Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di ... news24 2014... · incidenti mortali...

26
Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro Numero 7 – Luglio 2014

Transcript of Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di ... news24 2014... · incidenti mortali...

Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di sicurezza sul lavoro

Numero 7 – Luglio 2014

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

2

Sommario

APPROFONDIMENTI

Documento di valutazione dei rischi LE CRITICITÀ DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI Il processo di valutazione dei rischi è teso all’individuazione ed alla programmazione delle azioni di prevenzione e protezione, nonché delle risorse e delle responsabilità per l’attuazione degli interventi. Si tratta di obblighi; quindi, di responsabilità imposte, inerenti un processo che a sua volta deve peraltro essere valutabile; ne discende, pertanto, l’importanza di un'analisi il più oggettiva possibile. Tuttavia, le numerose variabili, sia di ordine tecnico che giuridico, che intervengono nel processo, lo connotano di un’articolata problematicità che va dalla definizione stessa di rischio alla sua eterogeneità, alle differenti metodiche valutative, al concetto di ignoranza del rischio, oltre che alle potenziali ripercussioni giuridiche che un’inadeguata valutazione potrebbe comportare Francesco Torre, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24 -Sicurezza24

3 Infortuni sul lavoro SICUREZZA E SALUTE DEI LAVORATORI NEI CANTIERI STRADALI. FUNZIONI E RESPONSABILITÀ La cantieristica stradale è fonte di un alto numero di infortuni sul lavoro. Il 74% di tutti gli incidenti mortali derivano dall’investimento da macchine operatrici e da una non corretta installazione, manutenzione e rimozione dei cantieri stradali. Lorenzo Camarda, Il Sole 24 ORE – Diritto e pratica amministrativa, giugno 2014, n. 6

7 Prevenzione incendi DISABILITÀ E PREVENZIONE INCENDI: IL PIANO DI EMERGENZA È LA SOLUZIONE ALLE SITUAZIONI DI PERICOLO Nell'ambito dei luoghi di lavoro la presenza di lavoratori, ma anche pubblico occasionale, con disabilità viene affrontata con attenzione sia dal D.Lgs. 81/08 che dal D.M. 10 marzo 1998, il primo con indicazioni generali sulla necessità di considerare tali aspetti, il secondo li affronta in modo più operativo. A questi due si aggiungono alcuni documenti tecnici elaborati dai Vigili del Fuoco sullo stesso argomento. Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – Sicurezza24

12 Prevenzione incendi ARTICOLI PIROTECNICI: LA NUOVA CIRCOLARE DEL MINISTERO DELL'INTERNO La normativa sugli artifici pirotecnici ha subìto, negli ultimi anni, notevoli mutamenti. Lo spunto di maggiore interesse è la pubblicazione del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 relativo all’attuazione della direttiva 2007/23/CE sull'immissione sul mercato di prodotti pirotecnici; la direttiva disciplina la libera circolazione degli articoli pirotecnici nel mercato interno europeo e assicura, nel contempo, le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e di tutela della pubblica incolumità, la tutela dei consumatori e la protezione ambientale. La nuova normativa individua, inoltre, i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono possedere per poter essere immessi sul mercato. Claudio Giacalone, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24 – Antincendio24

17 L’ESPERTO RISPONDE

22 RASSEGNA DI NORMATIVA

24

Chiuso in redazione il 7 luglio 2014

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

3

Documento di Valutazione dei rischi

���� Le criticità della valutazione dei rischi Il processo di valutazione dei rischi è teso all’individuazione ed alla programmazione delle azioni di prevenzione e protezione, nonché delle risorse e delle responsabilità per l’attuazione degli interventi. Si tratta di obblighi; quindi, di responsabilità imposte, inerenti un processo che a sua volta deve peraltro essere valutabile; ne discende, pertanto, l’importanza di un'analisi il più oggettiva possibile. Tuttavia, le numerose variabili, sia di ordine tecnico che giuridico, che intervengono nel processo, lo connotano di un’articolata problematicità che va dalla definizione stessa di rischio alla sua eterogeneità, alle differenti metodiche valutative, al concetto di ignoranza del rischio, oltre che alle potenziali ripercussioni giuridiche che un’inadeguata valutazione potrebbe comportare Francesco Torre, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24 -Sicurezza24 Da quando la sicurezza di tipo tecnico è stata assorbita all’interno della concezione partecipata della sicurezza organizzata, grazie alla Diretta CE 89/391, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 626/94, la valutazione dei rischi rappresenta il punto di partenza sulla quale strutturare l’intero sistema prevenzionistico aziendale, a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, nel luogo di lavoro. Tuttavia, ancora oggi, l’obbligo di valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento, vengono spesso recepiti quale mero adempimento formale. Il processo di valutazione dei rischi Il processo di valutazione dei rischi consta di una serie di fasi che dovrebbero dar vita ad un approccio duraturo e sistematico, all’interno dell’ambiente organizzativo di riferimento, definendo in tal modo le basi per l’implementazione di quegli interventi necessari per garantire un ambiente sicuro, così come peraltro sempre più giurisprudenza di Cassazione conferma al riguardo. Ciò nondimeno, a causa delle variabili che intervengono nel processo in questione, definito da cornici legislative che hanno negli articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs. n. 81/2008 il proprio riferimento, emerge una serie di aspetti tecnici e giuridici, di non sempre facile definizione e, soprattutto, disomogenei, a fronte di obblighi e responsabilità comunque giuridicamente imposti. Sebbene il concetto di valutazione dei rischi sia riferito a diverse fattispecie, il relativo documento è il risultato di un processo valutativo inerente i rischi generici e specifici. I rischi generici sono quelli riconoscibili da chiunque, ovvero percepibili senza specifiche conoscenze; mentre i rischi specifici si caratterizzano per la diretta correlazione con la prestazione lavorativa, per la quale sono necessarie specifiche competenze da acquisire, spesso, tramite idonea formazione e/o addestramento. Si pensi, ad esempio, al generico rischio di caduta dall’alto. Esso diviene rischio specifico nel momento in cui per contrapporvisi, si usano dispositivi anticaduta di terza categoria, per i quali è necessario oltre che informazione e formazione, addestramento specifico per l’uso in sicurezza. I rischi presenti negli ambienti di lavoro, generici o specifici che siano, in conseguenza dello svolgimento delle attività lavorative, si diramano in rischi per la sicurezza, per la salute dei lavoratori ed in rischi organizzativi, da considerare nel processo di valutazione e formalizzare nel relativo documento di valutazione dei rischi (DVR). In particolare, il DVR dovrà contenere almeno le seguenti informazioni: - una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, con specificazione dei criteri adottati per la valutazione stessa;

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

4

- l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati; - il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; - l'individuazione delle procedure, nonché dei ruoli da assegnare unicamente a soggetti in possesso di poteri e competenze adeguati, per l'attuazione delle misure programmate. - l'indicazione dei nominativi: del responsabile del servizio di prevenzione e protezione; del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; del medico competente che ha partecipato alla valutazione dei rischi; - l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongano i lavoratori a rischi specifici che richiedano: riconosciuta capacità professionale; specifica esperienza; adeguata formazione e addestramento. Le finalità e le ripercussioni dell’esito della valutazione dei rischi, si immergono all’interno di un contesto prevenzionistico programmaticamente e tecnicamente perseguito ma, non di meno, con risvolti giuridici ad esso connessi. L’omessa o l’inidonea valutazione dei rischi, oltre che rappresentare un illecito contravvenzionabile, può assumere infatti rilievo, qualora sia condizione eziologicamente legata al momento dell’evento infortunistico e riferita alla valutazione stessa, realizzata ex ante l’evento. Nella giurisprudenza di cassazione si è conferito negli ultimi anni, sempre maggior rilevanza alla possibilità di caratterizzare la valutazione dei rischi quale nesso di causalità tra condotta ed evento lesivo. Non da ultimo, tramite sentenza n. 4063 del 28 gennaio 2008, il datore di lavoro venne condannato “per aver omesso di effettuare una idonea valutazione dei rischi reali e specifici presenti nell’ambiente di lavoro e legati alla particolare situazione lavorativa”. Con l’articolo 28, del D.Lgs. n. 81/2008, il legislatore prevede l’obbligo per il datore di lavoro di valutare “tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Nei casi più singolari, può pertanto porsi la necessità di un discrimine tra ciò che si debba e ciò che non si debba necessariamente valutare; anche a fronte delle responsabilità in capo al datore di lavoro, derivanti da una valutazione erronea o poco completa. Trattandosi di illeciti contravvenzionali che potrebbero scaturire in reati colposi di danno, ex art. 589 c.p. (omicidio), ed art. 590, c.p., lesioni personali gravi o gravissimi, consideriamo la conseguenza colposa della fattispecie. L’art. 43 del codice penale definisce l’elemento psicologico del reato, il quale è colposo, o contro l'intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La condotta colposa è tuttavia rimproverabile, qualora l’evento lesivo fosse prevedibile ed evitabile. Ovvero, è necessario che l’agente fosse in grado, o sarebbe dovuto esserlo in funzione del ruolo assunto, di prevedere che la sua condotta avrebbe avuto quella od analoghe conseguenze, nonché la possibilità di evitarlo. In sede di valutazione dei rischi, pertanto, verificata le genesi dell’evento per negligenza, imprudenza, imperizia o per venir meno a obblighi antinfortunistici, è necessario dimostrare che l’agente fosse in grado di prevedere che la propria condotta avrebbe avuto conseguenze tali da portare al reato colposo. La prevedibilità deve essere valutata quindi come la possibilità, valutata ex ante, che l’agente aveva di poter conoscere determinati rischi e di poterli gestire. Non risulta dunque sufficiente che l’evento sia prevedibile, ma è necessario che sia anche evitabile; è, cioè, necessario che l’azione od omissione fosse idonea a salvare il bene protetto (nel rispetto del nesso di causalità dell’evento stesso). Solo nel caso che un evento non sia prevedibile ed evitabile, ci si potrà appellare all’ignoranza del rischio, ovvero, all’impossibilità di considerare il fattore di rischio e contrapporvisi. Nei casi contraddittori, al limite dell’ignoranza del rischio, qualora non fosse sufficiente ricondursi alla determinazione dell’elemento soggettivo del reato, il discriminante tra ciò che il datore di lavoro era tenuto a valutare e ciò che non doveva valutare si colloca nell’interpretazione della norma, dalla quale attingere un dovere cautelativo normativamente imposto. L’attuale concetto prevenzionistico del lavoro si basa, infatti, su una norma parzialmente elastica, che ha proprio nella valutazione dei rischi il suo fondamento programmatorio e che, nei casi al limite della prevedibilità del rischio, non possono non lasciare margine ad un’interpretazione da contestualizzare, seppur sempre nel rispetto delle comuni regole di diligenza, perizia e professionalità.

