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In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 DOSSIER GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 8 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXI SETTEMBRE OTTOBRE 2017

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

DOSSIER

GIORNATA

MISSIONARIA

MONDIALE

8M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXI

SETTEMBREOTTOBRE2017

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Fondazione di religione MISSIO Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini, [email protected]; tel. 06 6650261 - 06 66502678; fax 06 66410314. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: [email protected]; tel. 06 66502632; fax 06 66410314. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Mario Bandera, Gaetano Borgo, Sara Braga, FranzCoriasco, Michele Furcaroli, Tommaso Galizia, Pierluigi Natalia, GiuliaPigliucci, Benedetta Tomarchio, Mario Vincoli.Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: FotoliaFoto: Afp Photo / Mario Laporta, Afp Photo, Abdullah Doma / Afp, JuanBarreto / Afp, Citizenside / Jorge Marcano / Citizenside, Noel Celis /Afp, Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Jacques Demarthon,Archivio Missio, Archivio Pime, Paolo Annechini, Gaetano Borgo,Cecilia Fambrini, Cristian Gennari, Giovanni Rocca, Alex Zappalà.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Sostenitore € 50,00; Estero €40,00.Modalità di abbonamento:- Versamento sul C.C.P. 63062327 intestato a Missio - Pontificie

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I l mese di Ottobre è tradizionalmentededicato alla missione ad gentes eraggiunge il suo culmine nella cele-

brazione della Giornata MissionariaMondiale in programma domenica 22Ottobre. Il tema scelto quest’anno daMissio – organismo pastorale della Con-ferenza episcopale italiana (Cei) che inItalia rappresenta le Pontificie OpereMissionarie (Pom) – ha una forte con-notazione biblica: “La messe è molta”.Lo slogan ha una sua esauriente espli-cazione nel dossier che i nostri lettoritroveranno in questo numero specialedi Popoli e Missione. Al contempo,però, sempre nel contesto del cosiddettomese missionario, si celebra a Brescia ilprimo Festival nazionale della Missione(12 -15 Ottobre) dal titolo più che em-blematico: “Mission is possible”. A taleproposito, come redazione, abbiamodeciso di dare grande risalto a questainiziativa che, oltre a Missio, trova inprima fila la Conferenza degli Istitutimissionari italiani (Cimi) e il Centromissionario diocesano di Brescia. Sitratta, in effetti, di un tempo di graziaper fare insieme, come Chiesa italiana,memoria del mandato missionario cheGesù Cristo rivolse duemila anni orsono agli apostoli.È evidente che in un mondo in rapidaevoluzione - in una stagione della Storiadrammatica e affascinante allo stessotempo, segnata da profonde ferite, la-cerazioni e ricerche di una speranza

che non deluda - oggi più che mai oc-corre riaffermare la «responsabilità mis-sionaria della Chiesa locale». Tutto ciònella consapevolezza che sia la visioneteologica, come anche le relative de-clinazioni della missione, non possonoprescindere da quegli uomini e quelledonne che hanno fatto la scelta di an-dare, fino agli estremi confini del mondo.Forse mai come oggi – è bene sottoli-nearlo - nel lessico nostrano “missione”è una parola sulla bocca di tutti, infla-zionata a dismisura, eppure, parados-salmente, al contempo sembra essersiindebolita la proposta e il fascino diuna scelta di consacrazione ad vitamper la tradizionale evangelizzazione interre geograficamente lontane. Comeabbiamo scritto in passato, in più cir-costanze, nelle pagine della nostrarivista, il numero dei missionari e mis-sionarie di origine italiana è in continuocalo; le vocazioni sono rare e le lorocomunità sono sempre più composteda anziani rientrati per ragioni di età odi salute. Lo stesso ragionamento po-trebbe essere esteso alle vocazioni fideidonum, quelle cioè dei sacerdoti dio-cesani impegnati nella cooperazionemissionaria tra le Chiese. La crescitadel numero dei laici italiani disposti apartire è certamente una nota positiva,che non può essere sottovalutata, mada sola non basta. Ecco perché abbiamoritenuto opportuno pubblicare, in questobreve editoriale, quelle proposte che

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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Donoalle comunità

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Indice

EDITORIALE

1 _ Dono alle comunità di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Attacchi alla giustizia sociale Periferie e

democrazie fragili di Pierluigi Natalia

FESTIVAL DELLA MISSIONE

8 _ Brescia città aperta Una missione in cento eventi di Miela Fagiolo D’Attilia

11 _ Appuntamento al Festival di Ilaria De Bonis

18 _ Tutti i luoghi dove andare19 _ Programma20 _ Genesi di una scommessa di I.D.B

SCATTI DAL MONDO

23 _ Libano multietnico Dalla parte dell’umanità A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulia Pigliucci e Sara Braga Foto di Cristian Gennari

DOSSIER

27 _ Giornata Missionaria Mondiale Missione con la maiuscola A cura della redazione

30 _ Intervista a don Michele Autuoro

La messe non smette mai di crescere di Miela Fagiolo D’Attilia.

32 _ Cos’è il Fondo Universale di Solidarietà

Possiamo ancora dirci cattolici? di Tommaso Galizia

33 _ Per vivere il mese missionario

Partecipare insieme il mistero del dono di Mario Vincoli

FESTIVAL DELLA MISSIONE

37 _ Perchè la missione è possibile

Non chiamateli eroi di Miela Fagiolo D’Attilia

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il 24 maggio 2009 i superiori e le supe-riore della Cimi rivolsero in una fraternae toccante missiva all’episcopato italiano.Sebbene, allora, non fosse ancora uscital’Esortazione apostolica Evangelii Gau-dium, è evidente che i principi ispiratorie le sfide sono le stesse di oggi. Anzituttola centralità del primo annuncio cheviene dalle periferie. Nelle giovani Chiesesi ha coscienza della “novità” del Cristoe del fatto che il suo Vangelo è potenzaper il rinnovamento della vita e dellastoria. D’altronde, anche nelle Chieseitaliane ci sono persone o gruppi biso-gnosi del primo annunzio. Vi è poi laricchezza dei carismi e dei ministeri.Proveniamo spesso da Chiese “tutte mi-nisteriali”, dove cioè molti se non tuttiassumono un compito per la Chiesa eper la sua missione nel mondo a riprovache nessuno può rimanere con le maniin mano. E cosa dire della vitalità dellepiccole comunità nelle giovani Chiese,dove il Vangelo si coniuga con la vita diogni giorno? Per non parlare della libertàprofetica, che si manifesta, quando ènecessario, con la denuncia della corru-zione, degli sfruttamenti, delle collusionie soprattutto con la vicinanza ai poveri,che spesso nel Sud del mondo sono lamaggioranza della popolazione. A ciò siaggiunga la necessità dell’inculturazioneper incarnare il messaggio immutabilenella cultura propria dei popoli; culturache deve essere purificata, ma che rap-presenta pur sempre una ricchezza perla fede. Infine, è bene ricordare la praticadel catecumenato, che prepara i ragazzie gli adulti ad assumere consapevolmenteil battesimo e la vita nuova che ne sca-turisce e l’opportunità del dialogo ecu-menico e di quello interreligioso.La vasta trama della carità che la Chiesaitaliana ha tessuto a livello universalepuò portare in dono alle nostre comunitàtutte queste “ricchezze”. Ne siamo certi.

(Segue da pag. 2)

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40 _ Missione è SPERANZA Rinascere dagli scarti di Chiara Pellicci43 _ Missione è IMPEGNO Sulle corde di una chitarra di Miela Fagiolo D’Attilia45 _ Missione è FRONTIERA

Tra la gente del Sud Sudan di Daniele Moschetti48 _ Missione è CORAGGIO Contro i narcos messicani di Chiara Pellicci

51 _ Missione è DONO Luisa e Giusy:

la bellezza di essere missionarie

di Ilaria De Bonis

RUBRICHE

54 _ Ciak dal mondo FÉLICITÉ Una donna di nome

Kinshasa di Miela Fagiolo D’Attilia56 _ Libri Lesbo come Lampedusa di Chiara Anguissola Siria, risiko internazionale di Michele Furcaroli

57 _ Musica YASMINE HAMDAN

Da Beirut al mondo di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

58 _ Giornate di formazione e spiritualità missionaria ad Assisi

Parabole e profezie per guardare la messe di Miela Fagiolo D’Attilia

60 _ Missio Giovani Esperienza missionaria in Tanzania Un viaggio che cambia la vita di Benedetta Tomarchio

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzioni di preghiere del papa Parrocchie e mondo del

lavoro per il bene comune di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM Dalla diocesi del

vescovo volante di Gaetano Borgo

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27CONTRO LA TRATTA

DELLE DONNECAMMINATA SULLA VIA

FRANCIGENA DA VITERBO A ROMA18-22 OTTOBRE 2017

Viterbo-Vetralla: 18 km mercoledì 18 ottobreVetralla-Sutri: 24 km

giovedì 19 ottobreSutri-Campagnano: 27 km

venerdì 20 ottobreCampagnano-La Storta: 24 km

sabato 19 ottobreLa Storta-Roma San Pietro: 19 km

domenica 22 ottobre

“100.000 SCHIAVE VIOLENTATE IN ITALIA: TU, DA CHE PARTE STAI?”

PER INFORMAZIONI: PADRE GIUSEPPE LOCATI

[email protected]

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PRIMO PIANO

C’è una parola cara a papa Fran-cesco che da qualche temposembra molto declinata a livello

politico, a ogni latitudine. La parola inquestione è periferia. Intesa non tantoin senso topografico, quanto culturalee sociale. Di periferie emarginate siparla in Europa ogni volta che unqualche cane sciolto s’improvvisa ter-rorista e fa una strage. Di periferie de-vastate si parla in ogni racconto – pe-raltro sporadico – dell’Africa subsaharianaormai narrata solo per luoghi comuni.Di periferie si parla persino ogni voltache qualche poliziotto ammazza unnero negli Stati Uniti, incuranti del fattoche, con qualche eccezione, sono i bian-chi a spostarsi dai centri cittadini quandovi arrivano i neri o gli ispanici e che,

per esempio, una casa ad Harlem (cioèin un quartiere di New York) costa evale da tempo molto meno di una equi-valente delle varie città limitrofe.In un’epoca di globalizzazione falsatada uno strapotere della finanza scollegatodall’economia reale e dalla giustizia so-ciale, è il concetto stesso di periferia adover essere rivisto. E con esso il concettodi democrazia. Il “centro” che si con-trappone alle periferie sociali non è

di PIERLUIGI [email protected]

oggi rappresentato dalle capitali, daipalazzi della politica, dalle ideologievincenti. Il centro reale del potere èstaccato dai comportamenti umani, lo-devoli o perversi che siano. Sta in tran-sazioni finanziarie gigantesche regolatein gran parte da algoritmi matematici.Paradossalmente, finisce quindi per ri-sultare periferica la quasi totalità delleesperienze umane. Se mille persone con-trollano oltre la metà della ricchezza

Membri dell’Esercito Nazionale Libico,fedeli al generale Khalifa Haftar,pattugliano una strada nel centro diBengasi dopo l’annuncio della liberazionedella città dalle milizie jihadiste.

Dalle periferie al “centro”, molte democraziestoriche o di giovane nascita stanno vivendo crisidi identità e gravi sconvolgimenti socio-economici.Tra Nord e Sud del mondo ci si interroga suglistravolgimenti ideologici, politici e culturali chehanno determinato profonde crisi in alcuni Paesi acui oggi il mondo guarda con preoccupazione.

Periferie e democrazie fragili

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Attacchi alla giustizia sociale

Manila. Il cadavere di un uomoucciso dalla polizia. Il presidentefilippino Rodrigo Duterte ha varatoleggi severissime contro lamicrocriminalità che hanno portatoalla morte di novemila persone.

del mondo – statistica abbondantementedocumentata da tutti i rapporti inter-nazionali – ad essere esclusa dalla co-struzione del futuro è in pratica latotalità del genere umano. Ovviamenteci sono le eccezioni, i ricchi che lo di-ventano sempre di più, ma in tutto ilmondo, dal Sud devastato ai nostri Paesituttora opulenti, l’ascensore sociale – ilvero frutto della storia delle democrazie– è bloccato: i poveri restano tali o lodiventano di più, la classe media vienericacciata indietro, i giovani si avvianoa un futuro molto più difficile del pre-sente dei loro padri.

IL CASO DELLA LIBIAVale ovunque: in Nord Africa e in MedioOriente in pochi anni la ventata di spe-ranza delle cosiddette Primavere arabesi è fermata su una palude di sangue.Senza affrontare un’analisi approfondita,basta fare l’esempio della Libia dove siconsuma il palese fallimento dei cosid-detti “interventi di pace”, con o senzal’ombrello dell’Onu, degli eserciti dellegrandi potenze. Quel fallimento che

tante volte si è ripetuto con la coperturadi una stampa mondiale appiattita datempo su un’incapacità di indagine e didenuncia documentata, una stampa chebrilla, tolte poche lodevoli eccezioni,per ignavia se non per complicità.In uno schema che ormai non è piùneppure ideologico, come ai tempi delbipolarismo tra Paesi liberali e Paesi co-munisti, si continua a raccontare unapresunta lotta del bene contro il male:qualsiasi banda armata che si opponganon solo ai poteri locali, ma che sembriutile agli interessi delle grandi potenze– compreso quello di vendere armi –viene raccontata come una nobile in-surrezione contro dittatori cattivi. Salvodistinguere – si pensi alla Siria, ma nonsolo – tra insorti buoni e insorti cattivi.E se l’esito di elezioni imposte in frettanon è quello sperato dai Paesi “demo-cratici”, allora non vale, come insegnail caso dell’Egitto, ma ben prima quellodell’Algeria. E inquieta abbastanza chele uniche iniziative politiche dell’Europasiano la ricerca di accordi con i Paesi ditransito dei migranti, per frenarne i

flussi, senza curarsi più di tanto deimodi con i quali questo scopo vieneperseguito, né della democraticità almenodubbia dei Paesi in questione.

VENEZUELA A RISCHIO GUERRA CIVILEIn America Latina le grandi conquistedel primo decennio di questo secolo –con oltre 100 milioni di persone sottrattealla povertà estrema, soprattutto inBrasile e poi in Venezuela, esempi prin-cipali ma non unici – minacciano di es-sere vanificate non solo dal contestoeconomico e finanziario globale, ma dauna corruzione che si rivela sempre piùestesa, quando non da manifesti tentatividi contrarre le libertà popolari e i principidi rappresentanza.Lo scorso 30 luglio in Venezuela si sonotenute le elezioni dell’Assemblea Costi-tuente incaricata di riscrivere la Costi-tuzione chavista del Paese e, di fatto, diconsolidare il potere del presidente Ni-colás Maduro. Il giorno delle elezioni,boicottate dall’opposizione, si sono ve-rificati violenti scontri fra i mani-

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PRIMO PIANO

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Attivisti dell’opposizioneprotestano contro il governo delpresidente Maduro a Caracas.

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e viene chiesto di «evitare o sospenderele iniziative in corso come la nuova Co-stituente». La nota fa anche presenteche papa Francesco «segue da vicinotale situazione e i suoi risvolti umanitari,sociali, politici, e anche spirituali».

LE FILIPPINE IN MANO A DUTERTERepressioni di tipo diverso, ma non perquesto meno preoccupanti, sono inatto in molti Paesi dell’Africa saharianae dell’Asia. Tra gli esempi più evidentici sono le Filippine, il cui presidenteRodrigo Duterte, eletto l’anno scorso,ha varato leggi di spropositata severitàcontro chiunque usi stupefacenti econtro ogni forma di microcriminalità,

festanti antigovernativi e polizia e daallora i morti nelle strade si contanonon più a decine, ma ormai a centinaia.I principali leader dell’opposizione sonostati posti agli arresti domiciliari ohanno lasciato in fretta e furia il Paese.Da mesi (al momento in cui questo ar-ticolo viene scritto, ndr) si susseguonole condanne di alcuni soggetti interna-zionali, compresa l’esplicita minaccia diintervento armato da parte del presidentedegli Stati Uniti, Donald Trump. Persinola Segreteria di Stato vaticana ha chiestoal presidente venezuelano di fare unpasso indietro: nella nota viene espressa«profonda preoccupazione per la radi-calizzazione e l’aggravamento della crisi»

con operazioni di polizia che hannoprovocato oltre novemila morti. Duterte,che a fine agosto scorso ha ribaditoche la polizia ha ordine di ucciderechiunque si opponga all’arresto, haaltresì proclamato la legge marzialenel Sud del Paese, promettendo di usareil pugno di ferro contro la crescita del-l’estremismo islamistico, dichiarandoesplicitamente di rifarsi alle scelte dell’exdittatore Ferdinand Marcos. La crisi erascoppiata a fine maggio, a Marawi,nell’isola di Mindanao, dopo un blitzfallito dell’esercito per mettere le manisu Isnilon Hapilon, comandante delgruppo ribelle Abu Sayyaf. In rispostail gruppo in questione ha riacceso la

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che le libertà, politiche ed economiche,possano trovare un’effettiva tutelasenza rappresentanza, senza le strutturedei sistemi parlamentari. Ma la demo-crazia è fatta di contrappesi, non solodi deleghe attraverso il voto. E a farvacillare una democrazia basta ormaila pressione di una crisi economica. Ilvero nemico dei sistemi parlamentari èil deficit di partecipazione, la progressivairrilevanza delle strutture intermedietra cittadino e Stato. Finché c’è benessereabbastanza diffuso, c’è una forza d’iner-zia del sistema, ma basta una crisi dirisorse a far esplodere le tensioni. Lademocrazia parlamentare vive di me-diazioni, ma i suoi benefici – le conquistedi civiltà dello Stato sociale – s’incrinanoquando la qualità della vita peggiora,la classe di governo colleziona fallimentied episodi di corruzione, la burocraziaè opprimente, la prospettiva del propriofuturo personale si fa inquietante.

QUO VADIS DEMOCRAZIAIn questo vacillamento che da anni privadi senso soprattutto l’Occidente, trovanospazio classi dirigenti inadeguate, senza icontrappesi e la vigilanza di una verastampa libera, con l’informazione appiattitasulla mercificazione di tutto, compresigli stati d’animo. In un gioco perverso, alquale internet ha dato un nutrimentoimpensabile fino a un paio di decenni fa,a quanti perdono diritti, speranze, tutelesociali viene lasciata solo l’indignazione,un’indignazione sterile che si appaga dipotersi esprimere in una isterica bulimiadi consumo di se stessi sui social. E allorasi perde il senso del principio democratico,al punto che l’idea del leader forte o ilvociare feroce di forze politiche che in-dicano solo nemici – a partire dallo stra-niero, dal diverso – che puntano su pro-tezionismo, chiusura e discriminazione,lungi dall’essere riconosciuti come mi-naccia, danno rassicurazione e identifi-cazione al risentimento.E forse oggi c’è da chiedersi un quo vadis diverso: “Dove vai, demo-crazia?”.

guerriglia, in alleanza con l’altra for-mazione islamista Maute, una di quelleche un po’ dovunque hanno giuratofedeltà all’Isis, ormai una sorta di mar-chio identitario piuttosto che un’ef-fettiva organizzazione (un po’ comeuna decina di anni fa accadde con AlQaeda). Tra i principali bersagli dellaviolenza islamista, oltre alle forze go-vernative, ci sono le comunità e lestrutture cattoliche. Il che non impedisce,per fortuna, alla maggioranza dell’opi-nione pubblica cattolica, per quantopreoccupata dal pericolo di terrorismodi matrice fondamentalista islamica, diessere avversa ai provvedimenti gover-nativi ormai non diversi dagli abusi deidiritti umani perpetrati dal regime diMarcos.

CRISI DELLE DEMOCRAZIE PARLAMENTARILeggi speciali e modifiche delle Costi-tuzioni (o tentativi di farlo) sono semprepiù in tutto il mondo un modo usualeper perpetrare il potere. E Venezuela eFilippine non ne sono certo gli unicicasi. Con livelli ovviamente diversi diviolenza, ce ne sono fin troppi esempi,dalla Turchia a diversi Stati africani, epersino in Europa (soprattutto controgli stranieri).Nessuno può ragionevolmente pensare

Attacchi alla giustizia sociale

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Violenti scontri nellacapitale venezuelana allafine dello scorso luglio inoccasione delle elezionidell’AssembleaCostituente incaricata diriscrivere la Costituzionechavista del Paese.

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Una missionein cento eventiUna missionein cento eventi

Ma perché la scelta della formula di unfestival che evoca l’immagine di unevento leggero, vario e colorato? Sembraquasi un momento ludico, di divertimentopopolare e invece suscita partecipazionee riflessione su argomenti di grandeimportanza e spessore, come dice mon-signor Beschi: «Sì, è vero che la parolafestival suscita un certo tipo di risonanze.Ma ultimamente si è diffuso questoformat anche per temi di grande serietàe impegno, come i festival sulle questionisociali, sulla filosofia, sulla dottrinasociale della Chiesa, addirittura sulleScritture. Un festival è un evento moltoimpegnativo a cui potranno parteciparetutti, trovando vari spunti di interessesul mondo della missione. Una scelta diquesto genere è in continuità con isuggerimenti che ci vengono da papaFrancesco che ci ricorda sempre che la

«U n festival è un evento moltoimpegnativo e grande su untema che spesso è rimasto

relegato nelle sale dei convegni, nelleaule delle chiese o nelle università. Lamissione ora invece scende in piazzaper essere sotto gli occhi di tutti, comeun evento di piazza e non solo per gli“addetti ai lavori”». Monsignor FrancescoBeschi, vescovo di Bergamo e presidentedella Commissione episcopale per l’Evan-gelizzazione dei popoli e la cooperazionetra le Chiese della CEI, commenta il Fe-stival della Missione (12-15 ottobre aBrescia) che, con lo slogan “Mission ispossible”, apre le tematiche della missionead un pubblico più vasto possibile.

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Testimoni e occasioni diincontro animano scuole,teatri, piazze, chiese di unacittà dal cuore missionario:così Brescia apre le porte algrande popolo dellamissione. Per fare festa,ascoltare e diventare amici,come spiega in questaintervista monsignorFrancesco Beschi,presidente dellaCommissione episcopaleper l’Evangelizzazione deipopoli e la cooperazione trale Chiese della CEI.

