di mattina per poiabbuffarsi in un pranzo diinterminabili ore. Il Nataleè la precipitazione dell’im-possibile nella storia del-l’uomo. Quale migliore au-gurio per queste persone?”.Allora ci costrinse a guardarela costa che si stava allon-tanando e a gridare tuttiinsieme: “Buon Natale, Sa-

    rajevo!”. In quella Messa, a cui don Toninovolle con forza che partecipassimo tutti,mentre i cattolici ricevevano l’eucaristia,i non credenti furono invitati a spezzare,condividere e consumare il pane che gliabitanti di Sarajevo ci avevano regalatocome saluto e ringraziamento» concludeCiancarella con l’immagine ancora stam-pata negli occhi.

    DON TONINO, SERVO DI DIO“Ascoltino gli umili e si rallegrino”: eraquesto il motto episcopale di don ToninoBello. Esortazione più che attesa, sia du-rante la sua breve vita, sia nei 20 annidalla morte. Lo conferma anche donMimmo Amato, sacerdote della diocesidi Molfetta e vice postulatore della causadi beatificazione del vescovo: «Cinqueanni fa si è aperto il processo per una

    forte fama di santità diffusatra i fedeli. Man mano che siva avanti, la testimonianzaevangelica di don Tonino sidiffonde anche a chi non l’haconosciuto personalmente ediventa per tanti un vero rife-rimento per la propria vita spi-rituale. Lui è stato un vescovodel post-Concilio (Vaticano II,ndr), che ha attuato in pienezzae in concreto nella sua diocesii dettami conciliari: un testi-

    mone di santità». La fase diocesana delprocesso, con la raccolta di materialeappartenuto a don Tonino (lettere, ma-noscritti, ecc.) e l’ascolto di testimoni,dovrebbe concludersi entro la fine diquest’anno: «Il materiale che arriva dallaPuglia, dal resto d’Italia e persino davarie parti del mondo è tantissimo», con-fessa don Mimmo Amato. A dimostrazionedi come la fama di don Tonino oltrepassii confini nazionali basti fare l’esempio diun’ultima, in ordine di tempo, pubblica-zione di suoi scritti tradotti in ungherese,grazie ad un sacerdote rimasto affascinatodal suo messaggio.Anche nella sua diocesi c’è una forteattesa per l’esito della causa: tutte leparrocchie pregano quotidianamente atal fine e non mancano occasioni specialiper ricordare la figura di questo “servodi Dio”. Per i più giovani sono statemesse a punto due attività: un musicalprodotto dalla diocesi e inscenato dairagazzi di Molfetta e dintorni; un progettodal titolo “Conosci don Tonino?” a cuihanno aderito tutte le scuole con video,disegni, poesie, scritti ispirati dalla suafigura. Un modo per far conoscere ilmessaggio di questo uomo straordinarioe rinnovarne la memoria nei giovani.Perché diventino costruttori di pace.

    carella era uno dei 500 che parteciparonoall’“Onu dei popoli”: «Nella Messa allavigilia dell’ingresso in città, don Toninoci introdusse all’idea di poter perdere lavita: lo fece senza retorica, senza eroismo,ma con una grande consapevolezza del-l’essere cristiano». Anche du-rante l’attesa di ottenere ilpermesso di entrare in città,don Tonino non perdeva tem-po per incontrare, ascoltare,comprendere, stare accanto.Né si accontentava del parlaredi pace: sentiva l’esigenza direnderla visibile nelle azioni.Aveva la capacità di stare vi-cino ai non credenti senzapaternalismi: i suoi gesti eranoveri e le sue parole pure. Fino ad ostinarsiad augurare «Buon Natale!» a tutti, la-sciando Sarajevo: c’erano cristiani, maanche musulmani, ebrei e non credenti,diseredati, disperati. «Molti dei 500 ri-

    Don Tonino Bello a 20 anni dalla morte

    7P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    È il saggio di Sergio Paronetto, vicepresidente di Pax Christi Italia, che inoltre 300 pagine presenta con legge-rezza e passione la nonviolenza di donTonino Bello, scaturita dal Vangelo ematurata con le esperienze di un padredella Chiesa post-conciliare. Con laprefazione di monsignor Luigi Bettazzi -che non esita a descriversi come unodei suoi maestri, ritrovatosi poi suodiscepolo – il libro raccoglie idee, azio-ni, sofferenze, attese di un profetadella pace, da cuiil futuro può soloimparare.

    PROFETA DELLA PACE

    Sergio ParonettoTonino Bello, maestro di nonviolenzaEdizioni PaolineEuro 20,00

    In Puglia non sonopochi coloro chehanno conosciutopersonalmentedon Tonino Bello.Carlo e Gemmasono tra questi.

  • Tra narcos emalgoverno

    Tra narcos emalgoverno

    8 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    ATTUALITÀ Guinea Bissau

    Negli ultimi anni la Guinea Bissau è finitapiù volte sulle pagine dei giornaliinternazionali per due ragioni: colpi di statoe traffico di droga. Realtà che hannoinfluenzato pesantemente la vita del Paese.

  • noma, lontana dall’in-fluenza del governo. Aquesta situazione politicasi è aggiunto il trafficodella droga provenientedal Sud America, che dallaGuinea Bissau raggiungein parte l’Europa e in parteil Mali. La Guinea Bissauè il Paese ideale per il traf-fico di droga: governo de-bole, popolazione poverae militari a corto di risorse,quindi disponibili a colla-borare con i narcotraffi-canti.Il governo di Rui Barros siè posto alcuni obiettiviprioritari: avviare un pro-cesso elettorale, migliorarela condizione della popo-

    lazione e riformare la struttura dell’am-ministrazione pubblica.Il primo obiettivo sembra troppo com-plicato da raggiungere: infatti l’UnioneEuropea - su pressione del Portogalloche chiede la ripresa del processo elettoraleed appoggia Carlos Gomes jr - ha assuntoun atteggiamento ostile e ha sospeso

    Carlos Gomes Junior,conosciuto anchecome “Cadogo”,

    ex primo Ministrodella Guinea Bissau.

    9P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Nell’aprile 2012, nell’intervallo trail primo ed il secondo turno delleelezioni presidenziali in GuineaBissau, i militari sono intervenuti per in-terrompere il processo elettorale e CarlosGomes jr, primo ministro e leader delpartito di maggioranza PAIGC, che è can-didato con il maggior numero di voti, èstato costretto ad espatriare insieme alpresidente del Parlamento. I militarihanno formato una giunta che si è ado-perata per installare un governo civile.Sono stati interpellati in molti: alcunihanno risposto positivamente, in parti-colare Manuel Serifo Nhamadjo e RuiDuarte de Barros che diventeranno ri-

    di FABIO RICCARDI*[email protected]

    spettivamente presidentedella Repubblica e primoministro di un governo ditransizione.Il colpo di Stato che hainterrotto il processo elet-torale, ha posto fine allavita del governo di CarlosGomes jr che governavail Paese ininterrottamenteda alcuni anni. I giudizisull’operato di Gomes sonovari, ma molti concordanosul fatto che nell’ultimoperiodo aveva radicalizzatolo scontro con le opposi-zioni ed in particolare convarie fazioni delle forzearmate. Inoltre il pernodella sua politica era l’al-leanza con l’Angola cheaveva anche inviato 600 militari acquar-tierati in un hotel a poche centinaia dimetri dall’ufficio del primo ministro. Lapresenza militare angolana ha concessomaggiore autonomia al governo rispettoalle forze armate e questo non potevapiacere ad uno Stato Maggiore da anniabituato ad operare in una sfera auto- »

    L’amministrazionepubblica è allo sfascio:per mesi non sonostati pagati gli stipendiai dipendenti chedichiarano scioperilunghi anche interesettimane.Particolarmente colpitisono i settori dellasanità e della scuolache operano in unacondizione di grandedifficoltà.