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

5

Si è detto che il proccesso di valutazione dei rischi è un processo a sua volta valutabile, ache in contenzioso, e si rende, pertanto, necessaria una valutazione il più oggettiva ed omogenea possibile. I metodi di analisi dei rischi In letteratura esistono diversi metodi finalizzati all’analisi del rischi, ma essi possono essere ricondotti a due sostanziali tipologie: 1. Metodo induttivo: si ipotizza il guasto del componente procedendo poi ad un’analisi volta ad identificare gli eventi che tale anomalia potrebbe causare; 2. Metodo deduttivo: si ipotizza l’evento finale per risalire ai fatti che potrebbero causarlo. Classificando diversamente i metodi di analisi del rischio più utilizzati, questi possono distinguersi in: - Metodi quantitativi che si basano sull’analisi quantitativa del rischio (R=P*D) in cui vengono considerati, oltre alla probabilità di accadimento e gravità del danno, fattori quali dimensione del danno, frequenza e durata espositiva, possibilità di eliminare o ridurre il danno. - Metodi qualitativi. Essi non utilizzano riferimenti matematici (R=P*D) per valutare i diversi rischi, ma effettuano un’analisi qualitativa verificando la conformità delle situazioni alle norme vigenti. Il punto di arrivo è un giudizio qualitativo dei fatti che si stanno valutando. Numerose sono quindi le metodologie sviluppatesi al fine di identificare e valutare in maniera più o meno qualitativa o quantitativa i rischi.Alcune di esse, tramite ad esempio l’impiego di checklist, si basano essenzialmente su insegnamenti acquisiti in passato e sulla coerenza normativa nonché su standard di buona tecnica; altre metodologie, di più recente concezione come FMECA e FTA, si basano invece su schemi analitici complessi. Si tratta di sistemi che permettono di quantificare il rischio con espressioni matematiche che conducono ad una quantificazione numerica della probabilità di accadimento di un certo evento accidentale e vengono utilizzati prevalentemente per gli impianti industriali. SI tratta di modelli fondati su diversi meccanismi di simulazione degli eventi e necessitano della conoscenza profonda dello schema produttivo e richiedono quindi un ingente impiego di risorse e tempistiche dilatate. Semplificando il concetto, nel linguaggio comune, la valutazione viene associata alla quantificazione numerica di un determinato parametro. Il valutare il rischio viene pertanto convenzionalmente assimilato ad un calcolo del fattore di rischio considerato, con la relativa difficoltà di individuare un’unità di misura tale da porre oggettivamente a confronto rischi lavorativi di diversa natura tra loro. Stimare i rischi significa sostanzialmente attribuire un valore numerico che deve tener conto della probabilità che un fattore di rischio si trasformi in un danno, e la conseguenza che questo avrebbe sulla salute del lavoratore: R=P*D dove P è quindi la probabilità del verificarsi di un certo evento, e D è il danno associato all’evento. E’ pertanto necessario definire una scala di riferimento per quantificare P (dall’evento certo al più improbabile) e D (dal decesso sino all’evento lesivo più lieve) per poter così quantificare R. Nei modelli più utilizzati le scale di P e D hanno quattro-cinque valori (da 1 a 4-5) a cui corrispondono dei parametri, ovvero criteri da considerare, e dalla cui associazione a P e D deriva la relativa quantificazione numerica (stima). E’ bene precisare che la stima dei rischi non è un obbligo normativamente imposto. Viene ordinariamente adottata in quanto ricondotta aicriteri; questi sì, costituiscono obbligo normativamente imposto, utilizzati per la Valutazione dei rischi e graduati in funzione della stima, onde poter dar motivazione e priorità alle scelte adottate, conseguentemente all’analisi dei rischi. Peraltro, la graduazione di R, e la relativa tempestività degli interventi cautelativi, possono rappresentare un’autodenuncia all’interno del documento di valutazione dei rischi; meglio sarebbe individuare delle misure di prevenzione e protezione che in attesa di quelle definitive, possano rappresentare intervento equivalente sul fattore di rischio. Si tratta di un approccio semiquantitativo, utilizzato nella maggior parte dei documenti di valutazione dei rischi a partire dalla emanazione del D.Lgs. n. 626/1994, ma che tuttavia non esula da una forte componente discorsiva nella valutazione. Non è, ad esempio, isolato il caso in cui gli agenti produttivi presenti in una specifica realtà siano stati introdotti nel ciclo lavorativo da tempo insufficiente affinché si possa godere di un buon fondo di osservazione, sufficiente a definire possibili effetti sull’uomo. Inoltre, per taluni agenti non sono noti gli effetti a lungo termine. Non da meno, il ricondurre P e D, ed in definitiva R, all’interno di criteri preventivamente individuati per la valutazione, non può comunque prescindere da condizionamenti soggettivi, dovuti alla professionalità, cultura, esperienza del valutatore o al contesto sociale di riferimento. Evidente criticità propria del sistema di valutazione semiquantitativo, è quello di non

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

6

discriminare tra eventi poco probabili e poco gravi. Ovvero che il livello di rischio che si può ottenere da una Probabilità=2 e un Danno=3 sia uguale a quello che si può ottenere da una Probabilità=3 e un Danno=2, cioè 6. Ne deriva una sistematica sottostima degli eventi molto improbabili e particolarmente gravi. Un fattore di rischio con probabilità che si tramuti in evento, elevata (4), ma con danno atteso basso (1), darebbe come risultato R=4. Analogo valore invertendo P e D, ma danno atteso elevato (4, ad esempio la perdita di un occhio) verrebbe “soppesato” allo stesso modo rispetto ad una contusione. Si potrebbe ovviare a questa componente discorsiva da condizioni oggettive, attraverso l’adozione di matrici di rischio che considerino differentemente, ovvero asimmetricamente, i valori di P e di D, ma anche in tal caso sarebbe necessaria una definizione dei criteri di valutazione, ed una programmazione degli interventi da effettuare in funzione dei risultati, seppur consentirebbe di differenziare eventi poco probabili da poco gravi. Interventi e relativa priorità, che tuttavia risulterà essere determinata anche in tal caso dal valutatore sulla base di componenti indubbiamente soggettive. Risulta, pertanto, evidente che la definizione di rischio non possa non tenere conto di una serie di connotazioni, che passano dall’eterogeneità dei rischi alle metodiche valutative differenti, in logica delle quali si condiziona fortemente l’approccio “più corretto” alla valutazione dei rischi. Approccio per il quale diviene fondamentale: - l’esplicita definizione dei criteri adottati per definire il fattore di rischio, considerando anche il criterio adottato per le non conformità alla normativa; - l’esplicita definizione dei criteri adottati per convertire la valutazione dei rischi specificatamente normati (rumore, vibrazioni, ecc.) e ricondurli all’interno di un approccio valutativo univoco; - che i criteri scelti siano coerenti con la valutazione complessiva di tutti i fattori di rischio. Il metodo qualitativo, invece, non prevede l’utilizzo di espressioni matematiche del tipo R=P*D per valutare i diversi rischi, ma si basa essenzialmente sul giudizio qualitativo della situazione in esame, rispetto le norme vigenti. Sebbene la valorizzazione data ai vari criteri sia tra le più soggettive, quando sono presenti professionalità ed esperienza del valutatore (meglio se in più persone), tale modello si caratterizza di intuitività e velocità oltre che di semplicità di adozione. Peraltro sposa i criteri di semplicità, brevità e comprensibilità a cui la valutazione dei rischi dovrebbe ricondursi, secondo le previsioni dell’art. 28, del D.Lgs. n. 81/2008. A titolo esemplificativo: Per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione della copertura dell’edificio, di cui al capitolo I del presente documento (Piano Operativo di Sicurezza), verrà allestito perimetralmente al fabbricato, un ponteggio tipo [...]. Trattasi di copertura con inclinazione pari a 15°. Durante i lavori di ristrutturazione, potrebbe derivarne un rischio di caduta dall’alto, verso l’esterno della copertura stessa. Tale fase lavorativa impegna quattro lavoratori dell’impresa Alfa, per un periodo di giorni otto. L’intervento è stato programmato in base al diagramma n.1, riportato nel piano di sicurezza e coordinamento redatto dall’ing. Bianchi, ed in considerazione del layout di cantiere in esso allegato. [Viene contestualizzata la fase lavorativa ed i relativi FR]. Per evitare il rischio di che trattasi, verrà installato ponteggio [...]. Esso verrà posto in essere dai lavoratori sig.ri [...], formati a riguardo (vedasi allegato X) e vigilati dal sig. Valentini, in qualità di preposto. Gli elementi strutturali dell’opera provvisionale arriveranno in cantiere tramite autocarro dell’impresa e depositati nell’area Y del cantiere. A causa della conformazione dell’edificio, il ponteggio verrà allestito fuori schema tipo, pertanto sarà redatto apposito progetto, che terrà conto del carico dinamico a cui fare eventualmente fronte [si veda PiMUS, in allegato]. Si avrà peraltro cura che l’ultimo impalcato non sia posto ad una distanza verticale maggiore ad i 50 cm rispetto al piano di gronda. [Vengono incisivamente descritte le misure di prevenzione e protezione da adottare, in funzione di fase lavorativa e relativi FR]. L’applicazione di queste misure rende bassa la probabilità di caduta dall’alto. Gli effetti sarebbero comunque gravi o gravissimi. Valutazione effettuata dal sig. Bagetta, in qualità di consulente esterno del sig. Rossi, datore di lavoro dell’Impresa esecutrice Alfa S.r.l., ed il sig. Graziadei in qualità di dirigente d’impresa, esperto del settore edile. [Viene sostenuta la funzionalità delle scelte intraprese].