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linguaggi molto diversi da quelli a cuisiamo abituati». E nel via vai di personetra i mille eventi in cartello per una tregiorni cittadina che vive nel tessuto ur-bano ma parla tutte le lingue del mondo,una particolare attenzione è dedicataai giovani. «La scelta di incontrare i gio-vani si sta rivelando provvidenziale, so-prattutto in vista del Sinodo “I giovani,la fede, il discernimento” indetto dapapa Francesco per il 2018. È statacreata una mobilitazione attorno allacondizione giovanile e alle sue proble-matiche, cercando di leggere le vicendedel mondo attraverso l’esperienza mis-sionaria. In modo particolare ci si rivolgea chi non conosce questo modo di viverela fede, pensando ai mondi in cui vivonodall’università alla scuola, cercando diinterloquire con loro nei luoghi informali.Penso anche alla musica più amata daiteenager, come ad esempio il rap: cisono alcuni testi di questo genere chehanno contenuti e impatto efficaci».

PORTE APERTE ALLE FAMIGLIEL’ordinario coraggio dei missionari, laloro capacità di “fare famiglia” con lepersone di cui si prendono cura è unospaccato di vita che parla il linguaggiodella famiglia, sia nella dimensione dellaquotidianità che in quella dell’impegnomissionario, come sottolinea il vescovo:«Non sono pochi i giovani e le famiglieche partono per esperienze missionarie.Nell’economia globale del Festival è im-portante l’incontro con le famiglie, unarealtà in cui convivono generazioni di-verse, in cui si scambiano esperienze esi intessono relazioni autentiche e fon-danti. Anche per chi non ha esperienzadi questo mondo, il Festival è l’occasioneper vedere come la proposta missionariariesce ad interloquire, in uno scambiodinamico. La missione, pur essendo inqualche momento fatta di scelte ecce-zionali, deve poter raggiungere e inter-loquire con la quotidianità della gente.E dall’incontro nascono spesso scelte »

sciuti a volte no, che vengono dalle pe-riferie del mondo a testimoniare il loroamore per la missione. Adoperandol’esperanto della fede che supera i codicicomunicativi generazionali o lo slangsincopato dei linguaggi internettiani.Proprio il tema dei linguaggi giusti percomunicare la missione sta particolar-mente a cuore a monsignor Beschi, chespiega: «Oggi più che mai la comunica-zione è assolutamente indispensabile:nel nostro ambiente ecclesiale abbiamofatto della comunicazione verbale illinguaggio fondamentale. Abbiamo adisposizione anche il linguaggio nonverbale che è la liturgia e quindi nondovremmo essere degli inesperti inmerito a linguaggi non verbali. Però èimportante che si trovino alfabeti chein questo momento riescano ad entrarein comunicazione con persone che hanno

missione è l’essenza stessa di una Chiesa“in uscita”».Dalle strade ai teatri, agli oratori, allescuole e a tutti i luoghi messi a disposi-zione dalla città, il Festival è anche oc-casione per sperimentare linguagginuovi. In un fitto calendario di incontriche rendono particolarmente ricca l’of-ferta messa a punto nei mesi scorsidagli organizzatori. «L’impegno orga-nizzativo è particolarmente onerososotto ogni profilo - dice il vescovo -.Mi auguro che questa varietà di offertaserva a dare l’idea della ricchezza deicarismi della missione, facendo emergerequel fil rouge che può aiutare a fare unpo’ di sintesi dentro se stessi».

ALFABETI E LINGUAGGIA fare la parte del leone saranno i te-stimoni, uomini e donne a volte scono-

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Monsignor Francesco Beschi,vescovo di Bergamo epresidente dellaCommissione episcopale perl’Evangelizzazione dei popolie la cooperazione tra leChiese della CEI.

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personaggi che hanno avuto influenzanella storia della Chiesa italiana, comesan Daniele Comboni, suor Irene Stefanie il beato Paolo VI. Senza dire poi che lostesso monsignor Beschi è nato a Bresciae ha assorbito la linfa particolare dell’-humus missionario di questa città. Dice:«Sono nato e cresciuto a Brescia e soquanto i bresciani hanno la missionenel sangue; ci sono stati dei grandi per-sonaggi che hanno avuto influenza nelladimensione missionaria di questa città.Negli anni del Concilio Vaticano II, eroun ragazzo e ricordo che in occasionedell’elezione di Paolo VI, Brescia si im-pegnò in modo particolare sul frontemissionario, con gemellaggi con la Chiesa

del Burundi, dove furono co-struiti una missione e un ospe-dale che ancora oggi è soste-nuto dalla comunità brescianacome dono al papa». Dentroquesto progetto c’è stata anchela partenza dei primi giovaniper il cosiddetto Servizio CivileVolontario Internazionale. Erail tempo in cui in Italia - ancheattraverso passaggi sofferti -veniva approvata la legge sul-l’obiezione di coscienza, e quelliche sceglievano il Burundi era-no obiettori che invece di par-tire per il servizio militare inpatria andavano all’estero permettersi al servizio della gente.Di qui è nato il filone dellacooperazione internazionaleche poi si è sviluppato anchein altri termini. La legge chedà il via a tutto questo nascein un contesto bresciano. NelDna missionario della città cisono poi tanti Istituti religiosiche hanno radici profonde conle donne e gli uomini di questoterritorio». Insieme si riapre ilgrande libro della missione. Echissà quanti nuovi capitoliaspettano ora di essere scrittidopo questo straordinarioevento.

mutare in altro. «Molte sono le famiglieche sono state protagoniste della mis-sione, sia partendo che restando e ren-dendosi disponibili all’incontro con l’altroin difficoltà e all’accoglienza - continuamonsignor Beschi - Famiglie con unvissuto missionario si incontrano conaltre famiglie per attivare sinergie traprotagonisti e destinatari, anche se nondirettamente riconducibili al nostromondo e per questo diventano unagrande provocazione».

IL GRANDE CUORE DI BRESCIAChe la cornice di questa nuova esperienzasia Brescia è quanto mai importante.Una città che ha dato i natali a grandi

nuove e sorprendenti». Giovani coppieche in missione hanno visto nascere iloro figli parleranno di culture lontane,di inculturazione e di realtà prima sco-nosciute. Quando ci si scambiano espe-rienze vissute in prima persona possononascere grandi amicizie. E la testimo-nianza resta dentro a chi ascolta comeun’eco profonda che il tempo può

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tiri. Santi e uomini semplici. A Paolo VIè dedicata la piazza del Duomo (nuovoe vecchio); a Sant’Agata una dellechiese più belle, assieme a Santa Mariadei Miracoli. Siamo a Brescia. Città mis-sionaria per eccellenza. Il santo DanieleComboni, giunto fino in Sudan, vide laluce a Limone sul Garda, in provincia.Irene Stefani, beatificata in Kenya, nac-que proprio a Brescia. E anche GiovanniFausti martire, pioniere del dialogoislamo-cristiano. Il primo Festival dellaMissione (12-15 ottobre) ha scelto pro-prio la Leonessa d’Italia per parlare

P iazza della Vittoria, elegante erazionale, dà il benvenuto a chimette per la prima volta piede

in città. Sbucando da sotto terra. Ci siarriva in metro dalla stazione centrale.Da piazza della Loggia a piazza del Mer-cato è tutto un percorso vitale che in-crocia Storia e storie. Che ricorda le an-tiche impronte della Brexia romana diVespasiano, ai Fori. Celebra eroi e papi.Vittime (dell’attentato del 1974) e mar- »

La Cattedrale di Santa Maria Assunta, Duomo Nuovo con accanto il Duomo Vecchio.

di ILARIA DE [email protected]

Appuntamentoal Festival

Dal 12 al 15 ottobreBrescia ospita il primoFestival missionariod’Italia. Tre giornateintense di dibattiti, concerti,spettacoli, film, mostre,aperitivi e messe. Lamissione a 360 gradi èpatrimonio di tutti. Dallecongregazioni missionarieai laici consacrati, dai fidei

donum ai preti, dallefamiglie in missione alleong. Dai giovani delleparrocchie, agli studenti, aicuriosi. È missione totale:fuori e dentro di noi. Nelleperiferie geografiche, negliangoli sperduti della vita.Nelle nostre strade.

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cendo Gesù oggi, rispetto a dove ecome poter essere presenti in quantomissionari. Quello attuale non è untempo disgraziato, ricordiamolo! Alcontrario è un tempo provvidenziale.Dio sta scrivendo la sua storia di sal-vezza dentro le situazioni nelle quali citroviamo quotidianamente».

SGUARDI PROFETICIE un festival missionario ha senso sepossiede «non solo uno sguardo retro-spettivo o sociologico, ma anche pro-fetico sul mondo», dice. La doppiascommessa è «evitare la pura e semplicecelebrazione di un passato missionariosignificativo ma che rischia l’autorefe-renzialità, e parlare il linguaggio del-l’uomo di oggi». I flashmob e i musicalper esempio vanno in questa direzione.In piazza della Vittoria il coro gospelJoyful e il corpo di ballo “Espressionicorporee” si esibiscono a fine settembre.«Credo che questa sia l’era dei Festival– dice Giulia dello staff organizzativo- Facendo questo lavoro mi domando

tore del Centro missionario diocesanodi Brescia - la nostra missione è possi-bile perché il Signore la rende tale. Dob-biamo interrogarci su cosa ci sta di-

di Chiesa in uscita. Ma partiamo dalnome: perché “Mission is possibile?”.«Al di là delle evocazioni cinematogra-fiche – spiega don Carlo Tartari, diret-

Piazza della Vittoria.

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Suor Rosemary Nyirumbe,ugandese, autrice del libro“Cucire la speranza”.

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biente nel quale tutti possano sentirsia casa, ugualmente protetti e ugual-mente responsabili», si legge nel pro-getto di Corpus hominis. «Io mi sonoinnamorata del format festival a Man-tova, col Festival delle letterature – diceancora Elena – Poi ho fatto Crucifixusin Valcamonica. E da lì fino al recenteCorpus hominis che rappresenta unaserie di tappe di avvicinamento attornoalla ricorrenza del Corpus Domini. Il fe-stival è quasi una festa ma in realtà èanche condivisione di tematiche e con-tenuti di spessore, non solo in formatodi conferenza». Il 5 ottobre ad esempio,in anticipo rispetto alle tre giornate dilavori, dai missionari comboniani di Bre-scia, padre Daniele Moschetti presentail libro “Sud Sudan, il lungo camminosofferto verso la pace, giustizia e di-gnità”. Lo accompagna monsignor Gior-gio Biguzzi. Sabato 13 ottobre invece èla volta dei giovani legati ai Missionaridella Consolata che si esibiscono al tea-tro di San Giovanni Evangelista con unaperformance sull’Evangelii Gau-

se è sempre un format utile, o soloun’etichetta. Vivendolo dall’interno misono resa conto che la tipologia del fe-stival rende le persone molto più libere.Il festival recupera la dimensione dellapolis dell’antica Grecia. È la versionedel “mercato”. Questo consente allospettatore di sentirsi maggiormenteparte della comunità». Il movimento è“attivo” e chi osserva diventa co-pro-tagonista, interagendo con relatori epersonaggi. Fulcro e punto di riferi-mento costante dei tre giorni di ottobrea Brescia è la magnifica piazza PaoloVI che ospita le due chiese principali:la Rotonda o Duomo vecchio (dove il13 ottobre si celebra la messa e si seguela Lectio Divina di Anna Maffei, pastoradella Chiesa battista); e il Duomo nuovoo cattedrale di Santa Maria Assunta.

YOUTH VILLAGE E LIBRIAltro punto focale: il Centro pastoralePaolo VI, dove alloggiano gli ospiti,dall’arcivescovo di Manila, il cardinalLuis Antonio Tagle, a padre AlejandroSolalinde, autore di “I narcos mi vo-gliono morto. Messico, un prete controi trafficanti di uomini” (vedi pag. 50). Edove ha vita lo Youth Village, la citta-della di Missio Giovani, coordinata dal

»

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Sopra:

Monsignor Luis Antonio Tagle,arcivescovo di Manila.A destra:

Monsignor Giorgio Biguzzi, arcivescovoemerito di Makeni, Sierra Leone.

segretario Giovanni Rocca. Le vie e lepiazze si intrecciano, la vicinanza diluoghi e di chiese consente di esserefuori, nella polis, tra la gente che pas-sando e vedendo si avvicina. Ma anchedentro, a portata di mano. D’altra parte«Brescia non è per nulla nuova ai festi-val – spiega Elena Lancini dello staffdel Cmd della diocesi, i cui uffici sor-gono a pochi metri dal duomo - A giu-gno si tiene Corpus hominis, il Festivaldella comunità in attesa del Corpus Do-mini. «La città, non quella ideale, bensìla nostra, dovrebbe diventare l’am-

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dium. E in contemporanea c’è la pre-sentazione del libro di suor RosemaryNyirumbe, ugandese, autrice di “Cucirela speranza”, sempre alla presenza dimonsignor Biguzzi. Naturalmente ancheil mondo dei laici e delle ong è valoriz-zato e “raccontato” al Festival se nonalla pari di quello missionario classico,comunque con grande ricchezza di det-tagli. Anche perché spesso, in realtà, idue ambiti si intrecciano con risultatieccellenti. Come avviene per le tre ongbresciane che fanno cooperazione allosviluppo insieme: si tratta di MedicusMundi Italia, SCAIP (Servizio Collabo-razione Assistenza Internazionale Pia-martino) e SVI (Servizio Volontario In-ternazionale). Hanno la loro sede nellostesso edificio e collaborano da anni.«Come Medicus Mundi siamo presenti

in Africa ad esempio in Burkina Faso ein Mozambico – spiega Stefano Chiappa,presidente di Medicus Mundi – In Bur-kina il tema Aids era molto attuale allafine degli anni Novanta. Oggi prosegue

nella forma pediatrica e con la lotta allamalnutrizione. In Mozambico invece ab-biamo in carico un progetto che nascedalla relazione tra diocesi. Siamo pre-senti nella provincia a Sud del Mozam-

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Il Centro pastorale Paolo VI.

Il Foro Romano di Brescia.

Il Centro pastorale Paolo VI.

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ENTRARE NEI PROCESSI E VIVERLI«Quanti laboratori abbiamo già fattosul concetto di “non occupare spazi maattivare processi”? – si chiede anchedon Carlo Tartari – Ma non vediamoche la realtà è superiore all’idea? Chegià siamo chiamati a cogliere e discer-nere la presenza e la volontà di Dio inquello che c’è, senza inventarci nulla?».Come dire, il processo è già in corso. Cisiamo tutti dentro. Tanto vale starci conconvinzione, vivendo un “qui ed ora”per niente male. Altra scommessa diBrescia: «Vorremmo dare voce non tantoalle disgrazie o sciagure che accadonoin luoghi altri – dice ancora don Carlo– ma soprattutto alla bellezza e allaspiritualità di quei luoghi». Che sianoculture africane o asiatiche, spiritualitàdifferenti e spesso più essenziali. Ap-profittando del fatto che questi uominie queste donne bussano oggi diretta-mente alle nostre porte. Domenica 15,nella Sala dei vescovi della curia di Bre-scia, con l’incontro “Migranti, la mis-sione in casa”, suor Raquel Soria dellaConsolata e suor Giovanna Minardi (del-l’Immacolata - Pime) illustrano un

scovo emerito di Makeni questa nonsolo non è epoca di crisi ma è l’inizio diuna nuova avventura. Il meglio dellamissione deve ancora venire, azzarda. Espiega: «Mi piace quello che GiovanniPaolo II diceva, ossia che “al sorgere delnuovo millennio la missione della Chiesaè ancora agli inizi”. Questo è bellissimo.Io sono ancora vivo agli albori di unanuova avventura cristiana! Siamo soloalla prima generazione che deve andarecon ali nuove. Papa Francesco lo dice inmodo diverso: “Ringrazio il Signore diessere arrivato all’inizio di una nuovaepoca”». Eppure il problema della Chiesain Italia resta. «Ed è un po’ questo - ar-gomenta ancora Biguzzi -: abbiamo untesoro di eredità immenso che non vabuttato a mare: è fatto di valori e distrutture. Ogni cento metri a Bresciaabbiamo una chiesa e sono una più belladell’altra. Ma è arrivato il momento divalorizzare nuove aree di missione.Nuovi “luoghi” non geografici e non fi-sici di evangelizzazione». Per farlo, con-ferma, «ci vuole una certa parresia: ne-gli anni Cinquanta c’era un libro cheleggevamo sempre con grande piacere,era di don Calabria e si chiamava Apo-stolica vivendi forma. Ecco, è arrivatoil momento di intercettare e seguire an-che oggi una nuova forma». Nuovi con-tenitori, nuovi format, nuovi mezzi, vei-colano, questo è certo, anche nuovimessaggi.

bico, con progetti agricoli, di svilupporurale e salute. E con la fabbrica dellafrutta in forma cooperativa a Maputo».È questa la storia al centro di una delletavole rotonde del Festival con i laiciprotagonisti della missione.

IL BELLO DEVE ANCORA ARRIVARE!In effetti, data la ricchezza di esperienzee di storie missionarie (che qui sonolampanti perché concentrate in tempie spazi ristretti) è difficile pensare chela missione sia oggi in declino. Per il ve- »

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Don Carlo Tartari,direttore dell’Ufficiomissionario delladiocesi di Brescia.

Padre Tullio Donati,missionariocomboniano in Congo.

Don RobertoFerranti,direttoredell’Ufficio peril dialogointerreligiosodella diocesidi Brescia.

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bel progetto della Cimi per migranti inSicilia, mentre Alì Ehsani, afghano, pre-senta il libro “Stanotte guardiamo lestelle”.

CORPI DI INTERVENTO MISSIONARIOPER LA CHIESA UNIVERSALELa certezza della reversibilità della mis-sione (ad intra e ad extra) ce l’ha benchiara padre Tullio Donati, comboniano,che dal 1973 con alterne presenze inItalia, ha vissuto praticamente quasisempre in Congo. Ma il suo essere ri-tornato è stato altrettanto fertile delsuo essere partito. «Mi sono ritrovatoad essere missionario anche qui - con-ferma - Il mal d’Africa in realtà nonesiste. Esiste il mal della gente d’Africa.Ossia la nostalgia delle persone. Ma netroviamo moltissimi di pezzi d’Africaanche in Italia. A Brescia, ad esempio,

seguiamo la comunità senegalese. Perimmergerti devi uscire non tanto da uncontinente, ma da te stesso. Qui in Italianon sei tu il protagonista: è forse questala cosa che ci fa male ammettere?». Epoi la sua proposta: «Io penso che oggii missionari dovrebbero essere una sortadi corpi di pronto intervento mobile aservizio della Chiesa universale». Diffi-cile pensare di poter restare in missione30 o 40 anni come in passato. «Si do-vrebbe partire su richiesta, quando leChiese locali hanno bisogno di forma-tori, di esperti, di comunicatori o di al-tro», propone padre Tullio.Questa è un po’ l’esperienza di don Ro-berto Ferranti, bresciano, 41 anni, fideidonum in Albania per dieci anni, rien-trato poco tempo fa nella sua diocesicon un ruolo delicato e bellissimo: di-rettore dell’Ufficio per il dialogo inter-religioso. Si occupa delle relazioniislamo-cristiane. Al Festival di Brescia,don Roberto, oltre a stare nello staffdegli organizzatori, ha il compito di ac-cogliere gli ospiti, assicurare un serviziodi assistenza e di accompagnamento.«Brescia ha dato all’Albania il gesuitamartire padre Giovanni Fausti che è

stato uno dei precursori del dialogo conl’islam. Ha scritto articoli molto belliche sono stati riediti adesso. Ma credoanche che sia inutile continuare a glo-riarci del nostro passato. Se la mia tra-dizione mi ha consegnato questa figura,non basta far festa perché l’abbiamobeatificata. Penso che la forza dello Spi-rito nasca anche da questo: dalla ca-pacità di prendere esempio per crearedi nuovo». Ci racconta il seguito dellasua storia missionaria che avevamo la-sciato nella prima fase.

BRESCIA E L’ALBANIA«Dopo Reshen in Albania, sono statoinviato nel distretto di Matt, nella cittàdi Burrell dove non ci sono cattolici -racconta -. È totalmente musulmana.Con villaggi di presenze cristiane. Era-vamo due sacerdoti di Brescia, io e donGianfranco. Vivevo in casa con ragazzialbanesi che facevano con me un’espe-rienza di crescita umana. Eravamogruppi piccoli perché con poche per-sone c’è maggior possibilità di scavaree di vivere una genuina esperienza co-munitaria. Mangiare insieme, dividercii lavori di casa, fare la lavatrice, mettere

Monsignor Pierantonio Tremolada,vescovo di Brescia.

Palazzo della Loggia.

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messa di Natale, venne arrestato dal re-gime comunista, con l’accusa di avercelebrato a suffragio del presidenteJohn Fitzgerald Kennedy, assassinatopochi mesi prima. Incarcerato e tortu-rato, venne condannato a morte, ma lapena fu successivamente commutata in25 anni di prigionia e lavori forzati.Questo incredibile uomo è a Brescia perconsegnare il premio “Cuore amico” lamattina del 14 ottobre dopo la messain Duomo vecchio. E sarà possibile dia-logare con lui e scoprire un altro pezzodi Albania in Italia.

don Roberto - Con la convinzione dinon entrare in un sistema ma di met-termi a disposizione per camminare con

delle persone. Lamissione mi ha in-segnato questo: senon si ritorna inetà giovanile non siriesce più ad en-trare nelle nostrerealtà: io torno inItalia ma ci tornoda missionario, li-bero e sereno conle istituzioni macon la voglia difare. Al Festival mioccupo dell’acco-

glienza, sia dei delegati che delle au-torità. In particolare del cardinale Taglee del cardinale Ernst Simoni». Quest’ul-timo è un personaggio importante perl’Albania: il 24 dicembre 1963, dopo la

insieme i soldi per la spesa». A Burrell,don Roberto ottiene anche un permessodel Ministero della Giustizia per entrareregolarmente in carcerecome educatore. «Eraun carcere di massimasicurezza, un ex istitutodi detenzione politica,con 220 detenuti e unatrentina di cattolici, conpene dai 20 anni in su»,spiega. «Uno o duegiorni a settimana po-tevo trascorrere la mat-tinata lì, incontrandoanche altri detenuti neicortili. E mi capitava diascoltare storie e con-fidenze di molti fedeli musulmani», dice.Per loro era assoluta novità un’assi-stenza spirituale tra le quattro muradella prigione. «Non è stato facile tor-nare a casa dopo 10 anni – confessa

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Aluisi Tosolini,filosofo epedagogista.

Blessing Okoedion,nigeriana, autrice del libro“Il coraggio della libertà”.