  • 10 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    ATTUALITÀ

    gli aiuti. Si tratta di un blocco decisivoperché tradizionalmente l’Unione Europeaaveva finanziato i processi elettorali, diconseguenza il governo ha dovuto ri-mandare le elezioni a data da destinarsi.La chiusura dell’Unione Europea ha ancheparzialmente ostacolatoil tentativo di migliorarela condizione della po-polazione, vista l’inter-ruzione dei finanzia-menti anche a scopoumanitario. La posizioneeuropea è controbilan-ciata dagli Stati Uniti iquali, sminuendo il pro-blema elettorale, ap-poggiano il governo neltentativo di migliorarela possibilità di controllo

    cui sono coinvolti anche i militari. La ri-forma dell’amministrazione pubblica,quindi, è strettamente connessa alla ri-forma delle forze armate dove – comeovvio - il governo non può operare vistoil rapporto di dipendenza assoluta daimilitari.Che si può fare, dunque? La soluzionenon sarà trovata se non con un interventoserio della comunità internazionale. Alcontrario, si assiste al processo opposto:si è detto dell’Unione Europea, ma anchela Francia stanno riducendo la propriapresenza, così come la Spagna. L’Italia èrappresentata principalmente da orga-nizzazioni non governative e dai religiosi.L’azione della Cina è finalizzata soltantoall’aspetto commerciale e la Russia, sep-pure presente, non ha lasciato ancoraun segno. Gli Usa, invece, si stanno muo-vendo in controtendenza e stanno ren-dendo più evidente la loro presenza, cosìcome le Nazioni Unite che recentementehanno nominato come rappresentantedel Segretario generale in Guinea Bissau,Josè Ramos-Horta, premio Nobel per lapace ed ex presidente di Timor Est.L’intervento della comunità internazionaleè cruciale: la Guinea Bissau non riusciràa trovare la strada di una soluzione senon con un intervento dall’esterno che– spesso pacificamente - sappia rafforzarele parti migliori della società guineanaed ostacolare un processo di involuzionedel Paese che va avanti da 15 anni esembra inarrestabile.

    * esperto di politiche africane e impegnato neicolloqui internazioneli di pace per la Comunitàdi Sant’Egidio

    delle vie della droga. Per gli Usa la lottaal narcotraffico in Africa occidentale èfondamentale in quanto questo è con-nesso al finanziamento dei gruppi ter-roristici operanti nel cuore dell’Africasettentrionale.

    L’amministrazione pubblicaè allo sfascio: per mesinon vengono pagati glistipendi ai dipendenti chedichiarano scioperi lunghianche intere settimane.Particolarmente colpitisono i settori della sanitàe della scuola che operanoin una condizione di gran-de difficoltà. Le scarse ri-sorse economiche vengonodrenate da fenomeni dicorruzione generalizzati in

    La Guinea Bissau è il Paese ideale per il traffico di droga:governo debole,popolazione povera e militari a corto di risorse, quindidisponibili a collaborarecon i narcotrafficanti.

    Il colpo di Stato che ha interrotto il processo elettorale ha posto fine alla vita del governo di Carlos Gomes jr,ininterrottamente al potere da alcuni anni.

    Guinea Bissau

  • 11P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Viaggio in Argentina

    Giselle ha 28 anni ma a guardare il suo viso scavato e i denti semi-distrutti ne dimostra più di 50. L’ultimo dei suoi tre figli ha appenaquattro mesi ma già soffre di convulsioni e quando le chiedocome mai, lei risponde indicando il tetto in laminato d’amianto chericopre la sua “casa”: «È il calore, perché qui, d’estate, la temperaturasupera i 40 gradi». Giselle è una delle 160mila persone che a Resistencia, lacapitale del Chaco, vive in un asientamento, ovvero un “insediamento”,un modo più elegante per indicare una baraccopoli rispetto all’oramai

    fuori moda e poco politicamente correttovillas miserias. «Che peccato che pur cam-biando le parole la realtà si ostini a rimanerela stessa», commenta Giselle con un sorrisoamaro. Chaco merece más, che tradotto si-gnifica “il Chaco merita di più”. Questo ilnome pieno di speranza e di promesse dellacoalizione che, nel 2007, aveva portato JorgeMilton Capitanich, Coqui per gli amici, allaguida della regione più povera dell’Argentina,il Chaco di Giselle per l’appunto. Oggi Capi-tanich continua a fare il governatore perchénel 2011 è stato rieletto, questa volta tra lefila dello stesso partito della presidenteCristina Kirchner di cui è diventato nel frat-tempo un fedelissimo. Purtroppo, propriocome sei anni fa, il Chaco continua a“meritare di più” perché quasi nessuna dellepromesse fatte da Coqui è stata mantenuta.Il 70% del Chaco continua ad essere senzaacqua, nonostante il 42% dei confini

    Nel Chaco,

    di Resistenciatra i poveri

    di PAOLO [email protected]

    »

    Mentre il mondo festeggia papaFrancesco, nella regione più poveradell’Argentina la gente ripete lo slogan “il Chaco merita di più” con cui Milton Capitanich è statorieletto governatore, come esponentedel partito della presidente CristinaKirchner. La capitale della regione,dove la corruzione è diventata quasiendemica, è Resistencia, che lasciaintuire quali siano le condizioni nellebaraccopoli.

  • 12 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    ATTUALITÀ

    della regione sia delimitato da grandifiumi, le promesse di un acquedotto dadecenni sono solo “sulla carta”, i 43milaindios ufficialmente censiti delle etnietobas e wichi seguitano a fare la fame e,troppo spesso, a morire d’inedia e malattie- un’assurdità per un Paese ricco comel’Argentina - mentre la corruzione non èstata combattuta ma, anzi, è diventataquasi endemica.

    TRASFORMISMO POLITICOUna sorpresa? No, perché il curriculumdel governatore del Chaco è quasi unagaranzia d’insuccesso. Alla fine degli anniNovanta, infatti, Capitanich era l’uomodi fiducia di Carlos Menem e difendevacon dichiarazioni roboanti la convertibilitàdel peso col dollaro e l’as-surdo cambio “uno a uno”che poi, nel dicembre2001 diventò insostenibile,portando il Paese ex gra-naio del mondo nel ba-ratro del fallimento. Nel2002, come capo di ga-binetto dell’allora presi-dente Eduardo CabezónDuhalde, el Coqui riesce

    a portare a compimento la svalutazionepiù selvaggia mai conosciuta nella storiadel Paese del tango dopodiché, tempoappena due anni (e siamo nel 2004),aderisce con il massimo fervore al governodi Néstor Kirchner, l’ex “delfino” diDuhalde entrato però in rotta di collisionecon lui per la conquista del potere aBuenos Aires e provincia. Insomma, se

    c’è un politico dispostoa qualsiasi compro-messo pur di rimanereal potere, questi è l’uo-mo del Chaco, el CoquiCapitanich, mentre, sec’è un luogo insalubrein Argentina, questi èl’“insediamento 29 diagosto” dove vive Gi-selle, che si trova a

    Per avere diritto alla casa popolare ènecessaria la ricevutache attesti il salario negli asientamentos, maquasi nessuno ce l’ha.

    A fianco:

    Milton Capitanich ela presidentedell’ArgentinaCristina Kirchner.

    meno di cinque chilometri dalla Casadel Governo e dal centro cittadino diResistencia, il «capoluogo regionale cir-condato da almeno 200 baraccopoli»spiega Rolando Núñez dell’ong NelsonMandela.«Se calcoliamo che su 380mila abitanti,160mila vivono negli asientamentos,ecco dimostrato che quasi un abitantesu due di Resistencia vive in baracca» cispiega. Difficile, insomma, trovare unluogo così degradante in Argentina,anche perché il “29 di agosto” è statocostruito a pochi metri dalla cosiddettalaguna d’ossigenazione del sistema cloa-cale, in parole più semplici, al fianco deldepuratore delle fogne di Resistencia.Tradotto? Il terreno non è abitabile e,dunque, Giselle e le altre migliaia di per-sone che vivono qui dovrebbero essere

  • del Chaco che entrano in prima elemen-tare, infatti, appena 25 riescono a finirele medie. Numeri choc cui si aggiunge lapercentuale dell’analfabetismo tra la po-polazione indigena, che supera l’80%, lostesso livello siderale di15 anni fa quando allapresidenza c’era il liberistaCarlos Menem e non lapresidente “del popolo”,Cristina Kirchner.

    PIANI SOCIALI«Chi vive nelle baraccopolinon ha un lavoro stabilee, dunque, non può aspi-rare ad avere una casapopolare del Plan de Vi-vienda de la Nación, ilpiano amministrato dalla regione». Aspiegarci l’assurdo delle regole burocratichesecondo le quali proprio chi vive tra lelamiere d’amianto non può concorreread una casa popolare è un funzionariodel comune che ci chiede l’anonimato. Ilmotivo è semplice: «Per la casa popolare

    spostate altrove, magari nelle case popolariche il governatore avrebbe potuto co-struire con i soldi che, invece, ha usatoper ristrutturare lo stadio cittadino es-sendo, ça va sans dire, anche il presidentedella locale squadra di calcio.