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

7

Infortuni sul lavoro

���� Sicurezza e salute dei lavoratori nei cantieri stradali. Funzioni e responsabilità Lorenzo Camarda, Il Sole 24 ORE – Diritto e pratica amministrativa, giugno 2014, n. 6 La cantieristica stradale è fonte di un alto numero di infortuni sul lavoro. Il 74% di tutti gli incidenti mortali derivano dall’investimento da macchine operatrici e da una non corretta installazione, manutenzione e rimozione dei cantieri stradali. Sono questi i dati forniti da Inail e riportati nell’introduzione del Manuale operativo messo a disposizione degli operatori della sicurezza e salute dei lavoratori nei cantieri stradali. Eppure la normativa che disciplina la materia (ancorché complessa per la necessaria integrazione di norme che regolano la sicurezza, gli appalti dei lavori, la viabilità) appare adeguata a fronteggiare i rischi dei lavoratori e degli utenti della strada. Infatti risulta che le cause degli infortuni derivano soprattutto dalla non corretta applicazione della normativa e non da una carenza normativa. Si pone, allora, il vero problema della questione che risiede nel chi fa che cosa. Il quadro normativo di riferimento Il quadro normativo è complesso. Concorre a costituirlo il Dlgs n. 81 del 9 aprile 2008, noto come il Testo unico della salute e della sicurezza, il Dlgs n. 285 del 16 dicembre 1992, noto come il codice della strada, il Dlgs n. 163 del 12 aprile 2006, noto come il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Completano il quadro normativo il Regolamento di esecuzione del codice della strada n. 495 del 16 dicembre 1992, il decreto ministeriale 10 luglio 2002 sulla segnaletica stradale e il decreto interministeriale 4 marzo 2013 che fissa i criteri di sicurezza relativi alle procedure di revisione, interazione e apposizione della segnaletica stradale destinata a regolamentare le attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare. Tutta la normativa è presidiata dai principi costituzionali di cui agli artt. 32, comma 1 (tutela della salute) e 35 comma 1 (tutela del lavoro) e dall’art. 2087 cod. civ. che recita “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Alla luce del quadro normativo sopra descritto è possibile tracciare una mappa dei compiti e delle relative responsabilità che gravano sui protagonisti della salute e della sicurezza dei lavoratori che operano nei cantieri stradali. Ridefinizione delle figure più importanti - Lavoratore.“Chi svolge un’attività lavorativa nell’ambito di un’organizzazione di un datore pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici o familiari”. Dalla lettura della norma (art. 2, comma 1, lettera Dlgs n. 81/2008) si evince la chiara volontà del legislatore di allargare la platea degli addetti ai lavori a tutti quelli che operano a qualunque titolo in un determinato luogo di lavoro. Con riferimento ai cantieri stradali il Dlgs n. 81/2008 prevede per gli utenti della strada le medesime tutele previste per i lavoratori. - Datore di lavoro. Il datore di lavoro può essere pubblico o privato. Nel settore pubblico, allorquando, il capo dell’amministrazione (ad esempio il sindaco) non provveda a nominare il Datore di lavoro, la norma prevede che il datore di lavoro sia il capo dell’amministrazione inadempiente. Il Dlgs n. 81/2008 distingue con sufficiente chiarezza la diversità del datore di lavoro committente dagli altri datori di lavoro. Spetta al datore di lavoro committente (quello della stazione appaltante) provvedere all’elaborazione del Documento unico di valutazione dei rischi (Dvr), all’elaborazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri), all’elaborazione del Piano operativo della sicurezza (Pos). Inoltre, l’art. 26, comma 1, del Dlgs n. 81/2008 pone in capo al datore di lavoro committente l’obbligo della verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici, l’obbligo di promuovere la cooperazione tra tutti i datori di lavoro interessati al luogo dove si svolge l’attività e l’obbligo dell’informazione sui rischi specifici

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

8

esistenti laddove si svolgono i lavori. - Dirigente. È la persona che attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa. Con riferimento ai cantieri stradali, di regola, sono dirigenti sia il progettista, sia il direttore dei lavori. Questi due ruoli possono essere espletati anche dalla medesima persona. Grava sul progettista (coordinatore per la progettazione) il compito di progettare l’opera e di elaborare il Piano della sicurezza (Psc); grava sul direttore dei lavori (coordinatore per l’esecuzione dei lavori) il compito di gestire l’esecuzione dei lavori e di verificare la coerenza tra il Pos (a cura del datore di lavoro committente) e il Psc (a cura del progettista). - Preposto. La persona che sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando anche un funzionale potere di iniziativa. Con riferimento ai cantieri stradali sono preposti il capocantiere e il caposquadra. Spetta al capocantiere gestire gli operai, gestire gli approvvigionamenti, verificare il corretto avanzamento del cantiere come da progetto, controllare il materiale in entrata e in uscita dal cantiere, verificare il rispetto delle norme di sicurezza, coordinarsi con il direttore di cantiere. Sotto il profilo della responsabilità, per giurisprudenza penale, in materia di prevenzione degli incidenti sul lavoro, il capo cantiere, anche in assenza di una formale delega in materia di sicurezza sul lavoro, è il destinatario diretto dell’obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all’interno del cantiere rispettino le norme antinfortunistiche (Cassazione penale, sez. IV, n. 19631 del 25 maggio 2010). Spetta al capo squadra attuare le misure di sicurezza decise dal datore di lavoro e organizzate dai dirigenti, rendere edotti i lavoratori dei rischi di cui sono soggetti, vigilare sull’uso dei Dpi, verificare se, nelle fasi di produzione, si presentino rischi imprevisti e prendere le opportune cautele, attuare il piano di manutenzione delle macchine e predisporre verifiche e controlli sulle stesse per garantire la perfetta efficienza, controllare che ogni lavoratore non proceda a rimuovere o a modificare, senza autorizzazione, i dispositivi di sicurezza. Inoltre deve controllare che ogni lavoratore non compia, di propria iniziativa, manovre che non sono di competenza o che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori. - Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp). È il più importante collaboratore del datore di lavoro e la sua nomina avviene, i ntuitu personae, sulla base di precisi requisiti previsti dalla legge (art. 32 Dlgs n. 81/2008), a opera del datore di lavoro nell’ambito delle funzioni non delegabili poste in capo allo stesso datore di lavoro. Questa figura si colloca in una posizione di staff e non di linea rispetto al datore di lavoro e degli stessi dirigenti, una sorta di consulente interno o esterno dell’amministrazione. Nei fatti, è l’Rspp che redige il Dvr i Duvri ed è l’Rspp che analizza i rischi e propone i rimedi per contenerli e gestirli. Con riferimento ai cantieri stradali l’Rspp coadiuva il datore dei lavori per l’elaborazione del Pos e il progettista per l’elaborazione del Psc. - Medico competente è una figura chiave per quanto riguarda la salute dei lavoratori. Collabora con il datore di lavoro ai fini di valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria. Quest’ultima si configura come l’insieme degli atti medici finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Inoltre il medico competente è di ausilio al datore di lavoro per l’elaborazione del Dvr e dei Duvri ed effettua le visite, previste per legge, ai lavoratori. Con riferimento ai cantieri stradali si segnala che le malattie professionali più frequenti riconducibili a questa tipologia di lavori sono: l’ipoacusia da rumore, le malattie osteo-articolari, le artroangiopatie da strumenti vibranti (morbo Raynaud e di Dpuytren) l’eczema da cemento e le bronco pneumopatie da polveri e fumi di bitume. Negli asfaltisti sono segnalati anche casi di tumore della pelle per l’esposizione a raggi solari e tumori polmonari. - Rappresentante dei lavoratori (Rls). È la persona eletta o designata a rappresentare i lavoratori. Questa figura, da non confondere con il rappresentante delle Oo.Ss., svolge un’attività critico-costruttiva nei confronti del datore di lavoro. Con riferimento ai cantieri stradali l’Rls segnala al datore di lavoro le disfunzioni rilevate in cantiere. Strumenti operativi Per una completa visione delle problematiche che sottendono i rischi nei cantieri stradali risulta utile illustrare gli strumenti operativi che regolano la protezione della sicurezza e salute dei