Scrivere a:[email protected] chiamare +39 030 3722350www.festivaldellamissione.itVia Trieste 13/b - 25121 Brescia

PER PARTECIPARE AL FESTIVAL DELLA MISSIONE

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Tutti i luoghi

Gli eventi principali del Festival: le presentazioni, gli incontri con i missionari e i dibattiti; gli spettacoli teatrali e i concerti,

che si terranno nelle vie e piazze della città evidenziate nella mappa.

dove andare

PiazzaPaolo VI

Piazzadella Loggia

Piazzadella Vittoria

Piazzadel Foro

GalleriaDuomo

Via Trieste

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PROGRAMMAGIOVEDÌ 12 OTTOBREOre 18.00Celebrazione Santa Messa di accoglienza pre-sieduta da mons. Pierantonio Tremolada, Vescovodi Brescia.Ore 21.00 - In alcune parrocchie di Brescia edintorni e presso alcuni monasteri della Diocesiveglie e testimonianze missionarie.

VENERDI 13 OTTOBREOre 8.00Santa Messa, seguita dalla Lectio Divina guidatada Anna Maffei, pastora della Chiesa Battista. Inizial’adorazione eucaristica permanente presso le SuoreAncelle di via Moretto, 16 (nello stesso luogosaranno presenti presbiteri per le confessioni).

Ore 9.30-12.00Mission is possible. Quale futuro per la missionead gentes?Intervengono: card. Fernando Filoni (Prefetto dellaCongregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli),prof. Aluisi Tosolini (filosofo), suor Luigina Coccia(Madre generale delle Suore Comboniane), padreStefano Camerlengo (Superiore generale dei mis-sionari della Consolata)

Ore 9.00-13.00“Global Health Coverage”: la tutela della salutetra Nord e Sud del mondo.Intervengono: Nicoletta Dentico (direttrice di HealthInnovation in practice – HIP Ginevra), FrancescoCastelli (Professore ordinario di malattie infettive,delegato del Rettore per la cooperazione allo svi-luppo), Carlo Collivignarelli (presidente e fondatoreCeTamb), Massimo Chiappa (direttore MedicusMundi), don Dante Carraro (direttore Medici conl’Africa - Cuamm), Alessandro Manciana (medico,volontario dell’anno Focsiv 2016). Nel corso del-l'incontro Elisabetta Soglio (giornalista del Corrieredella Sera), intervista Giovanna Ambrosoli (direttricedella fondazione Ambrosoli), padre Egidio Tocalli,missionario comboniano.

Ore 12.00-13.00“Mission Exposure”.Presentazione dell'iniziativa di introduzione alla mis-sione per studenti universitari, promossa nell’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore di Milano da unpool di istituti missionari.

Ore 15.30-16.45Matteo Ricci: l’amicizia via per la missione.Intervengono: mons. Claudio Giuliodori (Assistenteecclesiastico generale dell'Università Cattolica delSacro Cuore), padre Gianni Criveller (missionariodel PIME in Cina), padre Federico Lombardi (giàportavoce di papa Benedetto XVI e di papa France-sco), Elisa Giunipero (docente di Storia della Cinacontemporanea all’Università Cattolica del SacroCuore).

Ore 17.00 -19.00Il volto femminile della missioneIntervengono: Lucetta Scaraffia (giornalista e scrit-trice), suor Angela Bertelli (missionaria saveriana);Sara Foschi (Comunità Papa Giovanni XXIII), AuroraLombardi (Fondazione Museke).

Ore 18.00Celebrazione eucaristica per la comunità filippina.Presiede il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, ar-civescovo di Manila e presidente di Caritas Inter-nationalis.

Ore 21.00Serata inaugurale del FestivalArte, musica, testimonianze e preghiera sul tema“Mission is possible alla luce del Evangelii Gau-dium”.

SABATO 14 OTTOBREOre 8.00Santa Messa, seguita dalla Lectio Divina guidatada Daniel Attinger (monaco di Bose).

Ore 9.30-11.15Consegna del Premio Cuore Amico.Interviene il cardinale Ernest Simoni (Albania).Testimonianze dei missionari e delle missionariepremiati. Momento musicale a cura del JoyfulGospel Choir. in collaborazione con Cuore AmicoOnlus.

Ore 11.00-13.00Laici, protagonisti della missione.Intervengono: Claudio Treccani (CMD Brescia),Marco Ratti (giornalista, fidei donum in Brasilecon la famiglia); Federica Nassini (SVI Brescia);Chiara Viganò e padre Piero Demaria (Casa Milaicodi Treviso), Giovanni Rocca (segretario di MissioGiovani Italia), Antonella Marinoni (Comunità mis-sionarie laiche-Pime).

Ore 15.00-18.30Attività per famiglie e bambiniCon GiokCalima (giocoleria), il Salterio (musiche edanze dal mondo) e Ufficio educazione alla mondialità- Pime.

Ore 15.00-16.30Africa, l’amore che vince l’odio.Intervengono: Elisabetta Soglio (direttrice di “BuoneNotizie. L’impresa del bene”, Corriere della Sera,suor Rosemary Nyirumbe (ugandese, autrice diCucire la speranza, Emi), mons. Giorgio Biguzzi(saveriano, vescovo emerito di Makeni, Sierra Leo-ne).

Ore 17.00-18.30Dalla parte degli “scartati”. Intervengono: LuciaCapuzzi (giornalista di Avvenire), Marco Clementi(inviato del Tg1), padre Alejandro Solalinde (autoredi “I narcos mi vogliono morto. Messico, un pretecontro i trafficanti di uomini”, Emi)

Dalle ore 18.30Aperitivo con il missionario

Ore 18.00Aperitivo musicale con i Quadrophobia.

Ore 18.30-19.30La schiavitù della tratta, nuova frontiera dellamissione. Intervengono: suor Gabriella Bottani(comboniana, presidente di Talitha Kum), BlessingOkoedion (nigeriana, autrice di “Il coraggio dellalibertà”, Paoline), Anna Pozzi, giornalista di Mondoe Missione e segretaria di Slaves no more.

Ore 18.30-20.00Vento. Spettacolo del Gruppo teatrale giovanile LaMangrovia.

Ore 21.00“Non muri ma ponti”. Concerto per la pace deiThe Sun, in piazza Paolo VI. A seguire “Nottebianca della missione”, preghiera e testimonianzemissionarie.

Ore 21.00“Irene” (teatro S. Afra).Rappresentazione teatrale sulla beata Irene Stefani,a cura della compagnia teatrale Controsenso

DOMENICA 15 OTTOBREOre 9.00-10.00Migranti, la missione in casa. Intervengono: suorRaquel Soria (Consolata) e suor Giovanna Minardi(Missionarie dell’Immacolata), attive nel progettoCIMI per migranti in Sicilia; Alì Ehsani, (afgano,autore diStanotte guardiamo le stelle, Feltrinelli),Jessica Cugini (Fondazione Nigrizia onlus).

Ore 11.00Santa Messa in Duomo. A seguire, mandato aimissionari in partenza e rinnovo del mandato pertutti i missionari presenti.

Ore 12.00Coro Elikya in concerto.

Ore 15.00-18.30Attività per famiglie e bambini. Con GiokCalima(giocoleria); il Salterio (musiche e danze dal mondo)e Ufficio educazione alla mondialità - Pime.

Ore 15.30Concerto “Frontiere”. Scalamusic (missionariscalabriniani)

Ore 16.00 - 17.30La missione e la sfida della cultura e dell’infor-mazione. Intervengono: padre Bernardo Cervellera(direttore di Asia News), Marco Tarquinio (direttoredi Avvenire) e Lorenzo Fazzini (direttore EMI), donAdriano Bianchi (direttore della Voce del Popolo diBrescia e presidente FISC).

Ore 18.00 - 19.30Per un’economia a misura d’uomo, alla luce diEvangelii Gaudium.Conclusioni di padre Alex Zanotelli (comboniano).

Ore 18.00 - Aperitivo con il missionario.

Ore 20.30 - 22.00 - Evento conclusivo.

Gli eventi per i giovani si svolgono presso lo Youth Village nella struttura Paolo VI.

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Gesù – dice anche il direttore dellaFondazione Missio, don Michele Autuoro- Nelle piazze, come in quel giorno diPentecoste, inizio della missione dei di-scepoli. Perché la Chiesa non dimentichiche è nata in uscita e solo in uscitasarà fedele al suo Maestro». PadreGiorgio Padovan, comboniano con 25anni di missione in Brasile, e segretarionazionale del Suam (Segretariato Uni-tario Animazione Missionaria), scriveche «per noi il Festival è un momentoprivilegiato per rinnovare la dimensionemissionaria della nostra Chiesa che sem-bra “in ritirata” e preoccupata ad intrae poco in uscita». Le parole d’ordineper padre Giorgio sono: insieme, stradae incontro. «Pensare e fare insieme ilFestival è un modo di essere missionari.Solo insieme siamo Chiesa e testimo-niamo la missione. Il fatto di riunircicome organismi missionari per promuo-vere in forma sinodale un’attività è giàuna spinta profetica e innovativa». Perpoi aggiungere che «il Festival si realiz-zerà sulla strada, nelle piazze, neglispazi pubblici della città, nelle case,nelle chiese. È un evento aperto versotutte le persone, soprattutto i giovanie i poveri, coloro che non frequentanole chiese e le nostre strutture, i migranti

a partire dalla Cimi, guidata da suorMarta Pettenazzo. Per finire col Suam,nonché con i Cmd d’Italia. «Quandonell’estate 2014, a Pesaro, per la primavolta ho presentato alla Cimi l’idea delFestival della Missione, maturata insiemead alcuni amici, non potevo immaginareche quella palla di neve sarebbe diven-tata una valanga. A distanza di treanni, devo dire che la sensazione è diun notevole dinamismo: all’interno delmondo missionario il progetto Festivalpare abbia risvegliato un po’ di entu-siasmo sopito e messo in circolo energienuove». D’altra parte la stessa EvangeliiGaudium invita ad usare di più le città.Nel senso che dà indicazioni concretesu cosa intendere per Chiesa in uscita.«Una cultura inedita palpita e si progettanella città – vi si legge - Ciò richiede diimmaginare spazi di preghiera e di co-munione con caratteristiche innovative,più attraenti e significative per le po-polazioni urbane». Da notare che tral’altro l’esortazione apostolica del papanon si riferisce solo al mondo dei fedelima parla di tutte le popolazioni urbane.«Andiamo allora in città e nelle piazzeper dialogare, contemplare e fare festaper la perenne buona notizia per ogniuomo e per ogni donna del Vangelo di

I l primo Festival della Missione - chela Fondazione Missio, come organi-smo pastorale della Cei, promuove

insieme alla Conferenza degli IstitutiMissionari Italiani (Cimi) e alla diocesidi Brescia alla vigilia della GiornataMissionaria Mondiale vuole rilanciareil mandato del Vangelo: “Andate dunquee fate discepoli tutti i popoli” (Mt28,19). Come scrive papa Francesco nelmessaggio per la Giornata MissionariaMondiale 2016, questo «non si è esaurito,anzi ci impegna tutti, nei presentiscenari e nelle attuali sfide, a sentircichiamati a una rinnovata “uscita” mis-sionaria». L’intuizione originaria di rea-lizzare proprio il format festival (e nonconvegno o maxi raduno come per laGiornata Mondiale dei Giovani) arrivadal giornalista Gerolamo Fazzini quasitre anni fa, ma è stata subito raccoltadalle sigle che nel mondo ecclesiasticovivono da sempre di “pane e missione”,

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Genesi di unascommessa

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«H o sempre cercato fortemente il bene dei più deboli e lapromozione umana. Sono riuscita ad allargare il cerchio:

ad un certo punto non ero più sola ad affrontare i mieiprogetti». Sono parole di Enrica Lombardi, imprenditricebresciana (Castenedolo, 1933-2015). Spirito libero e audace ilsuo. Dedita all’impegno sociale e alla condivisione dei suoisuccessi, Enrica approderà anche in Africa, sarà una sorta diimprenditrice-missionaria per passione. Nata da una famigliaumile e religiosa, dopo aver lavorato in un’azienda tessile peranni, si mette in proprio come modista e fonda nel 1961l’azienda Aurora, che diverrà poi la nota Henriette. Millecinquecentodipendenti, quasi tutte donne. «Il successo imprenditorialenon l’aveva affatto allontanata dalla quotidianità. Tutt’altro – cispiega oggi Chiara Novaglio, Segretario generale della FondazioneMuseke – Rimaneva credente e attenta ai bisogni delle donne».Galeotto fu un viaggio in Burundi. Durante le vacanze di Nataledel 1966, su invito del nunzio. «Dopo aver visto donne viveresenza dignità - non c’erano scuole, telefono, bagni - mi sonochiesta: ma non sarà possibile fare qualcosa per loro? Ho co-minciato a pensare e a pregare», ricorderà più tardi la stessaEnrica. Decide così di insegnare tecniche di cucito alle donneafricane. Che le impareranno da sarte professioniste. Coinvolgedifatti le sue stesse operaie che si alterneranno in Burundi. «Leha formate, insegnando loro il francese. Per un’imprenditricetutto questo era davvero visionario», dice Chiara, a capo dellaonlus nata proprio per strutturare questo aiuto. «Il 6 luglio1968 Maria, Tilde e io partimmo da Linate iniziando la nostramissione africana», ricorderà una delle sarte intervistata allaradio. E da lì in poi sarà tutto un fiorire di progetti e di presenze,anche in Rwanda. «Con vero piacere abbiamo deciso disostenere finanziariamente il Festival della Missione, presentandouna mostra fotografica dedicata ad Enrica Lombardi. Cisembrava bello poterla raccontare ad un pubblico esterno, chenon la conosce affatto», spiega la Novaglio. La FondazioneMuseke (che vuol dire sorriso e alba di un mondo nuovo)nasce nel 2009 sulla base di un lascito testamentario: la

Imprenditoria illuminata

fondatrice è sempre lei, Enrica Lombardi. Che nel corso deltempo aveva voluto fare di più e meglio per l’Africa: dedicavaparte dei proventi dell’azienda a veri e propri progetti missionari.Nel 1994 l’impegno si estese al Rwanda: qui la donnaaveva creato un ospedale pediatrico specializzato conannesso un Centro d’accoglienza per minori abbandonati.«Quando è scoppiato il genocidio, gli enti stranieri espatriavanoil proprio personale – racconta Chiara Novaglio - Anche l’as-sociazione ha dovuto farlo. Grazie alla sua grande fede e allaprontezza di spirito, Enrica ha fatto una specie di miracolo.Con una serie di passaggi burocratici e grande insistenza, èriuscita a trarre in salvo 41 bambini di età compresa tra zero equattro anni. C’erano anche una ventina di adolescenti che sitrovavano lì perché erano in cura. Tutti salvi! I bimbi sono statipoi accolti a Castenedolo». Il Burundi oggi rimane il principalePaese target per Museke e per l’Ats Kiremba: «Vi lavoriamo incollaborazione con diversi enti e il Cmd di Brescia, l’obiettivo èrendere autonomo l’ospedale di Kiremba. Il focus infatti è ilsettore sanitario». La Fondazione Museke continua ad occuparsidi progetti di formazione per donne e bambini con un filonemolto specifico di adozioni a distanza concentrate in Burundi.«Le congregazioni locali rimangono un ottimo punto diriferimento per noi - spiega Chiara - sul posto ci siamo legatialla congregazione locale delle suore Bene Maria, dal momentoche non c’è personale fisso nel Paese».

I.D.B.

ENRICA LOMBARDI E MUSEKE

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Brescia città aperta

che arrivano e vivono sulle strade. Lastrada è il luogo della quotidianità,della vita di ogni giorno, delle relazioni,del vivere la nostra umanità».Forse è proprio quell’essere insieme aprogettare, ideare, finanziare e realizzareil Festival, a dare valore aggiunto all’idea,come dice anche lo stesso Fazzini: «Sì:vogliamo provare a fare un Festival in-

sieme, vivendo questa opportunità comeuna palestra di comunione, dove ledifferenze vengono esaltate in quantoricchezza da condividere a beneficio ditutti. Da molti Istituti missionari sonoarrivati segnali di apertura, collabora-zione e disponibilità».Naturalmente tutto ciò non sarebbestato possibile senza il contributo pre-

zioso della diocesi di Brescia. «La Chiesabresciana – dice monsignor LucianoMonari, vescovo di Brescia - è grata alSignore per i missionari e le missionarieche con la loro vita ogni giorno rendonotestimonianza al mandato di Gesù aidiscepoli: “Andate in tutto il mondo epredicate il Vangelo ad ogni creatura”.Il Festival è un’occasione significativa

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C omboni nasce a Limone sul Garda il 15 marzo 1831 dauna famiglia di contadini al servizio di un ricco possidente

della zona. Daniele è quarto di otto figli, morti quasi tutti intenera età. Nonostante la povertà, la famiglia è unita, ricca difede e di valori umani; ma la scarsità dei mezzi e la necessitàspingeranno Daniele ancora giovane a raggiungere Verona perstudiare in un collegio religioso, l’Istituto fondato dal sacerdotedon Nicola Mazza. È in questo ambiente che inizia a sognare lastrada africana. Affascinato dai discorsi e dai resoconti deiviaggi missionari in Sudan di don Angelo Vinco, che vedepartire per la prima spedizione missionaria e che spera ungiorno di affiancare, Daniele poco più che adolescente decide«di prendere le vie del Signore che portavano alla Nigrizia». Nel1854 viene ordinato sacerdote e tre anni dopo parte per l’Africaassieme ad altri cinque missionari formatisi nello stessocontesto. Il viaggio verso Khartoum è interminabile. Qualcosadi inimmaginabile all’epoca: una spedizione di 115 giorni,quattro mesi, che comporta stenti, fatica, malattia e, non dirado, morte lungo la strada. Arrivata ad Alessandria d’Egitto, lacarovana missionaria va in visita alla Terra Santa. Una volta inSudan, però, le difficoltà per Daniele aumentano: si rendesubito conto che clima, malattie, morte e povertà sono all’ordinedel giorno, ma non desiste. Anzi, si convince del fatto chel’Africa può salvarsi grazie all’Africa. «Sia i musulmani chemolti cristiani consideravano quella gente come merce: tantecose non andavano lì. Il Signore ha fatto una scelta: stare dallaparte dei poveri e degli africani». Ha una cieca fiducia nel fattoche gli africani sarebbero divenuti presto protagonisti della lorosalvezza; ideò così un progetto per “salvare l’Africa con l’Africa”(1864). Fu per lui un’illuminazione: bisognava creare un cleroafricano che crescesse tra le genti africane. E che ruolo per ilaici? Scuole con maestri africani e famiglie di laici formati alVangelo. Il suo annuncio è rivolto alla Chiesa tutta, particolarmentein Europa alla quale comunica che è l’ora della salvezza deipopoli dell’Africa. Nel 1867 fonda l’Istituto dei Missionari Com-boniani, nel 1872 si dedica alla creazione di un Istituto di Suoreesclusivamente consacrate alle missioni, le Missionarie Com-boniane. «La fede è l’unico mezzo, anche il più sicuro, contro

Terra di santila schiavitù, perché in-segna che la libertà deifigli di Dio è per tutti»,diceva.Altra brillante storia difede missionaria donata dalle terre bresciane, è quella di suorIrene Stefani. Ad Anfo sul lago di Idro, il 22 agosto 1891 nasceMercedes Stefani, che cresce gentile e generosa. Ma pocomeno che diciottenne perderà la mamma. Mercedes riceve dalei le “ultime istruzioni” su come possa diventare la “mamma”dei fratelli più piccoli. E poi nella sua vita ci sono soprattutto lamessa di ogni giorno, la comunione, il rosario, l’aiuto ai poveri.Il parroco, missionario nel cuore e nelle opere, è la sua guida. Il19 giugno 1911, Mercedes Stefani lascia casa, famiglia epaese per raggiungere Torino e l’Istituto delle Missionarie dellaConsolata e consacrarsi a Dio. Seguono tre anni di formazione,nel silenzio, nello studio e nella preghiera (e nel sacrificio).Diventa Suor Irene, con il bel nome impostole dal “Padre” fon-datore. A poco più di 23 anni suor Irene, il 28 dicembre 1914parte per il Kenya, dove già nel 1902, lavoravano i primimissionari della Consolata. In mezzo ai Bantu riconosce leanime cha ha sognato durante la sua adolescenza: «Se avessimille vite, le darei tutte per Gesù, per amarlo e farlo amare, perconvertire le anime a Lui», diceva. La prima tappa è a Nyeri,per un tirocinio nella prospettiva di buttarsi al più presto nellaevangelizzazione sull’altopiano centrale. Ma la prima guerramondiale fa sentire la sua tragedia anche nei Paesi colonialiinglesi e tedeschi. Dall’agosto 1916 al gennaio 1919, suorIrene è infermiera negli improvvisati ospedali da campo per icarriers, i circa tre-quattromila indigeni mobilitati dagli inglesi.Intanto lavora come maestra nella scuola, a insegnare i primirudimenti della cultura, per aprirsi al Vangelo e trovare salvezza.È catechista in tutti i modi, con l’annuncio diretto del Vangelo econ le sue opere. La gente, che ormai la conosce, ricorre a leiper ogni necessità, e chiama suor Irene con il nome di “Nyaata”,la madre misericordiosa. Nel 1930 per soccorrere gli ammalatidurante una epidemia di peste, muore in un ospedale da cam-po. I .D.B.

DA DANIELE COMBONI A IRENE STEFANI

per rinnovare la passione e lo slancioper l’annuncio del Regno di Dio: quellapassione che ha animato la vita delbeato Paolo VI, di san Daniele Comboni,della beata Irene Stefani e di tanti figlie figlie di questa terra».

I.D.B.