    LE CONTRADDIZIONI DEL CHACOIl dato più incredibile, però, è che la ca-pitale del Chaco, almeno secondo lestatistiche ufficiali che contrastano conqualsiasi raziocinio, sarebbe la città conil minor numero di disoccupati dell’interaArgentina ed avrebbe quasi il pieno im-piego. La verità è che qui ci sono 100milapersone con relative famiglie che di-pendono dallo Stato per mangiare, men-tre nel Chaco altre 400mila dipendonodai piani sociali. «Se il kirchnerismo hacerti comportamenti a livello nazionale»spiega il deputato del partito Libres delSur, Carlos Martínez, «la provincia delChaco credo sia l’apice di questi com-portamenti». A girare per la città e aparlare con le persone, infatti, l’opinioneunanime è che Resistencia sia invece lacittà con il tasso di disoccupa-zione più alto del Paese.Per non contraddire l’Indec, l’Istatargentino accusato di dare numerifalsi, e per così dire “unificare lebugie”, Capitanich ha preso unadecisione abbastanza insolita: hachiuso l’istituto statistico pro-vinciale che lui stesso aveva crea-to. E così nel Chaco, poverissimonella realtà, ricchissimo e senzadisoccupazione in teoria, dal 2009non si rileva più l’indice dei prezzial consumo, elemento indispen-sabile per misurare sia il cosiddetto“paniere base” che gli indici dipovertà ed indigenza. Grazie aimissionari cattolici e alle ongche tentano di ovviare alle tantecarenze pubbliche, sappiamo percerto che oggi anche l’abbandonoscolastico da queste parti è ilpiù alto del Paese: su 100 bambini

    è necessaria la ricevuta che attesti ilsalario ma, ripeto, negli asientamentoscome quello del “29 di agosto” nessunoo quasi ce l’ha». Corruzione, inefficienza,ipocrisia. Per dare un’idea del livello d’in-

    digenza che c’è a Resistencia,basti ricordare che qui sonostate distribuite nel solo 2012oltre 100mila “carte alimen-tari” da 100 pesos al mese,l’equivalente di 10 euro alcambio nero che tutti usano,mentre al cambio ufficialel’importo in euro raddoppia.Su una popolazione di380mila abitanti significache oltre un abitante suquattro ha bisogno del sus-sidio statale per raggiungere

    le mille calorie necessarie ogni giornoper nutrirsi. Tra Resistencia e BuenosAires ci sono meno di mille chilometri,chissà mai se un giorno alla Casa Rosadala presidente Kirchner s’interesserà anchedi Giselle e della miseria del “29 diagosto” in cui è costretta a vivere?

    13P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Viaggio in Argentina

    «Se calcoliamo che su 380mila abitanti,160mila vivono negliasientamentos, eccodimostrato che quasi un abitante su due di Resistencia vive in baracca».

  • 14 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    FOCUS Erri De Luca

    Operaiodellascrittura

    Operaiodellascrittura

    Erri De Luca, popolare ecelebrato scrittorenapoletano, in una lungachiacchierata cheabbiamo raccolto per inostri lettori, parla dipace, di migrazioni, di Dioe della sua inesauribilericerca di spiritualità.

  • 15P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA

    [email protected]

    vittime della guerra in Bosnia Erzegovinae poi il volontario in Tanzania per realizzareun progetto umanitario. Ma soprattuttocome scrittore di quasi 60 racconti dal1989 ad oggi, senza dimenticare tre rac-colte di versi, quattro opere teatrali, diecitraduzioni tratte dalla lettura in ebraicoantico (imparato come autodidatta) dellaBibbia, e ora anche sceneggiatore di duecorti cinematografici. Natoa Napoli da una famigliadella borghesia parteno-pea, Enrico, per gli amiciErri, in piena stagione ses-santottina, a 18 anni lasciatutto per entrare nelle filadi Lotta Continua, il mo-vimento di operai e stu-denti in cui milita attiva-mente. Una scelta che loporta fuori dalla cerchiadella famiglia e dalle sueradici culturali: Napoli. Piùche una città, un micro-cosmo che ha formato il suo modo diessere e in cui torna per ritrovare le sueradici.Proprio nella sua città lo abbiamo in-contrato alla consegna del “Premio Napolicittà di pace 2013” a cui ha partecipatocome “ospite d’onore”, data la sua ritrosiaper le manifestazioni celebratorie. Popolaree rarefatto narratore di destini umani,De Luca è molto amato dai lettori. Con isuoi 63 anni portati con l’asciutta sem-plicità del rocciatore di montagna, DeLuca scruta il mondo con sguardo dabambino, ora severo, ora curioso, alcentro di un viso segnato dalle rughe.Erri ha già vissuto molte vite, ma tornasempre al punto di partenza. «Napoli? Èuna “città teatrale” quasi per forza, data

    l’intensa realtà abitativa - dice -. In unposto così la comunicazione deve essereveloce e intrecciata ad altre comunicazioniper percepire segnali di ciò che accadeintorno. Napoli è il laboratorio avanzatodi ciò che succede in giro per il mondo».Le frasi dello scrittore suonano spoglie,essenziali e solenni al tempo stesso, rias-sumendo tanti significati in un grumo di

    parole in armonia traloro. Citatissimi nel web,i suoi aforismi sono uninvito a fermarsi a ri-flettere sui significatinascosti della vita. Qualepuò essere infatti “Ilpeso della farfalla” o “Ilcontrario di uno”, soloper citare due dei suoiromanzi più famosi?«Considero valore ogniforma di vita: la neve,la fragola, la mosca –dice -. Considero valore

    il regno minerale, l'assemblea delle stelle.Considero valore quello che domani nonvarrà più niente e quello che oggi valeancora poco. Considero valore tutte leferite. Considero valore risparmiare acqua,riparare un paio di scarpe, tacere intempo, accorrere a un grido, chiederepermesso prima di sedersi, provare gra-titudine senza ricordarsi di che. Considerovalore il viaggio del vagabondo, la clausuradella monaca, la pazienza del condannato,qualunque colpa sia. Considero valorel'uso del verbo amare e l'ipotesi cheesista un creatore. Molti di questi valorinon ho conosciuto». Malgrado la suascrittura sia permeata dalla ricerca deltrascendente, e che questa ricerca loabbia portato a cercare le parole »

    T ra le molte definizioni che si po-trebbero tentare per un perso-naggio come Erri De Luca, quellache sembra calzargli meglio è “operaiodella scrittura”. Nel suo libro “Non ora,non qui” racconta di avere speso il suocorpo come “forza lavoro”, facendo ilmuratore, il camionista, il magazziniere.Ma anche l’autista di camion dei convogliche portavano aiuti umanitari ai civili

    Con i suoi 63 anniportati con l’asciuttasemplicità del rocciatoredi montagna, De Lucascruta il mondo consguardo da bambino,ora severo, ora curioso,al centro di un visosegnato dalle rughe.

  • FOCUSFOCUS

    16 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    ABBIAMO AMATOSulla realtà di quel popolo in movimento che sono oggi i migranti,De Luca ha scritto nel 2011 un testo che in pochi tratti racconta ilpercorso esistenziale dell’umanità.