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

9

lavoratori dei cantieri stradali. - Modello organizzativo. A parere di chi scrive è il più importante degli strumenti messi a disposizione dal legislatore per prevenire gli infortuni. Si tratta di un modello di organizzazione e gestione che tutte le aziende pubbliche e private dovrebbero utilizzare in quanto mira a razionalizzare il lavoro in azienda con criteri di efficacia ed efficienza che consentono di individuare con buona approssimazione i rischi da infortuni. Il modello è idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma del codice penale, commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute dei lavoratori. Costituisce anche uno strumento rientrante nelle misure anticorruzione di cui alla legge n. 190/2012 in quanto consente di evidenziare sia le violazioni di legge che gli obblighi inerenti ai costi per la salute e la sicurezza all’interno degli appalti e all’obbligo di contribuzione (Durc) per i lavoratori. Il modello è mutuato da quanto disposto dall’articolo 1, lett. a), del Dlgs n. 131 del 8 giugno 2001. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 30, comma 1, del Dlgs n. 81/2008, allorquando tale modello venga adottato e applicato effettivamente, scatta l’esimente della responsabilità amministrativa (con profili penalistici) a favore dell’ente pubblico, ma anche a favore delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. - Documento unico di valutazione dei rischi (Dvr). Questo strumento è il documento base di analisi di tutti i rischi attuali e potenziali in tutti gli ambiti di lavoro di una determinata organizzazione (pubblica o privata). L’elaborazione del Dvr è compito del datore di lavoro e tale funzione non è delegabile. Il Dvr, oltre a censire e ordinare con priorità di intervento tutti i rischi insiti nell’attività dell’azienda, prevede anche tutte le misure di contrasto per ridurli e gestirli. Con riferimento ai cantieri stradali, il Dvr deve essere elaborato in armonia con il bilancio annuale e pluriennale dell’ente e, per quanto riguarda l’ente pubblico, deve essere specificatamente allineato all’elenco dei lavori pubblici che costituisce allegato al bilancio. In tal modo esso costituisce presupposto logico per l’elaborazione dei Pos e dei Psc. - Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (Duvri). Questo strumento, la cui elaborazione è di competenza del datore di lavoro (funzione delegabile), risulta di grande importanza al fine di limitare i rischi interferenziali che derivano dalla presenza nel medesimo luogo di lavoro di più imprese che espletano differenti attività. Caratteristica del Duvri è quella di essere un documento dinamico. Infatti la quantità e l’intensità dei rischi mutano a seconda dell’ingresso di nuovi soggetti all’interno del medesimo appalto (ad esempio subappaltatori). Con riferimento ai cantieri stradali, il Duvri è assorbito dal Psc. - Piano operativo per la sicurezza (Pos). L’elaborazione di questo strumento compete al datore di lavoro. La funzione è delegabile. Si configura come il documento di dettaglio del Dvr. Con riferimento ai cantieri stradali, il Pos deve contenere almeno i seguenti elementi: a) il nominativo e i riferimenti di identificazione e reperibilità di tutti i protagonisti della salute e sicurezza dei lavoratori; b) il numero e le qualifiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto della stessa impresa; c) la descrizione dell’attività di cantiere, delle modalità operative, dei turni di lavoro; d) l’elenco dei dispositivi individuali (Dpi); e) la stima dei costi relativi alla sicurezza. - Piano di coordinamento della sicurezza (Psc). L’elaborazione di questo strumento compete al progettista. Esso contiene lo svolgimento di tutte le fasi progettuali che interessano la vita del cantiere individuando per ciascuna di esse le criticità che riguardano la sicurezza e la salute dei lavoratori e i rispettivi mezzi di contrasto. Con riferimento ai cantieri stradali, il Psc indica anche le modalità di installazione, recinzione, gestione del cantiere e le modalità di segnalamento. Dispositivi di protezione individuali (Dpi) Il Dpi è qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi. I Dpi sono indicati dal datore di lavoro, sentito l’Rspp e d’accordo con il medico competente. Il sistema del Dpi è indicato nel Pos. Con riferimento ai cantieri stradali, i dispositivi di protezione individuali mirano a segnalare la presenza degli operatori sulla strada e a proteggerli dai rischi che corrono a causa dell’utilizzo di strumenti di lavoro. Pertanto essi si configurano in abiti colorati di rosso, fluorescenti, con espedienti che tendono ad attutire i rumori, occhialini, scarpe rinforzate, caschetti. Il cantiere Il cantiere è qualcosa di vivo, dove pulsa tutta l’attività per la quale viene allestito. Allestire un cantiere significa pianificare lo svolgimento di un’attività, prevederne le fasi di attuazione e individuare i rischi attuali e potenziali che si possono registrare nel corso di avanzamento dei

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

10

lavori, anche quelli interferenziali che derivano da altre attività che si svolgono nel medesimo luogo di lavoro. Il cantiere comprende l’area operativa che è la sede effettiva dell’attività primaria (l’area di ingombro da realizzare) e le aree di supporto, dove vengono dislocati tutti gli apprestamenti e le infrastrutture funzionali alla realizzazione dell’opera. - Valutazione dei rischi di cantiere stradale Il datore di lavoro deve prendere in esame i seguenti rischi di cantiere: a) quelli che direttamente ricadono sui lavoratori e che derivano dalla specificità delle lavorazioni nelle quali sono impegnati e quelli che ricadono sugli stessi lavoratori a causa dell’interferenza del traffico veicolare; b) quelli che direttamente ricadono sulle persone e sui veicoli che transitano nei pressi del cantiere. - Prima della installazione del cantiere vanno valutate le seguenti condizioni: a) la tipologia di strada, la vocazione urbanistica territoriale ed il traffico che insiste sulla strada passibile di diventare cantiere stradale; b) le ipotizzabili interazioni tra le diverse componenti del traffico esistente e potenziale (ad esempio il traffico prodotto dai mezzi pubblici e da quello dei mezzi privati, calcolando anche il possibile trend nel corso dell’attività lavorativa, quello prodotto da eventuali centri commerciali, quello dei residenti, quello dei pedoni, quello dei ciclisti ecc.); c) le interferenze con la viabilità esistente attraversato, con particolare riferimento agli insediamenti ed alla attività presenti o programmate nelle aree ad accessibilità diretta; - Rispetto all’interferenza tra cantiere di lavoro e strada vanno valutati i seguenti rischi: a) investimento dei lavoratori che prestano l’attività lavorativa in cantiere o in prossimità dello stesso; b) investimento di persone estranee al cantiere (es. pedoni, residenti, clienti di esercizi pubblici ecc.) e la collisione con i veicoli in transito da macchine operatrici; c) investimento di persone e/o veicoli provenienti da accessi laterali alla zona di lavoro (es. proprietà privata, parcheggi ecc.); d) proiezione o caduta di materiale dall’alto durante particolare fasi lavorative; e) caduta all’interno dello scavo presente ai margini del cantiere. L’errata installazione (difetti di perimetrazione dell’area all’interno e all’esterno del cantiere) e la cattiva gestione del cantiere (difetti di manutenzione ordinaria e straordinaria) possono essere causa di incidenti e origine di malattie sia per gli addetti dei lavori, sia per le persone esterne. Tra i rischi più gravi che corrono le persone che, a vario titolo, gravitano nell’orbita del cantiere sono: incidenti dovuti alla manovra di macchine operatrici, cadute dall’alto di uomini e materiali, cadute in piano, polveri e il rumore. - Criteri minimi per la posa e mantenimento della segnaletica delle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare Innanzitutto va ricordato che la materia relativa alla segnalazione stradale è disciplinata dal decreto interministeriale 4 marzo 2013, emanato dal ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il ministero della Salute e il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Secondo tale normativa la segnaletica deve essere: a) Visibile e leggibile sia di giorno che di notte. Conseguentemente deve essere collocata in una posizione strategica (non defilata), avere la caratteristica della rifrangenza, posizionata in buono stato manutentivo (non danneggiata). b) Coerente. Non possono coesistere segnali, nello stesso luogo e nello stesso tempo, segnali in contrasto tra loro. c) Adeguata. Deve tenere conto della situazione concreta della caratteristica della strada, del traffico, delle condizioni meteorologiche. d) Credibile. Deve indurre l’utente a fidarsi della segnaletica che deve seguire puntualmente l’evoluzione del cantiere.

Dispositivi di sicurezza individuale (Dpi). Manuale Inail 2010 La sicurezza sul lavoro nei cantieri stradali Abbigliamento ad alta visibilità consente di essere visti anche di notte e con la nebbia, se fluorescente. Calzature proteggono dagli schiacciamenti delle dita da parte del piede, perforazioni sotto la pianta del piede da parte di elementi perforanti o taglienti tipo chiodi, da abrasioni, ferite o altro su tutto il piede. Otoprotettori proteggono dall’esposizione al rumore e quindi dalla perdita di capacità uditiva. Casco protegge da proiezioni di materiali solidi come sassi, schizzi, e consente una maggiore

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

11

visibilità del lavoratore. Occhiali-visiera per saldatura proteggono da perforazioni dell’occhio conseguenti alla proiezione di schegge di vari materiali; da irritazioni o corrosioni dell’occhio conseguenti al contatto con sostanze irritanti o corrosive; dalle radiazioni durante la saldatura e l’applicazione di guaine bituminose. Guanti proteggono da tagli, schiacciamenti e abrasioni delle mani. Maschere facciali proteggono dall’inalazione di sostanze pericolose, presenti sotto forma di polvere, fumi, vapori.

Riferimenti normativi per il segnalamento temporaneo dei cantieri stradali Art. 21 del Nuovo codice della strada (Dlgs n. 285 del 30 aprile 1992) stabilisce le norme relative alle modalità e ai mezzi per la delimitazione e la segnalazione dei cantieri, alla realizzazione della visibilità sia di giorno che di notte del personale addetto ai lavori, agli accorgimenti necessari per la regolazione del traffico, nonché le modalità di svolgimento dei lavori nei cantieri stradali. Dall’art. 30 all’art. 43 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del Nuovo codice della strada Dpr n. 495 del 16 dicembre 1992. Decreto ministeriale 10 luglio 2002. Disciplinare tecnico relativo agli schemi segnaletici, differenziati per categoria di strada, da adottare per il segnalamento temporaneo.