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media regione italiana, ma con una popolazione stimata intornoai 4,4 milioni di abitanti. Non esistono dati ufficiali in tal senso,poiché il sistema che assegna le cariche istituzionali ed i seggiparlamentari è su base comunitaria e confessionale, per cui inquesti anni si è inibita l’opportunità di aggiornare l’ultimo cen-simento pubblico del 1932.Al computo della popolazione libanese vanno aggiunti i circa400mila palestinesi, che vivono da 70 anni nei 12 campi pro-fughi del Libano gestiti dall’Unrwa, l’Agenzia per i rifugiati pale-stinesi del Vicino Oriente delle Nazioni Unite, l’oltre un milionee 200mila rifugiati siriani, arrivati a più riprese dall’inizio dellaguerra civile della Siria, ed i circa 50mila iracheni a cui vannoaggiunti altri gruppi di rifugiati provenienti dall’Africa subsaha-riana. Una presenza che ha messo a dura prova le istituzionilibanesi e le Agenzie internazionali che, nonostante gli sfor-

DALLA PARTE DELL’UMANITÀC’è un Paese nel Vicino Oriente che incarna gran parte dellecontraddizioni esistenti nella zona che in questi ultimi anni, piùche mai, si è contraddistinta per una frammentazione politica,religiosa ed etnica: è il Libano, uno Stato che risente delle pro-prie divisioni interne quanto delle tensioni regionali esterne.La “Svizzera del Medio Oriente”, come era definita fino a qual-che decennio fa per il suo sistema finanziario, oggi, dopo 15anni di guerra civile, è al centro della disputa geopolitica gioca-ta dai più importanti attori presenti nella regione mediorientale– da Israele e Siria, fino ad Arabia Saudita e Iran – tanto da farritenere questo Paese un oggetto, più che un soggetto, delledinamiche politiche di tutta l’area.Un Paese piccolo, che per estensione è grande come una

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIA PIGLIUCCI E SARA BRAGA

Foto di CRISTIAN GENNARI

LIBANO MULTIETNICOS C A T T I D A L M O N D O

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DA ERBIL A MOSUL

zi, faticano a rispondere a questo continuo flusso di umanitàsia da un punto di vista economico che da quello organizzativo,con la consapevolezza che diviene sempre più complessooffrire loro assistenza ed accoglienza adeguate. Una situazio-ne, quindi, che non può non destare preoccupazione nei rap-presentanti politici libanesi, che, tra l’altro, avvertono il timoreche nel tempo questa presenza prolungata possa compromet-tere i delicati equilibri del sistema di redistribuzione del poteretra le varie confessioni.

IL DISPENSARIO DI SUOR ANTOINETTEPer molti dei rifugiati e per la popolosa comunità del quartieredi Roueissat, nella zona Nord-Ovest di Beirut appena oltre l’ag-glomerato cristiano, i quattro container che compongono ilDispensario di Saint Antonie - gestito da suor Antoinette Assafinsieme ad altre consorelle del Buon Pastore e riconducibilealla Fondazione Internazionale Buon Pastore socia FOCSIV edel Consorzio Humanity, nato a sostegno delle popolazioni delVicino Oriente - sono l’unica risposta ai problemi di salute el’unico accesso ad un’assistenza sanitaria adeguata.Aperto nel 1987 dal vescovo locale mentre infuriava in Libano

la guerra civile, il Dispensario fu preso, nel 2015, in gestionedalla Fondazione Buon Pastore. Oggi ha una équipe compostada 38 persone di cui sei medici, che ogni giorno garantisconol’apertura degli ambulatori e le visite mediche, psichiatriche epsicologiche per le persone traumatizzate, ed è collegatoall’IMC e all’Ospedale Hotel de Dieu.Per chi non ha un impiego fisso ed una iscrizione da parte deldatore di lavoro al sistema sanitario libanese, una semplicevisita medica o la prescrizione di un farmaco, anche salvavita,divengono un problema insormontabile così come i più banaliproblemi di salute, spesso collegati ad una scarsa igiene e allepiù normali norme di prevenzione. I servizi sanitari delDispensario - come, ad esempio, l’assistenza delle madri e deibambini, quella psicologica anche per i traumi post bellici, lecure dentali, l’educazione alla propria salute e all’alimentazio-ne, la dermatologia, la prevenzione degli incidenti domestici -sono per le quattromila famiglie ed i 35mila libanesi del quar-tiere, per i tanti rifugiati e migranti una speranza concreta edassicurata.Suor Antoinette conosce bene i sentimenti che affliggono moltidi loro, ha vissuto da ragazzina i lunghi anni di guerra e

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LIBANO MULTIETNICO

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maci, spesso sono differenti. Gli assistenti accolgono il pazien-te e sin da subito sono impegnati a cercare di creare con luiuna relazione, mentre i medici si adoperano a offrirgli tratta-menti personalizzati con un approccio che va al di là del merodisturbo fisico, tenendo conto di ogni aspetto della vita che loriguardi.«Sono convinta che solo con un approccio basato sulla com-passione e il rispetto dell’identità culturale di ciascun individuosi possa rispondere adeguatamente ai bisogni dei rifugiati edella comunità libanese e favorire l’integrazione e la coesionesociale» prosegue suor Antoinette mentre sorride a unamamma con il suo bimbo di pochi giorni in fila davanti all’am-bulatorio di pediatria. «Viviamo tutti in Libano, dividiamo tutto,dai servizi pubblici alle scuole. L’accettazione l’un l’altro èessenziale e crea basi solide; cerchiamo, quindi, di fare insie-me il nostro meglio per costruire per tutti un futuro di pace».Ogni anno al Saint Antoine mediamente vengono offerte cure emedicine gratuite (queste ultime grazie ad un progetto di coo-perazione internazionale) a 21mila persone, per la maggiorparte profughi siriani, libanesi e iracheni. Suor Antoinette ripetespesso a tutti con il sorriso e la sua autorevolezza il motto delDispensario: «La religione è per Dio, il dispensario è per tutti».Ed ognuno si sente più rassicurato.

ancora ricorda il senso di precarietà quotidiana, il sapore inbocca del crollo dei palazzi dopo un bombardamento, l’impres-sione del cuore che si ferma per la paura, lo smarrimento perun futuro incerto, il dolore della perdita delle certezze, dei pro-pri cari, della propria vita precedente. Fu in quel periodo chedecise di prendere i voti e di preoccuparsi degli altri, di alleviarele sofferenze, di occuparsi di chiunque bussasse alla porta delSaint Antonie.«Il nostro sforzo specialmente negli ultimi anni – spiega suorAntoinette - non è solo quello di garantire cure mediche ai liba-nesi in difficoltà, ma di essere un punto di riferimento, anchecon il nostro Centro sociale, per tutte le famiglie di rifugiati chehanno dovuto abbandonare la propria casa, per sfuggire allaguerra, e che qui a Roueissat cercano di ricostruirsi una vitadignitosa. Quando non si ha niente, in un Paese che non è ilnostro, anche solo trovare chi ci ascolta è di grande aiuto».

ACCOGLIENZA E CONDIVISIONEAl Dispensario chiunque è accolto, nessuno tiene conto dellanazionalità, dell’origine o della religione. Tutti sono ascoltati,anche quando la patologia o il problema non sono di facilecomprensione, poiché chi li descrive parla un arabo conaccento iracheno o siriano e i nomi delle malattie, come dei far-

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GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE

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Missione conla maiuscola

A cura della [email protected]

L o slogan della Giornata Missionaria Mondiale(GMM) che questʼanno si celebra il 22 ottobre

- “La messe è molta”- è carico di significati e hauna forte valenza missionaria. Si tratta di unʼespres-sione di Gesù che troviamo nei Vangeli di Luca(10,2) e di Matteo (9,37). Da rilevare che lascelta di questa citazione biblica, da parte dellaFondazione Missio - che in Italia è espressionedelle Pontificie Opere Missionarie (Pom) – è inlinea con il magistero di papa Francesco che,comʼè noto, ha dedicato il documento program-matico del suo pontificato, lʼEsortazione ApostolicaEvangelii Gaudium, allʼannuncio del Vangelo nelmondo attuale. Ed è proprio il mondo, inteso

come palcoscenico della Storia, il campo nelquale vivere la nostra avventura di credenti. Iltermine “messe”, dʼaltronde, riguarda da sempre,nel linguaggio comune, il raccolto agricolo. Unraccolto che, stando alle parole di Gesù, si rivela“abbondante”. Dunque è evidente che il semina-tore, nella narrazione dei Vangeli, è Dio stesso.Ecco che allora lʼimpegno missionario rientra,per così dire, nellʼottica del Regno (potremmoanche dire che la “messe” è il Regno) e il compitodei missionari/e consiste nel cogliere i frutti dibene e di verità che si rivelano nel mondo. Da ri-levare che il grano buono e la zizzania, standosempre ai Vangeli, crescono nello stesso »

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campo, e dunque lʼazione evangelizzatrice consistenel permettere al “bene” di prevalere sul “male”e sugli oscuri presagi del nostro tempo.A questo proposito, papa Francesco ci rammentache «lʼumanità vive in questo momento una svoltastorica che possiamo vedere nei progressi che siproducono in diversi campi. Si devono lodare isuccessi che contribuiscono al benessere dellepersone, per esempio nellʼambito della salute,dellʼeducazione e della comunicazione. Non pos-siamo tuttavia dimenticare che la maggior partedegli uomini e delle donne del nostro tempovivono una quotidiana precarietà, con conseguenze

funeste. (…) Il timore e la disperazione si impa-droniscono del cuore di numerose persone,persino nei cosiddetti Paesi ricchi. La gioia divivere frequentemente si spegne, crescono lamancanza di rispetto e la violenza, lʼiniquitàdiventa sempre più evidente» (EG 52). Fonda-mentale, in questo contesto, è il ruolo dellaChiesa in riferimento soprattutto allʼ “urgente”mietitura che implicitamente scaturisce dalleparole di Gesù. È chiaro, dunque, che lʼimpegnodi annunciare e testimoniare la Buona Notizia èa tutto campo. Quando, ad esempio, si realizzanonel mondo situazioni di pace, di giustizia, di ri-

Padre Maurizio Binaghi,missionario comboniano in Kenya.

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abbiamo più i segni del potere». Nel senso chese noi potessimo davvero risolvere tutti i problemidei disoccupati, dei drogati, dei migranti, i problemidi tutta questa povera gente, allora, sì, avremmoi “segni del potere” sulle spalle. Però cʼè rimastoil potere dei segni, il potere di collocare dei segnisulla strada a scorrimento veloce della societàcontemporanea, collocare dei segni vedendo iquali la gente deve capire verso quali traguardistiamo andando e se non è il caso di operarequalche inversione di marcia».Tutto quello che troverete in questo Dossier nonè altro che la declinazione del tema della GiornataMissionaria Mondiale dal punto di vista tematico,nella consapevolezza che ogni credente ha ilcompito di vivere la Missione, con la “M” maiuscola,da protagonista per la causa del Regno. Non vʼèdubbio, comunque, che il ruolo delle PontificieOpere Missionarie è centrale, non solo in riferi-mento allʼOttobre missionario e alla GiornataMondiale attorno a cui lʼintero mese si sviluppa.E questo, fondamentalmente, perché le Pomsono lʼorganismo ecclesiale che più di altri incarnalʼuniversalità di una fede che, se accolta, portafrutti copiosi per il bene dellʼumanità.

Giulio Albanese

conciliazione, quando viene rispettata lʼintegritàdel Creato… tutte queste dimensioni rimandanoinevitabilmente al Regno e dunque alla “messe”di cui sopra. Ecco che il Festival della Missioneche si svolgerà a Brescia e a cui questo numerospeciale di Popoli e Missione è dedicato, costituiràdavvero un momento di Grazia per comprenderele reali necessità ed implicazioni della missionead gentes. Una cosa è certa: la messe di cuiparla Gesù è sotto lʼinfluenza del vento che «soffiadove vuole e ne senti la voce, ma non sai di doveviene e dove va: così è di chiunque è nato dalloSpirito» (Gv 3,8). Il “chiunque”, biblicamente par-lando, si riferisce a qualsiasi persona che si apraa questa stupenda rivelazione del Regno. UnRegno universale, per tutti, come il sole che sorgesui buoni e sui cattivi (Mt 5, 45), come la folgoreche viene da Oriente e brilla ad Occidente (Mt24, 27). I riferimenti al dialogo interreligioso e al-lʼinterculturalità sono fondamentali, soprattutto inriferimento allo scenario della globalizzazione ead alcuni fenomeni come quello della mobilitàumana. Come porsi allora di fronte a questamesse biondeggiante? Diceva don Tonino Bello,grande vescovo del Novecento: «Vedete, noicome credenti ma anche come non credenti, non

Veduta di Nairobi.

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di Miela Fagiolo D’[email protected]

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che alla quantità bisogna guar-dare alla qualità del raccolto.Di fatto su sette miliardi di uominiche vivono oggi sulla facciadella Terra, cinque non hannoancora ricevuto lʼannuncio dellaBuona Novella. Quando si parladi messe non si parla di seminama della necessità di raccoglierei frutti della vitalità del Vangelo.Il missionario cerca sempre divedere il mondo con gli occhidi Gesù, per cogliere i segnidel progetto di Dio che nonsmette mai di crescere».Il manifesto della GMM mostralʼistantanea di una grande cit-tà, fissata in una delle spondeestreme in cui i grattacieli la-sciano il posto alle baracchedi lamiera…«Volevamo dare lʼimmagine diuna moltitudine di uomini e don-ne ma anche di situazioni moltodiverse. Una città in cui convi-

L o slogan della Giornata Missionaria Mondiale(GMM) di questʼanno si rivolge a tutti con le

parole di Gesù “La messe è molta”. Unʼesortazioneai discepoli che arriva fino a noi per evocare lʼine-sauribile orizzonte dellʼamore di Dio su cui simuove lʼimpegno dei missionari ad gentes. A donMichele Autuoro, direttore della Fondazione Missio,abbiamo chiesto di commentare la frase delVangelo di Matteo (9,37) che ci accompagna nel-lʼOttobre missionario. Spiega don Autuoro: «Cisiamo fermati sulla prima parte dellʼespressionedi Gesù “La messe è molta ma gli operai sonopochi” per cercare di avere lo stesso sguardo diGesù sullʼumanità. Per usare una espressionedel filosofo e teologo padre Ernesto Balducci,Gesù guarda allʼ “uomo planetario”, in tutta la suavarietà e complessità. Davanti a sé non vededeserti ma campi ricchi di messi che sono cresciute,che stanno crescendo anche quando il nostrosguardo è rivolto altrove, seguendo la missio Deiche è allʼinizio di tutto. Poi cʼè la nostra missione,il nostro impegno ma è lʼazione dello Spirito Santoche porta a compimento nel Cosmo lʼopera diDio. Cʼè un seme che di giorno e di notte, senzache noi ce ne accorgiamo, sta crescendo e questoè il Regno di Dio».Come possiamo partecipare allʼopera di Dioper raccogliere la messe cresciuta?«La messe sarà sempre molta, anche se prima

La messenon smettemai dicrescere

INTERVISTA A DON MICHELE AUTUORO

Don Michele Autuoro.

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sottolineare che tutto lʼumano sta a cuore a Gesù.La missione ha uno sguardo fiducioso, positivosullʼuomo, e lʼannuncio di Gesù trasforma lapovertà in messe. È un annuncio di liberazioneperché ogni uomo abbia la vita e la abbia in ab-bondanza».

vono centro e periferia, in cui abitano tante formedi emarginazione e solitudini che non sono soltantomateriali ma anche esistenziali. Un contrasto checaratterizza ormai molti luoghi del mondo: ci sonotanti tipi di povertà. Il Vangelo dice che Gesùguardando le folle ne ebbe compassione, per

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Possiamoancora dircicattolici?

COS’È IL FONDO UNIVERSALE DI SOLIDARIETÀ

eventi. E non sempre è facile far comprendereche ogni battezzato porta in sé la responsabilitàdella cattolicità della Chiesa e quindi della colla-borazione allʼevangelizzazione universale, per cuile iniziative particolari di aiuto a questo o quelmissionario, a questa o quella missione, non do-vrebbero pregiudicare lʼimpegno comune per so-stenere tutti i missionari e tutte le Chiese di mis-sione, senza discriminazioni o particolarismi.Devono quindi ricredersi quanti pensano che lePontificie Opere Missionarie abbiano esaurito illoro compito, quello cioè di essere, in seno allaChiesa, espressione della comunione e della fra-ternità universale. Attraverso il Fondo Universaledi Solidarietà, costituito dalle offerte dei fedeli ditutto il mondo, sono infatti in grado di sostenereun programma annuale di aiuto fraterno e universalea favore di tutte le Chiese di missione, in vistadella loro progressiva autonomia e per metterlein grado di corrispondere, a loro volta, alle necessitàdelle Chiese sorelle più bisognose.Quello che in un primo momento potrebbe apparirecome un modello debole di cooperazione per ilsuo carattere intrinsecamente anonimo e univer-salistico, dal momento che riunisce in un unicoFondo centrale i contributi di tutti i donatori, pri-vandoli di fatto della comprensibile gratificazionepropria dellʼaiuto diretto e personalizzato, in veritàsi rivela come una preziosa testimonianza diquella gratuità evangelica che suggerisce, nelfare elemosina, di non far sapere alla mano destraciò che fa la sinistra (cfr. Mt 6,3-4), sottolineandocosì che lʼautenticità dellʼofferta risiede più nelsacrificio e nellʼamore disinteressato che la motiva,piuttosto che nel suo valore materiale.

Sappiamo bene che oggi la gente, anche quellache frequenta gli ambienti ecclesiali, è più

incline a donare denaro a missionari conosciuti oper progetti preventivamente finalizzati e per lopiù indirizzati verso problematiche sociali e dipromozione umana come la lotta alla fame, lʼac-cesso allʼacqua, alle cure e allʼistruzione.È sempre più difficile far comprendere che le«gravi e vaste necessità dellʼevangelizzazione»,di cui parla papa Francesco nel suo Messaggioper la Giornata Missionaria Mondiale, sono anchee soprattutto i bisogni pastorali fondamentali delleChiese in situazioni difficili e di maggiore necessità,vale a dire la formazione dei seminaristi, sacerdoti,religiosi/e, catechisti locali, la costruzione e ilmantenimento dei luoghi di culto, dei Seminari edelle strutture parrocchiali, il sostegno ai mass-media cattolici locali (tv, radio e stampa), lafornitura dei mezzi di trasporto ai missionari(vetture, moto, biciclette,barche), il sostegno allacatechesi, allʼinsegna-mento cattolico, alla for-mazione cristiana deibambini e dei giovani.Così come è semprepiù difficile far capirelʼesigenza di una coo-perazione missionariapianificata e regolareche vada al di là dellarisposta immediata,emotiva e generosa agliappelli in occasione diemergenze dovute, adesempio, a prolungatecarestie, a guerre, di-sastri naturali o altri

di Tommaso [email protected]

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I l mese di ottobre è un periodo intensoin cui possiamo cogliere il senso e il

significato di tutto lʼagire pastoraledella Chiesa. Quando diciamo che laChiesa è missionaria per sua natura(AG 2) stiamo dicendo che è stataistituita affinché uscisse da se stessaper donare il Vangelo allʼumanità. Eche chiunque incontra un uomo o unadonna del Vangelo fa esperienza per-sonale dellʼamore di Dio. La missionenasce dalla preghiera, dallʼincontropersonale con Gesù, colui che ci ha“sedotti”, e papa Francesco ci ricordache «evangelizzatori con Spirito si-gnifica evangelizzatori che pregano elavorano… Occorre sempre coltivareuno spazio interiore che conferiscesenso cristiano allʼimpegno e allʼatti-vità». La categoria dellʼ “uscire”, chepapa Francesco propone, rende benelʼidea che il Vangelo ha sempre la di-namica dellʼesodo, del dono, dellʼuscireda sé (EG 21) ed è il contrario dellʼau-torefenzialità. Solo lʼuscire permette alla Chiesadi andare avanti e di essere fedele alla sua natura.Uscire verso gli altri significa raggiungere tutte leperiferie umane e lì fermarsi, rallentare il passo,rinunciare alle urgenze per accompagnare chi èrimasto al bordo delle strade (EG 46).Nellʼultimo capitolo dellʼEvangelii Gaudium il papaparla delle motivazioni che devono essere semprecustodite da tutti i missionari: lʼesperienza dellʼamoredi Gesù; il gusto di sentirsi popolo (cioè il gusto dirimanere vicino alla vita della gente); saper cogliereil senso del mistero dietro alle difficoltà e aifallimenti; essere degli intercessori, pregare cioèsempre per gli altri. Ogni anno la FondazioneMissio, che rappresenta in Italia le PontificieOpere Missionarie, contribuisce a tenere vivo nelcuore di tanti il desiderio di “uscire” per andareverso i nostri fratelli e sorelle più lontani per

PER VIVERE IL MESE MISSIONARIO

di Mario Vincoli*[email protected]

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portare la gioia del Vangelo. Le cinque settimane,proposte per preparare la Giornata MissionariaMondiale del 22 ottobre, sono uno strumento me-raviglioso per poter vivere insieme questo mese.Ogni settimana è dedicata ad un tema diverso,seguendo un unico filo conduttore del percorso dianimazione dellʼOttobre missionario. Ecco i singolitemi: la prima settimana è dedicata alla contem-plazione e allʼadorazione eucaristica; la secondasettimana vede al centro la vocazione e il RosariodellʼOttobre missionario; la terza settimana è fo-calizzata sullʼannuncio ed è accompagnata dallalectio; la quarta settimana è dedicata alla caritàcon la veglia missionaria; infine la quinta concludeil mese con il ringraziamento e i Vespri.

*Segretario nazionale di Missio Adulti & Famigliee di Missio Ragazzi

Partecipare insiemeil mistero del dono

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M issio Giovani è il servizio di pastorale missionaria svoltodai giovani per i giovani, che opera nella Chiesa locale,

all’interno del Centro missionario diocesano e in collaborazionecon gli altri settori della pastorale diocesana. È un’occasione diformazione missionaria per conoscere gli altri popoli, scegliereuno stile di vita evangelico, scoprire la propria chiamata comesacerdote, consacrato, laico o famiglia; favorisce l’incontro con

Dai giovani per i giovani

L a Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria (Poim) – altronome di Missio Ragazzi - si rivolge a bambini e adolescenti da

8 a 14 anni d’età, con l’obiettivo di aiutarli ad essere protagonistidella missione sin da piccoli nei propri ambienti quotidiani, vivendo

i quattro impegni fondamen-tali: preghiera, annuncio, con-divisione, fraternità. La Poimnon svolge attività separatedagli altri gruppi ecclesiali oassociazioni cristiane, ma sipone al loro servizio, comestimolo all’azione missionaria.Volendo, il parroco può sce-gliere di costituire un gruppodi ragazzi missionari, machi ne farà parte continueràa partecipare alla catechesiparrocchiale e agli altri servizidi evangelizzazione offertidalla realtà ecclesiale locale.Gli strumenti che la Poim

offre ai ragazzi (eai rispettivi edu-catori/animatori)sono tanti e vari.Tra questi ne se-gnaliamo solo due: il sussidio annuale di animazione missionaria2017/2018, dal titolo “Guardàti dall’Amore” (uscito come “L’Ani-matore Missionario”), che quest’anno è stato pensato come uncompendio a percorsi di iniziazione cristiana o ad altri percorsigià strutturati (ACR, Scout, Araldini, ecc.) ed è organizzato incinque schede che riportano altrettante tipologie di “sguardi”descritti nei Vangeli, ovvero “fiducia, amore, speranza, accoglienza,misericordia; il nuovo Gioco formativo dal titolo “Costruisci unPonte Mondiale”, una proposta di animazione missionaria cheaccompagna nell’anno pastorale, singolarmente o in gruppo:dopo l’iscrizione on line (sul sito www.missioitalia.it) si riceveuna password per accedere alle pagine riservate dove trovareiniziative e attività per vivere nel concreto i quattro impegni delRagazzo Missionario. Ma non finisce qui… Maggiori info sitrovano sulla pagina web.