    Abbiamo amato l’Odissea, Moby Dick, Robinson Crusoe, i viaggi di Sindbad e diConrad, siamo stati dalla parte dei corsari e dei rivoluzionari. Cosa ci fa difetto pernon stare con gli acrobati di oggi, saltatori di fili spinati e di deserti, accatastati inviaggio nelle camere a gas delle stive, in celle frigorifere, in container, legati aisemiassi di autocarri? Cosa ci manca per un applauso in cuore, per un caffè cor-retto al portatore di suo padre in spalla e di suo figlio in braccio portato via dallecittà di Troia, svuotate dalle fiamme? Benedetto il viaggio che vi porta, il MareRosso che vi lascia uscire, l’onore che ci fate bussando alla finestra.

    originali della Bibbia, con la ca-parbia umiltà di chi impara dasolo una lingua arcaica, De Lucasi definisce un non-credente,spiegando di non essere ateoperché chi si dichiara tale «esclu-de la divinità non solo dallasua vita ma anche da quelladegli altri. Come non credentepenso invece che qualcuno cheha fede può avere una notizia,una intimità con Dio che ionon possiedo». Ma che nonsmette di cercare nelle paginedella Scrittura, intravedendoquesta notizia a tratti più chiaramente,in episodi come quello della distruzionedella Torre di Babele. In “Una nuvolacome tappeto” (1994) scrive: «Per esserechiamato con molti nomi, Dio disfece latorre, la grandezza posticcia di uominiridotti a maestranze. Scelse di esserenominato in mille lingue perché non siesaurisse la ricerca. È ancora lì, alla su-perficie del caos».Dell’Antico Testamento, De Luca è colpitodalla notizia dell’avvento del monoteismo,con l’apparizione di Dio che «sbaragliatutti i politeismi che c’erano prima, senzala forza militare degli eserciti o il poteredi un impero. Si è imposto attraversoquella storia e quella parola che è venutoa comunicare. Dio dice le cose che poiavvengono. Dice “sia luce” e la luce si

    accende: è la sua parola che fa accaderegli eventi, è la sua parola che ha la re-sponsabilità delle cose create. Noi abbiamobisogno di parole che sappiano assumersila responsabilità del loro significato. An-cora di più oggi, quando sembra cheognuno possa dire ciò che vuole e smen-tirsi il giorno dopo, mentre tutti si con-gratulano con lui per la precisazione…».Icona moderna dell’uomo alla ricerca diDio, Erri indaga nelle storie umane conla tenacia del rocciatore di montagneripide. Ne ha scalate parecchie nella suavita (è salito anche sull’Himalaya) e nonha smesso di farlo nemmeno dopo il tri-plice arresto cardiaco che racconta nelromanzo “Il peso della farfalla”. E ci rac-conta «quella sensazione di un cuoreche viene fermato da un peso leggeris-

    simo, da una goccia, la far-falla che si posa, che smettedi battere le ali. È l’interru-zione del cuore. Quel pesoè quello del cuore quandosi ferma». Due mesi dopoaver attraversato l’antica-mera della morte, eccolo dinuovo su una parete roc-ciosa (come racconta nelromanzo “Le stelle non fan-no il turno di notte”) perreagire, immergendosi nuo-vamente nella «bellezza checura, quella assoluta che

    dobbiamo andare a cercare. Posso rac-contare solo storie del mio passato, maprima devo averle dimenticate per ri-scoprirle. Non sono capace di raccontare

    Dell’AnticoTestamento, De Luca è colpitodalla notiziadell’avvento del monoteismo, con l’apparizione di Dio che sbaraglia tutti i politeismi.

  • Erri De Luca

    17

    le storie del villaggio e io traducevo inkiswahili qualche proverbio napoletano».Attraverso l’intenso viaggio dell’esistenza,Erri è abituato a portare con sé un ba-gaglio leggero, perché - spiega - «allamia età bisogna portare poco peso edessere di poco ingombro. Viaggio è unaparola importante che va usata con par-simonia, preferisco dire che mi sposto.Viaggio è quello dei pellegrini che rag-giungono la meta desiderata. Viaggio èquello dei migratori che si spostano apiedi da un continente all’altro senzabiglietto di ritorno. Quelli che partonosu natanti di fortuna verso un Nordsommario. Portandosi dietro tutto quelloche hanno potuto salvare da una espul-sione, lasciandosi dietro un bucato infiamme, oppure una miseria infame». Laconvivenza e la pace sono percorsi ine-vitabili per un mondo che voglia guardareal futuro. «Appartengo alla prima gene-razione che, nell’ultimo dopoguerra, nonè stata spedita al massacro su un frontecombattendo un’altra generazione digiovani dichiarati nemici. I nostri padri,usciti vivi da quella immensa distruzionedi massa, hanno scritto nella Costituzione

    della Repubblica la ma-ledizione della parolaguerra. La pace è l’in-terruzione delle guerre,è il momento in cui sicostruiscono ponti tragli uomini e per la veritàinvidio al papa il titolodi pontefice che allalettera vuol dire “fab-bricante di ponti”». Eper costruire i ponti civogliono mani instan-

    cabili, rese callose dall’esperienza, nodosedalla fatica. Mani di uomini “invincibili”.Coloro, cioè, che «non sono vincitori aoltranza, ma che, continuamente sconfitti,non la smettono di rimettersi in piediper battersi di nuovo, per necessità, peraffrontare l’ennesima sconfitta. Rischiandoil ridicolo anche. Ma senza lasciare maiil proprio posto».

    P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    una cosa che non sia passata attraversoil corpo».Della sua esperienza come volontario inTanzania nel 1983 parla con una certaritrosia, proprio perché nel villaggio incui era andato per montare pale eolichedi vecchio stampo che producevanoenergia per tirare su l’acqua dai pozziabbandonati, ha dovuto abbandonare ilcampo per problemi fisici: «Mi sono am-malato di malaria e ho contratto l’ameba.Così mi hanno rispedito indietro perchéero inutilizzabile. È stata una sconfittafisica e io combatto queste mie sconfitteil più possibile. Mi spingeva il desideriodi essere utile in qualche modo. Starecon la gente era bello: la sera ci siriuniva sotto un mandorlo indiano e, trauna zanzara e l’altra, mi raccontavano

    L’ agenzia Onu per i rifugiati ha annuncia-to che i profughi siriani hanno appenasuperato quota un milione e il numero è increscita. Nella vicina Giordania oltre 2milapersone varcano ogni giorno il confine perapprodare allo Zaatari refugee camp, sullesabbie di un deserto maledetto. Nel Paesedell’ashemita re Abdallah (e della consorteRania) le maree umane terrorizzate dallaguerra di Assad ammontano ormai a400mila persone. Non che la Giordania sianuova all’arrivo di profughi: gli iracheni pas-sarono il confine in più di un’occasione e ipalestinesi sono ormai di casa. Ma stavolta ètutto oltre misura. Usando un termine piùche figurativo, spiraling, Antonio Guterres, acapo dell’Unhcr, ha detto che «la Siria s’avviaverso un disastro di proporzioni gigante-sche». Il dramma della guerra civile, cioè, hagià da un pezzo intaccato Libano, Turchia e,per l’appunto, la Giordania. Le immagini didonne col capo coperto, bimbi al collo, inco-lonnate in lunghe file in marcia verso la terragiordana (dove il re, un tempo alleato diAssad, ora preme per mettere fine al conflit-to anche impegnandosi militarmente), fannotalmente parte della quotidianità che quasinon ci si indigna più. Eppure parlano da sole.«Grazie a Dio ho salvato la mia famiglia –racconta un siriano di 70 anni al quotidianoturco Hurriyet –. I miei sette figli e 20 nipotisono tutti con me in questo campo. Noncredo che potrò mai rivedere casa, ma credoche le nostre preghiere avranno la meglio ei miei figli, con i loro figli un giorno ritorne-ranno in patria». A fronte di quest’emorragiadi profughi siriani, re Abdallah è seriamentepreoccupato per le finanze fragili del suoStato a due passi dalla travagliata Palestina(e da Israele, col quale infatti cerca alleanzestrategiche). L’equilibrio è precario per latenuta di un regno da sempre vicinoall’Occidente, che non possiede più, però, ilcieco consenso della popolazione giordana.E che appena pochi mesi fa sembrava ad unsoffio dalla sua Primavera.

    di Ilaria De Bonis

    IL TERRORE DI RE ABDALLAH

    OSSERVATORIO

    MEDIO ORIENTE

    «Mi sono ammalatodi malaria e hocontratto l’ameba.Così mi hannorispedito indietroperché eroinutilizzabile».

  • 18 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    L’INCHIESTA

    La Cina è di nuovo leader mondiale negliinvestimenti in energie rinnovabili e puntamoltissimo sul solare, seguita dagli Stati Uniti. Ma il mercato europeo e quello americano per icinesi sono sbarrati da pesanti misure antidumpinge sanzioni contro la “concorrenza sleale”. Per ilsolare made in China non rimane che l’enormebusiness d’Africa, dove il sole non manca mai.