Investimento/collisione con automezzi di cantiere. Manuale operativo Inail 2010 Norme di comportamento: a) posa la recinzione del cantiere; b) posa la segnaletica e l’illuminazione esterna al cantiere; c) mantieni pulite le aree esterne al cantiere; d) mantieni sgombere le vie di accesso al cantiere; e) se necessario, fornisci assistenza ai passanti; f) interrompi i lavori in caso di scarsa visibilità, come ad esempio in presenza di nebbia, piogge significative; g) verifica la presenza e l’integrità della segnaletica e dell’illuminazione artificiale; h) verifica il raggio di azione e di manovra degli apparecchi di sollevamento e degli automezzi di cantiere, allontanando eventuali persone presenti in tali aree; i) segnala al preposto situazioni non previste o sottovalutate in sede preliminare

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

12

Prevenzione incendi

���� Disabilità e prevenzione incendi: il piano di emergenza è la soluzione alle situazioni di pericolo Nell'ambito dei luoghi di lavoro la presenza di lavoratori, ma anche pubblico occasionale, con disabilità viene affrontata con attenzione sia dal D.Lgs. 81/08 che dal D.M. 10 marzo 1998, il primo con indicazioni generali sulla necessità di considerare tali aspetti, il secondo li affronta in modo più operativo. A questi due si aggiungono alcuni documenti tecnici elaborati dai Vigili del Fuoco sullo stesso argomento. Stefano Zanut, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – Sicurezza24 Nella normativa di sicurezza sugli ambienti di lavoro il tema dell'emergenza, intesa come una situazione, un momento critico o un imprevisto che possa comportare possibili rischi per le persone, viene considerato con particolare attenzione. In particolare, la risposta pianificata al suo verificarsi identifica il cosiddetto "piano di emergenza", uno strumento predisposto proprio per fronteggiare eventi di questo tipo per ridurne le conseguenze. Sebbene alcune misure di prevenzione incendi emesse nei primi anni 90 avessero già posto il problema, è solo con il D.Lgs. 626/94, poi evolutosi nel D.Lgs. 81/08, che diventa un elemento di forza negli ambienti di lavoro, ma non solo, poiché troverà successiva collocazione anche in norme che interessano altri aspetti della sicurezza negli ambienti della vita quotidiana. Il D.Lgs. 81/08, in particolare, dedica la sezione VI proprio alla "Gestione delle emergenze", fornendo in merito sia indicazione generali, sia specifiche sui temi connessi con l'evacuazione, il pronto soccorso e la prevenzione incendi. Senza dubbio una delle possibili criticità è rappresentata dalla possibile presenza nel luogo di lavoro di persone con disabilità, a cui peraltro lo stesso decreto legislativo pone attenzione nell'art. 63 (Requisiti di salute e di sicurezza), quando, al comma 2, dice che "i luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, dei lavoratori disabili". Ma è il D.M. 10 marzo 1998 (Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro) a fornire indicazioni più operative in merito; in particolare dedica alla pianificazione dell'emergenza l'allegato VIII (Pianificazione delle procedure da attuare in caso d'incendio). In questo viene esplicitata la necessità di considerare "l'assistenza alle persone disabili in caso di incendio", evidenziando peraltro l'importanza di "considerare le altre persone disabili che possono avere accesso nel luogo di lavoro. Al riguardo occorre anche tenere presente le persone anziane, le donne in stato di gravidanza, le persone con arti fratturati ed i bambini. Qualora siano presenti lavoratori disabili, il piano di emergenza deve essere predisposto tenendo conto delle loro invalidità".

Estratto del D.M. 10 marzo 1998 Allegato VIII - Punto 8.3: Assistenza alle persone disabili in caso d'incendio. 8.3.1. Generalità Il datore di lavoro deve individuare le necessità particolari dei lavoratori disabili nelle fasi di pianificazione delle misure di sicurezza antincendio e delle procedure di evacuazione del luogo di lavoro. Occorre altresì considerare le altre persone disabili che possono avere accesso nel luogo di lavoro. Al riguardo occorre anche tenere presente le persone anziane, le donne in stato di gravidanza, le persone con arti fratturati ed i bambini. Qualora siano presenti lavoratori disabili, il piano di emergenza deve essere predisposto tenendo conto delle loro invalidità. 8.3.2. Assistenza alle persone che utilizzano sedie a rotelle ed a quelle con mobilità ridotta

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

13

Nel predisporre il piano di emergenza, il datore di lavoro deve prevedere una adeguata assistenza alle persone disabili che utilizzano sedie a rotelle ed a quelle con mobilità. Gli ascensori non devono essere utilizzati per l'esodo, salvo che siano stati appositamente realizzati per tale scopo. Quando, non sono installate idonee misure per il superamento di barriere architettoniche eventualmente presenti oppure qualora il funzionamento di tali misure non sia assicurato anche in caso di incendio occorre che alcuni lavoratori, fisicamente idonei, siano addestrati al trasporto delle persone disabili. 8.3.3. Assistenza alle persone con visibilità o udito menomato o limitato Il datore di lavoro deve assicurare che i lavoratori con visibilità limitata, siano in grado di percorrere le vie di uscita. In caso di evacuazione del luogo di lavoro, occorre che i lavoratori, fisicamente idonei ed appositamente incaricati, guidino le persone con visibilità menomata o limitata. Durante tutto il periodo dell'emergenza occorre che un lavoratore, appositamente incaricato, assista le persone con visibilità menomata o limitata. Nel caso di persone con udito limitato o menomato esiste la possibilità che non sia percepito il segnale di allarme. In tali circostanze occorre che una persona appositamente incaricata, allerti l'individuo menomato. 8.3.4. Utilizzo di ascensori Persone disabili possono utilizzare un ascensore solo se è un ascensore predisposto per l'evacuazione o è un ascensore antincendio ed inoltre tale impiego deve avvenire solo sotto il controllo di personale pienamente a conoscenza delle procedure di evacuazione

Tabella 1 - Estratto del D.M. 10 marzo 1998 per la parte relativa alle misure di affiancamento ed assistenza alle persone con disabilità negli ambienti di lavoro In realtà nel D.M. 10 marzo 1998 il tema della sicurezza dei lavoratori disabili viene affrontato con particolare e matura attenzione fin da quando il concetto di "disabilità" viene correlato a quello di "difficoltà", nel senso che il "problema" non è tanto identificato nella persona (in questo il disabile), quanto nelle condizioni ambientali che possono favorire o meno la sua sicurezza. A tal proposito giova ricordare come nell'allegato I allo stesso decreto la valutazione del rischio incendio considera anche il "numero delle persone presenti, siano esse lavoratori dipendenti che altre persone, e della loro prontezza ad allontanarsi in caso d'incendio", così come tra i fattori ambientali sono considerate le persone "la cui mobilità, udito o vista sia limitata" e ancora quelle che "possono essere incapaci di reagire prontamente". Tali presupposti assumono un significato di particolare importanza nel ri-considerare il concetto di "handicap" e "disabilità" rispetto a come viene ordinariamente inteso. Più in generale evidenzia come la condizione di "handicap" non sia tanto legata all'individuo, quanto all'eventuale condizione di svantaggio ad esso imposta: la disabilità, intesa come mancanza assoluta di abilità, quindi impedimento, ha senso solo rispetto ad un modello di normalità normante, definito a priori, che però, non trova espressione nella realtà.

Estratto del D.M. 10/3/98 Allegato I - Linee guida per la valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro 1.3 - Obiettivi della valutazione dei rischi di incendio. La valutazione del rischio incendio tiene conto: […] f) del numero delle persone presenti, siano esse lavoratori dipendenti che altre persone, e della loro prontezza ad allontanarsi in caso d'incendio; 1.4.2 - Identificazione dei lavoratori e di altre persone presenti esposti a rischi di incendio: […] Occorre tuttavia considerare attentamente i casi in cui una o più persone siano esposte a rischi particolari in caso d'incendio a causa della loro specifica funzione o per il tipo di attività nel luogo di lavoro. A titolo di esempio si possono citare i casi in cui: […] Siano presenti persone la cui mobilità, udito o vista sia limitata; […]

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

14

Siano presenti persone che possono essere incapaci di reagire prontamente in caso di incendio o possono essere particolarmente ignare del pericolo causato da un incendio, poiché lavorano in aree isolate e le relative vie di esodo sono lunghe e di non facile praticabilità.

Tabella 2 - Estratto del D.M. 10 marzo 1998 D'altra parte questi concetti sono già presenti nell'I.C.F. - Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (1), approvata dall'Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 2001, che li esplicita con chiarezza e adotta una modalità classificatoria che promuove il cosiddetto approccio di tipo "bio-psico-sociale" per esprimere le diverse dimensioni della salute a livello biologico, individuale e sociale. Questo diverso e più attuale approccio al problema propone una lettura sociale dello svantaggio che le persone con disabilità subiscono per la mancanza di risorse, opportunità o adattamenti dell'ambiente. In particolare dimostra quando e con quale entità l'ambiente possa causare restrizioni alla piena partecipazione della persona e quali modifiche sia necessario apportare (rimuovere ostacoli/fornire opportunità). Risulta chiara la funzione di quei fattori che, interagendo con la persona, possono facilitarne o meno le prestazioni in funzione delle loro caratteristiche dimensionali e qualitative.

Figura 1 - Rappresentazione schematica del modello biopsicosociale dell'ICF. Nella parte superiore dello schema si evidenzia la prospettiva medica, mentre quella sociale si trova nella parte basse. L'area centrale risulta dall'intersezione della condizione di salute e ambientale Forse questa evoluzione è sfuggita ai "non addetti ai lavori", ma non certo al legislatore, come si nota dalla diversa terminologia impiegata nel D.Lgs. 626/94 e nel D.Lgs. 81/08: nel primo si parlava di "lavoratori portatori di handicap" (art. 30), nel secondo di "lavoratori disabili" (art. 63). Gli stessi concetti saranno successivamente ripresi ed approfonditi nella circolare del Ministero dell'Interno n. 4 del 1° marzo 2002 (Linee guida per la valutazione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili), che fornisce indicazioni sul come effettuare la valutazione del rischio incendio considerando sia le caratteristiche ambientali che le conseguenti misure edilizia ed impiantistiche.

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

15

Figura 2 - Schema riassuntivo della Circolare 4/2002 Nella stessa vengono quindi considerate le misure organizzative e gestionali da considerare nell'ambito della gestione dell'emergenza.

4. MISURE ORGANIZZATIVE E GESTIONALI Il Decreto 10 marzo 1998 prevede che, all'esito della valutazione dei rischi d'incendio e dei provvedimenti intrapresi per eliminarli, ovvero ridurli, il datore di lavoro o il responsabile della sicurezza del luogo adotta le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso d'incendio, riportandole in un piano di emergenza elaborato in conformità ai criteri di cui all'allegato VIII al decreto stesso. In tale piano dovranno essere considerate le specifiche misure da porre in atto, a cura di personale appositamente formato a tale scopo, per assistere le persone disabili o temporaneamente incapaci a mettersi in salvo seguendo quanto indicato al punto 8.3 del predetto allegato. La scelta delle misure di tipo organizzativo e gestionale, quindi, dipende dalla valutazione compiuta e dalle misure edilizie e impiantistiche presenti. Per questo motivo, fermo restando che alcune procedure specifiche saranno oggetto di trattazione nel documento indicato nel punto 1.2., è possibile fornire solo alcune indicazioni di carattere generale: - ai fini dell'adozione di procedure gestionali e di emergenza che siano praticabili ed idonee agli scopi, è opportuno che la loro definizione avvenga, ove possibile (ad esempio, quando sono già presenti lavoratori disabili), a seguito di una consultazione dei diretti interessati abitualmente ivi presenti; - la persona o le persone incaricate di porgere aiuto devono essere adeguatamente addestrate ad accompagnare una persona con difficoltà sensoriali ed a trasmettere alla stessa, in modo chiaro e sintetico, le informazioni utili su ciò che sta accadendo e sul modo di comportarsi per facilitare la fuga; - la persona o le persone incaricate di porgere aiuto devono essere adeguatamente addestrate per agevolare i soccorritori e per dare a questi i riferimenti per meglio trarre in salvo la persona.