C.P

Missio Ragazzi e il nuovo gioco formativo

giovani di religione e culture differenti, promuove a livello dio-cesano, regionale e nazionale la comunione, la corresponsabilitàe l’impegno tra le diverse realtà missionarie di carattere giova-nile.Per realizzare tutto ciò, Missio Giovani ha messo a punto varistrumenti: le esperienze di visita missionaria in Paesi del Sud delmondo; l’Assemblea nazionale, che quest’anno si svolge a

Brescia durante il Festival della Missione dal 12 al 15ottobre; il Convegno Missionario Giovanile con frequenzatriennale, in programma a Sacrofano dal 28 aprile all’1maggio 2018; il sussidio annuale on line composto dacinque tappe utilizzabili in base alle proprie necessità:a partire dallo slogan della Giornata Missionaria Mondiale2017 “La messe è molta”, il tema proposto è in lineacon il titolo del prossimo Sinodo voluto da papaFrancesco “I giovani, la fede e il discernimento voca-zionale” e le varie sezioni di animazione 2017/2018sono incentrate su Scelta, Gioia, Fede, Vocazione, So-gno.Maggiori informazioni sul sito www.missioitalia.it

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Adulti, famiglie, comunità:tutti missionariL a peculiarità della Pontificia Opera della Propagazione della Fede

(Popf) è l’animazione missionaria di adulti, famiglie e comunità.Chiamata anche Missio Adulti&Famiglie, la Popf invita a due tipi di solida-rietà: quella spirituale, con l’offerta della preghiera e la vicinanza ai missio-nari, e quella materiale, mediante la raccolta di offerte per le Chiese di mis-sione più povere da effettuare durante la Giornata Missionaria Mondialeche si celebra ogni anno nella penultima domenica di ottobre.Per animare comunità, adulti e famiglie, l’Opera propone inoltre specificisussidi, soprattutto in preparazione al mese che la Chiesa universale dedicaalla missione per eccellenza. Tra questi si ricorda il fascicolo “L’AnimatoreMissionario 2/3”, che contiene sia gli strumenti di animazione per parroci ecollaboratori in vista dell’ottobre, sia il sussidio annuale di animazione mis-sionaria 2017/2018 che accompagna il cammino delle comunità ecclesialilungo tutto il corso dell’anno pastorale.Maggiori informazioni sul sito www.missioitalia.it

C.P

Formazione missionariaper i consacratiSeminaristi, religiosi e religiose, sacerdoti, diaconi. Sono loro i

protagonisti della Pontificia Unione Missionaria (Pum),l’Opera che si propone di animare alla missione gli uomini e ledonne consacrati a Dio. Un importante obiettivo della Pum – chia-mata anche Missio Consacrati - è quello della formazione missio-naria dei giovani che si preparano al sacerdozio. Come? Gli stru-menti vanno dal Convegno annuale dei seminaristi (in program-ma a Padova dal 12 al 15 aprile 2018), alla promozione dei Gruppidi animazione missionaria (Gamis) all’interno di ciascunSeminario, al sussidio di animazione missionaria per Seminari eCase di formazione, uscito come supplemento de “L’Animatoremissionario 2/3”.Le proposte della Pum si rivolgono anche a chi si è già consacrato

al Signore. Tra queste: il Corso di formazione missionaria per religiose, quest’anno alla seconda edizione, che si svolgerà al Cumdal 15 al 18 maggio; la Giornata di spiritualità missionaria delle religiose, che si celebra l’1 ottobre di ogni anno, in collaborazionecon l’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia (Usmi); la Giornata di spiritualità missionaria dei sacerdoti e dei religiosi, che sicelebra il 3 dicembre; la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, fissata per il 24 maggio; la Giornata di preghiera per laSantificazione sacerdotale che coincide con la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.Una novità importante è il Corso di missiologia on line per sacerdoti, seminaristi, religiosi/e, collaboratori dei Centri missionaridiocesani, studenti universitari: da febbraio prossimo, per l’intero secondo semestre, gli iscritti potranno seguire lezioni via webcon cadenza settimanale e a fine corso sostenere l’esame on line.Maggiori informazioni sul sito www.missioitalia.it C.P

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L a Pontificia Opera di San Pietro Apostolo (Pospa) sostienele vocazioni sacerdotali in tutto il mondo e favorisce lo svi-

luppo delle giovani Chiese di missione aiutando la formazionedel personale apostolico locale. In poco più di cento annil’Opera è riuscita a raccogliere attorno a sé migliaia di persone,accomunate dallo stesso impegno in favore dei seminaristidelle Chiese del Sud del mondo. In particolare, attraverso unfondo universale di solidarietà, vengono forniti in manieraregolare i mezzi economici necessari alla costruzione deiSeminari e al mantenimento dei seminaristi.Chi desidera accompagnare il cammino vocazionale di un gio-vane africano, asiatico, latinoamericano o dell’Oceania fino allasua ordinazione sacerdotale, può farlo accogliendolo come unvero e proprio figlio “adottivo” attraverso l’adozione missiona-ria: si tratta di pregare per lui e di sostenerlo con un contributoeconomico. Maggiori informazioni sul sito www.missioitalia.it

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La Pospa per le Chiese sorelle

Dal tetto del grattacielo del Kenyatta International Convention Centre diNairobi (Kenya), padre Giulio Albanese – direttore di Popoli e

Missione - lancia il tema della Giornata Missionaria Mondiale (GMM) diquest’anno, “La messe è molta”: da qui con un solo colpo d’occhio si puòosservare «la metafora di quello che vogliamo raccontarvi (in questo video,ndr)» in quanto lo sguardo spazia sullo skyline della metropoli con i suoiricchi palazzi, dove si svolgono vertici di politici e summit internazionali, ela vicina baraccopoli di Kibera, dove vivono in condizioni subumane oltre700mila persone. «Qui a Nairobi – continua padre Albanese nel dvd che laFondazione Missio ha realizzato per la GMM 2017 - vivono oltre cinquemilioni di persone, uomini e donne di buona volontà: in fondo questo è uncampione di quella messe del “mondo villaggio globale”» in cui immergersiper comprendere e stigmatizzare la globalizzazione dell’indifferenza, di cuiparla spesso papa Francesco.Il filmato, curato da Giulio Albanese, Paolo Annechini, Andrea Sperotta eprodotto da Luci nel mondo, dà voce ad alcune realtà missionarie, mostran-do come la Chiesa si faccia “ospedale da campo” laddove l’umanità è piùsofferente. Ecco che padre Maurizio Binaghi, missionario comboniano aNairobi, descrive il programma di riabilitazione del Boma Rescue Centreper il recupero dei ragazzi di strada che vivono nelle discariche; fratelMiquel Cubeles, missionario marista in Libano, racconta come dal 2015 siaimpegnato nel Centro socio-educativo Fratelli a supporto dei rifugiati sirianiche scappano dalla guerra; padre Maxim Ryabukha, missionario salesianoin Ucraina, mostra i container che accolgono i profughi delle città orientalidevastate dalle armi dei separatisti filorussi e delle forze governative. Sonosolo alcuni esempi di come i valori del Regno - giustizia, solidarietà, pace,bene comune – vengano praticati dai tanti missionari sparsi in ogni angolodi mondo. Ma «ognuno – ricorda padre Albanese – in forza del proprio bat-tesimo è chiamato ad annunciare la Buona Notizia» con l’impegno dellapreghiera, della condivisione, della solidarietà, per mettere in pratica la pro-pria vocazione missionaria, che è di tutti e di ciascuno. C.P.

“La messe è molta” in dvd

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Nonchiamateli

eroiC oraggiosi, fedeli, generosi. Ma

non chiamateli eroi. Sono i mis-sionari al servizio del Vangelo e

dei fratelli, dell’immenso popolo delleperiferie del mondo. Uomini e donnetestimoni di quell’amore di Dio che an-che nelle tragedie si rende visibile graziealla loro presenza. Non sono operatoriumanitari, volontari di ong, esperti dionlus; sono inviati dal mandato ricevutoe accettato per amore di Dio. Li riconoscidalla speranza, dalla gratuità, dalla ca-pacità di ricominciare sempre da capoche riescono a dimostrare ovunque. »

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

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Perché la missione è possibile

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molto ha da insegnare a tutti.Grazie a questi uomini e donne, la mis-sione è spesso difficile ma mai impossi-bile. Duemila anni dopo il mandato mis-sionario di Gesù Cristo ai discepoli, letestimonianze che abbiamo raccolto percommentare lo slogan del Festival dellaMissione di Brescia “Mission is possible”(vedi pagg. 8-22), dimostrano la perennegiovinezza dell’evangelizzazione, capacedi arrivare alle genti «fino agli estremiconfini della terra». Generazioni di mis-sionari non si sono stancate di attra-

Anche contro la ragionevolezza umana,anche quando la missione sembra dav-vero impossibile, anche pagandol’estremo prezzo della vita, donata perun amore più grande di se stessi.Grazie alla forza che solo da Dio puòvenire, la missione è una scommessa an-

cora possibile, a volte a prezzo della so-litudine nel contesto di culture diverse,a volte a prezzo di una donazione totaledi se stessi, con un servizio “h24” cherichiede un surplus di energia da attin-gere alla fantasia della missione. Prontiad imparare, a partire per andare in-contro alle gente, i missionari sono fatticosì: sono cittadini della Chiesa univer-sale, vivono completamente calati nellaStoria, raccontano storie di ordinariocoraggio, umiltà, sofferenza e insiemesperanza. Con una tenacia rocciosa che

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La morte non fa paura nemmeno a pa-dre Daniele Moschetti, comboniano, chetestimonia come in Sud Sudan la mis-sione vuol dire andare oltre la frontiera.Le missioni saccheggiate e cadute nellemani dei ribelli o dei soldati governativinon scoraggiano i religiosi e le religiosead accompagnare nella fuga dalle pro-prie terre la popolazione inerme.Ma non c’è difficoltà che spaventi unmissionario, perché sa che la sua vita èun dono ai fratelli. Ne sono testimonisuor Giusy e suor Luisa, missionarie nellaForesta Amazzonica, morte a causa diun incidente stradale. Le giovani suoretornavano da una veglia missionaria eil giorno dopo avrebbero ripreso a visi-tare le comunità di indios sperdute nel-l’Amazzonia, atttraversando i fiumi incanoa o percorrendo lunghi sentieri apiedi tra gli alberi.Nulla ferma la missione. Per questo lagente ama i missionari e riconosce nellaloro presenza un segno di Dio.

vile, a volte suonato sullecorde di una chitarra comenel caso di padre FrancoMella, missionario del Pimea Hong Kong e in Cina peroltre 40 anni, dove si è bat-tuto per i diritti dei boatpeople, delle donne, degliemarginati, avendo semprecome modello di vita sanFrancesco d’Assisi. Musicistadi strada, le canzoni in can-tonese di padre Franco sonoatti di denuncia della cor-ruzione e dell’indifferenzanei confronti di chi subisceingiustizie.In Brasile, la missione si de-clina nella speranza che fra-tel Francesco D’Aiuto e pa-dre Saverio Paolillo,comboniani, portano agliabitanti del quartiere diMarcos Moura, alla periferiadi Santa Rita, ai margini diJoan Pessoa, capitale delloStato di Paraiba. In questi anelli con-centrici di quartieri estremi, il popolodella favela vive in condizioni sociali edeconomiche disastrose, tra microcrimi-nalità, droga e minori abbandonati allavita di strada. Dimostrando che anchedalla spazzatura si può ricostruire la di-gnità della persona umana e la prospet-tiva di una vita migliore.Spesso la missione è il coraggio di svol-gere il ministero sacerdotale, affron-tando le sfide di un territorio dominatodai traffici dei narcotrafficanti, comenel caso di padre Alejandro Solalinde,72 anni, il prete messicano che da oltreun decennio lotta contro i trafficantidi droga e di esseri umani. Candidato alPremio Nobel per la Pace 2017, il mis-sionario preferisce operare nella quoti-dianità, vivendo tra i migranti e gli in-documentados in transito da Honduras,Guatemala, Nicaragua, El Salvador versoil sogno americano. I narcos lo voglionomorto, ma non ha paura.

versare le barriere geografiche e cultu-rali per portare l’annuncio in mondisempre diversi e spesso sconosciuti. An-cora oggi il missionario cammina con iprofughi, digiuna durante le carestie,scende in piazza per i diritti civili, at-traversa le città di notte per salvare ibambini di strada, prepara pentoloni dicibo per chi ha fame, accoglie, ascolta,cura i malati. Ama col cuore prima checon i gesti e le opere. Parlando l’espe-ranto dell’annuncio della Buona Novella,vivendo la missione come impegno ci-

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Perché la missione è possibile

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Rinasceredagli scartiRinasceredagli scarti

La missione è SPERANZA

Le politiche di sostegno che hanno ca-ratterizzato i governi Lula e Rousseff(come “Fame zero”, “Borsa famiglia”,“Mia casa mia vita”, ndr) sono già ridotteall’osso e presto verranno cancellate deltutto. La condizione degli indios è semprestata terribile, ora è peggiorata note-volmente. Adesso i grandi fazendeirose l’agrobusiness la fanno da padroni,ammazzano a destra e a manca i con-tadini, i senza terra, i sindacalisti. Nonho mai visto una barbarie così grandeda 32 anni, cioè da quando sono inBrasile (precedentemente, per 22 anni,fratel D’Aiuto ha vissuto nel Sud-estdel Brasile, nello Stato Spirito Santo,ndr)».Se ovunque la condizione sociale èdrammatica, nella periferia della periferia- com’è il quartiere di Marcos Moura -la situazione è ancora più problematica:

«C i aggrappiamo a Dio per nonperdere la speranza». Nonc’è grido di aiuto più chiaro

di questo. E a lanciarlo sono gli abitantidel quartiere di Marcos Moura, alla pe-riferia di Santa Rita, che a sua volta èperiferia di Joan Pessoa, capitale delloStato brasiliano di Paraiba. A detta dimolti missionari, la situazione in Brasileè drammatica e peggiora di giorno ingiorno. Fratel Francesco D’Aiuto, com-boniano, vive qui insieme a padre SaverioPaolillo, suo confratello. Da 10 anniabita in quest’area dell’estremo Nord-est, nella diocesi di Paraiba: «Il Brasilesta vivendo uno dei peggiori momentidalla fine della dittatura ad oggi. La si-tuazione economica e sociale è disastrosa.

di CHIARA [email protected]

Nel quartiere di MarcosMoura due missionaricomboniani, fratelFrancesco D’Aiuto e padreSaverio Paolillo, vivono congli ultimi della societàimpegnandosi per la difesae la promozione dei dirittiumani. Lo fanno sia afianco dei ragazzi a rischiocriminalità, offrendo loro lapossibilità di partecipare alProgetto Legal, sia a fiancodei raccoglitori di rifiuti,aiutandoli a ritrovaresperanza e dignità.

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«Le scuole sono chiuse da mesi. Gli am-bulatori funzionano precariamente:mancano medici e medicine. Tutti iservizi sono fermi. Gli impiegati non ri-cevono lo stipendio da mesi. Ancorauna volta la colpa è della corruzione: isoldi pubblici arricchiscono politici senzascrupolo. A farne le spese sono semprei più deboli. In tutte le favelas sta au-mentando la criminalità. Nella nostraci sono due fazioni criminali che de-tengono il controllo dello spaccio didroga: la missione si trova sul territoriodi un’organizzazione malavitosa chiamataAl-qaeda». Tra ragazzi e giovani senzafuturo, l’invito ad entrare in un gruppoche assicura facili guadagni (in cambiodi attività criminali e spaccio di stupe-facenti) è una prospettiva che alletta.A Marcos Moura, anche tra gli adole-scenti, è facile sentire pronunciare ilmotto “100% Al-qaeda”. Ma padre Pao-lillo e fratel D’Aiuto non si sono rassegnatialla provocazione ed hanno rispostomettendo in piedi un progetto battezzato“100% Legal”.«In Brasile la parola “legal” non ha sol-tanto il significato di legalità e rispettodella legge, ma può significare anchequalcosa di piacevole, accogliente, cheporta pace, allegria. In un contesto dovela speranza è quasi inesistente – spiegafratel D’Aiuto - noi cerchiamo di ga-rantire un futuro ai giovani: ProgettoLegal è un programma educativo e diinclusione sociale, una proposta per mi-gliorare le condizioni di vita dei ragazzi,per cercare di farli sognare. Sì, perchéai poveri è vietato sognare. Noi, invece,vogliamo che comincino a farlo!». Cosìil progetto, inaugurato nel 2014, sirivolge oggi a 140 ragazzi dai 6 a 16anni e prevede varie iniziative: un do-poscuola, per migliorare il livello diistruzione dei più piccoli; alcune attivitàdi approfondimento e divertimento(come corsi di capoeira, calcio, infor-matica, danza, chitarra, ecc.) per svi-luppare creatività e interessi; alcuni

corsi di formazione in-tegrale, per imparareche i diritti sono qual-cosa da conquistare, nonforme di assistenza da ot-tenere con favoritismi. Inconcreto l’obiettivo principale delProgetto Legal è quello di prevenire ilreclutamento della criminalità locale eil consumo di droghe tra i giovani, in-segnando loro a sentirsi orgogliosi neldire: «Sono 100% Legal».Daniel ha 15 anni e frequenta il progettocon impegno e orgoglio: «Seguo i corsidi informatica e di capoeira e partecipoad incontri in cui si discute di come farvalere i nostri diritti. Il progetto – rac-conta - ci introduce anche nel mondodel lavoro: io nel pomeriggio facciouno stage in una filiale della Banca doBrasil. Altri miei compagni lavorano inaltre realtà. La sera frequento la scuola:sono al nono anno. Voglio continuare astudiare e laurearmi in pedagogia. Lamia giornata è piena: quasi non ho iltempo per lo svago, ma sono contentoperché sto costruendo il futuro per me

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Missione è SPERANZA

e la mia famiglia».Tra le strade polverose e le casupole fa-tiscenti di Marcos Moura, la speranzanon fiorisce solo per i più piccoli. In unquartiere di 40mila persone con l’80%ai margini della società, la maggior partedelle famiglie sopravviveva recuperandodai rifiuti tutto ciò che poteva esserevenduto ai passanti: gli scarti delle zonepiù benestanti di Santa Rita servivanoai catadores (cioè ai raccoglitori di »

Fratel Francesco D’Aiutoe padre Saverio Paolillo.

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zione è cambiata: adesso sono rispettatidalla gente, si sentono riscattati nelladignità e svolgono questo lavoro conorgoglio. La Cooremm è stata fondatasette anni fa da alcuni catadores che,grazie al sostegno di fratel D’Aiuto,hanno capito che l’unione poteva farela forza. «Oggi – spiega il missionario -in cooperativa si contano circa 30 lavo-ratori, però noi compriamo i rifiutianche da altri raccoglitori che non sonosoci ma vendono comunque a noi perchéli paghiamo di più. A livello statale ènato un consorzio che si chiama “Retelixo e cidadania” (cioè “Rete spazzaturae cittadinanza”, ndr). Collaboriamo conuniversità e scuole per l’organizzazionedi corsi sulla raccolta differenziata e ilriciclaggio di rifiuti. Siamo molto benstrutturati e organizzati anche grazie

agli aiuti che ci arrivano dall’Italia».Recentemente sono stati costruiti unufficio nuovo e un refettorio dove icatadores possono fare colazione epranzare in condizioni dignitose; inoltresono stati acquistati due camion mo-torizzati per il trasporto dell’immondi-zia.«Raccolgo rifiuti da 15 anni, ma daotto anni sono in cooperativa. Lavoroin strada per tre giorni a settimana egli altri due nel capannone, separando

i materiali. Prima – racconta Reginaldo,un catador - ero costretto a vendere adintermediari: lavoravo moltissimo e gua-dagnavo poco o nulla. Oggi la mia vitaè migliore. Tutto quello che ho lo devoa Dio in primo luogo e poi alla Cooremm.A chi mi chiede se sono orgoglioso delmio lavoro, rispondo: “Sì, sono un catadore faccio questo lavoro con orgoglio per-ché è così che mi guadagno da vivere edo da mangiare ai miei figli”».Il Progetto Legal e la cooperativa Coo-remm sono nati grazie al Centro DifesaDiritti Umani Monsignor Oscar Romero(Cedhor), un’associazione no profit chei Comboniani sostengono con convin-zione e impegno: la sua missione èquella di valorizzare le persone piùpovere, che in questa parte di Brasilesono davvero tante, e di aiutarle nei

rifiuti) di Marcos Moura per dare damangiare ai propri figli. Ma chi passavale giornate con le mani nella spazzaturaera trattato come accattone, scacciatoe a volte addirittura picchiato dallagente: l’umiliazione era all’ordine delgiorno.Era, perché oggi non è più così. Daquando i raccoglitori di rifiuti hannofondato la Cooperativa dei catadoresdi Marcos Moura (Cooremm) che haufficializzato il loro lavoro, incrementatoi guadagni, restituito orgoglio e dignitàa chi gira per le strade con divisa, guantie carretti marchiati Cooremm, la situa-

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loro bisogni.«C’è ancora molto cammino da fare –conclude fratel D’Aiuto - ma questaesperienza ci insegna che dagli scarti eda coloro che sono scartati può nascereuna storia nuova carica di speranza: lasperanza nel domani, nel pane quotidianoe nella gioia di sentirsi fratelli, piùumani, più a immagine di Dio». La spe-ranza che la missione regala sempre ecomunque, in ogni contesto, ad ognilatitudine.

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Sessantotto partecipa alle lotte socialidegli studenti. Padre Franco, che è ri-masto un giovane dai capelli bianchi,racconta: «Avevo 26 anni quando sonoarrivato a Hong Kong e Mao era ancoravivo. Con altri confratelli abbiamo im-parato il cantonese e quando mi sonotrasferito nella zona di Diamond Hill,ho condiviso la vita degli emarginatiche occupavano abusivamente le case».Si batte per i diritti degli emarginati aHong Kong, allora colonia britannica, ein Cina lavora come operaio in unafabbrica a San Po Kong per 15 dollarial giorno. «Celebravo messa alle 7 delmattino e alle 8 andavo al lavoro. Sonostato licenziato diverse volte – racconta- perché protestavo per la mancanza disicurezza nelle fabbriche. In quegli annierano frequenti gli incendi e gli incidentisul lavoro e nelle baraccopoli deglisquatter».