    S un Guanbin sa che il futuro del fo-tovoltaico cinese è in Africa. E sache la Cina andrà dove l’antidum-ping europeo non la inseguirà.Il Segretario generale della Camera diCommercio cinese già due anni fa ave-va annunciato investimenti per oltre100 milioni di dollari in progetti nel cam-po dell’energia solare in 40 Paesi africa-ni. Oggi questo business è ancora più ne-cessario a Pechino. Non solo perché il solein Africa non tradisce mai, ma soprattut-to perché il mercato in Europa e negli Sta-ti Uniti è bloccato dalle sanzioni impo-ste dall’Ue contro la Cina per concorren-za sleale, e da tariffe doganali in rialzo.Inoltre in patria è esploso lo scandalo del-le fabbriche “tossiche” di pannelli solarinella provincia di Zheijang. Quelle che per

    di ILARIA DE [email protected]

    Energie rinnovabili e business

    Pechinoalla conquista

    del sole d’Africa

  • ed è più economica di quella della mag-gior parte dei Paesi europei», ha detto Pa-scal Gasunzu, ambasciatore del Burun-di in Cina. Uno dei maggiori incentivi peri governi africani è che questi ed altri in-vestimenti cinesi (come nel settore idroe-lettrico) non comportano per loro mol-ti vincoli. Ossia il mercato è mercato enon richiede troppe garanzie e condizio-nalità legate a questioni ambientali, al ri-spetto dei diritti umani o alla governan-ce democratica.Eppure le incognite sono moltissime: è

    sufficiente dire “pannellisolari” per essere certi chearrivi energia in Africa? Equesta opzione è davverocosì “pulita”? Il suo busi-ness, chi avvantaggia? In-fine: perché i pannelli madein China costano tantopoco rispetto agli altri?«La tecnologia solare diper sé è molto costosa epoco efficiente – chiariscesubito Emanuela Colombo,

    ingegnere nucleare e professore associa-to presso il Dipartimento Energia al Po-litecnico di Milano e Delegato del Ret-tore per la cooperazione allo Sviluppo –.Se dovessimo fare una classifica dell’ef-ficienza delle varie fonti d’energia puli-ta, al primo posto troveremmo l’idroelet-trico, a seguire le biomasse, poi l’eolicoe infine il solare. Ma spesso in Africa ilvillaggio tanto fortunato da pos-

    19P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    produrre fonti pulite d’energia inquina-no più del petrolio, come nel caso dellaJinkoSolar.Ecco allora che a Garissa, nel nord delKenya, il sogno cinese fatto di miglia-ia di pannelli solari in silicio a buon mer-cato, per un totale di 50 MW di ener-gia elettrica prodotta ogni anno, diven-ta realtà. Per avere un’idea della poten-za si pensi che in Europa un megawattbasta ad alimentare tra le 500 e le mil-le abitazioni.Kangping Chen, amministratore delega-to della JinkoSolar – che for-nirà supporto tecnico almega impianto keniano, edè uno dei leader della discus-sa Solar Valley cinese - cre-de moltissimo nell’espan-sione di Pechino in Africa.Tanto da dichiarare che «laJinkoSolar avrà un ruolochiave nella crescente do-manda di fornitura di ener-gia solare dal Kenya». Lostesso Sun Guanbin avevadetto senza tante edulcorazioni qualcheanno fa che «la Cina ha bisogno che nuo-vi mercati emergenti consumino prodot-ti legati all’energia solare».D’altro lato la classe dirigente africanastrizza con piacere l’occhio alla Cina chele fornisce i pannelli fotovoltaici più eco-nomici mai visti sul mercato internazio-nale: «L’industria solare cinese si stasviluppando in modo veramente rapido »

    D iventare annunciatori della Buona No-vella nei confronti dei propri colleghi,dei vicini di casa, dei parenti, degli amici.Non (solo) a parole, ma con un gesto con-creto. È quanto stanno facendo in questoAnno della Fede, voluto dal papa emerito Be-nedetto XVI dall’11 ottobre 2012 al 24 no-vembre 2013, i parrocchiani della comunitàdella Medaglia Miracolosa di Pechino, invitatia procurarsi ogni mese due copie della Bib-bia e a regalarle a chi non la conosce. È unmodo fattivo per mettere in atto quell’esor-tazione a «confessare la fede in pienezza econ rinnovata convinzione» contenuta nellaLettera apostolica Porta Fidei con la quale èstato indetto l’Anno della Fede, esortazionerivolta a tutti i fedeli. E i cattolici cinesi dellaparrocchia dedicata alla Medaglia Miraco-losa sembrano averla presa molto sul serio,se è vero che hanno già donato quasi 1000copie ai non cristiani loro concittadini. Nonsolo: nelle mani dei destinatari, oltre allaBibbia, viene messo il bollettino parrocchiale,come invito a partecipare alle iniziative dellacomunità, e altro materiale missionario utileper approfondire.L’esortazione a donare due Bibbie al mese èsolo una delle tante iniziative proposte, tuttetese ad offrire occasioni di incontro tra cre-denti e non credenti e visibilità al particolareperiodo che i cattolici stanno vivendo. Traqueste, segnaliamo il concerto “Luce dellaFede”, tenutosi per festeggiare i primi 100giorni del particolare Anno, e l’evento che hapuntato i riflettori sul senso della vita consa-crata delle religiose, organizzato per i se-condi 100.Al di là del programma in cantiere, i buonifrutti di questa iniziativa si sono già visti: nu-merose, infatti, sono state le nuove iscrizionial corso di catechismo per adulti. Segno chei tanti parrocchiani cinesi, che hanno dato se-guito all’invito di donare due Bibbie al meseai non credenti, sono diventati in qualchemodo “pescatori di uomini”.

    di Chiara Pellicci

    I FRUTTI CINESIDELL’ANNO DELLA FEDE

    OSSERVATORIO

    GOODNEWS

    È sufficiente dire“pannelli solari” per essere certi che arrivi energia in Africa? E questaopzione è davverocosì “pulita”?

  • Sopra:

    Pannelli solari per illuminare le strade di Modagiscio, Somalia.

    la consapevolezza delle aziende che in-vestono in Africa aumenta, anche perchél’opinione pubblica è molto più desta e leclassi dirigenti africane migliorano ilproprio approccio ad uno sviluppo uma-no che per prima cosa attivi le risorse lo-cali».Il quotidiano The Guardian scrive che unodegli impianti di energia solare più este-si d’Africa nascerà in Ghana entro otto-bre 2015 e produrrà 155 megawatt dienergia. La società che fornisce i pannel-li non è cinese stavolta, è britannica e sichiama Blue Energy. Per ora sembra unavera e propria gara a chi piazza più pan-nelli sul terreno: una competizione sino-europea con pochi precedenti.È fuor di dubbio che l’Africa abbia dav-vero fame d’energia. Ma come sfamarlaè un dibattito ancora aperto.L’ultimo report della Irena (InternationalRenewable Energy Agency), intitolatoAfrica’s renewable future, appena pub-blicato, avverte che «se proseguiranno gliattuali trend di sviluppo africano, alme-

    20

    sederle tutte e in misura considerevole èmolto raro. Perciò in diversi casi non ri-mane che il sole. Dal punto di vista tec-nico-scientifico non è, a priori, la fontenecessariamente migliore, ma in mancan-za d’altro va benissimo usare l’energia so-lare».Il problema nasce quando si pretende disfruttare la luce o il calore del sole in ma-niera intensiva, disseminando ovunque,appunto, in zone desertiche o in piccolivillaggi rurali, i pannelli solari come se fos-sero da soli generatori di energia all’in-finito o portatori di sviluppo economico,senza considerare la connessione o menoad una rete nazionale, la manutenzionedegli impianti, i costi delle batterie, l’uti-lizzo a fini produttivi. Questa mancanza di attenzione è tipicadi moltissime aziende, anche europee, cheinvestirebbero ancora più volentieri se ilmercato fosse per loro tanto favorevolequanto lo è per Pechino. «Le cose stanno lentamente cambiando– avverte tuttavia Emanuela Colombo-;

    L’INCHIESTA

    no 600 milioni di persone nelle aree ru-rali non avranno accesso all’elettricità daqui al 2030». Dunque, ben vengano po-litiche che favoriscono le energie rinno-vabili, ma con criterio.L’Irena prevede che la quota di energie pu-lite in Africa possa incrementarsi dal 17%del 2009 al 50% nel 2030. La potenza del-l’energia pulita totale installata potreb-be crescere dagli attuali 28 GW a oltre 800giga entro il 2050. Il fotovoltaico avreb-be una quota di 245 gigawatt, l’eolico 242,l’idroelettrico 149 gigawatt e le biomas-se 69. Soprattutto, quindi, invita a tene-re in considerazione la varietà delle fon-ti disponibili, senza escludere un’integra-zione tra biomasse, idroelettrico, solare,eolico e geotermico. La soluzione miglio-re rimane il mix d’energia.È questa la conclusione cui giungono an-che gli esperti e gli scienziati italiani im-