Tabella 3 - Estratto della circolare 4/2002 per la parte relativa alle misure organizzative e gestionali Per tornare alla gestione dell'emergenza, numerose sono stati gli interventi nei convegni dei Vigili del Fuoco, alcuni sono i seguenti: - Approccio ingegneristico: il calcolo del tempo di esodo negli scenari che coinvolgono persone con disabilità;

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

16

- Misure di prevenzione incendi specifiche per la disabilità mentale nella normativa nazionale. Tuttavia la pubblicazione più accurata è stata il manuale elaborato dai Vigili del fuoco: "Il soccorso alle persone disabili: indicazioni per la gestione dell'emergenza". Questo fornisce indicazioni sulle modalità operative più efficaci in caso di intervento in presenza di persone con disabilità motoria, sensoriale e cognitiva, senza dimenticare, come ben evidenziato nello stesso, che "una persona non identificabile come disabile in condizioni ambientali normali, se coinvolta in una situazione di crisi potrebbe non essere in grado di rispondere correttamente, adottando, di fatto, comportamenti tali da configurarsi come condizioni transitorie di disabilità". Per confermare quest'ultima considerazione possono tornare utili i dati di eventi reali, uno tra tutti il terribile attentato alle Torri Gemelle dell'11/9/2001, quando molte persone che riuscirono a salvarsi manifestarono difficoltà ad evacuare sebbene non fossero disabili.

Asma

28%

Disabilità motorie

21%

Disabilità cognitiva

15%

Problemi cardiaci

12%

Gravi problemi alla vista

5%

Sordità

3%

Problemi connesi con il fumo da sigaretta

19%

Altri (gravidanza, ecc.)

15%

Persone che hanno dichiarato difficoltà nell'affrontare il percorso lungo le scale in conseguenza della propria disabilità.

6%

Tabella 4 - In un suo contributo dal titolo "High Rise Building Evacuation - Lessons Learned from the World Trade Center Disaster", Robyn R. M. Gershon propone questa tabella estratta dagli atti d'inchiesta del governo USA sull'attentato dell'11 settembre. Quasi un quarto delle persone che sono riuscite ad evacuare prima del crollo hanno dichiarato una propria condizione di disabilità che ha determinato difficoltà all'evacuazione Elaborare un piano di emergenza che consideri le persone con specifiche necessità può rappresentare quindi una risorsa non solo per la gestione di scenari incidentali dove sono coinvolte persone disabili, ma anche dove queste non essere presenti: le indicazioni normative vanno senza dubbio in tale direzione.

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

17

Prevenzione incendi

���� Articoli pirotecnici: la nuova circolare del Ministero dell'interno Claudio Giacalone, Il Sole 24 ORE – Tecnici 24 – Antincendio24 La normativa sugli artifici pirotecnici ha subìto, negli ultimi anni, notevoli mutamenti. Lo spunto di maggiore interesse è la pubblicazione del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 relativo all’attuazione della direttiva 2007/23/CE sull'immissione sul mercato di prodotti pirotecnici; la direttiva disciplina la libera circolazione degli articoli pirotecnici nel mercato interno europeo e assicura, nel contempo, le esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e di tutela della pubblica incolumità, la tutela dei consumatori e la protezione ambientale. La nuova normativa individua, inoltre, i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono possedere per poter essere immessi sul mercato. Le definizioni Sono di interesse le definizioni introdotte dalla nuova disposizione legislativa: - articolo pirotecnico: qualsiasi articolo contenente sostanze esplosive o una miscela esplosiva di sostanze destinate a produrre un effetto calorifico, luminoso, sonoro, gassoso o fumogeno o una combinazione di tali effetti grazie a reazioni chimiche esotermiche automantenute; - articoli pirotecnici teatrali: articoli pirotecnici destinati ad esclusivo uso scenico, in interni o all'aperto, anche in film e produzioni televisive o per usi analoghi; - articoli pirotecnici per i veicoli: componenti di dispositivi di sicurezza dei veicoli contenenti sostanze pirotecniche utilizzati per attivare questi o altri dispositivi; La classificazione Secondo la nuova disposizione normativa, la classificazione degli articoli pirotecnici è effettuata dal fabbricante in categorie, conformemente al loro tipo di utilizzazione, alla loro finalità e al livello di rischio potenziale, compreso il livello di rumorosità. Gli articoli pirotecnici sono classificati nelle seguenti categorie: a) fuochi d'artificio: - categoria 1: fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale estremamente basso e un livello di rumorosità trascurabile e che sono destinati ad essere utilizzati in spazi confinati, compresi i fuochi d'artificio destinati ad essere usati all'interno di edifici d'abitazione; - categoria 2: fuochi d'artificio che presentano un basso rischio potenziale, un basso livello di rumorosità e che sono destinati a essere usati al di fuori di edifici in spazi confinati; - categoria 3: fuochi d'artificio che presentano un rischio potenziale medio e che sono destinati ad essere usati al di fuori di edifici in grandi spazi aperti e il cui livello di rumorosità non é nocivo per la salute umana; - categoria 4: fuochi d'artificio professionali che presentano un rischio potenziale elevato e che sono destinati ad essere usati esclusivamente da "persone con conoscenze specialistiche" di cui all'articolo 4, comunemente noti quali "fuochi d'artificio professionali", e il cui livello di rumorosità non é nocivo per la salute umana; Secondo la nuova direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2013/29/UE del 12 giugno 2013, non ancora entrata in vigore, gli articoli pirotecnici muniti della marcatura CE ed appartenenti alle categorie cat. 1, cat. 2, cat. 3 e cat. 4 assumeranno, rispettivamente, le denominazioni F1, F2, F3 ed F4. b) articoli pirotecnici teatrali: - categoria T1: articoli pirotecnici per uso scenico, che presentano un rischio potenziale ridotto; - categoria T2: articoli pirotecnici professionali per uso scenico che sono destinati esclusivamente all'uso da parte di persone con conoscenze specialistiche, quindi da persone abilitate, secondo l'ordinamento vigente, a manipolare o utilizzare fuochi l'artificio di categoria 4, articoli pirotecnici teatrali di categoria T2 o altri articoli pirotecnici di categoria P2; c) altri articoli pirotecnici: - categoria P1: articoli pirotecnici diversi dai fuochi d'artificio e dagli articoli pirotecnici teatrali che presentano un rischio potenziale ridotto;

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

18

- categoria P2: articoli pirotecnici professionali diversi dai fuochi d'artificio e dagli articoli pirotecnici teatrali che sono destinati alla manipolazione o all'uso esclusivamente da parte di persone con conoscenze specialistiche. Inoltre, per completare il panorama attuativo delle norme europee, il decreto del ministro dell'interno 9 agosto 2011 (Modificazioni agli allegati A, B e C al regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 recante attuazione dell'articolo 18, secondo comma, del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 e classificazione d'ufficio dei manufatti già riconosciuti ma non classificati tra i prodotti esplodenti in applicazione del decreto 4 aprile 1973) ha stabilito le equivalenze fra le categorie degli articoli pirotecnici secondo la normativa italiana e le analoghe categorie previste dalla normativa europea, riportate nella tabella seguente:

Classificazione europea

Classificazione italiana

Cat. 1 V E (se singoli petardini da ballo contenenti non più di 2,5 mg di fulminato di argento o se singoli articoli pirotecnici realizzati esclusivamente con tale carica)

V D

Cat. 2 V C: 1) Razzi e loro batterie. Batterie o combinazioni di petardi e petardi flash, di sbruffi, di candele romane, di tubi monogetto. Singoli sbruffi, candele romane, tubi monogetto. 2) Artifizi singoli o comunque collegati ad esclusivo effetto scoppiante e/o crepitante e/o fischiante, con una carica per singolo effetto superiore a 150 mg. 3) Artifizi di cui al punto 2) anche nel caso in cui sia associato un effetto luminoso. Ai fini della classificazione non è computata la miscela luminosa.