P arole e musica per cantare la mis-sione. E’ la ballata di padre FrancoMella, milanese di nascita e cinese

per vocazione, 69 anni, missionario delPontificio Istituto Missioni Estere (Pime),dal 1974 vicino agli ultimi, con alternevicende a Hong Kong e in Cina. E semprepronto ad imbracciare la chitarra perdifendere i diritti civili con le sue canzoniin cui impegno sociale e fede cristianasono il filo conduttore della sua missione.Nato a Milano nel 1948 da genitorioperai, a nove anni canta le liturgie inlatino con una voce da contralto chelascia già intuire il suo futuro. A 14anni sente la chiamata religiosa, entranel Seminario diocesano di Milano, a18 passa al Pime e negli anni caldi del

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Sulle corde di una chitarraSulle corde di una chitarra

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Missione è IMPEGNO

TRA I BOAT PEOPLE

Nel 1979 sposa la causa dei pescatoripoveri di Yau Ma Tei, organizza manife-stazioni di protesta e va a vivere conloro, insieme ad un confratello del Pime,padre Franco Cumbo. Ripara un barconein cui abita per dieci anni, dove si è abi-tuato a «sentire il terribile odore dellabassa marea e a riparare la barcheaffondate. Molti dei pescatori eranopoverissimi e analfabeti, non riusci- »

Da oltre 40 anni HongKong e la Cina sono la suaterra. Il missionariomilanese padre FrancoMella è un musicista distrada che nelle suecanzoni unisce impegnosociale e fede cristianacon testi che spazianodall’italiano, all’inglese, alcinese. Il suo impegnocivile è stato coraggioso,dalla difesa dei boat people

fino alla Rivoluzione degliombrelli di Occupy Hong

Kong.

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to e amato dalla gente a cui ha scelto didedicare la sua vita. Il suo ultimo album“Amour eternel” (distribuito dallaCommissione Giustizia e Pace della dio-cesi di Hong Kong) è stato presentatonel teatro Choi Hung a Hong Kong, inun concerto con un pubblico cosìnumeroso da non poter entrare nel-l’edificio. I versi delle sue canzoni sonoispirati alle liriche di san Francesco diAssisi, alle opere di don Primo Mazzolarie don Lorenzo Milani, da lui tradotte incinese. L’amico e confratello, padreGianni Criveller, che condivide la parti-colare missione cinese di padre Franco,ha dichiarato in una intervista a Mondoe Missione: «Mella è un musicista distrada, che improvvisa nelle piazze, ingiardini e parchi, davanti ai palazzi delpotere oppure nel corso di manifesta-zioni, sit-in e scioperi della fame. Le suecanzoni sono istantanee che racconta-no pezzi di vita vera, che incornicianorealtà come quelle che si vedono per lestrade e gli angoli di Hong Kong nonraccontati dai media». E su YouTubenumerose visualizzazioni testimonianocome il “missionario con la chitarra”abbia realizzato le vocazioni della suavita: cantare ed essere missionario allegenti. Due sogni che si sono fusi in unsolo impegno, spesso coraggioso e con-tro corrente, come spiega ancora padreCriveller: «Il primato della coscienzasulla legge dello Stato è un temaimportantissimo in Asia Orientale dovel’etica tradizionale del confucianesimopromuove l’obbedienza all’autorità. Ilprimato della coscienza, che è uno deipiù bei doni della fede cristianaall’umanità, non vuol dire che le leggidello Stato devono essere disobbedite.Vuol dire che, di fronte a una leggeingiusta o criminale, il giudizio moraledella coscienza prevale. Se non fossecosì non ci sarebbero né profeti, némartiri. I profeti e i martiri, non dimen-tichiamolo, sono disobbedienti».

Nel 1991 si trasferisce in Cina doveresta per 20 anni, passando dal Sud delPaese alle regioni centrali. Nel 2011arriva da Roma la scomunica per unvescovo della Chiesa nazionalista e, perreazione, il governo cinese espelle 23sacerdoti, tra cui lui. Ma la Cina è il suomondo e appena può torna ad HongKong, dove nel 2014 è in piazza con lasua chitarra tra gli studenti armati diombrelli del movimento di disubbidien-za civile Occupy Hong Kong.

MUSICISTA DI STRADAKam Chai, nome cinese di padre Franco,è amico di Iannacci, e canta con lo stiledi Guccini in mandarino. Ha partecipa-to anche a dei talk show ed è conosciu-

vano a trovare moglie», racconta.Denuncia la situazione alle organizza-zioni internazionali e ad AmnestyInternational, inizia uno sciopero dellafame e porta avanti la lotta (raccontatanel film “Eroi ordinari” di Ann Hui) finoa quando nel 1989 il governo assegnamille alloggi ai boat people. PadreFranco, che non indossa l’abito daprete, torna sulla terra ferma e vive inpovertà: si lava nei bagni pubblici,dorme per strada o negli ostelli per isenza tetto perché – spiega - «dopotutto, san Francesco è diventato unmendicante e ha vissuto come un senzatetto. Quando sono tornato in Italia nel1990 per una vacanza, mi è sembratomolto strano dormire in una stanza».

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Missione è IMPEGNO

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sidente Salva Kiir. Amnesty Internatio-nal ha denunciato che un nuovo frontedel conflitto del Sud Sudan ha causatoatrocità, terrore e fame e costrettonell’ultimo anno centinaia di migliaiadi persone ad abbandonare la fertile re-gione dell’Equatoria. Le ricercatrici diAmnesty International hanno visitatola zona nel giugno scorso, docu-

sono passati nella guerra civile che havisto milioni di rifugiati all’estero, so-prattutto nei Paesi vicini, e migliaia dimorti dei quali non si saprà mai il nu-mero preciso. Fame, colera e tantigruppi ribelli di varie etnie sono solo ilfrutto di continue divisioni interne alPaese e nell’esercito governativo e an-che dei ribelli che lottano contro il pre-

di DANIELE [email protected]

Un recente report di Amnesty In-ternational denuncia le atrocitàche il conflitto in Sud Sudan ha

causato a milioni di persone del piùgiovane Stato al mondo, nato il 9 lugliodi nove anni fa. Ma quasi quattro anni

Continua il dramma di un popolo sempre più alladeriva e abbandonato da tutti. La comunitàinternazionale è molto confusa e invece diintervenire con precise decisioni, tergiversaperché ci sono troppi interessi politici, economici,strategie regionali e di alleanze geopolitiche.

»

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Missione è FRONTIERA

Tra la gente del Sud Sudan

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mentando come soprattutto le forzegovernative, ma anche quelle di oppo-sizione, abbiano commesso crimini didiritto internazionale, compresi criminidi guerra, contro la popolazione civile.Queste atrocità hanno costretto allafuga verso l’Uganda quasi un milionedi persone. A questo numero dobbiamoaggiungere i milioni di persone chesono già scappati negli anni precedentiverso Sudan, Kenya e Etiopia. Dopo avercombattuto negli Stati del Nord e delSud Sudan tra i Nuer, ora il conflitto siè trasferito verso Sud-ovest nelle re-gioni più ricche di acqua, terreno fertilee foreste, cioè l’Equatoria.

mente risparmiata dal conflitto esplosonel 2013 tra le forze dell’Esercito po-polare di liberazione del Sudan fedelial presidente Salva Kiir e quelle legateall’allora vicepresidente Riek Machar.Intorno alla metà del 2016 sia le forzegovernative che quelle di opposizionesi sono dirette verso Yei, un centro stra-tegico di 300mila abitanti a 150 chilo-metri a Sud-ovest della capitale Juba,lungo un’importante arteria commer-ciale verso l’Uganda e la Repubblica De-mocratica del Congo.

ASSALTI AI VILLAGGILe forze governative, appoggiate da mi-lizie locali tra cui la famigerata e im-punita Mathian Anyoor (composta perlo più da giovani combattenti di etniadinka), si sono rese responsabili di unalunga serie di violazioni dei dirittiumani. Sebbene su scala minore, anchei gruppi armati di opposizione hanno

NELL’INFERNO DI EQUATORIA«L’aumento delle ostilità nella regionedi Equatoria ha creato una situazioneinsostenibile. Uomini, donne e bambinisono stati uccisi, pugnalati a morte coimachete e bruciati vivi nelle loro abi-tazioni. Donne e bambine sono staterapite e sottoposte a stupri di gruppo»,ha dichiarato Donatella Rovera, Altaconsulente di Amnesty Internationalper le risposte alle crisi, al rientro dalSud Sudan. «Abitazioni, scuole, ambu-latori e sedi delle organizzazioni uma-nitarie… tutto è stato razziato, vanda-lizzato e raso al suolo. Il cibo è usatocome arma di guerra», ha accusato Ro-vera. E continua: «Queste atrocità sonoancora in corso. Centinaia di migliaiadi persone che solo un anno fa si senti-vano al riparo dal conflitto, ora sonosfollate». Per quasi tre anni la regionedell’Equatoria, nella parte meridionaledel Sud Sudan, era stata prevalente-

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dato fondamentale per la sicurezza e laprotezione dei civili in Sud Sudan. Ab-biamo avuto troppi esempi durantequesti quattro anni di superficialità emancato intervento di soldati delle Na-zioni Unite e anche del governo perproteggere i propri cittadini da assaltisia dei loro stessi soldati che dei ribelli.Noi Comboniani, qualche giorno dopola mia partenza agli inizi del gennaioscorso, abbiamo perso un’altra missione,Lomin Kajo Keji, caduta nelle mani deiribelli prima, e dei governativi poi. Sac-cheggiata e lasciata senza nulla. Unadelle migliori missioni organizzate dellanostra provincia sudsudanese, nellazona più fertile e più pacifica degli ul-timi anni, ora messa a fuoco e fiamme.I nostri confratelli e sorelle Combonianehanno deciso di seguire la gente che siè trasferita in massa nei campi di rifu-giati in Uganda. Ora sono in Ugandaanche loro e cercano di aiutare e ac-compagnare questi nostri fratelli e so-relle nei campi dei rifugiati dove la vitaè veramente dura e non ci sono i servizinecessari per poter vivere. Quando sihanno milioni di rifugiati da gestire èdavvero un grande problema umanitarioper tutti. La speranza non è morta macontinua a vivere in queste persone chelottano quotidianamente per sopravvi-vere veramente, ma con la voglia di ri-scatto e di tornare alla loro terra.È troppo semplice descrivere il conflittonel Sud Sudan come esclusivamente et-nico. La lotta per il potere, la corruzione,la pessima gestione della leadership mi-litare, politica e delle risorse e la man-canza di libertà di base sono situazionireali che complicano fortemente il con-flitto. Ma le divisioni etniche sono damolti decenni una caratteristica co-stante della società sudsudanese, ca-ratteristica che in passato ha indebolitola lotta di liberazione, e nel presente èun fattore importante nell’attualeguerra civile. La ricca diversità etnicadovrebbe essere causa di celebrazionee non di sofferenza, come invece ve-diamo oggi.

con una minimaquantità di cibo.Ognuna delle partiaccusa i civili dipassare cibo aquella avversa o diessere sfamata daquesta. A Yei, dovela maggior partedegli abitanti èfuggita nel corsodell’ultimo anno, ipochi civili rimastisono praticamentesotto assedio. Nonpotendo più an-dare in cerca dicibo nei campi,soffrono per lagrave penuria diprodotti alimen-tari. «È crudel-mente tragico chequesta guerra ab-bia trasformato il

granaio del Sud Sudan, che un anno fapoteva sfamare milioni di persone, inun campo di morte che ha costrettoquasi un milione di persone alla fugain cerca di salvezza» ha commentatoJoanne Mariner, di Amnesty Interna-tional per le risposte alle crisi. «Tutte leparti in conflitto devono riprendere ilcontrollo dei loro combattenti e cessareimmediatamente gli attacchi contro icivili che sono protetti dalle leggi diguerra. I responsabili delle atrocità, inqualsiasi parte militino, devono esseresottoposti alla giustizia. Nel frattempoè fondamentale che i peacekeeper delleNazioni Unite eseguano il loro mandato,che è quello di proteggere i civili dallacarneficina in corso» ha concluso Ma-riner.

I MISSIONARI ACCANTO ALLA GENTEMa noi missionari e la gente sappiamobenissimo che molto spesso queste sonosolo parole che non vengono ascoltate,nemmeno dai soldati e da chi ha il do-vere di mettere in pratica questo man-

compiuto gravi abusi. Numerosi testi-moni oculari dei villaggi intorno a Yeihanno raccontato ad Amnesty Interna-tional come le forze governative e lemilizie loro alleate abbiano ucciso nu-merosi civili in modo deliberato e conaccanimento.Joyce, una madre di sei figli del villaggiodi Payawa, ha raccontato quanto acca-duto il 18 maggio scorso, quando suomarito e altri cinque uomini sono statiuccisi dai soldati: «Era la quinta voltache l’esercito attaccava il villaggio. Levolte precedenti si erano presi dellecose, avevano portato via degli uominiper torturarli e delle ragazze per stu-prarle, poi le avevano liberate. Lo hannofatto anche a Susie, la nipote di miomarito, di 18 anni». L’accesso della po-polazione civile al cibo è estremamentelimitato. Sia il governo che i gruppi diopposizione hanno bloccato le forniturein determinate zone, si dedicano a sac-cheggiare i mercati e le abitazioni pri-vate e prendono di mira chi prova apassare lungo la linea del fronte anche

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Missione è FRONTIERA

Padre Daniele Moschetti.

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il Vangelo, stare dalla parte dei deboli eperseguire la giustizia, c’è padre AlejandroSolalinde, 72 anni, sacerdote messicanoche ama definirsi «missionario itinerantedel Regno di Dio». Da «prete borghese» -come si descrive egli stesso - di unatranquilla parrocchia, nel 1982 chiese alvescovo di essere inviato nel luogo piùpovero della regione: «Volevo, dovevo,vivere fra gli ultimi» racconta il sacerdote.L’incontro con i migranti, però, avvennemolto dopo: era il 2005 quando si accorse

senza nome né identità, che arrivano daHonduras, Guatemala, Nicaragua, El Sal-vador e transitano per il Messico comeombre in un corridoio di passaggio versol’El Dorado degli Usa, sono anche l’oggettodi una capillare e appassionata operapastorale dei sacerdoti che svolgono illoro ministero nella vasta Repubblicafederale centroamericana. Ma che proprioper il loro operato, sono entrati nelmirino della criminalità organizzata.Tra chi rischia la vita solo per testimoniare

Negli ultimi anni il Messico stavincendo il primato di un’ag-ghiacciante classifica: quella dei

Paesi più pericolosi al mondo per losvolgimento del ministero sacerdotale.Dal 2012, infatti, si contano 18 preti as-sassinati, due dispersi e altrettanti chehanno subito tentativi di rapimento. Re-sponsabili di questa mattanza non sonoi semplici criminali, ma i narcos: cartelliben organizzati che detengono il controllodella compravendita di stupefacenti edella tratta di esseri umani per il com-mercio degli organi ed il mercato delsesso. Per la cronaca, anche i giornalistisono nel mirino dei sicari: a metà delloscorso luglio si contavano già ottoreporter uccisi in Messico dall’inizio del2017.Oggetto dei traffici, che arricchisconoper milioni di dollari i narcos al prezzodi 20mila sparizioni e morti ogni anno,sono gli immigrati irregolari, gli indocu-mentados. Questi uomini, donne, bambini,

di CHIARA [email protected]

Contro i narcosmessicani

Contro i narcosmessicani

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documentados testimoni del rapimentodi 50 loro compagni di viaggio; è picchiatodalla polizia, insieme ad un gruppetto dimigranti; si adopera per comprare unterreno vicino ai binari della Bestia, doveallestire un ricovero per migranti; aprel’Ostello Hermanos en el Camino (chesignifica “Fratelli in cammino”) per ac-cogliere chi ha bisogno di un posto doveriposare nei pressi di Ixtepec, una cittàlungo il tragitto della Bestia, e sfuggirealle grinfie dei narcos; riceve minaccedirette e indirette, tanto da trovarsi,prima, di fronte a chi ha intenzione didargli fuoco con una tanica di benzina,poi, davanti ad un sicario che gli sta persparare. «Quei giorni – racconta - sonostati i peggiori della mia vita, ma non misono mai sentito abbandonato da Dio.Tutt’altro. L’ho sentito molto vicino: èstato lo Spirito Santo ad avermi dato laforza di affrontare quella situazione. Dasolo non avrei retto». A questo punto,nella partita tra la vita e la morte giocatacontro i narcos, padre Solalinde compieuna mossa vincente: avvisa i media in-ternazionali di ciò che sta succedendo aIxtepec e, poco dopo, la situazione sisblocca. L’attenzione della stampa »

Missione è CORAGGIO

di loro. «Erano tanti, decine e decine,stanchi, sporchi, affamati. Arrivati conla Bestia, attendevano un altro convoglioper proseguire il viaggio verso Nord». LaBestia è il soprannome del treno che daSud a Nord attraversa tutto il Messico,su cui gli indocumentados si aggrappanoper percorrere pezzi della loro traversata,fin tanto che le forze sono sufficientiper non cadere nelle fauci del mostro,stritolati dalle ruote. Proprio per sfuggireal sonno o alla stanchezza, e quindi allamorte, spesso i migranti si lanciano giùdal treno e si fermano nelle vicinanzedei binari per riposarsi, prima di saltaresu un’altra Bestia di passaggio, dopoaver recuperato un po’ di forze. Ma solose nel frattempo non vengono rapiti (ouccisi) dai narcos, che sanno bene ditrovare la loro “merce umana” lungo laferrovia, e di potersela accaparrare confacilità in quanto nessuno reclameràpersone che non esistono (perché entrateclandestinamente in Messico, senza do-cumenti). È proprio accanto ai binaridella Bestia che padre Solalinde per laprima volta si accorge dei migranti. «Pre-cedentemente c’ero passato solo accanto,tante volte. Quel giorno, invece, li avevovisti. E non potevo far finta di niente».Da questo momento, nonostante i suoi60 anni, spende tutte le sue energie perloro: smaschera la connivenza delle isti-tuzioni locali con la criminalità orga-nizzata; denuncia il cartello più sangui-nario dell’epoca, allora presente in 20Stati della Repubblica messicana; vieneincarcerato per aver protetto alcuni in-

Non ha paura di nullapadre Alejandro Solalinde,prete messicano 72enne,che da oltre un decennio sicontrappone ai cartellicriminali deinarcotrafficanti e dellatratta di esseri umani per ilcommercio degli organi edil mercato del sesso. In unanazione che si professa trale più cattoliche al mondo,ogni anno spariscono20mila migranti senzadocumenti, in transito daHonduras, Guatemala,Nicaragua, El Salvadorverso il sogno Usa. Madalla loro parte c’è il«missionario itinerante delRegno di Dio», come amadefinirsi, il cui coraggio loha reso uno dei più grandidifensori di chi non hanome né identità.

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Missione è CORAGGIO

Oggi se a Ixtepec i rapimenti di migrantisono quasi del tutto scomparsi, in altrezone del Messico continuano con fre-quenza quotidiana. Ma «il crimine orga-nizzato – precisa padre Solalinde - godedi complicità politiche, altrimenti nonpotrebbe arrivare fin dove arriva. E se iosono ancora vivo è perché chi comandanon vuole uno scandalo». Anche perchéi riflettori del mondo sono ormai puntatisu questo sacerdote minuto, vestito sem-pre di bianco perché «di notte, lungo ibinari, con gli abiti scuri, che abitualmenteportavo, non ero per niente visibile daimigranti oppure venivo scambiato perun poliziotto». Le luci internazionali glisono addosso anche per la sua candida-tura al Premio Nobel per la Pace 2017.Interpellato su cosa pensi a proposito diquesta prospettiva, padre Solalinde sischermisce: «Intanto direi che in Messiconon ci sono solo io che mi occupo deidiritti dei migranti: io appartengo ad uncollettivo di 20 ostelli, gestiti da Gesuiti,organizzazioni della società civile, ecc.Siamo 318 candidati di cui 210 sonoenti morali. Tutti stanno facendo unlavoro importante per i diritti umani,quindi eventualmente il Premio sarebbeper tutta la comunità». Poi, con la spon-

taneità e la schiettezza che lo contrad-distinguono, aggiunge: «Ho paura divincere il Premio perché questo cam-bierebbe la mia vita. Avrei timore divivere solo per i media. Ma non tocchereiil denaro del Nobel: aprirei una fonda-zione, amministrata totalmente da donne,per la causa dei diritti umani e dei po-veri».È difficile credere che padre Solalinde,se anche fosse insignito di questa ono-rificenza, cambierebbe il suo modo diessere. Sì, è difficile crederlo, perchénon si stanca di ripetere di aver imparatotanto dai migranti: «Stanno dando unagrande lezione a tutti, anche alla Chiesa:i migranti ci avvicinano a Gesù, che erauna persona di strada, itinerante, e cam-minava non per suo piacere, ma per an-nunciare il Regno di Dio. I migranti ciinsegnano a toglierci il peso delle tantecose a cui siamo attaccati. Ci diconoche non ha senso accumulare tanto,visto che una volta che partiamo, esiamo tutti in cammino, non ci possiamoportare dietro niente». Niente. Eccettouna cosa: il coraggio di rischiare un po’del nostro benessere per restare umani.E sicuramente, di questo coraggio, padreSolalinde ne ha da vendere.

smuove la Commissione interamericanaper i diritti umani, che per quell’anzianosacerdote, dall’aspetto umile e totalmenteinnocuo, raccomanda l’istituzione di unascorta. «All’inizio – racconta - non volevoaccettarla. Mi chiedevo: “Perché io devoavere la scorta quando tutto il popolo èin pericolo?”. Inoltre diffidavo dei poliziottimessicani. Però la moglie dell’allora pre-sidente Felipe Calderon mi telefonò per-sonalmente e mi disse: “Padre, accettiper favore la scorta”. Inoltre AmnestyInternational aveva fatto molta pressionesu di me perché accettassi. Alla fine hodetto sì, anche perché ho pensato: se miuccidono, si giustificheranno dicendoche il governo avrebbe voluto proteg-germi, ma io non ho voluto». Così dacinque anni il sacerdote messicano chevale un milione di dollari (questa è lataglia che i narcos hanno posto sullasua testa) vive sotto protezione.