    P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

  • 21

    luppo», ribadisce Emanuela Colombo. Espiega che la strada migliore è quella delpotenziamento della ricerca universita-ria e della formazione di studenti e tec-nici africani nel campo delle energie so-stenibili.«La Cina esporta un modello di societàche si fa guidare da una dinamica pre-valentemente economica e tiene in se-condo piano la promozione umana».Per sviluppo s’intende l’uso dell’energiarinnovabile anche a fini produttivi: pic-coli impianti integrati per dare il via a del-le micro-imprese che usano elettricità ocalore per cucinare, per lavorare e per ali-mentare gli impianti. Come in uno dei

    riusciti casi di co-gene-razione realizzati inMauritania in alcunefabbriche dello zucche-ro, alimentate grazie al-l’energia ricavata dalprodotto di scarto dellacanna da zucchero, labagasse.Il calore e l’elettricitàcosì ottenuti consento-no di far andare avantiquesti impianti ricavan-do energia dalle stessebiomasse.«L’Africa vive una cresci-ta demografica soste-

    nuta e senza precedenti. Entro il 2050 ilcontinente ospiterà almeno due miliar-di di persone – il doppio della popolazio-ne attuale –; il 40% vivrà in aree rura-li», scrive ancora l’Irena.«Nel 2010 590 milioni di africani non ave-vano accesso (il 57% del totale) all’elet-tricità e 700 milioni vivevano senza at-trezzature pulite e sicure per cucinare. Sequesti trend proseguono, nel 2030 ci sa-ranno ancora 655 milioni di persone inAfrica senza alcun accesso alle fontid’energia». Una prospettiva deprimente.Perché l’energia – esattamente come l’ac-qua, il cibo, la salute e l’istruzione – devepoter essere un diritto per tutti.

    Energie rinnovabili e business

    P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    Il problema nascequando si pretende di sfruttare il calore delsole in manieraintensiva, disseminandoovunque, in zonedesertiche o in piccolivillaggi rurali, i pannelli solari come se fosserodi per sé generatori di energia all’infinito.

    pegnati nella ricerca, come quelli del Po-litecnico di Milano.Un’altra obiezione generalmente mossaall’uso estensivo del fotovoltaico è: sep-pure i mega-impianti solari fossero col-legati ad una rete e dunque portasseroelettricità e luce nelle case (circostanzache nella maggior parte dei villaggi èesclusa), chi garantirebbe la manutenzio-ne degli impianti una volta installati ipannelli? E poi: come smaltire le scoriedopo l’esaurimento dei pannelli, che inmedia hanno una vita di 20 anni?Non va dimenticato a proposito dell’Afri-ca che «la tecnologia è sempre uno stru-mento, ma il vero fine deve essere lo svi-

    N on è casuale che la sua elezione nel set-tembre 2012 a presidente della Somaliaabbia aperto una stagione di speranze per re-stituire pace e normalità ad un Paese marto-riato da 21 anni di guerra civile. Così HassanSheikh Mohamoud si è fatto promotore diuna amnistia per i giovani pirati somali, conla speranza di poter offrire loro opportunitàlavorative. Il presidente ha precisato che l'of-ferta è rivolta solo ai giovani e non ai capi,molti dei quali sono ricercati dall’Interpol. Has-san Sheikh Mohamoud rivela che sono in cor-so negoziati indiretti con i pirati, condotti at-traverso gli anziani e i notabili dei vari clan.Ed ha aggiunto che con questa offerta ha giàottenuto la liberazione di sei ostaggi, mentrespera di liberarne altri 24 grazie alle offertedi lavoro. Il presidente somalo si appella allacomunità internazionale per ottenere aiuti inquesta nuova strategia. Un ruolo importan-te lo starebbe svolgendo Mohamed Abdi Has-san, detto afweyne, bocca larga, un famosopirata autore di clamorosi sequestri, ritirato-si a vita privata e passato al servizio del go-verno. L’ex bandito sarebbe uno dei media-tori della nuova strategia, il punto di contat-to con i predoni del mare.L’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite per la dro-ga ed il crimine, ha espresso perplessità sul-l’amnistia. «La priorità è liberare gli ostaggi, por-tare davanti ai tribunali i responsabili degli at-tacchi e condannarli» ha affermato il respon-sabile dell’organismo.Lo scorso anno il numero complessivo degliattacchi ha registrato una flessione rispetto al2011 sia per l’attività di pattugliamento delleforze navali della comunità internazionale nel-le acque dell’Oceano Indiano infestate dai ban-diti, sia per l’adozione di misure difensive piùefficaci delle navi mercantili. Ma questo dispie-gamento di mezzi militari e l’aumento verti-ginoso delle polizze assicurative (che si riflet-te sui costi di trasporto delle merci) è un prez-zo alto per la comunità internazionale, già inginocchio per la crisi. Forse l’amnistia non fer-merà la pirateria, ma perché non tentare lastrada del “pentitismo” retribuito? Sicura-mente sarà più economico.

    di Enzo Nucci

    PIRATI DELLASOMALIA

    OSSERVATORIO

    AFRICA

  • 22 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    S C A T T I D A L M O N D O

    A cura di EMANUELA [email protected]

    Testo di PIERLUIGI [email protected]

  • 23P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    BENVENUTO AL NUOVO VESCOVO DI ROMA

    IL GESUITA CHE SCELSE FRANCESCO

    Un gesuita che ha scelto di chiamarsi Francesco. Già questosegnala che il pontificato di Jorge Mario Bergoglio avrà tra isuoi capisaldi il discernimento proprio dei figli di Ignazio di Lo-yola e il primato evangelico della povertà del Santo di Assisi.Le sue prime parole sono state da vescovo di Roma, la Chie-sa che presiede nella carità, secondo l’espressione di sant’Igna-zio di Antiochia che ha citato.Vescovo di Roma, dunque, con tutto quello che comporta an-che in termini di collegialità e di rapporto con il popolo di Dio,di ascolto dei suoi bisogni, di comprensione della sua fatica.Vescovo il cui primato si misura appunto in termini d’amore.Soprattutto questo fa del papa una voce importante, anche nelpanorama dei rapporti internazionali, e una guida per tanta par-te dell’umanità nella sua ricerca di senso.Nella prima omelia, a braccio, tenuta ai cardinali il giorno dopol’elezione, Francesco ha ricordato che la Chiesa non è un’or-ganizzazione non governativa benefica. Non è chiamata soloa dare ai poveri, ma ad avere uno stile di povertà radicato nel-l’amore. Del resto, quando il 20 maggio 1992 Giovanni Pao-lo II lo nominò vescovo ausiliare di Buenos Aires, Bergogliosi scelse come motto “Miserando atque eligendo” (scusan-do e scegliendo), un motto che si è sempre tradotto nella suavita nello scusare le debolezze umane e nello scegliere i po-veri come pietra di paragone dell’essere cristiani. «La mia gen-te è povera e io sono uno di loro», ha detto più di una volta.Ai suoi preti ha sempre raccomandato coraggio apostolico,porte aperte a tutti e soprattutto misericordia, come ha fattoanche con i confessori di Santa Maria Maggiore, dove si è re-cato il giorno dopo l’elezione a portare fiori e preghiere a Ma-ria. E quando cita la giustizia sociale, invita per prima cosa ariscoprire le Beatitudini. Il suo progetto è semplice: se si se-gue Cristo, si capisce che calpestare la dignità di una perso-na è peccato grave.La scelta del primo papa venuto da oltreoceano è stata lettada più parti come un riconoscimento nel Conclave della vi-talità delle Chiese latinoamericane. Ma è anche una svolta pertutto il Sud del mondo e per la cattolicità, cioè l’universalitàdella Chiesa. Una scelta da misurare nelle situazioni più cri-tiche, cioè soprattutto in Africa, ancora teatro di irrisolte tra-gedie, pretesti per altre «guerre» finalizzate all’accumulo diricchezze, che toccano quindi gli equilibri sociali dei singoliPaesi e del mondo. »

  • Città del Vaticano, 20 marzo 2013. Papa Francesco

    incontra in udienza privata il Patriarca

    ortodosso ecumenicoBartolomeo I.