V D (se singoli artifici scoppianti, crepitanti o fischianti con una carica di effetto non superiore a mg 150; se singoli artifizi ad esclusivo effetto luce colore con una massa netta non superiore a gr 120 (se singoli coni non superiore a 60 gr)

Cat. 3 IV

Cat. 4 IV

T 1 V C

T 2 IV

P 1 V E (air bag, pretensionatori, generatori di gas, attuatori pirotecnici, tagliacavi)

V D (dispositivi illuminanti di superficie: segnali a mano)

V C (dispositivi illuminanti di superficie)

P 2 V B (ritardi pirotecnici, accenditori elettrici e non, miccia a lenta e rapida combustione, miccia istantanea non detonante e miccia di accensione a rivestimento)

IV (petardi per ferrovia, semilavorati per fuochi pirotecnici, dispositivi illuminanti di superficie)

Le limitazioni al pubblico Gli articoli pirotecnici sono soggetti ad alcune limitazioni nella distribuzione al pubblico, perché non possono essere venduti, né possono essere messi a disposizione dei consumatori al di sotto dei seguenti limiti di età: a) fuochi d'artificio della categoria 1 a privati che non abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età; b) fuochi d'artificio della categoria 2 e articoli pirotecnici delle categorie T1 e P1 a privati che non

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

19

siano maggiorenni e che non esibiscano un documento di identità in corso di validità; c) fuochi d'artificio della categoria 3 a privati che non siano maggiorenni e che non siano muniti di nulla osta rilasciato dal questore ovvero di una licenza di porto d'armi; d) fuochi d'artificio della categoria 4 e articoli pirotecnici delle categorie T2 e P2 a persone con conoscenze specialistiche. Con l'attuazione della normativa europea, gli articoli pirotecnici dovranno soddisfare i requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla direttiva europea ed essere provvisti di marcatura CE. Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'interno ha diramato, con la circolare del 20 maggio 2014, alcune modifiche ed integrazioni alla circolare n. 559/C.25055.XV.A.MASS dell'11 gennaio 2001, con cui precedentemente erano state emanate disposizioni in ordine alla sicurezza ed alla tutela dell'incolumità pubblica in occasione dell'accensione di fuochi artificiali autorizzata ai sensi dell'art. 57 del T.U.L.P.S. La circolare si è resa necessaria in quanto, a decorrere dal 4 luglio 2013, le disposizioni dell'art. 18, comma 6, del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 concernenti l'immissione sul mercato degli articoli pirotecnici marcati CE si applicano anche alle categorie "cat. 4", "T1", "T2", "P1" e "P2", impiegabili negli spettacoli autorizzati ai sensi dell'art. 57 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.). A) DISPOSIZIONI GENERALI Anche per articoli pirotecnici marcati CE occorre, come peraltro avviene per gli altri prodotti, la licenza per l'accensione dei fuochi artificiali, ai sensi dell'art. 57 del T.U.L.P.S., che può essere rilasciata dall'Autorità locale di pubblica sicurezza solo al titolare dell'abilitazione di cui all'art.101 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.. Ne deriva che l'impiego di qualsiasi articolo pirotecnico, anche se marcato CE, in spettacoli autorizzati ai sensi dell'art. 57 del T.U.L.P.S., a prescindere dalla sua tipologia, sia riservato, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica connesse alla presenza di pubblico, esclusivamente a persone con conoscenze specialistiche e, pertanto, munite della citata abilitazione. L'art. 5 del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58, consente in effetti l'utilizzo degli artifici pirotecnici marcati CE anche ad altre categorie di consumatori, ma, qualora l'utilizzo avvenga in presenza di pubblico, la circolare ne riserva l'utilizzo a persone con conoscenze specialistiche. Secondo le indicazioni fornite al punto "3 - artifici impiegabili" della circolare 559/2001, con la licenza ex art. 57 T.U.L.P.S. possono accendersi artifici classificati nella IV categoria e nella V categoria dell'Allegato A al Regolamento T.U.L.P.S., disposizione applicabile anche per i prodotti marcati CE, ad eccezione dei limiti dimensionali indicati per gli "artifici cilindrici" e per quelli "sferici", tenuto conto che tali limitazioni non sono previste per i prodotti marcati CE. Ciò, tuttavia, non esclude la facoltà, per l'Autorità di pubblica sicurezza, in relazione a particolari situazioni, di imporre delle limitazioni dimensionali ai calibri impiegabili sotto forma di prescrizioni ai sensi dell'art. 9 T.U.L.P.S.. Per i mortai (il mortaio è un tubo cilindrico fatto di lamiera oppure di ferro colato o resina, chiuso nella base inferiore, in cui viene inserita la bomba per lanciarla in aria) si osservano le disposizioni di cui alla precedente circolare; per l'eventuale utilizzo di prodotti marcati CE di calibro superiore ai limiti massimi (calibro 210 mm per i cilindrici e calibro 400 mm per gli sferici) stabiliti per gli articoli pirotecnici non provvisti di marcatura, trovano applicazione le disposizioni previste nella parte relativa ai mortai di calibro più elevato. Resta salva la possibilità di utilizzare il manufatto secondo le modalità che sono indicate nella documentazione approvata dall'ente notificato (ad esempio un diverso grado di inclinazione) e che saranno riportate in una dichiarazione sottoscritta dal titolare della licenza ex art. 57 T.U.L.P.S.. Le indicazioni di cui ai punti "5 - Accensione degli artifici e cautele per gli addetti all'accensione" e "6 - Disposizioni complementari riferibili all'Autorità locale di P.S." della circolare dell'11 febbraio 2001 trovano piena applicazione anche in caso di utilizzo di articoli pirotecnici marcati CE. Qualora vengano impiegati, negli spettacoli a carattere continuativo all'interno del medesimo sito, articoli pirotecnici appartenenti alle categorie T1 e T2, ovvero, lo spettacolo venga rinviato, i medesimi articoli possono essere depositati, fino ad una massa attiva pari a kg 20, sotto la responsabilità del pirotecnico titolare della licenza, in un locale idoneo alla loro sicura e corretta conservazione, senza ulteriori adempimenti. Per le altre tipologie di fuochi artificiali il rinvio dello spettacolo pirotecnico comporta che il materiale non utilizzato venga conferito ad un deposito autorizzato o al deposito di provenienza. B) DISPOSIZIONI IN ORDINE ALLA SICUREZZA

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

20

L'area di sparo: - deve essere opportunamente delimitata con apposita segnaletica e, se ritenuto necessario, cintata; - deve essere, in ogni caso, inaccessibile al pubblico; - gli artifici dovranno essere disposti, all'interno dell'area di sparo, in modo da evitare reciproche influenze con possibilità di accensioni accidentali. Le disposizioni sull'area di sparo della richiamata circolare si applicano anche nel caso di utilizzo di articoli pirotecnici muniti della marcatura CE, salvo che tali articoli appartengano alle relative categorie T1 e T2. In tali casi, infatti, il loro posizionamento, per il successivo sparo, non è soggetto agli obblighi di delimitazione e di segnalazione dell'area di sparo, fermo restando il divieto di accesso al pubblico nella stessa area. La distanza di sicurezza è la distanza dall'area di sparo, considerata da ogni punto della delimitazione di detta area, cui può essere disposto il pubblico. Le distanze di sicurezza, di seguito indicate, sono determinate in base al calibro degli artifici impiegabili:

- fuochi a terra:

(a) artifici con effetti esclusivamente di luce/colore senza aperture aeree (cascate luminose, girandole, fontane ecc.):

30 m

(b) artifici configurati con uno o più elementi cilindrici di diametro fino a 25 mm:

40 m

(c) artifici configurati con uno o più elementi cilindrici di diametro superiore a 25 mm e fino a 50 mm:

50 m

- fuochi aerei:

(a) artifici configurati con uno o più elementi cilindrici di diametro superiore a 50 mm e fino a 110 mm:

100 m

(b1) artifici cilindrici e razzi se di calibro fino a 110 mm: 100 m

(b2) artifici cilindrici e razzi se di calibro superiore a 110 mm e fino a 130 mm: 150 m

(b3) artifici cilindrici e razzi se di calibro superiore a 130 mm e fino a 210 mm: 200 m

(c1) artifici sferici se di calibro - fino a 130 mm: 100 m

(c2) artifici sferici se di calibro superiore a 130 mm e fino a 220 mm: 150 m

(c3) artifici sferici se di calibro superiore a 220 mm e fino a 400 mm: 200 m

Resta ferma, in ogni caso, la facoltà della competente Autorità di Pubblica Sicurezza di innalzare le distanze di sicurezza (che sono da considerarsi come limiti minimi) sotto forma di prescrizioni ai sensi dell'art. 9 del T.U.L.P.S., a seguito delle necessarie valutazioni sulle condizioni dei siti prescelti per lo sparo. Ai sensi della norma europea EN 16256-2, una persona con conoscenza specialistica può utilizzare articoli pirotecnici marcati CE, appartenenti alle categorie T1 o T1 "solo per uso esterno" in modo diverso rispetto a quanto prescritto dall'etichetta o dalle istruzioni d'uso, a condizione che abbia opportunamente valutato "i pericoli e i rischi che qualsiasi deviazione può comportare. La “zona di sicurezza” è lo spazio posto tra l'area di sparo e le zone aperte al pubblico, all'interno del quale: - non è consentito l'accesso o la sosta del pubblico; essa deve essere tenuta sgombra da materiali infiammabili; - può invece sostarvi un'aliquota di personale preposto al soccorso pubblico in grado di intervenire anche nell'area di sparo in caso di incidente; - gli edifici, le costruzioni e le strutture di qualsiasi genere esistenti non devono essere abitate o frequentate durante lo svolgimento dello spettacolo e devono essere sufficientemente distanti per non subire danni. Fa eccezione l'utilizzo degli articoli pirotecnici marcati CE appartenenti alle categorie T1 e T2 per i

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

21

quali è consentita la presenza, all'interno della zona di sicurezza, di artisti e di altro personale che partecipano alla rappresentazione scenica, ad esclusione del momento di accensione degli articoli medesimi, durante il quale anche tali soggetti dovranno essere alla distanza di sicurezza prevista in funzione del prodotto impiegato. In presenza di vento il titolare dovrà valutare l'opportunità di stabilire eventuali limitazioni nei tiri, e, se necessario, provvedere a mutare l'orientamento dei mortai in modo da allontanare ulteriormente dal pubblico la traiettoria dei lanci, comunque nel rispetto dei limiti sopra indicati. Al termine dello spettacolo il titolare dovrà provvedere ad effettuare un'accurata bonifica dell'area di sparo e delle zone adiacenti per l'individuazione ed eliminazione di ogni eventuale residuo di materiale inesploso o incombusto. Di tale verifica e degli esiti della stessa dovrà essere data comunicazione scritta alla Autorità locale di pubblica sicurezza.