I l coraggio di padre Alejandro Solalinde - descritto a quattro mani con Lucia Capuzzi,giornalista di Avvenire, nel libro “I narcos mi vogliono morto” (Edizioni EMI) – è qualcosa

di contagioso. Lo si respira sin dalle prima pagine del volumetto, la cui pubblicazione nonsolo ha reso nota in Italia la vicenda di questo anziano prete messicano, ma ha fatto usciredal silenzio la storia dei migranti indocumentados del Centro America, che da El Salvador,Honduras, Guatemala e Nicaragua attraversano il Messico aggrappati ai treni rischiando lavita e divenendo facile preda della criminalità per i traffici di esseri umani.In questo dramma entra come in una fessura la figura di padre Solalinde, che fonda unCentro di accoglienza per i “fratelli in cammino”: un luogo dove sostare in attesa diriprendere il viaggio, un rifugio dove sentirsi protetti dalle retate dei narcos. Ma padreSolalinde fa di più: si lascia inquietare e interpellare dai “fratelli migranti” fino a rischiare lavita in prima persona. Fino a dire, senza esitazione, «ne vale la pena».

C.P.

Per i fratelli in camminoUN LIBRO DA NON PERDERE

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Luisa e Giusy:Luisa e Giusy:la bellezza di essere missionarie

«Nessuna di noi pensa mai dimorire giovane, improvvi-samente. Di ricercare rischi

inutili: nessuna lo vuole. Eppure, ogniComboniana sa, nel profondo del suocuore, che tutto questo può succedere.Vogliamo pensare, cara Luisa e »

Missione è DONO

Suor Giusy e suor Luisa sono decedute in seguitoad un terribile incidente d’auto, di ritorno da unaveglia missionaria, nella Foresta Amazzonica inBrasile lo scorso 24 giugno. La loro morte cosìrepentina e inaspettata ha scioccato la comunitàlocale e le consorelle. Ricercare un senso è difficile:ma forse la risposta sta nel dono.

di ILARIA DE [email protected]

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incontro. E le hanno trovate nell’autofinita fuori strada. Hanno vegliato iloro corpi, insieme alle Comboniane ar-rivate da Porto Velho. «Vi abbiamo tro-vate abbracciate, forse per affrontareinsieme la paura di quel passaggio –

proseguono nella loro lettera le suore –Ci è difficile accettare che la vostramissione sia già conclusa. Sognavamoancora molti anni con voi, perché c’èsempre tanto bisogno delle nostre pre-senze missionarie ma, forse, la vostramissione non si è conclusa».Questa è davvero una storia che fapiangere per la modalità, per l’apparenteirrazionalità. Per l’incapacità di leggereil disegno che c’è dietro. Mentre scrivoguardo le foto: Giuseppina con la suachitarra, gli occhialetti neri, il sorrisoche guarda molto lontano. Non c’ènulla di scontato in loro. La dolcezzadegli occhi di Luisa. La sua scioltezza enaturalezza. Suor Chiara Dusi confida:«Era bello averle come vicine di casa,sebbene a 400 chilometri di distanza.

Quando si fermavano da noi, sempre disfuggita, per tornare al più presto aMatupi, portavano una ventata di alle-gria».

UN MESSAGGIO PER LE CONSORELLEEcco, capisco guardandole cos’è checolpisce l’attenzione: è la vitalità. Mis-sione è dono. Ma missione è anche fe-licità e colore. E soprattutto creatività:non uniformarsi all’abito, ma continuarea sviluppare una personalità creativa.Coltivare i propri doni e talenti. Coltivarese stessi. «In voi, vediamo che c’è vita,c’è speranza, che nascono dalla dona-zione missionaria. In voi, riflettonoun’interculturalità accolta e vissutasenza paure, fraternità condivisa finoalla morte che vi ha colte insieme», di-cono ancora le consorelle. Può esserequesto, tra gli altri, il messaggio nascostodietro due vite donate fino all’ultimo?Se lo chiedono anche le missionarie.«Forse, ultimamente, ci siamo lasciateprendere un po’ troppo dal grigiore cheproviamo di fronte alla complessità delmomento che stiamo vivendo; i vostrivolti e la vostra vita vissuta e consegnataci spingono a cogliere qualcosa di più –si rispondono - Il vostro ricordo porta ilsigillo vivente di una vita missionariacomboniana gioiosa, vissuta in pienezzatra gli ultimi, tra i dimenticati dairiflettori della storia; il vostro ricordoillumina il volto di Cristo al quale vieravate consacrate, rende vera la Chiesache è Madre e si prende cura della vitafino agli estremi confini della terra».

MANTENERSI UNICI«I vostri visi ci regalano un momento disosta, per guardare con stupore allabellezza della nostra congregazione».Per capire che «la vostra vita l’avevategià donata generosamente e quel giorno,magari dopo un breve attimo di paura,avete accettato l’ultimo passo e vi sietelasciate portare, ancora una volta, dalui per raggiungere l’altra riva».Che facevano Giusy e Luisa in missione?Come passavano le loro giornate fre-

Giusy, che anche per voi sia stato così.Non avete cercato la morte quel giorno,in quel modo, ma i vostri cuori sicura-mente l’avevano messa in conto». Scri-vono questo le sorelle Comboniane al-l’indomani del tragico incidente che haucciso due di loro in Brasile, lo scorso24 giugno. Due donne giovani, belle,gioiose: l’italiana Giuseppina Lupo, 37anni, foggiana, e la sua amica e sorellamozambicana, Luisa Manuel, 47. Ironiadella sorte: erano nate lo stesso giornoe lo stesso giorno sono tornate a Dio.Erano inseparabili e grate della loromissione. Si donavano senza risparmiarenulla. I corpi sono stati estratti daifedeli che le attendevano per la cele-brazione; non vedendole arrivare, sisono messi in cammino per andare loro

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sulla certezza che saremo ben protettinelle mani di Dio. Ma come sentirequesta protezione davanti alla perditadi due giovani e coraggiose missionarie?Forse la risposta sta nell’ultimo versettoevangelico di oggi: Dio si riconosce edè riconosciuto nelle persone che vivonoil Vangelo radicalmente, senza paura dimettere a rischio la propria vita». E con-clude: «A partire da adesso, nella tran-samazzonica abbiamo due nuove freccepuntate verso la pienezza della vita.Luisa e Giuseppina, “seminate nella terracome spighe di grano”». Rimane co-munque un profondo dolore per questoaddio prematuro: ma c’è anche la con-solazione. Credo che di queste donnerimarranno a lungo, come icone, le fotodelle loro facce belle. Dei loro corpivivaci e della normalità dei loro gesticreativi, non incastrati in dinamicheconventuali deprivanti.

netiche, le loro ore dedicate all’annuncio?«Questo era il vostro stile, sempre prontea rispondere, sempre pronte ad andare,con grande generosità, senza fermarvia calcolare». Visitare le comunità localisperdute dell’Amazzonia. Andare perstare vicino alla gente. In canoa, inmacchina, a piedi. Con ogni mezzo.Quello che avevano fatto anche quel-l’ultima volta: tornavano al mattinopresto da una veglia. Il loro stile erastare il più possibile con le persone.Ascoltare. Apprendere. Meditare. Fare.E difatti la gente le amava. «La mortevi ha raggiunte: voi l’avete accolta comeultimo gesto di generosità e fiducia inDio. E siete entrate nella vera Vita».Padre Saverio Paolillo dal Brasile scriveche «il tragico incidente che ha stroncatola vita delle sorelle Luisa e Giuseppinasembra contraddire il testo evangelico:“Non abbiate paura”. L’appello che Gesùripete tre volte nel dialogo con i discepoliscoraggiati per le prime difficoltà epersecuzioni che affrontano nel serviziomissionario». Saverio prosegue: «L’appelloal coraggio, rivolto a noi tutti, si fonda

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Missione è DONO

Suor Giuseppina Lupo.

Suor Luisa Manuel.

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F É L I C I T É

ogni giorno a molte persone. In ospedalebisogna pagarsi tutto, dalle medicine allecure, e la salute è un bene per pochi. Nefanno le spese soprattutto le donne chevivono in città o nei villaggi, dove per rag-giungere un ambulatorio spesso devonofare molte ore a piedi sotto il sole».L’immagine della donna e la realtà di Kin-shasa si fondono attraverso l’obiettivo diGomis in un’unica immagine dolente e in-tensa, in cui la povertà di molti e la ricchezzadi pochi sopravvivono gomito a gomito,tra memoria della tradizione ancestrale afri-cana e modelli di vita occidentali. Il registaparla così della capitale della RDC: «È una

anni, padre senega-lese e madre fran-cese, diventa il film“Félicité” vincitoredel Gran premio del-la giuria del 67esimoFestival di Berlino edell’Étalon d’or delFespaco di quest’an-no a Ouagadogou.Figlio dell’incontrodi culture diverse emeticcio per suastessa definizione,Gomis (già vincitoredi un primo premioal Festival del Bur-kina Faso nel 2013con “Tey”) si con-ferma così uno deimigliori registi dellanouvelle vague africana, capace di far con-vivere realismo e sogno, drammi e speranzedi un continente in trasformazione, realiz-zando «un’ode alla donna africana e alladonna in generale» indimenticabile. Nelruolo della protagonista è Véronique MbeyaMputu, una cantante del gruppo Kasai Al-

lstars che Gomis ha trasformato in attrice,cambiando la sua vita. «Alain mi ha fattosei provini prima di darmi questa parte»spiega Véronique, presente alla proiezioneche ha inaugurato il RomAfricaFilmFest nelluglio scorso, e dice: «Quando ho letto lasceneggiatura mi sono chiesta a chi potesseinteressare una storia che a Kinshasa capita

KINSHASAC on la sua voce potente e lo sguardo

fiero, Félicité è una icona delle donned’Africa. Anzi del continente stesso, i cuifigli affrontano dolore e voglia di sopravviverecon la stessa dignità. Questo è il destinoche tocca anche a una giovane cantantedi un bar di Kinshasa, costretta a fare iconti con la dura realtà dei servizi sanitaria pagamento nella Repubblica Democraticadel Congo (RDC), quando suo figlio di 14anni è vittima di un incidente e rischia diperdere una gamba se non si trovano ur-gentemente i soldi per pagare l’operazione.Una storia tra le tante nello Stato africanoche nelle mani del regista Alain Gomis, 45

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di povertà che mortificano la personaumana e la sua capacità di sperare, oltrele luci e le strade polverose della città, ilfilm ha una protagonista d’eccezione: lanotte. Spiega il regista: «La notte o la forestafunzionano come una diga tra due mondi.Alla fine del film Félicité recita alcuni versidi un poema di Novalis, un estratto degli“Inni alla notte” che è un richiamo alla nottecome una terra promessa. Il poema è unlegame, una traccia della tradizione europeadel secolo XIX che da questo punto di vistaè del tutto sparita. L’Africa la riporta in vitae ne mette i paletti. È centrale nel nostromondo globalizzato e lo sarà sempre dipiù. Per me è il presente». Gomis, che dicedi essere «di razza mista e di non assomi-

gliare né a suo padre néa sua madre», è un ar-tista a tutto tondo cheriesce a dare spazio aisignificati ancestrali delleculture animiste (l’acqua,la notte, gli animali to-temici) e allo stessotempo a raccontare colpuntiglio di un cronistala realtà del mondo chelo circonda. Esplora isentimenti dell’uomo, ri-spetta le culture metten-dole in dialogo tra loro,conosce gli uomini e ledonne del suo tempo. E

soprattutto il suo mestiere. C’è da scom-mettere che di Alain Gomis sentiremo an-cora molto parlare.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

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città che prima non conoscevo, ma chemi aveva sempre attratto e nello stessotempo respinto. Come un luogo di rinno-vamento potenziale o di definitiva sconfitta,di contraddizioni laceranti. Vicina all’Equa-tore, dove la natura ha una forza incredibile,possiede un’energia che ti domina e concui devi fare i conti. La recente storia politicadella Repubblica Democratica del Congoha attraversato distruzione dopo distruzione:da un’insana colonizzazione alla dittatura,alla guerra, alla devastazione, al genocidio.Kinshasa è una città in cui le infrastrutturesono esplose sotto la pressione demogra-fica. In realtà non è altro che il nostro mon-do».Nel film la città si svela intorno ai passi diFélicité che bussa ad ogni porta cercandodi raccogliere il denaro per l’operazione disuo figlio Samo (Gaetan Claudia). I colleghidel bar in cui canta ogni sera fanno unacolletta, ma i soldi bastano appena per lemedicine. I vicini di casa fanno altrettanto,ma tra le casupole di un quartiere povero

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non circola certo molto denaro. È sola ecerca qualcuno che la aiuti ma persino ilpadre del ragazzo la caccia via in malomodo. Solo lo stralunato Tabu (interpretatoda Papi Mpaka, un meccanico scelto neicasting pubblici organizzati da Gomis) cercadi fare qualcosa per lei, ma Félicité è or-gogliosa e stringe i denti con dignità. Neimomenti di disperazione, la narrazionecambia registro e appare un mondo oniricopopolato di simboli. Nella foresta di notte,Félicité ritrova il sorriso quando vede apparireun okapi, una specie dizebra in via di estinzione,simbolo di speranza edi forza. Vestita di bian-co, si immerge più voltein un fiume dall’acquaplumbea, simbolo di unaldilà da cui però riescead emergere.Il film è punteggiato an-che da brani di musicaclassica suonati dall’Or-chestra sinfonica di Kin-shasa che suggerisconoun registro parallelo dilettura del film. Molti isignificati scritti dietrogli sguardi e i silenzi dei personaggi capacidi evocare emozioni vissute dallo spettatoreche in ogni fotogramma può trovare qual-cosa di personale e profondamente suo.Oltre Félicité, oltre la denuncia della mala-sanità, dell’ingiustizia e delle molte forme

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U n campo di battaglia, teatro diun risiko internazionale, con le

atrocità di un regime che ha repressonel sangue le istanze di libertà delsuo popolo. Con “Siria. L’ultimogenocidio”, il giornalista e scrittoreRiccardo Cristiano offre una preziosaricostruzione di cosa la vicenda si-riana ha rappresentato e continui arappresentare per chi, oltre alle ana-lisi militari, ha a cuore i destini dellaconvivenza interculturale in MedioOriente.Marzo 2011: quella che accese larivolta siriana era una scintilla dilibertà, disperata richiesta di rifor-me dopo 50 anni di potere auto-

cratico. La repressione del regime, forte del robusto sostegnodi Russia e Iran - senza cui Assad non avrebbe mai rovesciatoin suo favore le sorti del conflitto - ha innescato la narrativadistorta dell’ideologia rossobruna, che ha unito destra e sedi-

cente sinistra nel sostegno ad Assad. Ecco allora il corto cir-cuito culturale che, tra il “superficiale realismo” di Obama el’affermarsi di un triplice terrorismo - jihadista di Isis, khomei-nista di Hezbollah, statale di Assad - ha minato le basi di quelvivere insieme interculturale e interreligioso più volte evocatoda papa Francesco. Qui si coglie l’oggetto di analisi che l’au-tore mette a fuoco con più attenzione: il ruolo dei cristianicome protagonisti nella costruzione di una reale cittadinanza,partecipata e condivisa, in grado di smarcare il concetto diconvivenza in Medio Oriente dalla gabbia delle appartenenzeconfessionali. Riccardo Cristiano fornisce una descrizionefinalmente organica della vicenda siriana: la complessità del-l’inquadramento dei fatti e la loro contestualizzazione offresolide fondamenta alla critica della narrazione “rossobruna”,nelle sue informi derivazioni mediatiche e politiche. Le delicatequestioni della cittadinanza e dell’edificazione di quel vivereinsieme che può farsi largo solo mediante la lotta comunecontro i fondamentalismi, sono esaminate dall’autore conl’ausilio di contributi di eminenti intellettuali (tra gli altri Sadiqal-Azm e Antoin Courban).

Michele Focaroli

C i sono pochi posti al mondo doveOriente e Occidente s’incontrano e si

contaminano come a Lesbo, l’isola grecaa 30 minuti di traghetto dalla Turchia, cheda millenni è crocevia dell’umanità. Lì sonopassate le dominazioni romane, bizantine,genovesi, ottomane. Dalla fine della guerratra Impero Ottomano e Grecia, i cittadinidi origine greca furono costretti a fuggireattraverso il mare approdando proprio nellastessa Lesbo in cerca di una nuova vita.Daniele Biella, autore del libro “L’isola deigiusti. Lesbo, crocevia dell’umanità”, hascelto di mettere in luce sette storie stra-ordinarie di persone “normali” che hannofatto della filoxenia, dell’amore e dell’ac-coglienza per lo straniero, lo scopo dellaloro vita. Nella piccola isola tra il 2015 e il2016 sono transitate circa 600mila persone.Un numero sette volte superiore ai suoi

abitanti. Fra gli isolani sono emersi uominiesemplari che ogni giorno hanno offertoe offrono a chi approda, accoglienza e so-lidarietà, indipendentemente da razza, re-ligione o provenienza. Quante immagini diuomini stipati su gommoni ci passano da-vanti agli occhi senza colpirci più? Uominie donne che per fuggire da mille persecu-zioni e drammi pagano costi altissimi aitrafficanti di esseri umani. A Lesbo trovanopersone coraggiose come Stratos, checon il suo piccolo peschereccio ha salvatoun numero indescrivibile di profughi, is-sandoli sulla barca con le proprie mani ochiamando il soccorso della Guardia co-stiera. Si possono incontrare Emilia che èarrivata ad un soffio dal ricevere il PremioNobel per la Pace per una foto che ha fattoil giro del mondo, in cui nutre col biberonun bambino siriano appena sbarcato con

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Siria, risiko internazionale

Riccardo CristianoSIRIA. L’ULTIMO GENOCIDIOEdizioni Castelvecchi - € 17,50

Lesbo comeLampedusa

la madre stre-mata. Eric, gra-zie ai suoi videodi denuncia suYouTube, ha te-stimoniato al mondo la situazione dellacatastrofe dei migranti e ha saputo attivarecentinaia di volontari in poche settimane.Christoforos, americano di Sacramento,musicista impegnato, ha contribuito a sal-vare migliaia di uomini istituendo due campidi prima accoglienza, uno dei quali, ancoraoggi, attivo come luogo di assistenza me-dica, tanto da essere un riferimento ancheper le Nazioni Unite. Tra i tanti non possiamonon ricordare Efi, coordinatrice del campodi accoglienza Pikpa solidarity camp au-togestito da volontari e profughi stessi.Questi sono i nuovi giusti della Storia.

Chiara Anguissola

Daniele BiellaL’ISOLA DEI GIUSTILESBO, CROCEVIA DELL’UMANITÀ

Edizioni Paoline - € 16,00

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dalla Grecia fino a Parigi dove ri-siede tuttora; l’incontro/collaborazionecon l’eclettico producer Mirwais (già allacorte di Madonna) ha poi aggiunto ulterioristimoli alla sua dirompente creatività.La svolta arrivò nel 2013, grazie a un’eti-chetta belga specializzata in world-music

che pubblicò su tutti i principali mercatieuropei il suo debutto da solista: un sua-dente album intitolato Ya Nass. Un prodottoin perfetto equilibrio tra modernità e tra-dizione, tutto costruito tra l’incrociarsicontinuo di diversi linguaggi folk, cantatiin diversi idiomi arabi, compreso il beduino,ma sostanziato e nutrito da suggestionicosmopolite che la trasformarono prestoin una piccola icona della scena under-

ground europea. Sposata col regista pa-lestinese Elia Suleiman, la vulcanica Ya-smine è anche attrice (da menzionare lasua partecipazione a un film di Jim Jar-mush) e autrice di colonne sonore, ancheper il teatro. Ma sempre con le sue radicinel cuore: «Amo la cultura araba e odiocome il mondo arabo è ritratto nellastampa contemporanea - ha dichiaratoin una recente intervista al New York

Times - Canto in arabo proprio perribadirlo: è un’arte e una sfida».Quest’anno la Hamdam ha dato alle stam-pe il suo secondo album solista. Al

Jamilat – potremmo tradurlo con “TuttoBello” – che sta promuovendo in giroper il mondo (quest’estate si è esibitaper la prima volta anche in Italia) è undisco nel quale la signora libanese pro-segue la sua esplorazione musicale, colcontributo di produttori di vaglia come ilbritannico Luke Smith e musicisti digrande talento come il pachistano-statu-nitense Shahzad Ismaily e il membro deiSonic Youth Steve Shelley: tutta gentecon una grande propensione alla speri-mentazione nel grande mare del pop-

rock odierno. Idem dicasi per i testi dellesue canzoni, che pur non essendo chia-ramente “politiche” sono intrise di riferi-menti alle realtà sociali circostanti, com-prese quelle del suo Medio Oriente, ancoraalla ricerca di un futuro meno travagliato.

Franz Coriasco

[email protected]

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YASMINE HAMDAN

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DA BEIRUTAL MONDO

D a qualche tempo Yasmine vive nellamultietnica Parigi, ma di città e di

culture ne ha vissute e attraversate pa-recchie nei suoi 41 anni di vita. A comin-ciare da Beirut dove è nata nel 1976,vale a dire proprio quando la capitale li-banese era nel pieno della terribile guerracivile che si sarebbe protratta fino al1990. Nella martoriata “Svizzera delMedio Oriente” la piccola Yasmine è cre-sciuta e ha sviluppato il suo amore per lamusica, fino a che, insieme al produttoree cantante Zeid Hamdan (nessuna pa-rentela fra i due), ha dato vita al progettoSoapkills, che debuttò discograficamentenel 1999 con un album intitolato Bater.