    24 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    S C A T T I D A L M O N D O

    Dalla Nigeria, dove le comunità cristiane sono tra quelle che subiscono più violenze nel mondo, il presidente del Parlamento,Aminu Waziri Tambuwal, ha detto che la scelta di Bergoglio «dovrebbe essere un momento di profonda riflessione per l’uma-nità» nel suo sforzo di «raggiungere la pace e l’armonia globale».Le parole di Waziri contengono una speranza e una certezza. La speranza del Sud del mondo – e l’Africa ne è la parte più de-vastata – in un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco. Perché, se i nomi hanno un senso, questo annuncia anche volon-tà di dialogo con tutti, a partire dall’islam. Francesco, che in epoca di Crociate si reca dal sultano Salah el Din, è infatti il pegnodi una storia fatta d’amore anche nei suoi periodi più cupi. E oggi, a giudizio di molti, è uno di quelli.La certezza è che nell’Africa, anzi nelle Afriche delle contraddizioni, ci sono molte ferite da risanare, spirali di vendette da inter-rompere, giustizia sociale e autentico sviluppo umano da promuovere. La Chiesa, in un panorama ad altissimo tasso di peri-colosità, ha fatto e fa la sua parte, schierandosi con i più poveri e gli emarginati, incitando alla solidarietà e al reciproco rispet-to. La voce del vescovo di Roma può portare rinnovato sostegno, indirizzare su più convinti e convincenti sentieri di pace. Può,soprattutto, dare voce alla speranza degli umili, di arginare l’arroganza di poteri che considerano ovvio basare i rapporti tra po-poli e persone sulla forza, sull’interesse dei pochi che hanno troppo, sulla fatica dei moltissimi che non hanno nulla.

  • 25P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    BENVENUTO AL NUOVO VESCOVO DI ROMA

  • 26 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    PAN

    ORAM

    A

    G li incidenti stradali rischiano di diventare il flagello del XXI secolo, so-prattutto nei Paesi emergenti. «Ogni tanto nella storia dell’umanità –ha detto una volta Desmond Tutu, arcivescovo emerito di Cape Town ePremio Nobel per la Pace 1984 - arriva un’epidemia killer che non è ri-conosciuta come tale, e quindi non è combattuta, finché non è troppo tar-di. L’Hiv/Aids, che sta devastando l’Africa sub-sahariana, è una di que-ste. Gli incidenti stradali hanno la potenzialità di essere la prossima». Lagravità della situazione a livello globale, e in particolare per gli Stati a bas-so e medio reddito, è confermata dal rapporto Global status report on roadsafety 2013: supporting a decade of action, pubblicato nel marzo scor-so dal Who/Oms (Organizzazione mondiale della Sanità). Dal lungo e ar-ticolato dossier, realizzato con informazioni provenienti da 182 Paesi (ov-

    Incidenti d’auto, flagello d’AfricaIncidenti d’auto, flagello d’Africa

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    Gli incidenti stradali sono l’ottavacausa di morte nel mondo e la

    prima tra i giovanissimi: lo rivelaun report dell’Organizzazione

    mondiale della Sanità. In Africa irischi aumentano: perdono la vita

    in conseguenza di un incidentestradale circa 24 persone ogni

    100mila abitanti. Più del doppiorispetto all’Europa, dove, per le

    stesse ragioni, muoiono oltre 10 persone ogni 100mila.

  • 27P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    vero il 99% dei 6,8 miliardi di abitanti delmondo), emerge che gli incidenti strada-li sono la prima causa di morte per i gio-vani tra i 14 e i 29 anni e l’ottava causadi decesso nel mondo. E, se non saran-no adottati provvedimenti, secondo l’Omspotrebbero diventare la quinta causa di de-cesso intorno al 2030.Nei Paesi in cui è scarsa o assente la le-gislazione in materia, si muore molto dipiù. E questo è vero soprattutto perl’Africa. Qui il rischio di perdere la vita, in

    conseguenza delle ferite da incidentestradale, precisa l’Oms, tocca circa 24persone ogni 100mila abitanti. Più deldoppio rispetto all’Europa dove, per lestesse ragioni, muoiono 10,3 personeogni 100mila.«Non siamo tutti uguali di fronte agli in-cidenti stradali», è il commento di Etien-ne Krug, capo del dipartimento dell’Omsper la prevenzione di violenze e danni. Dalrapporto si evince infatti come i Paesi amedio reddito che si stanno rapidamen-te motorizzando, specialmente quelli in

    Africa e in Medio Oriente, registrano il nu-mero più elevato di decessi.In tutto il pianeta, riferisce l’organizzazio-ne, sono stati un miliardo e 240mila i “ca-duti sulla strada” del 2010, dato simile aquello registrato da un analogo rapportorisalente al 2007. Nell’arco diquesti tre anni 88 nazioni sonostate capaci di ridurre i deces-si, mentre in altre 87 le vittimesono aumentate. Nel frattempoil numero dei veicoli immatrico-lati è cresciuto del 15% a livel-lo globale.Alcuni gruppi sono partico-larmente a rischio. Il 59% del-le vittime di scontri tra autovei-coli è tra i 15 e i 44 anni, il 77%è di sesso maschile. Pedoni e

    in stato di ebbrezza, l’eccesso di veloci-tà, il mancato uso del casco per i moto-ciclisti, delle cinture di sicurezza e dei di-spositivi di sicurezza per i bambini.A questi fattori di rischio si devono aggiun-gere altri importanti elementi come gli stan-

    dard di sicurezza degli au-toveicoli, la vigilanza sul-le infrastrutture stradali,le policies relative a pedo-ni e ciclisti e l’assistenzaospedaliera. Ma è semprel’Africa il continente più arischio.«In Africa – prosegue Krug– assistiamo a sviluppoeconomico, costruzionedi nuove strade, importa-zione di autovetture. Ci

    ciclisti rappresentano il 27% dei “caduti”.In alcuni Paesi questa quota raggiunge ad-dirittura il 75%, a dimostrazione dellapropensione di alcuni governi a trascura-re completamente i diritti degli utentimeno protetti a favore del trasporto suquattro ruote. Al cuore del problema, se-condo l’Oms, c’è soprattutto la carenza dileggi. Solo 28 Stati, pari al 7% della po-polazione mondiale, possiedono una legi-slazione sulla sicurezza stradale comple-ta, in grado di affrontare i cinque princi-pali fattori di rischio sulla strada: la guida

    »

    In Africa il rischiodi perdere la vita, a causa delle feriteda incidentestradale, precisal’Oms, tocca circa24 persone ogni100mila abitanti.

  • PAN

    ORAM

    A

    sono sempre nuove persone che inizianoa guidare, ma tutto questo non è accom-pagnato dalle necessarie misure» di pre-venzione e protezione. In par ticolarel’esperto descrive numerosi villaggi afri-cani in cui le vecchie strade sono state ri-coperte d’asfalto, così «le automobilisono in grado di attraversare il paese conuna velocità di quattro o cinque volte su-periore rispetto a prima, ma allo stessotempo non è stato fatto niente per favori-re coloro che vanno a piedi e non è faci-le attraversare la strada in modo sicuro.Perciò sale costantemente il numero dimorti e feriti».Grida di dolore arrivano in particolare daSudafrica, Nigeria e Uganda. In Sudafrica,in testa alla triste classifica dei morti afri-cani per incidenti stradali (13.768 nel 2009secondo il Global Report dell’Oms), il pro-blema è salito alla ribalta delle cronacheinternazionali a poche ore dall’inizio dei