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

22

���� Documento di valutazione dei rischi ���� PER L'IMPRESA FAMILIARE NON È DOVUTO IL DVR D. In una Sas (società in accomandita semplice) senza dipendenti, l'accomandatario è impegnato al 100%nell'attività. Invece l'accomandante (parente di terzo grado e, quindi, coadiuvante familiare) occasionalmente e gratuitamente risulta impegnato nell'attività. Esiste l'obbligo di redazione del Dvr (documento valutazione rischi)? ---- R. L’articolo 230-bis del Codice civile configura l’impresa familiare come un’attività economica cui collaborano, continuativamente, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso rapporto. La configurazione dell’impresa, quindi, assume carattere residuale, dato che sussiste soltanto quando i familiari non abbiano deciso di creare un diverso rapporto qualificato, come, ad esempio, un rapporto di lavoro subordinato, una società di fatto eccetera. Pertanto, all’impresa familiare si applicherà solo quanto previsto dall’articolo 21 del Dlgs 81/2008, che non richiede l’obbligo di redazione del Dvr. Questo articolo prevede che i componenti dell’impresa familiare devono: a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III; b) munirsi di dispositivi di protezione individuale e utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto. I componenti dell’impresa familiare, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, hanno la facoltà (non l’obbligo) di:1) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;2) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37 del decreto citato, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali. In tali ipotesi, non si configura disparità alcuna di trattamento, poiché, nel caso d’impresa familiare, il titolare non verrà ad assumere la veste di datore di lavoro e, pertanto, non soggiacerà a tutti gli obblighi previsti dal Dlgs 81/2008.Va poi ricordato che, se l’impresa familiare operasse nell’ambito del campo di applicazione del titolo IV del Dlgs 81/2008 (cantieri temporanei e mobili), essa soggiacerà all’obbligo di redazione del piano operativo di sicurezza per lo specifico cantiere in cui è chiamata a operare (articolo 96, comma 1, lettera g)). Analogamente, se l’impresa familiare fosse chiamata a operare in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, essa dovrà attuare gli obblighi previsti dal Dpr 177/2011. Nel caso in cui, invece, i componenti dell’impresa assumano la veste di lavoratori, così come definiti dall’articolo 2, comma 1, lettera a, del decreto citato, e cioè con un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, sul titolare dell’impresa familiare, quale datore di lavoro e garante rispetto agli altri componenti, graveranno gli obblighi di tutela in materia di sicurezza e salute: valutazione dei rischi, redazione del documento di valutazione dei rischi con procedure standardizzate (dal 1° gennaio 2013), nomina del medico competente, sorveglianza sanitaria, formazione ed informazione eccetera. (Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde)

���� Impianti ���� FOTOVOLTAICO, GLI OBBLIGHI PER LA MANUTENZIONE D. Un committente, titolare di un impianto fotovoltaico a terra di 1 megaWatt, deve eseguire annualmente attività di manutenzione ordinaria (senza titolo abilitativo), prevalentemente di tipo elettrico. Ritengo che tali lavori debbano essere inquadrati comunque nel titolo IV del Dlgs 81/2008, poiché potrebbe essere necessario fare manutenzione anche su parti strutturali di linee elettriche. Constatata la presenza di più imprese esecutrici, si intende nominare un Cse, coordinatore della sicurezza per l'esecuzione. Altri consulenti sostengono, tuttavia, che la manutenzione ordinaria dell'impianto fotovoltaico (per tutta la durata di esercizio, cioè 20 anni)

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

23

non configura lo stesso come cantiere temporaneo, e che, dunque, venendo meno il carattere di temporaneità, non si devono analizzare questi lavori nell'ambito del titolo IV, per l'assenza di un inizio e di una fine lavori. Qual è il parere dell'esperto? ---- R. Innanzitutto, va chiarito che qualunque luogo dove si effettuano lavori edili o d’ingegneria civile, il cui elenco è riportato nell’allegato X al Dlgs 81/2008, si configura come cantiere temporaneo o mobile (articolo 89, comma 1, lettera a, del decreto stesso). In secondo luogo, la semplice manutenzione ordinaria d’impianti e linee elettriche, che non comporta l’esecuzione di lavori edili o d’ingegneria civile, esula dal campo di applicazione del capo I del titolo IV. Inoltre, gli obblighi previsti dallo stesso capo I del titolo IV non si applicano (ex articolo 88, comma 1, lettera g-bis) ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento, nonché ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi, che non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’allegato XI, e cioè ai rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Infine, va anche ricordato che nel fascicolo adattato alle caratteristiche dell’opera, redatto secondo quanto prevede l’allegato XVI al decreto citato, al momento della realizzazione dell’impianto, devono essere contenute le misure preventive e protettive in dotazione all’opera, e le misure preventive e protettive ausiliarie da attuare durante gli interventi di manutenzione sull’opera eseguita. La semplice adozione di tali misure, durante gli interventi di manutenzione che non comportano lavori edili o d’ingegneria civile, già garantisce un adeguato livello di sicurezza per il personale operante.Invece, nel caso in cui gli interventi di manutenzione annualmente previsti vengano eseguiti da più imprese e comportino anche lavori rientranti tra quelli indicati dall’allegato X (lavori su parti strutturali delle linee e degli impianti elettrici), il committente dovrà procedere attuando quanto previsto a suo carico dagli articoli 90, 93, 99, 100, comma 6-bis, e 101, comma 1, del Dlgs 81/2008. (Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde)

���� Prevenzioni incendi ���� OBBLIGHI SPECIFICI IN CASO DI MODIFICHE SOSTANZIALI D. Stiamo per modificare il lay-out dei nostri uffici. In una palazzina di tre piani andremo a chiudere un piano e a distribuire le circa 90 persone sugli altri due. È necessario presentare una relazione di prevenzione incendi, in relazione al Dm 22 febbraio 2006, ai vigili del fuoco? La modifica non comporta cambi strutturali, né di percorsi e di uscite d'emergenza: muterà solo l'affollamento per piano. ---- R. Premesso che la risposta al quesito non può essere esaustiva, per carenza d’informazioni, va evidenziato che il Dm 22 giugno 2006, e in particolare le norme contenute nei titoli II e III dell'allegato al decreto stesso, si applicano agli edifici e/o locali destinati a uffici con oltre 25 persone presenti (a esclusione degli uffici di controllo e gestione diretta annessi o inseriti in reparti di lavorazione e/o deposito di attività industriali e/o artigianali) di nuova costruzione, agli edifici e/o locali esistenti in cui si insediano uffici di nuova realizzazione, agli edifici e/o locali esistenti già adibiti a ufficio alla data di entrata in vigore del decreto, nel caso che siano oggetto di interventi che comportino modifiche sostanziali, i cui progetti siano presentati ai competenti Comandi provinciali dei vigili del fuoco per le approvazioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo l'entrata in vigore del Dm citato. Le modifiche sostanziali sono lavori che comportano interventi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione riportata all'articolo 3, comma 1, lettera d, del Dpr 380/2001. Pertanto, visto che il lettore afferma che non sono previste modifiche sostanziali di alcun tipo per gli uffici esistenti, il Dm 22 febbraio 2006 non si applica. Devono, comunque, essere integralmente applicate le norme previste dal Dm 10 marzo 1998, con particolare riferimento a quanto indicato dall’allegato III. (Carmelo G. Catanoso, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde)

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

24

(G.U.5 luglio 2014, n. 154)

���� Prevenzione incendi ���� MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 4 giugno 2014 Modifica dell'art. 6, del decreto 9 agosto 2011, recante: «Modificazioni agli allegati A, B e C al regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante attuazione dell'articolo 18, secondo comma, del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 e classificazione d'ufficio dei manufatti già riconosciuti ma non classificati tra i prodotti esplodenti in applicazione del decreto 4 aprile 1973». (G.U. 17 giugno 2014, n. 138)

���� MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Modifica dell'allegato 1 al decreto 9 agosto 2011, recante modificazioni agli allegati A, B e C al regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 recante attuazione dell'articolo 18, secondo comma, del decreto legislativo 4 aprile 2010, n. 58 e classificazione d'ufficio dei manufatti già riconosciuti ma non classificati tra i prodotti esplodenti in applicazione del decreto 4 aprile 1973. (G.U. 17 giugno 2014, n. 138)

���� PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI COMUNICATO Attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2014. Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia ed ai rischi conseguenti. (G.U. 18 giugno 2014, n. 139)

���� DECRETO-LEGGE 24 giugno 2014, n. 91 Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (G.U. 24giugno 2014, n. 144)

���� NOTA Nuova proroga per l'eliminazione degli estinguenti nocivi per l'ozono Il D.L. 24 giugno 2014, n. 91 contiene anche indicazioni con ricaduta nel campo della prevenzione incendi. Nell’ambito dell’art. 11, comma 5, infatti, vengono integrate le indicazioni contenute nel precedente D.Lgs. 108/2013 per quanto concerne le sostanze estinguenti impiegate negli impianti antincendio che riducono lo strato di ozono atmosferico, ovvero quelle elencate nell’allegato I al Regolamento (CE) n. 1005/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009. Le indicazioni dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 108/2013, prevedeva la tempistica per l’eliminazione (sei mesi dall’entrata in vigore del decreto) sia le sanzioni per la violazione di tale obbligo. Il decreto legge ha integrato la norma precedente aggiungendo il comma 2-bis. In sostanza, per poter accedere alla possibilità di proroga di ulteriori 9 mesi dalla precedente scadenza il titolare di un’attività che abbia un impianto antincendio che utilizza le predette sostanze dovrà adempiere alle prescrizioni normative con le seguenti scadenze e modalità: 1) entro il 20 settembre 2014: comunicazione ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico in merito all’ubicazione dell’impianto, la natura della sostanza. Per fare questo impiegherà lo specifico modello proposto nell’allegato I al D.L. 91/2014, avendo cura di indicare i seguenti dati:

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

25

a) identificazione dell’attività; b) tipologia d’impianto antincendio; c) tipologia delle sostanze controllate 2) entro il temine di 15 mesi (6 + 9) dal 12 ottobre 2013 (entrata in vigore del D.Lgs. 108/2013) le predette sostanze dovranno essere eliminate. (Stefano Zanut Il Sole 24 ORE – Tecnici 24, 26 giugno 2014)

Rubes Triva – Il Sole 24 Ore, Mensile di aggiornamento, luglio 2014, n. 7

26

Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Edilizia e PA de Il Sole 24 ORE e-mail: [email protected] © 2014 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze.

www.tecnici24.ilsole24ore.com