Grazie ad esso, il duo si impose subitofra le realtà più significative del nuovopop elettronico mediorientale.Una gran voce, uno stile capace di fonderela tradizione e i tesori della cultura musicalearaba (in particolare degli anni Quarantae Cinquanta) con le sonorità elettronichetipiche del pop-rock europeo. Ma ancheun’anima inquieta, curiosa, e uno spiritovagabondo che l’hanno portata a viverein diversi Paesi, dal Kuwait ad Abu Dhabi,

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giunto alla 15esima edizione, ha visto lapartecipazione di oltre 200 personeprovenienti da tutte le diocesi italianeper ascoltare le riflessioni di biblisti, ve-scovi, filosofi e saggisti e rispondere atante domande da assumere come mis-sionari fedeli al mandato di Gesù. Unostimolo a comprendere gli orizzonti diuna realtà in mutamento che richiedeuno sguardo evangelico sempre piùampio e innamorato della vita.La prima giornata dedicata al tema “Si-lenzi o clamori” è stata aperta dalla lec-tio del biblista Luca Moscatelli sul ver-setto del Vangelo di Matteo “Vedendole folle ne sentì compassione” ed è sta-ta seguita dalla riflessione della saggi-

L a profezia come sguardo cheviene da Dio e apre orizzonti nuo-vi per l’umanità. Per cercare di

raccogliere e interpretare i segni di Dioe i nuovi linguaggi dell’evangelizzazio-ne nel mondo, si sono svolte dal 24 al27 agosto scorsi presso la Domus Pacisdi Assisi, le Giornate nazionali di forma-zione e spiritualità missionaria, intito-late “La messe è molta. Ma noi cosa ve-diamo?”. Il consueto appuntamento,promosso dall’Ufficio nazionale per lacooperazione missionaria tra le Chiese,

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

VITA DI MISSIO

Parabole e profezie pe

sta Gabriella Caramore che ha parlatodei “Frammenti di profezia nel mondocontemporaneo”. A partire dalle figuredella Bibbia, la profezia è parola di ve-rità, perché il profeta non parla mai soloper sé ma per il popolo, e oggi vediamoche ancora «non si è esaurita la caricadella parola profetica: invece di chieder-ci chi è profeta e chi no, quando trovia-mo una parola di verità, di esigenza digiustizia, di denuncia e di senso della co-munità, ecco lì dobbiamo cercare fram-menti di profezia da raccogliere». La se-conda giornata di Assisi è stata incen-trata sulla domanda “Deserti o campi digrano?” e monsignor Daniele Gianotti,vescovo di Crema, ha parlato di “Sguar-di profetici sul reale: un pastore cosavede?”. Nel pomeriggio, appuntamentoper i laboratori biblici che hanno cerca-to risposte alla domanda: “Come la ri-visitazione delle grandi realtà della no-stra fede ci aiuta a rinnovare lo sguar-do?”. “Pochi o tanti?” è l’interrogativoscelto per il terzo giorno. Dopo la cele-brazione eucaristica presieduta da mon-signor Domenico Sorrentino, vescovo di

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Giornate di formazione e spiritualità missionaria ad Assisi

Assisi, don Gian Luca Carrega, respon-sabile per la pastorale della culturadell’arcidiocesi di Torino, ha parlato di“Uno sguardo sempre nuovo. Scrittura,lettura, invenzione”. A partire dalle pa-rabole del Vangelo di Luca della mone-ta perduta, del figliol prodigo e della pe-cora smarrita, don Carrega ha esamina-to l’arte di raccontare, lo story telling chetrasforma una narrazione in un raccon-to simbolico in grado di trasmettere mes-saggi efficaci per gli uomini di ogni tem-po. Infatti, ha spiegato il biblista torine-se, «lo scopo di questi racconti non è farecronaca dei fatti ma trasmettere signi-ficati. Le parabole sono discorsi simbo-lici attraverso cui si racconta la verità,

ti vissuti con gli altri sono capaci di far-ci crescere nella consapevolezza e di faredella profezia uno sguardo possibile,aperto sul futuro».Le Giornate di Assisi si sono concluse do-menica 27 agosto con le parole di donMichele Autuoro, direttore di Missio, cheha raccolto le molte testimonianze deipartecipanti. Don Autuoro ha affronta-to vari temi, a partire dalla diminuzio-ne dei fidei donum, che ora sono laici ol-tre che sacerdoti. «Il numero dei fidei do-num italiani è passato da 800 ai 400 at-tuali». In Italia oggi c’è chi pensa che lamissione sia qui, ma «la cooperazione trale Chiese è una ricchezza che non biso-gna trascurare. Anzi è un settore in cuidobbiamo impegnarci». In prospettiva,ha continuato, «la sensazione è che lamesse cresca anche fuori dal nostro rag-gio di visuale». La celebrazione eucari-stica presieduta da don Mario Vincoli,aiutante di studio dell’Ufficio di coope-razione missionaria, ha chiuso le Gior-nate di Assisi. Con l’invito al prossimoanno.

anche nei suoi aspetti dif-ficili e provocatori. Per su-scitare dubbi sul significa-to delle immagini che sti-molano il pensiero di chiascolta». Di fronte a que-ste “storie terrene con unsignificato celeste” l’uo-mo moderno continua adinterrogarsi e a scoprire inesse provocazioni che lotoccano da vicino. Bisognaimparare a «leggere con lagrammatica della profeziase vogliamo essere capacidi tradurre le metafore insignificati» ha conclusodon Carrega per riuscire apercepire i mutamenti delnostro tempo e a com-prenderne l’ampiezza. Lafilosofa Glenda Franchindell’Università Cattolica diMilano si è chiesta: “Unafilosofa cosa vede?”, af-

frontando un’analisi delle immaginitrasmesse dai media e da varie forme dicomunicazione massmediale. Cosa dif-ferenzia la visione della realtà dalla pro-fezia? «Anche nella dimensione umanac’è sempre un aspetto profetico. Ovve-ro la capacità di “vedere prima” in basealla propria cultura e formazione per-sonale» ha detto Franchin, spiegando che«guardiamo intorno e dentro di noi apartire dalla nostra esperienza persona-le e storica, ma guardare non basta, bi-sogna essere capaci di vedere. Oltre i fat-tori culturali e le grandi categorie esi-stenziali, la risposta alla domanda di par-tenza “pochi o tanti?” è “ciascuno”.Perché la relazione con Dio e i rappor-

per guardare la messe

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Monsignor Domenico Sorrentino,vescovo di Assisi

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VITA DI MISSIO

L’ esperienza estiva di MissioGiovani ha visto nove tra ragaz-

zi e ragazze dai 18 ai 30 anni pren-dere parte alla vita quotidianadelle missionarie e dei missionaridei villaggi di Kibaqwe e Kintinkuin Tanzania dal 2 al 22 agostoscorsi. Tra i giovani partecipanti alviaggio e provenienti da varie dio-cesi d’Italia troviamo: FrancescoMaria Froldi (Parma), Davide Che-mello (Belluno-Feltre), Silvia Bo-schetti (Belluno-Feltre), Sara Rosset-to (Belluno-Feltre), Antonella Cen-teleghe (Belluno-Feltre), Sandra DeNardi (Belluno-Feltre), Alessandra DiMeglio (Ischia), Valentina Presta (Parma) e Benedetta To-marchio (Lamezia Terme). Guidati dal Segretario naziona-le Giovanni Rocca e dalla formatrice Anita Cervi, i ragaz-zi sono stati accolti e ospitati in entrambe le missioni del-le suore della Misericordia, che in Italia hanno sede a Ve-rona.Il villaggio di Kintinku è collocato a 70 chilometri di distan-za dalla capitale Dodoma, ed è caratterizzato dal climaparticolarmente caldo, data la zona semidesertica in cuisi trova, e il fatto che sia per alcune decine di metri sot-to il livello del mare. La missione delle suore è formata daun dispensario medico, ogni giorno con un grande via vaidi persone bisognose di cure; da una scuola materna e unaelementare, che accolgono più di duemila bambini pro-venienti da Kintinku e da qualche villaggio vicino.

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ESPERIENZA MISSIONARIA IN TANZANIA

UN VIAGGIOCHE CAMBIALA VITA

UN VIAGGIOCHE CAMBIALA VITA

Il villaggio di Kibaqwe, a differenza di quello di Kintinku,si trova a circa 1.300 metri d'altezza e per questo le tem-perature di giorno, ma particolarmente di notte, risultanoabbastanza basse. La chiesa di Kibaqwe sorge su un'al-tura in maniera da essere visibile da ogni punto del villag-gio, nel quale convivono pacificamente 27 comunità. Lamissione, fondata inizialmente dai cappuccini, alla qua-le si sono poi accostate le suore della Misericordia, è co-stituita anch'essa da un dispensario e da un asilo.La forza propulsiva delle missionarie è uno dei principa-li aspetti da cui i ragazzi sono rimasti impressionati: sem-pre all'opera, mai stanche, lavorano giorno per giorno cometante piccole api operaie affrontando tutte le difficoltà chenon solo il territorio, ma anche una cultura diversa, pon-gono sul cammino. Nonostante ciò, vivono con gioia que-sto percorso, in pieno stile con il Vangelo che ormai da

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anni diffondono non solo con le parole, ma conla loro stessa vita. Questa missione è costruita pri-ma che sui mattoni, sull’incontro.È proprio con la logica dello "stare" e non del"fare" che i giovani hanno vissuto i giorni in mis-sione riscoprendo l'importanza della relazionecon l’altro. Un modo di approcciarsi non facile in una re-altà come l’Africa, nella quale dal punto di vista occiden-tale tutto manca e di tutto c’è bisogno; eppure la spiaz-zante gioia e serenità del popolo, nonostante le condi-zioni di vita precarie, insegna a guardare oltre, a vedereche prima di fare qualcosa si può essere. Essere fratelli pri-ma che dispensatori di assistenzialismo selvaggio, che famale a questa terra tanto quanto il colonialismo delle mul-tinazionali. Per anni, noi occidentali abbiamo pensato checostruire ospedali enormi nel deserto o pozzi in mezzoal nulla fosse la giusta strada, entrando a gamba tesa in Afri-ca con la superiorità di chi ha solo da insegnare a un po-polo. Nelle due settimane nei villaggi di missione i ragaz-zi hanno potuto vivere invece l’ “entrare in punta di pie-di”, ovvero ascoltare, parlare, conoscere la gente, capen-do alla fine del viaggio che era di più quello che hannoricevuto che quello che hanno dato.

Successivamente i ragazzi sono partiti alla volta di Kitane-wa, dove Baba Salvatore, un missionario siciliano, operada sette anni. Il suo sogno, ovvero una “Chiesa Popolo diDio”, si ispira all'idea africana dell'Ubuntu (“io sono per-ché noi siamo”) e punta a rafforzare il concetto di comu-nità che cresce insieme non lasciando indietro nessuno.Qui i ragazzi sono entrati in contatto con le etnie e le ri-spettive culture dei Masai e dei Wahe, che, dopo una se-rata di danze tribali, hanno guidato i ragazzi in un safarifotografico all'interno del Ruaha Park alla scoperta di in-credibili paesaggi e rari animali della savana.Alla fine del viaggio, sulla strada verso casa risuonano leparole di suor Emmarica (missionaria a Kibakwe): «Comepuò questo incontro lasciarci indifferenti?». La missioneè appena cominciata.

Benedetta Tomarchio

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I N T E N Z I O N I D I P R E G H I E R A D E L P A P AM

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di MARIO [email protected]

In questi tempi la parrocchia italiana assomiglia sem-pre di più ad un cantiere aperto. Infatti nelle nostre

parrocchie fervono attività di ogni genere con personedi ogni ceto sociale che vanno e vengono, occupati comesono a gestire le molteplici attività che si svolgono (cam-mino catechetico per le varie stagioni della vita, volon-tariato in oratorio, Grest, attenzione agli anziani, ani-mazione, accoglienza degli ultimi, servizi liturgici,ecc.). Tutte cose ovviamente importanti e necessarie perun sano cammino pastorale della comunità. Il rischioche corrono coloro che sono contagiati da questo superattivismo parrocchiale è quello di dare maggiore impor-tanza alle cose da fare che non alle persone che si incon-trano, che vi lavorano o più semplicemente che frequen-tano la parrocchia per i molteplici servizi che la comu-nità offre. Va da sé che i parrocchiani, in quanto tali, de-vono essere animati da autentico spirito missionario sevogliono intraprendere un fecondo cammino pastora-le comunitario aderente al Vangelo. Per questo è fonda-mentale che le relazioni che si intrecciano in ambito par-rocchiale siano improntate da un sano vissuto di fedee da una crescente (e attraente) testimonianza della ca-rità.

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Nel mondo del lavoro siamo di fronte a un quadrodi riferimento che (solo negli ultimi anni) ha visto

centinaia di migliaia di giovani lavoratori italiani emigra-re verso l’estero per trovare un’occupazione che valorizziil loro titolo di studio, il più delle volte conquistato dopoanni di duri sacrifici personali e della famiglia. Allo stes-so tempo assistiamo impotenti ad una forma di lavoro (pur-troppo in aumento) che rasenta la schiavitù. Basti pen-sare all’utilizzo della manodopera extracomunitaria per levarie raccolte dei prodotti agricoli (agrumi, tabacco, fra-gole, ecc.), alimentando così il fenomeno del caporalatoche strozza le prospettive di sviluppo di ampie zone del-l’Italia meridionale.Il rispetto e la tutela dei diritti dei lavoratori non posso-no più essere affidati ai soli sindacati di categoria. Urgepiù che mai una presa di coscienza collettiva dell’opinio-ne pubblica per individuare dei sentieri possibili per la co-struzione del bene comune. A ciò tutti debbono contri-buire, e anche i disoccupati possono fare la loro parte: essihanno un ruolo importante da giocare in quanto la lorocondizione è il risultato della pessima gestione di un pia-no occupazionale ormai obsoleto, che va ripensato alla lucedelle esigenze lavorative del mondo d’oggi.

Parrocchie e mondodel lavoro per il benecomune

“““

“SETTEMBREPER LE NOSTRE PARROCCHIE, PERCHÉANIMATE DA SPIRITO MISSIONARIO SIANOLUOGHI DI COMUNICAZIONE DELLA FEDEE DI TESTIMONIANZA DELLA CARITÀ.

OTTOBREPER IL MONDO DEL LAVORO, PERCHÉ SIANOASSICURATI A TUTTI IL RISPETTO E LA TUTELADEI DIRITTI E SIA DATA ANCHE AIDISOCCUPATI LA POSSIBILITÀ DI CONTRIBUIREALL’EDIFICAZIONE DEL BENE COMUNE.

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al dialogo e al confronto. Con lorosi è spronati a comprendere e capi-re nuove culture e nuovi stili di vita.Sono stato fidei donum in Ecuadore conosco la fatica dell’integrazionee dell’incarnazione, eppure il beneche ho ricevuto è stato significativo.Eccoci allora come comunità cristia-ne a servizio delle giovani Chiese peraccompagnare e ancora una voltaapprendere e arricchirci della loroesperienza di fede e di vita cristia-na».Don Silvano guarda il tabellone de-gli arrivi e si rasserena quando lascritta «atterrato» compare in alto.L’abbraccio di benvenuto è il pun-to d’inizio di una nuova storia conun continente tutto da scoprire edesplorare: non saranno facili i pri-mi mesi, costellati di molti nuoviinizi in tanti ambiti, dalla pastora-le alla scuola, dalla lingua alla cul-tura, dal clima al mangiare. Don Ja-cob arriva da una diocesi che con-ta circa 16mila cattolici, sparsi tra 50isole, un vescovo, due preti dioce-sani, alcuni religiosi domenicani eguanelliani. Il mezzo di locomozio-ne di don Jacob è una piccola »

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I sole di Nila e Ghizo, Honiara,Portmoresby, Manila, Doha eVenezia. Sono queste le città e

gli aeroporti che don Jacob Qetoba-cho ha toccato alla fine del giugnoscorso per raggiungere l’Italia e ini-ziare una nuova esperienza di vita.È presbitero da alcuni anni ed era vi-cario generale della diocesi di Ghi-zo, finché ha intrapreso questa av-ventura, lasciando per un periodo leIsole Salomons, per arrivare allemura antiche della città di Padova.Trenta ore di volo, passando perquasi tutti i continenti, tragittoimpensabile qualche decennio fa.Possiamo immaginare la fatica deldistacco: lasciare la sua terra, gli af-fetti familiari e tutto - tra pensierie paure - ma anche tra entusiasmoe gioia per avere la possibilità di co-noscere nuove realtà. Monsignor Lu-ciano Capelli, salesiano, vescovodi Ghizo, una delle tre diocesi po-ste nelle isole Salomons, con l’inviodi don Jacob accoglie la sfida e tut-ta la bellezza del dialogo e della coo-perazione tra Chiese sorelle. Graziealla borsa di studio della Conferen-za episcopale italiana e il sostegno

della diocesi di Padova frequenteràil corso di licenza di teologia pasto-rale presso la facoltà teologica delTriveneto. Dopo un passaggio for-mativo di cultura e di lingua italia-na al Cum di Verona a ottobre ini-zia gli studi teologici.

UN NUOVO INIZIOAd accoglierlo all’aeroporto MarcoPolo di Venezia c’è don Silvano, daalcuni anni parroco di Montegalda,dopo una quindicina d’anni passa-ti a Tulcan in Ecuador. Lo accom-pagnano padre Paul dalla Thailan-dia, padre Gonzalo dall’Ecuador epadre Diamantino dal Mozambico.Ecco la “nuova famiglia” che don Ja-cob troverà nella casa canonica diquesta piccola comunità posta tra iColli Euganei e Berici, un luogoameno di campagna, dove Fogazza-ro amava passare lunghi periodi trariposo e lavoro su nuove opere. DonSilvano ci confida la sua gioia:«Possiamo dire che l’esperienza chele nostre comunità del vicariatostanno vivendo è eccezionale, gra-zie alla presenza di questi preti stu-denti. Ci apriamo alla mondialità,

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di GAETANO BORGO*

Dalla diocesidel vescovovolante

Don Luciano Capelli,vescovo di Ghizo.

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nità, anzi, quest’apertura generosaci spronerà a non rinchiuderci maa osare di più».

UNA SFIDA ANCHE PER NOIDonandoci queste righe di gioia e

sivamente la rappresentanza disorelle-fratelli appartenenti adaree culturali diverse nei Capito-li generali», oltre «il rischio diesporre la composizione capito-lare ad improprie egemonie cul-turali o a ristretti quadri genera-zionali».Sono ormai maggioranza anchele congregazioni religiose femmi-nili che sono passate da situazio-ni quasi unicamente monocultu-rali alla sfida della multiculturali-tà. Di qui la graduale costituzio-ne di comunità internazionali che

hanno portato a nuove fondazioni e a nuove forme di presen-za in contesti inesplorati e multireligiosi, affrontando consa-pevolmente disagi e pericoli pur di annunciare il Vangelo, at-traverso la testimonianza mite e gioiosa di una vita tutta do-nata. Di qui il fiorire di nuove vocazioni provenienti da tutti i con-

RELIGIOSE

RINNOVAMENTO MISSIONARIO

Nei recenti Orientamenti - Per vino nuovo otri nuovi - pub-blicati nel gennaio scorso dalla Congregazione per gli Isti-

tuti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, si richia-ma «il mutato assetto culturale e generazionale che compo-ne oggi il volto di tanti Istituti» e si invita ad «avviare progres-

imbarcazione a motore a sei posti,oppure una canoa di legno scavatain un tronco. Le scarpe tutto som-mato non sono necessarie.

TRA GIOIA E PREOCCUPAZIONESe don Silvano ci comunica la bel-lezza di questa esperienza, tra imessaggi che ci lancia il vescovo Ca-pelli c’è anche qualche preoccupa-zione. Nonostante abbia solo duepreti diocesani, se ne priva di unoper formarlo e perché al suo rientropossa portare un’esperienza signifi-cativa a tutta la diocesi. «È un sacri-ficio non di poco conto, ci scrive,privarci del 50% del clero! Ma hofiducia che il Signore farà fiorirenuove vocazioni e nuovi arrivi perun’evangelizzazione efficace e corag-giosa. In questi anni stiamo lavoran-do molto con i giovani e le nuove

generazioni, per formare catechistie leaders di comunità. Non temo!Nonostante che l’assenza di don Ja-cob si farà sentire, anche questo ciaiuterà a far crescere le nostre comu-

Al centro, vestita di grigio, suor Antonietta Papa, neo superioragenerale dell’Istituto delle Figlie di Maria Missionarie.

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Missione tra le isoleMonsignor Luciano Capelli nasce tra i me-leti e i vigneti della Valtellina a Cologna diTirano, in provincia di Sondrio. Salesiano,fin dalle origini della sua vocazione, com-pie gli studi di filosofia a Manila e gli stu-di teologici si concludono a Roma con l’or-dinazione sacerdotale nel 1975. Fino al1999 rimane nel continente asiatico fin-ché gli viene chiesto di portare l’Opera didon Bosco nelle Isole Salomons. Qui il 5giugno 2007 viene consacrato vescovoe nominato titolare della diocesi di Ghizo.Dal 2010 monsignor Luciano è chiama-to anche il “vescovo volante” poiché ac-quisisce il brevetto da pilota per ultraleg-gero: grazie a questo può raggiungere piùvelocemente le molte isole che compon-gono la sua diocesi ed essere più vicinoalla comunità.

G.B.

inesorabilmente in ribasso, le pau-re di non essere efficienti nei nostriterritori diocesani ci attanaglia cosìtanto che ci fa perdere l’orizzonteampio della chiamata di Gesù,

preoccupazione allo stesso tempo, ilvescovo Luciano ci apre però una pi-sta di riflessione paradigmatica perl’ad gentes delle diocesi italiane.Ormai i numeri, lo sappiamo, sono

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tinenti e dai contesti più diversi.Leggendo le comunicazioni inviate dai Capitoli generali cele-brati durante l’estate, ho rilevato un “crescendo” di Consigligenerali profondamente rinnovati, molti decisamente ringio-vaniti, con la presenza di sorelle provenienti da altre culture.Molte delle nostre famiglie religiose si presentano oggi con unvolto nuovo e più missionario che è opera dello Spirito e frut-to del discernimento comunitario che ha accompagnato i la-vori dei nostri Capitoli generali.Viviamo l’Ottobre missionario per riascoltare l’appello diGesù - “La messe è molta, ma sono pochi gli operai!” – e ri-spondere con rinnovato slancio missionario: “Eccomi, man-da me!”. E in quel “me” ritroviamo il “noi” delle nostre comu-nità intergenerazionali e interculturali, dei nuovi Consigli elet-ti nei Capitoli dove è ormai quasi del tutto normale che si par-lino più lingue, che si confrontino persone di culture differen-ti, che giovani superiore generali siano chiamate ad accom-pagnare un nuovo esodo.

Azia Ciairano

quell’ «Andate in tutto il mondo»e la necessità del primo annunciosembra disperdersi. Papa France-sco, a conclusione del Convegnodi Sacrofano nel novembre 2014ce l’ha richiamato: «Voi italiani lamissione ce l’avete nel sangue!».Non possiamo certo disattenderequesta bellissima definizione. Lamissio da sempre ci appartienecome dono e responsabilità. Allo-ra monsignor Capelli dalla sua mis-sione ci interpella a non aver pau-ra, a non fermare il mandato mis-sionario. Tutto sommato le sue pa-role sono più che mai credibili:dona il 50% del suo personale apo-stolico. Don Jacob crescerà e diven-terà ancora più prezioso, ma pernoi, già da oggi, la sua presenza di-venta un magnifico regalo.

*Direttore del Centro missionariodiocesano di Padova,

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