    Mondiali di calcio a Johannesburg nel2010. L’ex presidente del Paese, NelsonMandela, fu costretto ad annullare la pre-senza alla cerimonia di apertura perchéun’amatissima pronipote di 13 anni era ri-masta vittima di un pirata della strada nelquartiere di Soweto. L’uomo, risultatoubriaco, fu arrestato e incriminato per omi-cidio colposo.Al secondo posto tra i Paesi africani piùpericolosi c’è la Nigeria, con 4.065 dece-duti. Da una ricerca di Jcn Consulting èemerso che gran parte delle persone chemuoiono ogni anno sulle strade nigerianesono teenager che si recano a scuola op-pure ne escono per tornare a casa. Terzonella blacklist degli Stati africani elencatidall’Oms è l’Uganda, con 2.954 morti nel2009. In questa nazione è evidente che,negli anni, la questione si è aggravata: nel2011, secondo i dati raccolti dalla polizialocale, 3.343 persone hanno perso la vitaper incidenti stradali, tra cui 630 bambi-ni, e altri 14mila sono rimasti feriti.Un po’ meno grave la situazione, sempresecondo l’Oms, in Etiopia, Kenya e Tan-zania. Va anche sottolineato che non in tut-ti i Paesi africani è facile raccogliere datiaffidabili sulla mortalità da traffico. Lo sot-tolinea Shanta Devajaran, capo economi-sta della World Bank Africa, che si spin-ge a fare previsioni sulle morti on the roadnell’Africa sub-sahariana: «Potrebberosalire – dice - anche dell’80% entro il 2020se non si prenderanno provvedimentiper mettere in sicurezza le strade e garan-tire una corretta circolazione stradale».Naturalmente, oltre ai costi in termini di viteumane, ci sono anche quelli economici.Secondo uno studio del 2004 di Oms eBanca Mondiale, i soldi gettati al vento permancanza di sicurezza stradale sonopari, in molti Paesi del mondo, a una quo-ta oscillante tra l’1 e il 3% del Pil (Prodot-to interno lordo, l’intera ricchezza prodot-ta da una nazione). La questione è sottogli occhi di tutti e i primi ad esserne con-sapevoli sono i diretti interessati. Non acaso, in Africa, circola un detto: «I germinon uccidono gli africani; solo le auto pos-sono farlo».

    I Balcani stanno subendo con durezza icontraccolpi della crisi finanziaria mon-diale. Se ovunque si scorgono gravi segnalidi disagio, è la Grecia a mostrare sempre dipiù ferite drammatiche. La “cura” di risana-mento del bilancio imposta dall'UnioneEuropea, dalla Banca mondiale e dal Fondomonetario internazionale ha decisamentetravolto il Paese. L'Europa unita e solidale,il sogno di Spinelli, Adenauer, Bech, DeGasperi, Schuman, Spaak e tanti altri, sem-bra essersi frantumato nell'impatto controgli interessi prevalenti delle economie piùforti, quella tedesca prima delle altre. Cosìalla fine del febbraio scorso, la Svizzera hadeciso di ridurre le donazioni di sangue allaGrecia, di cui è principale fornitore. Atene,stritolata dalla manovra di “riassetto delbilancio”, non è in grado, infatti, di pagarecinque milioni di franchi (circa quattromilioni di euro) di “arretrati” agli elvetici.L'operazione di “risparmio sul sangue”comincerà nel 2015 e, secondo quanto anti-cipato dall'agenzia di stampa Swissinfo,porterà ad un dimezzamento delle fornitu-re entro il 2020. Intanto i tagli al bilanciodella sanità hanno praticamente paralizza-to la sanità pubblica ellenica. E adesso èarrivata anche la "paura trasfusione".Rudolf Schwabe, direttore delle donazionidi sangue della Croce Rossa svizzera, haspiegato che il «sangue viene donato gra-tis», ma Atene non riesce a coprire i costiamministrativi e di laboratorio compresinell'invio. La necessità di sangue dellaGrecia è di 700mila unità l'anno e dalCentro nazionale ne arrivano tra le 600milae le 670mila. Dal 2015 la ConfederazioneElvetica ne fornirà 2.500 in meno. In Grecia,che si rifornisce di sangue dalla Svizzera sindagli anni '70, circa il 10% della popolazio-ne soffre di talassemia, una malattia eredi-taria del sangue che impedisce a chi ne èaffetto di donarlo. Il pareggio di bilanciovale la vita dei cittadini se l'Europa è davve-ro una comunità?

    di Roberto Bàrbera

    ATENE DISSANGUATA

    OSSERVATORIO

    BALCANI

    28 P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

  • Dos

    sier

    Dos

    sier

    di Pier Maria [email protected] 29P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 3

    QUARANTA ANNI DI CULTURA MISSIONARIA

    Emiinsider

    UNO SGUARDO DAL DIDENTRO SULLA EMI,L’EDITRICE BOLOGNESE“MISSIONARIA PERECCELLENZA”, PERRITROVARE TITOLI E AUTORI,MA ANCHE RESPONSABILI EMISSIONARI CHE HANNO“SCRITTO” I SUOI 40 ANNIDI STORIA. DALLA PRIMAPUBBLICAZIONE DI UNDIZIONARIO KISWAHILI –ITALIANO, FINO ALLA PIÙRECENTE LISTA DI VOLUMIPUBBLICATI, NONMANCANO FIRME E TITOLICELEBRI DI AUTORI ITALIANIE STRANIERI CHE DIVERSEGENERAZIONI DIMISSIONARI, LAICI OCONSACRATI, HANNOTENUTO FRA LE MANI,SFOGLIATO E CONSULTATO.

  • P O P O L I E M I S S I O N E - A P R I L E 2 0 1 330

    A l momento in cui scrivo, siamo a “N.A. 2 880”.“N.A” sta, nel gergo Emi, per “numero d’archivio”.Non sostituisce l’Isbn, che è il codice a 1 3 cifre cheidentifica univocamente ogni libro a livello internazionale,ma rappresenta un pratico punto di riferimento perla gestione interna. Tra l’altro suggerisce al volo, in-crociandolo con l’anno di edizione, a che puntodella storia dell’editrice siamo. Frugando negli scaffalidell’archivio, troviamo infatti che il numero uno della

    Emi, diventata “ufficiale” nell’au-tunno del 1977, dopo quattroanni di rodaggio, è un volumettorilegato in car tone telato. Sefacciamo i conti, sono media-mente 80 volumi l’anno tranovità, ristampe e riedizioni.Un ordine di grandezza chefa rientrare l’Emi tra i medieditori (negli ultimi anni laproduzione si è assestatasui 50 titoli annui).Ebbene, quel numero unoè un vocabolario kiswahili- italiano firmato VittorioMerlo Pick, ripropostodall’Emi dopo una pre-

    cedente edizione da parte dei missionari della Con-solata. Seguono Processo ad Addis Abeba di WalbertBühlmann, il cappuccino tedesco che aveva g iàconiato l’espressione “terza Chiesa”, e Un uomo perl’Africa, biografia del fondatore dei missionari dellaConsolata scritta da padre Giovanni Bonzanino, cheaveva conosciuto don Giuseppe Allamano di persona.Troviamo poi titoli di spiritualità missionaria, nonchésulla cooperazione tra le Chiese (che stava diventandoil nuovo nome della missione, anche se non tuttierano d’accordo), testi di Gandhi e di F ollereau, eMaria del villaggio delle formiche, il libro di MatsuiToru pubblicato prima dai missionari saveriani e poidalla Emi con cui raggiungerà le otto edizioni (senzacontare l’omonimo film di Heinosuke Gosho, ripropostopiù tardi dall’Emivideo in vhs).

    Scritti dei missionariSono da subito palesi i grandi filoni che per decennicaratterizzeranno l’editrice: le lingue e culture “altre”,oggetto di ricerca e studio serio, uno dei punti diforza della tradizione missionaria (in seguito unacollana prenderà il nome di “Biblioteca scientifica”); itemi specifici della missione, affrontati sia per dareun supplemento d’anima alla vita della Chiesa italianae alla spiritualità dei singoli cristiani, sia (vedi

  • Bühlmann) in chiave autocritica (eraancora aperto il dibattito postconciliaresul come e il perché dell’invio di mis-sionari nel “terzo mondo”); quindi bio-grafie, testimonianze e scritti che vengono“dal campo”: missionari e missionariedi prima grandezza oppure semiscono-sciuti, accanto a figure gigantesche come

    l’Abbé Pierre, in grado di scuotere chiunquele udisse e di provocare molti a mettersi in gioco perrispondere alla sfida di un mondo spaccato (unquinto della popolazione che vive alle spalle dei«dannati della terra»). Tra queste voci non mancanoquelle dell’emisfero Sud: oltre al citato Gandhi, pen-

    A FIANCO: Stand EMI al salone del libro di Torino.

    siamo al beninese Alber t Tévoèdjré, con quel suogioiellino intitolato La povertà, ricchezza dei popoli.

    Temi chiavePiù che proseguire la lista, è a questo punto più inte-ressante – a proposito dei g randi temi chiave e delsignificato di un’editrice che vi si dedica a tempopieno – consultare la T reccani. Nell’Enciclopediaitaliana abbiamo scovato una voce che ci riguardada vicino: �